150 ANNI DI STORIA VISSUTA NEL NOSTRO TERRITORIO

150 ANNI DI STORIA VISSUTA NEL NOSTRO TERRITORIO DAL PRIMO RISORGIMENTO ALLA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA

Luigi Ripamonti

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IL RISORGIMENTO VISSUTO NELLA NOSTRA ZONA Una breve premessa

Siamo abituati a leggere e studiare sui libri di testo gli anni difficili della conquista dell’Unità d’Italia come li hanno vissuti i nostri antenati lombardi.

Fiumi di inchiostro ci hanno prospettato un analitico susseguirsi di fatti ed eventi, battaglie, insurrezioni, società segrete, gruppi ribelli, arresti, repressioni, sommosse popolari vissuti e sofferti nelle nostre città, quartieri, strade e case.

Raramente però ci siamo fermati a considerare, con doverosa onestà e documentata imparzialità, anche il punto di vista del nemico, nella fattispecie, dell’austriaco, che nel 1713 aveva inondato il nostro territorio con tutti i crismi di legalità e i diritti di possesso derivati da trattati internazionali, successioni tra casati imperiali, allargando poi a macchia d’olio, nel bene e nel male, il proprio potere (o meglio strapotere) in ogni campo del nostro vivere civile. La storia del nostro Risorgimento è come un grande mosaico le cui tessere dorate sono gli atti di eroismo di singoli e di gruppi, la resistenza e la rivolta ad un regime oppressivo; la storia si è poi ripetuta un secolo dopo con la lotta al fascismo e ad ogni forma di oppressione della libertà. Specialmente in questi mesi in cui la Nazione tutta si prepara a commemorare il 150° della conquistata Unità d’Italia, sarebbe opportuna occasione (specie per i giovani studenti) approfondire quel periodo di riscatto per un’agognata libertà, non trascurando la consultazione di serie e specifiche pubblicazioni storiche in merito. Questo volume non vuol classificarsi tra i testi ufficiali di storia, neppure ne ha la pretesa, lo possiamo considerare come un racconto di fatti veramente accaduti, di eventi storici succedutisi nei due secoli che abbracciano il grande movimento di popolo in lotta per la propria libertà. Fatti ed eventi letti su documenti dell’epoca, in gran parte custoditi nell’archivio parrocchiale di S. Giustina in Affori grazie alla diligente passione dei parroci Alessandro Astesani e Giovanni Panceri, sacerdoti e uomini di cultura. Un racconto che si dipana con la conoscenza di questi preziosi e rari documenti, testimonianza diretta dei fatti descritti, mezzo importante di comunicazione fra le Istituzioni ed il popolo che li ascoltava dalla voce del parroco e li vedeva affissi sui muri delle proprie case, nelle proprie vie. La storia si tramanda anche così. La mia passione per la Storia ed il mio impegno di archivista mi hanno offerto questa occasione per cui ho potuto consultare le fonti contemporanee con notizie d’epoca leggendole direttamente sui documenti originali. Con vero piacere, dietro invito ed incitamento del direttore di ABC Gianni Russo, pubblicherò per i lettori una 2

serie di articoli che meglio potranno presentarci in successione cronologica quegli anni, con tutta la freschezza e attualità che comporta la diretta. Penso con ciò di far cosa gradita specie per i miei concittadini interessati alla storia del proprio territorio o comunque sensibili alla conoscenza di fatti che possono far luce su quel periodo storico tanto discusso quanto di somma importanza per il nostro Paese. Per immergerci nel clima politico e storico e nella dura realtà con la quale lottavano i nostri antenati sotto il governo dell’imperialismo d’oltralpe, inizierò col pubblicare nella sua originale integrità il proclama col quale il ventinovenne Imperatore Francesco Giuseppe I (Franz Joseph I von Osterreich, dai Lombardi chiamato Cecco Beppe) si rivolse ai “suoi popoli” (tra i quali eravamo compresi noi del Lombardo-Veneto) per renderli edotti delle ragioni per cui si riteneva in diritto di governare, proteggere, difendere i popoli a lui fedeli e sottomessi. A distanza di 151 anni esatti dal giorno in cui venne emanato ed in seguito affisso anche sui muri delle case afforesi, noi Italiani, Lombardi del terzo millennio, leggiamolo con attenzione.

“AI MIEI POPOLI” Io ho dato l’ordine alla Mia fedele e gloriosa Armata di porre un termine alle ostilità commesse già da una serie di anni dal limitrofo Stato di Sardegna, ed in questi ultimi tempi giunte al colmo, a pregiudizio degli incontrastabili diritti della Mia Corona e dell’inviolata conservazione dell’Impero a Me affidato da Dio. Con tale determinazione ho compiuto un grave, ma inevitabile dovere di Sovrano. Tranquillo nella mia coscienza posso sollevare lo sguardo a Dio Onnipotente e sottopormi al Suo giudizio. Pieno di fiducia rimetto la Mia risoluzione alla sentenza imparziale dei contemporanei e delle generazioni future; del consenso dei Miei Popoli fedeli sono pienamente sicuro.

Allorché già da più di dieci anni lo stesso nemico, violando ogni diritto delle genti e gli usi della guerra, senza che gli fosse dato un qualsiasi motivo, soltanto collo scopo di impadronirsi del Regno Lombardo-Veneto, ne invase con la sua Armata il territorio, allorché fu per ben due volte sconfitto dal Mio Esercito dopo un glorioso combattimento, esso si trovò in balìa del Vincitore, Io gli usai tutta la generosità e gli porsi la mano per la riconciliazione.

Io non mi sono appropriato nemmeno di un palmo del suo territorio, non ho leso alcun diritto spettante alla Corona della Sardegna nel consorzio dei Popoli Europei, non ho mai pattuita alcuna garanzia onde prevenire la rinnovazione di simili avvenimenti. Io ho creduto di trovarla soltanto nella mano conciliatrice che gli stesi e che venne accettata.

Alla Pace feci il sacrificio del Sangue versato dalla Mia Gloriosa Armata per l’unione ed il diritto dell’Austria! La risposta a tanta moderazione, di cui non ebbi altro esempio nella storia, fu l’immediata continuazione delle ostilità, un’agitazione sempre crescente d’anno in 3

anno e rafforzata coi mezzi più sleali contro la Pace ed il Benessere del Mio Regno Lombardo-Veneto. Ben sapendo quanto Io debba al prezioso bene della Pace pei Miei Popoli e per l’Europa, tollerai con pazienza queste rinnovate ostilità. Tenendo conto del benevolo intervento di amiche Grandi Potenze per la conservazione della Pace, acconsentii ad un Congresso delle cinque Grandi Potenze. Alle istanze di amiche Potenze ho dato il Mio consenso alla proposta di un disarmamento generale. Questa mediazione andò fallita per l’inammissibilità delle condizioni cui la Sardegna vincolò il suo consenso. Non restava pertanto che un unico passo per conservare la Pace: Io feci intimare direttamente al Regio Governo Sardo di ridurre la sua Armata al piede di pace e di licenziare i Corpi Franchi. La Sardegna non ha assecondata tale domanda: ecco dunque arrivato l’istante in cui, per far valere il Diritto conviene ricorrere alla decisione delle armi!

Ho quindi dato l’ordine alla Mia Gloriosa Armata di penetrare nella Sardegna! Conosco la grave portata di questo passo: la guerra è un flagello dell’umanità; con petto ansante Io veggo come esso minaccia di colpire migliaia dei Miei fedeli sudditi nella vita e nei beni; sento profondamente qual duro cimento sia appunto ora la guerra pel Mio Impero che ha bisogno che si conservi la Pace. Ma il cuore del Monarca deve tacere allorché comandano l’Onore ed il Dovere. Ai confini si trova il nemico in armi collegato col Partito della generale sovversione e col palese progetto di impadronirsi a forza dei paesi posseduti dall’Austria in Italia. A suo sussidio il Dominatore della Francia che, con vari pretesti, si immischia nei rapporti della Penisola italiana, pone in moto le sue truppe e già alcune divisioni hanno oltrepassato i confini della Sardegna. Tempi difficili trasvolarono già sulla Corona che ho ereditata senza macchie dai Miei Avi. Ci troviamo di nuovo alla vigilia di un’epoca simile in cui si vuole scagliare la devastazione di quanto sussiste, non più solo dalle sètte, ma persino dai Troni! “Se costretto, pongo mano alla spada”: essa viene da ciò consacrata ad essere la difesa dell’Onore e del buon Diritto dell’Austria, dei diritti di tutti i Popoli e Stati e dei beni più sacri dell’umanità. Ma a voi, Miei Popoli, che con la vostra fedeltà verso l’avìta Casa regnante, siete un modello per tutte le genti, a Voi si volge la Mia voce, invitandovi a starmi a lato nell’intrapresa pugna con la vostra lealtà a tutta prova, con la vostra devozione e con la vostra prontezza a qualsiasi sacrificio; ai vostri figli, da Me chiamati nelle file del Mio Glorioso Esercito, Io, loro Duce Supremo, mando il Mio guerriero saluto; voi potete con orgoglio volgere ad essi lo sguardo perché fra le loro mani l’Onorata Aquila austriaca aprirà i vanni a voli sublimi. Il nostro combattimento è giusto! Noi vi entriamo con coraggio e fiducia. Speriamo che in questa pugna non rimarremo soli! Il suolo su cui combattiamo è imbevuto dal sangue sparso anche da nostri fratelli alemanni; fu di solito in questi paesi che gli astuti nemici della Germania cominciarono le loro tresche. Il sentimento di un tale pericolo percorre ancora le piagge della Germania, dalla capanna sino al Trono, dall’uno all’altro confine.

Io parlo come Principe nella Confederazione Germanica destando l’altrui attenzione sul pericolo comune e rammentando i giorni gloriosi in cui l’Europa dovette la sua liberazione al divampante entusiasmo generale.

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Con Dio per la Patria!

Dato nella Mia Imperiale Residenza e Capitale di Vienna Francesco Giuseppe m.p.

28 Aprile 1859

Figura 1 Dichiarazione 2^ guerra d’indipendenza - Imperatore Francesco Giuseppe

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E’ la dichiarazione della II Guerra di Indipendenza; 40giorni dopo questo appello migliaia di giovani vite (austro-lombarde e franco-sarde) venivano sacrificate sul terreno della vicina Magenta in una delle più sanguinose battaglie del nostro Risorgimento! Poiché l’Imperatore si è rivolto anche “alle generazioni future” che saremmo noi, per avere un giudizio imparziale, lascio al lettore formulare un’opinione, dare la propria sentenza.

E’ comunque questo un documento (molto raramente citato nei testi di storia) da sottoporre al giudizio della Storia dei Popoli, oppressi da un regime imperiale, che per oltre 150 anni tanti dolori e lutti procurò alla nostra Italia, alla nostra Lombardia, alla nostra Milano in cerca di quella dignità, onore, buon diritto dei popoli e libertà che 65 anni or sono videro ancora giovani partigiani lombardi sui monti a combattere e morire!

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LE RADICI DEL PRIMO RISORGIMENTO

Il movimento di riscatto della nostra identità italiana, in una parola il nostro Risorgimento, ha radici molto più profonde di quanto comunemente si creda e molto più estese nel tempo di quanto contemplato nei testi di storia: un lungo e tormentato periodo culminato in quel fatidico 18 Febbraio 1861 a Torino, allorché il nuovo Parlamento italiano poneva fine a secoli di sottomissione a grandi imperi, a granducati, ducati, marchesati e staterelli in cui un popolo, frazionato da confini, frutto di scambio, di conquista, d’eredità o d’acquisto, si trovava in pratica a servire molti padroni. Un’ allegorica arlecchinata di poteri dalla quale però doveva nascere una Nazione, un popolo ed un’unità di diritti e doveri come base della sua dignità e libertà. Il 17 Marzo seguente il primo Parlamento della neonata Nazione italiana perciò dichiara Vittorio Emanuele II re di un’Italia libera ed unita! Ma fu un lungo cammino in ripida salita: questa penisola mediterranea, erede di un’antica storia che ha stupito il mondo, ridotta a cuscinetto tra potenti imperi, era ormai simbolica figura del vaso di creta tra anfore di ferro e d’acciaio. Un ruolo che non si meritava e che meditava da tempo di scrollarsi di dosso. Potremmo risalire alle disastrose scorribande padane del Barbarossa o alle usurpazioni francesi in epoca del nostro Rinascimento artistico e morale, seguite senza soluzione di continuità dal pesante e goffo dominio spagnolo, condito di gride, editti, soprusi, vessazioni, feudi e vassalli, signorotti modello don Rodrigo e Azzeccagarbugli… Poi, dal 1713, col trattato di Utrecth, dalla nuova dominazione austriaca della Grande Teresa, che ci ha preso in tutela per successione ereditaria, siamo giunti alle soglie storiche di un evento che ha sconvolto l’acquisito strapotere delle case imperanti europee. Il 14 Luglio 1789, con la presa della Bastiglia, una scintilla ha dato fuoco alle polveri depositate per secoli nel sottopelle di interi popoli schiavizzati che hanno preso coscienza d’essere un’entità, una classe, soggetti di diritti inalienabili riassunti in un trilogismo: libertà, uguaglianza, fraternità! Il ciclone proveniente d’oltralpe è dilagato come il bagliore d’un fulmine in tutta la sua potenza travolgente, non trovando ostacoli, anche nella nostra pianura padana, in Milano e sua periferia, tra le vie del nostro paese! Fu uno squarcio di sole nel cielo lombardo, da quasi un secolo sotto i vanni della bicipite aquila austriaca; ma, alla fine, anche questo stravolgimento di potere, dopo i primi comprensibili entusiasmi, ci lasciò la bocca amara. E vedremo perché. Il 9 Maggio 1796 l’Arciduca Ferdinando d’Austria, Governatore di Lombardia, (la cui figlia Teresa venne ospitata convalescente in Villa Litta ad Affori nel 1788) abbandonava in tutta segretezza Milano lasciando i poteri ad una Giunta di 7

Governo ma portando con sé a Bergamo le fiorenti casse dello Stato. Nei documenti d’archivio trasuda, tra riga e riga, l’euforia d’aver accolto il nuovo corso storico esondato d’oltralpe ed offertoci dai cugini francesi (guarda caso) da secoli bramosi d’acquartierarsi nella florida ed operosa pianura padana.

Tanto per cominciare, i nuovi liberatori ci annunciano che: “Settembre I° Vendemmiale 1792 – Anno I Repubblicano. Da questa data si iniziano a contare gli anni del nuovo Calendario istituito dal Direttorio Rivoluzionario di Francia.”

Non solo si mette un nuovo paletto alla conta degli anni, ma si cambiano pure i nomi dei mesi…Poco male! Il 14 Maggio 1796 le truppe francesi, al comando del gen. Massena, entrano in Milano da Porta Romana accolte con deferente sottomissione dal Conte Francesco Nava in rappresentanza del popolo di Milano. Ancora: “26 Floreale – Anno IV Repubblicano (15 Maggio 1796) Con la Pace di Parigi il re di Sardegna Carlo Emanuele IV cede la Savoia e Nizza alla Repubblica di Francia. Il generale Bonaparte entra trionfalmente in Milano, dopo aver sconfitto il 10 Maggio gli Austriaci nella battaglia al ponte di Lodi; viene accolto da una Delegazione di Milanesi capeggiata da Francesco Melzi d’Eril e dimora presso il nuovo palazzo Busca in Corso Venezia; si organizzano “in città et Comuni di periferia solenni festeggiamenti popolari: suono di campane a distesa, canti del Te Deum in tutte le chiese di città e campagna, parate et luminarie sino a tarda notte, su pressante invito delle Autorità cittadine…” In ottemperanza ad un Decreto del gen. Bonaparte, si compila un “Dettagliato inventario relativo all’oro et argento et altri effetti appartenenti alla parrocchiale di Santa Giustina di Affori…” manoscritto ben leggibile e stilato come da “Proclama del 22 Pratile, Anno IV della Gloriosa Repubblica Francese, Una et Indivisibile (1796) firmato: Comandante Generale Despinoy per il popolo ed i cittadini di Milano e Comuni del Distretto”. Anche ad Affori (come da ordine del gen. Bonaparte) vengono requisiti cavalli da tiro e da soma per il glorioso esercito francese. I nostri concittadini di fine ‘700, il giorno 22 Settembre del 1796 vengono “eccitati a far grande festa commemorativa per l’anniversario della Repubblica Madre, imperocché, essendo in data d’oggi il Capo d’anno dell’Anno IV di Essa Gloriosa Repubblica, Una et Indivisibile!”

“29 Germinale – Anno V Repubblicano (18 Aprile 1797) – Secondo i preliminari di pace condotti a Leoben, la Lombardia viene ceduta di fatto dalla Casa d’Austria alla Repubblica di Francia: Milano ed alcuni territori del Comasco e del Bergamasco formano perciò una Repubblica Indipendente denominata “Cispadania” con vessillo tricolore rosso, bianco, blu” nato come simbolo della nuova Repubblica a Reggio Emilia il 17 Gennaio 1797. Un vessillo analogo, con la scritta “Uguaglianza o morte” e con raffigurato il 8

pugnale col quale Bruto uccise il dittatore Giulio Cesare, venne già personalmente consegnato da Napoleone il 9 Novembre 1796 ai soldati della “Legione Lombarda”. Il 5 Luglio 1797, per disposizione del gen. Porro, Ministro della Polizia, l’Amministrazione del Dipartimento d’Olona (cui appartiene il nostro territorio) emette disposizione in cui “…si ordina che a tutte le bandiere sparse nei luoghi pubblici sia tolto il colore blu e sostituito col verde”. Gli eventi si accavallano con una inaspettata rapidità: il 28 Giugno 1797 viene costituita la Repubblica Cisalpina ed il 9 Luglio, a Milano nel recinto dell’ex Lazzaretto, convertito in Campo di Marte, alla presenza di numeroso popolo, viene firmato l’Atto Costitutivo della Repubblica Cisalpina conglobando la Transpadania e la Cispadania.

Ma siamo solo all’inizio!...

Figura 2 Stemma Maria Teresa d’Austria

Figura 3 Repubblica Cisalpina. Intestazioni varie in uso durante la dominazione francese

Figura 4 Repubblica Cisalpina. Intestazione della corrispondenza governativa

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NAPOLEONE: il liberatore, il despota, l’inganno

Liberté – Egalité – Fraternité: il trinomio che sintetizzava il nuovo corso storico al quale anche i Lombardi avevano agognato come un respiro liberatorio dopo secoli di dominazioni da parte di imperi usurpatori della loro identità. Gli eventi rivoluzionari, la cui eco giungeva d’oltralpe con l’irruenza di un fiume in piena, avevano eccitato le popolazioni padane, soprattutto le classi del terzo stato: contadini di misere periferie, gli indifesi, praticamente i nuovi schiavi, dando loro coscienza d’essere protagonisti di una svolta storica epocale. Slogan incitanti all’azione si udirono per le nostre contrade, gridati da uno spontaneo coro di nostri concittadini che, confluiti nella piazza di Dergano, il 25 Novembre 1797, ereggendo “l’albero della libertà” con appeso il cappello frigio – simbolo di adesione popolare agli ideali rivoluzionari del nuovo vento liberatorio – hanno dato voce, come un’esplosione, al loro represso quanto naturale desiderio di libertà. Affori, Dergano, Bruzzano, Boisa: un solo popolo, un solo anelito di rendersi partecipi del proprio futuro prossimo. Il 29 Giugno le nuove Autorità civili della Repubblica Cisalpina avevano già richiesto (o meglio preteso) da quegli stessi cittadini il “giuramento di fedeltà” con questa formula, che leggo su un documento conservato in Archivio parrocchiale: Io, NN, giuro inviolabile osservanza alla Costituzione, odio eterno al Governo degli aristocratici ed oligarchi e prometto di non soffrire giammai alcun giogo straniero e di contribuire con tutte le mie forze al sostegno della Fraternità, Libertà ed Uguaglianza ed alla conservazione e prosperità della Repubblica.

Una Repubblica che, solennemente inaugurata il 7 Luglio nell’ex Lazzaretto di Milano, adibito a Campo di Marte, il 19 Agosto imponeva la costituzione della Guardia Nazionale comprendendo “tutti li maschi dai 16 ai 55 anni d’età, esclusi i domestici di casa nobile, i braccianti ed il clero secolare e regolare, dietro corresponsione di tassa mensile a titolo di esenzione.” La stessa Repubblica che qualche mese dopo viene definita da un cronista dell’epoca, il Canonico e storico Luigi Mantovani: “un’infame accozzaglia di fuoriusciti, banditi, forestieri qui in clandestino rifugiati, un grave disordine organizzato nella dilapidazione del pubblico nostro denaro…”. Forse, spenta l’eco degli spontanei cori inneggianti alla riconquistata libertà, il popolo, a bocce ferme, cominciò a trarre alcune considerazioni. Nel frattempo, il 29 Aprile 1799 (8 Floreale – anno VII Rivoluzionario), un documento ci informa che Grandissima fanteria austro-russa, sconfitti i Francesi a Cassano d’Adda, salutata da festosi scampanii in città e campagne, con cannoni e masserizie, s’accampa e devasta i fertili terreni 10

dei fratelli Villa tra i borghi di Affori e Bruzzano Capo di sotto senza che li campari potessero avere soddisfazione, attesa la difficoltà del farsi intendere ed il timore anco che la forza armata l’incuteva con gravi minacce…

L’Amministrazione provvisoria di Lombardia procura d’urgenza soccorsi in pane e riso agli abitanti del luogo “i cui campi sono stati brutalmente devastati sia dalle truppe francesi in ritirata che da quelle austro-russe sopravvenienti.”

Sono le tristemente famose truppe (che i Milanesi chiamano quej della pertegheta perché armati di lunghe lance) al comando del gen Alexander Suwaroff (russo) e del gen. Michele Federico Benedetto Melas (austriaco).

Ritiratosi con poco onore dalla Cisalpina sotto la spinta delle truppe austrorusse, il gen. Napoleone rientra il 2 Giugno 1800 in Milano, con marcata baldanza e gran pompa, alla testa della sua armata, incarognito per la recente perdita di immagine e con sete di potere, alimentata da un piano ben più ampio di conquista su scala europea. Là, dove gli austro - russi si erano accampati con malasorte dei nostri concittadini, ora le truppe francesi si sono dimostrate non inferiori nel razziare vettovaglie e infierire sui “campari afforesi”. L’oste gerente l’Osteria Nuova (padre del futuro pittore Giuseppe Molteni) ci ha lasciato una sua lettera di rimostranza descrivendo quanto subito dal passaggio di tale esercito di liberazione! Ne riporto alcuni brani significativi: ..Alla Amministrazione Municipale, in occasione che nel giorno 26 Pratile passò molta truppa Francese di Cavalleria e Fanteria scortante i Prigionieri Tedeschi dalla così detta Osteria Nuova distante tre miglia da Milano, stradale di Como, l’infrascritto Stefano Moltani, in qualità di esercente la medesima osteria, venne da detta scorta Francese investito con forza e obbligato di dare alla truppa medesima, con molto spavento anche delle persone componenti la numerosa famiglia del povero ricorrente di undici figliuoli, con danno non minore e consumazione di generi della somma di lire 772 di cui si producono le dovute giustificazioni. L’angustia dello stato e la qualità della disgrazia non che i pericoli di una maggiore nel ritorno, determinarono il ricorrente a portarsi all’istante a Milano ad implorare una salva guardia provvisoriamente conseguita per opera del generale di Brigata Mainoni.

Tutta confidenza nella giustizia e carità del Corpo Municipale, il medesimo ricorre per reintegrazione dei danni non solo, ma altresì per qualche provvedimento che lo garantisca da sì fatte disgrazie trovandosi il medesimo in una situazione e per rispetto alla miserabilità e alla ubicazione di nostra esposizione bisognosissimo del riguardo Municipale - “Serv.

Stefano Moltani

Ma non era la sola Osteria Nuova di Affori ad essere bersaglio di queste vessazioni da parte di truppe che transitavano spesso sulla stradale per Como.

L’alta politica fa il suo corso mentre la popolazione “in stato di miserabilità” assiste, sopporta, ricorre e subisce. Abolita la Repubblica Cisalpina, il 26 Gennaio 1802 si costituisce la Repubblica Italiana con capitale Milano, 11

Presidente il gen. Napoleone, governata dal figliastro gen. Eugenio di Beauharnais. Uno specchietto per allodole: questa fu l’immediata impressione circolante tra la gente di campagna, per tradizione molto aderente alla realtà, mentre nei salotti e nei pensatoi cittadini, frequentati da intellettuali illuministi, si dissertava sui valori venuti d’oltralpe, sintetizzati da quel trinomio che sempre appariva sulla testata delle ordinanze e mai si concretizzava nella realtà del quotidiano delle masse contadine ed operaie. Gli eventi, ben descritti in documenti d’epoca, ci dicono che avevano visto molto bene i cittadini che si stavano rendendo conto d’aver solo cambiato la mano cui consegnare parte del proprio raccolto e molto dei propri sudati risparmi. Il 2 Maggio 1803 nella neonata Repubblica viene costituita una “grande festa annuale in cui rendere esultante omaggio popolare al Grande Imperatore, con distribuzione di premi ai meritevoli ed industriosi cittadini e doti alle figlie povere da marito…”

In tempi brevi vengono emanate ordinanze relative alla Sanità, all’Istruzione, all’Amministrazione pubblica, alla Coscrizione obbligatoria, sul modello dei cugini liberatori, che costringono a rapidi cambiamenti di organizzazione e di comportamento. Il 26 Maggio 1805, il dubbio, il sospetto, il timore dei cittadini trovano insperato sbocco nella realtà: la Repubblica Italiana diventa Regno d’Italia: “…nel Duomo di Milano, tra luci, canti e giubilo di popolo (!) il Nostro Imperatore Napoleone I il Grande si pone in capo da sè stesso la Corona Ferrea proclamandosi Re d’Italia ed incorona pure la Sua nobile consorte Giuseppina. Che la storia tramandi tale straordinario evento a perpetuo onore e memoria!” Ovvero: fine di un sogno nato all’alba di un giorno agognato da secoli dai nostri antenati, ora arpionato ad una realtà che spegneva un lume e cancellava dalla storia l’eco di quei principi di libertà, fraternità, eguaglianza in cui la “gente di campagna” aveva intravisto un futuro più vivibile, un cammino più accettabile con eguaglianza di diritti e doveri, un progresso liberamente e democraticamente partecipato. La stessa gente di campagna e di città in più occasioni viene sollecitata (suo malgrado) a “ partecipare con solennità, suoni di campane, cortei, concorso di popolo, illuminazione ed addobbi di strade, canto del Te Deum nelle chiese…” nelle varie occasioni in cui veniva celebrato un nuovo passo nella luminosa carriera del caporale Bonaparte, ora Sua Maestà Imperiale Napoleone I il Grande, Imperatore dei Francesi e Re d’Italia. I documenti in archivio rimangono fedeli testimoni di quell’infelice momento dell’inganno di un popolo; non sempre nei testi ufficiali di Storia viene descritto, nella sua più profonda realtà, l’incalzare ufficiale degli eventi ed il tormento intimo degli uomini che li vissero nel quotidiano e lo esternarono nelle manifestazioni popolari. La Storia 12

del nostro Risorgimento, il cui seme già allora stava germinando nel solco dell’animo popolare, è fatta di queste molteplici tessere, senza le quali il glorioso mosaico dell’Unità d’Italia non sarebbe autentico, credibile, proponibile ai contemporanei! Leggendo quei documenti, che trasudano retorica e piaggeria, mi è venuto spontaneo proporre quanto il grande umanista piacentino Melchiorre Gioia scrisse: “I Francesi sono capaci di distruggere un popolo senza combatterlo”. Non sempre infatti le battaglie si combattono con le armi sui campi, spesso frustrando gli animi di un popolo. Milanesi e Lombardi se ne accorgeranno a loro spese!

Figura 5 Stemma di Napoleone

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La maschera ed il volto “…E

guai a chi la tocca!” queste solenni parole pronunciate in tono di sfida e di minaccia il 26 Maggio 1805 sotto le svettanti arcate del nostro Duomo dal neoRe d’Italia, l’Imperatore dei Francesi Napoleone I il Grande, oltrepassando il bronzeo portale si sono diffuse con rombante eco per le strade e piazze della Milano inizio ‘800, verso la campagna ed espandendosi per tutta la pianura lombarda. Quella Corona ferrea, che ai tempi di Teodolinda ha cinto il capo dei sovrani longobardi, ora stava sul capo del neo-re di quel popolo che l’aveva acclamato come liberatore dallo strapotere di regimi imperialistici che da secoli opprimevano deboli e indifesi. Peggiore ancora l’inizio della frase: “Dio me l’ha data…” Non ultimo di uomini giunti al potere che si sentirono autorizzati ad esercitarlo in Suo nome, il nuovo despota reclamava dal Cielo il diritto di dominare i popoli! Il popolo, d’altronde, aveva già intuito la brama di conquista e di potere che calava nella nostra Lombardia, ad arte mimetizzata tra lo scalpitìo dei cavalli e le sgargianti divise degli ufficiali. Più tardi (e per convenienza) lo capiranno anche quelle schiere di adulatori (intellettuali, altoborghesi, militaristi…) la piaggeria dei quali, come nube d’incenso, avvolgeva il trono e la corona venuti d’oltralpe e troppo presto sostituiti agli alberi della libertà ed al cappello frigio rivoluzionario. Il sentimento di rigetto, specie tra i giovani chiamati alle armi nel glorioso esercito, ben traspare dai documenti dell’epoca che custodiamo in archivio, basta saper leggere oltre le righe. Se prima il nuovo regime aveva richiesto ai cittadini liberati e sottomessi beni, tesori e opere d’arte, era il momento di pretendere anche la vita dei loro giovani sotto le armi della “Gloriosa Armata”. L’avversione al provvedimento é documentato nelle varie circolari che dai Distretti, dalle Prefetture di polizia, dal Podestà, dai centri di coscrizione giungevano con puntuale insistenza alle Municipalità ed ai Parroci perché venissero affisse nei paesi e letti nelle chiese.

Più che ogni commento vale leggere il documento originale: Repubblica Italiana – Milano 24 Maggio 1803 – Anno II - Il cittadino Cancelliere del Distretto d’Olona Gio. Pavia alli cittadini Parrochi – Vi trasmetto qui unito Avviso della Prefettura Dipartimentale d’Olona che comprende una misura di dolcezza presa dal Governo a riguardo de’ Coscritti che a momenti devono esser levati nelle singole Comuni. A voi, Cittadino Parroco, se cara vi è la pace e quiete interna delle Famiglie alla vostra direzione affidate e se vi è caro esimere il vostro Popolo dal rigore della Legge in caso di renitenza, se vi preme ch’esso goda della benefica disposizione portata da detto Avviso, a Voi spetta inculcare dal pulpito alla comune intelligenza de’ cittadini Parrocchiani la pronta somministrazione di Volontari del contingente comunale che a momenti verrà assegnato…

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Il Prefetto di Polizia del Dipartimento d’Olona, Luini, avvisa, in data 8 Aprile 1804 – anno III, che Il Vice Presidente della Repubblica Italiana, costante nel sentimento di moderazione da lui adottato verso quei giovani incauti, i quali o per timore o per seduzione, tentarono sottrarsi alla Coscrizione emigrando dal Territorio della Repubblica, ha voluto prorogare ancora il termine per il loro richiamo, accordando ai medesimi un assoluto perdono purché rientrino in seno alle loro famiglie e si notifichino ai rispettivi Consigli distrettuali…

Il fenomeno dell’emigrazione in altri territori, onde sfuggire alla leva militare agli ordini dell’armata di Francia, andava sempre più preoccupando le Autorità che, dopo aver esaurita la “misura di dolcezza” sono passate a metodi più pratici di convincimento.

Regno d’Italia –Milano 6 Febbraio 1807 – Il Prefetto Longo ai sigg. Parrochi del Dipartimento d’Olona – Sua Eccellenza il Sign. Ministro della Guerra col Regolamento per la Leva ha provvidamente voluto interessare i Parrochi delle Comuni ad assistere unitamente alle Municipalità alla più importante operazione della Leva…Faccia sentire, sign. Parroco, a questi Giovani ed ai loro Genitori i molti mali che derivano allorché taluno di loro tenti sottrarsi alla Requisizione. Essi sono causa di gravi danni ad altre famiglie e di sommo pregiudizio allo Stato…

Ma il richiamo non dovette sortire alcun risultato se leggiamo in questa Circolare: “Regno d’Italia Milano 29 Aprile 1808 – Il Prefetto …sventuratamente si vedono quindi tuttora Coscritti designati a far parte della gloriosa Armata dell’Augusto Monarca che ci regge nascondersi preventivamente, sottrarsi con la fuga alla loro requisizione…” Patetico il tono della Circolare con la quale si annuncia un’amnistia ai refrattari e disertori: Milano 8 Gennajo 1810 – Sempre intenta S.M.I. l’Augusto Imperatore e Re nostro a dare prove ai suoi amatissimi Sudditi della paterna Sua clemenza, con Suo Decreto del 30 Dicembre passato, accorda un generoso perdono ai Disertori e Coscritti refrattari del Regno d’Italia, ma vuole ch’essi si ravvedano del loro fallo ed i primi si restituiscano ai loro Reggimenti e raggiungano l’Armata i secondi. Questo nuovo atto della Sovrana Beneficenza deve animarvi ad obbedire prontamente alla Legge che vi ha chiamati all’onore di servire nella carriera Militare il più Grande degli Eroi e nostro Augusto Sovrano…

In seguito a questo atto di clemenza vennero poi prese drastiche misure di repressione verso coloro che non avevano recepito il messaggio di accorrere al servizio della Gloriosa Armata e del più Grande degli Eroi. Nei campi tra Affori e Bruzzano era accampato un distaccamento della “Gloriosa Armata”, alcuni Ufficiali francesi erano ospiti in Villa Litta; lo sappiamo dalla lettera rilasciata dal Parroco Astesani all’abate Rigal, cappellano presso le truppe stanziate nella nostra zona. La presenza francese in Villa Litta è pure testimoniata dai maestosi 15

platani del suo Parco, alberi molto amati da Napoleone in quanto immagini di grandezza e potenza!

Altri documenti rivelano la ritrosia dei giovani nostri concittadini ad arruolarsi per sacrificare la vita agli ideali di potere del “più Grande degli Eroi” che in nome di quegli ideali imbrattò col sangue di milioni di giovani l’Europa intera!

Non basteranno le prestigiose costruzioni, l’organizzazione di finanza, sanità e scuola pubblica, gli ordinamenti di amministrazione e di leggi per cancellare l’inganno che per circa un ventennio ha fatto rinascere speranze e progetti nel popolo lombardo prima e italiano poi. La nostra gente di campagna ha ben presto capito quale volto nascondesse la maschera dorata del despota di turno!

Ma siamo già alla vigilia di una nuova tempesta!

Figura 6 Documenti attestanti i cambiamenti in atto nel periodo

Figura 7 Documenti attestanti i cambiamenti in atto nel periodo

Figura 8 Documenti attestanti i cambiamenti in atto nel periodo

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IL TRAMONTO E L’ALBA Anche la più splendida giornata ha termine col tramonto ed il buio della notte.

L’astro Napoleone, in caduta libera, ha avuto il suo impatto con la Storia: la rovinosa campagna di Russia, Lipsia, l’esilio all’isola d’Elba, il ritorno di Luigi XVIII…il definitivo tracollo a Waterloo il 18 Giugno 1815, ed il capolinea all’isola di Sant’Elena il 16 Ottobre 1815, dove trovò la morte il 5 Maggio 1821! Fine di un incubo che ha gettato l’Europa intera nel vortice che ha travolto la vita di centinaia di migliaia di giovani d’ogni nazione. Il “Grande sole” qui da noi era già tramontato il 28 Aprile 1814 quando le truppe austriache rientrarono in Milano da Porta Romana al comando del gen. Adam Neipperg. Quella sfilata del liberatore di turno ha suscitato nella popolazione (suddivisa in filo francese, filo austriaca, nazionalista) contrastanti sentimenti: nonostante la vistosità di addobbi, luminarie, suoni di fanfare, la popolazione assistette alla sfilata della vittoriosa armata nel più gelido silenzio che valeva tutta la contenuta protesta per ritrovarsi non tanto liberati quanto ancora sudditi in casa propria! Infatti l’Austria proclama l’annessione del Lombardo-Veneto ai suoi territori. Molti giovani si sottraggono con la fuga a questo nuovo regime per non servirlo in armi. Il Parroco Astesani dal pulpito legge al popolo afforese un decreto della R. Cesarea Prefettura Provvisoria di Polizia datato 23 Novembre 1814: 3) Dovranno essere arrestati tutti i disertori i quali non fossero muniti della dichiarazione di amnistia. 4) Qualunque abitante che presti alloggio o ricovero ad individui disertati…sarà punito con l’immediato arresto secondo le nostre vigenti Leggi. Si esortano i cittadini ad attenersi alle disposizioni, allontanando da sé le irreparabili conseguenze di una colpevole connivenza

Minacce già ascoltate qualche anno prima. Il fenomeno della diserzione dei giovani “riottosi ad entrare nella Grande Armata” si andava talmente espandendo che le Autorità del Canton Ticino si stavano preoccupando per il “continuo segreto flusso di clandestini provenienti da territori lombardi”. In Archivio si conserva manoscritto del parroco Astesani, letto al popolo il 16 Aprile 1815 durante un’affollata funzione religiosa, nel quale si trasmette il proclama emesso dal Feldmaresciallo Heinrich Bellegarde ai Milanesi: “…in punto d’esser state queste popolazioni da S.M. Imperiale, ai termini delle transazioni politiche d’Europa stipulate nel Congresso di Vienna, erette in sovranità col titolo di Regno Lombardo Veneto.” Decaduto il Regno Italico viene costituito come Regno Lombardo Veneto il 7 Aprile 1815 con Viceré l’Arciduca Ranieri, fratello dell’Imperatore Francesco I, e governato dal Conte 17

Francesco di Saurau, non certo ben accolto dai lombardo-veneti per la sua proverbiale rigidità ed intransigenza. A suggellare la riconquista del fertile territorio lombardo, il 31 Dicembre 1815 l’Imperatore d’Austria Francesco I, fra l’attonita folla cittadina, entra trionfalmente in Milano con solenni e ben organizzati festeggiamenti, balli pubblici, luminarie e suono di campane a distesa. Ma sono tempi in cui nell’atmosfera politica e sociale sta lievitando un coacervo di risentimenti, progetti, scambi di opinioni, incontri tra gruppi di pensiero e di azione, idee e valori alla riscoperta di una identità nazionale le cui radici affondano in un glorioso passato e soffocate da secoli di sudditanza all’impero di turno. Avvengono i primi scontri ideologici con questi gruppi che si stanno formando sulla matrice delle nuove idee di opposizione. Il 29 Agosto 1820 l’I.R Governo di Milano, in una Notificazione a firma del Conte di Strassoldo (documento in archivio) avvisa il popolo: La Società dei così detti CARBONARI che si è dilatata in diversi Stati circonvicini ha tentato di far proseliti anche nei Cesarei Regi Stati. Dalle inquisizioni fatte a quest’oggetto si sono scoperte le mire, quanto pericolose per lo Stato, altrettanto delittuose di questa Società.

Per espresso comando di S. M. l’Imperatore e Re si deducono queste mire a pubblica universale notizia per avvertimento di ciascheduno de’ Suoi sudditi. Lo scopo preciso a cui tende l’unione de’ Carbonari è lo sconvolgimento e la distruzione dei legittimi Governi.

Siccome da ciò ne consegue che chiunque ha avuto cognizione di questi scopi e non ostante si è associato ai Carbonari…si è fatto reo di alto tradimento…ovvero non ha impedito i progressi di questa delittuosa Società, è divenuto correo del medesimo delitto ed è incorso nelle dure pene della Legge che prevedono il carcere a vita financo la pena di morte.

Nella Milano e campagna periferica, già angustiati da altri problemi in campo sociale (miseria, carestia e disoccupazione), sanitario (vajuolo, febbre petecchiale, pellagra, vaccinazioni ed epidemie), scolastico (nuove norme, carenze strutturali), l’inasprimento di uno stato di polizia e l’aggravio di restrizioni non aiutavano certo ad alleviare la già dura vita delle classi sociali più deboli. Ciononostante, oppure appunto per questo, l’I. R. Governo Lombardo Veneto eccitava i suoi sudditi milanesi a gioire ed esultare per alcuni eventi tra i quali un documento d’archivio ce ne illustra uno in particolare: Milano 29 Giugno 1820 – Milano esulta al fausto annunzio che le LLAA Serenissime l’Arciduca Raineri Vice-Re e l’Arciduchessa Sua Augusta Sposa faranno il loro ingresso in questa capitale nel giorno di Domenica 2 del prossimo Luglio al mezzodì, entrando da Porta Orientale. Un sì prospero avvenimento verrà solennizzato da questa Regia Città Capitale con pubbliche dimostrazioni di esultanza…si farà decorosa e brillante illuminazione di tutta la Città Capitale, si terranno giochi, cuccagna ed altri spettacoli popolari, corsa dei fantini e speciali fuochi d’artificio…Firmato: Conte Durini – Podestà

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Panem et circenses: la storia si ripete. Ed anche il travaglio del popolino che tutte queste sfarzosità di corte considera un vero affronto alle proprie condizioni di vita. Alle quali anche l’I.R. Governo presta attenzione perché non alimentino spunti di protesta ed insurrezione. Lo si deduce dalla lettura dell’Avviso emesso il 12 Giugno 1823: La Commissione Centrale di Beneficenza, eretta in Milano dalle paterne cure dell’Augusto Nostro Monarca nei tempi di scarno raccolto ed eccessivo prezzo delle derrate di prima necessità, fatalmente combinatisi con malattie epidemiche e pericolosamente contagiose, adoperassi tosto con tutti i mezzi a sollievo della indigenza per l’erezione delle pubbliche Case di lavoro spontaneo, dette Case dell’Industria. Ora la stessa Commissione, spinta dallo zelo, si è determinata di procurare altro utile al povero con donargli mezzi di riparo ai futuri suoi bisogni. Quindi ha deciso di introdurre anche in queste nostre Provincie Lombarde lo stabilimento noto col nome di Cassa di Risparmio, già eretto in varie ragguardevoli città dell’Europa ed a Vienna, Capitale del nostro glorioso Impero.

Una prima sede della Cassa di Risparmio venne aperta in Milano il 1° Luglio 1823 in piazza Mercanti. Il 1° Novembre 1823 viene abolita la lira italiana sostituita dalla lira austriaca (valore 87 centesimi). Altre misure economiche e fiscali vengono attuate creando nuovi problemi alle popolazioni del Regno Lombardo-Veneto. Guanto di velluto, ma pugno di ferro. In alcune di “queste nostre Provincie” il fermento rivoluzionario comincia a scolpire i nomi dei prigionieri politici, processati, incarcerati allo Spielberg…Nei solchi di terra lombarda, annunciati dalle prime vittime patriottiche, cominciano a spuntare i primi germogli di quell’epocale evento che porterà all’Italia Unita del 1861!

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Figura 9 Annuncio alle Popolazioni del Regno Lombardo-Veneto fatto dal Maresciallo Bellegarde, in qualità di luogotenente del Vicerè.

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PROBLEMI QUOTIDIANI DI CASA NOSTRA

Sull’onda emotiva di un ritrovato patriottismo col quale la Nazione si è riscoperta unita nel festeggiare il suo 150° compleanno della sua unità, si può incappare nel pericolo sommerso di porsi di fronte alla vicenda epocale del nostro Risorgimento presentandolo nell’immaginario collettivo solo come un periodo mitico, volando così ad alta quota senza scendere a considerare in quale contesto sia nato, maturato, concluso tra problemi esistenziali che costringevano i suoi protagonisti ad una dura realtà del vivere quotidiano. Visione che invece ci permette un volo raso terra, ovvero il seguire il cammino dei nostri antenati attraverso i documenti contemporanei dai quali trasuda un vissuto di lotta continua contro dura miseria, dignitosa povertà, dilagante analfabetismo, scarsezza di mezzi e di infrastrutture, impari lotta contro disastrosi eventi naturali, dure leggi di coscrizione militare sotto bandiere di tirannici dominatori.

Per questo, assieme ai lettori sensibili alle vicende del nostro passato, mi metto in dialogo con alcuni documenti d’epoca, scovandoli dallo scrigno del nostro archivio parrocchiale per poter modellare, in presa diretta, uno specchio di vita in cui sono riflesse alcune problematiche, cioè il terreno di coltura in cui si andava maturando il risorgere di una nazione composta da un popolo che lottò unito per conquistarsi la libertà.

10 aprile 1801 - Scrive il parroco Astesani alle autorità del Dipartimento d’Olona…

Vi fo dunque noto, con vivo mio dolore, che una popolazione di più di mille anime com’è questa manca affatto di pubbliche scuole, né qui vi sono istituiti fondi pubblici deputati a questo ramo così importante per la pubblica civilizzazione.

Il problema dell’istruzione in Affori e dintorni occuperà per molti anni ancora Istituzioni e popolo per la mancanza di strutture, di fondi, di organizzazione 30 agosto 1802 - Ancora in una nota del parroco Astesani La seconda vaccinazione eseguita dal dottor Luigi Sacco in questa Comune, quanto fu consolante per la buona intelligenza del medesimo, altrettanto fu desolatamente scarsa per la non mai abbastanza deplorevole grossolanità ed ignoranza del rozzo popolo, ritroso alquanto a sì benefico e provvidenziale ritrovato della moderna scienza.

Più volte il dottor Luigi Sacco si è recato con volontaria generosità e con incentivi ad Affori e dintorni per inculcare nella “rozza popolazione” l’utilità della vaccinazione contro le dilaganti malattie infettive, specialmente il vajuolo, la febbre petecchiale ed il colera che mietevano molte vittime specie tra i 21

bambini cresciuti in ambienti del tutto insalubri. Un problema sanitario che occuperà gran parte dell’800 prima di trovare soluzioni adeguate; qui leggiamo alcune osservazioni tratte da un’abbondante documentazione che lo sta a dimostrare.

12 Luglio 1805 - In una nota emanata dalle Autorità di Pubblica Sicurezza si legge: Per far fronte al preoccupante numero di furti, rapine, borseggi, feroci aggressioni in città e soprattutto nelle campagne, si istituisce uno speciale Corpo di Guardia territoriale anche in questa Comune con diritto di sparo a vista e condanna senza limite. Gli arrestati per tali fatti gravi, sono puniti per direttissima con la morte entro le 24 ore.

15 Gennaio 1817: E’ stato rilevato dai Medici che una delle cagioni della facilità con cui si diffonde il terribile morbo petecchiale è l’immondezza delle persone e delle case di campagna, in particolare ciò accade di rimarcare tra gli agricoltori. Si prega il Signor Parroco di mostrare ai suoi parrocchiani la necessità di tenersi mondi, di dar grand’aria alle stanze ed alle stalle e quivi non far lunga dimora, di lavarsi tutti i giorni, di cambiarsi più che possono d’abito e biancheria, di sciorinare e batter abiti e stuoie, di tener ben scopate lor case e corti, di tener lontano materie in fermentazione, come di togliere le sozzure ed i mucchi di puteolente letame dai cortili, né gettare da finestre e da botteghe nella contrada cose immonde solide e liquide. Ancora vietare affollamento di contadini che possono, senza veruna loro colpa, comunicare la terribile malattia da un paese infetto ad altro immune.

19 Giugno 1819 E’ pervenuta notizia a Cod. Delegazione Provinciale del forte abuso introdottosi da non pochi genitori che, avendo ottenuto di affidare al Luogo Pio i loro figli per essere allattati, non si curano poi di riprenderli per loro procurare il susseguente mantenimento.

15 Luglio 1826 Ha fermato in particolar modo l’attenzione dell’I.R. Governo la straordinaria mortalità che dagli specchi di popolazione dello scorso anno risulta avvenuta tra i fanciulli dalla nascita all’età d’un anno. Si riflette che la maggior parte di queste morti accade tra le popolazioni di campagna; è forza quindi di concludere che molto debba influirvi la trascuranza delle norme igieniche e sanitarie ignorate dalle madri e dalle nutrici.

20 Febbraio 1833 Le disastrose circostanze causate da eventi guerreschi, calamità naturali e diffusione di terribili morbi pestilenziali degli anni 1816 e 1817 indussero la Congregazione Municipale di Assistenza ad assumersi il mantenimento dei figli d’ambo i sessi mancanti di genitori o che 22

da questi son venuti ad esser abbandonati. Si invitano con calore i Revv. Parrochi a voler procurare pronto collocamento ad alcuni di detti fanciulli derelitti presso qualche persona di lor fiducia, di buon cuore, sana dottrina morale, buona condotta, buona salute e fornita di mezzi sufficienti ad adempiere al gravoso ma umano e cristiano impegno che ogni buon cittadino dovrebbe assumere con spontanea generosità.

9 Settembre 1839 Si lamenta una troppo scarsa partecipazione da parte dei fanciulli atti alla scuola dell’obbligo in quanto lor genitori istessi li inviano ai campi o pure alle fabbriche in sì tenera età per ragione di guadagno in sostegno alle miserande famiglie spesso caricate di gran numero di figliolanza.

Da una “Descrizione dello stato delle Cassine del Circondario di Milano” tolta da “Annotazioni statistiche sul Colera nella provincia di Milano” si presenta questo quadro di una triste situazione abitativa che ci ricorda gli aneddoti che ci raccontavano le nostre nonne: Notevole è lo stato miserando in cui vivono gli abitanti delle campagne milanesi: bassi tuguri mai o mal ventilati, in luogo del pavimento solo terra pesta, le stalle servono, nelle lunghe sere d’inverno, di convegno e ricovero ad una o più famiglie a risparmio di legna e combustibile…le corti fangose, solcate da scoli degli smaltitoi puteolenti, degli acquajoli, sono d’ordinario occupate nel mezzo da mucchi di letame ed all’intorno da fosse mal coperte con paglie o canne di frumentone che fanno veci di pozzi neri. Le stradicciole malamente ovvero anche non selciate, senza condotti d’acqua bianca o nera servono di sovente d’immondezzai per le case fronteggianti… Notevoli invero sono a questo riguardo le Comuni di Bollate, Limito, Dergano, Novate, Cormano, Brusuglio, Affori, Baggio ed i 16 villaggi del Circondario ed anche le 491 cassine che stanno all’interno della cerchia di Milano.

Potrei continuare con questa litania di lagnanze, ordini, inviti, considerazioni stampati su carte d’epoca che ho preso a caso tra le molte ordinate nei faldoni.

Viene spontanea una considerazione: tra queste mura umide ed affumicate, per queste stradicciole infangate e sterrate, entro queste stalle puteolenti, in quei fatidici anni di rivolta la popolazione di città e di periferia sentiva parlare di moti rivoluzionari, di sommosse, di esecuzioni, di prigioni, di giovani coscritti, di giovani arrestati e deportati, di polizia, di fucilazioni… come pure nei salotti bene della meglio aristocrazia e borghesia milanese dove si radunavano, in ben altro contesto, i luminari del pensiero, le giovani leve di illustri casati. L’Italia libera ed unita del 1861 nasceva qui ed anche là, in quelle corti, impregnata ed ingarbugliata tra i legacci di problematiche esistenziali da far tremare le vene ed i polsi!

Infine anche il popolo insorse per conquistarsi ad ogni costo la tanto sognata libertà che gli avrebbe reso giustizia di diritti civili e dignità di uomini!

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IL MOMENTO DEI “GIOVANI RIBELLI” Così erano chiamati quegli intellettuali, studenti e militari che, aggregandosi in società segrete, si organizzavano per una concreta azione rivoluzionaria contro l’oppressivo regime imperiale austriaco. I moti del 1° Gennaio 1820 a Cadice in Spagna, seguiti dalle rivolte di luglio a Nola, Napoli e Palermo, furono le scintille che accesero il vasto incendio che inesorabilmente farà esplodere i vari troni d’ Europa, imprimendo un nuovo corso alla storia. Nonostante l’impegno ed il rischio corso da questi gruppi di volontari, spinti da un ideale in cui fermamente credevano a costo della vita, i moti del 1820 non ebbero però quell’effetto trascinante presso il popolo che non venne coinvolto nella sua totalità. Finirono per essere un movimento d’opinione quasi riservato ad alcune classi di idealisti da salotto, di intellettuali dell’alta società e borghesia il cui sogno pertanto non andava aldilà di un “Regno dell’Italia Settentrionale”. Ma il seme era gettato ed il sangue dei martiri non fu versato invano. Un decennio dopo, la spinta popolare venne dal giovane repubblicano Giuseppe Mazzini e dalla sua creatura la “Giovine Italia” i cui ideali spaziavano verso un’Italia libera, unita e repubblicana. Vorrei portare l’attenzione dei concittadini di zona sulle vicende che direttamente hanno coinvolto il nostro territorio.

Un passo indietro: Villa Litta era allora di proprietà della Marchesa Vittoria Visconti Borromeo Litta Arese, sposa del marchese Gerolamo Trivulzio. Dalla loro unione il 28 Giugno 1808 nacque Cristina che diverrà una delle figure più significative e discusse del nostro Risorgimento e dell’ambiente mondano e letterario dell’800 europeo: Cristina Trivulzio principessa Belgiojoso!

Cristina trascorse parte della propria adolescenza in Villa Litta e nell’ampio suo Parco che amava particolarmente e frequentava con entusiasmo. Dalla sua villa afforese, ormai giovane promettente e carica di entusiasmi, partì verso il suo destino all’estero; Affori ne ha ricambiato l’affetto dedicandole il viale principale (ora v.le Affori). Vittoria e Cristina: due delle tante donne lombarde che ebbero un prezioso ruolo nel nostro Risorgimento. La Marchesa Vittoria, in seconde nozze sposò il Marchese Visconti d’Aragona Alessandro, che, nelle cronache della storia risorgimentale milanese, troviamo accanto a Silvio Pellico, Piero Maroncelli, Pietro Borsieri, il Conte Federico Confalonieri, il Marchese Giorgio Pallavicini, Gaetano Castillia, il barone Francesco Arese ed altri giovani attivisti: il “gota” della “Federazione italiana” affiliata alla Carboneria. Il salotto mondano della Marchesa Vittoria, ben conosciuto dalla nobiltà milanese e lombarda, era un ricercato luogo di incontro in Villa Litta per 24

artisti, poeti, scrittori, musicisti e fu una provvidenziale copertura alle riunioni dei “giovani ribelli” compagni di lotta del Marchese Alessandro. Il che non sfuggì alla polizia austriaca che, in seguito ad una soffiata, procedette ad un blitz per cercare compromettenti corrispondenze, segreti documenti ed arrestare rivoluzionari convenuti in Villa. Avvertita per tempo, la Marchesa Vittoria, con la complicità delle amicizie e conoscenze che aveva tra le Autorità, di notte si recò in Villa e distrusse tutte le carte compromettenti, bruciandole nel camino del salone delle feste. Al Marchese Alessandro toccò la sorte dei propri compagni: arresto, prigione, condanna, poi revocata, sempre grazie a quelle raccomandazioni. Passati alla storia come “i processi del ‘24”, lasciarono anche nella popolazione afforese una traccia dovuta al coinvolgimento di Casa Litta, in quel tempo proprietaria di gran parte del paese. In quegli anni nei rustici di Casa Litta (attuale via Cialdini 117) abitava un giovane fervente patriota: Luigi Migliavacca, maestro della scuola elementare del paese. Il 28 Settembre 1829 la famiglia venne allietata dalla nascita di Filippo: colui che diventerà un attivo patriota, cospiratore e organizzatore della coscrizione di volontari lombardi e del reperimento di armi e danaro per finanziare l’impresa garibaldina. Nel 1860 morì sul campo di battaglia a Milazzo al fianco di Bixio e Medici, agli ordini di Garibaldi. Il suo esempio e la sua fama in paese e nella nostra zona hanno favorito l’ingresso di alcuni suoi coetanei concittadini nelle file dei “giovani ribelli”. Il 10 Maggio 1825 fa solenne ingresso in Milano l’Imperatore d’Austria Francesco I°; in ricordo di quell’evento in seguito verrà eretto l’arco trionfale di Porta Comasina firmato dall’arch. Giacomo Moraglia (che nel 1859 costruirà la parrocchiale di S. Giustina in Affori). In quei giorni di circolazione di strane idee, in cui si avvertiva un’aria di malcelati sospetti, di appuntamenti segreti, di frasi sussurrate, sulla porta principale della parrocchiale e del Comune di Affori e dintorni è apparsa una “Notificazione dell’Imperiale Regio Governo di Milano”. Alla folla di fedeli riunita in chiesa per le funzioni col maggior concorso della popolazione, il parroco Panceri ne lesse il contenuto: Quando la setta dei Carbonari, dodici anni or sono, minacciava la rovina di ogni ordine civile negli Stati d’Italia, S.M.I.R.A., all’oggetto di premunire i suoi sudditi contro le perniciose dottrine e la seduzione di quella setta, ne fece pubblicamente conoscere le mire quanto criminose, altrettanto pericolose per lo Stato onde le persone inesperte e leggiere, alle quali i Capi della setta sapevano destramente occultarle, ne fossero informate e fossero quindi trattenute dal prender parte alla setta de’ Carbonari. Ora la stessa paterna Sovrana sollecitudine ha determinato la Maestà Sua ad ordinare una simile disposizione anche per riguardo all’associazione denominata la Giovine Italia, formatasi in mezzo alle vicende di questi ultimi tempi, la quale non meno pericolosa della prima spiega anzi una iniquità più 25

grande ancora dei Carbonari. Lo scopo di questa società è il rovesciamento degli attuali Governi e di tutto l’ordine civile. I mezzi che adopra sono la seduzione e perfino l’assassinio decretato dai Capi occulti a forma degli antichi Tribunali secreti. Siccome ne consegue che chiunque, conoscendo quelle mire di alto tradimento, siasi non ostante aggregato alla Società della Giovine Italia, si è fatto reo del delitto di alto tradimento, e si rende complice di tale delitto, ed incorre nella pena inflitta dalla Legge anche chi, avendo già conoscenza di tali mire non ne abbia impedito i progressi od abbia omesso di svelarne i membri.

Tutti avvisati: pugno duro, giudizio inflessibile! Quella setta, fondata in Francia, sciolta e rifondata a Genova nel 1831, era quindi un’ammucchiata di briganti, rivoltosi, facinorosi, teste calde da evitare, da condannare, un’accozzaglia di brutti figuri da paragonare alla malfamata “Compagnia della teppa” costituita nel 1817 poi trasformata in società segreta politica Nonostante la “paterna Sovrana sollecitudine” e la minaccia di pene severe, i primi “martiri” ebbero anche qui da noi degli imitatori nel sacrificare la propria vita per una nobile causa. Le “mire della setta Giovine Italia” stavano dando loro una spinta ed un motivo d’azione. Gli ideali risvegliati e proposti ai giovani da Mazzini diedero perciò vita ai “Partigiani dell’800”. Dai moti accesi nei Ducati di Modena e Parma, all’inasprirsi dello stato di polizia (processi, condanne, esecuzioni…) lo scontro si fa duro e aperto, per ora una lotta impari. Intanto il giorno 1° Settembre 1838 fa solenne ingresso in Milano l’Imperatore Ferdinando I d’Austria con la consorte. L’8 Settembre sotto le svettanti arcate del Duomo, alla presenza di autorità, nobiltà e numeroso popolo milanese, gli verrà posta in capo la Corona Ferrea, nominandolo Re del Lombardo Veneto! Ma ci avviciniamo agli anni ’40: il popolo è in fermento, i “partigiani dell’800” non si troveranno soli nella lotta: li attende “la prima liberazione”!

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Figura 10 Ritratto di Cristina Trivulzio poi Principessa Belgioioso (Francesco Hayez 1791-1882)

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Figura 11 Lettera del Dott. Luigi Sacco a Don Alessandro Astesani per la vaccinazione contro vajolo e morbo petecchiale

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UN NOSTRO PARTIGIANO DELL’800 IL GARIBALDINO FILIPPO MIGLIAVACCA Affori patriottica è giustamente orgogliosa d’aver dato i natali ad uno di questi “Partigiani del Primo Risorgimento”: Filippo Migliavacca. Per presentarlo ai suoi concittadini del terzo millennio mi sono avvalso di quanto su di lui hanno scritto illustri storici e studiosi del nostro Risorgimento, soprattutto traggo dalle note di una pubblicazione dell’epoca, contemporanea alla sua eroica morte in battaglia: Fra i prodi che furono dal ferro nemico mietuti nelle narrate battaglie, noi ricorderemo in particolar modo Filippo Migliavacca ed Enrico Richiedei, la cui morte fu da tutti udita con duolo, tanto erano per le rare virtù della mente e del cuore, nobile ornamento della patria: noi particolarmente li ricordiamo, essendo la loro vita un bell’esempio da porsi innanzi alla nostra gioventù.

FILIPPO MIGLIAVACCA era nato nella colta Milano da un onesto maestro di scuola ed aveva, sin dai primi anni, date ottime prove di sé, tanto negli studi, quanto nella vita domestica. Nel marzo 1848 trovavasi nel Collegio Ghislieri in Pavia allorché, avuto sentore che in Milano doveva scoppiare la rivoluzione, pedestre s’avviava a quella volta: e, diciottenne appena, armato di fucile, prendeva bella parte nelle cinque giornate. Iscrittosi quindi nella legione degli studenti, trovatasi tra le altre alla fazione di Pietole ove era fatto sergente in seguito alla bella condotta il 13 luglio 1848. Dopo l’armistizio Salasco traeva col suo corpo in Piemonte: ivi innalzato al grado di sergente furiere. Prendeva parte all’infelice campagna del 1849. Vincitrice la bicipite aquila a Novara, volava a Roma e colà prendeva distinta parte a tutte le più gloriose fazioni, sotto il comando del Medici. Sempre fra i primi, con la sua coraggiosa ed intelligente condotta s’acquistò il grado di luogotenente, ma più che tutto l’amicizia del suo superiore e dello stesso Garibaldi. Ove più si distinse durante quell’assedio, che rincacciò nella gola degli stranieri il motto: “Gli Italiani non si battono” fu alla difesa di Villa Spada. Invaso il luogo da forte polso di Cacciatori d’Orleans, egli, combattendo nelle camere, per le scale, e cedendo sol passo passo il terreno, con pochi riusciva a salvarsi a Roma, seco trasportando il capitano Gorini che, ferito in una coscia da un colpo di fuoco, erasi così malconcio, slanciato dal balcone in istrada, piuttosto che rimanere prigioniero.

Caduta l’eterna città, Migliavacca riparatosi in Genova dove, scontando nell’esiglio l’onorata pena delle sue virtù, guadagnavasi di che vivere indipendente ed onorato. Dedito ad ogni maniera di studi, a quelli specialmente dell’italiana letteratura e delle lingue straniere, si diede all’istruzione privata, consacrando parte della notte a più ardue elucubrazioni, impiegandola anco nel tradurre dal tedesco quelle opere che utili potevano tornare alla causa d’Italia. E ciò non bastando a quell’anima di fuoco, preparassi in pari tempo agli esami d’avvocato, sostenuti i quali, entrò a far pratica nello studio dell’avvocato Cesare Gabella, 29

uno de’ primi del foro genovese, il quale aveva in lui posto tanto e ben meritato affetto.

Filippo fu sempre a disposizione degli emigrati. Il suo ultimo soldo, il suo ultimo pezzo di pane era per quei che ne mancavano. Pativa per sé e si privava di tutto per rendere meno penosa la vita ai suoi infelici compagni. La carità era in lui grande quanto la fede. Nutrì e professò opinioni repubblicane. Non sì tosto però s’accorse che a meglio conquistare l’unificazione d’Italia d’uopo era raccogliersi sotto la croce di Savoja; e nel 1859, alle voci di guerra contro l’Austriaco, lasciando ogni più cara consuetudine, corse ad inscriversi nelle file dei Cacciatori delle Alpi sotto il suo antico capitano Medici. Fu de’ primi a passare il Ticino e i periodici d’allora misero in grande affanno e parenti ed amici narrando com’egli, fatto prigioniero dagli Austriaci, fosse stato per rappresaglia spietatamente fucilato. Dopo più giorni di crudeli incertezze, seppesi al fine che quella voce era falsa e che Migliavacca aveva per lo contrario, con molto ardimento, combattuto a Sesto Calende, a Varese, a San Fermo, a Como. Nella fazione di Varese meritassi la menzione onorevole. Agli avamposti, presso Belforte, primo a cominciare il fuoco contro il nemico, con una mossa di fianco, abilmente immaginata e coraggiosamente condotta, obbligò un battaglione austriaco ad iniziare la mossa retrograda che si comunicò quindi in tutto il corpo di Urban. Quel fatto gli meritò il grado di capitano.

Dopo la Pace di Villafranca seguì Garibaldi e Medici nell’Emilia e ritornò in seno all’amata famiglia sol quando Garibaldi, data la sua dimissione, ripartì per Caprera. In Milano si diè ad esercitare l’avvocatura e già numeroso stuolo di clienti avea saputo acquistarsi, quando, udito che Garibaldi muoveva in soccorso de’ Siciliani, senza punto esitare, diè addio alla famiglia e, seguito da un eletto gruppo di giovani, volò a Genova. Ivi imbarcassi sul Washington, altro de’ piroscafi che il 9 Giugno 1860 salpavano dalla costa ligure con la seconda spedizione per la Sicilia.

Giunto a Palermo venne promosso maggiore e, alla testa del suo battaglione, dopo ripetute prove di valore, cadde, a trent’anni, nelle vie di Milazzo, chiudendo con una morte gloriosa una vita generosa ed onorata. Il grado di tenente colonnello e la medaglia del valor militare furono gli onori che sul campo, in quella giornata di gloria e insieme di pianto, gli vennero tributati.

Migliavacca fu d’animo gentile, di carattere aperto e gioviale; decoroso e risoluto ne’ modi. Sviscerato amatore della patria. Di larghe cognizioni, rette da sicuro criterio, prometteva d’occupare un posto distinto nel foro. Aitante nella persona, con una fisionomia esprimente la bontà dell’animo e l’intelligenza dello spirito, s’acquistava facilmente l’amicizia di chi l’avvicinava.

Salve, anima grande, volando dopo una vita cotanto operosa all’amplesso di Dio, il tuo nome non perirà punto, ma sarà mai sempre rammentato con orgoglio da ogni buon italiano; sorviverà perenne nelle nostre gloriose tradizioni, nelle sacre pagine della storia della nostra indipendenza. Il nome de’ martiri è da trasmettersi alle generazioni a venire!”

Da altre fonti storiche ho appreso molti inediti particolari sulla vicenda patriottica del nostro concittadino “Partigiano del Primo Risorgimento”, 30

particolari che qui pubblico per una più approfondita conoscenza della sua avventurosa impresa.

Filippo nacque in un modesto casolare di Affori (attuale via Cialdini 117) il 13 Settembre 1829; il padre, Luigi, era maestro presso la Scuola comunale afforese. Iniziò gli studi filosofici nel Liceo di Brera e li continuò al Liceo Longoni a Milano. Studiava presso il Collegio Ghisleri di Pavia quando i moti insurrezionali milanesi del 1848 lo spingono a farsi parte attiva, appena diciannovenne, sulle barricate come Sergente della Legione degli Studenti. Al ritorno degli austriaci in città è costretto a rifugiarsi a Genova in quanto ricercato dalla polizia e condannato in contumacia per sedizione ed appartenenza a gruppi rivoluzionari. Al seguito di altri giovani volontari si reca in Piemonte dove partecipa alla disastrosa battaglia di Novara. Tornato a Genova si imbarca per Civitavecchia con un gruppo di giovani patrioti per partecipare alla liberazione di Roma con Garibaldi. Fermato il bastimento da navi francesi in alto mare, Filippo venne ricondotto a Genova dove riuscì ad eludere la sorveglianza fuggendo su di una barca da pesca. Il suo entusiasmo per l’impresa gli dà carica e riprende il mare con altri 300 volontari. Il 20 Maggio 1849, sbarcato a Porto d’Anzio, raggiunge Roma e si unisce ai gruppi di volontari che lottano per la conquista della città. Dopo aspri scontri presso Villa Spada (dove si guadagnò il grado di Luogotenente), l’insuccesso dell’impresa (male organizzata) e la Pace di Villafranca, seguì Garibaldi in Emilia ed a Venezia assediata dagli austriaci. Fallita anche questa impresa, si rifugia in Svizzera senza transitare per Milano dove è segnalato come pericoloso ribelle.

In Svizzera organizza e tiene contatti con patrioti fuoriusciti e concorre a stabilire piani di intervento rivoluzionario nel Lombardo Veneto. Il 31 Dicembre 1858, rientrato in segreto dalla Svizzera, sul Colle Zerbino presso Genova partecipa ad una riunione presieduta dal Gen. Garibaldi. Tra i presenti spiccano i più famosi nomi dell’impresa garibaldina: Nino Bixio, i fratelli Bronzetti, Camosci, Chiassi, Fiastri, Mercantini ed Olivieri, autori rispettivamente dei versi e della musica dell’Inno di Garibaldi che fu cantato all’unisono in quella riunione: “Si scopron le tombe, si levano i morti”. Nella sua nuova permanenza a Genova, Filippo consegue a pieni voti la laurea in Legge, entra a far parte del nominato studio legale dell’avv. Giulio Cesare Gabella, dà lezioni di lingua tedesca e traduce testi da quella lingua. Il 1859 fu un anno decisivo per le sorti d’Italia: Migliavacca fu tra i primi a passare il Ticino e si sparse voce che fosse stato catturato e fucilato. Smentendo le false notizie, riprende il suo ruolo come Tenente nelle file garibaldine dei Cacciatori delle Alpi, agli ordini diretti del gen. Giacomo Medici, milanese e suo amico.

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Per il suo comportamento eroico nella battaglia di S. Fermo e di Belforte, viene promosso Capitano. Con Medici, Bertani, Besana si attiva, sia a Milano che a Genova, nel reclutare giovani e raccogliere fondi per la causa. Fa parte della Direzione del Comitato milanese per la raccolta di fondi per il “milione di fucili” in preparazione della spedizione siciliana guidata da Garibaldi. Tra i mesi di maggio e giugno recluta, tra Varese, Milano e Como, ben 435 volontari che riunisce in un orfanotrofio a Milano. Allo storico momento dell’imbarco dei Mille presso lo scoglio di Quarto, ebbe l’onore di consegnare direttamente al gen. Garibaldi 60.000 lire, parte delle 100.000 richieste dal Generale. Lo stesso Garibaldi ebbe per lui un particolare elogio e l’ordine di rimanere in Lombardia col gen. Medici per preparare nuove leve di volontari. A tal fine gli venne conferito il gravoso incarico di Istruttore di Volontari. La seconda spedizione in Sicilia è pronta al comando del gen. Medici: il 9 Giugno 1860 i piroscafi Washington, Oregon e Franklin con 8000 fucili, 400mila cartucce e materiale bellico salpano verso la Sicilia; il gen. Medici si imbarca sul Washington con 10 compagnie di volontari al comando dei Maggiori Simonetta, Guerzoni e Migliavacca. Il 17 Giugno sbarcano sulle coste siciliane e seguono l’itinerario disposto dal gen. Garibaldi. L’esercito di volontari si accampa nelle colline adiacenti la fortezza borbonica del Castello di Milazzo. Nei gruppi spicca per la sua veemente attività il giovane Felice Cavallotti che, con Migliavacca, rievoca i momenti di S. Fermo e di Varese. Il 19 Luglio il gen. Garibaldi raggiunse il distaccamento del gen. Medici e stilò il piano di battaglia per l’intervento decisivo contro l’agguerrito esercito borbonico. Lo scontro fu durissimo viste le forze in campo; le truppe borboniche, sopraffatte dall’impeto dei volontari garibaldini al comando di Guerzoni, Bronzetti e Migliavacca, si rifugiano nella massiccia fortezza del Castello. La battaglia campale si conclude con la vittoria garibaldina, ma dal Castello piovono le bordate dei cannoni borbonici. Una delle ultime granate ferisce mortalmente il Maggiore Migliavacca, alla testa del suo battaglione. Viene trasportato su di un carro a Merì, nella casa De Gaetani dove era ospitato Garibaldi (ora monumento nazionale) e, attorniato dai suoi compagni di battaglia, spirò nelle braccia del gen. Medici mentre gli ufficiali gli rendevano gli onori che si tributano ad un eroe. Era il 20 Luglio 1860. La splendida ascesa del Migliavacca, promettente alte mete, è stata stroncata nell’ultimo momento di una furiosa battaglia, tra i volontari garibaldini che lui stesso aveva reclutato nella sua Lombardia. Le spoglie di Migliavacca vennero sepolte, per ordine del gen. Medici, ai piedi del campanile della chiesa di Merì.

Il poeta messinese Felice Biscazza, dettò il testo della lapide posta sulla sua tomba: 32

Filippo Migliavacca, Maggiore milanese, tenne fronte al tedesco nel 1848 in terra lombarda, difese Roma nel 1849, ribattezzò col suo sangue la Bandiera della Libertà nell’epiche battaglie di Milazzo nel 1860, morto in quei campi, d’anni 31. All’esule e martire italiano, ov’ebbe la tomba, venne dedicata questa lapide dal Generale Medici, suo antico compagno d’armi.

Grande fu il dolore del gen. Garibaldi per la perdita di un suo valoroso ufficiale; venne perciò a rendere onore al caduto garibaldino, firmò la sua promozione a Tenente Colonnello alla memoria e concesse, con Decreto 29 Ottobre 1860, una pensione a vita ai suoi familiari.

Una piazza del Comune di Merì, a perenne ricordo, è stata dedicata all’afforese Ten. Col. Garibaldino Filippo Migliavacca e, nel 1960, centenario della morte, con solenni festeggiamenti gli è stato eretto un monumento marmoreo e costituito un patriottico gemellaggio con Affori, suo paese natale. Per molti anni il 20 Luglio, nell’anniversario della morte, il Comune di Merì depositò una corona di alloro in memoria del nostro concittadino caduto per la liberazione di un’Italia che sognava libera ed unita.

Figura 12 Busto di Filippo Migliavacca, garibaldino afforese, caduto a Milazzo

Figura 13 Monumento dedicato a Filippo Migliavacca, eroe garibaldino, nella piazza di Merì

Penso che il lettore attento e sensibile, dopo aver seguito l’intensa attività patriottica e militare del nostro concittadino, come si sia fatto un nome e 33

meritato una fama negli eventi del Risorgimento, si chieda come mai nel paese della lontana terra siciliana dove venne stroncata la sua giovane vita sul campo di battaglia si abbia avuto un riguardo nelle manifestazioni civiche di onore alla memoria del Ten. Col. Garibaldino Filippo Migliavacca, con cerimonie ufficiali, una lapide sulla tomba, un monumento ed una piazza a suo nome, mentre nella sua terra natale si sappia ben poco del proprio eroe? Come patrioti afforesi ci auguriamo venga compiuto un gesto ufficiale riconoscente il valore di questo nostro concittadino

Figura 15 Album storico artistico. Garibaldi nelle due Sicilie ossia guerra d'Italia nel 1860

Figura 14 MerĂŹ. Lapide alla memoria di Filippo Migliavacca, eroe afforese, morto nella battaglia di Milazzo;

Figura 15 Affori via Cialdini 17. La casa di Filippo Migliavacca

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IL CORAGGIO DEI PATRIOTI MILANESI

E giunse il ‘48: un anno di importanza epocale nella storia del Risorgimento vissuto dai cittadini milanesi che misero in campo quanto represso in secoli di schiavitù politica e morale. Il ’48 annotò l’entrata in guerra dell’esercito del re di Sardegna Carlo Alberto contro la Grande Armata d’Austria: il 23 Marzo, col passaggio del Ticino, inizia la I^ guerra di indipendenza. Quello era lo scopo di un’azione militare che aveva ben poche speranze di riuscita; infatti sui campi di battaglia svanì il primo bagliore di riscossa, malamente concluso nel giro di un anno esatto. Ma l’ansia di libertà andava lievitando tra il popolo, alimentata dall’azione di segrete trame dei “giovani ribelli” che percepivano l’avvicinarsi del momento decisivo. Cosa rappresentarono per noi milanesi quelle 5 leggendarie giornate di rivolta e di lotta impari? Interi volumi ne descrivono lo svolgimento in ogni suo particolare; ma per maggior conoscenza di alcuni fatti, sfuggiti alla cronaca ufficiale, fatti che ci fanno rivivere in diretta l’atmosfera in cui sono nate e si sono svolte quelle roventi giornate milanesi, mi avvalgo di un testo esclusivo: in un volantino, in cui si narra molto dettagliatamente l’operato di un nobile concittadino Dunant in occasione della rivolta milanese, vengono descritti particolari interessanti. Documento molto originale e poco conosciuto, ben conservato nel nostro Archivio parrocchiale e dal quale leggiamo: “VIVA L’ITALIA LIBERA ED

UNITA! …Le atrocità di cui si resero colpevoli le orde austriache il 3 Gennaio davanti ai negozi sotto i balconi del profumiere Dunant nella Galleria De Cristoforis gli destarono nell’animo il desiderio di vendicare alla prima favorevole occasione i concittadini così barbaramente assaliti e trucidati; da quell’epoca in poi, seguendo con attenzione le frequenti manifestazioni popolari, Dunant preparossi a cooperare alla cotanto desiderata espulsione di quelle orde assassine, prendendo a tal effetto efficaci disposizioni.

Di fatto il 18 Marzo, di eterna memoria, al comparire della prima sommossa, che dal Palazzo del Municipio si recò a quello dell’ex Governo, Dunant spiegava una bandiera tricolore di seta.

Questa era la seconda che compariva al vento in mezzo al popolo e fu tale l’entusiasmo destato a quella vista che tumultuosamente se ne rese padrone, nello stesso tempo Dunant fece gettare dalle finestre della sua abitazione prospettanti sul Corso gran quantità di coccarde nazionali già ivi preparate, le quali vennero pure con gran giubilo dal popolo raccolte, poste nei cappelli e portate con pompa alla testa dell’attruppamento.

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Siccome poi la Galleria poteva e doveva essere sotto ogni rapporto un punto di mira per il nemico, Dunant mise in opera tutto il suo sapere per fortificarla e renderne fatali al Tedesco gli abbordi e, in una col concorso di molto popolo, questo luogo si vide in pochi istanti trasformato in una quasi inaccessibile fortezza.

Oltre al numeroso personale addetto al proprio stabilimento, lo stesso Dunant radunò molti altri individui che, ben forniti d’armi da fuoco e di munizioni, vennero appostati ai balconi di sua abitazione al piano inferiore della detta Galleria.

Tali disposizioni si combinavano con quelle prese da altri concittadini che già presentavano contro il nemico una difesa validissima e veniva collocata al piano superiore una batteria infernale di nuovo genere, consistente in ben cinquecento libbre di acido solforico distribuito in vari recipienti da slanciare e versare sui nemici e sui cavalli da perigliosa vicinanza.

Questo liquido micidiale infatti avrebbe fatto strage dei Tedeschi.

Preservata perciò la Galleria da ogni nemica invasione, gli uomini raccolti si sparsero per la città volando a combattere tra le spontanee barricate che sorgevano per vie e contrade dove più urgeva aiuto e, a detta loro, hanno fatto strage di Austriaci.

Nelle cinque giornate di blocco Dunant dirigeva un’organizzata corrispondenza aerostatica per mezzo di palloni e, fra questi, uno di colossale forma, adorno di quattro bandiere tricolori; raccoglieva di mano in mano gli avvisi che giornalmente pubblicava il Governo Provvisorio intorno agli avvenimenti della città, ne faceva stampare molti a caratteri grandi ed intelligenti anche ai villici di campagna e tutti collocava nei palloni e poscia li spediva traverso le linee degli assedianti nemici, portatori delle nostre notizie ai campagnoli, facendo in pari tempo sventolare nel libero aere sulla testa dei Tedeschi l’italica bandiera.

In mezzo ad un vivo fuoco d’artiglieria, tra difficoltà e perigli, Dunant trasportò sul Duomo un grandissimo stendardo tricolore, benedetto dal sacerdote Luigi Malvezzi, fissato all’asta, di fianco alla statua della Madonna, alla sommità della guglia maggiore. In faccia all’inimico!

Era desso il primo vessillo che trionfante sventolò in cima alla città di Milano in rivolta all’agguerrito Tedesco.

Finalmente fu quello che al cospetto dei Barbari dava ben alto nel cielo il segnale della gloriosa vittoria dell’eroico popolo milanese e proclamava il trionfo della libertà sulla tirannia ed il risorgimento della civiltà, il primo stendardo della nazionalità e della gloriosa indipendenza d’Italia tutta!

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Dunant si onorerà d’esser aggregato alla Gran Nazione Italiana con la numerosa sua famiglia in questa terra beata, retta finalmente da un Governo che può, a giusti titoli, chiamarsi “Benefico e Paterno” Ritengo d’aver compiuto un doveroso atto nel riproporre ai concittadini di quei coraggiosi patrioti un episodio del nostro Risorgimento in cui traspare con quanto entusiasmo e rischio hanno deciso di scegliere il proprio destino di uomini liberi, affrontando un nemico potente e crudele!

Figura 16 Regno Italico - simbolo

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IL BREVE PERIODO DELLA SPERANZA I nostri concittadini vivono fermenti di libertà

MARZO 1848 – Le gloriose 5 Giornate della rivolta milanese allo strapotere austriaco hanno trovato vasta eco tra la nostra popolazione di campagna che partecipò all’evento storico prima con incredulità, apprensione, timore, poi col contributo personale, quindi con manifestazioni di spontanea esultanza per la vittoria conseguita seppur a caro prezzo. Lo tsunami di notizie che giungono col passaparola ed anche via aerostatica nei paesi di periferia suscitano un movimento popolare che sfocia in un’esplosione di gioia per la conquista dell’agognata libertà. Un sogno. Ma di breve durata: dopo soli 5 mesi la realtà si ripresenterà col suo volto più duro!

In questi 5 mesi un coacervo di problemi ha investito il Comitato del Governo Provvisorio di Milano - sotto la presidenza di Gabrio Casati - che, subito, il giorno 29 Marzo, rivolgendosi “Alli Deputati Comunali di Affori” (così leggo nel documento) informa che alla difesa della Patria importa assai che coloro i quali detengono armi tolte all’inimico austriaco e non sono pertanto in grado di adoprarle utilmente nella Milizia cittadina, le abbiano a consegnare perché possano concorrere all’utilizzo per il compimento della liberazione della nostra cara Patria

Tre giorni prima l’avanguardia dell’esercito piemontese, al comando del gen.

Passalacqua, fa solenne ingresso in Milano passando per l’Arco del Sempione.

Un pensiero riconoscente ai caduti “nelle gloriose giornate milanesi” unisce il popolo tutto che, in contemporanea con le solenni esequie celebrate nel Duomo il 6 Aprile, in tutte le chiese, cappelle, conventi di Milano e dintorni, si ritrova nel dolore e nella speranza. Il giorno 8 Aprile giunge a Milano Giuseppe Mazzini, accolto con entusiastiche manifestazioni dal popolo.

Lo slancio generoso ed entusiasta dei rivoltosi ebbe un seguito nella dura realtà: si dovevano recuperare risorse per armare ed organizzare uomini dando loro una consistenza di esercito pronto all’attacco ed alla difesa. Il Governo Provvisorio ricorse quindi alla generosità ed al senso patriottico dei Milanesi chiedendo loro un “prestito volontario”. Il 13 Aprile la circolare 888/187 così recitava: non v’ha dubbio che le popolazioni nostre lombarde, le quali non ebbero a cuore la vita stessa in questi gloriosi giorni per risorgere l’avvilita loro nazionalità, non rispondano più tostamente ai patriottici impulsi per questo nobile scopo del prestito volontario per 38

promuovere l’armamento dei valorosi nostri militi Lombardi, porli in campo, spingere le operazioni di guerra al glorioso lor fine e procurare ad essi ed ai prodi fratelli del Piemonte la necessaria sussistenza”

Generosi risposero i Lombardi ed anche i nostri concittadini afforesi che, celebrando in forma non solenne le esequie per “i deceduti nei combattimenti della gloriosa rivoluzione” offersero il loro modesto contributo di lire 180 alla “Commissione delle offerte per la Cassa Nazionale di Milano”. (v. Registro Cassa Morti -14 Aprile 1848). Sulla stampa locale si legge: Tra i primi cittadini accorsi ad offrire danaro per la Cassa Nazionale furono i due fratelli Gaetano ed Enrico Taccioli (allora coeredi e proprietari di Villa Litta – ndr) con la cospicua somma di lire 14.000. Sottoscrivono inoltre lire 100.000 al Prestito nazionale ed offrono 4 buoni cavalli e disponibilità della loro lussuosa dimora di campagna per ospitare volontari e feriti.

Il Governo Provvisorio tra l’altro si attiva a riportare ordine nelle Istituzioni tra le quali l’Istruzione e la Sanità. In merito alla Scuola, oltre dettare nuove norme, con circolare del 10 Maggio si invita anche il parroco di Affori, in qualità di Direttore della locale scuola “a dichiarare e far dichiarare tramite giuramento firmato ai maestri se aderiscono fermamente al nuovo Governo Provvisorio, entro e non oltre giorni 8”. Seguono a cadenza giornaliera richiami, proclami, circolari, inviti coi quali il Governo Provvisorio tiene desta ed alimenta la fiamma dell’entusiasmo e sollecita i più timorosi alla partecipazione. Leggo: Lombardi! Armi ed armati accorrono generosi ed animosi da ogni parte d’Italia ad assicurare la compiuta e perpetua liberazione di questa nostra carissima Patria, per la gran causa benedetta da Pio IX, santificata dal sangue de’ nostri giovani martiri…. Lombardi! Vorrete voi che questa storica ed eroica impresa, cominciata da voi, fosse proseguita e compiuta solo con l’opra dei nostri fratelli Italiani?

Letto oggi questo proclama non ha certo quella profonda risonanza e quella sferzata di entusiasmo patriottico che fece allora nei nostri concittadini che quegli epocali eventi stavano vivendo nella loro grandiosità ma anche nella loro incertezza e pericolosità. Ed è quindi opportuno immergerci in quel clima nel rileggere questo proclama che il 12 Maggio il Governo Provvisorio inviò alla cittadinanza, richiamandola ad un’importante e decisiva scelta: la fusione col Piemonte. Lo trovo ben conservato nel suo faldone nell’Archivio parrocchiale; leggiamolo assieme per capire meglio come l’idea di una Patria libera ed unita si sia sviluppata nell’opinione dei Lombardi.

Cittadini! Questo Governo, sorto tra le barricate, tiene il suo mandato fatto sublime dell’eroica nostra rivoluzione la quale, operata col concorso di tutte le forze sociali, non 39

aveva altro scopo che la cacciata dell’Austriaco e la conquista dell’indipendenza italiana.

Perciò fin quando tuonava il cannone nelle nostre contrade ed il popolo tutto rispondeva ai colpi micidiali gridando Viva l’Italia! il Governo, anche nella pressura di quei momenti, anche invocando il soccorso del generoso Re Sardo, anche ammirando le prove di maturità politica che dava il nostro valoroso Popolo, disciplinato nei furori stessi d’una guerra a morte, non credette d’alzare altro grido che Viva l’Italia!, altro vessillo che l’indipendenza nazionale. Così lasciando intatte tutte le questioni di forma politica, volle che queste Regioni, per tanti anni forzate a chiamarsi straniere all’Italia, prime tornassero alla Patria comune e proclamassero la loro devozione all’Italia Unita e Concorde!...Ma ora, o Cittadini, tale grido salvatore…non esce più solo…Quella santa concordia, quella coraggiosa neutralità ch’era proclamata per impedire i dissidi e le discussioni inutili in faccia al nemico, in ossequio alla Patria italiana, perché tutto si riferisce ai supremi valori e di Lei interessi e intorno alla sacra bandiera, si raccogliessero per unificarsi tutti i desideri, tutti i voti, ora viene accusata di nutrire e fomentare le discordie civili, d’autorizzare le più avverse e nemiche speranze, di tenere tutto il resto d’Italia in una paurosa incertezza…Popoli, Governi, città e uomini riguardevoli pel senno, pel patriottismo ci esortano ad uscire da quel campo di dissidi e rancori in cui c’eravamo trincerati in aspettazione di quelli che fossero per maturare gli avvenimenti generali d’Italia. Il Governo Provvisorio si trova trascinato in mezzo alle incessanti e dannose dispute politiche e costretto a difendersi dall’insistenza delle più divergenti e astruse opinioni. Questo stato di cose non può durare! O il Popolo riprenda il suo impegno di non voler discutere di politica e con la sua gran voce imponga silenzio ai partiti o si decida per quella fusione che sola è naturale, sola è possibile nelle presenti gravi circostanze…

(Il dissidio che divideva i Lombardi era tra una concorde neutralità e la speranza di una guerra breve e vittoriosa) Quando però si accoglieva la speranza di una guerra breve e vittoria sicura, come era nel pensiero e desiderio di tutti, epperciò a tutti pareva facile e naturale rimettere a causa vinta la discussione dei destini politici del Paese. Invece guerra grossa, sanguinosa, lunga, armamento di tutto il Paese, leva ed organizzazione di un Esercito Lombardo, sussistenze per questo, pel piemontese, pel toscano, pel romano, pel napoletano…finanze…complicazioni politiche imprevedute, influenze ostili della straniera diplomazia, bisogno urgente d’aver posto nel Consorzio delle Nazioni d’Europa, le Provincie Venete in gran parte rioccupate dai barbari…Ecco le nuove e gravi condizioni nelle quali il Paese si trova e che consigliano una presta ma concorde decisione! Sarà certo quella che più favorisca la gran causa d’Italia, quella che più acceleri il fine della sanguinosa guerra per l’indipendenza. E però, come Lombardi, in nome e per l’interesse di queste Provincie, come Italiani per l’interesse della Nazione tutta, dobbiamo riconoscere provvido il pensiero che le nostre terre si associno al vicino e bellicoso Piemonte, salve le comuni guarentigie della libertà, per formare dell’Alta Italia un inespugnabile baluardo contro tutte le forestiere invasioni di barbari, sotto lo scettro costituzionale di quell’illustre Casa di Savoia cui la Storia assegnò il glorioso titolo di Guardiana delle porte d’Italia! A voi tocca ora decidere, cittadini Lombardi…il vostro Governo non può rimanere spettatore indifferente del pericolo di una discordia civile. Ed è nel proposito di rendervi uniti e forti che ha determinato di fare appello al Popolo Lombardo 40

intero perché la sua sacra e potentissima voce copra quelle di tutti i partiti per fonderli in uno solo! Il Governo Provvisorio decreta quindi l’apertura dei Registri presso tutte le Parrocchie ed i Comuni di Lombardia all’effetto di ricevere le votazioni del Popolo in merito all’immediata fusione delle Provincie Lombarde con gli Stati Sardi in una nuova Monarchia Costituzionale con la Dinastia Savoia. – Milano 12 Maggio 1848

Un accorato appello ad esprimersi con voto popolare in merito alla fusione col Regno di Casa Savoia affinché, uniti, proseguire nella definitiva cacciata dell’oppressore. In sostanza si fa appello alla concordia, all’abbassamento dei toni nelle dispute e controversie, ad un civile scambio di opinioni, ad un anteporre gli interessi della Nazione che si voleva costruire alle brame di potere personali o di gruppo. Una situazione di emergenza (guerra o neutralità) allora incombente sulle popolazioni lombarde che richiama quella che gli stessi lombardi, gli stessi italiani stanno vivendo con grande senso di timore per un presente grave ed un futuro incerto e che, a distanza di quasi due secoli, prolunga la propria ombra nel terzo millennio.

Rileggendo questo appello, ognuno può constatare come sia importante avvicinarsi alla Storia sui documenti dell’epoca che svelano, tra riga e riga, in tutta la loro immediatezza, ciò che si celava dietro le quinte e che sfugge spesso ai lettori superficiali: cause ed effetti. Spesso nei testi si vedono questi senza approfondire quelle!

Ma altri problemi il Governo Provvisorio si è trovato a dover risolvere.

Figura 17 Decreto del Governo Provvisorio della Lombardia fa appello alla concordia

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Figura 18 La Commissione esorta a unirsi al Piemonte e costituire l’Alta Italia

Figura 19 Lo stampato del decreto del 19 aprile

Figura 20 Il Governo Provvisorio Lombardo legifera la leva obbligatoria contro il nemico austriaco

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IN DIFESA DELLA CONQUISTATA LIBERTA’ Infatti, uno dei primi problemi da affrontare fu quello di mettersi sulla difensiva contro un nemico per ora allontanato, ma non piegato. Un nemico molto ben agguerrito e pronto a scaricare tutta la propria potenza offensiva sui temerari milanesi e lombardi che si erano gettati in un’impresa della quale non si vedeva ancora ben definita la conclusione. Ed anche il popolo, che tanto aveva osato, organizzatosi dietro le barricate con la costituzione di un Governo Provvisorio composto da nomi di chiara fama, rettitudine, competenza e stima, ora si poneva di fronte ad un grave dilemma e ad improrogabili risposte: ora che si fa? La Grande Armata è ancora dietro l’angolo e la sua voglia di vendetta temibile. Le sorti dell’immediato domani erano nelle menti e nelle mani del nuovo Governo: Gabrio Casati –Presidente, Cesare Correnti – Segretario, Borromeo, Durini, P. Litta. Strigelli, Guerrieri, Moroni, Rezzonico, Carbonera, Grasselli, Beretta, Dossi, Turroni, Anelli, Giulini – Consiglieri. Appunto, priorità venne data all’organizzazione della Difesa della Patria: a scanso di equivoci, tentennamenti, opposizioni venne emanata subito un’apposita Legge fatta conoscere al popolo a mezzo di una circolare datata 11 Aprile 1848 che ritrovo fra i Documenti del nostro Archivio. L’entusiasmo, la preoccupazione, l’ansia dai quali è nata mi impedisce di farne un sunto. Perciò la sottopongo alla lettura dei miei concittadini in tutta l’incisività con la quale è stata scritta dal Governo e letta dai nostri antenati: Italia Libera – Governo Provvisorio Centrale della Lombardia – Legge sull’organizzazione della difesa della Patria – Un popolo d’eroi, inerme e senz’altro aiuto che il proprio coraggio, cacciò lo straniero dalle nostre contrade. Questo popolo accorre da ogni parte intorno alla Bandiera d’Italia; torme innumerevoli di volontari sorgono da questa Sacra Terra e quasi si direbbe che ognuno si rechi, ad onta d’esser secondo, alla chiamata. Tutti chiedono organizzazione, armi, condottieri, tutta la Nazione domanda di gettarsi sul nemico comune, domanda la costituzione d’una possente milizia cittadina a guarentigia dell’indipendenza e della libertà. Perciò il Governo intento a compiere questo voto ed a regolarizzarne l’esecuzione nei limiti dei mezzi e del bisogno, considerando che il servizio delle armi a difesa della Patria è la più sacra delle imposte, ma insieme la più gravosa; che quindi è dovere di tutti i Cittadini e giustizia che ognuno senza distinzione alcuna concorra personalmente alla salvezza comune; considerando che questo dovere, portato dalla necessità, deve regolarsi in modo da recare il minor disturbo possibile all’ordinario andamento dei lavori e delle transazioni sociali, considerando che il rimpiazzo è una piaga che corrompe ed indebolisce l’esercito ed è fonte dei più turpi mercimoni e di soprusi d’ogni genere e che un Corpo nel quale questo male abbia preso radice è, per esperienza, inferiore in disciplina ed in forza morale ad altro nel quale ogni individuo porta il sentimento della propria dignità e la coscienza del proprio dovere…perciò detto Governo Provvisorio, ritenuta 43

l’urgenza delle attuali circostanze… DECRETA : I) Ogni cittadino dai 18 ai 60 anni è chiamato a servire personalmente la Patria colle armi, il popolo armato prende il nome di Guardia Nazionale. II) Il contingente attivo che forma l’ESERCITO è tratto dalle classi della Guardia Nazionale che comprendono i cittadini dai 20 ai 25 anni…I cittadini della Guardia Nazionale dai 18 ai 30 anni sono riuniti ogni anno per gli esercizi durante il tempo necessario e nel mese più opportuno, avuto riguardo ai lavori dell’agricoltura.

Ma si presentava un altro ostacolo, di ben altra natura, di origine psicologico, culturale, sociale: organizzare corpi armati per la difesa è un conto, molto più complicato rivolgersi al popolo e riuscire a convincerlo a servire un ideale a costo della vita! Tanto più che stavano giungendo notizie preoccupanti dai campi di battaglia: Curtatone, Goito, la resa di Peschiera, la caduta di Vicenza, la minaccia a Venezia, la riconquista di territori lombardi e veneti da parte dell’incalzante e indomita Armata austriaca. Ed il Governo Provvisorio tenta la via del convincimento affidandosi anche all’influenza che il clero gode nei riguardi dei “fedeli” cittadini. Perciò affida ad una “Circolare ai Parrochi della Lombardia” un testo che illustri il delicato e gravoso compito di affiancare l’opera delle autorità civili e militari. Un vero poema, in perfetto stile ’800, dal quale traggo alcune espressioni che non mi permetto di ritoccare (documento in Archivio): Milano 26 Giugno 1848 – La santa guerra che tutta Italia combatte per redimersi dalla schiavitù forestiera, dopo i luttuosi casi della Venezia, è divenuta più grossa e la barbarie del nemico di giorno in giorno la rende più micidiale. Orribili carneficine, sperpero scompigliato e saccheggio d’ogni pubblica e privata proprietà, schifosi oltraggi al pudore, abominevoli profanazioni delle cose più sacre segnano la via per cui l’Austriaco scorrazza fra le grida ed i gemiti delle desolate popolazioni lombardo venete. Se una guerra siffatta si prolungasse una bellissima parte di quest’Italia, che si levò commossa alla voce del Sommo Pio, confidente nell’aiuto supremo, si tramuterebbe in deserto. Le devastazioni di Castelnuovo e di Bardolino insegnano fin dove possano trascorrere i satelliti dell’oligarchia Viennese, assetati di sangue e di vendetta e raggirati dalle più perfide menzogne. Le più gravi considerazioni d’umanità, d’ordine pubblico, di morale, di religione impongono che si affretti il termine di una guerra siffatta e il Governo Provvisorio della Lombardia, in pieno accordo cogli altri Governi d’Italia che concorrono alla santa impresa, e segnatamente coi Governi di S.M. Sarda e di S.S. Pio IX, ha deliberato di metter in opera a sì grande scopo ogni maniera di mezzi. Coi Decreti oggi stesso pubblicati egli domanda nuovi sacrifici al Paese e li domanda pieno di fiducia nel patriottismo di tutti i cittadini e sicuro d’esser validamente sussidiato dalla cooperazione di quanti esercitano una autorità di parola, di consiglio, di esempio su questo eroico Popolo Lombardo. In tale sicurezza a Voi si rivolge, Reverendi Parrochi della Lombardia: Voi avete già date solenni testimonianze della vostra devozione alla causa nazionale e il Paese ve ne diede merito. La Patria aspetta e confida che Voi adoprerete in suo servigio la salutare influenza che vi dà il vostro sacrosanto ministero. Prima di tutto sia vostra cura di mettere dinanzi alle popolazioni tutti gli orrori di questa guerra, tutte le crudeltà del 44

nemico. Mettete ogni studio ad incalorire tutti quelli che sono atti alle armi, e segnatamente coloro che la Legge chiama alla leva o che hanno delle armi esperienza per avere sotto altre bandiere esercitata la milizia. Dite che la leva presente, ristretta ad un anno, è unicamente ordinata al grande scopo della liberazione della Patria, dite quanto divario passi fra questo servigio sì breve e nobilitato da sì alti motivi, consolato da sì grandi speranze e la pressura e l’obbrobrio della coscrizione austriaca. Adoperatevi a reprimere tutte le ripugnanze, tutti i timori e con pubbliche e con private esortazioni dichiarare quanti vantaggi deriveranno a tutto il Paese ed a ciascun Cittadino in particolare dal pronto fine della guerra e dalla completa cacciata del nemico e quanti e quante vergogne dal prolungarsi della guerra stessa e dal rimanere in balìa dell’Austriaco qualsivoglia parte del suolo della Patria. Rinfiammate gli animosi, incoraggiate i timidi, se timidi ci sono in queste rigenerate contrade, date ali alla speranza, occhi alla fede! Ai ricchi ed ai poveri fate toccar con mano come il tornaconto di tutti esige che si rincalzi la guerra a costo di qualunque sacrificio d’oro e di sangue perché sia presto finita. Ai ricchi dimostrate che, volgendo in peggio le nostre sorti o prolungandosi la guerra, quegli averi di che si rifiutassero far dono o prestito alla Patria, se li piglierebbe il nemico o andrebbero ingoiati nella rovina delle finanze del Paese o dovrebbero servire a pagare un forestiero aiuto. Dimostrate ai poveri che sarebbero costretti a combattere nelle file de’ nemici della Patria e che, nell’esaurimento d’ogni pubblico e privato mezzo, si vedrebbero ridotti ad una miseria non riparabile. Dimostrate agli inerti, se pur ve ne sono, i quali sarebbero inchinevoli al pensiero d’una pace vergognosa con l’Austria, dimostrate che l’impero d’Austria più non sussiste, che quell’accozzaglia di Stati ond’era composto va smembrandosi di giorno in giorno, ch’esso è diventato un’arena per tutte le parti politiche, che più non offre guarentigia né di ordine, né di stabilità, né di regolare e civile reggimento, mentre per ciò stesso vi s’accampano tutte le più malvagie passioni, i più codardi interessi e congiurano nel prolungare una guerra di cui profittano nel presente e sperano profittare nell’avvenire…

Per capire con quanta preoccupazione il Governo Provvisorio si rivolgesse al Clero (e non solo) con questa Circolare, bisognerebbe immergersi nel contesto storico, politico, sociale e psicologico in cui si inserivano i suoi timori e quale fosse lo spirito e la disponibilità del popolo ad intraprendere un passo epocale che avrebbe condotto il nostro Paese in una titanica impresa nell’affrontare a campo aperto un Impero ancora nel vigore della propria potenzialità militare e grandezza di immagine in campo europeo. La Storia si fermò per un attimo, poi il popolo milanese e lombardo osò abbracciare il proprio ruolo scrivendo le successive pagine del nostro Risorgimento.

Figura 21 Figura 22 Emblema di Milano al tempo della dominazione austriaca Il Governo Provvisorio esorta il popolo alla leva volontaria

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CHIAMATI AD UNA DECISIVA SCELTA Monarchia o Repubblica?

All’indomani delle gloriose 5 Giornate della rivolta milanese allo strapotere austriaco, il popolo lombardo è stato chiamato dalla Storia ad una scelta che avrebbe deciso del suo futuro.

Giugno 1848 il popolo doveva scolpire il destino della nascente Nazione Italiana! Tra i lettori non sono ormai molti coloro che si sono trovati nella stessa circostanza dei nostri padri, cioè di aver dovuto decidere i destini della stessa Nazione da poco risorta, liberata da un ventennio di dittatura con grande volontà e sacrificio da un popolo unito nella resistenza e nella lotta. I fatidici giorni della Liberazione (Aprile 1945) hanno preparato il campo per la semina di una nuova Costituzione che avrebbe dato il giusto riconoscimento alla lotta per la libertà contro la dittatura: il 2 Giugno 1946 fu anche per noi una data storica che segnò un evento epocale che, con l’esito del Referendum, dava alla nostra Patria un nuovo assetto politico che garantiva alla volontà del popolo un potere decisionale mai avuto nella nostra storia!

Leggiamo dunque con attenzione, sul documento originale, con quali argomenti il Governo Provvisorio di Lombardia si è rivolto ai patrioti ancora in armi contro l’oppressore per metterli di fronte ad una libera e sofferta decisione: Lombardi! Voi troverete molti che vi diranno essere opportuno di rimettere a causa vinta la discussione e fissazione dei nostri futuri destini politici. Questi molti vi diranno che a causa vinta si può pensare tranquillamente e senza paura a scegliere quel partito che sarà a noi più conveniente. Ma per poter scegliere bisognerebbe che vari partiti si presentassero possibili e che quindi fra di essi si potesse cavar fuori il migliore. Ma non è così; in astratto i partiti che si presentano non possono essere che due: la Repubblica e la Monarchia Costituzionale!

Ma la Repubblica è un partito avverso, almeno adesso, all’Unità italiana. Se i Lombardi ed i Veneziani scegliessero la Repubblica, formerebbero subito due repubblichette, non volendo sicuramente Venezia dipendere da Milano, e viceversa.

Ma c’è di più: i Piemontesi non vorranno sicuramente dare l’ultimo uomo e l’ultimo scudo per cacciare i Tedeschi fuori d’Italia al solo effetto di creare due repubblichette che formerebbero il disordine nel vicino Piemonte e negli altri Stati d’Italia. Non vorrebbero rovinarsi adesso per finire la guerra straniera, per cominciar dopo la guerra civile. Sarebbe assurdo e sleale pretenderlo da parte 46

nostra! Posta dunque da banda l’idea della Repubblica, non resta che la Monarchia Costituzionale. Ma quando si debba sceglierla è fuori dubbio che conviene unirsi al Piemonte per farne una più grande, più ricca, più forte, più capace di resistere a qualunque straniero! Quelli che vi dicessero di farne due sono nemici d’Italia perché la vogliono divisa, discorde e debole. Se dunque non resta altro partito da scegliere che quello della Monarchia Costituzionale con la fusione col Piemonte, perché andare a sceglierla solo a causa vinta? Ma, dicono alcuni, se sceglieremo questo partito a causa vinta avremo maggior comodo e libertà di fare una bella e buona Costituzione a nostro modo. Anche questi hanno torto: se l’Alta Italia deve comporsi del Piemonte, della Liguria, della Lombardia, della Venezia, del Modenese e del Parmigiano, non si vede il perché la Costituzione debba esser fatta dai soli Lombardi che formano appena la quinta parte di tutte queste popolazioni. Allora potrebbero pretendere di fare altrettanto gli altri popoli ed invece di raggiungere lo scopo della maggior possibile Unità italiana, si verrebbe ad una vera babilonia da non cavarsela più!

L’unico partito giusto è quello di raccogliere un’Assemblea Costituente composta di deputati mandati da tutte queste popolazioni per decidere in un sol animo quale debba essere la Costituzione comune.

Dunque, o Lombardi, ponete le vostre sottoscrizioni alla fusione col Piemonte, sotto la riserva di un’Assemblea Costituente!”

Al di là delle epiche gesta tramandate dai libri di testo e dalle cronache belliche, le problematiche che dovevano affrontare i Lombardi, e non solo, erano aggrappate al loro vivere quotidiano. Erano coscienti di dover dare un senso al proprio sacrificio ed a quello dei fratelli, una meta alla propria lotta, un ideale ed una nuova realtà al proprio futuro. Nella loro semplicità, sebbene infervorata da un momentaneo e comune entusiasmo patriottico, la nostra gente lombarda era ben cosciente d’aver tra le mani la patata bollente dei destini futuri di tutta l’Italia che doveva nascere e prosperare come libera, unita, concorde, affratellata…o non sarebbe stata!

L’idea della concorde unanimità nella ricerca del bene comune, dell’accordo per evitare “la babilonia” ha seguito i nostri destini lungo i secoli della storia di un popolo avvezzo ad ubbidire sotto la cappa della tirannia straniera di turno. E ce la ritroviamo ancora oggi, sempre più indispensabile ed attuale. Eppure la storia si ripete e ripete la propria lezione di vita. Purtroppo si ritrova una scolaresca disattenta e degli allievi senza memoria ed in tutt’altre faccende affaccendati!

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DALLE BARRICATE AL RITORNO DI RADETZSKY

Le barricate milanesi, ostacolo insuperato dall’agguerrito esercito austriaco, furono anche un trampolino di lancio verso l’organizzazione di un apparato istituzionale per mezzo del quale il popolo lombardo, rappresentato dal Governo Provvisorio, assumeva il proprio ruolo di protagonista dell’immediato sviluppo degli eventi risorgimentali. Vinta con audacia spregiudicata una battaglia, ora si prospettava il dover affrontare un conflitto lungo e ricco di incognite contro una macchina bellica affidata al tetragono Feld Maresciallo Conte Radetzky che già meditava una personale vendetta contro quel popolo milanese insubordinato ed irriconoscente. L’impero d’Austria non poteva d’altronde tollerare che Milano e la Lombardia, con una temeraria insurrezione, fossero scintilla di un pericoloso e dilagante incendio tra le popolazioni soggette al suo dominio. C’era già un clima di sommerse agitazioni che turbava i sonni di Sua Maestà Imperiale a Vienna. La ritorsione era nell’aria. Il ritorno in forze era messo in conto già dietro le barricate. Per questo il Governo Provvisorio, subito costituitosi sotto la presidenza di Casati, con circolare del 13 Aprile 1848, si rivolgeva alla Nazione per invitarla a concorrere ad un prestito volontario di 24 milioni di lire correnti onde sostenere le ingenti spese di guerra … Infatti non v’è chi non senta l’imperiosa necessità di aver sul momento rilevanti somme per promuovere l’armamento dei militi Lombardi, porli in campo, spingere le operazioni di guerra al glorioso fine e procurare ad essi ed ai tanto generosi quanto prodi Fratelli del Piemonte la sussistenza … Persuasa la Congregazione Provinciale del patriottico zelo di quelli a cui si rivolge e lieta d’esser posta piuttosto in condizione di ammirare le disinteressate e nobili azioni del popolo, confida anche adesso in esse e nell’esito della sua mediazione.

Con Circolare del 22 Aprile 1848 il Governo Provvisorio si rivolge in oggi con tanto maggior fiducia di buon risultato a’ cittadini affinché procurino di fare alla Nazione i maggiori versamenti possibili o in denaro od in effetti d’oro e d’argento e metterla così in situazione di sopperire a’ gravi impegni che esigono le circostanze di guerra ed il santo scopo di allontanare per sempre i dominatori stranieri dal suolo d’Italia, benedetto dal Sommo PIO IX.

Le cronache ci attestano che la risposta “de’ nobili, possidenti et eziandio del popolo” fu, come da tradizione, molto generosa. Nell’elenco dei sottoscrittori figurano anche i fratelli Taccioli Cav. Enrico e Gaetano, coeredi e proprietari della Villa Litta in Affori. Nella stampa dell’epoca leggiamo: Tra i primi cittadini accorsi a donare soldi e beni per la Causa Nazionale vi furono i due fratelli Gaetano ed Enrico Taccioli che diedero la cospicua somma di lire italiane 14000 ed

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altre ne diedero in seguito … Gli stessi offrirono due cavalli ( v. giornale del 16 maggio 1848) e si obbligano a sottoscrivere lire italiane 100.000 al Prestito Nazionale volontario …

Gaetano ed Enrico offrono altri 4 cavalli (giornale del 21 Maggio) … Bianca Gualdo Taccioli si impegna per altre lire 20.000, Taccioli Teresa sottoscrive lire 600…Gaetano Taccioli viene nominato tra i quattro membri della “Commissione straordinaria per il trasporto dei feriti” e lancia insistenti appelli a privati cittadini milanesi perché mettano a disposizione ambienti, letti, cavalli e mezzi per il trasporto dei sempre più numerosi feriti ( dal Giornale “22 Marzo” del 13 Giugno 1848)”.

Anche la principessa Cristina Trivulzio di Belgiojoso (figlia della Marchesa Vittoria Litta Trivulzio D’Aragona, proprietaria di Villa Litta) dà il proprio contributo rivolgendo ai possidenti un caloroso appello: Milano 9 Maggio 1848 Egr. Signore, essendosi aperta una sottoscrizione tra i Possidenti Lombardi al fine di presentare al Governo Provvisorio i Coscritti interamente equipaggiati, per modo che in ogni Comune essi vengano vestiti ed armati … vengo a pregarla di degnarsi a raccogliere a tal uopo le sottoscrizioni dei Possidenti del suo Comune e trasmetterli alla Società dell’Unità Italiana, aperta in Borgo Nuovo al civico n° 1531.

Anche Affori quindi, nelle persone di suoi concittadini, si trovò a vivere da protagonista ed a scrivere una pagina nel diario dell’insurrezione milanese del ‘48. Era urgente organizzare un corpo armato con opportuna regolamentazione.

Infatti venne istituita la Guardia Nazionale anche in provincia di Milano. Con circolare del 21 Aprile 1848 il Comando della Guardia Nazionale di Milano così annunciava alle Autorità Comunali, ai Parrochi, ai Commissari distrettuali: A tenore dell’Ordine del Governo Provvisorio di Lombardia 19 corr., il Comando della Guardia Nazionale della Provincia di Milano loro si rivolge affinché vogliano, con la maggior possibile sollecitudine e col massimo impegno, occuparsi onde la Guardia Nazionale, istituzione destinata a conservare l’acquistata indipendenza, possa esser attivata in tutta la Provincia nello spazio di tempo dal Governo Provvisorio indicato.

Già tra i popoli delle regioni confinanti col Lombardo Veneto erano intercorsi contatti ed accordi sul tema di una difesa comune per opporre al potente imperial nemico un valido contingente di truppe ben armate e coordinate. Nelle circolari del Maggio 1848 si fa appello ad una numerosa partecipazione al voto nazionale di unione immediata al Piemonte sotto l’egida di Casa Savoia, quindi il movimento popolare già assumeva proporzioni ben più ampie che non lo spazio ristretto di una sola regione. Traspare fra le righe della Circolare del 15 Maggio in cui si legge:

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Come Lombardi in nome e nell’interesse di queste Provincie, come Italiani per l’interesse di tutta la Nazione, dobbiamo riconoscere provvido il pensiero che le nostre terre si associno al vicino e bellicoso Piemonte, salve le comuni guarentigie della libertà, per formare dell’Alta Italia un inespugnabile baluardo contro tutte le forestiere invasioni, sotto lo scettro costituzionale di quell’illustre Casa di Savoia, a cui la storia assegnò il glorioso titolo di guardiana delle porte d’Italia!

Purtroppo il baluardo sognato non si rivelò inespugnabile: la sua resistenza durò lo spazio di soli 141 giorni. L’effetto della disastrosa sconfitta a Custoza (23/25 Luglio) orgoglio dell’Armata austriaca, ha fatto tremare le mura di Milano e crollare le speranze delle popolazioni della provincia e si abbatté come un inaspettato tsunami sugli entusiasmi e sul morale dei Milanesi, dei Lombardi. Il 5 Agosto 1848, in seguito alla rinuncia di Carlo Alberto di proseguire le ostilità con l’Austria, nonostante il parere contrario della popolazione milanese, i generali Lazzari e Rossi si incontrano col Feldmaresciallo Radetzsky a S. Donato e stipulano una convenzione per ottenere condizioni favorevoli di resa.

Con sprezzante sicumera, con la baldanza di chi si riprende il giocattolo sottrattogli con la forza della disperazione, le truppe dell’82/nne Feldmaresciallo Johann Joseph Wenzel Conte di Radet, in perfetta tenuta bianca di parata, il 6 Agosto 1848 rientrano trionfanti in Milano, dichiarandola in stato di assedio. Il principe Felice di Schwarzenberg viene nominato Governatore militare della città. Il 9 Agosto viene firmato l’armistizio che sospende la prima guerra di indipendenza fra Piemonte ed Austria. Le truppe austriache occupano Modena ed assediano Venezia. Quale riconoscimento di queste gloriose vittorie riportate dal Feldmaresciallo Radetzsky, il 31 Agosto 1848 viene organizzata a Vienna una spettacolare serata in suo onore “Festival della Grande Vittoria”, nel corso dello spettacolo viene eseguita per la prima volta la squillante “Radetzsky Marsch” appositamente composta da Johann Baptist Strauss. Il ricordo delle barricate del Marzo era ancora fresco nella memoria e nell’entusiasmo dei nostri concittadini quando gli eventi li hanno ricondotti ad una dura realtà. I tempi non erano ancora maturi. Ma la riscossa del Giugno ’59 li attendeva all’orizzonte della Storia!

Figura 23 Intestazione dei documenti con le nuove definizioni

Figura 24 Intestazione sui documenti relativi all’amministrazione delle opere pie (1862)

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GLI ANNI DI PIOMBO All’indomani delle ultime scaramucce per le vie di Milano e colpi di artiglieria, il marziale suono della fanfara dell’Armata austriaca annunciava che il momento dell’insubordinazione era terminato, ogni sogno di libertà stroncato, ogni entusiasmo di patriottismo vanificato, quei 141 giorni di insurrezione un triste ricordo ed una macchia da ripulire. Subito, al mattino seguente il ritorno dell’Imperial Armata, i rivoltosi milanesi potevano leggere questo comunicato (che ho tra le mani e vi ripeto): Milano 7 Agosto 1848 L’I.R. Delegazione Provinciale comunica alla cittadinanza: ripreso ieri dalla Gloriosa Armata Imperiale Austriaca il pieno possesso e controllo della città e provincia dopo i luttuosi ed incresciosi fatti del Marzo p.p. il sign. Presidente Conte Taverna si è trovato in dovere di dirigersi questa mattina al sign. I.R. Intendente Generale dell’Armata medesima per avere opportune nuove istruzioni in punto del nuovo stato di cose seguite al vittorioso ritorno del Governo di S.M. Imperiale.

Cento colpi di cannone annunciano al popolo l’avvenuto armistizio intercorso fra il Piemonte e l’Impero d’Austria, siglato a Milano il 9 Agosto. Il vento era cambiato. In peggio appunto. E lo si constatò subito dagli ordini provenienti dalle Autorità in fatto di stroncare ogni rapporto anche commerciale col bellicoso Piemonte e con l’infida Svizzera. I nostri concittadini di campagna lessero con rammarico questa nuova ingiunzione: “Milano 8 Settembre 1848 – Si rende noto a tutti i villici e lavoranti di campagna, massari, pigionanti e fittavoli che è severamente interdetto esportar dal territorio lombardo avena, segale, fieno e paglia verso il confine di Piemonte e di Svizzera, pena il sequestro della merce, danni alle persone ed altri provvedimenti disciplinari.”

Non solo il commercio venne castigato, ma anche lo stesso vivere quotidiano dei villici di campagna sia nelle loro tradizionali feste religiose e civili ed anche in alcune manifestazioni di pubblica ed onesta allegria: Milano 12 Febbraio 1849 L’I. R. Governo, in occasione dei giorni del carnevale milanese, vieta l’uso d’ogni tipo di maschere in pubblico, il getto sconsiderato di coriandoli e d’altre specie, gli schiamazzi popolari ed i frenetici balli pubblici e privati ed ogni altra occasione che dia modo al popolo minuto d’aggregarsi, far massa e crear litigi, risse e disordini come solito far il popolo in quei giorni senza freno morale e civile alcuno.

L’I.R. Governo era ben cosciente che aveva a che fare con un popolo che 51

“obbediva mugugnando” perciò non poteva rinunciare al classico pugno di ferro, facendo a meno del guanto di velluto. Infatti, in seguito ad alcuni disordini scoppiati nel Veneto, si premura di metter sull’avviso i recalcitranti lombardi: Milano 22 Febbraio 1849 A seguito di alcuni disordini scoppiati a Bassano contro l’Imperiali Regie truppe, S.E. il Feldmaresciallo Conte Johann Joseph Franz Karl Radetzky decreta che…d’ora innanzi, ogni qualvolta sarà agito in alcun luogo maliziosamente contro le Leggi dell’I.R. Governo e la sicurezza dell’ordine pubblico, esso terrà le città tutte solidalmente responsabili delle repressioni che per tale titolo venissero all’uopo inflitte, Si pregano pertanto i Sigg. Parrochi di avvisare i loro popoli per tre consecutive domeniche, nel corso delle funzioni maggiormente frequentate dai divoti, di non lasciarsi attrarre da trame occulte di gruppi o segrete sette politiche che si vanno infiltrando tra i fedeli sudditi di S.M.I.R.A.

Sono i giorni della tragica battaglia di Novara (23 marzo 1849) alla quale seguì l’abdicazione di Carlo Alberto a favore di Vittorio Emanuele II e la fine di una speranza di libertà. Sono anche i giorni in cui il nostro concittadino Filippo Migliavacca, alla guida di 300 giovani lombardi, sotto il comando del Gen. Medici, sbarca a Porto Anzio per unirsi alle truppe del Gen. Garibaldi in marcia per la difesa della Repubblica Romana. Seguono anni di vita resa molto dura per lo stato di polizia instaurato dall’I.R. Governo come possiamo intuire dalla lettura di avvisi, ordinanze, proclami, ingiunzioni che quasi a raffica e come indesiderati paletti costeggiano il cammino del nostro popolo lombardo già alle prese con gravi difficoltà per eventi naturali, siccità, scarsità di raccolti, malattie infettive, crisi economica, tracollo del mercato dei bozzoli da seta che nel nostro territorio occupava molte famiglie di contadini che li allevavano in casa per consegnarli poi ai grandi setifici del comasco.. In questi giorni si incalzano notizie inquietanti dalle province lombarde: dopo le esecuzioni del 1852, dove vennero sacrificati don Grioli, don Tazzoli, Scarsellini, Da Canal, Zambelli; il 3 Marzo 1853 vengono stroncate le vite di giovani patrioti tra i quali Tito Speri, Carlo Montanari, don Grazioli e Frattini, passati alla storia come “i Martiri di Belfiore”. A questi martiri verranno dedicate alcune vie dei quartieri di Affori e Dergano. Il peso della repressione, che sfocia nelle efferate esecuzioni, va al pari con il fermento che agita menti e braccia, pensieri ed azioni verso quell’orizzonte di libertà ancora lontano, ma in costante avvicinamento. Sono momenti storici in cui si alternano giornate gloriose e tragiche sconfitte: Goito, Pastrengo, Peschiera, Curtatone, Montanara, Valeggio, Brescia, Custoza… tra lutti ed eroismi si sta costruendo il futuro di una Nazione unita.

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Ma non mancano alcuni eventi di cronaca mondana nel nostro territorio. Il 21 Settembre 1854 infatti Giuseppina Meregalli, diciottenne figlia naturale del Feldmaresciallo Radetzky, convola a fastose nozze col capitano in pensione della Gendarmeria austriaca Giambattista Ferrari di 54 anni da Rovereto. Alla giovane sposa Radetzky offre in dote la “Cassinetta” sita nel territorio fra Affori e Dergano. Altro evento che ci tramandano i documenti risale al 15 Gennaio 1857. Il giovane Imperatore Francesco Giuseppe I e la consorte Elisabetta von Wittelsbach di Baviera (la famosa Sissi) con la figlia, la piccola Sofia, entrano da Porta Orientale in Milano con quella solennità alla quale il Sommo di un grande impero come l’Austro-Ungarico non poteva sottrarsi. Ufficiali e truppe in gran parata spiegate in perfetto ordine ad accogliere a suon di fanfare e spari di cannone le Loro Maestà Imperiali Regie Auliche. Ma il popolo milanese, da anni oppresso e privato dei più elementari diritti umani, civili e morali, fece ala accogliendoli con un dignitoso silenzio pari alla sferzante atmosfera di quel gelido inverno. Il profondo intuito femminile della diciannovenne imperatrice ben presto le fa constatare quanto e come il regime militaristico instaurato dall’I.R. Governo avesse fomentato l’odio dei sudditi lombardi verso l’oppressore. Un altro gelido Gennaio diede spunto alla popolazione milanese di ripagare con freddo distacco quanto avuto dagli anni di piombo che hanno accompagnato la presenza indesiderata di un grande Generale al comando di un potente esercito. Il 5 Gennaio 1858 muore in Milano, in seguito ad una caduta in casa, il Feldmaresciallo e Governatore Johann Joseph Wenzel Anton Franz Karl Conte Radetzky, dal 1831 comandante supremo dell’esercito austriaco del Lombardo Veneto. Il giorno 14 Gennaio, nella più completa assenza della cittadinanza e senza alcun rimpianto da parte dei sudditi milanesi, in sintonia col clima estremamente gelido della giornata, la salma del 91/enne grande personaggio che terrorizzò Milano, varcava la soglia del Duomo per le solenni esequie. Verrà poi trasportata a Verona, Venezia e quindi a Trieste per raggiungere Vienna dove dal 19 gennaio 1858 è tumulata nel Museo Militare di Klein-Wetzdorf. L’Imperatore Francesco Giuseppe I, in onore del grande personaggio, decreta 15 giorni di lutto in tutto il suo Impero.

Si chiude così un triste capitolo di storia milanese intessuto di dure leggi, repressione di libertà, trame segrete e scontri aperti. A dieci anni da quella scintilla di patriottismo che portò i Milanesi a battersi e morire sulle barricate, tramontava la figura-tipo di un regime. La storia offriva un’altra volta ancora al popolo in cerca di libertà l’occasione per conquistarla. L’orizzonte era molto più vicino! Il 31 Dicembre di quello stesso anno, in una villa sul colle Zerbino sopra Genova, il nostro concittadino Filippo Migliavacca partecipa ad una riunione 53

presieduta dal Gen. Garibaldi, presente lo stato maggiore composto da Bixio, Camozzi, Chiassi, Fiastri ed i fratelli Bronzetti. Si crea il Corpo dei Cacciatori delle Alpi. Presenti pure Mercantini (autore dei versi dell’Inno di Garibaldi) e Olivieri (compositore della musica). Con un discorso ardente di patriottismo Migliavacca ha eccitato i presenti ad una decisiva campagna contro l’Austria.

Sta per scoccare l’ora della liberazione. Non è ammesso alcun ripensamento!

Figura 25 Ritratto del Generale Radetzky

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LA CONQUISTATA LIBERTÀ Ed è proprio in questo clima di tensioni, di prime scaramucce, di isolati disordini, di inasprimento di condotta della polizia urbana, di intensificati incontri segreti fra giovani milanesi, lombardi, veneti che piomba come macigno il Proclama dell’Imperatore d’Austria ai suoi popoli (lo stesso pubblicato all’inizio di questo lavoro)

Ai miei Popoli Io ho dato l’ordine alla Mia fedele e gloriosa Armata di porre un termine alle ostilità commesse già da una serie di anni dal limitrofo Stato di Sardegna, ed in questi ultimi tempi giunte al colmo, a pregiudizio degli incontrastabili diritti della Mia Corona e dell’inviolata conservazione dell’Impero a Me affidato da Dio. Con tale determinazione ho compiuto un grave, ma inevitabile dovere di Sovrano... Pieno di fiducia rimetto la Mia risoluzione alla sentenza imparziale dei contemporanei e delle generazioni future … Alla Pace feci il sacrificio del sangue versato dalla Mia Gloriosa Armata per l’unione e il diritto dell’Austria … Ecco dunque arrivato il momento in cui, per far valere il Diritto, conviene ricorrere alla decisione delle armi!...Il nostro combattimento è giusto, Noi vi entriamo con coraggio e fiducia … Dato nella Mia Imperiale Residenza e Capitale di Vienna – Francesco Giuseppe M.P. 28 Aprile 1859

Sono alcune espressioni tolte dal duro proclama che venne letto anche ai cittadini afforesi, affisso sui muri e per strade e piazze del paese (ed ora conservato nel nostro Archivio parrocchiale), col quale l’Impero dell’aquila bicipite entrava in guerra contro il Regno di Sardegna: un decisivo scontro che avrebbe cambiato il corso della nostra storia. A distanza di 11 anni dalle sommosse e dalle barricate cittadine per i Lombardi era scoccata l’ora della riscossa. Ancora una volta il nostro territorio vedrà scorrere altro sangue di una generazione di giovani eroi e di martiri per la libertà. Per dovere di cronaca e per memoria storica ritengo interessante affiancare a questo Proclama Imperiale la risposta che non si fece attendere da parte del Sovrano del Regno di Sardegna Vittorio Emanuele, oggetto delle pesanti accuse contenute nella palese dichiarazione di guerra. La riprendo dalla pubblicazione “I grandi fatti che portarono all’Unità” edito a Roma da E.N. Biblioteche Popolari in occasione del I Centenario dell’Unità d’Italia.

Proclama rivolto da Vittorio Emanuele II al popolo del Regno d’Italia a seguito della dichiarazione di guerra intimata dall’Austria al Regno di Sardegna 55

Popoli del Regno – L’Austria ci assale col poderoso esercito che, simulando amor di pace, ha adunato a nostra offesa nelle infelici provincie soggette alla sua dominazione. Non potendo sopportare l’esempio dei nostri ordini civili, né volendo sottomettersi al giudizio di un Congresso europeo sui mali e sui pericoli dei quali essa fu sola cagione in Italia, l’Austria osa domandare che siano diminuite le nostre truppe, disarmata e data in balìa quell’animosa gioventù che da tutte le parti d’Italia è accorsa a difendere la nostra bandiera dell’indipendenza nazionale. Geloso custode dell’avìto patrimonio comune di onore e di gloria, Io do lo Stato a reggere al mio amato Cugino, il Principe Eugenio, e ripiglio la spada.

Coi miei soldati combatteranno le battaglie della libertà e della giustizia anche i prodi soldati dell’Imperatore Napoleone, mio generoso alleato. Popoli d’Italia! L’Austria assale il Piemonte perché ha perorata la causa della comune Patria nei Consigli d’Europa, perché non fu insensibile ai vostri gridi di dolore! Così essa rompe oggi violentemente quei trattati che non ha mai rispettato. Così oggi è intero il diritto della Nazione ed Io posso in piena coscienza sciogliere il voto fatto sulla tomba del mio magnanimo Genitore! Impugnando le armi per difendere il mio Trono, la libertà dei miei Popoli, l’onore del nome italiano, Io combatto pel diritto di tutta la Nazione. Confidiamo in Dio e nella nostra concordia, confidiamo nel valore dei prodi soldati italiani, nell’alleanza della nobile Nazione francese, confidiamo nella giustizia della pubblica opinione. Io non ho altra ambizione che quella di essere il primo soldato della indipendenza italiana, Viva l’Italia!

Torino 29 Aprile 1859 Vittorio Emanuele – C. Cavour Vienna 28 Aprile – Torino 29 Aprile - a stretto giro di posta, si possono raffrontare i due Proclami e trarne, a quasi due secoli di distanza, imparziale giudizio storico. Qualunque fossero le proclamate difese dei propri diritti e doveri, frutto ne fu un sanguinoso conflitto che travolse un Impero e compattò nell’unità un popolo in cerca di libertà! E ben a ragione nel Proclama di Torino si fa accenno a “quell’animosa gioventù” disposta a sacrificare la vita per ideali di libertà, giustizia, unità, concordia, animosa gioventù che ritroveremo, erede di quegli stessi valori, sui monti e nelle città, martire anch’essa negli anni eroici della Resistenza e della Liberazione dalle dittature del XX secolo. Un troppo caro prezzo pagato da quella “animosa gioventù”! E tra quei giovani vorrei ancora una volta segnalare la figura del nostro concittadino Filippo Migliavacca che ha lasciato una traccia del suo entusiasmo patriottico negli scritti che inviava ai famigliari. Tra questi ne scelgo alcuni. Nel Maggio 1859, mentre ferve la sua opera di preparazione all’impresa garibaldina in Sicilia, scrive al Gen. Medici di aver reclutato 150 volontari nel Comitato Veneto ed altri 75 fra i milanesi. “… Qui lavoriamo sodo. Fra 10 o 12 giorni avremo divise, armi e munizioni. Gente volontaria non ne manca. Ma le vostre trattative come si avviano a Torino? Fa’ che il dualismo manifesto tra Bertani ed il Comitato di 56

Torino non riesca a scapito della nobile impresa e della Patria!” Per la sua frenetica attività di reclutamento di giovani volontari per la Spedizione garibaldina in Sicilia, gli viene affidato il compito di istruttore da campo: 435 volontari, radunati in un Orfanatrofio milanese, ascoltano il suo incitamento: Giovani italiani! Badate che l’impresa cui ci accingiamo è molto grave e pericolosa: sacrifici, stenti, rischi di ogni maniera ci attendono, la fame, la sete, l’oppressione del caldo e delle marce, i colpi dei nemici. Ponetevi una mano sul cuore. Coloro che a tutto ciò non si sentono preparati, sono ancora in tempo a ritirarsi. Viva l’Italia, Viva Garibaldi!

Al sud come al nord della penisola lo scontro finale era nell’aria: Palermo e Magenta: due nomi che la storia del nostro primo Risorgimento ricorderà con profondo senso di patriottismo.

E lo scontro al nord fu davvero titanico per le potenze in campo e per la posta in gioco. Scontro culminato in una tragica e sanguinosa battaglia con decine di migliaia di morti e feriti d’ambo le parti in campo. Al tramonto di quel tragico 4 Giugno 1859, a Magenta la conta di morti e feriti ha materializzato quanto sia stato alto il prezzo della libertà. Dopo quel sacrificio di sangue e di morte, la divisione del gen. Cialdini si accampa nel territorio tra Affori e Bruzzano.

Centinaia di feriti vengono sistemati negli ospedali cittadini. Si tramanda che in quella occasione decine di feriti vennero accolti nella parrocchiale di Santa Giustina allora in costruzione; voce avvalorata dalla circostanza che i fratelli Enrico e Gaetano Taccioli, ferventi e attivi patrioti, avendo accolto in Villa Litta alcuni feriti, abbiano chiesto anche al Parroco di Affori don Panceri un gesto di accogliente solidarietà umana e cristiana. I successivi giorni di lutto hanno ingemmato di atti eroici quel Giugno 1859, ma furono anche giorni di esultanza popolare per la raggiunta libertà. il 5 Giugno il Municipio di Milano “alle ore due pomeridiane” pronuncia ufficialmente la provvisoria annessione della Lombardia al Piemonte di Casa Savoia (Decreto Rattazzi). Fanno eco suoni di campane a distesa, feste popolari, sventolii di bandiere in tutte le città e nei più sperduti paesi di campagna, valli e colline lombarde. Con in sottofondo questa colonna sonora di esultanza di un intero popolo, l’8 Giugno 1859, ciò che rimane delle truppe austriache di stanza a Milano esce da Porta Romana, attraverso la quale aveva fatto trionfale ingresso 11 anni prima. Accolti da un tripudio di folla, Vittorio Emanuele II e Napoleone III entrano trionfalmente in città a cogliere i primi frutti della loro alleanza contro il tirannico oppressore. Il dominio imperiale austriaco, iniziato nel 1713, dopo 146 anni, è così passato nell’archivio della memoria storica lombarda: ora si volta pagina! In tutte le parrocchie della Pieve di Bruzzano un prolungato e festoso scampanio 57

sottolinea l’avvenuto passaggio del nostro territorio alla sovranità di Vittorio Emanuele II. Sabato 22 Ottobre nasce ufficialmente la nuova Provincia di Milano preannunciando libere elezioni per il Gennaio 1860; Affori esulta a questo nuovo passo verso la libertà, mentre festeggia, domenica 23, con solenne rito, l’apertura al culto della sua nuova ampia e maestosa parrocchiale dopo essere stata provvisorio ricovero ai feriti reduci dalla battaglia di Magenta.

Non è ancora spento il ricordo delle gloriose giornate di Solferino e S. Martino, sulle quali cala la pesante delusione di Villafranca con l’inspiegabile armistizio e le inattese vicende derivate dal discutibile ripensamento francese. Il 10 Novembre, come conseguenza degli accordi presi al Convegno di Zurigo, l’Austria cede definitivamente la Lombardia alla Francia che a sua volta la consegna a Vittorio Emanuele II. Ben possiamo comprendere lo stato d’animo dei nostri concittadini dell’epoca rileggendo alcune espressioni con le quali il parroco Panceri si rivolgeva al Cav. Enrico Taccioli in merito all’introduzione della nuova moneta: Pel nuovo ordine di cose in merito alla nuova moneta, felicemente testé inaugurata fra noi , finalmente cittadini d’Italia, grazie a quella Provvidenza che ben troppo veglia a’ destini dei popoli inermi e fa, a giusto tempo, proteggerli e strapparli dagli artigli di chi ignominiosamente e vilmente li martoria, con gran sollievo il mio popolo d’Affori accoglie la nuova, ripristinata moneta del Regno Italiano …

Ed in altra occasione, scrive alla Prefettura di Milano - Divisione Opere Pie: “… nel frattempo avvenne la fausta guerra del 1859 per la quale sparì da noi l’aborrito Austriaco ed il dispotico e tirannico di lui governo e si istallò in Milano il nostro sospirato ed amato Governo Nazionale di Lombardia …” Ma il popolo, libero dalla tirannia combattuta con le armi, era ancora schiavo di ben più gravi problemi di sopravvivenza causati dalle continue e devastanti vicende belliche, e non solo. Contro questo tipo di schiavitù valgono solo le armi della solidarietà e della condivisione. Il nuovo Governo lo affronta creando Società di Mutuo Soccorso, Opere Pie di beneficenza, Confraternite e Cooperative fra operai … Una altrettanto dura guerra contro un nemico tuttora vincente. Ieri come oggi: è la quotidiana battaglia del popolo contro la povertà, la miseria, lo sfruttamento, l’inadeguatezza delle infrastrutture, delle abitazioni, dei trasporti … Ciononostante la marcia verso l’unità d’Italia, iniziata da quel popolo inerme ma motivato contro il dispotico e tirannico governo, non si arresta: i piani di nuovi moti di liberazione sono rivolti al meridione dove la Storia ha seguito altri cammini, e dove l’Italia dovrà costruire il suo nuovo destino di nazione e di popolo unito. Il 17 Giugno 1860: il nostro concittadino Filippo Migliavacca, dopo aver attivamente cooperato a Milano ad attuare il disegno di Garibaldi per 58

un intervento militare al meridione, col Gen. Medici, Enrico Guastalla, Francesco Simonetta, Giuseppe Guerzoni e Alberto Mario, Petrosino, Groff e Natoli si imbarca sul piroscafo Washington al comando di un manipolo di volontari lombardi con meta la Sicilia. Approdati sulle coste di Castellamare, il sogno di molti di loro verrà stroncato tragicamente nelle sanguinose battaglie a Calatafimi, Milazzo, Messina, in Calabria ed a Napoli…L’eroico garibaldino Migliavacca verrà colpito mortalmente sul campo di battaglia di Milazzo, dopo aver guidato le sue truppe all’assalto della fortezza borbonica. A soli 31 anni, il 20 Luglio 1860 alle ore 15, con gli onori militari dei più alti in grado, moriva nella casa adibita a quartier generale di Garibaldi. Il suo sacrificio verrà ricordato a Merì, dove è sepolto, con una lapide, un monumento e l’intestazione della piazza principale. Quale riconoscimento della sua opera patriottica per la causa nazionale, il gen. Garibaldi gli ha assegnato un vitalizio con Decreto 317 che così recita: Italia e Vittorio Emanuele – Il Dittatore dell’Italia Meridionale, considerando che il Tenente Colonnello Filippo Migliavacca, morto eroicamente in Milazzo combattendo per la causa della libertà, era l’unico sostegno dei suoi cadenti genitori, decreta: è assegnata a carico della Tesoreria Generale di Sicilia, una pensione vitalizia di ducati 40 al mese ai genitori del Ten. Col. Filippo Migliavacca e onore alla sua memoria. Dato a Caserta il 29 Ottobre 1860 – Firmato Giuseppe Garibaldi – Consigliere di Stato, Segretario del Dittatore: F. Crispi

Onore alla memoria di un nostro concittadino che nella gloriosa pagina del Risorgimento e dell’Unità d’Italia a giusto merito inserì il nome di Affori, il paese di campagna che gli diede i natali il 13 Settembre 1829. E non fu un inutile sacrificio: il 1861, l’anno dell’Unità d’Italia, stava spuntando all’orizzonte della nostra Storia.

Figura 26 Proclama dell’Imperatore Francesco Giuseppe – 28.4.1859

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Figura 27 Filippo Migliavacca, eroe garibaldino, afforese di nascita

IL COSTO DELLA LIBERTA’ - L’IDEALE DELL’UNITA’

Ad un’attenta rilettura di quanto sin qui scritto sulla tormentata vicenda del nostro primo Risorgimento, della conquistata libertà e dell’ottenuta unità, un sentimento di ammirazione, di stupore, di riconoscenza nasce spontaneo nell’animo di ogni cittadino che ora può godere di quella libertà che gli permette di vivere in una nazione, tra un popolo retto da una Costituzione democratica. Uno sguardo retrospettivo su quel periodo storico, che pareri discordi, critiche, giudizi non sempre esatti o imparziali sta ancora oggi suscitando, ci porta nel cuore del vissuto di una popolazione divisa da interessi storici, culturali, economici, da tradizioni, da gretti campanilismi, atavici risentimenti; un coacervo di energie negative che per secoli hanno impedito il convergere di aspirazioni a formarsi un’entità politica, culturale, etica ed anche geografica che camminasse verso il progresso di un popolo libero ed unito. Non solo unito, ma anche unico negli intenti, nella concordia, nell’accoglienza, nella democratica e solidale convivenza, sotto la guida di un unico parlamento liberamente scelto e di persone dedite al bene del popolo sovrano. Ma quanto ci è costato questo ideale che per un secolo ha scosso gli animi dei popoli d’Italia, da troppo tempo soggetti a potenze dittatoriali straniere! Come in una mediatica mostra si susseguono le immagini di sommosse, lotte, moti rivoluzionari, arresti, prigioni, esecuzioni, oppressioni poliziesche e militari. Teorizzato nelle vivaci menti di intellettuali, coltivato nel segreto di gruppi coraggiosi, ampliato nel sentimento comune, esploso infine nella consapevolezza del proprio diritto alla libertà, bagnato dal sangue di un numeroso stuolo di martiri, questo ideale ha poi contagiato un’intera nazione che voleva sentirsi popolo, al di là di ogni distinzione di luogo, di cultura, di tradizione. I documenti conservati nel nostro archivio parrocchiale e pubblicati su ABC stanno a testimoniare come anche un piccolo nucleo di cittadini di campagna si trovasse ad essere coinvolto come tessera di un grande e glorioso mosaico. Tuttavia il nostro pensiero si ferma attonito con rispetto e profondo sentimento di fronte alle grandi tragedie dei campi di battaglia, delle città in sommossa, dei giovani volontari che hanno disseminato il terreno della futura Italia di martiri per la libertà. Alla memoria risaltano i nomi di queste località che sono passate alla Storia per le tragedie di cui sono state testimoni: dalle prime scintille accese nel Luglio 1820 a Nola, Napoli, Palermo alle repressioni dei moti lombardi del 1821 e 1831, dalle insurrezioni delle città di Milano, Brescia, Mantova, Parma, Modena, alle varie esecuzioni capitali nel Lombardo Veneto, ai campi di battaglia di Goito, Curtatone, Montanara, Peschiera, Custoza, Varese, Novara, Montebello, Biumo, 60

Palestro, Magenta, Melegnano, Solferino, San Martino. Nomi che evocano vittorie, sconfitte, tragedie, massacri, ma scritti a caratteri aurei nel libro della storia del Risorgimento in terra lombardo-veneta. Nomi che riportano alla memoria tristi elenchi di decine di migliaia di morti d’ambo i fronti, confusi tra amici, alleati, nemici, tasselli rosso sangue e nero lutto nel grande mosaico di quella storia. A questi vanno aggiunti altri nomi di località del centro e sud del nostro Paese che contribuirono in modo molto pesante e decisivo a questo enorme sacrificio di vite umane. Su quei campi di battaglia molti nostri concittadini hanno lasciato giovinezza e speranze nel futuro. Fil rouge presente in tutta questa breve storia è una sintetica quanto documentata partecipazione della nostra gente di casa, della nostra zona, a quell’evento storico epocale la cui eco ha sorvolato anche i decenni successivi il 1861, anno della conquistata unità d’Italia, impregnandoli della loro valenza e giungendo sino ai primi anni del secolo scorso. I campi di battaglia della tremenda prima guerra mondiale 1915/18 hanno rivisto il sangue di giovani italiani stroncati nelle vicine pianure e impervie montagne lombardo-venete. Altri giovani afforesi sono caduti per una Patria in cui credevano. I nomi dei nostri 137 giovani non più tornati dal fronte del primo conflitto mondiale sono scolpiti nel marmo e nel ricordo. Ad essi va aggiunto il numeroso gruppo di ben 189 morti civili e militari nel periodo della seconda guerra e della lotta per un nuovo riscatto dell’Italia dalla dittatura del ventennio. Quale ricordo e testimonianza del contributo dei giovani di casa nostra all’evento risorgimentale restano custodite nell’archivio parrocchiale le liste dei coscritti dell’epoca: giovani afforesi chiamati sotto le armi della Grande Armée napoleonica, della Grande Armata austriaca, dell’’Esercito lombardo, delle Forze Armate d’Italia, la loro nutrita corrispondenza dai fronti. Documenti che, più di altre parole, valgono a dimostrare quanto fosse duro il vivere da italiani sottomessi a potenze straniere ed a regimi dittatoriali con nel cuore un grande spasmo di libertà.

Ma poi i nostri concittadini dell’800 si ritrovarono assieme ad altri giovani sui campi di battaglia contro un solo nemico oppressore. Insieme così fecero l’Italia, insieme divennero italiani liberi. E grazie al sacrificio di tutto quel popolo il 18 Febbraio 1861 a Torino si poté riunire il Primo Parlamento Italiano (443 Deputati eletti dalle varie Regioni e 213 Senatori nominati direttamente da Re Vittorio Emanuele II). Parlamento e popolo hanno iniziato un nuovo cammino che verrà coronato con la Costituzione Democratica della Repubblica Italiana entrata in vigore il 1° Gennaio 1948.

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A buona ragione quindi il Presidente di una Nazione da 150 anni libera ed unita ha chiaramente affermato: “Un popolo, o cresce insieme, o non cresce!”

Questo era il sogno che ha permesso il nostro Primo Risorgimento, l’ideale per cui è valsa la pena di combattere ed anche morire ed è il monito lasciato al popolo italiano del terzo millennio!

Figura 28 Elezioni politiche del 1948 ad Affori

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IL GRAVE MOMENTO PRESENTE

Il film della Storia ci si srotola alla visione quando consultazioni, ricerche, approfondimenti ci mettono al contatto con gli eventi che, come tessere, ne compongono il mosaico. Purtroppo è come quando assistiamo ad un film: immagini, colori, effetti speciali, colonna sonora, tutto concorre, ma il sentimento ce lo dobbiamo mettere noi se vogliamo entrare a far parte della vicenda, per condividere l’evento. La Storia quindi ci si offre sotto forma di documenti, scritti, cronache, diari, nomi, luoghi, date…ma l’immergerci nel vissuto è il momento della sensibilità, della passione, dell’impegno personale.

Perciò, se vogliamo capire il momento storico dell’avvicinarsi di un tornado che sta per abbattersi per le contrade d’Europa sconvolgendo interi popoli, al fianco dei nostri predecessori, immergiamoci mente e cuore in quei tragici tempi.

Leggiamo assieme quanto scritto nell’articolo di fondo su “La Buona Parola” del Febbraio 1915 – “L’umanità passa un’ora terribile. Le nazioni che si dicevano all’avanguardia della civiltà e del progresso, che avevano difeso la politica degli armamenti per assicurare la pace, che a questo bene supremo dicevano avrebbero sacrificato ogni particolare interesse, improvvisamente, fra lo stupore universale, sono scese in campo con un proposito solo, ben deciso: di non deporre le armi prima che il nemico sia ridotto all’impotenza, schiacciato per sempre. In quasi tutte le contrade della vecchia Europa, nelle già fiorenti colonie, risuona cupo e pauroso il rombo del cannone apportatore di rovina e di morte. I re, i capi delle diverse nazioni hanno abbandonato i loro superbi palazzi, gli agi, i comodi della vita civile per portarsi in mezzo ai soldati, nelle città distrutte, alle ultime linee dei combattenti per eccitarli all’ultima resistenza, all’offensiva irresistibile che assicuri la vittoria e il trionfo. Quanti episodi di odio feroce, di rabbia bestiale, di inutile distruzione. Sotto il piombo micidiale sono cadute a milioni le vittime, opere d’arte, monumenti insuperabili innalzati dal genio e dalla fede dei nostri maggiori. Arrestate improvvisamente le industrie, inceppato il commercio, chiuse le scuole, pare ormai che l’uomo altro non sappia fare che uccidere. Le gazzette, le fabbricatrici della pubblica opinione, queste impudenti ingannatrici della buona fede del pubblico ormai non ci sanno dare che una notizia purtroppo veritiera: i fratelli hanno ucciso i fratelli! La fratellanza, predicata dalla rivoluzione francese, facendo astrazione dal precetto dell’amore tra i popoli, ha fatto completamente bancarotta. Anche coloro che predicavano l’internazionale fratellanza che avrebbe impedito qualunque conflitto, dimenticando quelli che erano i capisaldi della loro dottrina, sono corsi ad arruolarsi divenendo carnefici. Dobbiamo disperare dell’avvenire di questa umanità? Tra il fragore delle armi ed il frastuono di voci eccitanti all’odio, ecco parte dall’eterna Roma l’accorato grido alle nazioni, la parola del perdono ai popoli, la preghiera perché, deposte le armi micidiali, in altri modi più ragionevoli ed umani, trovino il modo di risolvere i loro contrasti, comporre le loro controversie. Inebriati dai loro trionfi, esasperati dagli insuccessi, neppure un istante vogliono i capi dei popoli dar tregua alle battaglie. Allora il buon samaritano propone che ai 63

più infelici sia apportato qualche lieve conforto: i mutilati, gli impotenti abbiano almeno il supremo conforto di soffrire in seno alle loro famiglie, sotto il cielo amico della loro patria. E finalmente c’è un momento di resipiscenza: è accettata la preghiera di chi vuole la pace e la concordia: tutti i re e i capi delle nazioni belligeranti si affrettano a dare consenso comune all’esortazione di papa Benedetto XV. Non potrebbe essere questo un lieto indizio per un confortante avvenire? Non troviamo qui la più lampante, inconfutabile dimostrazione che solo con la pace e la concordia troveranno i popoli la felicità, i beni supremi ai quali si possa aspirare quaggiù? Comprendano i popoli, comprendiamolo tutti noi ed approfittiamone.

Quasi il flagello della guerra non bastasse! La Patria nostra ha provato un’altra orribile sventura: chi non ricorda con un senso di angoscia e raccapriccio il terremoto della Sicilia e della Calabria che in pochi secondi ridusse a cimiteri due delle più belle provincie della Patria nostra? Ebbene, il medesimo disastro, a troppo breve distanza, si è rinnovellato.

L’Abruzzo e la Romagna hanno conosciuto in questi giorni le conseguenze terrificanti del terremoto. Le vittime anche questa volta si contano a migliaia. Se le notizie son vere a ben 25.000 salgono i morti. Al primo accenno della sventura la Patria si è mobilitata: dal Re al Sommo Pontefice, al Capo del Governo, ai ministri per arrecare aiuto e parole di conforto e speranza. Qual è il nostro personale dovere in quest’ora cupa e grave che passa sull’Europa e sulla Patria nostra? Operare e pregare. Qual’ è la lezione che dobbiamo rilevare dai tristi eventi che con rapidità fantastica ci passano davanti agli occhi? Riformare la nostra vita, ritornare alla pratica della pace e della solidarietà. Ci darà forza per affrontare il prossimo futuro carico di nubi tempestose e ci troverà uniti nel pericolo imminente e nel dolore!”

Figura 29 Bollettino parrocchiale S Giustina in Affori – gennaio 1914

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Figura 30 La cartolina illustrata “Affori ai suoi combattenti�

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“PER I NOSTRI CONCITTADINI PRIGIONIERI”

Proseguiamo la lettura di quanto si scriveva in presa diretta sul bollettino parrocchiale “La Buona Parola” nel 1918 in pieno clima di guerra, come ci si organizzava per affrontare i gravi problemi che ogni tragedia umana trascina con sé. Anche ad Affori si stava vivendo una situazione molto dolorosa per le notizie che giungevano dal fronte orientale riguardo a nostri concittadini caduti sul fronte o prigionieri nei campi di concentramento austriaci. Già sul bollettino parrocchiale del Novembre 1916 si dava notizia di un rito funebre in ricordo dei nostri primi 31 concittadini caduti nel compimento del proprio dovere. Inoltre si stavano organizzando in paese un Comitato ed un’Associazione per la raccolta di lana e vestiario da inviare al fronte. Nei locali dell’Asilo infantile, dell’oratorio femminile ed in alcune scuole, si trovavano ragazze e donne che dedicavano il loro tempo a lavorar di lana e cotone ed a confezionare indumenti in pacchi da consegnare alla Croce Rossa Italiana in Dergano. La comunicazione tra famiglie e prigionieri, già di per sé oltremodo difficile, era regolamentata da ferree disposizioni di comportamento e doveva avvenire tramite la Croce Rossa Italiana che aveva una sezione in Dergano, frazione di Affori. Leggiamo quanto pubblicato allora: Per scrivere ad un prigioniero di guerra bisogna ricordare che col 10 Febbraio 1918 la Censura Postale non dà più corso alle lettere, si deve scrivere soltanto sulle Cartoline Postali per prigionieri di guerra che per Affori sono acquistabili presso il Comitato di Croce Rossa Italiana in Dergano a 5 centesimi l’una e vanno in franchigia. Le cartoline spedite col timbro della Croce Rossa Italiana Comitato di Affori hanno la precedenza negli inoltri.

Per far avere pane ad un prigioniero di guerra bisogna ricordare che il pane comune, anche biscottato, si presta poco a durare senza ammuffire: al minimo impiega sei settimane a giungere nei campi di concentramento più vicini. In ogni caso il pane va sempre spedito solo e non più di 2 chili per settimana. Il prigioniero può avere il suo pane quotidiano se viene abbonato al pane: 8 lire mensili danno diritto alla spedizione di 2 chili settimanali di ottime gallette (7 pani di 280 grammi l’uno). Per l’abbonamento rivolgersi al suddetto Comitato.

Per fare avere alimenti ai prigionieri di guerra occorre ricordare di includere nei pacchi non oltre 5 chili di alimenti permessi, cioè non deperibili quali il salame vecchio, il lardo vecchio, il formaggio ben stagionato, pasta, riso, cioccolato amaro, i dadi Maggi, i vasetti Liebig e frutta secca….Pacchi preparati di alimenti come latte congelato, carni ecc. si possono acquistare presso la Commissione di Assistenza suddetta al prezzo da lire 5 alle 20.

Per inviare indumenti e robe varie occorre ricordare che si possono inviare tutte le biancherie e lanerie personali, esclusi gli abiti borghesi e le scarpe. Sono vietati fili, aghi, gomitoli, forbici, ditali, agoni, forchette, rasoi, fiammiferi, i libri (tranne quelli nuovi

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pubblicati prima della guerra). Anche per gli indumenti si possono acquistare pacchi da 12 a 20 lire presso il suddetto Comitato di Assistenza. E così per il tabacco da sigari e da fiuto.

Per inviare danaro ad un prigioniero sia in Austria che in Germania la famiglia può usufruire o direttamente o per il tramite di detta Commissione dell’intermediario Banca Commerciale Italiana.

Per telegrafare al prigioniero bisogna far vistare preventivamente il telegramma dalla Croce Rossa Italiana Comitato di Affori. Le famiglie devono tener presente che nel confezionare i suddetti pacchi non bisogna usare carta stampata, né carta scritta, né bianca, ma carta da imballaggio oleata. Non si deve includere alcuno scritto e gli oggetti vanno posti in sacchi di tela su cui mettere l’indirizzo, la lista del contenuto, il nome e l’indirizzo di chi spedisce. I pacchi vanno portati aperti al Comitato Croce Rossa di Affori -via Como 1, fraz. Dergano dalle 5 alle 6 di ogni giorno, la Commissione li controlla, li chiude in presenza, li timbra e così acquistano precedenza di garanzia sugli altri pacchi. Ogni altra operazione riguardante i prigionieri di guerra: schiarimenti, informazioni, abbonamenti ecc. si possono sempre chiedere nella sede e nell’ora dianzi indicata. Avvertiremo appena la Germania lascerà inoltrare i pacchi.

Ai già molti problemi di sopravvivenza che la guerra ha seminato tra la nostra popolazione alle prese con la mancanza di cibo (requisito per invio al fronte), con la situazione sanitaria alla vigilia di un tremendo flagello epidemico (la cosiddetta terribile spagnola), è venuto ad aggiungersene un altro: con l’avanzare delle truppe austriache sul fronte orientale nel nostro territorio è andato aumentando il flusso di profughi dalle zone di guerra, specialmente dopo la disfatta di Caporetto di fine Ottobre-primi Novembre 1917.

La comunità afforese, mettendo in atto risorse, spazi ed iniziative assistenziali di volontariato, ha affrontato il grave problema con la proverbiale generosità che ha accomunato tutto il paese in una lodevole quanto efficace opera di accoglienza. Sul già citato bollettino parrocchiale l’organizzazione di assistenza alle famiglie con giovani al fronte, agli orfani ed alle vedove, ai profughi, la corrispondenza, sia epistolare che a mezzo pacchi, l’aggravarsi della situazione sanitaria con l’espandersi dell’epidemia, venivano seguite con particolare attenzione e comunicazione al popolo che ha dato prova di grande senso civico ed umanitario con una risposta accogliente e generosa che gli fa onore. Perciò mi faccio dovere di segnalare questa pagina triste ma anche radiosa della nostra storia!

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Figura 31 Soldato afforese

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CONDIZIONE DEI PRIGIONIERI

Il problema della corrispondenza coi prigionieri, che serviva a mantenere i legami affettivi coi nostri soldati in campi di prigionia, si andava aggravando a causa dei continui ostacoli burocratici che il nemico poneva; inoltre il numero dei prigionieri si andava assommando a quello ormai tragico dei caduti al fronte e cresceva pure quello dei feriti e prigionieri rimpatriati, mentre giungevano notizie allarmanti sulle condizioni in cui erano costretti a vivere nei campi di concentramento. Ma lascio la parola a quanto si scriveva sul bollettino parrocchiale afforese: Aprile 1918 – In questi giorni è giunto in Italia il quarto convoglio di prigionieri invalidi restituiti dall’Austria senza scambio. Oltre il solito treno mensile, dal 23 gennaio si sono iniziati questi convogli che giungono senza che l’Italia debba restituire altrettanti prigionieri; in meno di due mesi più di 1200 furono restituiti alla Patria …I rimpatriati a questo modo tornano quasi tutti tubercolotici, lo sarebbero diventati tutti se fossero rimasti in Austria.

Ormai si è detto da tanti delle dolorose condizioni dei prigionieri in Austria ma la realtà è ben più tragica di qualunque descrizione e bisogna averla vissuta per sentirne tutto l’orrore anche al solo ricordo. Uno degli aspetti più spaventosi di questa guerra, già piena di orrori, è appunto la prigionia come è stata sofferta dai nostri soldati in Austria. Realtà confermata anche da questi ultimi rimpatriati. Anche ora a Mauthausen ne muoiono dai 30 ai 40 al giorno, e si noti che quello non è che uno dei campi di prigionia, ve ne sono purtroppo, molti e molti altri…A Mauthausen molti nostri soldati muoiono senza nemmeno esser ricoverati nell’ospedale perché non c’è più posto…lo scorso inverno una mattina in una sola baracca se ne trovarono dieci, distrutti per fame, freddo, stenti, malattie. Ed è in modo speciale la fame che fa cadere così questi poveri giovani: bastano pochi mesi a ridurli in queste condizioni disperate ed anche la sporcizia ne aggrava la situazione…quante volte abbiamo visto, con infinita angoscia nell’anima, i nostri giovani frugare nelle immondizie in cerca di qualche cosa per sfamarsi oltre le bucce di patate gettate nei rifiuti. So bene che il riportare questi orrori è uno strazio per tante famiglie che hanno laggiù i loro cari, ma è necessario che si sappia da tutti la verità anziché nasconderla…. Per grazia coloro che tornano da quegli inferni in terra, per quanto ridotti in condizioni disastrose, nella grande maggioranza si salvano ancora ed è consolante il vedere come nei nostri ospedali, tra i quali ottimi quelli di Nervi, si possono rimettere in breve tempo… Essi ben lo sanno e la frase che quasi sempre ripetono: “Siamo usciti dal camposanto” oppure “Siamo usciti dall’inferno al paradiso!” E perciò, noi che abbiamo sofferto tanto e così lungamente la prigionia, possiamo e dobbiamo incoraggiare i nostri compatrioti ad affrontare con animo forte, ma non rassegnato, i sacrifici che il momento bellico impone…

D. Guido Astori – Cappellano degli Alpini” Ad Affori si era costituito un Comitato pro feriti rimpatriati dai campi di concentramento, il quale, in collaborazione con la Croce Rossa Sez. Dergano, organizzava l’assistenza alle 69

famiglie in difficoltà per problemi medico-sanitari. Ogni problema andava affrontato con una studiata organizzazione in quanto, se i volontari ed operatori non mancavano, tuttavia i mezzi erano molto scarsi. Il conflitto aveva innestato, come già riferito, una serie di problematiche: assistenza a feriti rimpatriati, famiglie dei caduti, orfani e vedove di guerra, spedizione di pacchi viveri e indumenti, profughi … Ma Affori, nel momento del dolore, dell’aiuto e della condivisione, si ritrovò un popolo unito e concorde, virtù ereditate da una tradizione le cui radici si allungano nei secoli. Quegli accenni a Mauthausen a noi del 2015 ricordano altre orribili stragi di vite umane etichettate con lo stesso nome infausto. Quando la storia dell’odio e della stupidità umana si ripete!

Figura 32 Soldato afforese

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LETTERA DI UN SOLDATO AFFORESE DALLA PRIMA LINEA Su Buona Parola dell’epoca è stata pubblicata questa toccante lettera scritta dal soldato afforese Gerolamo L. al parroco don Costante Tresoldi Zona di guerra 10 Aprile 1918 M.R.Don Costante, grazie del suo ricordo e della sua preghiera… Ed ora cercherò colle mie povere frasi d’illustrargli il paesaggio che godo di quassù. In questo tramonto d’Aprile la valle è tutta piena di un silenzio greve che pare s’alzi dalla terra verde, dalla natura tutta che sorride agl’ultimi raggi del sole morente. Dalle mie postazioni alte, annidate fra le rocce, come un avvoltoio guardo i campi fioriti e deserti: e prolungando lo sguardo per tutto il tratto che il monte me lo concede, esso si ferma qua e là su poveri gruppi di case spennacchiate, spremute dal cannone. E se la realtà brutale non fosse qui innanzi a me in forme evidenti, e se l’occhio non avesse dinnanzi a sè le rovine, segni manifesti di lotte cruenti, se l’orecchio non afferrasse il rumore cupo di cannonate lontane, i crepitii delle mitragliatrici sonanti in fondo valle, a stento potrei credere che quel luogo che s’apre in questa primavera di sole e vita nuova sia uno dei campi di lotta e di morte della nostra guerra. Guardo e ansioso attendo la sera presso i miei ufficiali, i miei soldati, le mie mitragliatrici che con me attendono con ansia vigile: già le tenebre vanno smussando le angolosità dei monti, riempiendo i burroni, il monte che alle mie spalle erge la sua mole granitica si va riempiendo d’ombre: il silenzio comincia ad esser rotto da una infinita serie di rumori vicini e lontani, quasi che la valle attenda la sera per riprendere vita. Invece son colpi di mine sordi e cupi, risonanti in galleria, fragori improvvisi di batterie che lanciano nel crepuscolo la loro voce sonora riempiendo le valli della loro eco terribile; son rumori di carreggi salenti alle linee in colonna nera, son schianti, ululi strani di cose lacerate, contorte, divelte. Una gran paura; il silenzio riprende e soggioga la valle: è un istante in cui par che le forze belliche prendano riposo. Poi un brivido sale nel cielo, un lamento aspro, lontano: un fulmine, passa una granata, una seconda la segue, una terza ed un’altra ancora, una serie di colpi perdentisi nello spazio buio. E per questa volta basta poiché temo di annoiarla con le mie ciarle, ma son certo che mi perdonerà, nevvero?

Contraccambio di cuore i saluti a tutti i soci del Circolo rimasti ad Affori. Ai suoi cari ed a lei i migliori auguri uniti ai saluti.

Affezionato suo Gerolamo L.

Cinque giorni dopo questo ultimo saluto al parroco ed agli afforesi il suo nome veniva scritto fra i valorosi caduti per la Patria!

Altre numerose lettere come questa ci sono tramandate dalle pagine del Bollettino e custodite in Archivio, lettere scritte sul fronte, in trincea, in caserma, tra i monti, in grotte dolomitiche…mentre fuori imperversava la bufera di morte, nel silenzio che la precede o nello strazio che la segue. Un vero poema 71

di vita, schivo di ogni retorica, ma denso di sentimenti che spaziano dalla paura della situazione all’affetto verso i cari ed amici lontani. Loro stavano vivendo la storia in tutta la sua cruda realtà.

E, sempre in tema di corrispondenza coi soldati al fronte, ecco alcuni consigli dati a spose e mamme in ansia per la sorte presente e futura dei loro cari, consigli pubblicati su Buona Parola del Febbraio 1918: Non basta che la nostra corrispondenza sia frequente e regolare, è necessario che sia serena; al nostro soldato lontano, già afferrato dal pericolo, già percosso da mille durezze, non diamo altre preoccupazioni inutili, non raccontiamogli cose dolorose, non parliamogli delle nostre difficoltà a vivere senza di lui, dell’angoscia che è in noi e intorno a noi; lassù egli è impotente ad aiutarci e non può che soffrire poiché vive, attraverso la distanza, la sua impossibilità di venirci in appoggio nei crucci che gli raccontiamo. Le lettere che riceviamo dai nostri combattenti, scritte in mezzo ad ogni pericolo, fra lo scoppio delle bombe ed il soffiar della tormenta, sono quasi sempre più serene e più forti delle nostre che loro mandiamo dalla casa ben custodita e dalla nostra vita regolare. Ora questo ci fa torto e, se abbiamo qualche buona notizia da comunicare, diamola loro subito, con pienezza di gioia o facciamo loro sentire che la vita in famiglia trascorre tranquilla con l’affetto di tutti, pure nella sofferenza e nella speranza di un loro vittorioso ritorno. Questo soprattutto; voi non potete immaginare quale forza, quale coraggio e sprone vengano ai combattenti dal sentirsi dire dalle proprie donne “Sappiamo che combattete da valorosi, sappiamo che ritornerete!”

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ORFANI – PRIGIONIERI – PROFUGHI Problemi di accoglienza “forza, coraggio, sprone…” dovevano profumare di ottimismo le lettere da spedire al fronte, ma ben altra era la realtà che sul fronte casalingo i nostri concittadini si sono dovuti impegnare ad affrontare! Ogni caduto sul campo di battaglia procurava dolore e vuoto in famiglia: vedove e orfani erano i feriti nello spirito e nella vita che la guerra seminava nei nostri cortili, tra le mura domestiche. Ad Affori ben 145 famiglie saranno colpite da un lutto temuto e pianto e da un incolmabile vuoto lasciato da una giovane vita. Nel bollettino parrocchiale “La Buona Parola” del Gennaio 1917 si affronta il problema delle famiglie dei caduti abitanti nella nostra zona e si dà notizia di alcune iniziative attuate per un concreto aiuto alle vedove ed ai soldati al fronte o prigionieri.

L’Unione Fortes in fide femminile si è impegnata in quest’opera assistenziale: oltre l’aver acquistato 25 kg. di lana con una spesa di lire 200 per procurare indumenti ai nostri soldati al fronte, indumenti confezionati in tutta fretta e spediti, si è fatta promotrice di una raccolta fondi “pro orfani e vedove”. Altre decine di pacchi contenenti indumenti e viveri vennero spedite tramite la Croce Rossa ai prigionieri nei campi austriaci. Opera di un generoso volontariato senza alcun aggravio alle famiglie … Noi non siamo favorevoli alla guerra, anzi asseriamo che è il più terribile flagello per una nazione ed il suo popolo, ma quando la Patria vi è impegnata, rinnoviamo il nostro dovere di prestare tutto il nostro contributo per rendere meno dolorose le inevitabili conseguenze ed affrettare l’ora della pace! Siamo dunque certi che qualunque nostro futuro appello alla nostra gente per un gesto generoso, una collaborazione attiva ed un’accoglienza fraterna avrà sempre la più calorosa risposta!

In paese, come già attuato a livello cittadino, si era costituita anche un’Opera Pro Orfani di guerra composta da singoli e gruppi famigliari che si erano impegnati a soccorrere sotto ogni aspetto le famiglie dei caduti al fronte o nei campi di prigionia. Da un resoconto (pubblicato sul numero di Febbraio 1919 de La Buona Parola) si legge: diamo ben volentieri il resoconto di alcune opere che, sorte per provvedere a bisogni urgenti, hanno egregiamente lavorato per raggiungere lo scopo di aiuto e sostegno, ma che hanno pure necessità di ulteriore aiuto finanziario da parte di generosi per poter fruttificare ancora per tempo.

Da questo resoconto si deduce che i sussidi elargiti alle famiglie con orfani sono stati 1124 (800 Affori – 148 Bruzzano – 176 Dergano). Spenta l’eco delle esultanze popolari per la meritata vittoria e la conquistata pace, l’ombra del sanguinoso conflitto ancora ricopre i nostri paesi entrando di prepotenza nell’intimità delle famiglie. Ma ha trovato l’unanime spirito di accoglienza e 73

generosità da parte delle popolazioni che pure erano state sfiorate o ferite dalla paura, dalla miseria, dal dolore e dalla morte. Questo, in sunto, il discorso tenuto nei locali dell’Asilo di Affori alle vedove di Affori, Dergano, Bruzzano che, ancora una volta, hanno trovato il calore ed il senso civico dei loro concittadini. Ed in quei momenti tragici molti sono gli appelli alla cittadinanza con invito alla calma, al coraggio, alla fratellanza accogliente. Ho tra le mani copia della lettera inviata dal Card. Carlo Andrea Ferrari ai fedeli della sua Diocesi ambrosiana, lettera pubblicata sul bollettino “La Buona Parola” del Dicembre 1917. Traggo alcuni pensieri: In quest’ora tanto grave per la diletta Patria nostra … vi rinnovo, cari fratelli, un caldo invito.

I bisogni dei fratelli nostri profughi aumentano come aumenta la vostra accoglienza. Quante opere di carità vi si offrono da compiere: provvedere di pane chi non ne ha, albergare i pellegrini, ospitare i profughi, provvedere abiti per chi soffre il freddo, aver cura degli ammalati, consolare gli afflitti ed i colpiti dal lutto e dal dolore. Dico ancora e ripeto: calma, che non abbiano a udirsi parole di sfiducia e di sconforto e di timore, mentre debbono essere piuttosto di fiducia e speranza.

Calma, fiducia, speranza, mai un invito fu più necessario in quei tristi giorni in cui le ferite della tragica disfatta di Caporetto erano ancora sanguinanti: 24 Ottobre - 12 Novembre 1917 – anche alcuni nostri concittadini sono caduti in quella interminabile e disastrosa battaglia in cui il Piave ci fu da ultima spiaggia, argine e diga nel frenare la travolgente avanzata delle armate austroungarico-tedesche. Una lunga striscia di persone, fuggendo l’imminente pericolo, si è poi riversata nei territori lombardi in cerca di aiuto. E lo trovò!

L’appello del Card. Ferrari cadeva in una popolazione già organizzata e attiva per accogliere i fratelli provenienti da quelle terre martoriate. In Affori e dintorni sorsero iniziative di singoli e di associazioni per l’accoglienza in famiglie o in strutture pubbliche. Il Consiglio comunale, le associazioni parrocchiali, le cooperative edilizie, i Circoli si trovarono ad operare all’unisono coordinando varie iniziative. Il 25 maggio 1918 venne istituito in Affori un Patronato a favore dei profughi; gli inevitabili disagi vennero affrontati, i problemi trovarono concrete soluzioni per quanto si potesse mettere a disposizione da famiglie a loro volta in difficoltà. La storia ha i suoi cicli: un secolo separa quei profughi dalle terre trentine e venete dagli odierni profughi del mare, in fuga da guerre, violenze, soprusi, miserie fisiche e morali!

Rileggiamo con profondo senso di ammirazione queste pagine scritte nella quotidianità dei nostri predecessori dalle quali sprizzano sentimenti di sensibile civismo e umanità! Anche allora il momento storico, politico, sociale infieriva con tutto il suo peso specialmente sulle classi più deboli costrette a sbarcare il 74

lunario ad un livello di sopravvivenza. Non solo le pagine dei quotidiani dell’epoca, ma anche la viva voce dei nostri nonni ci hanno lasciato testimonianza di una società sconvolta da incomprensioni, scontri, sommosse, scioperi, repressioni, ideologie contrapposte, lotte per i più elementari diritti umani quali la dignità della persona, il riconoscimento della propria attività lavorativa, il diritto ad una dignitosa abitazione… Ad aggravare la già complessa situazione venne imprevisto un problema in campo sanitario: sottovalutata al suo inizio, si rivelò una catastrofe l’epidemia di un’influenza, passata alla storia come “la spagnola” che mieté molte vittime anche nel nostro territorio. Il 14 Ottobre 1918 l’Ufficio di Igiene e Sanità del Comune di Affori emanò drastiche misure di prevenzione e di assistenza per fronteggiare l’irrefrenabile dilagare del mortale morbo. Sospesi i precetti di digiuni e astinenza dalle carni, le restrizioni annonarie per bambini e anziani, isolamento di intere famiglie e cortili, divieto di riunioni e assembramenti. In aggiunta riprende il dilagare dell’epidemia di vajuolo e di altre comuni malattie infettive che da secoli hanno tormentato, con gravi conseguenze, il nostro territorio. In questo clima molto teso e confuso, intrecciato di problemi politici, sociali, assistenziali, sanitari e amministrativi nel Collegio comprendente la Provincia di Milano il 16 Novembre 1919 vengono indette le elezioni politiche precedute e seguite da polemiche e scontri: vittoria dei socialisti (54%) e dei cattolici con grande delusione del Fascio patriottico fondato da Benito Mussolini. Eventi politici e amministrativi in questo periodo si sono susseguiti a distanza ravvicinata : incendio del quotidiano “ Avanti” (15 aprile 1919) – inchiesta sulla disfatta di Caporetto (10 Settembre 1919) - assalto ai negozi di generi alimentari (luglio 1919) – scontri fra scioperanti e forze dell’ordine sino a metà 1920 serrata da parte degli industriali e risposta dei lavoratori con l’occupazione delle fabbriche (31 agosto 1920) - elezioni comunali nelle quali venne eletto sindaco in Affori il socialista Dante Fagioli (Novembre 1920) - attentato al Kursaal Diana a Milano (23 Marzo 1921) - elezioni generali nel Collegio di MilanoPavia il 15 maggio 1921 (in lizza Partito Socialista. Partito Popolare e Blocco Fascista).

Il 17 novembre 1922 il Parlamento dà voto di fiducia a Benito Mussolini – il popolo trema all’idea della fine dello Stato libero. Mentre si aggravano le lotte sociali e politiche, all’orizzonte della nostra storia dense nubi annunciano l’imminente tragedia che trascinerà un popolo nel baratro di una nuova dittatura dopo aver esultato nella speranza di un’Italia unita e libera, frutto di un lungo periodo di lotte e sacrifici.

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Riportiamo l’attenzione sul nostro territorio non estraneo alla vita politica e sociale italiana: per la sua posizione di zona periferica di una grande città industriale ha visto da alcuni decenni sorgere nel proprio spazio molti opifici che hanno attratto in breve tempo numerosa mano d’opera ed un variegato indotto da altre zone e regioni creando ulteriori problemi che solitamente accompagnano i flussi migratori di masse operaie in cerca di lavoro.

Il quadro della situazione sin qui illustrata ci può introdurre ad un esame più in profondità di cause, sviluppi ed effetti che originarono gli eventi che espongo nel prossimo capitolo e che abbracciano un periodo di storia nostra fra i più tormentati.

Figura 33 Targa in bronzo in ricordo dei caduti

Figura 34 monumento ai caduti nel cimitero di Affori

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Figura 35 lapide dedicata ai caduti afforesi

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IL SECONDO RISORGIMENTO

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DAL “TRIANGOLO ROSSO” ALLA LIBERAZIONE

Affori – Bruzzano – Dergano: lo chiamavano il “Triangolo rosso” che, negli eventi che portarono alla disfatta del fascismo, rivelò tutta la propria profonda e radicata anima antifascista. Era la “macchia rossa” della periferia nord che si affiancava al tessuto cittadino con tutto il peso delle sue masse operaie, artigiane, contadine: il popolo composto dalla mano d’opera immigrata a causa della rapida industrializzazione che, come uno tsunami, ha stravolto non solo l’aspetto, ma anche il vissuto della nostra zona. La faticosa lotta per la sopravvivenza fu il terreno fertile per il radicarsi di modi di pensare, di cooperare, di aggregarsi e di agire uniti per la rivendicazione di diritti inalienabili allora negati alla classe operaia e contadina nelle grosse fabbriche, filande, opifici di recente nati nella nostra zona. Più forte l’opposizione padronale, più accanita l’azione delle masse che, specialmente nel nostro territorio, formò lo zoccolo duro anticapitalista prima e di conseguenza antifascista poi. Per capire cosa e come fu la resistenza antifascista nella nostra zona bisogna andare alla ricerca storica delle sue fondamenta, là dove e quando è nata e come si è sviluppata sino all’impatto della vittoriosa liberazione. Infatti per una comunità di uomini, in un momento della propria storia, scatta l’evento liberatorio in cui convergono passate e presenti aspirazioni, speranze, ansie, rivendicazioni, desiderio di giustizia, di onestà, di libertà da ogni schiavitù, di ripulsa da ogni oppressione. Allora si scopre che anche la quotidianità ripetitiva e incolore della vita di un paese di periferia nascondeva dei fermenti che hanno portato gli abitanti dal bisbiglio al mormorio, alla protesta, alla sommossa, alla rivoluzione liberatoria.

Nei giorni della commemorazione del 71° anniversario della Liberazione, la mia non è la penna più qualificata a narrare gli eventi delle ultime fasi della resistenza, del pesante tributo di sangue versato da giovani afforesi per la Causa in quanto, benché avessi vissuto da adolescente la cupa atmosfera del conflitto in tutta la sua tragedia, ne fui solo spettatore. La bellissima pubblicazione “Per non dimenticare” edita dall’ANPI afforese in occasione del 50° della Liberazione offre invece un quadro completo ed una documentata analisi di quel periodo; alla stessa rimando il lettore per una più approfondita conoscenza di fatti e nomi. Rimando pure ad una interessante, esauriente e ben documentata pubblicazione relativa alla nostra Zona “Album di famiglia” del Dr. Aldo Bartoli, edita nel Dicembre 2009. Per la mia innata passione alla storia locale, anch’io mi sono immerso tra i documenti alla ricerca delle radici 79

dell’antifascismo afforese e dintorni, col preciso scopo di prospettare una visione storica sul nascere e svilupparsi della sua anima antifascista che portò tanti giovani miei concittadini in prima linea nei momenti della resistenza ed a morire tra le valli, i boschi e le montagne dell’Ossola e Fondo Toce.

La ricerca mi portò ai movimenti operai di fine ‘800 quando, partecipando ad una serie di manifestazioni e scioperi cittadini, la classe operaia e contadina del “triangolo rosso” andava prendendo coscienza della propria identità e dei propri diritti negati “dai padroni”. Da questa necessità di unione di intenti e collaborazione tra masse operaie nascono le prime Cooperative edilizie per il problema abitazione, Società di mutuo soccorso, assistenziali, di consumo...In Affori, Dergano, Bruzzano, Niguarda, grazie al concreto apporto delle Cooperative Edilizie, sorgono case popolari di ringhiera, si costituiscono associazioni e mutue. Un fenomeno sociale che, per gli intenti ed i modi di intervento, tornano ad onore dei nostri concittadini inizio ‘900 e scrivono una nobile pagina di storia nel millenario cammino della nostra zona. Le idee circolano non solo nelle riunioni e nelle assemblee, nei comizi (a Dergano presenzia a riunioni e comizi il sindacalista Filippo Turati), ma anche a mezzo della stampa locale; si pubblicano “Azione Socialista” nel 1911, “Sorgiamo” nel 1913. Nelle votazioni comunali ottengono la nomina a Sindaco i socialisti: Francesco Ratti (1913), Celestino Ratti, Dante Fagioli (Nov. 1920).

A soli tre mesi da quel 23 Marzo 1919, data di costituzione dei “Fasci Italiani di Combattimento” a P.zza S. Sepolcro, il giorno 8 Giugno il segretario della Sez. Socialista “Suzzani”, Giuseppe Mancini, viene aggredito da giovani fascisti; morirà qualche giorno dopo. Il primo martire antifascista nel nostro territorio! Fu una scintilla che alimentò il fuoco di un’opposizione dura. I giornali locali “La battaglia socialista” e “L’Avanguardia” edito dal Circolino Comunista Afforese (già attivo dal 1921) si fecero portavoce di una presa di coscienza contraria ad ogni sopruso, aggressione, ingiustizia, privazione di libertà, violenza fisica e psicologica.

Il neo partito fascista ben aveva capito in che contesto si sarebbe trovato ad operare e quale realtà avrebbe affrontato in questa periferia nord; nel Maggio 1922 si costituisce la Sez. Fascista Afforese “Gen. Gandolfo” con sede a Dergano, nel cuore del “triangolo rosso”. Come biglietto da visita “perché i rossi non si facessero illusioni”, nuclei d’azione fascisti assaltano e mettono a soqquadro il Municipio di Affori (attuale Vle Affori 12) malmenano il sindaco Fagioli, lo traducono su di una vettura scoperta per le vie del Comune. Non migliore sorte tocca al Circolo Socialista “Rinascimento” di Dergano 80

nell’Ottobre 1922: in un momento di festa popolare esplode la violenza fascista che occupa e mette a soqquadro i locali del Circolo che verranno poi trasformati in caserma.

Il 24 Maggio 1923 viene eletto l’assessore all’igiene e sanità e segretario del Partito fascista di Dergano, Libero Giachero, primo Sindaco fascista di Affori.

Grande festa organizzata in paese con corteo, fanfara, discorso ufficiale in piazza della chiesa ed inaugurazione della nuova bandiera del Municipio. Sono giorni in cui l’apparato fascista tenta ogni mezzo per creare un clima di adesione popolare nella serena convivenza col nuovo ordine. Ma a rompere l’innaturale idillio, l’instabile atmosfera di possibile integrazione sociale e politica, giunge come un fulmine la notizia dell’attentato in cui ha perso la vita il Deputato socialista Giacomo Matteotti, un efferato gesto avvenuto il 10 Giugno 1924 che ha sconvolto gli animi ed ha instaurato nel popolo un clima di tensione e di avversione alla violenza politica.

Ad Affori prendono vita i primi gruppi antifascisti clandestini: promotori sono Carlo Ostoni, muratore – Enrico Varé, falegname – Grassi Luigi, giornalaio – Carlo Porta, tabaccaio – Gherardo Mancino, calzolaio - Cislaghi, fruttivendolo Serafino Paternoster, ferroviere.

All’attività antifascista dei gruppi che, creando una spessa rete di amicizie e collaboratori, sempre nella più oculata clandestinità, davano del filo da torcere alle sospettose “squadre d’azione” fasciste, si unirono alcuni gruppi a sfondo culturale come copertura.

Nacque così nel 1930 il “Gruppo Musicale Varasna” con Vincenzo Varé e Florindo Asnaghi e, nel 1933 il Dopolavoro “Glasari” che operava nella cosiddetta “Sala Azzurra” in via Regaldi con Varé, Bianchini, Braga, Asnaghi e Bonalume. Qualche soffiata ha messo in guardia la locale Sez. Gandolfo che, con un teppistico blitz, ha fatto irruzione nella sede del Dopolavoro eliminando con azione decisa e pesante una cellula sovversiva molto pericolosa.

I luoghi segreti di incontro erano in via G. Sand (dalla Chiarina Gatti), il Ristorante La Pianta e la trattoria Bonalume di via Cialdini.

E nel Giugno 1934, mentre si teneva una riunione segreta di antifascisti appunto presso la Trattoria Bonalume, una “Squadra d’azione” irrompe nei locali arrestando Attilio Dal Maso, Emilio Arata e Gherardo Mancino. Tradotti in sede, furono malmenati, minacciati e iscritti nell’elenco dei “segnalati rivoltosi”.

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1935 –Dicembre – Nei giorni della spedizione militare colonialista in Africa Orientale, i socialisti Giuseppe Merlini e Giovanni Calzavacca organizzano in paese una partecipata manifestazione popolare anticolonialista e antifascista.

L’intervento delle squadre fasciste disperde i manifestanti ed i promotori vengono arrestati ed incarcerati. Altre occasioni di raduni popolari si ripeteranno nei mesi successivi, inasprendo la repressione da parte della Sezione Gandolfo preoccupata dalla costante attività dei gruppi clandestini e dalla rete organizzativa attraverso la quale si tenevano in contatto tra loro ed il popolo.

A causa dell’intensificarsi della repressione fascista, alla quale la popolazione reagisce con malcelata protesta, alcuni degli attivisti si danno alla clandestinità in altri paesi pur mantenendo legami con i gruppi di azione antifascista della zona. Da segnalare il notevole apporto alla lotta clandestina offerto in questo momento da Luigi Tavacca e Attilio Dal Maso. L’azione clandestina antifascista prosegue e si allarga in zona nei momenti difficili dell’entrata in guerra dell’Italia. Il fatidico annuncio dal balcone di Palazzo Venezia il 10 Giugno 1940, portato in ogni angolo del Paese ed amplificato da migliaia di altoparlanti, cade su di un popolo attonito e preoccupato dal coinvolgimento in un nuovo e tragico evento bellico, tanto osannato dal regime quanto carico di inevitabili dolori, distruzioni e morte. La sorveglianza locale si fa più intensa e capillare per sradicare ogni tentativo di disfattismo o di proselitismo per la causa sovversiva. Perciò, dato il contesto in cui si trovava ad operare il Gruppo fascista, la nostra zona venne tenuta in particolare cura con l’apporto di nuove forze e mezzi. L’intensificazione dei controlli di persone e ambienti contribuì a creare in zona un clima di forte tensione che procurò non pochi episodi di violenza e repressione. Sono i momenti delle fughe di giovani antifascisti e renitenti alla leva nella vicina Svizzera, episodi che hanno reso movimentate le notti afforesi ed i valichi comaschi e varesini. Altri giovani andavano a raggiungere coloro che nella clandestinità delle prealpi lombarde e piemontesi si preparavano ai giorni della Liberazione.

1942 –Nel corso delle manifestazioni dei lavoratori per i festeggiamenti del 1° Maggio, Vincenzo Varé e Enrico Bianchi vengono aggrediti, feriti a colpi di pistola e catturati dai fascisti come elementi facinorosi. A questo atto proditorio fecero seguito numerose perquisizioni e retate compiute dalla polizia, dalla temuta MVSN (Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale), affiancata dalla milizia dell’OVRA, che effettuò numerosi arresti di antifascisti (tra i quali Grassi, Ghidoli e Tavacca)

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1943 - 16 Marzo – Colpiti da una raffica di fucileria, cadono tre partigiani di S. Mamete: Dell’Orto Luigi, Inzoli Angelo e Malfasi Giuseppe. Il loro sacrificio apre tutta una serie di fatti che gettano molte famiglie di Affori, Dergano, Bovisa, Niguarda e Bruzzano nel pianto per tante giovani vite stroncate nel difendere un ideale di libertà per gli oppressi da un ventennio di dittatura fascista e per il futuro della Nazione. Sono i tempi convulsi in campo politico, disastrosi in campo militare: la tragica campagna di Russia, il terribile inverno, la ritirata, le sconfitte in Africa , gli sbarchi degli Alleati in Normandia ( 6 Giugno) ed in Italia, la destituzione di Mussolini (25 Luglio 1943) il passaggio del governo al gen. Badoglio, i bombardamenti dell’Agosto, lo smembramento dell’8 Settembre, i duri combattimenti sul nostro suolo fra Tedeschi e Alleati …Pagine di storia tinte del buio del dolore e della morte, anni di grandi sofferenze anche tra i civili che, sotto le macerie delle proprie case hanno trovato la morte e dato il loro contributo alla futura liberazione.

1944 – 7 Marzo – In un’imboscata nazi-fascista cadono in Val d’Ossola anche alcuni partigiani afforesi 20 Giugno – Altre vite di giovani partigiani afforesi vengono stroncate a Fondo Toce 23 Giugno – a Finero cade il partigiano afforese Barlassina Giuseppe

Mentre sulle montagne si inasprisce la lotta partigiana ed aumenta la cruda reazione fascista, ad Affori si costituisce la Sezione afforese del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) che prepara in città il colpo di grazia alle truppe tedesche ed agli avanzi della Repubblica di Salò, i cosiddetti “repubblichini” che sentono sul collo il soffio della inevitabile disfatta alla quale non vogliono rassegnarsi. Responsabili e coordinatori del CLN afforese vengono designati: Dal Maso Attilio, Varé Enrico, Galli Luigi e Gatti Chiarina; sede del Comitato presso le scuole di via Iseo.

Siamo all’epilogo di un ventennio di odio, di soprusi, di aggressioni: nelle ultime ore del secolare scontro tra classe operaia e capitalismo per la rivendicazione dei più elementari diritti umani e civili, del ventennale conflitto con la dittatura fascista e con la sua degna compagna di follia nazista, si è visto un popolo intero insorgere, anche a prezzo della vita, pur di raggiungere la vetta di una agognata libertà. Ho inciso nella memoria i posti di blocco allestiti, con grande rischio della vita, in alcuni punti del nostro quartiere per fermare i resti in fuga di quell’esercito che con tanta sicumera e alterigia è calato dal nord attraverso lo “stradone” con centinaia di moderni e potenti carri “Tigre”. Non 83

potrò mai dimenticare le centinaia di volti dei miei concittadini afforesi che brillavano di gioia, di commozione, non ancora persuasi che tutto fosse finito, che tutto in quel momento liberatorio stava per cominciare!

28 Aprile 1945, le gradinate dello stadio Angelo Ripamonti di via Iseo traboccavano di gente e di bandiere che fluivano come un torrente in piena dalle strade del quartiere e dai quartieri vicini. Tra i discorsi delle autorità, i canti, gli evviva, le grida di gioia, la Festa popolare della liberazione aveva il suo epilogo.

In quel momento rifulgevano di luce le giovani vite stroncate dall’odio nazi fascista: Affori poneva sull’altare della libertà conquistata il nome glorioso di oltre trenta suoi figli caduti per essa; nomi incisi a perenne ricordo nella pergamena inserita nel marmoreo monumento ai caduti di tutte le guerre in piazza S. Giustina.

In quel 28 Aprile 1945 Affori elevò al cielo un coro popolare di gioia e speranza alla conquistata libertà! In comunanza di sentimenti c’erano anche Dergano, Bruzzano, Bovisa: il “Triangolo antifascista” aveva vinto la propria battaglia!

Mi sia consentita la soddisfazione di esprimere un mio sentimento: io c’ero!

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Figura 36 Sezione afforese del CLN

Figura 37 particolare dell’inaugurazione della bandiera del Municipio

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Figura 38 L’inaugurazione della sede del Fascio Gruppo “Generale Gandolfo” - viale Affori 12, sede dell’ex municipio

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IL VENTENNIO FASCISTA VISSUTO IN ZONA

Dopo aver dato uno sguardo veloce agli anni succedutisi al termine del primo conflitto mondiale, ora penso far cosa utile rivedere più in dettaglio gli avvenimenti che caratterizzarono quello scorcio così tormentato della storia vissuta nella nostra zona. Una più analitica lettura ci darà modo di approfondire quanto sia stato difficile il cammino che, trascinato dalla ferma volontà di singoli cittadini, gruppi, associazioni, ha portato tutto un popolo a riprendersi la perduta libertà conquistata col primo Risorgimento. Nel cosiddetto TRIANGOLO ROSSO – Affori-Dergano-Bovisa, (che a buona ragione si potrebbe allargare anche a Niguarda formando così il Quadrilatero Rosso), si era accumulata una vasta gamma di problemi (casa – lavoro – sanità – trasporti – istruzione – sicurezza) che rifletteva nel nostro territorio la situazione venutasi a creare specialmente nel settentrione dell’Italia unita, la nuova Patria. Al sud i problemi erano di altra natura. In genere riguardavano l’agricoltura e le infrastrutture inerenti ad essa. Focalizziamo la situazione del nostro territorio di periferia nord di una grande città che si stava sviluppando ed industrializzando in modo troppo rapido ed incontrollato. Soprattutto in esso esisteva il problema di un epocale cambio di mentalità, di cultura, di tradizioni: una zona a prevalente occupazione agricola, contadina, artigianale dovette, con evidente difficoltà, integrarsi col nuovo sistema occupazionale; e fu un passaggio né facile né rapido. I primi anni del Novecento, costellati da scontri di opinioni e correnti di pensiero, da manifestazioni di operai, artigiani, contadini, videro aggravarsi le profonde e mortali ferite lasciate in eredità dal recente conflitto mondiale ed aumentare le già gravi problematiche e gli imprevisti ostacoli che la nuova Italia, pur uscitane vittoriosa, stentò ad affrontare: un momento molto difficile soprattutto per le classi più deboli. Uno sguardo retrospettivo sul recente conflitto, infatti, generò una profonda spaccatura nel popolo stesso, già per altri motivi in dissenso prima dell’entrata in guerra (interventisti/ neutralisti). La vittoria conseguita, sebbene a caro prezzo, ebbe una grande rilevanza politica e si dimostrò fonte di grandi speranze per i popoli che anelavano alla libertà nella pace e nella giustizia sociale. Per questo avevano combattuto. Purtroppo un clima di scontri di ideologie, di correnti di pensiero, un impasto informe di tendenze e rivendicazioni sociali e politiche, ingenerò un contesto nebuloso che fornì alla nascita di una dittatura materia di facile propaganda: la speranza in un nuovo ordine, che di conseguenza raccolse attorno a sé una moltitudine di delusi ed esasperati, sfruttati con abile plagio. Fu il contesto che offrì modi e tempi al seme fascista di insinuarsi nel tessuto 87

sociale e crescere. Non ultima fu l’introduzione del cosiddetto “cordone sanitario” per ostacolare il progresso delle idee rivoluzionarie provenienti dalla Russia, che diede modo all’affermarsi di un muro contro ogni tentativo di risollevare la classe operaia e più debole e frenare quindi le giuste rivendicazioni in materia di remunerazione, trattamento, sicurezza, assistenza.

Un periodo molto travagliato e confuso quindi che ha accompagnato il progresso dei primi decenni del Novecento ed inciso in profondità il marchio della conflittualità interna giungendo a concreta e dura lotta di classe con la forte componente padronale che aveva dalla propria il sostegno delle Istituzioni governative. Il fenomeno fascista non nacque per caso né all’improvviso: questo il terreno in cui cadde il seme della dittatura. Non dimentichiamo che nella nostra zona i grandi complessi industriali si chiamavano Carlo Erba, Giviemme, Montecatini, Santagostino, Pirelli, Falck, Marelli, Union des Gaz e questa la dice tutta. Per cui la si poteva classificare come una zona pesantemente gravata da complessi problemi di lavoro e giustizia sociale, il ventennio qui ebbe origini prima della data ufficiale della costituzione dei Fasci Italiani di Combattimento.

Il 23 Marzo 1919 in Piazza Santo Sepolcro l’ex socialista Benito Mussolini, presso il “Circolo per gli interessi industriali, commerciali ed agricoli” fonda il “Movimento dei Fasci italiani di combattimento” e già il 14 Aprile a Milano viene saccheggiata ed incendiata la sede del quotidiano “Avanti”. Alcuni isolati episodi di violenza si erano già inseriti nella nostra storia, ma quell’evento innestò una carica esplosiva che si frammentò in vari fatti di violenta aggressione fisica, psicologica, morale.

Il giorno 8 Giugno 1919 avvenne il proditorio attacco al segretario della Sezione Socialista “Suzzani” Giuseppe Mancini mentre tornava da una gita di propaganda sindacale a Saronno organizzata dai “Ciclisti rossi di Affori”. In Bovisa trovarono la morte il sindacalista Giuseppe Ferrari col fratello e Salvadeo Regina in una sparatoria avvenuta per strada per mano di aggressori rimasti ignoti, in quanto non venne avviata alcuna indagine.

Nel Novembre 1920 il voto nelle elezioni amministrative porta alla carica di Sindaco del Comune di Affori il socialista Dante Fagioli, operaio fonditore all’Alfa Romeo, che non avrà vita facile in quanto, già dalla sua elezione, suscitò uno scontato dissenso da parte avversa.

Il 23 Marzo 1921 avviene il terribile attentato al Kursaal Diana a Milano che procurò una ventina di morti e 60 feriti. Attentato in seguito attribuito non ai

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gruppi anarchici (come insinuato troppo frettolosamente) ma, dopo lunghe ed accurate indagini, ad organizzazioni fasciste.

In una notte del Settembre 1921 ad Affori venne distrutto il “Circolino della Federazione Giovanile Comunista” con un incendio di chiara matrice dolosa.

Nei locali si stampava il settimanale “L’Avanguardia” in cui si denunciava il clima di violenza ed intimidazione creato in zona dalle squadre fasciste.

Nel Maggio del 1922 si costituisce la “Sezione Fascista Afforese” con sede provvisoria a Dergano per meglio monitorare e condizionare la situazione della zona. Qualche mese dopo il “Municipio Rosso di Affori” fu devastato da un gruppo di scalmanate camicie nere: venne malmenato il sindaco socialista Dante Fagioli e portato su di un camion per le vie del paese col segretario del Partito Comunista locale ed alcuni elementi giudicati sovversivi. Un gruppo di squadristi irrompe nei locali del “Circolo Sempre Uniti” di via Cialdini distruggendo suppellettili, arredi, botti e bottiglie: la spedizione punitiva doveva servire da lezione per altri luoghi di incontro clandestino antifascista che stavano sorgendo in zona.

In Ottobre a Dergano in via Conte Verde 17, verso le 14, durante i festeggiamenti della Patronale, vi fu uno scontro coi cittadini che si difesero con ogni tipo di armi improprie. Squadristi, spalleggiati dai carabinieri, occuparono il Circolo Socialista “Rinascimento” e le scuole suscitando profondo risentimento ed avversione tra i cittadini. Nel duro scontro perse la vita il giovane socialista Sala. Il Circolo Rinascimento subì una totale devastazione, trasformato poi in caserma, mentre Costante Strada venne ferito gravemente e pure feriti risultarono Achille Oggioni, Cesare Giorgi e Ugo Zaffaroni.

Seguirono perquisizioni ed angherie ed un centinaio di arresti tra la popolazione.

Il 22 Novembre 1922, all’indomani della marcia su Roma, l’ex radicale Libero Giachero - Segretario della Sez. Fascista afforese “Gen. Gandolfo” stabilitasi nei locali dell’ex Municipio - attuale Vle Affori 12, sospende per tre mesi dalla carica di Sindaco il socialista Dante Fagioli. Come ferma protesta per questo atto proditorio e solidarietà al Sindaco, la Giunta Comunale si dimetterà il 28 Dicembre successivo. Il Commissario prefettizio Giachi viene inviato ad Affori per sovraintendere alla situazione ed anche per organizzare le elezioni amministrative comunali previste per il mese di Gennaio.

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Il 13 Dicembre, in seguito ai risultati delle elezioni amministrative cittadine, si insedia come Sindaco di Milano il ginecologo prof. Luigi Mangiagalli, vicino all’area fascista.

24 Maggio 1923 – Libero Giachero – già Rappresentante degli esercenti di Dergano, Assessore all’igiene e sanità, radicale, poi Segretario del Partito Fascista di Dergano – viene eletto primo Sindaco fascista al Comune di Affori.

In data 2 Settembre, con Regio Decreto emesso a Roma, il Comune di Affori viene aggregato al Comune di Milano (nonostante il parere decisamente contrario della maggioranza dei consiglieri). Il dr. Carnevale viene designato dal Gruppo Fascista afforese Gen. Gandolfo come Presidente per il Circolo Sempre Uniti che assumerà la nuova denominazione: “Società Anonima Cooperativa Afforese” che manterrà sino al 1941. Altre infiltrazioni nei ranghi dirigenziali di Cooperative e Circoli vengono effettuate d’autorità dal Gruppo Fascista afforese per ottenere il controllo di ogni attività sociale, culturale, ricreativa e assistenziale in paese. Nel corso 1923 prende vita una cellula comunista associata tra Affori e Niguarda, centro antifascista già molto attivo, ma operante nella clandestinità.

Il 6 Aprile 1924 si svolgono a Milano e dintorni le elezioni politiche: la corrente fascista risulta ancora in minoranza contro una maggioranza composta dalle aree cattolica e socialista. In Affori si tenevano riunioni segrete, in apparenza ritrovo tra amici bocciofili, sia al Ristorante La Pianta che al Bonalume di via Cialdini, che al Grisela di via Brusuglio ed alla Trattoria di via G. Sand. Il gruppo antifascista era composto da elementi di area socialista e comunista: Ostoni, Varé, Grassi, Porta, Mancino, Cislaghi, Paternoster…che esplicavano la loro propaganda a mezzo volantinaggio e applicazione notturna di manifesti con grande rischio per la loro incolumità.

Nel Dicembre 1926 tutta la popolazione viene caldamente (anche forzatamente) sollecitata a sottoscrivere le cartelle del Prestito Nazionale del Littorio.

Il 10 Luglio 1927 – Solenne rito di benedizione dei gagliardetti assegnati alle Cooperative Unione Operaia, Selciatori Afforesi, Corpo Musicale G. Donizetti che sfilano in corteo per le vie del paese. Per sostenere la raccolta fondi organizzata per donare aeroplani alla Patria, Cooperative, Associazioni, esercenti e popolazione vengono obbligati ad abbonarsi al quotidiano “Il Popolo d’Italia”. In seguito all’istituzione dei Tribunali speciali avvengono anche da noi arresti e reclusioni: Molteni, Rigamonti, Vittori, Tonini, Pennecchi, Perucci

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… sono le prime vittime che verranno trasferite ai penitenziari di Imperia, Sulmona, Alessandria.

Il 12 Aprile 1928 - S.M. il Re Vittorio Emanuele III presenzia all’inaugurazione della IX Edizione della Fiera Campionaria di Milano. Qualche minuto prima del suo arrivo, alle 9,50, occultato in un lampione scoppia un potente ordigno che procura 20 morti e decine di feriti. Fra gli anarchici, accusati dell’atto terroristico c’è l’afforese Augusto Lodovichetti, (muratore comunista abitante in via per Niguarda-ora via Brusuglio). Considerato uno dei capi dell’organizzazione anarchica, viene condotto in Questura; dopo essere stato duramente malmenato ed interrogato, viene spedito al confino. In seguito ad approfondite indagini l’attentato (come al Kursaal Diana) verrà attribuito a gruppi fascisti dell’area Giampaoli.

Aprile 1930, i giovani comunisti afforesi Vincenzo Varé e Florindo Asnaghi fondano un gruppo musicale “Varasna” che servirà da copertura all’attività clandestina di stampa e diffusione di volantini di propaganda antifascista.

Appunto in quei giorni si stabilisce ad Affori il giovane panettiere Luigi Tavacca, con già al proprio attivo varie forme di lotta antifascista a Mantova, Parma, Monza. Conduce una vita semplice di operaio con la moglie Terragni Agnese e due figli in un modesto appartamento presso la Coop. Unione Operaia di via Zanoli 15. Concluderà la propria intensa attività sociale e patriottica in un sanatorio in seguito alle percosse e malversazioni subite nella lotta antifascista.

In riconoscimento della sua attività sociale e partigiana gli verrà assegnato nel 1979 l’Ambrogino d’oro ed un Attestato di Benemerenza per meriti conseguiti nella lotta partigiana.

Ottobre 1933 – I giovani afforesi del Gruppo musicale Varasna : Varé, Bianchini, Braga, Asnaghi e Bonalume, fondano un Dopolavoro Glasari aprendo in via Regaldi la “Sala azzurra” che diventerà il “Circolo Giovanile Antifascista”. Il Circolo avrà breve vita poiché verrà occupato qualche mese dopo con la forza da elementi fascisti e quindi definitivamente chiuso.

Giugno 1934 – Un gruppo di squadristi irrompe nella Trattoria Bonalume di via Cialdini (ora La Contrada) mentre si stava svolgendo una riunione clandestina di antifascisti e prelevano Attilio dal Maso, Emilio Arata e Gherardo Mancino portandoli nella sede del Fascio Sez. Gen. Gandolfo. Dopo estenuanti interrogatori e minacce vengono rilasciati e tenuti sotto stretta sorveglianza.

5 Ottobre 1934 – Mussolini compie una visita ufficiale ai cantieri aperti per l’avvio della costruzione del nuovo Ospedale Ca’ Granda nel territorio fra 91

Affori e Niguarda. La popolazione di Affori e Dergano, su pressante invito delle Autorità locali, viene convogliata in piazzale Maciachini per partecipare ad una manifestazione popolare in onore al Duce che, di ritorno dalle cerimonie presso i cantieri di Niguarda, percorre in automobile scoperta, i quartieri di Dergano, Affori, Bruzzano tra ali di folla, bandiere, gagliardetti, camicie nere e saluto romano.

3 Ottobre 1935 – Inizia la campagna coloniale d’Etiopia in cerca di un posto al sole ed in risposta alle sanzioni comminate dalla Società delle Nazioni all’Italia fascista ed imperialista. Il 18 Dicembre – domenica – viene indetta una “Giornata delle fedi” in cui gli Italiani accorrono per donare persino le loro fedi di matrimonio come “Oro alla Patria” I giovani afforesi Giuseppe Merlini e Giovanni Calzavacca, sfidando le autorità fasciste, organizzano in paese un’intensa campagna di propaganda anticolonialista. Per questo vengono schedati, ammoniti e pesantemente minacciati.

5 Maggio 1936 – Le truppe del regime entrano vittoriose in Addis Abeba. S.M. il re Vittorio Emanuele III, ora Imperatore d’Etiopia, con molto seguito, si reca in visita al Convitto per fanciulli gracili “Principessa di Piemonte” ora Ist. Achille Ricci in via Sbarbaro. Per l’occasione molti schedati antifascisti vengono rinchiusi e sorvegliati nei locali della sede del Fascio in Vle Affori 12.

Ottobre 1936 – Nuova “Giornata delle fedi” – La Patria ha bisogno dell’oro anche della popolazione già provata dalle difficoltà economiche derivanti dalle sanzioni e dalla recente spedizione coloniale in Etiopia. Sono i momenti della partecipazione fascista alla guerra civile in Spagna al fianco delle truppe di Hitler e del generalissimo falangista Franco. In Affori vengono costituiti il Comitato di solidarietà e la “Brigata Spagna” ed organizzata una capillare raccolta fondi “Fondo rosso” in sostegno ai volontari in partenza per la Spagna.

Promotore e cassiere Luigi Tavacca.

6 Giugno 1937 – Su scala nazionale viene istituita la GIL (Gioventù Italiana del Littorio) affidando ai giovani “l’avvenire della Patria ed il progresso della stirpe italica”. Nascono così i Figli della Lupa, i Balilla, le Piccole Italiane, i Giovani Fascisti della GIL, gli Avanguardisti… in paese ci si adopera per organizzarsi al più presto con adunate, sabati fascisti con attività ginniche e saggi nel campo sportivo Angelo Ripamonti.

Settembre 1937 – S.A.R. il Duca di Bergamo viene accolto trionfalmente in paese dove percorre con gran seguito di gagliardetti, labari, camicie nere e fez le vie del paese. Presso la Bocciofila della Trattoria Longhi (via Zanoli) assiste a 92

gare di bocce, tiene un accorato discorso di lode ai cittadini buoni fascisti ed ha parole di encomio per la grande ospitalità manifestatagli dagli Afforesi tutti.

12 Novembre 1938 – Il Ministero della Cultura Popolare censura e sopprime il bollettino parrocchiale afforese “La Buona Parola” per aver omesso il nome dell’Italia fascista come presente tra le potenze europee (Germania nazista, Francia, Inghilterra) riunite a Monaco il 29 Settembre per discutere sulla cessione dei Sudeti alla Germania di Hitler.

Al Convitto “Principessa di Piemonte” si susseguono altre visite di personaggi illustri – le LL.AA.RR il Principe Ereditario Umberto di Savoia e la consorte Maria José di Sassonia Coburgo – il 17 Giugno 1939 S. M. Imperiale la regina Elena di Savoia, sempre con grande seguito di autorità civili e militari, con sfoggio di gagliardetti, divise, saluti romani e orbaci, riceve l’omaggio dei piccoli ospiti e delle Autorità cittadine e comunali.

7 Aprile 1939 – Invasione ed annessione dell’Albania per creare una seconda sponda adriatica ed ampliare l’immagine dell’Impero italo-romano.

1° Settembre 1939 – Inizia la grande immane tragedia del secondo conflitto mondiale con la proditoria invasione della Polonia da parte delle truppe naziste.

Il 2 Ottobre – Solenne inaugurazione del nuovo Ospedale Ca’ Granda, una straordinaria occasione per propagandare e magnificare l’opera del regime sempre attento ai bisogni del popolo. Il paese viene mobilitato per presenziare in forze, tutti in divisa ed istruiti sull’ordinato comportamento in modo da ben figurare come degna cornice allo spettacolare evento.

Il 19 Dicembre 1939 in Affori si inaugura la “Casa della Madre e del Fanciullo Maria Pia di Savoia” il Nido d’infanzia di via Gaeta sotto il Patronato dell’ONMI – Opera Nazionale Maternità Infanzia.

10 Giugno 1940 – L’Italia fascista entra in guerra contro le plutocrazie coloniali- discorso del Duce dal balcone di Palazzo Venezia a Roma, assordanti applausi in una piazza riempita di popolo da un’ottima organizzazione; sconcerto nel Paese ben cosciente di cosa significasse quel salto nel buio della storia. Illusi dagli otto milioni di baionette, ci siamo scagliati contro il destino che ha travolto due dittature trascinando con sé milioni di vite umane sacrificate sull’altare del potere e dell’ideologia totalitaristica.

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1° Maggio 1942 - Durante le manifestazioni popolari indette per celebrare la Festa del Lavoro vengono aggrediti e feriti in una sparatoria gli antifascisti afforesi Vincenzo Varé ed Enrico Bianchini il quale, violentemente bastonato e malmenato, dovette ricorrere ad urgenti cure ospedaliere. Verrà in seguito arrestato in piazza Duomo nel corso di una manifestazione antifascista.

24 Ottobre 1942 – Vasta battuta della polizia, della milizia MVSN e dell’OVRA in tutta la nostra zona con perquisizioni ed arresti di attivisti (tra i quali Tavacca e Grassi). Una vera retata che decimerà il Comitato Direttivo Antifascista di zona.

27 Novembre 1942 – Le tragiche vicende della guerra che stavano volgendo al disastro hanno trovato nella requisizione delle campane, dei cancelli in ferro battuto, delle inferiate delle ville un modo per tamponare il deficit militare con l’accumulo di materiale da fondere per ottenere armi da guerra. Anche le nostre 5 campane ne hanno fatto le spese. Giungono intanto dai vari fronti lettere di nostri concittadini che trasudano dolore, delusione, disperazione, tragiche azioni di guerra, notizie di feriti, caduti, prigionieri: un’incalzante corrispondenza oggi conservata con grande rispetto e cura nell’archivio parrocchiale. Un vero diario della sofferenza che i nostri concittadini hanno scritto nei giorni bui di un conflitto imposto che ha sconvolto le loro speranze in un progresso di pace e libertà. L’aver conservato questo patrimonio del vissuto sui luoghi del sacrificio e l’aver mantenuto un contatto permanente tra famiglie e combattenti tramite due rubriche “La posta del soldato” e “I nostri soldati scrivono dal fronte” hanno procurato al bollettino “La Buona Parola” un riconoscimento ufficiale di benemerenza conferitogli nel dopoguerra dalle Autorità Partigiane e Militari.

Oggi quelle centinaia di cartoline postali e di lettere costituiscono un volume di storia affidato a noi perché non cada nella dimenticanza il prezzo pagato dai nostri concittadini alla follia di regimi dittatoriali. Purtroppo oggi, ancora una volta nella nostra storia, a distanza di un secolo dal primo conflitto mondiale ed ancor meno dal secondo, la pace tra i popoli diventa sempre più un profondo desiderio, un bene sfuggito di mano, sacrificato a progetti di potere, di dominio, di intolleranza, di sopraffazione, di razzismo, di odio tra etnie e fedi religiose …

L’elenco dei caduti afforesi al fronte nel terribile conflitto mondiale in quei tragici anni ‘40 aggiunge nuovi nomi e gravi lutti ad altrettante famiglie. Ma la morte non colpisce solo su fronti lontani dove il trionfalismo della vigilia va sempre più assumendo la sorte di una nuova Caporetto: la nostra zona assiste ad una nuova fase di scontro nelle nostre strade, tra le nostre case. E si apre un nuovo fronte, ed anche qui si muore per la pace e la libertà.

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1943 – Inizia l’era eroica della Resistenza – 16 Marzo a Monza, vengono fucilati dai nazisti tre giovani partigiani della frazione di S. Mamete : Dell’Orto Luigi, Inzoli Angelo, Malfasi Giuseppe. In una corrispondenza ricevuta dal parroco di Affori Don Luigi Tognola si scrive che “i tre sono morti da eroi, da martiri, da veri uomini!”

Il mese di Agosto 1943 è caratterizzato da continue e devastanti incursioni aeree che seminano morti e distruzioni tra civili inermi sempre più fiaccati nel fisico e nel morale, in estenuante tensione per l’incombente pericolo che sconvolge la già difficile quotidianità. Anche la nostra zona viene più volte colpita gravemente e comincia a contare le prime decine di morti civili sotto le macerie delle loro case.

Novembre/ Dicembre – Serie di massicci scioperi ai quali aderisce compatta la classe operaia per ben otto giorni di fermo totale. Dura la reazione fascista con le solite angherie contro gli operai dei molti stabilimenti di zona.

1944 – 20 Giugno – a Fondo Toce 42 giovani partigiani cadono sotto il piombo nazi fascista – tra essi alcuni giovani afforesi. Il 23 Giugno a Finero viene fucilato il giovane Barlassina Giuseppe – medaglia d’oro come martire della Libertà. Il nome dei caduti afforesi per la libertà è scolpito nella lapide sullo scalone d’ingresso in Villa Litta, ma soprattutto nel libro d’oro della millenaria storia afforese. Si costituisce in clandestinità la Sez. Afforese del CLN che coordinerà la resistenza antifascista in zona. Dal Maso Attilio, Varé Enrico, Galli Luigi e Gatti Chiarina sono i componenti la dirigenza. La Sezione continuerà la sua opera organizzativa sino all’8 Luglio 1946 nel compimento del proprio dovere con impegno e fedeltà che le verranno riconosciuti con solenne elogio nel corso di una grande manifestazione partigiana a Milano.

10 Settembre 1944 – Improvvisa e devastante incursione aerea sul quartiere di Affori procura decine di morti e feriti oltre molti danni alle costruzioni civili e religiose (chiesa, asilo, oratorio). Affori si dà un motto: “Ricostruiremo” e così fu! E non fu solo ricostruzione dei gravi danni agli edifici, fu soprattutto una unanime sferzata di coraggio per far risorgere il quartiere con nuovo spirito di lotta per una liberazione dalla dittatura ed una pace che si stavano facendo sempre più possibili.

25 Aprile 1945 – L’alba di una nuova era di libertà: il “Secondo Risorgimento” segna una svolta nella storia della nostra Italia ancora una volta LIBERA ED UNITA.

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28 Aprile 1945 – Nel campo sportivo Angelo Ripamonti – dove era confluito tutto il popolo afforese, alle ore 16 si svolge una grande manifestazione di gioia con un’apoteosi di bandiere, canti patriottici e discorsi ufficiali per proclamare l’avvenuta liberazione dall’ombra del ventennio di una tragica dittatura. Ancora il popolo si è ritrovato al campo sportivo in occasione della Festa del Lavoro, 1° Maggio, con non meno entusiasmo. Parleranno al popolo l’Avv. Porta, membro del CLN di Milano, Attilio Dal Maso, presidente del CLN afforese, il dr.

Medicina della DC locale ed il parroco don Luigi Tognola. In quella splendida giornata di esultanza popolare abbiamo avvertito la presenza dei nostri concittadini che col sacrificio della propria vita sui fronti di guerra, nella clandestinità delle nostre montagne, nelle nostre strade hanno reso possibile quel momento. I loro nomi sono custoditi per il futuro nel monumento ai caduti di tutte le guerre inaugurato in piazza S. Giustina il 4 Novembre 1954: la pergamena porta questo scritto : Perché vivano nei secoli le gesta eroiche di tutti i caduti di guerra del Reparto, il popolo afforese, erigendo in loro memoria e gloria, marmoreo monumento, in questa pergamena ne scrive i nomi, traendo auspicio, dal sacrificio dei suoi morti per la Patria amata, di un domani di pace, lavoro, prosperità. Caduti nella guerra 1915/18: 145, nella guerra 1940/45: militari 50, dispersi sul fronte russo 32, patrioti 24, civili: 66, internati 7 – totale dei caduti afforesi: 324. Onore ed imperitura memoria!

Questo il sacrificio dei martiri del Secondo Risorgimento!

La nera ombra, che per un ventennio ha oscurato la storia del nostro popolo, della nostra zona, aveva ceduto il passo ad un nuovo giorno a caro prezzo della loro vita.

Così ce l’hanno donato i martiri per la libertà, il popolo della resistenza, i giorni della Liberazione.

“Tocca agli Italiani del terzo millennio non oscurarlo!”

Tratto dall’incontro tenuto dallo scrivente “L’ombra del ventennio di dittatura fascista nel Triangolo Rosso” presso la Sala “Luigi Tavacca” in via Zanoli 15, il 16 Aprile 2012, organizzato dal “Circolo Culturale Italo Calvino”

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Figura 39 In attesa dell’arrivo del Duca di Bergamo

Figura 40 Esercizi ginnici al Campo sportivo Angelo Ripamonti

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Figura 41 Ex municipio – viale Affori 12 – sede della sezione fascista “Generale Gandofo”

Figura 42 Affori bombardata

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Figura 43 Affori bombardata

Figura 44 Partigiani afforesi caduti per la resistenza

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Figura 45 Partigiani afforesi caduti per la resistenza

Figura 46 Partecipanti alla manifestazione al Campo Sportivo Ripamonti - 1° maggio 1945: comizio di Attilio Dal Maso

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NE VALEVA LA PENA Così hanno pensato quei nostri giovani concittadini al momento di porgere il petto al plotone di esecuzione nazifascista, un secondo prima di offrire la loro promettente giovinezza per un ideale! Da quei tragici momenti ci separano 70 anni, ma il tempo non è riuscito ad annebbiare quelle immagini, o peggio, a far da silenziatore allo schianto di quelle raffiche killer ed al grido di quei martiri per la libertà. Sui muri di quelle esecuzioni, su mille lapidi marmoree, su lapidi applicate per le strade dei nostri quartieri, i loro nomi ed il loro sacrificio rimarranno ricordo e monito per quella società che nei loro sogni brillava come retta da ordine, giustizia, solidarietà, sviluppo, progresso sotto l’egida della libertà. Pubblicare i loro nomi e le loro immagini sarebbe compiere un doveroso riconoscimento che susciterebbe una profonda riflessione in questi momenti storici che mettono noi, loro eredi, di fronte al fatto che il loro sogno non si è materializzato in una società vivibile, libera e giusta. Ci darebbe pure occasione per riflettere se quel plotone di esecuzione nel tempo non si sia arricchito di una nomenclatura che ha piegato il corso della nostra storia così in basso da farci assalire da un grave dubbio: Ma ne valeva la pena?

Nei momenti in cui rileggo le pagine della pubblicazione ANPI di Affori “Per non dimenticare” e guardo negli occhi i volti delle decine di giovani martiri della nostra Zona, ripeto i loro nomi, le loro vicende, loro, coi quali molti di noi hanno vissuto quei tragici eventi, fermo il tempo in rispettoso silenzio e li rivedo tutti : Emilio, Achille, Ernesto, Ferruccio, Ettore, Giuseppe, Luciano, Angelo … quanti, troppi! Ogni 25 Aprile vi ricorderemo con affetto e riconoscenza ricorderemo la vostra giovinezza pagata in riscatto di un avvenire, che purtroppo è il tempo che stiamo vivendo nell’angoscia dei giovani senza lavoro, degli anziani soli, dei padri di famiglia licenziati, dei poveri sempre più poveri e indifesi, dei molti problemi ancori irrisolti, delle nuove emergenze che ci trovano impreparati, delle divisioni che minano la nostra unità, dell’indifferenza verso i più deboli… E ricorderemo quelle splendide mamme di famiglia che allora, senza problemi di quote rosa, si resero protagoniste della Resistenza e cooperanti nella Liberazione, che nel Novembre 1943 ebbero la forza ed il coraggio di costituirsi in Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti per la libertà. Ricorderemo pure con commozione il loro sacrificio, troppo spesso relegato a fondo pagina a caratteri illeggibili. 25 Aprile, una tappa speciale nella nostra storia, una data incancellabile, una parola dovuta, un pensiero profondo, un monito accettato, un proposito fermo e 101

non negoziabile per la giustizia e la libertà. Dopo di che possiamo, all’unisono coi nostri martiri, affermare: “La vostra non fu un’utopia, ne valeva la pena!”

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ONORE AI CADUTI E AI DEPORTATI Ogni anno, il 27 gennaio, il mondo si ferma in profondo silenzio nel rispettoso ricordo dell’orribile tragedia che ha gettato una macchia di vergogna nella storia dell’umanità. La folle utopia di menti stravolte da ideali accecanti, assetate di potere, abbagliate dalla supremazia e purezza della razza, alla ricerca delle gloriose gesta di antichi tirannici imperi, ha prodotto un genocidio in cui milioni di esseri umani, innocenti ed indifesi, hanno trovato una fine tragica quanto ingiustificata. Colgo l’occasione per ricordare ai miei concittadini le centinaia di vittime delle dittature, deportate nei lager o in campi di lavoro, che anche la nostra Zona commemora con profondo dolore e grande affetto. I ricordi della mia adolescenza, ben impressi ancora nella memoria e che, per la tragicità degli eventi, non possono svanire nel nulla, mi riportano alle decine di giovani antifascisti strappati alle loro famiglie, alla loro patria e trasportati in vagoni bestiame sigillati nei lager nazisti dove hanno visto sfumare la loro vita, luminosa di ideali e promesse, in una maniera così inumana che non ha precedenti nella storia. Qualche nome di miei concittadini mi risuona nella mente, e mi commuovo nel rimirare la loro foto pubblicata nel volume “Per non dimenticare” edito dalla Sez. ANPI di Affori: Veronesi Danilo, Gaslini Angelo, Sabotti Luciano, Bose Egidio, Arrigoni Alfonso, Valagussa Angelo, Marangoni Guido, Brambilla Pietro, Bonalumi Emilio, Fabbro Achille, Brasca Ernesto, Aielli Ettore, Barlassina Giuseppe (medaglia d’oro del Comune di Milano –Aprile 1972), Paternoster Serafino, Gorla Emilio, Mazzola Ferdinando, Conti Giuseppe (Ambrogino d’oro 1972), Manzoni Emilio, Perelli Rosolino, Targato Primo, Dell’Orto Luigi, Malfasi Giuseppe, Inzoli Angelo, De Ponti Dante, Lamperti Antorio, Lanzani Giulio, Galloni Giovanni, Polli Giuseppe, Turati Luciano, Marani Antonio, Mazzola Ferdinando, Valagussa Ferruccio ,…Martiri che hanno un nome, un volto, una vita spezzata dalla follia della dittatura! Una nobile schiera che merita non solo il nostro ricordo riverente, ma anche un affetto particolare perché la nostra libertà è nata dalla loro schiavitù e dalla loro gloriosa morte tra le fatiscenti baracche di Mauthausen, Hossenbourg, Dachau…e sotto le raffiche dei plotoni di esecuzione nazifascisti a Fondo Toce, Val Grande, Val Cannobina, Baveno, Val d’Ossola, Finero, Val Vigezzo! Mi sono sentito in dovere di riproporre questi miei pensieri affinché gli adulti ricordino, i giovani sappiano e tutti noi ci adoperiamo con ogni mezzo e con impegno, perché questo non avvenga più. Mai più!

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Figura 47 Lapide in onore dei partigiani caduti - Scalone Villa Litta

Figura 48 Lapide in onore dei partigiani caduti - Scalone Villa Litta

Figura 49 Campo di concentramento di Auschwitz

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RIVIVO NEL RICORDO QUEL 25 APRILE 1945.

Una splendida giornata di sole primaverile, almeno così la ricordo, un’alba promettente, già sveglio di primo mattino, rumori strani per le strade, gente di fretta nei cortili…l’impressione di un evento ormai maturo e pronto per piombarci addosso, serpeggiare per vie e piazze, avvolgerci nel suo turbinio. Per un ragazzo come me erano più i punti interrogativi che quelli esclamativi, anche perché in famiglia, in cortile, nella mia solitaria via c’era più animazione che risposte: gente che si interrogava, che si mandava voce dalle ringhiere, che usciva sui ballatoi, che scendeva di fretta le scale, il mormorio montava e faceva da sottofondo a questa popolare incertezza di tante persone che man mano si andavano compattando gruppo poi folla e dall’incertezza cominciava a prender forma una risposta: CI SIAMO ! Come un sonoro squillo di tromba, un dirompente concerto di campane, un pieno d’orchestra un grido unificò quella folla, i miei concittadini afforesi, trovatisi a gridare all’unisono “Liberazione, Libertà, Speranza, Futuro!” Dieci, cento, mille, chissà, una folla che ingrossava, ondeggiava, sfilava, andava, dove? Mah, una gioiosa e chiassosa invasione del quartiere, uomini, donne d’ogni età e condizione, fazzoletti, bandierine, bandiere, vessilli, canti, suoni, urla, e si andava. Anche noi ragazzi tra loro, noi, i cittadini del futuro, che avremmo potuto raccontare di quale forza esplosiva sia capace un popolo per anni compresso nella pesante cappa del silenzio, nei legami di una catena che ti impedisce di agire, un bavaglio che ti impedisce di esprimerti, una nebbia che ti impedisce di pensare...anche noi, anch’io che sto battendo sulla mia tastiera queste poche righe e mi struggo di non poterne estrarre in tutta pienezza quel groviglio di sentimenti che si sono sprigionati dalla mia pur inesperta età giovanile in quel fatidico momento in cui ho sentito vibrare l’aria della mia Affori dopo anni di un grigiore di stenti, di dura quotidianità ed anche di morte. Affori era stata oltraggiata due volte con una morte piovuta improvvisa dal cielo, con la morte che ha il volto di decine di giovani trafitti da uno sparo, caduti nelle boscaglie, sui monti, ed anche nelle vie del nostro quartiere. Questo lo sapevamo anche noi ragazzi, ce l’avevano raccontato con sommessi bisbigli i nostri padri tra le mura di casa. Una preghiera, un ricordo, un pensiero che non si è sbiadito nel corso di sette decenni. Anzi! Si ravviva quando, ormai coi capelli bianchi, passiamo accanto al monumento ai caduti, alle lapidi sui muri del nostro quartiere, marmo di lucente biancore, che ce li ricorda con un nome, una data, un fiore, 25 Aprile anche per loro! Sono risorti ed i loro spiriti ci vivono accanto nella speranza di non aver sacrificato invano un promettente futuro nel momento della loro 105

primavera. Quel giorno fu solo l’inizio di uno sconvolgimento storico non solo a livello nazionale, ma nel vissuto del nostro quartiere che si trovò a compattare improvvisati ostacoli alla fuga di ufficiali e soldati tedeschi che, in ordine ed in gran fretta, abdicando allo spudorato orgoglio dei conquistatori, si dirigevano verso nord. Furono proprio in quei momenti che sulla via Astesani, che chiamavamo “lo stradone”, immerso nella folla sbandierante il tricolore gelosamente custodito nei cassetti, rividi in tutta lucentezza di ricordi la scena di mesi prima: il roboante passaggio di oltre un centinaio di terrificanti carri armati Tigre, l’ultimo segno della potenza bellica tedesca, lungo quella stessa via Astesani, con le case che tremavano al fragore dei cingoli, e giovani ufficiali, impettiti e statuari che con gelido, altero e sprezzante sguardo, passavano in rassegna i volti di uomini e donne, dignitosi nella loro impotenza, e noi ragazzi impauriti al massimo da quello sfoggio di potenza titanica. La Storia! Dopo quasi un anno sconfitti, umiliati e fuggitivi hanno ripercorso a ritroso la stessa strada! Una lezione che ancora oggi ha molto da dirci, un messaggio che ci giunge da quello splendido giorno di Aprile, 70 anni fa, una primavera anche per noi afforesi che troppo abbiamo pazientato, troppo abbiamo pagato; un giorno che molti nostri concittadini hanno sognato, ma non erano al nostro fianco per viverlo nella gioia della vittoria! Non li ho conosciuti di persona ma sapevo che stavano in via Cialdini (Bonalumi, Barlassina, Turati, Mazzola, Gaslini) in viale Affori (Valagussa, Gorla, De Ponti) in Bovisasca, in Dergano, a Bruzzano, alla Bovisa …tutti giovani promettenti, antifascisti tenaci sino a pagare il rischio con la vita. Per un ragazzo sono momenti storici e incancellabili che lasciano una profonda ferita nell’animo, una cupa scia nei ricordi. Anche quelle “barricate” che mi ricordavano le gloriose Giornate milanesi della “Prima liberazione” dall’oppressore: specialmente quelle accatastate all’incrocio Astesani/Brusuglio/Zanoli, vicino alle roventi macerie delle case distrutte dal bombardamento del settembre ’44. Anche Affori, oppressa, ferita a morte là ai posti di blocco dove sarebbero avvenuti scontri a fuoco con sequestro di camion, merci, alimentari e valori in denaro, scontri che provocheranno feriti e qualche morto nelle nostre strade. Ora i ricordi dei singoli momenti di “quel 25 Aprile” mi si accavallano nella mente, una leggera foschia dalla quale però emergono persone, volti, bandiere, cortei, un quartiere che assaporava la propria resurrezione, una conquista di libertà a lungo sognata, sofferta, vissuta nel nascondimento, nella persecuzione, velata o negata con la forza. Quel 25 Aprile! Gli eventi dei giorni successivi fanno parte non secondaria della partecipazione degli antifascisti afforesi alla liberazione: su quelle barricate, per le strade del rione ci furono scontri, feriti afforesi in rapida 106

successione; il 26 fu il giorno di più intensa attività sino a tutto il 27 con la definitiva liberazione di Affori! Alcune sacche di resistenza finirono per poi estinguersi nei giorni successivi. Il 1° Maggio, una data già di per sé molto significativa, fu il tripudio e l’apoteosi al campo sportivo Angelo Ripamonti dove si ritrovò tutto il popolo di Affori a celebrare la grande festa mondiale del Lavoro e la sospirata liberazione dal fascismo! Potrei continuare nel racconto di quei giorni e degli anni di lotta clandestina che li hanno preceduti e preparati, ma rimando ancora una volta i lettori alle belle pagine scritte nel volume “Per non dimenticare” edito dell’ANPI Sez. di Affori nel 1995, cinquantennale di quel luminoso 25 Aprile. I miei ricordi di ragazzo, che da afforese ha vissuto quei momenti storici in cui la tristezza e il dolore lasciavano spazio all’esultanza e alla gioia, hanno di nuovo commosso il mio animo che tenta di trasmettere quei sentimenti sulla tastiera del pc. Per poi essere letti dai miei concittadini la cui sensibilità saprà molto meglio di me ridar loro quel valore che si tramuti in messaggio scolpito nel cuore specialmente dei giovani ai quali auguro di mai più dover affrontare nel loro futuro chi attenta e soffoca la loro libertà !!!

Figura 50 simbolo ANPI

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Figura 51 Articoli sulla Liberazione

Figura 52 Articoli sulla Liberazione

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Figura 53 Alcuni momenti delle barricate fatte in via Pellegrino Rossi

Figura 54 Alcuni momenti delle barricate fatte in via Pellegrino Rossi

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Figura 55 ....25 aprile 1945. Via Astesani: folla sbandiera il tricolore

Figura 56 ....25 aprile 1945. Via Astesani: folla sbandiera il tricolore

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Figura 57 monumento ai caduti afforesi della 1^ e 2^ gm

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…FONDATA SUL LAVORO L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro

Così inizia la nostra Costituzione repubblicana! Ad una lettura superficiale sembrerebbe una frase sconcertante nella sua semplicità, ma ogni parola ha un peso ed un valore tali che i Padri costituenti le hanno volute come colonne portanti sulle quali costruire il volto, il senso e l’anima della nostra Nazione e del nostro vivere nel sociale. Con grande senso civico di uomini e di cittadini è nostro dovere rileggerle nel loro più profondo ed autentico significato.

Repubblica fondata sul lavoro di tutto un popolo nel suo assieme e di ogni singolo cittadino che, col proprio responsabile e personale apporto, contribuisca al progresso della società ed all’ottimizzazione del bene comune. Come in un grande mosaico in cui è raffigurato il progetto di costruzione di una società in cammino, in cui ogni tessera è al suo posto, ogni cittadino, secondo le proprie capacità fisiche, economiche, intellettuali, potenzialità, dignità, senso del dovere, si rende disponibile a collaborare al comune progresso. Il cittadino che così si sente soggetto in una società in cammino offre la propria operosità fruendo di diritti inalienabili e accettando doveri che regolamentano un giusto e paritetico dialogo con le istituzioni. Una giusta e paritetica trattativa sullo scambio di domanda e offerta che armonizzi classi di cittadini che mettono a disposizione della Repubblica democratica il proprio bene: finanza e capacità, mezzi e idee, investimenti e progetti che non escludano nessuno dalla possibilità di rendersi utile e con dignità poter sostenere gli impegni ed i doveri derivanti dalle proprie scelte di vita. Trattativa e dialogo che escludano invece prepotenza, sopraffazione, sfruttamento, ricerca esclusiva del profitto e del potere, declassazione di priorità, conflitti e incomprensioni; al tavolo del progetto di una società fondata sul diritto alla partecipazione, ogni cittadino in quanto tale ha diritto ad un posto che gli permetta di esprimersi e di operare con la stessa dignità che gli impone di rispettare la parola data. Ed in questa ottica la parola lavoro si apre in orizzonti molto più ampi che il solo prestare opera: onestà di intenti che mette in gioco un intreccio di comportamenti che le istituzioni hanno il compito di regolamentare ed il cittadino di rispettare. Ogni tessera del grande mosaico sta al suo posto, prende coscienza del proprio ruolo, difende i propri diritti, accetta i propri doveri. Il tutto condensato in quelle quattro parole, in quella frase estremamente semplice. Ma di una pregnanza che dà senso e valore e che ci permette di continuare la lettura di quella Magna Carta con 139 articoli, 18 disposizioni transitorie e finali e che termina 112

affermando: “La Costituzione dovrà essere fedelmente osservata come legge fondamentale della Repubblica da tutti i cittadini e dagli Organi dello Stato. Roma 27 Dicembre 1947 – firmato Enrico De Nicola”.

E noi, cittadini italiani, prendemmo coscienza di essere un POPOLO, libero. Il periodo storico della nostra Rinascita, iniziato nel primo Risorgimento col movimento popolare spinto da un sogno di libertà, bagnato dal sangue dei martiri del Secondo Risorgimento, durato oltre un secolo di sacrifici e forza di volontà popolare ci ha portato alle soglie di una nuova era. Per questo la nostra gioia di Italiani è esplosa in quei giorni: la Repubblica Italiana si è data una Costituzione Democratica!

Figura 58 Roma - 27 dicembre 1947 - Il Presidente E. De Nicola firma la Costituzione Italiana

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Figura 59 Immagine della Costituzione Italiana

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IL NUOVO RISORGIMENTO ITALIANO!

Quando il Presidente della Repubblica Italiana, libera, democratica ed unita: l’On. Giorgio Napolitano, ha lanciato il suo grido: “O si cresce assieme, o non si cresce!” coronava, con grande senso di responsabilità e chiaroveggenza, l’anno delle celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia. Ben sapendo tutta la gravità della sua affermazione e la profondità dei valori che essa sottintende, il Presidente Napolitano, colui che si pone garante delle istituzioni democratiche e ne indica i principi ispiratori contenuti nella Costituzione, riecheggiava il grido di dolore che per due secoli di storia risorgimentale ne hanno tracciato il cammino. Il “grido di dolore” che un popolo, nell’imminenza di una non improbabile caduta in un vortice della cui potenza distruttrice la storia ci ha lasciato tragici esempi, lanciava a coloro che ne potevano reggere le sorti. Se il termine “crescita” abbraccia non solo il progresso economico di un popolo, ma include anche la sua liberazione da ogni tipo di schiavitù politica, sociale, morale, il suo progresso in fatto di benessere, di acquisizione o tutela di diritti spesso negati, di una concreta attuazione di equità di trattamento, allora siamo di nuovo chiamati, come Italiani, tutti indistintamente, non solo, ma con un solo spirito, ad un “Nuovo Risorgimento” dell’Italia repubblicana. Nella nostra storia spesso, come popolo, siamo stati inumati sotto variegate spoglie, spesso abbiamo conosciuto antri oscuri di sepolcri, pur avendo grande vitalità nelle menti e nei cuori ed un glorioso passato. Le catene di ogni tipo di schiavitù hanno avvolto l’Italia o quel complesso di staterelli che tappezzavano disuniti il territorio della nostra penisola e per secoli ne hanno fatto una entità etnica e politica in perenne contrasto o sotto dominio di potenze straniere. Abbiamo tuttavia conosciuto un Umanesimo ed un Rinascimento che ci hanno portati sin alle più alte vette della cultura, della scienza e dell’arte: il genio e la creatività del nostro popolo ci permetteva allora di emergere nella stima del mondo intero.

Nomi illustri di grandi personalità e di geni immortali danno ancor oggi pennellate di colore in ogni campo del progresso dai bui secoli del Medio Evo, stupore per i potenti che pensavano di aver nelle proprie mani il destino di questo popolo di oppressi, senza una vera patria, una bandiera, una guida perché vicini ma separati da innaturali confini, tuttavia con una potenzialità che i secoli hanno riscoperto quando il popolo si trovò libero ed unito.

Quando con rispetto in tutto il mondo si citano Dante, Petrarca, Leopardi, Carducci, Leonardo. Giotto, Michelangelo, Raffaello, Tiziano, Cristoforo Colombo, Galilei, Marconi, Fermi, Verdi, Bellini, Rossini, Puccini … non si 115

può ignorare quale cultura ne fu la culla, quale popolo ne può vantare la paternità. A quel popolo non mancava la grandezza, ma la coscienza del proprio ruolo storico. Venne però la scintilla rivoluzionaria sprizzata nelle ardimentose menti dei giovani del 1821 (quelli che “noi credevamo”) ad innescare un incendio purificatore destinato a scuotere la cenere depositata da secoli sul fuoco sopito, ma non mai spento della dignità e dell’orgoglio del nostro popolo.

Un alternarsi di momenti difficili, tragici spesso ed esaltanti per la vittoria conquistata a caro prezzo da un movimento di popolo insorto per appropriarsi del futuro: Custoza, Magenta, Novara, Goito, Montebello, Solferino, Belfiore, Calatafimi, Milazzo, lo Spielberg, le esecuzioni, Carbonari, Giovane Italia, eroi e delatori, gloriose giornate di Milano, Brescia, Nola, Palermo, Napoli… pagine di storia da rileggere oggi per capire su quali basi si fonda la nostra libera ed unita Italia e quale bagaglio di lacrime e sangue ne fu il prezzo. A queste vanno aggiunte altre, scritte con onore sulle sponde del Piave, dell’Isonzo, a Caporetto, all’Adamello, tra le rocce dolomitiche nel primo conflitto mondiale. Altre ancora vanno a formare la memoria storica da riscoprire e conservare: il capitolo del nuovo Risorgimento scritto in mesi di lotta alla macchia, tra i monti, le prealpi, l’appennino in ogni luogo anche sperduto del nostro Paese; una lotta impari ma determinata per di nuovo far risorgere l’Italia dal coma della dittatura e dall’oppressione nazifascista. I nomi di quei giovani ricordano famigliari e amici vissuti tra noi. E l’Italia unita ce la fece un’altra volta a risorgere perché unita, con un solo ideale di libertà. Tutto un popolo nel ’45 esultò unanime inneggiando alla propria liberazione, ottenuta con una resistenza senza compromessi o cedimenti. Il baratro era molto vicino ai suoi piedi, anche allora. Ancora nella memoria e nel vissuto ci sono testimonianze dei sacrifici che tutto il popolo si trovò ad assumere per non perdere in dignità, diritti, libertà. E l’Italia seppe risorgere e, faticosamente ma con puntiglio, progredire e crescere! Il filo conduttore che attraversa le pagine con le quali ho cercato di presentare l’evento storico del Risorgimento come vissuto dalla nostra gente, è dato dalla progressiva presa di coscienza di un assieme di cittadini che avvertono d’essere un popolo, di volerlo essere, di avere una storia, una cultura, delle tradizioni e costumi in comune. Di poter diventare una Nazione, di costruirsi una Patria che tutti contenga e unisca. E quel popolo ha prima pensato, poi sperato ed infine fu convinto di farcela. Ad ogni costo. Dopo le tempeste delle due guerre, il periodo del conquistato progresso economico – industriale, la stagnazione ed i tracolli finanziari di un sistema, si è presentato ineluttabile il dilemma: risorgere o soccombere, osare o arrendersi. In quei momenti altrettanto difficili era risuonata, anche allora tempestiva e risoluta, 116

l’affermazione del Presidente Scalfaro: “L’Italia risorgerà!” Dopo un incerto ed estenuante alternarsi di buio, di attese, di aspettative e di speranze, un'altra responsabile guida della nostra Nazione, il Presidente Napolitano, durante il messaggio di fine di un anno travagliato e sofferto, in previsione di dure battaglie contro nuove schiavitù possibili ed incalzanti nell’immediato, con la fermezza di chi sa di rivolgersi a quello stesso popolo più volte provato e risorto, lanciava la comune sfida ai giorni bui, chiamando a stringere le file, gomito a gomito, mano nella mano con uno stesso impegno per il bene comune di questa e delle future generazioni : “ L’Italia può e deve farcela!”

Scuotendo gli animi del popolo italiano, incitando all’unità di intenti e d’azione tutte le forze democratiche, dando speranza e fiducia ad una Nazione per la riconquista del suo posto nel consesso mondiale, il nostro Presidente Napolitano ci stava dicendo che il 2012 doveva essere l’anno del nostro NUOVO RISORGIMENTO.

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PROIETTATI VERSO UN MIGLIORE FUTURO

Ho iniziato questa rassegna dei fatti che abbracciano quasi due secoli di storia vissuta nella nostra zona col Proclama di un Imperatore che si rivolgeva ai “suoi popoli” giustificando l’entrata in guerra contro il nuovo corso della storia della nostra Patria: l’ho premesso con un preciso intento in quanto concludo questo lavoro con l’accorato appello al suo popolo di un Presidente della Repubblica Italiana libera e democratica: l’on. Giorgio Napolitano. “Ai miei popoli” – “L’Italia libera e democratica può e deve farcela!” 153 anni separano i due appelli: l’incitamento alla guerra e lo sprone al progresso civile, morale, culturale nel segno della pace e concordia di tutto un popolo! Dai primi fervori patriottici dell’800 alla continua ricerca del progresso di un popolo desideroso di libertà e unità si snoda per quasi due secoli la vicenda storica dei due Risorgimenti: pagine di lotta, sacrifici, conquiste, dolori, aspettative, delusioni, sconfitte, rivincite. Pagine scritte da tutto un popolo che agli ideali di progresso e libertà ha sacrificato milioni di suoi martiri perché potesse risorgere da secoli di schiavitù, oppressione, prepotenze, ingiustizie, divisioni, umiliazioni. I due Risorgimenti ci hanno consegnato un popolo retto da una Costituzione democratica, fondata sul lavoro, sulla giustizia, sulla dignità. Di questo popolo con orgoglio ed onore fa parte la gente della nostra Zona, protagonista attiva e responsabile in quegli eventi che hanno costruito la nostra odierna società nella giustizia e nella libertà. Ne è valsa la pena quindi. Che gli eredi del terzo millennio non vanifichino il tesoro ricevuto in consegna da questa Storia!

Luigi Ripamonti

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PERSONAGGI CHE EBBERO UN RUOLO NELLA STORIA DEL NOSTRO RISORGIMENTO ED AI QUALI SONO DEDICATE VIE O PIAZZE NELLA NOSTRA ZONA

ABBA CESARE ANDREOLI don GIUSEPPE ANGELONI LUIGI ARESE FRANCESCO

ARMELLINI CARLO ARRIVABENE GIOVANNI Padre BASSI UGO BELLERIO CARLO BELGIOJOSO TRIVULZIO CRISTINA BONOMI AMILCARE BORSIERI PIETRO BRIVIO CESARE BROFFERIO ANGELO BROGLIO EMILIO CALDESI VINCENZO CANDIANI GIUSEPPE CAPSONI don SIRO CARNEVALI ANTONIO CASTELLINI NICOSTRATO

CAVALLETTO ALBERTO CIAIA IGNAZIO CIALDINI gen. ENRICO

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COLLEGNO GIACINTO COSENZ ENRICO DE CANAL BERNARDO DE CASTILLIA GAETANO DI PIETRAMELLARA PIETRO DURANDO GIOVANNI FACCIO FRANCO FARINI CARLO FINZI GIUSEPPE

FONTANELLI ACHILLE GARIBALDI GIUSEPPE GRAZIOLI don BARTOLOMEO GRILLONI GIUSEPPE

GRIOLI don GIOVANNI GUERZONI GIUSEPPE IMBRIANI famiglia LANCETTI VINCENZO

LITTA MODIGNANI ALESSANDRO MAJNONI D’INTIGNANO LUIGI MARIANI PAOLO MARTINI mons. LUIGI MASINA ANGELO MENABREA LUIGI FEDERICO MERCANTINI LUIGI

MIGLIAVACCA FILIPPO 120

MONETA TEODORO ERNESTO

MONTALDI LUIGI MONTANARI CARLO NEGRI CRISTOFORO NICOTERA GIOVANNI NOVARO MICHELE OROBONI ANTONIO OSCULATI GAETANO Padre PANTALEO GIOVANNI PANTALEONI DIOMEDE PASSERINI GIOVANNI BATTISTA PASTRO LUIGI PEDRONI LISIADE

PEPE GUGLIELMO PORRO EDOARDO PORRO LAMBERTENGHI LUIGI QUADRIO MAURIZIO

REALE CARLO REGALDI GIUSEPPE RICOTTI ENRICO ROSSI PELLEGRINO SALIS ULISSE

SCALVINI GIOVITA SCARSELLINI ANGELO SCHIAFFINO SIMONE 121

SESTINI BARTOLOMEO SICCOLI STEFANO TACCIOLI ENRICO TACCIOLI GAETANO TAZZOLI don ENRICO TORELLI LUIGI TRECHI SIGISMONDO TUKORY LUIGI UGONI CAMILLO

VARE’ BATTISTA VERITA’ don GIOVANNI VISCONTI D’ ARAGONA ALESSANDRO VOCHIERI ANDREA

ZAMBELLI GIOVANNI ZANOLI ALESSANDRO

LOCALITA’ IN CUI SI SONO SVOLTI AVVENIMENTI RELATIVI AL RISORGIMENTO CAIANELLO – CILENTO – GAETA – ROCCA D’ ANFO – SALEMI TEANO –VALEGGIO

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LA LEZIONE DEL PASSATO Nell’ attuale clima di vigilia di un impegno che abbraccia la realtà europea e ne definisce i destini, mi sono soffermato a rileggere un documento d’archivio in cui viene verbalizzato il discorso di congedo che il Delegato Straordinario dei Comuni Uniti di Affori, Bresso, Bruzzano e Dergano tenne di fronte ad un numeroso pubblico riunito nella sala consigliare in occasione dell’insediamento del nuovo Consiglio Comunale avvenuto il 29 Maggio 1870. Affori e Uniti: una “unione europea” in miniatura alla quale il dr. Giovanni Mazzucchelli si rivolgeva con grande senso civico della comunità, sincera ricerca della concordia e del dialogo tra le parti e profondo convincimento del bene comune delle istituzioni e dei cittadini. Un discorso che, a mio parere, risulta di molta attualità se siamo aperti a coglierne il significato: On. Consiglieri ed abitanti dei Comuni Uniti - Nell’atto in cui sto per abbandonare l’onorifico incarico di Delegato Straordinario all’amministrazione del Comune di Affori ed Uniti, mi sento in obbligo di manifestarvi candidamente l’unico scopo per cui assunsi una tale difficile incombenza, scopo che ho la soddisfazione di dichiararvi d’aver ottenuto quale è quello di vedervi oggi qui tutti unti come Consiglieri all’amministrazione dei Comuni di Affori, Bresso, Bruzzano e Dergano. Nominato prima vostro Sindaco, quindi Delegato, ho cercato ogni via, come era mio dovere, di assopire ogni spirito di partito, insinuandovi di far valere le vostre ragioni in via costituzionale, cioè col mezzo dei vostri Rappresentanti. Ora il principio mio è raggiunto, voi vi trovate qui tutti uniti in una sola Assemblea: a voi tocca di trattare di comune accordo gli affari di ciascun Comune e far sentire all’Autorità Superiore i vostri singoli e comuni bisogni, onde ottenere, per quanto stia in voi, il maggior bene dei Comuni che rappresentate. Non perdetevi in vane gare di campanile, pensate che noi tutti siamo Italiani e che la grandezza della Nazione si ottiene con l’unione e con la concordia di tutti gli abitanti! In quanto al breve tempo che ebbi l’onore di essere alla testa di Codesta Amministrazione e come Sindaco e come Delegato Straordinario, non posso a meno che ringraziare di cuore la popolazione tutta della buona accoglienza ricevuta, della rettitudine ed assennatezza degli abitanti. Ignoto affatto a voi tutti, tranne che a quelli del Comune di Dergano, voi mi avete mostrato una vera deferenza col concorrere volonterosi ad alleviare il peso dell’amministrazione nell’adempimento di quanto impone la Legge senza mai darmi alcun motivo di lagno; sono grato a tutta intera la popolazione, né mai dimenticherò il piacere d’aver fatto la vostra conoscenza… Ora date una prova della vostra concordia nella nomina dei membri della Giunta che qui siete chiamati a scegliere…Ogni frazione di Comune ha i suoi bisogni particolari e nessuno meglio dei suoi Rappresentanti li può conoscere: fate quindi che la scelta non parta da spirito di partito, ma a norma dei bisogni locali delle varie Frazioni e dei suoi cittadini……Addio, brava popolazione di Affori, Bresso, Bruzzano e Dergano…siate generosi, datevi la mano reciproca, dimenticate ogni gara personale e, coll’unione, rendetevi forti e veri Italiani, utili al vostro Paese, al nostro Re ed allo Statuto!

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Questo discorso pronunciato a soli 9 anni dalla conquistata libertĂ ed unitĂ , a distanza di oltre un secolo non ha proprio nulla da consigliarci a proposito di importanti scelte alle quali siamo chiamati come Italiani e come Europei?

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SOMMARIO IL RISORGIMENTO VISSUTO NELLA NOSTRA ZONA ................................................................. 2 Una breve premessa ................................................................................................................................ 2 “AI MIEI POPOLI” ................................................................................................................................ 3 Con Dio per la Patria! ............................................................................................................................. 5

LE RADICI DEL PRIMO RISORGIMENTO ....................................................................................... 7 NAPOLEONE: il liberatore, il despota, l’inganno ............................................................................... 10 La maschera ed il volto ......................................................................................................................... 14

IL TRAMONTO E L’ALBA ................................................................................................................ 17 PROBLEMI QUOTIDIANI DI CASA NOSTRA ................................................................................ 21 IL MOMENTO DEI “GIOVANI RIBELLI” ........................................................................................ 24 UN NOSTRO PARTIGIANO DELL’800 ............................................................................................ 29 IL GARIBALDINO FILIPPO MIGLIAVACCA ................................................................................. 29

IL CORAGGIO DEI PATRIOTI MILANESI ...................................................................................... 35 IL BREVE PERIODO DELLA SPERANZA ....................................................................................... 38 I nostri concittadini vivono fermenti di libertà ..................................................................................... 38 IN DIFESA DELLA CONQUISTATA LIBERTA’ ............................................................................. 43 CHIAMATI AD UNA DECISIVA SCELTA ...................................................................................... 46 Monarchia o Repubblica? ..................................................................................................................... 46

DALLE BARRICATE AL RITORNO DI RADETZSKY ................................................................... 48 GLI ANNI DI PIOMBO ....................................................................................................................... 51

LA CONQUISTATA LIBERTÀ .......................................................................................................... 55 Vittorio Emanuele – C. Cavour............................................................................................................. 56

IL COSTO DELLA LIBERTA’ - L’IDEALE DELL’UNITA’ ............................................................ 60 IL GRAVE MOMENTO PRESENTE .................................................................................................. 63 “PER I NOSTRI CONCITTADINI PRIGIONIERI” ........................................................................... 66 CONDIZIONE DEI PRIGIONIERI ..................................................................................................... 69 D. Guido Astori – Cappellano degli Alpini” ......................................................................................... 69

LETTERA DI UN SOLDATO AFFORESE DALLA PRIMA LINEA ............................................... 71 Zona di guerra 10 Aprile 1918 .............................................................................................................. 71 ORFANI – PRIGIONIERI – PROFUGHI ............................................................................................ 73 Problemi di accoglienza ........................................................................................................................ 73

IL SECONDO RISORGIMENTO ........................................................................................................ 78 DAL “TRIANGOLO ROSSO” ALLA LIBERAZIONE ...................................................................... 79

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IL VENTENNIO FASCISTA VISSUTO IN ZONA ............................................................................ 87 NE VALEVA LA PENA .................................................................................................................... 101 ONORE AI CADUTI E AI DEPORTATI .......................................................................................... 103 RIVIVO NEL RICORDO QUEL 25 APRILE 1945. ......................................................................... 105 …FONDATA SUL LAVORO ........................................................................................................... 112 IL NUOVO RISORGIMENTO ITALIANO! ..................................................................................... 115 PROIETTATI VERSO UN MIGLIORE FUTURO ........................................................................... 118 PERSONAGGI CHE EBBERO UN RUOLO NELLA STORIA DEL NOSTRO RISORGIMENTO ED AI QUALI SONO DEDICATE VIE O PIAZZE NELLA NOSTRA ZONA .............................. 119 LOCALITA’ IN CUI SI SONO SVOLTI AVVENIMENTI RELATIVI AL RISORGIMENTO ..... 122 LA LEZIONE DEL PASSATO .......................................................................................................... 123

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FONTI CONSULTATE Archivio Parrocchiale S Giustina- Affori Annate del periodico parrocchiale “La Buona Parola” dal 1914 Pasquale Greco – Figure del Risorgimento - 1960 Rosi – Dizionario del Risorgimento Nazionale Castellini G. – Eroi garibaldini – Zanichelli – Bologna – 1911 Bonola F. – I patrioti italiani – storie e biografie – Milano 1869 http://www.lombardiabeniculturali.it/stampe: Album storico artistico.

Garibaldi nelle due Sicilie ossia guerra d'Italia nel 1860

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