53a edizione Scivac Rimini

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toponendo un aspirato midollare ad IFA o coltura cellulare è possibile dimostrare un’infezione latente. In commercio si trovano test PCR attendibili per l’infezione da FeLV. Non esiste alcuna terapia. I gatti sani con infezione da FeLV devono essere tenuti in casa sia per prevenire l’esposizione di altri gatti che per proteggerli dall’infezione secondaria. È essenziale vigilare per garantire il mantenimento di routine dello stato di salute, prestando attenzione anche alla vaccinazione ed alle cure dentali. Le infezioni secondarie vanno identificate risalendo alla loro origine e trattandole aggressivamente con agenti microbicidi appropriati. La neoplasia FeLV-associata può essere trattata mediante chemioterapia o radioterapia secondo le modalità più appropriate per il tipo di tumore in causa. L’anemia associata a FeLV è spesso difficile da trattare. L’infezione secondaria da M. haemofelis va esclusa, e i casi accertati di anemia immunomediata vanno trattati mediante immunosoppressione. Come intervento di sostegno si può utilizzare la trasfusione di sangue. Alcuni gatti rispondono all’eritropoietina umana ricombinante (100 unità/kg SC tre volte alla settimana). Spesso è stata tentata l’immunomodulazione, ma esistono poche prove cliniche controllate che dimostrino l’utilità di queste terapie. La proteina A stafilococcica (10 µg/kg IP due volte alla settimana) ha determinato un miglioramento soggettivo in gatti malati con infezione da FeLV. I soggetti con duplice infezione da FeLV e FIV hanno dimostrato un certo miglioramento con IFN-omega felino ricombinante (1[M]/kg/die SC per 5 giorni in 3 serie ai giorni 0, 14 e 60). L’ideale è tenere in casa gatti non infetti che vivano solo con altri gatti non infetti. Per l’infezione da FeLV è disponibile la vaccinazione, che però va praticata solo ai gatti FeLVnegativi. Come per tutti i vaccini, al suo impiego sono correlati dei potenziali rischi (compreso il sarcoma del punto di vaccinazione) ed è necessario valutare individualmente il rapporto rischio:beneficio; quella contro FeLV non è una delle vaccinazioni di base dei gatti adulti a basso rischio. Sembrano essere ugualmente efficaci sia i vaccini inattivati che quelli a subunità, ma la vaccinazione non è mai completamente efficace e si possono avere degli insuccessi dovuti ad una varietà di ragioni.

Virus dell’immunodeficienza felina FIV è stato scoperto per la prima volta nel 1987 e pochissimo tempo dopo sono stati resi disponibili i test diagnostici di routine. Il primo vaccino anti-FIV è stato rilasciato nel 2002. Il virus determina principalmente una malattia dei gatti adulti, con i maschi infettati più frequentemente delle femmine. Benché possa esistere, la trasmissione verticale non è epidemiologicamente importante. Invece, la malattia si diffonde tipicamente attraverso lo stretto contatto fra gatti, specialmente in associazione con i comportamenti da combattimento dei gatti maschi adulti. Dopo l’infezione iniziale il virus si replica nel tessuto linfoide (compreso il timo) e salivare, con successiva disseminazione ad altre sedi. Man mano che il gatto sviluppa una risposta immunitaria parzialmente efficace, il numero di particelle virali circolanti diminuisce e l’animale sembra sano. Alla fine, spesso dopo molti anni, si ha un graduale deterioramento della funzione immunitaria.

53° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Infine, si osservano infezioni secondarie e malattie associate, che esitano nella fase terminale della malattia. Come nel caso di FeLV, i segni clinici variano notevolmente. L’infezione acuta di solito è silente, ma può causare febbre autolimitante, neutropenia e linfoadenopatia. I gatti restano tipicamente in buone condizioni per molti anni, prima di sviluppare infine infezioni secondarie o complicazioni di malattie. I quadri più comuni sono rappresentati da febbre ricorrente, anoressia, perdita di peso, malessere, oculopatie infiammatorie, gengiviti e stomatiti, infezioni secondarie del tratto gastroenterico, respiratorio e urinario o persino neoplasie maligne. Occasionalmente, le manifestazioni neurologiche di FIV vengono identificate senza altre affezioni infettive o neoplastiche del sistema nervoso. I test per la diagnosi dell’infezione da FIV vanno effettuati in qualsiasi gatto malato e sono consigliati al momento dell’adozione di un nuovo gatto in famiglia o come controlli periodici nei gatti che vivono all’aperto. Benché negli stadi finali dell’infezione si possano osservare linfopenia e trombocitopenia, certamente si tratta di riscontri aspecifici. Analogamente, le anomalie del profilo biochimico o dell’analisi dell’urina non sono specifiche, e probabilmente riflettono i processi patologici secondari. I test di routine per la diagnosi di FIV ricercano anticorpi sierici piuttosto che l’antigene. I test ELISA sono facilmente disponibili ed hanno buona sensibilità e specificità. Sfortunatamente, l’identificazione degli anticorpi non permette di distinguere fra quelli che si sono formati in seguito ad un’autentica infezione e quelli acquisiti mediante il trasferimento passivo dalla madre oppure attraverso la vaccinazione. I gattini positivi devono essere riesaminati dopo aver raggiunto l’età minima di 6 mesi. Come per qualsiasi altro test, si possono avere risultati falsi positivi e falsi negativi. Per confermare la presenza degli anticorpi anti-FIV si può utilizzare il metodo Western Blot, che però non consente comunque di stabilire se l’origine dell’anticorpo è un’autentica risposta all’infezione. I gatti infettati di recente o gravemente immunodepressi possono rispondere negativamente al test a dispetto dell’infezione. L’identificazione del virus mediante PCR non è disponibile come procedura di routine. Non esiste alcuna cura per l’infezione da FIV. I gatti infetti e sani devono essere tenuti in casa mantenendo costanti le cure sanitarie di routine, comprese le cure dentarie di routine e la vaccinazione. I gatti malati necessitano di una diagnosi pronta e del trattamento delle complicazioni secondarie. È stata tentata l’immunomodulazione, ma mancano prove controllate. Le manifestazioni neurologiche possono rispondere alla terapia antiretrovirale (AZT, 15 mg/kg PO BID), ma sono comuni gli effetti collaterali. Per FIV esiste una vaccinazione, ma è prevedibile che i gatti vaccinati rispondano poi positivamente ai test per la diagnosi dell’infezione, e bisogna quindi identificarli chiaramente (microchip o tatuaggio). La necessità di vaccinare i gatti che hanno scarse probabilità di azzuffarsi con i conspecifici (come quelli che vivono in casa), è discutibile.

Indirizzo per la corrispondenza: Leah Cohn - University of Missouri College of Veterinary Medicine, Columbia, MO, USA, 65211


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