Professione Veterinaria, Anno 2007, Nr 38

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Professione 38-2007

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laPROFESSIONE VETERINARIA 38/2007 ANMVI INFORMA

Segnalazione dell’ANMVI ai suoi legali sul caso di una “dentista fai da te”

Igiene dentale: se non la fa il veterinario è abuso di professione Se la legge non definisce le competenze, entra in gioco la giurisprudenza

isale a poche settimane fa l’ennesima segnalazione dell’ANMVI ai propri legali di fiducia per un presunto caso di esercizio abusivo della professione veterinaria confermatosi poi tale. Si trattava di un servizio di igiene dentale per cani e gatti, offerto da una operatrice non risultante iscritta ad alcun Ordine provinciale. L’evidenza di circostanze penalmente rilevanti, confermate dall’avvocato Maria Teresa Semeraro (v. box), ha quindi indotto l’ANMVI a valutare le modalità e le possibilità di successo di un esposto alla Procura della Repubblica. Il parere dell’avvocato Semeraro arriva in un momento in cui la professione avverte come improcrastinabile la definizione per legge delle proprie competenze riservate ed esclusive. A ricordarci che non esiste un sostegno normativo alle nostre rivendicazioni è tornato recentemente anche il Ministero della Salute, con una nota di chiarimento inviata alla FNOVI sui sistemi di identificazione animale. Tuttavia, il parere dell’avvocato dell’ANMVI, che invitiamo i Colleghi lettori a leggere attentamente, ci dice che non siamo del tutto privi di tutele: la giurisprudenza ci viene in aiuto, anticipando il Legislatore, e il parallelo con la medicina umana può, in alcuni casi, offrire una sponda.

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Invasioni di campo “Il fenomeno dell’abuso di professione in medicina veterinaria è purtroppo consistente- osserva il Presidente dell’ANMVI Carlo Scotti- e si traduce in episodi di illegalità diffusa, maltrattamento animale e pregiudizio della sicurezza degli alimenti di origine animale”. “ L’ordinamento attuale aggiunge - non consente alla pro-

fessione medico-veterinaria di stabilire il confine fra l’esercizio abilitato dallo Stato e quello abusivo. Lo scenario del rapporto uomo-animale è mutato rapidamente e oggi il medico veterinario non è più quello di vent’anni fa. Oggi il medico veterinario è un professionista della salute animale e della sicurezza degli alimenti, che si muove in un contesto sociale radicalmente mutato, sia sotto il profilo della sensibilità animale che sotto quello economico-produttivo. Serve una ricognizione delle sue competenze di fatto e una legge che, formalizzandole, contribuisca a tutelarle”. Un decreto del ministero della Salute consentirebbe di arginare indebite invasioni di campo da parte di figure che, senza averne titolo, si comportano da veterinari. Uno dei settori più esposti è quello della medicina comportamentale. Prospettive L’ANMVI ha informato di quanto prodotto dai propri legali la Direzione Generale della Sanità e del Farmaco Veterinario, sollecitando un atto normativo che definisca le competenze veterinarie: possiamo lavorare sulla Legge 175 (v. Professione Veterinaria n. 37/2007) che non è stata abrogata nella parte in cui contrasta l’esercizio abusivo della nostra professione; possiamo contare su un imminente rafforzamento delle coperture sanzionatorie se - come auspicabile - si arriverà alla confisca per legge delle attrezzature utilizzate per l’esercizio abusivo di professione sanitaria; possiamo contare su sollecitazioni europee a stabilire una volta per tutte cosa si debba intendere per “veterinary Act”, stante che l’incertezza della definizione non è solo un problema italiano; possia-

mo, non da ultimo, contare su preziosi pareri prodotti dal Ministero della Salute che ha più volte sancito la riservatezza esclusiva di nostre competenze. Possiamo, soprattutto, contare anche su tutti i Colleghi che non lasceranno cadere l’invito dell’ANMVI a segnalare casi certi o presunti di violazione del Codice Penale. Un apposito modulo è stato redatto dall’Associazione, con la collaborazione dei propri legali, e può essere richiesto a info@anmvi.it Tale modulo garantisce l’anonimato del segnalante. La segnalazione risulta tanto più efficace quanto più risulterà comprovabile il reato. Ai fini della sua efficacia rileva anche il numero di segnalazioni da parte di segnalanti diversi su uno stesso caso. Ad oggi, il numero di segnalazioni pervenute è decisamente sproporzionato rispetto alla portata del fenomeno. L’inoculazione è riservata “Arduo operare una chiara delimitazione su alcuni specifici atti e procedure” dato che “allo stato attuale nel nostro paese manca una specifica regolamentazione che definisca le competenze esclusive del medico veterinario”. La Direzione Generale della Sanità Animale e del Farmaco Veterinario conclude con queste parole le argomentazioni sulla competenza veterinaria in fatto di identificazione animale. In una nota inviata alla FNOVI il 24 ottobre, la competente Direzione del Ministero della Salute inizialmente scrive che ”allo stato attuale, l’inoculazione del transponder, o microchip, negli animali non può che essere considerata come un atto di esclusiva competenza veterinaria. Infatti solo conoscenze certificate di anatomia, anatomia topografica, medicina operatoria, igiene, ecc. possono consentire di effettuare tale inoculazione in modo corretto, con tutte le garanzie possibili sia dal punto di vista della salute animale, ivi compresa la tutela del benessere, sia da quello della sicurezza alimentare”. Il Ministero ha anche però evidenziato che queste considerazioni “se da un lato inducono inequivocabilmente ad attribuire all’inoculazione del transponder una valenza specificatamente sanitaria, dall’altro non si prestano ad una generalizzazione applicabile all’intero settore dell’identificazione e registrazione degli animali”. La Direzione Generale ricorda infatti specifiche normative che attribuiscono anche al semplice detentore degli animali il compito e la responsabilità della loro identificazione (come nel ca-

so di bovini, bufalini, ovicaprini e suini), o assegnano ad organismi della filiera zootecnica, o del

mondo sportivo, la gestione del sistema di identificazione e registrazione (ad es. degli equidi). La

L’attività di igiene dentale è da considerarsi atto riservato al medico veterinario? di Maria Teresa Semeraro, Avv. Bologna L’attività di igiene dentale è da considerarsi atto riservato al medico veterinario? Commette il reato di esercizio abusivo di professione chi effettua attività di igiene dentale senza essere medico veterinario? Come precisato in occasione di precedenti pareri da me resi sull’argomento, il reato di esercizio abusivo di una professione (punito dall’art.348 c.p.) consiste nel compimento di uno o più atti riservati in modo esclusivo al professionista che abbia quella determinata e specifica abilitazione a compiere l’attività in parola, non ricorrendo invece alcuna ipotesi delittuosa nel caso di atti che che, mancando di tale tipicità, possono essere compiuti da chiunque, anche se abbiano qualche connessione con quelli professionali (Cass. 7/7/1999 n.7023, in Mass. Giur. It. 1999). Di conseguenza, alcune prestazioni possono essere effettuate esclusivamente dal medico veterinario (interventi chirurgici, diagnosi ecc.), laddove altre attività, pur in mancanza di figure propriamente qualificabili come personale infermieristico, non si possono configurare come prestazioni riservate al veterinario. Ci riferiamo alle attività che esulano dall’ambito strettamente medico (ad esempio iniezioni, somministrazioni del farmaco ecc.), e che pertanto possono essere effettuate anche dal non veterinario. Riguardo alla professione veterinaria sappiamo tuttavia che non si rinviene, nel nostro ordinamento, una legge che espressamente determini quali sono le attività “riservate” a tale professione. Ciò significa che, per determinare se un atto si possa configurare come atto strettamente medico-veterinario, occorre effettuare un’operazione di interpretazione delle norme vigenti, ed è necessario altresì fare riferimento alle sentenze pronunciate in relazione a fattispecie integranti l’esercizio abusivo della professione veterinaria, ma anche alla professione medica in umana, sempre che, naturalmente, si tratti di situazioni analoghe. Giova evidenziare al riguardo che recentemente la Corte di Cassazione ha configurato il reato di esercizio abusivo della professione nel caso di una assistente di poltrona di medico dentista che aveva effettuato operazioni di detartarizzazione, considerando l’igiene dentale quale atto riservato al medico dentista, attesa l’invasività dello stesso e la delicatezza dell’operazione, in ragione degli esiti (infezioni, guasti) che possono derivare da una effettuazione inesperta (Cass. pen. 24.04.2007 N°16527). Precisiamo, per completezza di informazioni, che i fatti di causa si sono verificati prima del 1999, quando è stata creata la figura dell’igienista dentale, la quale oggi è l’unico soggetto che può effettuare le predette operazioni in luogo del medico dentista, in quanto munita di un titolo abilitante. Trasponendo i suddetti principi alla medicina veterinaria possiamo affermare - alla luce della cit. sent. Cass. pen N° 16527/2007 - che il soggetto che effettua operazioni di detartarizzazione su animali senza essere medico-veterinario commette il reato di cui all’art. 348 c.p., tanto più che le operazioni di igiene dentale richiedono spesso l’effettuazione dell’anestesia, non solo su animali quali i cavalli, ma anche su animali d’affezione. A sostegno di tale affermazione ricordiamo inoltre che, come hanno precisato altre pronunce della Corte di Cassazione, “l’atto medico” è l’atto ancorato non soltanto alla diagnosi e alla terapia ma anche alla “profilassi e prevenzione degli stati morbosi” (Cass. pen., sez. VI, 25/01/1996, N°524, in Riv. giur. Polizia, 1997, 234), posto che l’attività medica consiste “nella formulazione di diagnosi, nell’indicazione di prognosi, in relazione a malattie o disfunzioni in atto o prevedibili, nonché nella prescrizione di terapie e pratiche di prevenzione, con eventuale prescrizione di farmaci, nella manipolazione del corpo umano, sempre a scopo curativo o preventivo, nella prescrizione ed applicazione di protesi o nell’utilizzazione di qualsiasi altro diverso strumento curativo o preventivo” (Cass. pen., 20/12/1995, n.3403, in Cass. Pen., 1996, 3301).


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