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SOMMARIO

Uno sguardo sull’ingegneria forense.................................................................................................................. IX Principi di base. Le figure ed i ruoli nelle scienze forensi Il consulente tecnico di parte nel procedimento penale: organo dell’ufficio di difesa e fonte di prova Alberto Tenca, Avvocato, Studio Legale Associato Di Lorenzo - Tenca...............................................12 Principi di base. Aspetti procedurali relativi all’operatività del consulente tecnico d’ufficio e di parte Aspetti procedurali insidiosi nello svolgimento del ruolo di perito nel procedimento penale, Anna Di Lorenzo, Avvocato, Studio Legale Associato Di Lorenzo – Tenca in Padova....................................................... 16 Poteri di indagine autonoma del C.T.U. nel rispetto dei principi dell’onere della prova e del contraddittorio, Riccardo Sordi, Avvocato, Ordine degli Avvocati di Treviso..................................................................... 18 La redazione dell’elaborato peritale d’ufficio: la nullità ed il ritardo nella consegna, Andrea Michielan, Avvocato, Studio Legale Associato Michielan......................................................... 23 Contenziosi nella formulazione dei compensi professionali Brevi cenni pratici in punto di recupero dei crediti professionali, Giovanni Brusatin, Studio legale Lexhub............................................................................28 Contenziosi nella formulazione dei compensi professionali: rimedi e giurisprudenza, C. Barutta, Avvocato................................................................................................30 Le attività della commissione pareri nell’Ordine degli Ingegneri, E. Gatto, consigliere Ordine degli Ingegneri della Provincia di Treviso............................................. 32 Responsabilità professionale civile e penale ed aspetti assicurativi La responsabilità professionale del progettista: spunti di riflessione, Stefano Arrigo, Studio Legale Caldart e Arrigo & Associati.....................................................................34

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Metodi di Ingegneria Gestionale applicati alla individuazione delle responsabilità in casi di frode aziendale e white collar crimes L’adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili nelle indagini forensi sui dissesti societari, Andrea Pederiva, Direttore Internal Audit SAVE SpA - Ordine degli Ingegneri di Treviso..............................................38 Indagini investigative preventive nella gestione delle frodi, M. Magri, Presidente ACFE - Association Certified Fraud Examiner, Central Italy Chapter........................... 41 Il ruolo dell’internal audit prima e dopo. L’attività di controllo “on going” e la prevenzione delle frodi vista da chi monitora il sistema di controllo interno, A. Bonomo, Responsabile internal audit Banca Finanziaria Internazionale S.p.A...................... 43 Ingegneria forense nel settore civile Le responsabilità in capo ai soggetti che partecipano a vario titolo alla realizzazione degli immobili, Giuseppe Cardillo e Paolo Savoia, Ingegneri, Liberi professionisti....................48 Gli interventi su edifici esistenti e i conseguenti contenziosi civili, Carmelo Majorana e Gianluca Mazzucco, Università di Padova............................................................49 La vulnerabilità sismica delle strutture: obblighi normativi, criticità e messa in sicurezza dei manufatti, Valentina Salomoni1) e Giuseppe Cardillo2), 1) Università di Padova; 2) Ingegnere, Libero professionista.....................................................................50 Il ruolo del consulente tecnico dell’ambito dei procedimenti d’urgenza che interessano le strutture (art.700 C.P.C.), Giuseppe Cardillo e Gianluca Pasqualon, Ingegnere, Liberi professionisti......................................51 L’analisi e l’evoluzione dei quadri fessurativi nelle strutture in elevazione realizzate in calcestruzzo o muratura, Carmelo Majorana e Giovanna Xotta, Università di Padova.................................................................... 52 L’analisi e l’evoluzione dei quadri fessurativi nelle pavimentazioni industriali, Carmelo Majorana e Beatrice Pomaro, Università di Padova......................................... 53 Fattori di vulnerabilità per edifici residenziali soggetti a tornado, Mariano Angelo Zanini1); Lorenzo Hofer1); Flora Faleschini1) 2); Carlo Pellegrino1), 1) Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile ed Ambientale, Università degli Studi di Padova, 2)Dipartimento di Ingegneria Industriale, Università degli Studi di Padova................54 Incidentistica Stradale Incidentalità stradale in relazione alle criticità progettuali e costruttive delle infrastrutture, M. Pasetto, Professore Ordinario di “Strade, Ferrovie e Aeroporti”, Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale (DICEA), Università degli Studi di Padova...............................................................58 Ricostruzione della dinamica degli incidenti stradali: ricerca e applicazione, Emiliano Pasquini, Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale (DICEA), Università degli Studi di Padova...............................................................60 La responsabilità legale per gli incidenti in cui saranno coinvolte auto a guida autonoma, Luciano Butti, Avvocato e Professore a contratto di Diritto internazionale dell’ambiente presso l’Università di Padova – Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale (DICEA).............................................................62 Il ruolo determinante del consulente tecnico nella ricostruzione della dinamica del sinistro stradale, Fabrizio Mario Vinardi, Segretario dell’Ordine Ingegneri della Provincia di Torino, Consigliere referente in materia di Ingegneria Forense................................64

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SOMMARIO

Responsabilità penali in caso di incidenti contro pali di illuminazione non a norma. La soluzione Save di Pali Campion & Atlantech, Maikol Furlani, Atlantech Srl – Pali Campion Srl...........................................................................................66 Digital forensic “e-crime” La geolocalizzazione nelle investigazioni giudiziarie, P. Reale, Presidente Commissione Informatica dell’Ordine di Roma..................................................................... 70 Miglioramento, analisi ed autenticazione di immagini e filmati durante le indagini, Martino Jerian, Amped Software – Image and Video Forensics.................................... 73 Forensics radio survey technique: bts real coverage as key digital evidence for trustworthy results in trial, Nicola Chemello, Ingegnere, Amministratore Delegato SecurCube srl................................................................................... 76 Tenendo traccia di tutto: l’analisi dei log windows per ricostruire le attività degli utenti, L. Cadonici Socio ONIF - Osservatorio Nazionale Informatica Forense...............................77 Opening session. Cognitive Bias: landfills in forensic engineering Assessing differential responsibility of pollution for environmental forensic applications, Lakshmi Priya1) ; George K. Varghese1) ; Irfan Khursheed Shah2), 1)National Institute of Technology, Calicut, Kerala, India, 2) Amar Singh College, Srinagar, Jammu& Kashmir, India..........................................................................82 Forensic sciences in Waste management and contaminated sites Analysis of contractual issues during a park construction, P. Provenzano, G.Q. Iddas, GQI Associati, Engineering and Architecture...........................................................................86 Utilization of agro industry byproducts through a rational management system for the development of new animal feeds, D. Arapoglou1); C.Eliopoulos1); J. Karalis2); G. Sioulas1), 1)Inst. of Technology of Agricultural Products (HAO-DEMETER). Athens, 2)Dep. of Agricultural Development, Democritus University of Thrace.............................. 87 The case study of construction quality control of geosynthetic clay liners in landfill covers, Daniela Kosić1); Biljana Kovačević Zelić2), 1) Hrvatske vode, Zagreb, 2)University of Zagreb, Faculty of Mining......................................................89 Geology and Petroleum Engineering, Zagreb, Sustainable solid waste management: an integrated approach for achieving healthy environment for Bangladesh’ cities, Md. Zahid Hossain; Prodip Kumar Saha; Masaharu Takasugi, ................................................................ 91 Inertization of asbestos waste: italian situation, Sergio Clarelli, President of Assoamianto....93 Assessing the liability for the remediation of contaminated sites: proportional liability and the role of the party appointed expert, Eleonora Malavasi; Beatrice Toniolo, Butti and Partners - B&P Avvocati.........................................95 Forensic sciences in Air Pollution control Odour emissions from laying hen shed, Federica Borgonovo; Andrea Schievano; Marcella Guarino, Department of Environmental Science and Policy, Università degli Studi di Milano, Milan....................................................................98 The role of landfill as a carbon sink for the estimation of global warming emissions in waste management: an environmental forensic case study, A. Pivato, F. Girotto, DICEA - Department of Civil, Environmental and Architectural, Engineering, University of Padova..............................................................................100

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Environmental forensic investigation on the particulate matter dispersion from a cement factory, Prem Mohan1); Muhammed Siddik A.1); George K. Varghese1); Irfan Khursheed Shah2), 1)National Institute of Technology Calicut, Kerala, India, 2)Amar Singh College, Srinagar, Jammu& Kashmir, India ......................................... 101 Techniques for air monitoring in the environmental emergencies management, Gianni Formenton, ARPAV Regional Environmental Protection Agency of Veneto.....................103 Ingegneria forense nel settore antincendio e sicurezza L’attività del N.I.A. e dei nuclei investigativi antincendi territoriali, M. Mazzaro, Primo Dirigente, Nucleo Investigativo Antincendi......................................................................................108 Teoria e applicazione del procedimento investigativo sulle cause d’incendio – Alcuni casi di studio, Armando De Rosa, Direzione Centrale per la Prevenzione e la Sicurezza Tecnica - Nucleo Investigativo Antincendi, CNVVF.......................................................109 Il Nucleo Investigativo Antincendio del Veneto – Indagini svolte su incendi occorsi in attività produttive in provincia di Treviso, Roberto Faotto; Michele Michielan; Frediano Brotto, Corpo Nazionale Dei Vigili Del Fuoco – Comando Provinciale Vigili del Fuoco di Treviso – Nucleo Investigativo Territoriale Veneto, ........................................... 110 Applicazione del procedimento investigativo sulle cause di incendio o esplosione - Due casi di studio, Marco Minozzi, Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco - Direzione Interregionale Vigili del Fuoco Veneto e Trentino Alto Adige - Nucleo Investigativo Territoriale Veneto...................................................................................................... 114 Incendio in un centro commerciale dalle prove sperimentali all’analisi computazionale, Francesco Pilo, Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco – Comando Provinciale Vigili del Fuoco Venezia – Nucleo Investigativo Territoriale Veneto, .......................117 Company Session. Fire investigation: dagli accertamenti sull’incendio alle analisi chimiche Nuovi orizzonti della prevenzione incendi ai fini della determinazione delle cause d’incendio, Leonardo Corbo, Corbo Rosso Corporation, già direttore Servizi Antincendio Protezione Civile................................................................................... 122 Campionamenti, analisi chimiche e interpretazione dei risultati, Alberto Sturaro, CNR – IDPA di Padova............................................................................................................. 123 Le indagini, gli aspetti multidisciplinari e le problematiche connesse, Alfio Pini, Corbo Rosso Corporation............................................................................................ 124 Possibili procedure di accertamento in fase di sequestro di beni. Azione dolosa – procedimento penale, Leonardo Marini, Avvocato, consulente Corbo Rosso Corporation......125 Qualità delle azioni di restauro in ambito forense: criteri di valutazione Il progetto di restauro e la tracciabilità delle scelte, C. Feiffer, Docente Università di Roma Tre...........................................................................................................................128 Il progetto di consolidamento strutturale: limiti e modi, L. Jurina, Docente Politecnico di Milano.............................................................................................................................. 129 Patrimonio archeologico tra crolli, manutenzioni e progetti - Il grande progetto Pompei, Annamaria Mauro; Maria Previti, Parco Archeologico di Pompei.....................................130 Processo diagnostico, cura, prevenzione, Paolo Gasparoli, Politecnico di Milano,

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SOMMARIO

Dipartimento di Architettura, Ingegneria delle Costruzioni e Ambiente Costruito....................131 Non solo strutture, ma anche superfici e finiture, Nicola Berlucchi, Studio Berlucchi Srl.......134 Edifici storici: la CTU non è un collaudo, P. Pettinelli, Avvocato, libero professionista........... 137 Contenzioso sul progetto di un edificio monumentale, M. Bianchi, Consulente Heres...........138 Il ruolo della diagnostica strutturale nell’ingegneria forense, Filippo Casarin, Ingegnere, Expin Srl.................................................................................................................139 Urbanistica Forense C.T.U. e processo: imperfezioni, errori e prassi virtuose, Maurizio Tira1); Lucio Munaro2), 1) Rettore Università di Brescia, 2)Magistrato del Tribunale Treviso...................................................... 142 Illazioni sull’urbanistica italiana, Piero Pedrocco, Docente Università di Architettura di Udine e presidente Centro Studi Urbanistici Veneto........................................................................... 143 La salvaguardia del territorio attraverso la Vigilanza edilizia - Gestione contenzioso, L’esperienza del Comune di Treviso, Roberto Manfredonia, Dirigente del Comune di Treviso.......................................................................... 147 Forensic sciences in Water management Environmental forensic analysis of microplastic pollution - The first report on “Nattika” beach, Kerala Coast, India ,shwini SK; George K. Varghese, National Institute of Technology, Calicut, Kerala, India...............................................150 Environmental impact assessment of groundwater underlying a partially controlled waste disposal site in Northern Croatia, Goran Kniewald; Marina Mlakar, Rudjer Bošković Institute, Division for Marine and Environmental Research, Zagreb........................... 152 Charateristics on disintegration of sewage sludge using dual frequency ultrasonic pretreatment, Sae –Eun OH; Choi Jae-Hyeok; Gayflorzee Johnsa Kollie, Department of Civil & Environmental Engineering, Hanbat National University................................................. 153 Establishing center for enviromental forensic in Croatia, Neven Cukrov; Jasminka Klanjšček; Marina Mlakar; Damir Valić; Goran Kniewald, Ruđer Bošković Institute, Division for Marin and Environmental Research, Zagreb.................................................. 155 Inquinamento da ammoniaca: fonti, impatti, ripristino ed elaborato tecnico Alice Limoli1); Alessandra De Pretto2), 1)Dipartimento DICAM, Università di Trento, 2)Avvocato...........................156 Forensic Environmental Modelling Uncertainty and probabilistic reasoning in Forensic Science, Lara Fontanella, Department of Legal and Social Sciences, D’Annunzio University, Chieti-Pescara...................158 An integrated model-based approach to the human risk assessment of pesticide as a decision tool in environmental forensic, Alberto Pivato, DICEA, Department of Civil, Environmental and Architectural Engineering, University of Padova.............................160 Forensic Epidemiology and ecotoxicology Legal controversial aspects of HP14 classification of waste Contents, A. Pivato; G. Beggio, ICEA - Department of Civil, Architectural and Environmental Engineering...................................164

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Acustica forense. Aspetti normativi, metodologici e tecnici La normale tollerabilità e la sua misura: principali problemi dei metodi Acustica forense: giurisprudenza, scenari e metodi di accertamento, Sergio Luzzi1); Vincenzo Giuliano2); Luca Minniti3); Chiara Bartalucci1); Giacomo Nocentini1); Franco Pagani2); Carlo Poli4), 1)Vie En.Ro.Se. Ingegneria, Firenze, 2) Associazione dei Periti e degli Esperti della Toscana, Firenze, 3) Tribunale di Firenze, II Sezione Civile, Firenze, 4)Camera Civile di Firenze, Firenze.................168 Bonifica acustica di un sito produttivo. Il CTU: tecnico, problem solver o conciliatore?, Antonio Camarota, Libero professionista...................................................................... 173 Profili giuridici e tecnico/applicativi nella valutazione del disturbo da rumore: tolleranza giurisprudenziale e accettabilità amministrativa, Arch. Marcello Alderuccio1); Arch. Antonella Miarelli2), 1) ASUIUD, Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Udine, 2) Architetto, libero professionista, Venezia..................................................................................................... 176 Contenzioso legale in acustica dell’involucro edilizio e in acustica ambientale - Casi studio, Massimo Rovere........................................................................ 179 Rumori e vibrazioni indotte da impianti negli edifici-misure in situ, Daniele Bortoluzzi1); Alessandro Marzi2); Andrea Cerniglia3), 1) Libero professionista, 2)Libero professionista, 3)ACCON Italia Srl.....................................................180 Contributo sulla “normale tollerabilità”, La normale tollerabilità art. 844 c.c. VS legge amministrativa L. 447, Claudio Gino Gianni, Ingegnere, Specialista in acustica ambientale, CTU, Componente della Commissione di Acustica della Federazione degli Ingegneri della Toscana..............................................................183 Ingegneria forense nel settore ambientale ed energetico La normale tollerabilità e la sua misura: principali problemi dei metodi disponibili e ricerca di un criterio oggettivo, Marco Caniato, Dipartimento di Scienze e Tecnologia - Libera Università di Bozen - Bolzano, Federica Bettarello, Studio Associato Acusticamente – Conegliano (TV).......................................190 Contaminazione delle acque sotterranee proveniente dall’esterno del sito: obblighi dei soggetti non responsabili, Ostoich M.1); Mason L.1); Gattolin M.2); Alderuccio M.3); Cantarella L.1); Tomiato L. 1); Zambon M.1), 1)ARPA Veneto. Servizio Controllo Ambientale, Dipartimento Provinciale di Venezia, 2)Città Metropolitana di Venezia, Servizio Ambiente, 3)ASUIUD, Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Udine..................... 193 L’individuazione del soggetto responsabile della bonifica dei siti contaminati, Alderuccio M.1); Cantarella L.2); Ostoich M.2); Ciuffi P.3); Gattolin M.3); Tomiato L.2); Zambon M.2), 1)ASUIUD, Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Udine, 2) ARPA Veneto. Servizio Controllo Ambientale, Dipartimento Provinciale di Venezia, 3)Città Metropolitana di Venezia, Servizio Ambiente......................................................... 197 Impianti di biodigestione e di combustione: quando un contratto genera contenzioso, P. Provenzano; G.Q. Iddas, GQI Associati, Engineering and Architecture.........................................201 L’attività peritale nel contenzioso amministrativo per gli impianti fotovoltaici incentivati in Conto Energia: principali casistiche delle violazioni rilevanti, Giuseppe Mastropieri; Barbara Paulangelo, REA Srl – Reliable Energy Advisors....................... 204 L’utilizzo di modelli matematici per l’accertamento di responsabilità da danni per allagamento – Un caso di studio, Gaspare Andreella; Marika Righetto, Studio API - Associazione Professionale Ingegneri...................................................................................207

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UNO SGUARDO SULL’INGEGNERIA FORENSE

L’Ingegneria Forense rappresenta una disciplina emergente che mira ad applicare i metodi e le conoscenze scientifiche dell’ingegneria al processo di analisi di problemi tecnici nell’ambito dei procedimenti giudiziari. In tali contesti essa assume un ruolo fondamentale e distinto da quello delle scienze giuridiche, ma che con esse deve continuamente dialogare attraverso un processo continuo e rispettoso delle rispettive procedure e metodiche. Inoltre, l’ingegneria forense può svolgere una utile funzione proattiva per il tecnico in quanto fornisce le conoscenze per eliminare, o quantomeno attenuare, le premesse di un potenziale coinvolgimento in processi legali, situazione purtroppo altamente probabile nella professione tecnica. Fino a non molti anni fa in Italia, questa disciplina era relegata ad una posizione marginale sia nei percorsi formativi universitari sia nelle attività degli ordini professionali; oggi giorno invece sta riscontrando una crescente visibilità e diventando riferimento di specifiche competenze richieste ai tecnici in un mercato dinamico e complesso come quello odierno. Non è chiaro se questo fatto sia una conseguenza o la causa di una mutata percezione dell’opinione pubblica sulla prova tecnica nei processi. Molto più probabilmente si tratta di due fenomeni indipendenti che si sono alimentati reciprocamente. In questo contesto è nato nel 2016 Treviso Forensic che quest’anno si rinnova con una edizione che mira a divenire un importante momento di confronto e di discussione tecnica tra i diversi soggetti (accademici, pubblici ufficiali, forze dell’ordine, tecnici, avvocati, magistrati, etc.) che operano nei settori dell’ingegneria civile e strutturale, ambientale, informatica, gestionale, industriale e della sicurezza, del restauro e dell’urbanistica applicati al contesto forense. L’evento è organizzato dall’Ordine e dalla Associazione degli Ingegneri di Treviso e risulta promosso dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri (CNI), dal Consiglio Nazionale Forense (CNF), dall’università di Padova, dall’Università degli Studi di Napoli Parthenope, dall’Università di Huddersfield (UK) e da altri enti tecnici e territoriali di rilievo.

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Il programma è sviluppato in tre giornate con oltre 90 presentazioni e con una sessione di livello internazionale sull’ “Environmental Forensic”. Oltre alla presentazione di casi di studio, sono trattate questioni controverse, alcune specifiche di un singolo settore di applicazione, altre trasversali a tutta l’ingegneria forense. Tra queste ultime se ne vogliono evidenziare come significative le seguenti: l’approccio metodologico da utilizzarsi; i criteri per la verifica dell’attendibilità scientifica della prova tecnica; il problema di comunicazione e di linguaggio tra i diversi soggetti. Alberto Pivato, segretario scientifico di Treviso Forensic 2018 Damiano Baldessin, presidente dell’Ordine degli Ingegneri di Treviso Armando Zambrano, presidente del Consiglio Nazionale degli Ingegneri

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Principi di base

Le figure ed i ruoli nelle scienze forensi


Il consulente tecnico di parte nel procedimento penale: organo dell’ufficio di difesa e fonte di prova Alberto Tenca

Avvocato, Studio Legale Associato Di Lorenzo - Tenca

La nomina del Consulente tecnico di parte può avvenire in vari momenti del procedimento penale: per la partecipazione ad accertamenti tecnici non ripetibili (art. 360 c.p.p.), in sede di incidente probatorio o di perizia dibattimentale (art. 225 c.p.p.) o, comunque, anche fuori dai suddetti casi (art. 233 c.p.p.), fin dalla fase di indagini preliminari. Con la suddetta nomina il Consulente viene ad assumere un duplice ruolo del tutto peculiare che lo pone da un lato quale parte integrante dell’ufficio di difesa, dall’altro quale fonte di prova al pari di un testimone. Fermo infatti che la consulenza tecnica extraperitale e l’esame del Consulente tecnico assumono pieno valore probatorio ai fini della decisione del giudizio penale, non diversamente dalla testimonianza, ad esaltare il principale ruolo del Consulente tecnico è stata nel tempo la Corte Costituzionale che ne ha sottolineato la veste di “parte integrante dell’ufficio di difesa”, “assimilabile al difensore”, la cui attività è qualificabile come “aspetto essenziale dell’esercizio del diritto di difesa” (cfr. Corte Cost. n. 199/1974, n. 345/1987, n. 498/1989, n. 33/1999). Il riconoscimento dell’attività del Consulente tecnico quale aspetto essenziale dell’esercizio del diritto di difesa ha avuto quale conseguenza e riprova l’estensione al Consulente stesso delle norme sul Patrocinio a spese dello Stato, sia pure nel caso di consulenza extraperitale. Così come la sua assimilazione al difensore può ricavarsi dalle norme di cui agli artt. 380 e 381 c.p. che sanzionano penalmente i casi di consulenza infedele, oltre che di patrocinio infedele. Il Consulente tecnico è dunque chiamato a partecipare al collegio di difesa, apportando cognizioni, nozioni ed esperienze tecniche necessarie ad elaborare le tesi difensive, ed a collaborare nell’obiettivo di ottenere il convincimento del Giudice sulla bontà delle tesi stesse. Ciò anche esponendo il proprio parere al Giudice, con facoltà di deposito di memorie. Riteniamo importante sottolineare che nell’ambito della consulenza extraperitale, posto che il Giudice può trarre il proprio convincimento dalle tesi esposte dal Consulente tecnico, valutando di non disporre perizia, è importante che il Consulente tecnico, non diversamente dal difensore, oltre che competente e preparato, sia in possesso di doti espositive in grado, nel corso del proprio esame, di rendere credibili ed agevolmente comprensibili al Giudice i dati tecnici da cui prende le mosse ed il percorso logico-scientifico che da tali dati conduce alle conclusioni prospettate. Nella condivisione, ciascuno per il proprio ruolo, dell’ufficio di difesa, deve infine crearsi una imprescindibile sinergia tra difensori e Consulenti nell’individuazione di strategie

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PRINCIPI DI BASE I LE FIGURE ED I RUOLI NELLE SCIENZE FORENSI

difensive che, poggiando su fatti e circostanze a giudizio, siano sostenibili e convincenti sul piano giuridico e, nel contempo, tecnico-scientifico. È logico comprendere che anche il minimo scostamento da tale linea unitaria potrebbe determinare il fallimento dell’attività defensionale. Perché quanto sopra possa trovare piena realizzazione, risulta importante che il Consulente tecnico abbia ad affiancare la parte che assiste in ogni attività procedurale o processuale che abbia a richiedere la sua presenza. Per usare la semplice, ma efficace espressione utilizzata dalla Corte di Cassazione, nella sentenza n. 35702/2009 della Sez. III penale, “ci si deve chiedere che senso abbia in generale (al di fuori dei casi di perizia) facoltizzare ciascuna parte a nominarsi propri consulenti… senza, però, poterli avere vicini al bisogno”. Tale sentenza, affronta in particolare l’aspetto, discusso in giurisprudenza, circa la possibilità o meno per il Consulente tecnico di presenziare all’esame dibattimentale di testimoni, altri consulenti e periti. Discussione determinata proprio dalla duplice veste assunta dal Consulente tecnico quale parte integrante dell’ufficio di difesa ed al contempo fonte di prova al pari di un testimone. Non è, infatti, mancata giurisprudenza che, vedendo nel Consulente tecnico una “natura processuale … del tutto assimilabile a quella del testimone”, stante il richiamo di cui all’art. 501 c.p.p. che impone l’osservanza delle disposizione sull’esame testimoniale anche a consulenti e periti, ha ritenuto doversi applicare la norma di cui all’art. 149 disp. att. c.p.p., secondo cui nessuna delle persone citate, prima di deporre, può assistere all’esame degli altri (Cass. Pen. Sez. III n. 10808/2014). La citata pronuncia del 2009, invece, confortata anche dalla sentenza n. 15049/2014 della Sez. IV della Suprema Corte, con argomentazione ad avviso dello scrivente assolutamente condivisibile, ammette tale possibilità di partecipazione del Consulente tecnico all’istruttoria dibattimentale ritenendo ciò “finalizzato proprio ad una percezione diretta da parte del consulente di ciò che avviene sì da poter esplicare in modo puntuale e specifico il proprio incarico”. In tali pronunce la Corte ha, di conseguenza, riconosciuto la nullità dell’ordinanza che abbia ad escludere il Consulente tecnico dalla presenza all’esame testimoniale, riscontrando una lesione del diritto di difesa. Auspicando che tale tesi favorevole prevalga in futuro in ogni circostanza, si evidenzia come, ogni qual volta nell’esame di testi, e soprattutto di consulenti e periti, vengano in rilievo questioni tecniche, avere al fianco il proprio Consulente tecnico sia essenziale perché il difensore possa svolgere efficacemente il proprio ruolo nell’esame e controesame che caratterizzano la “cross examination”, come riconosciuto anche dal Tribunale di Reggio Calabria, con ordinanza 12.11.2015. In tale ordinanza, il Tribunale di Reggio Calabria, richiamando la sopra menzionata pronuncia della Cassazione n. 35702/2009, sottolinea come la ratio della norma che dispone il divieto per il testimone di assistere all’istruttoria dibattimentale prima del proprio esame consista nell’esigenza di evitare che lo stesso possa essere influenzato più o meno consapevolmente nella genuinità della propria testimonianza. Tale esigenza non è ravvisabile nel caso del Consulente tecnico, non essendo lo stesso mero ed occasionale spettatore di fatti, bensì “un soggetto incaricato dalla stessa parte che assiste a svolgere accertamenti di tipo tecnico su una specifica questione… attinente alla sua peculiare competenza professionale”.

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Principi di base

Aspetti procedurali relativi all’operatività del consulente tecnico d’ufficio e di parte


Aspetti procedurali insidiosi nello svolgimento del ruolo di perito nel procedimento penale Anna Di Lorenzo

Avvocato, Studio Legale Associato Di Lorenzo – Tenca in Padova

L’assunzione del ruolo di Perito merita alcune riflessioni in merito all’ordinario svolgimento dell’incarico, ovvero in riferimento a fatti o situazioni che dovessero sopravvenire. Vi sono infatti aspetti procedurali che, se non rispettati, potrebbero inficiare il lavoro svolto anche se ‘tecnicamente’ perfetto ed irreprensibile. A seguire ne vengono ripercorsi alcuni. Il primo momento operativo importante sul quale si pongono le basi del legittimo agire del Perito è la comunicazione della data, dell’ora e del luogo dell’inizio delle operazioni peritali, in quanto l’eventuale omissione di tale formalità determina la nullità di quanto successivamente svolto (cfr. Cass. n. 11425/2003). L’omessa comunicazione del Perito acquisisce rilievo in quanto pregiudica il diritto di difesa, compromettendo la partecipazione del consulente di parte nominato, ovvero impedendo l’esercizio della facoltà di nominare un consulente di parte. Nell’assumere l’incarico, il Perito potrebbe già avvedersi della necessità di avvalersi di ausiliari facendolo quindi presente al Giudice, al fine di esserne autorizzato sin dal momento del conferimento dell’incarico. Qualora la necessità dovesse emergere nel corso delle attività peritali, è necessario ricordare che il Perito dovrà tempestivamente richiedere l’autorizzazione al Giudice, onde evitare di compromettere l’attività svolta. L’ausiliario per sua natura supporta il Perito nello svolgimento delle “attività materiali”, che non implichino “apprezzamenti e valutazioni” (art. 228 c.p.p.). Sarà il Perito infatti a fare proprie le attività poste in essere dall’ausiliario e su di esso ricadranno le eventuali relative responsabilità. Qualora il Perito si avvedesse che, per rispondere al quesito, debbano essere coinvolte diverse professionalità con specifiche e distinte competenze, deve comunicarlo al Giudice affinché provveda alla nomina di altri periti. Ciò anche affinché le parti del processo siano poste nelle condizioni di provvedere a propria volta alla nomina di ulteriori consulenti, nel rispetto del contraddittorio (art. 225 c.p.p.). Si evidenzia che un’eventuale delega rilasciata dal Perito per lo svolgimento di attività tecnico-scientifiche renderebbe invalida la perizia per intervento nelle attività di un soggetto estraneo. Altro tema di rilievo riguarda il materiale che il Perito può consultare nello svolgimento dell’incarico ricevuto. Si tratta, secondo quanto previsto dall’art. 228 c.p.p., “degli atti, dei documenti e delle cose prodotti dalle parti dei quali la legge prevede l’acquisizione al fascicolo per il dibattimento”. La Suprema Corte di Cassazione, sul punto, ha precisato che

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PRINCIPI DI BASE I ASPETTI PROCEDURALI RELATIVI ALL’OPERATIVITÀ DEL CONSULENTE TECNICO D’UFFICIO E DI PARTE

gli atti di cui può prendere visione il Perito non sono solo quelli già acquisiti nel fascicolo del dibattimento, ma anche quelli dei quali la legge prevede l’acquisizione nel corso del giudizio, anche successivamente al conferimento dell’incarico peritale. Infatti per consolidato orientamento della Corte sarebbe consentito al Perito di prendere cognizione di tutti gli atti dei quali non è esclusa, in astratto, la possibilità di inserimento nel fascicolo dibattimentale durante tutto il corso del giudizio, d’ufficio o a richiesta di parte (cfr. anche Cass. n. 809/2009). Potrà inoltre richiedere di essere autorizzato ad assistere all’esame delle parti e all’assunzione di prove. La ratio deriva dal fatto che il Perito deve esaminare e valutare elementi ed informazioni su cui il Giudice stesso potrebbe fondare la propria decisione, ma sulle quali necessita di un supporto e di una visione tecnica che completi le proprie competenze e conoscenze. A chiusura dell’attività svolta, il Perito elabora una relazione contenente le proprie conclusioni che devono dare compiuta risposta al quesito posto dal Giudice nei limiti del quesito stesso. Conclusioni che l’esperienza e la professionalità dei Periti possono a volte, anche inconsapevolmente, contenere valutazioni in tema di responsabilità o di interpretazione della norma giuridica che spettano unicamente al Giudice. Attenzione va posta nell’ambito di nomina di un collegio peritale. In tal caso, per giurisprudenza consolidata, tutti i periti dovranno partecipare alla predisposizione dell’elaborato, diversamente se ne compromette irrimediabilmente la validità e la sua stessa esistenza. Diverso il fatto se il Giudice abbia provveduto a nominare più periti con incarichi e quesiti distinti e diversi. In conclusione possiamo affermare che la “bontà” dell’elaborato, pur tecnicamente perfetto, potrebbe essere compromessa dal mancato rispetto di alcune formalità e contenuti su cui si ritiene vada posta attenzione nel corso dello svolgimento delle attività peritali.

BIBLIOGRAFIA

Codice di procedura penale commentato, Angelo Giarda e Giorgio Spangher, Wolters Kluwer, Milano, 2017

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Poteri di indagine autonoma del C.T.U. nel rispetto dei principi dell’onere della prova e del contraddittorio Riccardo Sordi

Avvocato, Ordine degli Avvocati di Treviso

A) La tradizionale figura del consulente tecnico d’ufficio, come delineata nel codice di procedura civile

Dall’analisi della figura del consulente tecnico di ufficio, come regolata negli agli artt. 6164 e 191-201 del C.P.C. (cui simmetricamente corrispondono gli artt. 13-23 e 89-92 delle disposizioni di attuazione) emerge che il consulente tecnico è un ausiliario del giudice con il compito di integrare le conoscenze del giudice stesso, fornendogli gli elementi tecnici necessari per poter valutare le prove già acquisite, e che la consulenza tecnica, sia d’ufficio sia di parte, è un mezzo istruttorio e non già una prova vera e propria: in seno al procedimento civile, la consulenza tecnica d’ufficio non costituisce un mezzo di prova per l’organo giudicante, essendo finalizzata all’acquisizione, da parte di quest’ultimo, di un parere tecnico necessario per la valutazione e l’interpretazione di questioni tecniche particolarmente complesse ovvero che richiedono specifiche competenze (C. 3130/2011). In tal senso, tradizionalmente, la giurisprudenza di legittimità ritiene che la consulenza tecnica d’ufficio abbia la funzione di fornire all’attività valutativa del giudice l’apporto di cognizioni tecniche che egli non possiede, ma non sia certo destinata ad esonerare le parti dalla prova dei fatti dalle stesse dedotti e posti a base delle rispettive richieste; fatti, questi, che devono essere dimostrati dalle medesime parti alla stregua dei criteri di ripartizione dell’onere della prova ex art. 2697 c.c. (C. 21412/2006).

B) Il progressivo affermarsi della consulenza tecnica c.d. “percipiente”

Con l’andar del tempo, tuttavia, l’applicazione pratica dell’istituto ha portato i giudici di merito ad affidare ai consulenti tecnici non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti, ma anche quello di accertare i fatti stessi, dedotti dalle parti ed il cui accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche; si è dunque delineata una duplice tipologia di consulenza tecnica, poiché l’attività del consulente può consistere, a seconda dell’incarico peritale:

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PRINCIPI DI BASE I ASPETTI PROCEDURALI RELATIVI ALL’OPERATIVITÀ DEL CONSULENTE TECNICO D’UFFICIO E DI PARTE

a) nella sola valutazione di elementi fattuali già acquisiti (aliunde o dallo stesso esperto) attraverso la indicazione di massime di esperienza o leggi della scienza e della tecnica da applicare al caso (c.t.u. deducente); b) nell’accertamento della esistenza o della entità di determinati fatti, rilevanti ai fini della decisione, percepibili soltanto se in possesso di specifiche cognizioni tecniche oppure mediante l’utilizzo di particolari strumentazioni o metodologie scientifiche (c.t.u. percipiente). Se dunque la consulenza c.d. deducente serve soltanto a fornire al giudice argomenti di valutazione per la formazione del suo convincimento, la consulenza c.d. percipiente assurge al rango di fonte oggettiva di prova dei fatti accertati dall’ausiliare. In tali casi di consulenza tecnica d’ufficio c.d. percipiente, la giurisprudenza ribadisce, però, che questo mezzo di prova non può costituire mezzo sostitutivo dell’onere probatorio gravante sulle parti ex art. 2697 c.c., ovvero mezzo per supplire a carenze probatorie relative a fatti che la parte può agevolmente dimostrare con prove documentali e testimoniali (C. 27002/2005); la consulenza, quando non miri a supplire l’inerzia della parte è legittima, a condizione che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto ed il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche (C. 22538/2013). Si delineano così i limiti di ammissibilità della consulenza tecnica d’ufficio, secondo il prudente apprezzamento del giudice, che poi in sostanza si traducono anche nei limiti oggettivi entri i quali dovrà attenersi l’attività accertativa del consulente: a) l’onere della parte di allegare i fatti principali da accertare, talché l’indagine peritale deve avere ad oggetto solamente i fatti prospettati dalle parti e non può essere rivolta alla ricerca di ulteriori elementi di fatto, non dedotti, da porre a sostegno delle rispettive pretese (C. 26083/2005), eccettuati i fatti c.d. accessori acquisibili dal C.T.U. con gli strumenti riconosciuti dall’art. 194 (C. 16678/2009); b) il criterio di ripartizione dell’onere probatorio, dacché la c.t.u. non può essere disposta al fine di esonerare la parte - sulla quale incombe ex art. 2697 c.c. il relativo onere - dal fornire la prova delle circostanze di fatto allegate a fondamento della domanda o eccezione proposta o colmare le lacune delle istanze istruttorie formulate dalle parti ( C. 15219/2007), a meno che i fatti da provare possano essere accertati unicamente mediante il ricorso a specifiche cognizioni tecniche ( C. 6155/2009); c) la c.t.u. non può avere ad oggetto valutazioni di contenuto squisitamente giuridico (ad es. accertamento della proprietà su un bene, esistenza di un inadempimento contrattuale), né la individuazione ed interpretazione delle norme da applicare al caso concreto, e neppure infine l’interpretazione e valutazione delle prove documentali, in quanto tutti settori di esclusiva pertinenza ed oggetto dell’attività specifica del giudice.

C) Il conseguente ampliamento dei poteri di indagine autonoma del C.T.U., nel rispetto del principio dispositivo e dell’onere della prova

Tale progressivo e sempre maggiore aumento del ricorso alla consulenza tecnica c.d. percipiente, porta inevitabilmente ad espandere il potere e finanche il dovere di indagine autonoma da parte del C.T.U., pur nell’ambito del quesito affidatogli dal giudice. Si è formato, per stratificazione giurisprudenziale, un compiuto sistema regolante i poteri del consulente tecnico d’ufficio i cui principi fondamentali possono così riassumersi:

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- non è necessaria l’autorizzazione del giudice per assumere chiarimenti ed informazioni (C. 1020/2006); - il consulente può sua sponte compiere indagini non espressamente lui devolute e attingere notizie non rilevabili dagli atti processuali su fatti e situazioni che formano ogge­ tto del suo incarico (C. 24323/2007). Il riconoscimento di così estese facoltà incontra però delle limitazioni: a) nell’oggetto e nello scopo della consulenza: deve trattarsi di verifiche, informazioni ed indagini strettamente necessarie per espletare in maniera esauriente il mandato conferito (C. 3936/2007); b) nel rispetto del principio dell’onere della prova: gli accertamenti eseguiti di propria iniziativa e le notizie assunte aliunde dal C.T.U. possono vertere unicamente su fatti di carattere tecnico accessori, non già su fatti che, in quanto costitutivi delle pretese azionate o delle eccezioni sollevate, devono essere allegati e provati dalle parti, risolvendosi altrimenti l’attività peritale in una indebita relevatio ab onere probandi (C. 16678/2009); c) nella tutela del contraddittorio: ciò comporta l’obbligo per il C.T.U. dell’indicazione delle fonti del proprio accertamento, onde permettere alle parti (e al giudice) il controllo sulla loro attendibilità (C. 13428/2007). Ecco allora che, secondo un consolidato orientamento della Corte di legittimità, rientra nel potere del consulente tecnico d’ufficio attingere aliunde notizie e dati, non rilevabili dagli atti processuali e concernenti fatti e situazioni formanti oggetto del suo accertamento, quando ciò sia necessario per espletare convenientemente il compito affidatogli. Dette indagini, quando ne siano indicate le fonti in modo che le parti siano messe in grado di effettuarne il dovuto controllo, possono concorrere alla formazione del convincimento del giudice ( C. 1901/2010). Nell’osservanza dei criteri ora specificati, il consulente tecnico d’ufficio può assumere, anche in assenza di espressa autorizzazione del giudice, informazioni da terzi e verificare fatti accessori necessari per rispondere ai quesiti, ma non anche accertare i fatti posti a fondamento di domande ed eccezioni, il cui onere probatorio incombe sulle parti, sicché gli accertamenti compiuti dal consulente oltre i predetti limiti sono nulli per violazione del principio del contraddittorio, e, perciò, privi di qualsiasi valore, probatorio o indiziario (C. 4729/2015). Quanto ai documenti, le valutazioni del consulente tecnico di ufficio devono, in via tendenziale, fondarsi sullo stesso materiale istruttorio a disposizione dell’organo giudicante, e quindi, in primo luogo, soltanto su documenti ritualmente inseriti agli atti del processo attraverso le produzioni delle parti o le acquisizioni giudiziali: assai discussa è la possibilità per il consulente di acquisire documentazione relativa ai fatti da accertare ulteriore rispetto a quella inserita nel fascicolo di ufficio e nelle produzioni delle parti, facoltà non espressamente prevista dall’art. 194 CPC; in giurisprudenza, le pronunce più recenti affermano la possibilità del C.T.U. di acquisire nuovi documenti (C. 15448/2003), in qualche caso subordinata alla manifestazione di consenso delle parti (C. 8659/1999), con esclusione delle risultanze documentali evincibili da pubblici registri accessibili a chiunque, che possono essere acquisite dal consulente tecnico senza alcuna limitazione (C. 13109/1992). Per concludere, più di recente Cass. 26893/2017 ha ribadito che il consulente tecnico d’uffi­cio può acquisire documenti pubblicamente consultabili o provenienti da terzi o dalle parti nei limiti in cui siano necessari sul piano tecnico ad avere riscontro della correttezza delle affermazioni e produzioni documentali delle parti stesse, o quando emerga l’indispensabilità dell’accertamento di una situazione di comune interesse, indicandone la fonte di acquisizione e sottoponendoli al vaglio del contraddittorio ma non

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può ricercare aliunde ciò che costituisce materia rimessa all’onere di allegazione e prova delle parti stesse. L’espletamento di accertamenti ultra mandatum (purché, si badi, non sostanzialmente estranei all’oggetto dell’indagine) non è motivo di nullità della consulenza: per contro, il giudice del merito può fondare la propria decisione anche dagli elementi acquisiti dal consulente eccedendo i limiti del mandato, liberamente apprezzabili alla stregua di prove atipiche (C. 11594/2004).

D) Il rispetto del principio del contraddittorio da parte del C.T.U. “percipiente”

Così delineato l’ambito oggettivo del potere di indagine autonoma da parte del C.T.U., nel rispetto del principio di disponibilità delle prove, è altresì necessario individuare gli adempimenti cui il C.T.U., nell’espletare tali indagini autonome, deve attenersi per garantire il rispetto del principio del contraddittorio. Tale principio viene reso effettivo attraverso la figura del consulente tecnico di parte, il quale nel corso delle indagini peritali ha facoltà: a) di intervenire e assistere la parte durante lo svolgimento delle stesse; b) di presentare istanze ed osservazioni al C.T.U., il quale è a sua volta tenuto ad una adeguata considerazione delle stesse, inserendole nella relazione; c) di prospettare l’adozione di differenti parametri di giudizio oppure sollecitare l’assunzione di ulteriori elementi di valutazione o accertamenti fattuali, senza però poter condizionare l’operato del C.T.U. il quale, vincolato soltanto all’incarico conferitogli dal giudice, non è obbligato a raccogliere gli elementi richiesti dal C.T.P. né ad ampliare l’indagine quando abbia raccolto sufficienti elementi di giudizio (C. 3401/1981). Il codice pone inoltre due obblighi di avviso: quello alle parti, a carico del consulente tecnico di ufficio (art. 90, 1° co., disp. att.), e quello ai consulenti tecnici di parte, a carico del cancelliere (art. 91, 2° co., disp. att.); cosicché le parti hanno diritto di ricevere (mai personalmente, bensì in persona dei rispettivi procuratori e/o, una volta nominati, dei consulenti di parte; C. 12785/2000), oltre all’avviso di inizio delle operazioni peritali (anche tramite indicazione contenuta nel verbale dell’udienza di conferimento incarico), anche quello di rinvio delle operazioni a data da destinarsi (a seguito di sospensione o di interruzione delle indagini), così come quello di riapertura delle indagini, cioè quando il consulente, dopo aver dichiarato chiuse le attività, decida di procedere - come in suo potere - ad altri accertamenti. Nondimeno, deve precisarsi che, da un punto di vista oggettivo, l’obbligo di avviso concerne unicamente le indagini tecniche vere e proprie, con conseguente esclusione di tutte le altre attività di natura meramente conoscitivo-intellettiva compiute dall’ausiliare in epoca anteriore, contemporanea o anche successiva alle operazioni; specularmente, l’intervento dei consulenti di parte è limitato unicamente alle indagini tecniche vere e proprie, e pertanto il C.T.U. può esercitare senza preavviso alle parti (e senza l’intervento dei C.T.P.) le attività: a) di mera acquisizione di elementi o dati emergenti dalla consultazione di pubblici uffici o registri, accessibili a chiunque (ad esempio atti conservati presso uffici del Genio civile, risultanze catastali); b) di comparazione di documenti oppure di valutazione intellettuale, svolte di solito dopo la chiusura dell’attività di rilevazione, come l’analisi dei risultati, l’elaborazione dei dati in precedenza accertati e l’individuazione di criteri di giudizio, controllabili dal C.T.P. attraverso la semplice lettura della relazione. L’art. 194 CPC riconosce poi alle parti il potere di presentare al consulente di ufficio, per iscritto o a voce:

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a) osservazioni, cioè valutazioni sulla metodologia da seguire nelle indagini, apprezzamenti sui risultati conseguiti, su criteri di giudizio e similari; b) istanze, ovvero sollecitazioni al C.T.U. per il compimento di determinate indagini o esami, alla considerazione di determinati atti, etc.; viceversa, ai sensi dell’art. 90 disp. att. al C.T.U. è fatto divieto di ricevere altri scritti defensionali delle parti, oltre quelli contenenti osservazioni o istanze.

BIBLIOGRAFIA

Diritto processuale civile, 24ª ed., Crisanto Mandrioli e Antonio Carratta, Giappichelli, Torino, 2015 Il C.T.U. («l’occhiale del giudice»), Marco Rossetti, Giuffrè, Milano, 2004 Consulenza tecnica nel diritto processuale civile, Mario Vellani in Digesto Civile, III, UTET, Torino, 1988, rist. 1995

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La redazione dell’elaborato peritale d’ufficio: la nullità ed il ritardo nella consegna Andrea Michielan

Avvocato, Studio Legale Associato Michielan

Cenni sui requisiti del CTU

1) Il professionista chiamato a svolgere incarico giudiziario di consulenza deve operare con preparazione tecnica altamente qualificata ed, adempiendo ad obbligo di legge, portare a compimento l’incarico con obiettività, indipendenza e diligenza allo scopo di far conseguire “la verità”. Le doti da possedere, oltre che di qualificata preparazione tecnica, sono anche anche di obiettività e diligenza assicurando l’indipendenza nella conoscenza e percezione dell’esistenza del fatto di causa o del suo dettaglio. L’obiettività, con capacità di sostenere il contraddittorio tra le parti senza prevaricazioni, è propedeutica all'obbligo di far conoscere la verità “tecnica” al giudice scevra da impressioni ed utilizzando la diligenza professionale Sempre più di frequente vengono redatti atti di consulenza difformi dal modello legale viene isolata la figura della nullità non quella difformità minima, cioè l’ irregolarità ovvero quella massima cioè l’inesistenza della CTU.

Nullità della consulenza tecnica d’ufficio: nullità formali, sostanziali e parziali

2) Di regola la redazione della CTU non deve incorrere né in nullità né essere fonte di responsabilità da consegna in ritardo dell’elaborato. 2.1) La nullità, può derivare da cause formali o sostanziali. Le prime riguardano la mancanza della sottoscrizione da parte del tecnico nominato ovvero il mancato inserimento delle osservazioni dei CTP e delle istanza di parte nella relazione finale ai sensi dell’art.195, 2 co. c.p.c. Per queste inosservanze di forme, non essendo comminata la nullità dalla legge, non può essere pronunciata la nullità della C.T.U. L’art.156, 1 co. c.p.c. dispone che “non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, la nullità non è comminata dalla legge”. Le cause di nullità sostanziale, invece, consistono nella violazione, accertata in concreto, del principio del contraddittorio che il CTU deve garantire e del diritto alla difesa. Tra di esse, per esempio, si contempla nel maggior numero dei casi: a) il mancato avviso d’inizio operazioni o di loro prosecuzione: b) la valutazione degli atti e documenti non ritualmente prodotti in causa: c) omissione dell’esame dei luoghi o delle persone di causa.

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2.2) La nullità può anche essere parziale e riguardare soltanto quella parte della relazione tecnica che si fonda su accertamenti nulli. Si fa applicazione del generale principio della limitazione oggettiva della nullità degli atti, come contenuto nell’art.159, comma 2 c.p.c., che così recita: “la nullità di una parte dell’atto non colpisce le altre parti che ne sono indipendenti’. 2.3) La nullità della consulenza tecnica, nel caso in cui questa presenti vizi inerenti alle operazioni peritali in violazione del principio generale del contraddittorio ai sensi dell’art.195 cpc, ha carattere relativo e quindi può essere sanata in due casi: a)- se non viene dedotta, a pena di decadenza, nella prima difesa o udienza successiva al deposito della stessa, la nullità non può essere pronunciata; b)- come pure se l’atto abbia raggiunto il suo scopo. 2.4) La nullità della CTU, tempestivamente eccepita e rilevante quanto a pregiudizio del diritto di difesa, ne comporta la rinnovazione con spese a carico del Consulente, se ed in quanto abbia dato luogo al vizio di nullità e relativo risarcimento dei danni eventualmente causati alle parti ai sensi degli artt. 162 e 64 c.p.c. La disposta rinnovazione per vizio di nullità relativa della perizia rientra nel più ampio potere discrezionale istruttorio del giudice di cui all’art.196 cpc, che contempla anche la sostituzione del perito. Mentre la sostituzione del consulente presuppone che le indagini siano ancora in corso e può essere disposta con motivazione per comportamenti inottemperanti o gravemente negligenti del perito. Tra queste negligenze rientra anche il mancato rispetto dei termini di deposito della perizia.

Il ritardo nella consegna dell’elaborato peritale

3) ritardo del deposito della relazione scritta ex art. 195 comma 3 c.p.c., occorre far riferimento dal 2009 ai termini fissati dal giudice all’udienza di giuramento del CTU ex art.193 cpc che aveva a giurare di “bene e fedelmente adempiere alle funzioni affidategli’. il tardivo deposito della perizia nel termine ordinario o prorogato viene sanzionato con la riduzione del compenso ex art. 52, D.P.R. n. 115/2002 Cosicché il ritardo nel deposito può far insorgere una triplice responsabilità. 3.1) Una prima, sul piano della responsabilità civile. 3.2) Una seconda, sul piano della responsabilità deontologica. 3.3) Una terza, sul piano della responsabilità penale.

Conseguenze sulla responsabilità civile, deontologica e penale

In conclusione: all’attualità, pur osservando un fenomeno inflattivo delle azioni di responsabilità e, comunque, un innalzamento del numero delle azioni risarcitorie nei confronti dei CTU e professionisti in genere, producendo l’effetto di strangolamento della libertà di esercizio professionale così riducendo la perizia o la consulenza ad “prodotto professionale” modesto, tuttavia va osservato che il sistema delle nullità, delineato dall’ordinamento e le sanzioni risarcitorie, disciplinari e penali per ritardo, sono, da un lato, a presidio dell’interesse pubblico ad un celere andamento del processo in un mondo tecnologico, in cui non si può più prescindere da contributi scientifici di particolare competenza per far conoscere ed condividere la “verità”.Dall’altro, appaiono dirette ad esaltare la figura di quel consulente, purtroppo sempre più raro in presenza “diffusa” di perizie influenzate o “compiacenti”, dotato di forti doti di conoscenza, di obiettività e di diligenza.

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PRINCIPI DI BASE I ASPETTI PROCEDURALI RELATIVI ALL’OPERATIVITÀ DEL CONSULENTE TECNICO D’UFFICIO E DI PARTE

BIBLIOGRAFIA

Commentario al codice di procedura civile II, il processo di cognizione, 1, Vallardi, 1966, Padova,123s Diritto processuale civile I, Andrioli, Jovene, 1979, Napoli, 642 zl Consulente tecnico in materia civile, Giuseppe Molfese, Cedam, 2003, Padova La Consu lenza Tecnica, Mario Conte , Giuffrè Editore, 2004, Milano Le prove Civili di L.P. Comoglio Terza Ed., Utet, 2010, Torino Le prove civili nuova ed., a cura di Piero Lanza, G. Giappichelli, 2012, Torino Commentario del Codice di procedura Civile a cura di L.P. Comoglio- C .Consolo-B. SassaniR. Vaccarella III Tomo primo UTET- 2012 Lezioni di diritto processuale civile, Proto Pisani, Napoli, 2012, 108-109 La consulenza tecnica nel processo civile, Bruno Rados e Paolo Giannini, Feltrinelli, Bologna, 2013 Commentario breve al Codice di Procedura Civile, a cura di Carpi - Taruffo, Cedam, 2015 Corso di diritto processuale civile, Crisanto Mandrioli e Antonio Carratta, Giappichelli, Torino, 2016

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Contenziosi nella formulazione dei compensi professionali


Brevi cenni pratici in punto di recupero dei crediti professionali Giovanni Brusatin Studio legale Lexhub

L’art. 2233 del codice civile prevede che il compenso per le prestazioni d’opera intellettuale “se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice” (comma 1) e stabilisce che la misura di detto compenso deve essere “in ogni caso […] adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione” (comma 2). Sull’impianto codicistico del 1942 si sono innestati diversi interventi normativi che, con riferimento alle professioni c.d. ordinistiche, hanno condizionato la libertà delle parti nella determinazione del compenso, a cominciare dall’introduzione di tariffari inderogabili nel minimo volti ad impedire un eccessivo svilimento economico delle prestazioni intellettuali. In materia di compensi professionali per gli ingegneri la normativa di riferimento è rimasta per lungo tempo la legge n. 143/1949, la quale stabiliva le tariffe minime sia per lavori pubblici che privati. A tali tariffe di carattere nazionale si erano poi affiancate apposite tariffe stabilite da ciascun Ordine territoriale che indicavano la remunerazione minima di prestazioni non contemplate dalla legge. Le riforme all’insegna della liberalizzazione delle professioni, tra il 2006 e il 2012, hanno smantellato il pluridecennale sistema delle tariffe, mettendo in primo piano il criterio della definizione convenzionale del compenso. Dapprima è intervenuta la legge n. 248/2006, la quale ha sancito, tra l’altro, l’eliminazione dei minimi tariffari e del divieto previgente di compensi parametrati al raggiungimento di obiettivi prefissati. In seguito, l’art. 9 del d.l. n. 1/2012 ha disposto l’abrogazione delle “tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico” (comma 1), nonché l’abrogazione delle “disposizioni vigenti che per la determinazione del compenso del professionista, rinviano alle tariffe di cui al comma 1” (comma 5), prevedendo al contempo l’introduzione di appositi parametri stabiliti con decreto ministeriale e destinati a trovare applicazione nell’ipotesi in cui, mancando il preventivo accordo delle parti, debba procedersi alla liquidazione giudiziale del compenso (comma 2). I parametri in questione, la cui funzione è dunque diversa da quella delle abrogate tariffe, sono oggi fissati dal d.m. n. 140/2012. Sempre in attuazione dell’art. 9, comma 2, del D.L. n. 1/2012 era inoltre stato adottato il d.m. n. 143/2013 che, in materia di appalti pubblici, stabiliva le tabelle dei corrispettivi da porre a base di gara nelle procedure di affidamento dei contratti pubblici dei servizi relativi all’architettura e all’ingegneria (normativa sostanzialmente riprodotta nel successivo d.m. 17.6.2016, ma con la rilevante “novità sostanziale” determinata dal fatto che le stazioni appaltanti hanno la facoltà, e non più l’obbligo, di utilizzare le tabelle di legge per determinare l’importo da porre a base di gara).

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CONTENZIOSI NELLA FORMULAZIONE DEI COMPENSI PROFESSIONALI

Va peraltro evidenziato che la spinta liberalizzatrice dell’ultimo decennio ha subito di recente qualche ripensamento. In particolare, la legge n. 172/2017 di conversione del decreto fiscale 2018 (d.l. n 148/2017), come modificata dalla legge di bilancio per il 2018 (l. n. 205/2017), ha sancito l’obbligatorietà di un“equo compenso” in favore del professionista – in tal modo reintroducendo il concetto di remunerazione minima inderogabile – con riferimento alle prestazioni rese ad alcuni contraenti considerati forti, come le grandi imprese, quando il rapporto professionale sia regolato da convenzioni predisposte unilateralmente dal committente. Benché l’istituto sia stato concepito per gli avvocati mediante l’introduzione di un apposito art. 13-bis alla legge n. 247/2012 (c.d. legge forense), la riforma sull’equo compenso ha assunto valore sistematico ed è stata estesa anche agli altri professionisti dall’art. 19-quaterdecies, comma 2, del decreto fiscale, ove si prevede che le disposizioni di cui all’art. 13-bis della legge 247/2012“si applicano, in quanto compatibili, anche alle prestazioni rese dai professionisti di cui all’articolo 1 della legge 22 maggio 2017 numero 81 [c.d. Jobs Act autonomi] anche iscritti agli ordini e collegi”. Nella prospettiva pratica del recupero dei crediti professionali, l’abrogazione delle tariffe deve indurre il professionista a prestare particolare attenzione nel farsi rilasciare un incarico scritto del Cliente da cui risulti il compenso pattuito, poiché in tal modo egli potrà agire nei confronti del debitore con il più veloce strumento del decreto ingiuntivo, per il cui ottenimento è richiesta la prova scritta del credito (art. 633, n. 1, c.p.c.). È invece controverso se, in assenza di preventiva pattuizione scritta del compenso, possa ancora ottenersi un decreto ingiuntivo in forza di “parcella delle spese e prestazioni, munita della sottoscrizione del ricorrente e corredata dal parere della competente associazione professionale” come prevede l’art. 636 del codice di rito con riferimento alle ipotesi in cui il credito azionato in via monitoria riguardi “onorari, diritti o rimborsi spettanti […] ad altri esercenti una libera professione o arte, per la quale esiste una tariffa legalmente approvata” (art. 633, n. 3, c.p.c.). A tale quesito parte della giurisprudenza risponde negativamente, ritenendo che l’art. 636 c.p.c. rientrerebbe tra le norme abrogate dall’art. 9, comma 5, del D.L. n. 1/2012 (Trib. Varese 11 ottobre 2012 e Trib. Verona 25 settembre 2013) e in questo senso è anche l’opinione di alcuni ordini professionali (Collegio dei Geometri e CNDCEC). Altra giurisprudenza ritiene invece che le norme citate siano tuttora vigenti (Trib. Milano 13 gennaio 2016) e tale posizione viene condivisa dal Consiglio Nazionale Ingegneri e da altri ordini professionali (CNF e Consiglio Nazionale Consulenti del Lavoro): seguendo tale impostazione, la conseguenza pratica per un ingegnere che intenda recuperare un credito professionale è la possibilità di ottenere un decreto ingiuntivo sulla scorta di parcella opinata dal proprio Ordine di appartenenza e quindi anche in assenza di un accordo/preventivo accettato per iscritto dal cliente. Il problema, peraltro, sembra potersi dire almeno in parte superato da una novità di rilievo introdotta dalla legge n. 81/2017, che ha modificato l’art. 634, comma 2, c.p.c. estendendo anche ai lavoratori autonomi la possibilità di considerare prova scritta – ai fini dell’ottenimento del decreto ingiuntivo – gli estratti autentici delle scritture contabili, prima prerogativa delle sole imprese commerciali: pertanto, il libero professionista che non disponga di un preventivo accettato dal proprio cliente, potrà comunque scegliere di emettere la fattura (con conseguente obbligo di versamento dell’IVA) e in tal modo potrà avviare l’azione di recupero del proprio credito praticando la strada, per molti versi vantaggiosa, del procedimento per decreto ingiuntivo.

GIURISPRUDENZA CITATA

Trib. Varese 11 ottobre 2012 e Trib. Verona 25 settembre 2013, Trib. Milano 13 gennaio 2016

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Contenziosi nella formulazione dei compensi professionali: rimedi e giurisprudenza C. Barutta Avvocato

La questione dei contenziosi nella formulazione dei compensi professionali è di estrema attualità, tanto che il legislatore è intervenuto più volte nel corso degli ultimi anni, con specifiche prescrizioni per evitare l’incertezza negli accordi e le conseguenti vertenze tra professionista e cliente. Prima di trattare più diffusamente l’argomento è necessario comprendere da dove traggono origine tali contenziosi. Per fare ciò occorre identificare, innanzitutto, quale tipo di prestazione sia richiesta al fine di valutare se il professionista abbia adempiuto correttamente all’incarico ricevuto ed abbia, pertanto, maturato il diritto a vedersi corrisposto per intero il compenso richiesto. Soccorre al riguardo l’art. 1176, c. 2, C.C. che statuisce: “nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”. Al professionista, quindi, è richiesta una diligenza qualificata, in quanto va rapportata alla natura dell’attività svolta, avuto riguardo che l’ordinamento giuridico italiano prevede anche che: “se la prestazione implica la soluzione di problemi di particolare difficoltà, Il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o colpa grave” (art. 2236 C.C.). Ne consegue che nei contenziosi che possono sorgere nella formulazione dei compensi nell’ambito del contratto d’opera intellettuale (art. 2230 C.C.), occorre indagare se il professionista abbia svolto la propria obbligazione usando la perizia richiesta. Ed invero, laddove il professionista abbia svolto correttamente il proprio incarico non potranno essergli attribuite responsabilità e, conseguentemente, non potrà sindacarsi il suo diritto al compenso. Il diritto al compenso, però, va distinto dal diritto al legittimo compenso. In passato, il legittimo compenso poteva ritenersi maturato dopo aver svolto con la dovuta diligenza il proprio incarico e applicato correttamente le tariffe professionali. Le tariffe professionali, però, non sono più in vigore, perché abrogate dall’art. 9, c. 1, del D.L. n. 1/2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 27/2012, il quale dispone, al c. 2, che nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, a seguito della modifica normativa, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante. Successivamente, con l’art. 1, c. 150, L. n. 124/2017, il legislatore, modificando il testo del citato art. 9, inserendo le parole «obbligatoriamente, in forma scritta o digitale,» dopo le parole: «Il professionista deve rendere noto» e, al terzo periodo, dopo le parole: «la misura del compenso è previamente resa nota al cliente», ha previsto, altresì, una forma obbligatoria per il preventivo. Nonostante l’espressa previsione,

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CONTENZIOSI NELLA FORMULAZIONE DEI COMPENSI PROFESSIONALI

il legislatore non determina alcun tipo di conseguenza nel caso in cui il preventivo non sia stato redatto nelle forme prescritte. Alla luce di quanto detto, i contenziosi che possono generarsi tra professionista e cliente (oggi) vanno distinti, quindi, in contenziosi ove sia presente l’incarico sottoscritto a norma di legge, con la relativa quantificazione dell’attività previamente accettata dal cliente, e contenziosi in cui, benché previsto come obbligo, non sia stato sottoscritto alcun incarico. Per la risoluzione degli eventuali contenziosi in materia, l’ordinamento giuridico italiano prevede, sia il ricorso alla giustizia ordinaria, sia il ricorso a metodi alternativi di risoluzione delle controversie. La devoluzione delle controversie all’autorità giudiziaria piuttosto che agli altri organi previsti dalla legge dipende dal contenuto del contratto sottoscritto tra le parti. Nell’incarico professionale, infatti, possono essere inserite specifiche clausole che demandino la risoluzione delle controversie al Foro di competenza scelto d’accordo dalle parti (art. 28 C.P.C.), oppure, in alternativa, all’Ente di Mediazione (D.lgs. n. 28/2010) o, ancora, ad uno o più arbitri (Titolo VIII, artt. 806-840 C.C.). Per quanto riguarda l’esecuzione della decisione pronunciata dall’organo al quale è stata sottoposta la vertenza sulla spettanza dei compensi professionali, nessun problema si pone nelle ipotesi in cui, a seguito di specifica clausola espressamente accettata dal cliente, la controversia sia stata risolta con un accordo di mediazione o con un lodo arbitrale. In entrambi i casi il professionista sarà in possesso di un titolo esecutivo da far valere nell’ipotesi di violazione delle statuizioni ivi previste. Nell’eventualità, invece, in cui l’accordo di mediazione non sia stato raggiunto ovvero non sia stato previsto alcun metodo di risoluzione alternativa delle controversie oppure non vi sia neppure un accordo contrattuale, occorrerà adire la giustizia ordinaria. Avanti ai tribunali ordinari possono profilarsi vari rimedi a seconda della documentazione in possesso del professionista che ha svolto l’incarico. Ed infatti, il professionista, se dotato del solo contratto di incarico professionale, potrà incardinare una causa di merito avanti al tribunale civile ordinario competente, chiedendo di accertarsi l’operato svolto sulla base dell’incarico e la conseguente condanna del cliente, per inadempimento contrattuale, al pagamento degli importi concordati. Laddove, invece, il professionista abbia provveduto alla fatturazione delle prestazioni eseguite, potrà richiedere, ai sensi dell’art. 633 C.P.C., l’emissione di un ordine di ingiunzione nei confronti del cliente, accompagnando il relativo ricorso, oltre che dal contratto, anche dagli estratti autentici delle scritture contabili, a mente dell’art. 634 C.P.C. Può, altresì, presentarsi l’ipotesi in cui il professionista sia in possesso di uno o più riconoscimenti di debito, non necessariamente espliciti, che possono anche risultare dalla corrispondenza col cliente, nel qual caso la richiesta del provvedimento monitorio potrà essere accompagnata dalla domanda di provvisoria esecutorietà, ai sensi dell’art. 642 C.P.C. Sussiste ancor oggi la possibilità di richiedere ai competenti ordini professionali il parere sulla congruità della parcella emessa, parere che costituisce prova scritta, ai sensi dell’art. 633, c. 1, nn. 1 e 2, C.P.C.. Nel testo dell’art. 633 C.P.C. si fa ancora riferimento alle tariffe, tuttavia, dopo l’entrata in vigore dell’art. 9, c.1, del D.L. n. 1/2012 gli ordini procedono alla validazione delle parcelle tenendo in considerazione anche i parametri adottati con D.M. Quanto al caso in cui il professionista non sia in possesso di un contratto di incarico professionale, egli ha, comunque, diritto di vedersi liquidata l’attività svolta, incardinando un giudizio di merito avanti al competente tribunale civile, come ritenuto anche dalla Suprema Corte di Cassazione, la quale ha recentemente ribadito il principio secondo cui il professionista ha sempre diritto al compenso per il lavoro svolto (Cass. civ. Sez. II Sent., n. 10057/2018).

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Le attività della commissione pareri nell’Ordine degli Ingegneri E. Gatto

Consigliere Ordine degli Ingegneri della Provincia di Treviso

Introduzione alle caratteristiche, alle competenze ed alle funzioni svolte dalla Commissione pareri dell’Ordine degli Ingegneri. Presentazione delle recenti “Linee guida sul funzionamento delle Commissioni pareri e sulla procedura per il rilascio dei pareri di congruità sui corrispettivi per le prestazioni professionali” approvate dal CNI nella seduta di Consiglio del 20.6.2018. Le nuove Linee giuda hanno lo scopo di compiere una ricognizione delle regole e degli adempimenti che attualmente governano il rilascio del parere di congruità e rendere tali procedure conformi ed in sintonia con le vigenti normative. Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri ha pubblicato la Circolare 4 luglio 2018, n. 258 indirizzata a tutti i Presidenti degli Ordini territoriali con la quale ha trasmesso la nuova versione delle “Linee guida sul funzionamento delle Commissioni pareri e sulla procedura per il rilascio dei pareri di congruità sui corrispettivi per le prestazioni professionali”, approvate il 20 giugno 2018. Le Linee guida, con funzione di indirizzo e coordinamento, allo scopo di agevolare il più possibile l’attività degli Ordini territoriali degli Ingegneri e delle ex Commissioni parcelle, sono state elaborate e completamente rivisitate dal GdL Lavori Pubblici e Servizi di Ingegneria e di Architettura, coordinato dal Consigliere Tesoriere Ing. Michele Lapenna, con la collaborazione dell’Ufficio Legale CNI e intendono operare una ricognizione delle regole, delle procedure e degli adempimenti che oggi governano il rilascio del cd parere di congruità. In questa nuova versione sono state recepite e costantemente tenute in considerazione le modifiche e le novità che la legge annuale per il mercato e la concorrenza (legge 4/08/2017 n.124) ed il successivo decreto-legge 16/10/2017 n.148, come convertito dalla legge n.172/2017, hanno introdotto in materia di onorari professionali e trasparenza delle informazioni nei confronti dell’utenza. Il tutto ad evitare di ricevere possibili contestazioni e censure da parte delle Autorità di Vigilanza per mancato rispetto delle regole in materia di libera concorrenza, trasparenza e corretta informazione verso la clientela e la committenza. Costituiscono quindi, nel loro complesso (Linee guida + Modulistica allegata), un contributo ed una proposta che gli Ordini territoriali potranno utilizzare e/o liberamente modificare, adattandoli alla propria specifica realtà organizzativa, nella propria piena autonomia decisionale e responsabilità.

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Responsabilità professionale civile e penale ed aspetti assicurativi


La responsabilità professionale del progettista: spunti di riflessione Stefano Arrigo

Studio Legale Caldart e Arrigo & Associati

Vale anche per il progettista la regola che egli risponde del proprio operato nei confronti del cliente per inadempimento o inesatto adempimento. L’inadempimento va valutato sulla base della regola prevista dall’art. 1176, II° comma c.c. che va oltre la diligenza del buon padre di famiglia (prevista dal I° comma) una diligenza adeguata alla “natura dell’attività esercitata”. Il progettista risponde dunque anche per colpa lieve. Lo studio si sofferma sull’obbligo e dovere di informazione del libero professionista nascente sia dalle norme deontologiche, sia dai principi generali dettati in materia contrattuale, evidenziando come negli ultimi anni si è assistito ad una evoluzione giurisprudenziale tesa ad attribuire a tale obbligo una importanza crescente. Trattasi di un obbligo propedeutico ed antecedente l’esecuzione del contratto, ma avente un peso significativo. Sempre in tema di responsabilità contrattuale viene evidenziata l’inapplicabilità all’attività del progettista dell’art. 2226 c.c. Quindi per i vizi dell’opera mentre all’appaltatore si applicano i termini previsti dagli artt. 1667 e 1668 c.c., tali termini non sono applicabili al progettista per il quale la contestazione dell’errore progettuale non è soggetta a nessun termine di decadenza e al termine di prescrizione decennale. Appurato che il progettista risponde degli errori progettuali nel termine di prescrizione ordinaria, cioè dieci anni, vi è da stabilire l’esatta individuazione del dies a quo a partire dal quale decorre il termine di prescrizione per esperire l’azione in sede giudiziale da parte del cliente nei confronti del professionista. La giurisprudenza più recente (anche se non costante), elaborata con riguardo ad altre categorie professionali, quali notai, medici, avvocati, ma certamente estensibile anche alla posizione del progettista, fa decorrere il dies a quo del termine di prescrizione non dal compimento dell’atto, ma dalla manifestazione del danno per il cliente: ”il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da responsabilità professionale inizia a decorrere non dal momento in cui la condotta del professionista determina l’evento dannoso, bensì da quello in cui la produzione del danno si manifesta all’esterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile da chi ha interesse a farlo valere”. La responsabilità del progettista è anche extra contrattuale ex art. 1669 c.c. L’art. 1669 c.c. è stato ritenuto dalla Suprema Corte una norma che prevede una responsabilità extracontrattuale di ordine pubblico. Infatti la funzione della norma è quella di promuovere la stabilità e la solidità degli edifici e degli altri beni immobili destinati per loro natura a lunga durata così tutelando l’incolumità e la sicurezza dei cittadini.

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RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE CIVILE E PENALE ED ASPETTI ASSICURATIVI

Ma anche l’art. 2043 è applicabile al progettista? La questione della compatibilità, quindi della ammissibilità, delle azioni ex art. 2043 cod. civ. e 1669 c.c. rispetto al medesimo evento è stata risolta dalla giurisprudenza in senso affermativo. Dunque nell’ipotesi che il danno si manifesti entro dieci anni l’applicazione dell’art. 1669 c.c. comporta che il committente e i suoi aventi causa debbono esclusivamente dimostrare il nesso di causa e il danno ingiusto non essendo necessario dimostrare l’elemento soggettivo della colpa che si presume fino a prova contraria, mentre questa dimostrazione sarà assolutamente necessaria nel caso di applicazione dell’art. 2043 c.c. Ci troviamo di fronte a un danno che potrà essere richiesto anche oltre il decennio: il terzo che assuma di aver subito un danno potrà agire per il risarcimento, invocando l’articolo 2043c.c. anche se il danno si dovesse manifestare anche dopo moltissimo tempo, ben oltre dieci anni. Nell’ipotesi, tutt’altro che infrequente, in cui i gravi vizi o difetti di un immobile e le conseguenti pretese risarcitorie del committente o dei suoi aventi causa siano dovuti a responsabilità concorrenti ciascuno dei soggetti coinvolti risponde, in via solidale, del danno per l’intero, salvo il diritto di regresso nei confronti degli altri coobbligati. Una buona polizza assicurativa mette al riparo il professionista, progettista incluso, dai rischi connessi con l’esercizio della propria attività? Molte polizze assicurative della responsabilità civile professionale prevedono che la compagnia assicuratrice risponda per la sola quota di responsabilità di pertinenza dell’assicurato. Si tratta di vedere come il libero professionista può difendersi a fronte dell’eccezione della compagnia assicuratrice di essere disponibile a pagare quanto dovuto al danneggiato limitatamente alla sola quota di responsabilità dell’assicurato lasciandolo quindi “in balia” del creditore per la quota non coperta e per la quale i corresponsabili in solido non vogliano o non possano provvedere al saldo di quanto di loro competenza. La Suprema Corte scrive che, nel caso specifico, è evidente la violazione dell’art. 1917 c.c. “secondo cui nell’assicurazione della responsabilità civile “l’assicuratore è obbligato a tenere indenne l’assicurato di quanto questi… deve pagare a un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto”, senza porre quindi la distinzione limitativa ritenuta dal giudice di appello, la quale del resto, come esattamente osservato dalla società ricorrente, priverebbe di concreta tutela l’assicurato rispetto alla quota di responsabilità posta a carico del condebitore solidale, nel caso in cui quest’ultimo sia insolvibile o di difficile solvibilità” (Cass. Civ. 31 maggio 2012, nr. 8686). In conseguenza di tale sentenza il problema parrebbe risolto, ma così non è. La Corte Veneziana ritiene che tale sentenza della S.C. si applichi, nei casi di responsabilità solidale, all’ipotesi di copertura assicurativa priva di clausole limitative, nel qual caso la compagnia deve rispondere per l’intero, ma non anche quando il contraente approvi specificamente per iscritto quella clausola che preveda sempre e solo il pagamento della quota di responsabilità dell’assicurato. Lo studio esaminando alcuni precedenti giurisprudenziali sostiene la nullità di tali clausole perché “avvelenano” la causa del contratto di assicurazione facendone venir meno la stessa ragione per cui il medesimo è stato stipulato restando l’assicurato privo di tutela per la quota di responsabilità a carico del condebitore solidale. Non solo. Benché le parti, nella loro autonomia, siano libere ex art. 1322 c.c. di determinare il contenuto del contratto rispettando i limiti imposti dalla legge e di concludere anche contratti non tipici purché diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela, una polizza che non copra la responsabilità e non elida il rischio risarcitorio in capo all’assicurato non pare meritevole di tutela con conseguente sostenibilità dell’inefficacia o nullità di tali clausole. Lo studio procede infine all’esame di alcuni casi concreti di responsabilità del progettista.

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Metodi di Ingegneria Gestionale applicati alla individuazione delle responsabilità in casi di frode aziendale e white collar crimes


L’adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili nelle indagini forensi sui dissesti societari Andrea Pederiva

Direttore Internal Audit SAVE SpA - Ordine degli Ingegneri di Treviso

La ricostruzione delle responsabilità in situazioni di crisi o dissesto societario con perdite di valore a danno dei soci o dei creditori viene di norma riferita allo studio delle responsabilità decisionali concernenti singole operazioni o sequenze di operazioni di gestione, eventualmente relative ad un determinato periodo temporale. Tuttavia, al manifestarsi della situazione di crisi o di dissesto, eventuali ricostruzioni degli eventi orientate alla sola attribuzione delle responsabilità afferenti le operazioni di gestione o le scelte gestionali direttamente ricollegabili ai fatti o alle operazioni che hanno causato la crisi possono essere frustrate dalla complessità degli eventi, dal numero di soggetti coinvolti, dall’estensione temporale dei fatti oggetto di ricostruzione, con il rischio che la ricostruzione degli stessi possa risultare impossibile o comunque vanificata sotto il profilo degli esiti auspicati. Appare invece possibile ipotizzare un approccio diverso, complementare e non sostitutivo, che valorizzi la definizione delle responsabilità degli amministratori nelle società per azioni definite dalle norme civilistiche1 ed eventualmente di settore rilevanti, da utilizzarsi sia in fase di indagine che di valutazione delle circostanze, orientato ad accertare le responsabilità rispetto alle scelte organizzative che hanno consentito il verificarsi dell’evento o della sequenza di eventi avversi. I principali obblighi a contenuto generico in capo agli amministratori possono essere riassunti, per quanto qui interessa, osservando che, nel gestire l’impresa compiendo le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale, gli stessi sono soggetti ad un generale dovere di agire in modo diligente, informato e nel rispetto di principi di corretta amministrazione. Gli amministratori sono inoltre tenuti a implementare l’impianto organizzativo minimale e la dialettica intrasocietaria sanzionati dalla riforma del diritto societario del 2003, costituiti sommariamente da un organo direttivo che indirizza e valuta, da organi delegati che attuano e curano, da un organo di controllo che vigila sulla attuazione e il funzionamento di tale impianto, e dai relativi flussi informativi.

1) Con riferimento in particolare agli artt. 2380-bis, 2381, 2392, 2403 cc.

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METODI DI INGEGNERIA GESTIONALE APPLICATI ALLA INDIVIDUAZIONE DELLE RESPONSABILITÀ IN CASI DI FRODE AZIENDALE E WHITE COLLAR CRIMES

Venendo al cuore della questione per quanto attiene agli obiettivi di questo lavoro, ciò che più interessa, rispetto all’assetto organizzativo di alto livello così delineato, è tuttavia l’ulteriore specificazione normativa che obbliga gli amministratori a definire ed adottare presìdi organizzativi ad un più spinto livello di dettaglio, costituiti da un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile. Tali assetti sono posti in essere dagli organi delegati, che ne curano l’adeguatezza in relazione alla natura e alle dimensioni dell’impresa; l’adeguatezza degli assetti deve essere valutata dall’organo direttivo sulla base delle informazioni ricevute, e sull’adeguatezza ed il funzionamento degli assetti è tenuto a vigilare il Collegio Sindacale. Il dovere da parte degli amministratori di assicurare l’adeguatezza degli assetti organizzativo, amministrativo e contabile costituisce un aspetto del più generale dovere di rispettare i princìpi di corretta amministrazione, che a sua volta si inquadra nell’ancor più generale dovere di diligenza. Il rispetto dei princìpi di corretta gestione attiene al fatto che le scelte siano effettuate secondo criteri di ragionevolezza e di legittimità sostanziale, sulla base di un’adeguata istruttoria e nella consapevolezza dei rischi e degli effetti attesi delle stesse, nonché in buona fede, senza conflitti di interesse, in modo non palesemente irrazionale e tenuto conto degli sviluppi delle scienze aziendalistiche. Soddisfatti tali criteri le decisioni assunte dagli amministratori saranno protette dalla cd. business judgment rule, secondo cui il giudice non può sindacare le scelte degli amministratori assunte con quelle cautele, verifiche e informazioni che sono da ritenersi normalmente necessarie per compiere scelte gestionali di quel determinato tipo e in quelle circostanze, venendo dunque in rilievo il criterio di prevedibilità delle conseguenze pregiudizievoli. Per quanto riguarda i criteri operativi del principio di adeguatezza degli assetti organizzativo, amministrativo e contabile appare opportuno in questa sede fare riferimento alle Norme di Comportamento del Collegio Sindacale emesse dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili per le società quotate e non quotate. Le Norme in parola considerano di fatto anche per le società non quotate il sistema di controllo interno e di gestione dei rischi come parte integrante dell’assetto organizzativo, conformandosi pertanto allo spirito e alla sostanza della previsione di legge che ha posto in capo agli amministratori il dovere di adottare tali assetti e di assicurarne l’adeguatezza. Valorizzando la centralità del sistema di controllo interno nell’impianto degli assetti organizzativo, amministrativo e contabile, unitamente alla presenza di normative specifiche di settore o per materia, codici di autodisciplina, norme, standard e linee guida nazionali e internazionali, ed una vasta letteratura di riferimento, è possibile individuare anche per le modalità di definizione di tali assetti, tenuto conto dei criteri di adeguatezza riferiti alla natura e alle dimensioni dell’impresa, un modello di condotta astratto cui un oculato e prudente amministratore si dovrebbe conformare, rispetto al quale poter confrontare il comportamento tenuto in concreto dagli amministratori. Un sindacato metodologicamente corretto dei processi decisionali concernenti l’adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili, pur nel rispetto della business judgment rule, potrà quindi consentire l’attribuzione di responsabilità precise, purché sia possibile ricostruire con un sufficiente grado di certezza il nesso casuale fra l’inadeguatezza degli assetti e gli eventi avversi verificatisi. Risultando in definitiva l’adeguatezza degli assetti organizzativo, amministrativo e contabile un preciso dovere degli amministratori, qualora una situazione di crisi o dissesto dovesse comportare l’insorgere di danni in capo alla società o ai creditori e fosse ravvisabile

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un nesso di causalità fra l’inadeguatezza degli assetti e la crisi o il dissesto, ove l’inadeguatezza degli assetti fosse conoscibile dagli amministratori con la diligenza qualificata a cui sono tenuti ai sensi degli artt. 1176 e 2392 c.c., se ne dovrebbe concludere per la responsabilità degli stessi anche se fossero da valutare non conoscibili con la stessa diligenza qualificata le operazioni di gestione o le circostanze che più prossimamente hanno condotto alla situazione di crisi o dissesto.

BIBLIOGRAFIA

[1] Assetti adeguati e modelli organizzativi, a cura di Maurizio Irrera, Zanichelli 2016 [2] Norme di comportamento del collegio sindacale di società quotate, CNDCEC, 2018 [3] Business judgment rule e mercati finanziari, Quaderni giuridici CONSOB, 2016

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Indagini investigative preventive nella gestione delle frodi M. Magri

Presidente ACFE - Association Certified Fraud Examiner, Central Italy Chapter

L’introduzione della legge del 7 dicembre 2000, n. 397, recante «Disposizioni in materia di indagini difensive» è avvenuta dopo un periodo di preparazione e discussione protrattasi per oltre quattro anni. La disciplina profondamente ampliata rispetto al passato, nella teoria, appare in grado di normare completamente l’attività posta in essere dall’avvocato e dall’investigatore, grazie all’introduzione di nuove fattispecie incriminatrici (artt. 371 ter e 379 bis c.p.) e all’ampliamento di ipotesi criminose già esistenti in relazione all’attività probatoria degli organi di accusa (art. 371 bis c.p.). La legge N. 397/2000 ha inserito nel codice di procedura penale il Titolo VI-Bis “Investigazioni difensive”, oltre ad una norma di carattere generale, l’art. 327 bis che recita: “Fin dal momento dell’incarico professionale, risultante da atto scritto, il difensore ha facoltà di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito, nelle forme e per le finalità stabilite nel titolo VI-bis del presente libro.” La facoltà indicata al comma 1 può essere attribuita per l’esercizio del diritto di difesa, in ogni stato e grado del procedimento, nell’esecuzione penale e per promuovere il giudizio di revisione. Il disposto di tale legge, relativa alle indagini difensive, può pertanto essere utilizzato a favore di una persona fisica, indagato o imputato, ovvero la parte offesa dal reato cioè le persone giuridiche. La seconda norma analizzata, vale a dire il disposto del D.Lgs. 231/2001, inerente la responsabilità amministrative degli enti, prevede l’istituzione di un Organismo di Vigilanza con il compito principale di garantire la corretta attuazione e l’aggiornamento del Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo. Esse rappresentano l’impianto normativo necessario al compimento stesso delle investigazioni difensive aziendali. L’Organismo di Vigilanza è spesso supportato dall’Internal Audit, vale a dire quella funzione che instaura relazioni a supporto dell’Organismo di Vigilanza: viene infatti di norma condiviso con gli auditors interni la strutturazione del piano di verifiche concernenti le aree soggette a rischio di commissione di reati che rientrano nel “catalogo” del D.Lgs. 231/2001. L’Internal Audit, durante tali verifiche, trasmette all’Organismo di vigilanza quanto riscontrato in ambito di controllo, mentre il Responsabile della Funzione di Internal Audit partecipa agli incontri dell’ODV, oltre a poter essere membro dello stesso. Il presupposto d’avvio di qualsiasi attività d’indagine aziendale interna può essere costituito dalla ricezione di una “notizia” riguardante la violazione, anche meramente sospetta,

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dei principi o delle procedure del Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo del Codice Etico o del Sistema di Controllo Interno. La notizia può avere ad oggetto, nei casi più gravi, anche condotte che dimostrino sin dall’inizio la loro attitudine ad assumere rilevanza penale. Ciò comporta, un diverso approccio nella gestione della segnalazione stante la specifica criticità evidenziata dalla notizia. Le fonti informative primarie attraverso le quali le informazioni giungono all’attenzione dei soggetti preposti alla vigilanza e al controllo dell’ente, sono rappresentati in prima battuta dall’attività di monitoraggio svolta regolarmente dall’OdV o dall’Internal Audit nell’esercizio delle proprie funzioni di prevenzione che può portare alla rilevazione di “red flag”. A questa si aggiungono ulteriori canali informativi periodici o ad hoc, quali ad esempio le segnalazioni interne provenienti dai sistemi di whistleblowing o le anomalie prodotte dai software di Data Analysis; questi ultimi, gestiti dalla funzione IT aziendale, consentono all’OdV di essere raggiunto da un insieme di informazioni che, una volta aggregate, possono indicare l’esistenza di fenomeni da approfondire. Le linee guida aziendali, in ambito ex D.lgs. 231/01, prevedono quali provvedimenti adottare rispetto ai dipendenti coinvolti, nonché in relazione alla gravità del fatto ed alla necessità di evitare il rischio di misure interdittive, eliminando “le carenze organizzative che hanno determinato il reato”. Nel caso in cui non venga effettivamente imputata all’ente la responsabilità “ex 231”, l’azienda può infatti conferire mandato di avviare un’indagine difensiva preventiva in qualità di persona offesa dal reato o persona danneggiata. L’Organismo di Vigilanza dell’ente, dotato di particolare autonomia nell’esercizio dei propri poteri, può di propria iniziativa attivarsi e svolgere verifiche a carattere ispettivo. Tale autonomia, si ritiene, non possa comunque sfociare nella titolarità dell’iniziativa investigativa funzionale alla ricerca di elementi di prova a favore della difesa dell’ente nelle informazioni potenzialmente dirimenti per le finalità difensive della società. Si possono ricomprendere ad esempio la prova dell’elusione fraudolenta del modello da parte dei soggetti apicali, ma non potrà comunque attivarsi nella ricerca di elementi di prova ed assumere così le difese del soggetto collettivo, dal momento che il decreto demanda espressamente all’Organismo di Vigilanza un compito che ha presupposti e finalità diverse rispetto a quelle difensive, trattandosi della vigilanza sul funzionamento e l’osservanza del Modello. La parzialità che discenderebbe invece da un simile impostazione, qualora l’OdV si ponesse deliberatamente a favore dell’ente avverso le sorti dell’imputato, si ritiene risulti incompatibile rispetto ai requisiti di autonomia ed indipendenza che devono invece contraddistinguerne l’operato. All’Organismo di Vigilanza non residuerà che un potere investigativo e di verifica limitato alla sola dimensione organizzativa, dovendosi invece attivare tempestivamente nella segnalazione delle anomalie riscontrate all’Organo Amministrativo al quale spetterà poi decidere, in relazione alla tipologia di criticità rilevata, se integrare l’attività di indagine affidando incarico espresso all’Internal Audit, a professionisti esterni, o conferendo apposito mandato al difensore per lo svolgimento delle indagini difensive penali delineate al codice di rito.

BIBLIOGAFIA

Filippo Giunchedi “Questioni problematiche delle investigazioni difensive Angelo Jannone “231 e difesa post delictum: tecniche, metodi e framework legale di case management” Niccolò Emilio Maria Baruffi “Le investigazioni interne societarie” 42


Il ruolo dell’internal audit prima e dopo. L’attività di controllo “on going” e la prevenzione delle frodi vista da chi monitora il sistema di controllo interno A. Bonomo

Responsabile internal audit Banca Finanziaria Internazionale S.p.A

“Quel grande analista del potere che fu il Machiavelli concepisce il potere esattamente nei termini di CONTROLLO CONTRO FORTUNA, la capricciosa Dea del destino e della sorte. Machiavelli mette controllo e Fortuna in contrapposizione, cosicchè il potere diventa la capacità di controllare gli imprevedibili interventi della Fortuna, gli errori, i vizi, le incompetenze, i pasticci che attaccano ogni impresa”. [1] “La potenza è nulla senza il controllo”, recitava qualche anno fa un spot di una nota casa di pneumatici; tale considerazione vale anche per le imprese, il cui andamento, in assenza di idonea capacità di intercettare e gestire i rischi, può essere danneggiato da rischi esterni ed interni nei modi più disparati. Situazioni che possono portare “fuori controllo” un’impresa includono ad esempio: 1. una crescita del fatturato esponenziale/non pianificata/improvvisa; 2. acquisizione/fusione/incorporazione non supportata dal consolidamento dell’organizzazione interna; 3. la mancanza di standardizzazione dei processi, azienda che si fonda su “centri di potere/sapere” (Key people). Per capire lo stato di salute della propria organizzazione l’imprenditore deve necessariamente dare una risposta a domande precise:1 • Quanto è potente la mia azienda (qual è la mia capacità produttiva? in cosa consiste e a quanto ammonta il valore aggiunto prodotto?) • La capacità di crescita è misurata solo da fatturato e marginalità o ci sono altri parametri? • Che cosa significa avere il pieno controllo della mia azienda? • Il controllo come può essere declinato all’interno della mia organizzazione? L’azienda può nascere e svilupparsi nel breve periodo grazie ai talenti ma dura e cresce nel tempo solo con le competenze. Anche il controllo richiede quindi competenze specifiche. L’articolazione e l’evoluzione degli organismi aziendali ha fatto sì che oggi più che di controllo si parli di Sistema di Controllo Interno (SCI), composto da svariati attori e funzioni

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sia interne che esterne all’azienda stessa, e di Cultura del Controllo intesa come insieme di valori, idee e convinzioni in merito al ruolo cruciale assunto dall’attività di controllo. La funzione interna preposta al monitoraggio del SCI è l’internal audit (o Revisione Interna). Secondo la definizione internazionalmente riconosciuta l’internal audit è una attività indipendente e obiettiva di assurance e consulenza, finalizzata al miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dell’organizzazione. Assiste l’organizzazione nel perseguimento dei propri obiettivi tramite un approccio professionale sistematico, che genera valore aggiunto, in quanto finalizzato a valutare e migliorare i processi di gestione dei rischi, di controllo, e di governance [2] Mediante le attività di Assurance l’internal audit certifica che l’attività sia in linea con quanto previsto/ indicato/ desiderato dall’imprenditore, dalla normativa, da altri stakeholders,…., mentre quando svolge attività di Consulenza l’internal audit supporta in via preventiva le scelte aziendali al fine di contribuire al buon governo dell’impresa (governance) e supporta la standardizzazione dei processi con un focus sui controlli di linea, anche con finalità di prevenzione delle frodi. L’approccio dell’internal audit finalizzato a…..migliorare i processi di gestione dei rischi si riferisce a tutte le categorie di rischio: rischi di business, rischi finanziari, rischi di conformità e legali, reputazionali, inclusi quindi i rischi di frode. Considerato il loro ruolo nella gestione dei rischi, le funzioni di controllo come l’internal audit (e in senso più ampio il SCI nel suo complesso) contribuiscono anche alla redditività aziendale, riducendo i costi connessi a errori, rischi e frodi; in questo senso si possono considerare non solo centri di costo, ma anche di ricavo”. Per le attività di analisi e prevenzione delle frodi è ormai consolidata l’impostazione basata sul noto “triangolo della frode” [3], che rappresenta i tre fattori presenti in ogni caso di frode: 1. Motivazione/Necessità (esigenze economiche) 2. Razionalizzazione/Giustificazione (“così fan tutti”, oppure “sono stato trattato male”) 3. Opportunità (assenza di controlli interni) Dei tre fattori, l’Opportunità rappresenta l’elemento oggettivo, che quindi più facilmente può essere gestito per ridurre il rischio di frode stesso. Secondo il rapporto annuale sulle frodi commesse da o con il coinvolgimento di persone interne alle aziende [4] tra gennaio 2016 e ottobre 2017 sono stati censiti, analizzati 2690 casi di frodi interne avvenuti in 125 paesi del mondo per un valore complessivo superiore a 7 billion $ (valore medio 130.000 $). Di queste il 89% delle frodi ha riguardato l’appropriazione di valori o beni (asset misappropriation schemes) per un valore medio di 114.000$ mentre il 10% delle frodi ha riguardato frodi di bilancio (financial statements fraud schemes) per un valore medio pari a 800.000$. Tra le modalità per la scoperta delle frodi al primo posto c’è la segnalazione (tips, whistleblowing,…) con il 40% dei casi, al secondo posto l’internal audit con il 15% dei casi. “L’internal audit può contribuire alla “prevention” e alla “detection” delle frodi svolgendo sia attività di assurance che di consulenza. Nel corso della sessione cercheremo di illustrare alcune buone pratiche. 44


METODI DI INGEGNERIA GESTIONALE APPLICATI ALLA INDIVIDUAZIONE DELLE RESPONSABILITAÌ€ IN CASI DI FRODE AZIENDALE E WHITE COLLAR CRIMES

BIBLIOGRAFIA

[1] IL POTERE. Come usarlo con intelligenza, James Hillman, BUR Milano 2002 [2] International Professional Practice Framework, IIA, 2017 [3] Iconic Fraud Triangle Endures, W. Steve Albrecht, Fraud Magazine july/august 2014 [4] Report to the nations on occupational fraud and abuse, ACFE, 2018

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Ingegneria forense nel settore civile


Le responsabilità in capo ai soggetti che partecipano a vario titolo alla realizzazione degli immobili Giuseppe Cardillo e Paolo Savoia Ingegneri, Liberi professionisti

Sono sempre più numerosi i contenziosi, sia civili che penali, ove l’oggetto del contendere è rappresentato da vizi e difetti delle strutture cagionati da errori costruttivi e/o progettuali. Il nostro Ordinamento ci permette di individuare puntualmente i ruoli e i conseguenti profili di responsabilità associati ad ogni singolo soggetto che ha partecipato a vario titolo alla realizzazione di un’opera; la conoscenza quindi dei ruoli e compiti di ogni soggetto coinvolto (committente compreso) consente la corretta individuazione di quell’anello della “catena” che può considerarsi causa dei vizi e difetti manifestatisi. Da qui l’importanza di conoscere i diversi profili di responsabilità in capo ai soggetti che partecipano a vario titolo alla realizzazione degli immobili, anche alla luce del DM 17.1.2018.

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Gli interventi su edifici esistenti e i conseguenti contenziosi civili Carmelo Majorana e Gianluca Mazzucco

Università di Padova

Accade sovente che vengano realizzati interventi di ampliamento o riduzione e più in generale di miglioramento o adeguamento di un edificio e che a seguito di tali interventi venga modificata la struttura esistente, ovvero che venga lamentato un rischio di rovina per la struttura nella sua nuova conformazione, con conseguente responsabilità non solo dell’esecutore, ma dello stesso progettista. A ciò si aggiungano le responsabilità, civili e penali, del tecnico chiamato ad asseverare i valori di sicurezza della struttura quando non questi non corrispondono ai valori reali. In tutti questi casi, in aggiunta all’accertamento dei profili di responsabilità, occorre definire il livello di sicurezza dell’immobile e suggerire quindi l’intervento correttivo idoneo a risolvere la problematica lamentata. Va evidenziato inoltre come tale procedura non comporti di fatto una progettazione esecutiva in capo al CTU, ma l’indicazione degli interventi correttivi necessari e i conseguenti costi.

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La vulnerabilità sismica delle strutture: obblighi normativi, criticità e messa in sicurezza dei manufatti Valentina Salomoni1) e Giuseppe Cardillo2) 1)

Università di Padova; 2) Ingegnere, Libero professionista

Gli eventi sismici del 2012 in Emilia Romagna, Veneto e Lombardia hanno avuto un forte impatto su aree del nostro paese caratterizzate da una pericolosità sismica medio-bassa. Il riconoscimento formale di tale pericolosità è avvenuto solo recentemente, nel contesto della revisione della normativa tecnica per le costruzioni e della classificazione sismica avviata con l’OPCM 3274 a partire dal 2003. Ciò ha determinato la presenza sul territorio di numerose costruzioni progettate e realizzate, anche in tempi relativamente recenti, senza l’adozione di criteri di progettazione antisismica, in quanto non previsti dalle normative tecniche vigenti. Da qui la necessità di procedere all’accertamento delle criticità e quindi alla messa in sicurezza dei manufatti, alla luce del quadro normativo vigente al momento di realizzazione dell’opera e quello attuale.

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Il ruolo del consulente tecnico dell’ambito dei procedimenti d’urgenza che interessano le strutture (art.700 C.P.C.) Giuseppe Cardillo e Gianluca Pasqualon Ingegnere, Liberi professionisti

Nell’ambito dei contenziosi civili aventi ad oggetto vizi e difetti sulle strutture, particolare interesse rivestono i procedimenti d’urgenza (di cui all’art. 700 c.p.c.), nell’ambito dei quali al Giudice viene chiesto di ordinare a una delle parti il provvedimento urgente più idoneo per eliminare una situazione di criticità o di rischio strutturale imminente. In tal caso, vista la natura tecnica delle questioni lamentate dalle parti, il Giudice non può che rivolgere tale domanda al tecnico, ovvero al CTU, al quale viene chiesto di dare riscontro quasi immediato. In tali casi la conoscenza della procedura è d’obbligo, ma - dal punto di vista prettamente tecnico - è altrettanto importante saper individuare le soluzioni provvisorie più opportune per la messa in sicurezza, che siano il meno impattanti possibile, per non pregiudicare la vita delle persone all’interno degli immobili, tenuto conto che la successiva causa di merito potrebbe protrarsi per alcuni anni.

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L’analisi e l’evoluzione dei quadri fessurativi nelle strutture in elevazione realizzate in calcestruzzo o muratura Carmelo Majorana e Giovanna Xotta Università di Padova

Una delle cause più frequente dei contenziosi civili che riguardano le strutture sono i fenomeni fessurativi, che possono interessare sia strutture di nuova realizzazione che strutture realizzate in epoche antecedenti. In entrambi i casi, l’analisi di un quadro fessurativo comporta per l’ausiliario del giudice l’esecuzione di una serie di analisi e verifiche volte: • ad accertare le cause che hanno generato il fenomeno; • se tale quadro fessurativo sia in evoluzione o meno; • quali siano gli interventi per la risoluzione del vizio/difetto e i relativi costi e tempi di esecuzione; • profili di responsabilità dei soggetti coinvolti direttamente nel progetto; • profili di responsabilità indiretta nel caso in cui la causa dipenda da lavorazioni o problematiche strutturali manifestatesi su edifici attigui.

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L’analisi e l’evoluzione dei quadri fessurativi nelle pavimentazioni industriali Carmelo Majorana e Beatrice Pomaro

Università di Padova

Una delle cause più frequenti di contenzioso civile è rappresentata dalla fessurazione della pavimentazione in calcestruzzo, non solo degli edifici ad uso industriale o commerciale, ma anche degli edifici di civile abitazione. In tali casi, al fine di poter accertare cause del quadro fessurativo e conseguenti responsabilità, è importante definire l’epoca di costruzione, la normativa di riferimento e come il progettista ha inteso “trattare” la pavimentazione all’interno della struttura. Tale analisi non può prescindere dalla conoscenza degli aspetti contrattuali, ovvero da quelle che sono state le indicazioni fornite dalla committenza in ordine all’utilizzo della pavimentazione. Un tanto al fine di comprendere pienamente quelli che sono stati gli elementi assunti a base della progettazione della pavimentazione stessa. Oltre alla fase di progettazione deve essere prestata particolare attenzione alla fase esecutiva e alle condizioni ambientali che possono aver influito sulla realizzazione dell’opera. Va inoltre evidenziato che, in molti casi, il giudice chiede al proprio consulente se sia possibile risalire al momento temporale in cui il quadro fessurativo ha avuto origine ed è diventato visibile, un tanto in ragione dei termini di decadenza e di prescrizione dell’azione. Da qui la necessità di acquisire una conoscenza approfondita degli aspetti progettuali ed esecutivi delle pavimentazioni in calcestruzzo.

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Fattori di vulnerabilità per edifici residenziali soggetti a tornado Mariano Angelo Zanini1); Lorenzo Hofer 1); Flora Faleschini1) 2); Carlo Pellegrino1)

Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile ed Ambientale, Università degli Studi di Padova 2) Dipartimento di Ingegneria Industriale, Università degli Studi di Padova 1)

Il territorio della pianura padana è un’area particolarmente soggetta ad eventi atmosferici estremi durante la stagione estiva, con una non trascurabile occorrenza di eventi di natura tornadica che colpiscono con particolare violenza in particolare le aree di pianura venetofriulane. I tornado, o trombe d’aria, presentano caratteristiche metereologiche specifiche, e si caratterizzano per la presenza di un vortice conico di correnti a moto circolatorio che si sviluppa lungo un percorso pseudolineare di lunghezza variabile tra i 2-3 km fino a raggiungere per gli eventi più intensi sviluppi nell’ordine dei 40-50 km, e di larghezza molto limitata (circa 1 km per gli eventi più severi). A seconda della violenza dell’evento, i venti generati possono raggiungere velocità anche superiori ai 300 km/h nel punto di picco di intensità del tornado, che in genere si osserva verso la metà dello sviluppo lineare del percorso, caratterizzato da un’iniziale crescendo di intensità nella prima parte, e una graduale dispersione nella parte finale del percorso. L’impatto delle correnti generate dal tornado sul costruito produce nella maggior parte dei casi danneggiamenti di modesta entità, ma per gli eventi più intensi può provocare rilevanti danni strutturali per gli edifici che vengano interessati dal percorso del tornado. Attualmente risulta molto difficile condurre una misurazione diretta e quantitativa della velocità delle correnti generate da un tornado, vista la violenza del fenomeno e pertanto la relativa necessità di disporre di una stazione di misurazione mobile e in grado di resistere al fenomeno senza danneggiarsi e al contempo svolgendo misurazioni affidabili. Per la stima dell’intensità di un tornado, si va a eseguire una correlazione indiretta e qualitativa tra il danneggiamento osservato agli edifici e crescenti range di velocità del vento, basati in alcuni casi su considerazioni di natura empirica. Gli studi disponibili in letteratura relativi ai tornado in Italia risultano tuttavia ancora scarsi e di carattere generale, mentre molti approfondimenti sono stati svolti in altre aree del globo, a partire dagli Stati Uniti d’America. A partire dall’analisi dei tornado statunitensi nel 1971 è stata codificata la prima scala di misurazione dell’intensità dei tornado sulla base dell’osservazione degli effetti sul costruito dallo studioso Fujita (1971). In Europa solo a partire dagli anni 2000 si è iniziato ad affrontare in maniera scientifica tale problematica, e gruppi di ricercatori hanno fondato un istituto per la ricerca sugli eventi metereologici estremi denominato European Severe Storms Laboratory (ESSL). In Italia solo di recente si sta prendendo atto dei rischi connessi a queste tipologie di calamità naturali, probabilmente anche a motivo dell’apparente incremento della frequenza di osservazione dei fenomeni negli ultimi anni e del relativo

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INGEGNERIA FORENSE NEL SETTORE CIVILE

impatto mediatico che i più intensi hanno sulla popolazione. Un recente esempio degli effetti dei tornado sul costruito è rappresentato dall’evento che ha interessato la Riviera del Brenta nel luglio 2015, e che ha provocato danni stimati in oltre 60 milioni di euro. Gli autori della presente memoria hanno condotto, in collaborazione con la Protezione Civile Regione del Veneto, un’estesa attività di rilievo del danno agli edifici residenziali (Fig. 1) che sono stati interessati da danneggiamenti nei Comuni colpiti dal tornado (Pianiga, Dolo, e Mira in Provincia di Venezia), e i cui risultati sono stati rielaborati e sintetizzati in Zanini et al. (2017). Il tornado è stato stimato di intensità pari a EF4, in accordo con la scala Enhanced-Fujita (ARPAV 2015). Le attività di rilievo hanno evidenziato una serie di peculiarità relative alla propensione al danneggiamento di edifici ordinari soggetti alle pressioni indotte dalle correnti durante il transito di un tornado. Nello specifico si è osservata una certa sequenzialità nel danneggiamento, con l’iniziale erosione del manto di copertura con rimozione di coppi, tegole (DS0-DS1), successiva asportazione di parti della copertura fino al completo scoperchiamento dei fabbricati (DS2), e per eventi molto intensi l’azione di “erosione” da parte delle correnti con danneggiamento dei muri portanti al piano inferiore rispetto al livello di copertura (DS3) e via proseguendo ai piani inferiori (DS4), fino alla completa distruzione del fabbricato (DS5). La meccanica di danneggiamento è comune a differenti tipologie strutturali, tuttavia si è riscontrata la presenza di alcuni fattori peculiari che sembrerebbero peggiorare la risposta strutturale, accrescendo di fatto la vulnerabilità alle azioni indotte dal tornado. Vista la caratteristica di sequenzialità del danno, l’integrità della copertura gioca ruolo fondamentale nel prevenire lo scoperchiamento dell’edificio e la conseguente pressurizzazione degli ambienti interni; coperture pesanti realizzate in calcestruzzo armato, o con travetti precompressi, sembrerebbero essere più resistenti allo scoperchiamento rispetto a coperture leggere come quelle realizzate in legno. Per queste ultime, in particolare, la resistenza allo scoperchiamento viene spesso a mancare vista l’assenza di ancoraggi di tipo meccanico alle murature portanti. La presenza di sporgenze quali camini rappresenta un ulteriore elemento di debolezza, in quanto va ad interrompere la continuità della copertura, e in caso di crollo può danneggiare la copertura stessa favorendone l’ingresso delle correnti. La presenza di coperture a falde inclinate disallineate rappresenta un’altra configurazione vulnerabile, in quanto la falda alla quota maggiore risulta più esposta allo scoperchiamento; in generale, tutte le linee di discontinuità nel profilo di un fabbricato

Fig. 1 - Rilievo del danno a seguito del tornado della Riviera del Brenta 2015

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TVF2018 I TREVISOFORENSIC

possono essere punti di potenziale partenza del danneggiamento (ad esempio la linea di colmo della copertura) specie se i dettagli costruttivi non sono adeguatamente curati. Infine, da menzionare tra i fattori di vulnerabilitĂ la presenza di porticati e aperture che possono favorire fenomeni di pressurizzazione.

BIBLIOGRAFIA

ARPAV (2015) Temporali intensi di martedĂŹ 8 luglio 2015 sul Veneto, ARPAV-Agenzia Regionale per la Prevenzione e protezione Ambientale del Veneto Fujita, T.T. (1971) Proposed characterization of tornadoes and hurricanes by area and intensity. SMRP research paper, 91: 42 pp. Zanini M.A., Hofer L., Faleschini F., Pellegrino C. (2017) Building damage assessment after the Riviera del Brenta tornado, northeast Italy. Natural Hazards, 86(3): 1247-1273

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Incidentistica Stradale


Incidentalità stradale in relazione alle criticità progettuali e costruttive delle infrastrutture M. Pasetto

Professore Ordinario di “Strade, Ferrovie e Aeroporti”, Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale (DICEA), Università degli Studi di Padova

L’incidentalità stradale, per quanto fenomeno in sensibile decrescita e graduale controllo, costituisce oggi una delle principali voci di costo sociale. Statistiche della Regione Veneto stimano in circa 20 miliardi di Euro il costo annuo dell’incidentalità con lesioni a persone in Italia ed in 1,5 miliardi il costo Regionale.

Veneto

di cui in ambito urbano nei capoluoghi

Costo per i decessi

517.372.560,00

51.135.660,00

Costo per i feriti

808.156.098,00

194.460.714,00

Costo generali per gli incidenti

154.177.524,00

40.769.046,00

Costo sociale incidentalità con feriti

1.479.706.182,00

286.365.420,00

I sinistri stradali sono notoriamente determinati dal concorso di fattori distinti, non sempre però facilmente riconoscibili e quantificabili: le condizioni psico-fisiche e il comportamento dell’utente, lo stato del veicolo coinvolto, le condizioni ambientali. Queste ultime dipendono dal contesto in cui l’utente si trova (condizioni meteorologiche, illuminazione, ecc.), contesto costituito anche dall’infrastruttura che egli sta percorrendo. La consistenza dell’infrastruttura (e quindi il suo possibile contributo all’incidentalità) dipende, a sua volta, da un numero elevatissimo di elementi: i vincoli intrinseci ed estrinseci esistenti al momento della progettazione, le scelte dimensionali, la normativa, le scelte costruttive (materiali e tecnologie), la manutenzione. Tali fattori possono essere in qualche caso ottimizzati, ma non è escluso che determinino conseguenze talora prevedibili, talora imprevedibili, con esiti anche catastrofici, quando l’infrastruttura è in esercizio. Il compito di chi progetta, costruisce e gestisce strade è quello di contribuire alla realizzazione di infrastrutture sicure. A tal fine, servono preparazione e cultura scientifica, aggiornamento professionale, coscienza delle proprie capacità e dei propri limiti, diligenza. Anche se tutto ciò non è talora sufficiente, rappresenta il punto di partenza per realizzare opere di cui qualunque tipo di utenza (veicolare, a due ruote, pedonale) possa fruire senza temere per la propria incolumità. All’occorrenza dei sinistri che inevitabilmente si verificano, le forze di polizia o giudiziarie che investigano l’accaduto concentrano la propria attenzione sui diversi fattori cui l’e-

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INCIDENTISTICA STRADALE

vento incidentale può essere ricondotto. Come sopra espresso, manutenzione, costruzione e progetto dell’infrastruttura rappresentano, nell’ordine, i tre momenti della vita dell’opera in cui si cercano principalmente le motivazioni del sinistro; infatti, esclusi gli aspetti psico-fisici che si riescono a valutare oggettivamente, i temi comportamentali sono spesso tralasciati perché poco “tracciabili” e quelli ambientali, per motivi difficili da comprendere, sono sottovalutati, almeno fino a quando non siano riconducibili a situazioni estreme di facile lettura. Per questo motivo si richiama l’importanza della corretta progettazione, costruzione e manutenzione al fine di minimizzare i rischi per l’utenza e le responsabilità degli attori coinvolti nella “storia” dell’opera. Il rispetto delle norme, delle buone pratiche costruttive, delle regole dell’arte non solo dovrebbero minimizzare il rischio di incidenti, ma anche porre al riparo i soggetti che hanno partecipato alla realizzazione dell’infrastruttura da attribuzioni affrettate di colpe che la ricerca di giustizia può portare erroneamente a individuare.

BIBLIOGRAFIA

Rapporto Statistico 2018, Il Veneto si racconta, il Veneto si confronta, Regione del Veneto, U.O. Sistema Statistico Regionale, Venezia, 2018 L’Assicurazione italiana 2016-2017, ANIA, Roma, 2017

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Ricostruzione della dinamica degli incidenti stradali: ricerca e applicazione Emiliano Pasquini

Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale (DICEA), Università degli Studi di Padova

L’analisi e la ricostruzione della dinamica degli incidenti stradali è una disciplina di estrema complessità la cui trattazione rigorosa ed accurata richiede studio e aggiornamento costanti nonché pratica frequente, quest’ultima assolutamente indispensabile per rafforzare e consolidare le conoscenze teoriche che in tale ambito forniscono una visione fondamentale ma non esaustiva delle problematiche tecnico-pratiche generalmente correlate. Ciò assume un’importanza ancorpiù rilevante se si tiene conto della delicatezza dei temi trattati, i cui risvolti investono in maniera considerevole la vita delle persone direttamente ed indirettamente coinvolte nei sinistri investigati, sia in ambito penale che civile. Un aspetto preponderante che occorre tenere in debita considerazione quando ci si approccia alla pratica relativa alla incidentistica stradale riguarda senza dubbio il fatto che l’analisi di un singolo evento incidentale ed il relativo giudizio devono sempre fondarsi saldamente sulle evidenze fisiche (prove rilevate sulla scena del sinistro), esaminando le quali il tecnico incaricato provvederà a selezionare le più idonee tecniche per una ricostruzione credibile ed attendibile del sinistro. Difatti, le tecniche e le modellazioni utilizzabili sono molteplici, ognuna delle quali si caratterizza per specifiche limitazioni e assunzioni di base. Sta quindi al tecnico competente conoscere tali informazioni in modo tale che esso possa di volta in volta selezionare ed utilizzare la metodologia migliore in relazione alle specifiche condizioni reali. Ulteriore aspetto di fondamentale importanza da segnalare nell’ambito della materia in oggetto risiede senz’altro nell’importanza che il rilievo del sinistro, ed in particolare il rilievo dei dettagli ad esso correlati, ricopre nelle fasi di analisi e ricostruzione successivi, al punto che i tecnici e gli studiosi del ramo concordano nell’individuare questo particolare aspetto come quello maggiormente determinante per un corretto e attendibile espletamento dell’incarico, con specifico riferimento al rilievo dei dettagli. Una delle peculiarità principali della materia che ne accentua la complessità risiede infine nello specifico carattere di multidisciplinarità di cui essa si caratterizza con aspetti che spaziano dalla modellazione matematica alla fisica ed alla meccanica, dall’ingegneria delle infrastrutture a quella meccanica relative ai veicoli, dagli aspetti legislativi a quelli comportamentali, biomeccanici, neurofisiologici, medici, procedurali, ecc. Sulla base di tali premesse e mirando a fornire, seppur in maniera generale e non esaustiva, nozioni fruibili anche da coloro i quali non abbiano una specifica preparazione sulla tematica, il contributo in oggetto intende innanzitutto accennare ai principi fondamentali di ricostruzione degli incidenti stradali sottolineandone, inoltre, gli aspetti strategici e ri-

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INCIDENTISTICA STRADALE

guardanti, ad esempio, l’analisi dei rilievi a disposizione, le tecniche e le assunzioni investigative, le basi teoriche e le limitazioni dei modelli utilizzabili, ecc. A tal proposito è utile ricordare come la ricostruzione degli incidenti stradali sia un processo logico effettuato utilizzando principalmente metodi di tipo backward-looking, cioè metodi che prevedono la ricostruzione a ritroso nel tempo partendo, quindi, dalla posizione di quiete dei veicoli, così come riportato nei rilievi post-incidentali (condizioni note), e lavorando sequenzialmente all’indietro ricostruendo le fasi (sconosciute) di post-urto, urto e (talvolta) pre-urto, arrivando quindi all’inizio temporale dell’evento incidente (processo di reverse engineering). Ciò con l’intento di risalire alle cause ed alle conseguenti responsabilità del sinistro in esame (ed eventualmente alle condizioni per la sua evitabilità) in maniera il più rigorosa ed affidabile possibile utilizzando i migliori strumenti interpretativi a disposizione per le effettive condizioni incidentali. In particolare, la ricostruzione tende generalmente a stimare le caratteristiche della fase di collisione (cinematica e dinamica dei veicoli, direzioni pre- e post- urto, analisi di forze e deformazioni, manovre, ecc.), ad analizzare le cause ed i processi causali (fattori umani, veicoli, strada, ambiente), a stabilire le condizioni di evitabilità e a determinare relazioni fra dinamica del sinistro e lesioni registrate, anche in funzione delle caratteristiche dei mezzi. Successivamente si cercherà di evidenziare il ruolo strategico che la ricerca può ricoprire, sia ai fini di un affinamento ed ampliamento delle conoscenze a disposizione che nello sviluppo di tecniche di rilievo, di ricostruzione e di stima dell’affidabilità dei risultati che massimizzino il rendimento del professionista consentendo al contempo di poter adottare e gestire modelli anche molto complessi (ma anche, solitamente, maggiormente fedeli). Ciò al fine di una più celere, accurata ed affidabile ricostruzione dei sinistri, anche alla luce del contemporaneo progresso/cambiamento di mezzi ed infrastrutture coinvolte. Il tecnico operante nell’ambito della ricerca difatti può fornire un contributo prezioso alla disciplina in oggetto stante la sua naturale propensione all’aggiornamento e all’analisi critica (ed anche alla maggiore disponibilità di mezzi ed opportunità in tal senso) nonché la maggior facilità di interscambi multidisciplinari con esperti studiosi ad elevata specializzazione e competenza di discipline affini e differenti, anche a livello internazionale. Il connubio fra tali caratteristiche intrinseche e la pratica effettiva consente l’instaurarsi di processi virtuosi volti al miglioramento delle tecniche di investigazione e ricostruzione a disposizione dei tecnici operanti nel settore grazie allo studio e alla ricerca di soluzioni innovative, maggiormente performanti e facilmente utilizzabili. La relazione sarà inoltre arricchita da aspetti applicativi relativi all’esposizione di alcuni selezionati casi di studio, personalmente affrontati, illustrandone le fasi e le criticità principali così come le assunzioni ed i modelli utilizzati per l’analisi delle evidenze e la ricostruzione della dinamica dei sinistri. Ciò al fine di rendere evidente come le argomentazioni generali e le nozioni di base, precedentemente introdotte da un punto di vista esclusivamente teorico, siano poi praticamente utilizzabili per la risoluzione di quesiti reali, anche complessi.

BIBLIOGRAFIA

Vehicular accident investigation and reconstruction, Donald J. Van Kirk, CRC Press, Boca Raton, 2001 Ricostruzione della dinamica degli incidenti stradali. Principi e applicazioni, Dario Vangi, Firenze University Press, Firenze, 2008 Automotive Accident Reconstruction. Practices and Principles, Donald E. Struble, CRC Press, Boca Raton, 2014

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La responsabilità legale per gli incidenti in cui saranno coinvolte auto a guida autonoma Luciano Butti

Avvocato e Professore a contratto di Diritto internazionale dell’ambiente presso l’Università di Padova – Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale (DICEA)

In un futuro non lontano, la tecnologia sarà tale da consentire la diffusione di veicoli capaci di guida autonoma, anche in situazioni critiche. Veicoli driverless, vale a dire senza conducente. Non saremo noi a guidare le auto, ma verremo guidati da esse. È il futuro della circolazione automobilistica, e non solo. In una prima fase, un conducente abilitato dovrà comunque essere presente al posto di guida: potrà svolgere attività lavorative o ludiche, ma dovrà essere sempre disponibile a riprendere il controllo del veicolo se richiestone dal sistema informatico o dalle circostanze. In una seconda fase, meno lontana di quanto si potrebbe immaginare, non vi sarà alcun conducente, ma soltanto passeggeri di un veicolo interamente gestito dalla tecnologia. I vantaggi per la sicurezza della circolazione saranno di notevole portata. Ogni anno oggi nel mondo circa 1.400.000 persone muoiono perché coinvolte in incidenti stradali: una strage. Le statistiche più accreditate sulle cause di questi incidenti li attribuiscono, in circa il 90% dei casi, a comportamenti inappropriati o a distrazione del conducente. Solo nel 2% circa dei casi, la responsabilità viene attribuita a difetti tecnologici del veicolo (che in buona parte, peraltro, dipendono da inadeguata manutenzione). Con la diffusione su larga scala della tecnologia driverless, la diminuzione del numero e della gravità degli incidenti sarà drastica: questo viene indicato da tutte le previsioni scientifiche indipendenti attualmente disponibili. Vi sono, inoltre, diversi altri vantaggi legati all’introduzione di questa tecnologia. Basti pensare alla estensione della mobilità alle persone prive di patente o alla riduzione dello stress collegato, in determinati contesti, alla guida. Dal punto di vista ambientale, non sono invece certi gli impatti della guida autonoma in termini di riduzione o di aumento delle emissioni (a parità di evoluzione tecnologica del tipo di propulsione). Secondo la maggior parte della letteratura, si potranno avere importanti effetti ambientali positivi se – e soltanto se – la diffusione dei veicoli a guida autonoma si accompagnerà alla diffusione dell’auto condivisa. In altre parole, se si passerà dall’auto come oggetto da possedere privatamente all’auto come servizio da condividere, in una prospettiva di integrazione con il trasporto pubblico. I principali problemi da superare per la diffusione commerciale, in tempi non troppo lontani, di questa tecnologia sembrano peraltro di natura giuridica ed etica. In particolare, si porranno rilevanti difficoltà nella regolamentazione delle responsabilità legali in caso di incidente. Ed occorrerà un notevole sforzo di approfondimento e di creatività anche dal

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INCIDENTISTICA STRADALE

punto di vista etico-filosofico, nella fase di impostazione degli algoritmi destinati ad indicare le scelte da compiere in situazioni critiche (etica degli algoritmi). Nel valutare e tentare di risolvere le difficoltà giuridiche ed etiche cui si è accennato, andrà considerato che la progettazione degli algoritmi per i sistemi autonomi (quali le auto driverless) avviene oggi nel quadro del ‘Machine Learning’: nel quadro, quindi, di una tecnologia adatta a creare sistemi autonomi capaci di imparare attraverso l’esperienza e conseguentemente di adottare decisioni caratterizzate da un largo grado di autonomia, e non sempre prevedibili. Per quanto riguarda in particolare le responsabilità legali in caso di incidenti che coinvolgano auto autonome, occorre distinguere fra l’aspetto civilistico-risarcitorio e quello connesso alle responsabilità penali. Dal punto di vista civilistico, è prevedibile che – anche grazie alla riduzione dei costi connessa alla diminuzione drastica degli incidenti – le imprese di assicurazione accetteranno di provvedere ai risarcimenti sulla base di criteri oggettivi, a prescindere quindi dalla dimostrazione di una specifica responsabilità colposa del progettista del software o del costruttore del veicolo autonomo. Più complessa sarà la regolamentazione delle possibili responsabilità penali. Oggi, in caso di incidente stradale, il processo penale riguarda nella maggior parte dei casi soltanto uno dei conducenti dei veicoli coinvolti nell’incidente. Nel nostro futuro driverless, invece, la responsabilità penale potrebbe in astratto riguardare, in ogni caso di incidente dovuto a difetti del veicolo autonomo, il produttore del veicolo o il progettista del software. Viene qui illustrata una proposta inedita e originale di regolamentazione. Secondo la proposta, una responsabilità penale del produttore del veicolo o del progettista del software è possibile soltanto in presenza (in aggiunta, ovviamente, al nesso causale) di almeno una delle seguenti condizioni: • Mancato rispetto delle linee guida internazionali in fase di sviluppo del software di guida autonoma; • Decisione “ irragionevole” del sistema autonomo, dove la ragionevolezza deve essere valutata tenendo conto del livello di informazioni e di esperienza di cui il sistema stesso disponeva (teoria dell’algoritmo ragionevole); • Diffusione sul mercato (o mantenimento nel mercato) della tecnologia driverless in questione in assenza di un significativo miglioramento della sicurezza della circolazione nel suo complesso (aspetto probabilistico); • Violazione, da parte del sistema autonomo, del principio di Non-Discriminazione.

BIBLIOGRAFIA

Auto a guida autonoma: sviluppo tecnologico, aspetti legali ed etici, impatto ambientale, Luciano Butti, Rivista Giuridica dell’Ambiente (Giuffrè), 2016, n. 3-4, p. 435 Driverless: Intelligent Cars and the Road Ahead, Hod Lipson e Melba Kurman, The MIT Press, 2016 The Law of Driverless Cars: An Introduction, Alex Glassbrook, Law Brief Publishing, 2017

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Il ruolo determinante del consulente tecnico nella ricostruzione della dinamica del sinistro stradale Fabrizio Mario Vinardi

Segretario dell’Ordine Ingegneri della Provincia di Torino Consigliere referente in materia di Ingegneria Forense

Verrà esaminato in dettaglio un sinistro stradale tra un’autovettura ed un biciclo, accaduto in orario diurno e con buone condizioni metereologiche, in un tratto rettilineo e sostanzialmente pianeggiante di strada extraurbana, senza testimoni oculari per la fase di urto, anche se alcuni automobilisti sopraggiunti nelle immediatezze erano in grado di riferire circa le posizioni terminali dei mezzi e del ciclista, rimasto paraplegico. Il sinistro veniva rilevato dalle Forze dell’Ordine dal solo punto di vista planimetrico (peraltro con misurazioni non “triangolate”, quindi con evidenti difficoltà di verifica a posteriori), senza alcun rilievo fotografico. Sulla base dei danni osservati, delle posizioni finali dei mezzi, delle informazioni testimoniali e, soprattutto, dalla dichiarazioni della conducente (il ciclista non era in grado di riferire), gli agenti operanti ricostruivano trattarsi di tamponamento del biciclo ai danni dell’auto, ferma sulla banchina per quanto moderatamente sporgente sulla carreggiata, il tutto in perfetta coerenza con le dichiarazioni rese dall’automobilista: “… ero ferma nella corsia di emergenza … improvvisamente sentivo scuotere il veicolo e anche un forte rumore. Mi accorgevo immediatamente che il vetro posteriore si era frantumato e che da tergo il ciclista mi aveva tamponata”. Veniva comunque operato il sequestro dell’autovettura e del biciclo e ciò permetteva al sottoscritto, nel frattempo nominato CTP della persona offesa, un esame tecnico delle deformazioni, nonché una comparazione dei punti di contatto (da rilevare che la Procura della Repubblica non nominerà mai un CT del PM). Sulla scorta della querela sporta dal ciclista, accompagnata da relazione tecnica preliminare, il Pubblico Ministero decideva per il rinvio a giudizio dell’automobilista, che nel frattempo nominava il proprio CTP. Al dibattimento tenutosi avanti il Giudice di Pace penale emergevano i seguenti elementi: • i testi riferivano concordemente sulla posizione dell’auto, descritta da uno dei primi soccorritori “prevalentemente sulla fascia esterna alla linea continua di margine, ma sporgeva sulla carreggiata per la parte che la banchina non riusciva a contenere”, così come la posizione del ciclista veniva da tutti indicata come disteso dietro al veicolo “col capo in prossimità della ruota posteriore destra”, con uno dei testi che indicava come il capo fosse a 20-30 cm dal manto erboso ivi presente; • l’imputata precisava di essersi accostata per accudire la bimba piccola che piangeva; • la tesi tecnica del sottoscritto CTP era che la pacifica differente altezza da terra tra i punti di contatto (cm 82 sull’auto e cm 90 sul biciclo) fosse compatibile unicamente con un urto con l’auto in frenata (e quindi col posteriore sollevato), circostanza che

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INCIDENTISTICA STRADALE

permetteva di ricostruire che l’auto accostò sulla destra, andando a costituire un ostacolo imprevisto ed imprevedibile per il ciclista, con conseguente spazio/tempo insufficiente per potersi arrestare; • la tesi tecnica del CTP avversario, invece, era la citata differente altezza fosse dovuta al fatto che l’urto avvenne inizialmente con le leve dei freni, poste circa 10 cm più in basso rispetto al manubrio ‘a corno d’ariete’, pertanto compatibile con l’auto in sosta sulla banchina e conseguente tamponamento del ciclista, che - per cause afferenti alla sfera soggettiva - non prestava attenzione avanti a sé. Il I grado di giudizio si concludeva con una condanna per l’imputata, in quanto il sinistro risultava causalmente connesso con la violazione dell’art. 157 CdS per aver arrestato il mezzo in una condizione diversa dalla “sosta d’emergenza” ivi definita, senza contare l’invasione parziale di carreggiata. Veniva proposto appello e veniva disposta perizia ex art. 226 cpp: il Perito svolgeva in contraddittorio sopralluogo sulla platea del sinistro ed invitava i CTP a voler depositare eventuali relazioni preliminari, cosa che veniva fatta e, in particolare, il sottoscritto insisteva per l’invasione parziale di carreggiata da parte dell’auto. Contrariamente ad ogni attesa, il Perito concludeva che • l’urto avvenne con auto ferma, in quanto l’unica dinamica compatibile con la citata differenza di altezze era ascrivibile ad un assetto all’urto con “bici in fase di ribaltamento in avanti, dovuto a intensa frenatura col freno anteriore. In tale configurazione la ruota anteriore della bici venne sottratta all’urto diretto, i cui effetti vennero assorbiti principalmente dal manubrio, le cui estremità si abbassarono all’altezza (82 cm) delle deformazioni sul portellone posteriore dell’autovettura”; • la posizione terminale dell’auto era “con sagoma completamente all’esterno della carreggiata o, forse, col fianco a ridosso della linea bianca marginale” e, per logica conseguenza, il ciclista percorreva la banchina; • “ il ciclista, in quanto conducente di veicolo, ai sensi dell’art. 143 CdS era tenuto a percorrere la carreggiata … e non la banchina laterale”. Prima dell’udienza di disamina della perizia, utilizzando un veicolo identico a quello coinvolto e all’uopo noleggiato, il sottoscritto eseguiva un nuovo rilievo sul posto, per confutare le (errate) tesi del Perito; nonostante la sua ammissione in udienza di aver errato circa la posizione dell’auto, che invadeva in modo importante la carreggiata, il Tribunale faceva proprie le conclusioni del Perito e, non potendosi ritenere raggiunta la prova certa circa la colpevolezza dell’imputata, la assolveva. La Suprema Corte di Cassazione penale, tuttavia, annullava - ai soli effetti civilistici - la sentenza d’appello, ritenendo che nello specifico il ciclista, equiparato agli utenti deboli della strada, era legittimato a percorrere la banchina e che l’evidente violazione dell’art. 157 CdS, insieme con la parziale invasione della carreggiata da parte dell’auto, costituivano altresì inosservanza delle generali norme di prudenza, invocate dall’art. 140 CdS. Le Parti, pertanto, trovavano un accordo stragiudiziale, senza dover ricorrere alla giustizia civile. In conclusione, va detto che il caso – oltre che per complessità tecnica – risulta di particolare interesse nell’ambito dell’Ingegneria Forense, in quanto pone in risalto il fatto che, nel caso di sinistri complessi come quello in esame, sono di fatto i Consulenti/Periti ad orientare pesantemente il giudizio e, con esso, l’eventuale condanna penale e/o civile, con conseguente risarcimento per le parti lese.

BIBLIOGRAFIA

Ingegneria forense, a cura di Augenti, Chiaia, Flaccovio, 2011 65


Responsabilità penali in caso di incidenti contro pali di illuminazione non a norma. La soluzione Save di Pali Campion & Atlantech Maikol Furlani

Atlantech Srl – Pali Campion Srl

Con l’introduzione, a partire dal 2016, delle nuove fattispecie di reato di omicidio stradale e di lesioni gravi e/o gravissime (Artt. 589bis e 590bis del codice penale) il legislatore ha attribuito maggiori responsabilità agli Enti proprietari delle strada con riferimento all’art. 14 del Codice della Strada (C.d.S.). Una responsabilità derivante dalla posizione di garanzia che tali Enti rivestono, allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione. Tra quelli che sono i compiti di garanzia attribuiti agli Enti proprietari, al comma 1 dell’art. 14 del C.d.S. viene riportato quello di provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade e delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi. Tra le pertinenze vi sono gli impianti di illuminazione pubblica e quindi un sinistro derivante da una non corretta illuminazione della rete viaria o un non corretto posizionamento di un palo di illuminazione (ostacolo fisso), per esempio posizionato non ad una corretta distanza dalla sede stradale o nello spazio di deformazione dei guard rail, può comportare l’attribuzione di responsabilità penali e/o civili in capo alle persone fisiche che rappresentano l’Ente proprietario garante. Spesso la conformazione del territorio e delle reti viarie non consente di posizionare i pali di illuminazione ad una corretta distanza dalla sede stradale o da una barriera di protezione, motivo per cui moltissimi pali di illuminazione sono, ad oggi, fuori legge. Inoltre l’“opportuna distanza di sicurezza”, così come definita dalla normativa è una misura dipendente da molteplici variabili, quali la velocità di progetto, il volume di traffico, il raggio di curvatura dell’asse stradale, la pendenza della scarpata, la pericolosità dell’ostacolo. L’aggettivo “opportuna distanza” mal si concilia con la progettazione tecnica che richiede numeri certi e inopinabili, lasciando quindi l’onere ai progettisti di garantire che un palo di illuminazione posto ad una “opportuna distanza” non sia pericoloso per la viabilità stradale. Non è necessario proteggere un ostacolo fisso con barriere di protezione se questo si trova ad una sufficiente distanza dal ciglio esterno della carreggiata. Lo dice l’art. 4 “Individuazione delle zone da proteggere” dell’Allegato I del Decreto Ministeriale n. 2367/2004. In alternativa l’ostacolo fisso deve essere di tipo cedevole, a sicurezza passiva, a norma EN 12767. La normativa europea sulla sicurezza passiva ha comportato lo sviluppo di pali di illuminazione a sicurezza passiva molto più costosi rispetto i tradizionali pali, rallentandone di fatto, in un contesto di risorse pubbliche sempre più limitate, la diffusione sul mercato a discapito della sicurezza.

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INCIDENTISTICA STRADALE

Sulla base di questo stato dell’arte Pali Campion ed Atlantech hanno dedicato oltre due anni di attività in ricerca e sviluppo per proporre sul mercato una soluzione integrata formata da “fondazione+palo” che fosse allo stesso tempo certificata a sicurezza passiva ed economica, condizione quest’ultima indispensabile per proporre un sistema di largo impatto sociale in grado di manlevare da responsabilità penali e/o civili gli Enti proprietari e di salvare il maggior numero possibile di vite umane. Il nuovo sistema SAVE “fondazione+palo” è stato testato dalla GDTech di Liegi e dal CSI di Milano, due dei laboratori più all’avanguardia in Europa per quanto riguarda le simulazioni di incidenti stradali e l’esecuzione di prove di crash, con esperti che presiedono la commissione per la revisione dello standard sulla sicurezza passiva EN 12767. Oltre ad essere un sistema a sicurezza passiva, SAVE si caratterizza per la presenza di una fondazione innovativa, unica nel suo genere, non invasiva, in acciaio, riciclabile al 100%, che sostituisce i tradizionali plinti di calcestruzzo impiegati in tali opere. Una fondazione che apporta benefici sia tecnici che sociali. Dalla riduzione del 75% dei tempi di installazione, che sulle strade sono sinonimo di risparmi economici e di maggiore sicurezza per gli utenti della strada, alla riduzione delle emissioni di CO2 che tali opere comportano. Da un ottimale sistema di messa a terra del palo di illuminazione al mantenimento della verticalità del palo nel tempo soprattutto in scarpata, con un design estetico da arredo urbano. La stabilità strutturale dei pali di illuminazione viene verificata attraverso relazioni di calcolo che riprendono la teoria dei micropali di Broms con sommità libera di ruotare nel terreno e con sommità vincolata, unitamente ai risultati di prove da laboratorio. Capacità struttura verificata, in condizioni peggiorative, con prove sul campo anche da ANAS (Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane).

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BIBLIOGRAFIA

D.M. 2367 21 giugno 2004, Terminologia e criteri generali per i metodi di prova relative alle barriere di sicurezza stradali -Norma UNI EN 1317 D.M. 14 gennaio 2008, “Norme tecniche per le costruzioni” Circolare 2 febbraio 2009, n. 617, “Istruzione per l’applicazione delle “Nuove norme tecniche per le costruzioni” di cui al decreto ministeriale 14 gennaio 2008” UNI EN 12767, Sicurezza passiva di strutture di sostegno per attrezzature stradali - Requisiti, classificazione e metodi di prova ARTT. 589bis e 590bis Codice Penale ART. 14 Codice della Strada Design of laterally-loaded piles, Ciria Report (Construction Industry Research and Information Association), Elson W.K., Paperback, September, 1984 Fondazioni profonde: progettazione, esecuzione e verifica – Parte prima : Teoria, Corso di aggiornamento professionale Progettazione geotecnica secondo le NTC 2008, Ghinelli A., Pistoia, 27 maggio 2011 Fondazioni profonde: progettazione, esecuzione e verifica – Parte seconda : Esempi, Corso di aggiornamento professionale Progettazione geotecnica secondo le NTC 2008, Vannucchi G., Pistoia, 27 maggio 2011 Fondazioni profonde: normativa, innovazioni tecnologiche, dimensionamento e collaudo, Simonini P., Bellato D., Ordine Ingegneri prov. Bolzano, 10 maggio 2012 Micropali e pali di fondazione, Ceroni E., Bernardini F., Dario Flaccovio Editore, Settembre 2014 Design of laterally loaded piles. Broms B.B.,Proc. ASCE, Journ. Soil Mech. Found. Div., Vol. 91, SMM, 79-99, 1965

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Digital forensic “e-crime”


La geolocalizzazione nelle investigazioni giudiziarie P. Reale

Presidente Commissione Informatica dell’Ordine di Roma

Uno degli aspetti sui quali si è spesso concentrata l’attenzione degli investigatori, alla prese con la ricostruzione di un fatto criminale, è la possibilità di geolocalizzare un soggetto ritenuto di interesse. Oggi, grazie alle tecnologie digitali, sono molteplici le possibilità di ricavare informazioni sulla posizione geografica, per cui è particolarmente utile avere una panoramica complessiva di tutte queste potenziali sorgenti di informazione.

La localizzazione dei terminali mobili

In primis, anche per ragioni storiche, partiamo dalla possibilità di formulare delle ipotesi di geolocalizzazione basandosi sulle informazioni presenti nei tabulati telefonici: questi, da un punto di vista tecnico, sono di fatto i registri delle principali interazioni con la rete svolte da un terminale mobile (telefono cellulare o smartphone). I terminali mobili moderni sono di fatto connessi alla rete in modo pressoché continuativo, e queste tracce vengono riportate nel tabulato telefonico che, per ogni evento, documenta: data, ora, interlocutore (o connessione internet), risorse di rete impegnate (celle telefoniche) ed altre informazioni aggiuntive. Poiché sappiamo che le comunicazioni radiomobili sono possibili solo se le onde elettromagnetiche emesse dalle antenne di ciascun apparato mobile raggiungono le corrispondenti antenne del gestore disseminate sul territorio (e viceversa), l’informazione presente sul tabulato relativa alle celle agganciate in un determinato istante consente di effettuare una “macrostima” della posizione geografica. Il grado di precisione (della localizzazione) è legato all’ampiezza della superficie di copertura dell’antenna: sarà quindi maggiore se la cella è “piccola”, come tipicamente una microcella urbana, e minore se siamo di fronte ad una macrocella, tipicamente in ambiente extraurbano. Per ragioni di ottimizzazione delle risorse di rete, di smaltimento del traffico ed altro, ogni punto di territorio presenta – soprattutto in ambito urbano - una pluralità di celle telefoniche disponibili, le quali si differenziano fra loro per tecnologia (2G, 3G, 4G). Questa sovrapposizione comporta che la stima della posizione di un telefonino con la sola cella indicata nel del tabulato sarà da valutare in senso “probabilistico” e non “deterministico”. Si parla in genere di “compatibilità”. La situazione contraria, ovvero la “non presenza” di un cellulare in una determinata area geografica è tecnicamente più certa, quando questo risulta agganciato ad una cella che non offre alcuna possibile copertura per l’area analizzata.

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DIGITAL FORENSIC “E-CRIME”

Questa modalità di localizzazione può essere esperita “a posteriori”, nel tentativo di ricostruire fatti già avvenuti. Ove risulta invece necessaria una posizione “in tempo reale”, sapendo che i gestori di telefonia mobile hanno necessariamente, nell’esercizio della rete e del terminale, puntuale contezza in merito allo stato di connettività dell’apparato, e le celle da questo raggiunte, si può pensare di effettuare una ‘triangolazione’ di queste, individuando così un’area all’interno della quale il terminale deve necessariamente trovarsi. Più celle sono in grado di connettersi all’apparato, migliore sarà il livello di approssimazione della localizzazione così determinata. L’operazione descritta può essere realizzata solo tramite le procedure di intercettazione dell’apparato, e quindi previa autorizzazione del Magistrato. Lo stesso metodo viene anche utilizzato nell’ambito dei servizi di emergenza del Numero Unico Europeo (NUE), il 112, e – sebbene con alcune differenze – anche dal servizio di soccorso alpino, per le situazioni di pericolo in cui è cruciale la tempestività, raccogliendo di fatto i dati tramite un’interazione diretta col cellulare. Questo ultimo metodo utilizza una particolare tipologia di messaggi SMS, di tipo “0”, che consentono l’installazione di configurazioni automatiche (quindi senza dover esprimere un puntuale consenso), in modo da eseguire semplici comandi che “leggono” e poi “trasmettono” via SMS le coordinate geografiche come rilevate dal modulo GPS (se presente nello smartphone), oppure (dove il GPS non è disponibile) inviando alla centrale operativa i dati relativi alle stazioni radio base visibili dal terminale stesso, anche se appartenenti a gestori diversi da quelli da cui l’utente riceve il servizio, con cui poter poi effettuare l’operazione di triangolazione già descritta. Anche in questo caso è necessaria l’autorizzazione delle Autorità di PS.

Cellulari e GPS

Già citato, il GPS è un sistema di posizionamento e navigazione satellitare civile basato su una rete dedicata di satelliti artificiali che orbitano intorno al globo terrestre, in grado di fornire ad un dispositivo ricevente le informazioni utili a determinare le coordinate geografiche del punto in cui si trova e l’orario esatto, ovunque sulla superficie terrestre dove vi sia un contatto privo di ostacoli con almeno quattro satelliti del sistema. Anche in questo caso, la determinazione della localizzazione avviene tramite uno schema di triangolazione che utilizza i dati provenienti da diversi satelliti. Il “ricevitore GPS”, ovvero il dispositivo che effettua questo calcolo, non interagisce direttamente con i satelliti, ma si limita a riceverne il segnale trasmesso per utilizzarlo nel calcolo. Gli smartphone solitamente dispongono del GPS in modo integrato: l’informazione di localizzazione geografica viene utilizzata da diverse applicazioni al fine di erogare servizi per l’utente come la navigazione automobilistica, la ricerca di esercizi commerciali nelle vicinanze, l’attivazione di funzionalità di domotica ecc. Salvo diverse indicazioni che l’utente può definire a livello di configurazione, spesso i dati geografici vengono memorizzati nel “cloud” per lungo tempo, disponibilità che può quindi rivelarsi particolarmente utile, ove presente. Anche le foto (fatte salve eventuali configurazioni differenti apportate dall’utente) hanno la possibilità di memorizzare le coordinate geografiche fornite dal dispositivo. Stesso discorso vale per le altre app che fanno uso di questi dati, che possono essere poi eventualmente recuperati per finalità di indagine. Ma non ci sono solo gli smartphone: esistono anche altri dispositivi personali dotati di GPS, come gli smart watch o altri device “ indossabili” (wearable).

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GPS e veicoli

L’estrema diffusione e il basso costo della tecnologia GPS, unita alla possibilità - per chi ne adotta l’uso - di accedere alle riduzioni previste dalla legge sui costi assicurativi, ha reso anche estremamente diffusi oggi i dispositivi di localizzazione satellitare per gli automezzi, chiamati anche ‘scatole nere’. Si tratta di apparati elettronici di piccole dimensioni, dotati di ricevitore GPS e di altri sensori (p.es. accelerometro) in grado di registrare diverse informazioni legate all’utilizzo del mezzo. Tipicamente i sistemi GPS utilizzati sugli automezzi sono dotati di una componente radiomobile per la trasmissione sulla rete GSM: associato al GPS vi è quindi un apparato mobile radiotrasmittente, che servirà a trasmettere alla centrale operativa sia i dati di georeferenziazione che altre grandezze e parametri, come la velocità del veicolo, la direzione della vettura ed eventuali urti. I dati geografici vengono sempre affiancati dal “timestamp” relativo, ovvero data e ora dell’evento, ed arricchiti con ulteriori informazioni come la velocità, la qualità del segnale GPS e altro ancora. L’errore della rilevazione prodotta da questi dispositivi è molto limitato, e varia tipicamente tra qualche metro e le decine di metri, in base al numero di satelliti collegati. Questi dati vengono poi periodicamente inviati mediante rete mobile al gestore, che li rende disponibili a chi ne ha diritto contrattualmente, e all’Autorità Giudiziaria in caso di indagine. È interessante sottolineare come questa informazione geografica può essere recuperata dal server del gestore, anche in assenza della scatola nera e addirittura del mezzo stesso.

Conclusioni

La breve disamina qui proposta consente di comprendere come, oggigiorno, un’investigazione possa attingere a preziosi dati di localizzazione provenienti dalle più disparate fonti digitali, per cui è certamente utile una loro attenta valutazione per comprendere, in base al caso in esame, quale o quali possano essere le fonti per acquisire queste informazioni.

BIBLIOGRAFIA

[1] P. Reale, “Analisi delle celle telefoniche: limiti ed opportunità” di Paolo Reale, “Sicurezza & Giustizia”, Numero IV /MMXI [2] G. Nazzaro, “La localizzazione del target per l’autorità giudiziaria”, “Sicurezza & Giustizia”, Numero III / MMXII [3] P. Reale, “La localizzazione dei terminali mobili nelle situazioni di emergenza” – Sicurezza e Giustizia n II-2017

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Miglioramento, analisi ed autenticazione di immagini e filmati durante le indagini Martino Jerian

Amped Software – Image and Video Forensics

Introduzione

Nell’ambito forense ed investigativo le immagini ed i filmati sono ormai largamente diffusi, presenti in grandi quantità ed in crescita costante: si va dalle immagini ricavate da telecamere di videosorveglianza agli smartphone, dai social media alle body worn cameras, per arrivare persino a telecamere integrate in alcuni giocattoli. Immagini e filmati sono importanti non solo per la loro pervasività, ma soprattutto per la quantità di informazioni che essi contengono, sia dal punto di visto di dato visivo che di metadati. Mentre l’analisi di cellulari ed altri dispositivi mobili (mobile forensics) è diventata probabilmente la principale fonte investigativa durante le indagini, l’utilizzo di immagini e filmati è, unitamente all’analisi del DNA, il principale metodo di identificazione. Secondo uno studio della British Transport Police [1] sulle indagini svolte in occasione di più di 250.000 crimini, le immagini di videosorveglianza sono risultate utili nel 65% dei casi in cui esse erano disponibili. Immagini e filmati, infatti, spesso contengono le risposte alla maggior parte delle domande del popolare modello investigativo 5WH (who, where, what, when, why, how). Vi sono ben poche altre tecnologie che permettono agli investigatori di avere così tanti elementi assieme. Il problema è che spesso le immagini non sono sfruttate appieno perché non sono trattate con la stessa cura riservata ad altri tipi di prova. C’è spesso una concezione sbagliata, che vuole che chiunque possa analizzare un’immagine od un filmato, senza bisogno di strumenti specializzati o competenze specifiche. Siamo cresciuti tutti guardano film alla televisione e le foto delle vacanze con gli amici e questo fa credere a molti che non ci sia bisogno di un esperto. Tuttavia, in un contesto forense, una foto non è solo “un’immagine” e un video non è solo “una sequenza di immagini”, ma si tratta di fonti di prova digitali e come tali vanno trattate, processate ed analizzate. Si possono presentare molteplici problemi nell’analizzare le immagini senza un’opportuna competenza. Alcuni degli errori più comuni sono causati dalla difficoltà di analizzarle scientificamente ed in un contesto investigativo minimizzando i precondizionamenti, ossia vedendo in immagini di bassa qualità “quello che ci si aspetta di vedere”: ombre dietro il vetro di un’automobile che permetterebbero di contare il numero di passeggeri, artefatti della compressione digitale scambiati per lettere di una targa, sono solo alcuni degli esempi possibili.

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Conversione

Malgrado le fonti possibili per immagini o filmati siano le più disparate, in un contesto investigativo la maggior parte delle situazioni vede l’analisi di filmati provenienti da sistemi di videosorveglianza. Tali filmati necessitano spesso un trattamento specializzato in quanto non sono normalmente disponibili in formati standard (come quelli generati dagli smartphone), ma in formati proprietari che necessitano di un player specifico fornito dal produttore del sistema. Tema questo particolarmente importante per gli investigatori, per molti diversi fattori: innanzitutto vi sono centinaia, se non migliaia, di diversi formati e varianti sul mercato e spesso i player forniti dal produttore non sono disponibili, non funzionano su sistemi operativi moderni (non è raro trovare sistemi di videosorveglianza in funzione da più di 10 anni) e non permettono di esportare in un formato standard, se non compromettendo ulteriormente la già scarsa qualità dell’immagine e spesso l’integrità della prova. Sistemi specializzati [4] permettono di convertire in maniera automatica la maggior parte dei formati in circolazione preservando, nella maggior parte dei casi, la codifica originale.

In figura, un esempio di miglioramento ottenuto con software specializzato [4]. A sinistra un fotogramma del filmato originale, a destra il risultato dell’elaborazione.

Miglioramento e analisi

Spesso la qualità delle immagini non è sufficiente ad estrapolare elementi utili durante le indagini. Purtroppo l’apice del CSI-effect si ha proprio nel campo delle immagini, creando un’aspettativa popolare che sia possibile zoomare all’infinito per rilevare i minimi dettagli anche da un’immagine in bassa risoluzione. Vi sono tecniche di miglioramento [2] che permettono di identificare i disturbi presenti sulle immagini e, entro certi limiti, invertire

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DIGITAL FORENSIC “E-CRIME”

il modello matematico alla base dei difetti, per attenuarli o rimuoverli. Tuttavia, tali tecniche possono solamente recuperare l’informazione che è già presente nell’immagine e mostrarla al meglio. Se l’informazione manca completamente in prima istanza, non è possibile, né si deve, aggiungerla, vista la criticità dell’ambito forense. Vi sono diverse tecniche presentate negli ultimi anni che permettono di ottenere tramite machine learning risultati stupefacenti anche da immagini in cui c’è ben poca informazione. Tali tecniche non dovrebbero essere utilizzare in ambito forense in quanto rischiano spesso di invalidare la fonte di prova aggiungendo nuovi dati. Oltre al miglioramento, vi sono molti altri tipi di analisi che è possibile effettuare su un’immagine. Un esempio molto comune è il rilevamento dell’altezza di un soggetto.

Autenticità

Con gli strumenti moderni risulta relativamente semplice modificare in maniera realistica immagini e filmati. Recentemente questa tematica è stata portata alla ribalta con la problematica delle “fake news”. Essa diventa ancora più critica nel momento in cui un’immagine manipolata, o comunque non veritiera, venga utilizzata come fonte di prova in un procedimento giudiziario. Vi sono decine di tecniche [3] che permettono di andare oltre la semplice, ma sempre fondamentale, analisi visiva. Tool specializzati [4] permettono di analizzare l’immagine sotto molteplici punti di vista: il formato ed i metadati dell’immagine possono essere utilizzati per valutare se si tratta di un’immagine originale di prima generazione o piuttosto del risultato di un salvataggio o di una trasmissione via social media; l’analisi approfondita delle statistiche dei pixel e della coerenza o meno di artefatti lasciati dalla compressione od altri elementi tecnici della creazione dell’immagine permette di valutare le parti dell’immagine che hanno subito un’eventuale manipolazione. Infine, tramite l’analisi dell’immagine, è possibile identificare il dispositivo che ha scattato la foto, non solo a livello di marca e modello, ma in termini di specifico esemplare in possesso di un determinato individuo.

Conclusioni

L’analisi di immagini e filmati fornisce potenzialmente una gran quantità di elementi investigativi e probatori, ma richiede di essere effettuata da personale dalle adeguate competenze tecniche e mediante l’utilizzo degli strumenti più appropriati. Di contro, vi è il rischio di fidarsi di elementi fuorvianti o di perdere di vista elementi fondamentali alle indagini. Sistemi come quelli sviluppato da Amped Software [4], sono utilizzati in tutto il mondo per affrontare in maniera scientifica molte delle tematiche relative a conversione, miglioramento, analisi e autenticità di immagini e filmati.

BIBLIOGRAFIA

[1] The Value of CCTV Surveillance Cameras as an Investigative Tool: An Empirical Analysis, Ashby, Matthew P. J. - European Journal on Criminal Policy and Research (2017) [2] Linee guida per l’autenticazione forense di immagini, S. Battiato, A. Catania, F. Galvan, M. Jerian, L.P. Fontana – Acquisizione ed Analisi Forense di Sistemi di Videosorveglianza – Chapter in IISFA Memberbook (2014) [3] S. Battiato, F. Galvan, M. Jerian, M. Salcuni – “Linee guida per l’autenticazione forense di immagini”. Chapter in IISFA Memberbook (2013) [4] https://ampedsoftware.com

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Forensics radio survey technique: bts real coverage as key digital evidence for trustworthy results in trial Nicola Chemello

Ingegnere, Amministratore Delegato SecurCube srl

Learning objectives: share the experience on the latest digital forensics technique for Cell Site Analysis (CSA) and forensics radio survey, in which all the players can catch the best results exploring unexpected fields hidden to a one-way investigative process. Analytical approach on Historical Cell Site Location Information (HCSLI) and real cell towers coverage. Methods: the operational case study introduces an investigative scenario where suspects’ devices content clashes with CDRs and, as subplot, with real cells coverage. Participants, guided through the evidence, are in front of insights disclosed thanks to the forensics radio survey. Well-attested scans of cell coverages, done all around the crime scene and along the possible way of escape display the crime line up bringing the investigative methodology into a multiple correlation of mobile evidence and exactly cells coverage results gathered in field test. The described investigation in the case study reflects SWGDE Recommendations for CSA applied to the consultancy in trial. Results: understand the causality between the evidence, from different sources, with an adequate level of categorization and relevant outcome accordingly to the latest investigative standards in mobile forensics. Detection of suspects’ profiles classifying it per anti-forensics clues disclosed through measurable investigative method. With cells survey, it is possible to highlight cells, namely the group of suitable, to which a particular event (i. e. victim called suspects) could take place. Therefore, highlighting those physically present but not into play. Real coverage can disclose how a suspect moved along the way helping in the crime dynamics line up, focusing on certain data, such as traffic CDRs of the interested cells to carriers. Conclusions: session represents a window for digital forensics professionals, Law Enforcement and investigators faced with mobile analysis. Results obtained demonstrate how forensics radio survey binds digital evidence accordingly to the current required qualified level of examination achievable.

REFERENCES

Scientific Working Group on Digital Evidence (2017) SWGDE Recommendations for Cell Site Analysis (CSA), Version 1.0 (September 25, 2017). - N. Chemello (2016) Correlating CDR with other data sources, IEEE Xplore (November 17, 2016)

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Tenendo traccia di tutto: l’analisi dei log windows per ricostruire le attività degli utenti L. Cadonici

Socio ONIF - Osservatorio Nazionale Informatica Forense

Con il termine «log» in informatica, si indica il file prodotto al verificarsi di un determinato evento o al compiersi di una determinata attività, classificato e conservato dal sistema operativo per permetterne una successiva verifica. Solitamente i log vengono prodotti e conservati per permettere a tecnici e amministratori di sistema di tenere traccia di quanto avvenuto sulle macchine e per le operazioni di troubleshooting, sia al livello di networking che fisico o applicativo. Dal punto di vista forense, l’analisi dei log offre un’ingente quantità di informazioni utili per ricostruire le attività occorse sulle macchine ed all’interno del network. Su un dispositivo Windows, le applicazioni registrano errori ed eventi tramite log proprietari, ciascuno con il proprio formato ed interfaccia utente. Poiché dati provenienti da applicazioni diverse non possono essere facilmente fusi in un unico report, sussiste il bisogno di fornire un unico e centralizzato sistema di registrazione degli eventi hardware e software. Il servizio di logging di Windows risponde a questo bisogno registrando eventi da varie fonti ed includendoli un’unica raccolta definita come event log.

1. I file EVTX

Il formato EVTX registra gli eventi occorsi nella macchina attraverso numerosi channel, flussi di eventi usati dal Sistema Operativo e dalle applicazioni per trasportare gli eventi da un event publisher ad un file di log. Ciascun canale produce un file EVTX omonimo (es. Application.evtx, Security.evtx …) in cui sono raccolti tutti gli eventi di interesse, memorizzato al percorso %HOMEDRIVE% \Windows\ system32\ winevt\ logs. 1.1 Modalità di acquisizione Per procedere all’analisi dei file EVTX, dobbiamo prima occuparci della loro estrazione dalla memoria dei dispositivi in cui sono conservati estraendoli da macchina attiva (acquisizione live) o lavorando su una copia forense (acquisizione post-mortem). Una volta ottenuti il file o file EVTX di interesse rimane la scelta degli strumenti utili ad analizzarli tramite la shell PowerShell o il tool Log Parser.

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2. Powershell come strumento di analisi dei log windows

Presente fin da Windows 7, PowerShell si presenta come una shell che accetta ed elabora oggetti del framework .NET tramite le numerose serie di comandi disponibili, definite cmdlet, da utilizzare separate o combinate tra loro per raggiungere compiti più complessi. Specificando l’indirizzo del file EVTX di nostro interesse possiamo filtrare i risultati ottenuti avvalendoci del cmdlet Get-WinEvent e delle hash table, strutture di dati composte da una coppia di chiavi univoche e dai valori ad esse associate. Get-WinEvent -FilterHashtable @{[key]=’[value]’} Key name

Value data type

LogName

<String[]>

ProviderName

<String[]>

Path

<String[]>

Keywords

<Long[]>

ID

<Int32[]>

Level

<Int32[]>

StartTime

<DataTime>

EndTime

<DataTime>

UserID

<SID>

Data

<String[]>

*

<String[]>

3. Ricostruire le attività di macchina e utenti tramite i log: alcuni casi pratici 3.1 Alibi informatico - le fasi di avvio e spegnimento della macchina I log conservati nel file System.evtx possono fornire numerose informazioni sull’uso della macchina. Tra queste ci sono le fasi di avvio e spegnimento, utili nei casi in cui si necessiti di verificare l’alibi informatico di un indagato. Prendiamo in considerazione i seguenti log: ID 6008 - Unexpected Shutdown ID 6009 - System Boot ID 1074 - Shutdown Il succedersi di questi tre log fornisce una lista cronologica e ciclica delle fasi di avvio e spegnimento, racchiusa temporalmente tra i log 6009, indicanti l’avvio ed i log 1074 e

78


DIGITAL FORENSIC “E-CRIME”

6008, rappresentanti rispettivamente lo spegnimento ordinario e l’arresto anomalo della macchina. Tre ulteriori eventi utili memorizzati nel file System.evtx sono i seguenti: ID 1 – The system has returned from a lower power state (provider Microsoft-Windows-Power-Troubleshooter) ID 1 – The system time has changed to … (provider Microsoft-Windows-Kernel-General) ID 42 – The System is entering sleep (provider Microsoft-Windows-Kernel-Power) I summenzionati eventi avente ID 1 sono prodotti al wake-up a seguito dell’avvenuta ibernazione, indicata invece dalla presenza dell’evento 42. 3.2 Installazione di software malevolo L’analisi dei log del file Application.evtx può fornire informazioni utili a proposito dell’installazione di software malevolo o indesiderato tramite i log 1003 - Windows Installer installed the product e 103 - Windows Installer removed the product (provider MsiInstaller): possono essere utilizzati per verificare quali prodotti sono stati disinstallati e quando. 3.3 Privilege escalation – creazione e manipolazione di account Di seguito gli eventi relativi agli account SAM: ID 4720 - A user account was created ID 4722 - A user account was enabled ID 4725 - A user account was disabled ID 4726 - A user account was deleted ID 4723 - An attempt was made to change an account’s password ID 4724 - An attempt was made to reset an account’s password

4. Log Parser

Ogni log riportato nei file EVTX presenta una struttura XML in cui si conservano le informazioni relative all’evento che lo ha generato; detta struttura può essere analizzata tramite LogParser 2.2, tool Microsoft a riga di comando operante tramite query SQL. La sintassi è la seguente: LogParser -i:[input_type] -o:[output_type] “SQL Query”

5. Un caso reale: accesso abusivo informatico alla rete ospedaliera

Nel 2017 un medico pisano di 61 anni è stato rinviato a giudizio per aver effettuato 4.600 accessi illegali ai computer dell’Ospedale di Pisa. Per effettuare le suddette attività, l’indagato aveva installato due software non autorizzati: Spotflux per anonimizzare la navigazione tramite VPN e iTeleport per connettersi da remoto tramite smartphone. Prendendo spunto dal caso in oggetto proviamo a generare una timeline che permetta di verificare l’installazione dei software non autorizzati e la loro esecuzione da parte di un utente, in questo caso dr.bianchi utilizzando solamente i log di Windows. Sostituiamo al software Spotflux, non più supportato, l’equivalente TunnelBear.

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Time Created

Description

LOG ID

01:51:21

L’utente dr.bianchi si connette interattivamente alla macchina

4624

01:51:59

Inizio installazione di TunnelBear ed esecuzione processo \Device\ HarddiskVolume17\TunnelBear-Installer.exe

4688

01:52:00

Creazione della cartella temporanea C:\Users\DR6688~1.BIA\ AppData\Local\Temp\{8EFF38C6-F3AB-4E84-8418-10CB58EE334B}\. cr ed esecuzione del processo TunnelBear-Installer.exe

4688

01:53:27

Installazione di TunnelBear v. 3.3.2.1

1033

01:53:27

Esecuzione del processo C:\Program Files (x86)\TunnelBear\ TunnelBear.UI.exe

4688

01:53:27

Esecuzione del processo C:\Program Files (x86)\TunnelBear\ TunnelBear.UI.Launcher.exe

4688

01:53:28

Esecuzione del processo C:\Program Files (x86)\TunnelBear\ CefSharp.BrowserSubprocess.exe

4688

01:55:22

Inizio installazione di iTeleport ed esecuzione del processo \ Device\HarddiskVolume17\iTeleportConnectService.v6.1.0.2.exe

4688

01:55:52

Installazione di iTeleport Connect v. 6.1.0002

1033

01:55:52

Esecuzione del processo C:\Program Files (x86)\iTeleport\ iTeleportConnect\iTeleportConnect.exe

4688

01:58:49

L’utente dr.bianchi effettua il logoff

4647

80


Opening session

Cognitive Bias: landfills in forensic engineering


Assessing differential responsibility of pollution for environmental forensic applications Lakshmi Priya1) ; George K. Varghese1) ; Irfan Khursheed Shah2) 1)

2)

National Institute of Technology, Calicut, Kerala, India Amar Singh College, Srinagar, Jammu& Kashmir, India

An environmental forensic investigation not just involves identifying who the polluter(s) is/ are, but also involves estimating the monetary cost of the damage. World over, there are many instances where polluters were made to pay for their damages (Barrett and Wassell 1973; Cohen 2010; European Environment Agency 2011; Goulder and Jacobsen 2007; Langas 2010). The cost of the damage worked out depends on the specific pollution event. Also, the damage calculation method adopted is unique to the case and are usually contingent upon the specific instance of pollution- in terms of the location, severity, time, social background, etc. Generally two types of compensations are recognized for pollution damages; environmental compensation and monitory compensation. Environmental compensation includes the remediation cost, and the cost of any other actions that provide restoration benefits. Monitory compensation includes the money given to the affected parties for compensating the loss of life and property. Many favour the concept of environmental compensation as it results in the conservation of the environmental goods. In addition, it can effectively handle the economic heterogeneity of the affected population. But, many a times both environmental compensation and monitory compensation may be required and a proper mix of the two may prove economically more efficient (Gastineau and Taugourdeau 2014). The research literature is rich in studies concerning the types of compensations and the different approaches for its estimation. However, the allocation of compensation when more than one party is held responsible for the pollution, considering the differential responsibility, is an area not much researched upon. If an environmental forensic investigation reveals the role of more than one party for a pollution event, the expert may be asked to give relative weights for the extent of responsibility of the parties involved, so that the damage cost can be devided proportional to their involvement in the event. The current study was carried out to identify the factors to be considered for arriving at the relative weights for the extent of responsibility of the parties involved in a pollution event. The opinions extracted from a panel of experts through a structured communication method were the basis for identifying the factors and their relative importance. Delphi and Analytical Hierarchy Process (AHP) were used for this. The five most important factors identified were (i) Strength of evidence against the polluter (ii) Fraction of the pollutant contributed by the polluter (iii) Cause of emission (routine/ accidental/ deliberate) (iv) Type of ownership (State owned/ Public Sector/ Private) relevant to the polluter, and (v) General perception about the polluter in the affected community. The weights obtained for each of these factors in a 0 - 1 scale were 0.91, 0.85, 0.30, 0.12 and 0.10, respectively.

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OPENING SESSION I COGNITIVE BIAS: LANDFILLS IN FORENSIC ENGINEERING

BIBLIOGRAPHY

Barrett, L. B., and Wassell, T. E. (1973). Cost of air pollution damage : a status report Cohen, M. A. (2010). What are the Likely Costs of the Deepwater Horizon Spill? European Environment Agency. (2011). Revealing the costs of air pollution from industrial facilities in Europe. EEA Technical Report Gastineau, P., and Taugourdeau, E. (2014). “Compensating for environmental damages.” Ecological Economics, Elsevier B.V., 97, 150–161

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Forensic sciences in Waste management and contaminated sites


Analysis of contractual issues during a park construction P. Provenzano, G.Q. Iddas

GQI Associati, Engineering and Architecture

During the construction of a park in Milan some pollutant have been discovered byARPA Lombardia. Several figures have been involved in costruction phases: client, contractor, project consultings. The client asks to verify the responsability of the contractor that moved the deeper soils and that provided and moved the superficial vegetable layer. The authors describe the soil test analysis, the ambiental stratigrafical reconstruction and the relationship between the several figures involved in the contract. A complex legislation analysis shows the critical aspect of the contract. Technical conclusions are compared with the Curt sentence. The exposed case history shows that legal regime implies that significant precautions should be taken when buying an Italian industrial site. A preliminary investigation of soil and groundwater – as well as careful drafting of the environmental liability clauses in the contract – should be considered in order to prevent unwanted liabilities.

BIBLIOGRAFIA

Gestire i rifiuti tra legge e tecnica, Paola Falco, 2015

86


Utilization of agro industry byproducts through a rational management system for the development of new animal feeds D. Arapoglou1); C.Eliopoulos1); J. Karalis2); G. Sioulas1)

1) Inst. of Technology of Agricultural Products (HAO-DEMETER). Athens 2) Dep. of Agricultural Development, Democritus University of Thrace

Industrial activity has always resulted in pollution, whether this is in the form of solid waste, sewage or gases. The crop residues were incorporated into the soil or offered as animal feed and manure was used as a natural fertilizer. However, nowadays those cultivation systems are so intensified and dependent on synthetic fertilizers and pesticides, crop residues, that were once recycled, are now largely considered as waste products. These residues include renewable materials such as straw, corn swabs, fruit industry waste, whey, olive mill waste etc., and can be mentioned as valuable resources, mainly due to the fact that they can be biologically transformed to produce valuable products. As a result, a wide range of high added value products can be recovered from what is considered to be waste from the entire primary production sector. Nowadays, we live in a society that often chooses, to ignore the possibilities that exist around it. Particularly in the case of agriculture farming, with constant cases of pollution of the environment due to improper management of the produced waste. In addition, not only the disposal of these wastes is a very costly procedure, but also their improper exploitation is proven to be a great economic loss. The proper management of waste derived from food production is one of the most important environmental issues. Unfortunately, it is still common practice to discard waste-sewage in natural recipients or to be deposited straight on land, without any processing or treatment. It is striking that while even very small production units have a mechanism and systems for the treatment of waste (which are obligatory for their licensing), they are often under-operated or working in the wrong direction, with incorrect application techniques, while leaving entirely untapped the produced waste, due to non-specialized processing technologies. Especially in very small or medium-sized production units, which consist the vast majority of our country’s food production facilities, the use of these wastes with specific protocols and directions is almost unknown, mainly due to the lack of a specific and tested proposal of waste management, a fact that this proposal will deal with. Raw materials that could be used as ingredients in farm animal diets, have declined significantly over the past few years as the use of animal by-products has been limited (EU Regulation n.1774 / 2002) and the use of soya-bean meal is constantly criticized in Europe because a large percentage of it, is genetically modified (Regulation (EC) 178/2002). This is why the study for the use of alternative protein sources, such as by-products of the agroindustry (olive-pomace, etc.), which can substitute the ingredients of feed rations, has become of great importance and many research efforts take place in this direction. In Greece,

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TVF2018 I TREVISOFORENSIC

the most important reason for high prices of animal products is the cost of imported feed for farm animals. According to data from the Ministry of Rural Development and Food, almost 100% of soybean and fishmeal are imported. In total, 2,000,000 tonnes of synthetic feed is imported, of which 30-40% is soybean and soybean meal. Every year the total value of feeds which are imported is approximately 1.0 billion €. The utilization and re-use of by- products of the agro-industry consist of an interesting economic and ecological solution for their overall management in agriculture. Thus, the study of the use of alternative sources of protein mainly from products and by-products of plant origin, as well as the use of monocyte protein, as ingredients of rations, has become a top priority.A large amount of the waste coming from the Greek food industry can be used as raw material for the production of proteinaceous feeds. Examples are those deriving from olive oil mills (olive oil mill waste and olive pomace), juice industry (citrus pulp), wineries, animal products processing, mushroom industry etc. However, since their protein content is usually low, it is suggested to study the possibility of upgrading it via solid fermentation, mainly with the fungus Pleurotus ostreatus. The fermentation is carried out in a bioclimatic chamber in order to produce a new proteinaceous feed suitable for animal nutrition. The final product of the fermented waste is expected to be improved, not only in terms of increased protein and reduction of phenolic substances but also due to the presence of enzymes, vitamins and growth factors which will be produced by the fermentation process. P. ostreatus has gained commercial interest as a source of polysaccharides, especially beta- glucans, which can be used to enhance the immune system of humans and animals or to exert anti-aging activity. The use of P. ostreatus as a functional feed for the production of livestock enhances animal robustness, improves the health status of the people who will consume products from animals fed with such feed and contributes to the protection of the environment due to far less aggravating substances. In summary, the produced feeds have been a mixture of selected wastes or by-products of the agro-industry fermented with the fungus P. ostreatus, in order to increase their protein content and to reduce the fiber to levels desirable for animal nutrition. Optimization of the fermentation parameters had taken place in the laboratory and pre-pilot level.

BIBLIOGRAFIA

Singh nee’ Nigam P., Pandey A. (eds.), Biotechnology for Agro-Industrial Residues Utilisation. Springer Science + Business Media B.V. (2009). DOI: 10.1007/978-1-4020-9942-7 Commission of European Communities. Commission staff working paper: supply and demand of protein – rich crops in the EU following the BSE crisis. SEC (2001) 431. http:// ec.europa.eu/agriculture/markets/crops/leg/431_eb.pd Nigam P, and Singh D (1996a) Processing of agricultural wastes in solid state fermentation for microbial-protein production. J Sci Ind Res 55(5–6) pp 373–380 Gelinas P, Barrette J (2007) Protein enrichment of potato processing waste through yeast fermentation. Bioresource Technology 98: 1138–1143 Iconomou D, Kandylis K, Israilidis C, Nikokrys P (1998) Protein enhancement of sugar beet pulp by fermentation and estimation of protein degradability in the rumen of sheep. Small Ruminant Research 27: 55–61 Kalmis E, Nuri Azbar N, Yıldız H, Kalyoncu F (2008) Feasibility of using olive mill effluent (OME) as a wetting agent during the cultivation of oyster mushroom, Pleurotus ostreatus, on wheat straw. Bioresource Technology 99: 164–169

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The case study of construction quality control of geosynthetic clay liners in landfill covers Daniela Kosić1); Biljana Kovačević Zelić2)

1) Hrvatske vode, Zagreb University of Zagreb, Faculty of Mining, Geology and Petroleum Engineering, Zagreb 2)

Geosynthetic clay liners (GCLs) are factory-manufactured hydraulic barriers consisting of a mineral (usually bentonite clay) and geosynthetic component (geotextile or geomembrane). During the last decades the use of GCLs continuously increased in geotechnical, hydrotechnical and environmental applications mainly for containment and separation purposes. In the Republic of Croatia, GCLs were often used as final covers at old landfill sites during reclamation works. Depending on the type of construction, location and function, GCLs have to fulfil certain requirements defined by legal acts, national and international standards and project specifications. There is a large number of laboratory test methods that could be used for the characterization of GCLs or their mineral component. In order to prove the requirements for landfill applications, GCLs are subjected to the manufacturing quality control – MQC during production and construction quality assurance – CQA procedures (described in ASTM D 5899 and ASTM D 6495). The recommended tests, test methods and frequencies are given in the mentioned standards for the GCL components (clay, geotextile, geomembrane) and final product i.e. manufactured GCL (Erikson & Jesionek 2004). Among them, there are several methods related to the determination of index properties of GCLs mineral component and to the determination of hydraulic behaviour of finished product. These methods together with the expected values are given in Table 1. Swell index test (ASTM D 5890) quantifies the swelling property of GCLs mineral component. Fluid loss (ASTM D 5891) is a quick method of determining the ability of GCLs mineral component to perform as hydraulic barrier. Hydraulic behaviour can be precisely determined by hydraulic conductivity testing (ASTM D 5887). According to some investigations, a low fluid loss value and a large swell index would imply preferable hydraulic behaviour i.e. low permeability of GCLs, as well. Table 1. Property

Test method

Frequency

Minimum value

Swell index

ASTM D 5890

50 tonnes

≥ 24 ml

Fluid loss

ASTM D 5891

50 tonnes

≤ 18 ml

Hydraulic conductivity

ASTM D 5887

25.000 m2

≤ 5×10-11 m/s

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In the construction stage and during the envisaged lifetime of an landfill, the changes of certain properties of GCLs may occur. It could be caused by various conditions such as: type and thickness of cover layers, damage during installation, atmospheric conditions, GCLs mineral component interaction with biogas and leachates etc. This paper presents the results of laboratory testing’s of index properties (free swell and fluid loss of bentonite) and GCLs hydraulic conductivity on samples that were installed at one real landfill site for the period of three to nine years (Table 2). Table 2. Property

Test method

Required values

Obtained values (minimum – maximum)

Swell index

ASTM D 5890

≥ 24 ml

9-17

Fluid loss

ASTM D 5891

≤ 18 ml

16-92

Hydraulic conductivity

ASTM D 5887

≤ 5×10-11 m/s

1.2×10-9 - 5.9×10-12 m/s

All samples showed change of properties in relation to manufacturers’ declared values at the time of installation or control testing during construction stage, both of which fulfilled criteria listed in Table 1. It could be explained by multiple possible causes such as: unfavourable climate conditions and modification of design solutions during installation stage; cation exchange and desiccation of GCLs mineral component afterwards (Kosić et al. 2015). Surprisingly, the connection between the time of installation and the extent of the degradation of properties could not be established. Among the possible causes, the most likely one could be the different origin and mineral composition of bentonite clay used during production of GCLs. Beside, a huge variability has been noticed in the composition and height of cover layers. In conclusion, despite the well established procedures and methods for the construction quality control of GCLs used for the landfill cover applications, there still exist a need for further improvements especially in construction companies.

BIBLIOGRAFIA

Erickson, R.B., Jesionek, K.S., An Assessment of Current GCL Manufacturing Quality Control and On-Site Acceptance Testing Standard of Practice. Advances in Geosynthetic Clay Liner Technology: 2nd Symposium, ASTM STP 1456, pp. 75-91, R.E. Mackey and K. von Maubeuge, Eds., ASTM International, West Conshohocken, PA, 2004. Kosić, D., Kovačević Zelić, B., Domitrović, D., Barač, D., Long-term efficiency of clay geosynthetic barriers. Proceed. of the XVI ECSMGE Geotechnical Engineering for Infrastructure and Development, pp. 2723-2728, Edinburgh, Scotland, 2015.

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Sustainable solid waste management: an integrated approach for achieving healthy environment for Bangladesh’ cities Md. Zahid Hossain1); Prodip Kumar Saha2); Masaharu Takasugi3)

Solid waste management is one of the most challenging issues in urban cities in Bangladesh, which are facing a serious pollution problem due to the generation of huge quantities of solid waste. However, Bangladesh has entered into low middle income country from Least Developed Country. This paper presents an assessment of the existing situation of municipal solid waste management in five big cities- Chittagong, Narayagonj, Gazipur, Comilla and Rangpur in Bangladesh. Various studies reveal that about 40% to 60% solid waste of its generation has been collecting and transporting in open dumps in low land and road side also. Land crises is a critical problem due to rapid urbanization with huge human pressure.

Hence, in this paper, we analyze the Solid Waste Management (SWM) situation for those five cities, and explore future trends of solid waste generation up to 2036. We conceptually evaluate issues surrounding the sustainability of SWM with keeping land crises issue also. We propose a multi-pronged integrated approach for improvement that achieves sustainable SWM in the context of national policy with 7th Five Year Plan 16,000

Planned Cumulative Waste Disposal Amount (x 1,000 m3) Chittagong (2016 - 2036) Cumulative Waste Disposal Volume with current Level Recycling and Composting including Cover Soil (x 1,000 m3)

14,000

Cumulative Waste Disposal Volume with 3R including Cover Soil (x 1,000 m3)

12,911

Cumulative Waste Disposal Volume with 3R and Compost Plant including Cover Soil (x 1,000 m3)

11,947

13,147

Cumulative Waste Disposal Volume with 3R, Compost Plant and Incineration Plant including Cover Soil (x 1,000 m3)

12,000

12,323

11,026 11,524

10,145 9,303

5,581

6,000

4,000

2,000

958 962

1,464 1,460

1,988 1,971

4,923 5,324 5,936 5,783 4,290 4,728 5,193 3,681 4,148 4,619 3,095 3,582 4,060 2,532 3,031 3,517 2,495 2,988

6,566

7,880 7,314

7,201

8,242

8,400

2032

6,978 6,265

8,566

8,794

2031

7,721

8,000

9,969

9,999 9,271

11,242 10,593

9,370

8,582

8,787

2034

8,495

10,750

2033

10,000

9,016

9,271

7,712

6,710

6,237

2036

2035

2030

2029

2028

2027

2026

2025

2024

2023

2022

2021

2020

2019

2018

2017

475

0

2016

Cumulative Waste Disposal Amount (x 1.000 m3)

14,974 13,919

Year

91


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of state; legal frameworks; institutional arrangement; appropriate technology; operational and financial management; and public awareness and participation. In keeping with global trends, the systems are being oriented to concentrate on sustainability issues; mainly through the incorporation of 4R (reduce, reuse, recycle and resources recovery) approach. Where composting, bio gasification and incineration plant have been taking as resources recovery which to contribute reducing the dependency on land for SWM.

However, degree and nature of improvements toward sustainability are varying and depend on the economic status of a country along with good governances also.

BIOGRAPHY

Md. Zahid Hossain ( Lead Author, Email: zahid@ environconcern.com and zahidho@ yahoo.com) is a development professional having specialized work experience with Water Resources, Water supply, Wastewater , Solid Waste, Sanitation and Faecal Sludge Management over 15 years and his educational qualifications are MS in Environmental Science, B.Sc. in Civil Engineering, Course Certificate on Municipal Solid Waste Management in Developing Countries, Water Resources Management and Policy and another is on Leadership and Change Management along with received couple of trainings. Currently has been working with Government’s projects-Coastal Towns Environmental Infrastructure project as Sanitation Expert funded by Asian Development Bank (ADB). In the past, worked as consultant with World Bank for Scaling up Microfinance Institutions Lending for Improved Sanitation project in Bangladesh and another is Bangladesh Rural Water Supply and Sanitation project. He worked with Feasibility and Master plan review of City Governance Project (GoB) as Solid Waste Management Specialist, funded by JICA, Mid-Level Water Resources Engineer at “District Water Resources Assessment Project “of Local Government Engineering Department, funded by ADB and at Institute of Water Modeling. Besides, also worked with WaterAid, Oxfam and Caritas on sanitation, decentralized waste water treatment, solid waste, water supply and disaster management. He also worked with Water Safety Plan with World Health Organization. 2) Prodip Kumar Saha is an Economist, received PhD in Economics from Vladimir State University, Russia. During holding PhD he did the research on “Foreign Investment for the Industrial Development of Bangladesh”. He worked with a good numbers of development projects in Bangladesh. Name of Assignment of those projects; Governance and Infrastructure Improvement (GII) under City Governance Project for Targeted Five (5) City Corporations funded by JICA; Feasibility Studies and Detail Designs (FSDD) of Subprojects under Participatory Small Scale Water Resources Sector Project funded by ADB, IFAD and GoB; Bench mark Study Project under Second Rural Infrastructure Improvement Project (RIIP- II); Water Supply and Sanitation in Coastal Belt Project funded by Danida-GoB ; Feasibility Study and Detail Design of Sub-Projects under Second Small Scale Water Resources Development Sector Project funded by ADB and GoB.; Strategic Transport Planning Project for Dhaka Urban Development funded by World Bank; 3) Masaharu Takasugi is an Environmental Engineer who have 30 years job experience regarding solid waste, waste water and sanitation over the world. He has been working at NJS Consultants Co. Ltd based at Tokyo, Japan. He was involved with Feasibility and Master plan review of City Governance Project in Bangladesh. During that time he was assigned as Solid Waste Management Expert along with a national team where Zahid Hossain worked as Solid Waste Management Specialist. 1)

92


Inertization of asbestos waste: italian situation Sergio Clarelli

President of Assoamianto

Italian law states that asbestos-containing waste subjected to a total crystallochemical transformation can be re-used if such materials meet the requirements of asbestos replacement products, among which, first, to be asbestos-free. The treatments that eliminate the dangers associated with asbestos minerals are divided into: chemical modification, mechanochemical modification, lithification, vitrification, glassceramization, pyrolytic litification, clinker production and ceramization. In addition, the National Asbestos Plan, approved by the Council of Ministers on 21 March 2013 and then submitted to the State-Regions Conference, noted the importance of the implementation of asbestos inertization plants, which in fact are not currently operational and underlined the need to define the rules governing their implementation. Also, the European Parliament, with Resolution 2012/2065 (INI) of 14 March 2013, on asbestos related occupational health threats and prospects for abolishing all existing asbestos, has, among the another, called on the European Commission to promote the construction of plants for inertization of asbestos throughout the Union, providing for the phasing-out of the landfilling of such waste. In this regard, as evidenced by an Assoamianto online research, in relation to industrial processes of inerting the asbestos, at the Italian patent and trademark Office, are present about 40 patents and, at the European Patent Office (EPO), about 15 patents from subjects with Italian inventors. The critical issues related to these asbestos inertization plants, which, as mentioned, are not currently operating in Italy, are linked to current legislation, industrial procedures and the impact on the community. Assoamianto formulated, for the first time in Rome on 12 December 2013, during a National Conference at the Istituto Superiore di Sanità, on “Treatment and disposal of waste containing asbestos: Italian situation”, some proposals aimed at filling the critical issues: for each plant, Assoamianto proposes the following planning, in addition to all the authorizations: • System Operating Management Plan for the definition of technical criteria and measures for the management of the plant and the methods for closing it; • Post-Operation Plan of the Plant for the definition of surveillance and control programs after closure; • Plan of Surveillance, Control and Security of the Plant for the definition of measures for the prevention and protection of personnel and the environment, of parameters to be monitored, monitoring and verification;

93


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• •

Environmental Restoration Plan for the definition of the methods and objectives of recovery and final settlement; Financial Plan for the definition of construction costs, management of the plant and closure of the same, with indication of the price applied for disposal.

BIBLIOGRAPHY

Lo smaltimento innovativo dell’amianto. Stato dell’arte degli impianti di inertizzazione (The innovative disposal of asbestos. State of the art of inertization plants), Sergio Clarelli, in Geologia dell’Ambiente, “Rischio amianto in Italia: da minerale pregiato a minaccia per la salute e per l’ambiente”, “Asbestos Risk in Italy: from precious mineral to health and environmental threat”, SIGEA, Società Italiana di Geologia Ambientale, Supplement no. 4/2017 Amianto: il quadro normativo e le tecnologie disponibili. Una strada alternativa alla via per la discarica (Asbestos: the regulatory framework and the available technologies. An alternative solution to the landfill), Sergio Clarelli, Ambiente & Sicurezza, New Business Media, no. 11/2017 Sostanze pericolose. Inertizzazione dell’amianto: quali proposte per l’Italia? (Hazardous substances. Asbestos Inertization: which proposals for Italy?) Sergio Clarelli, Ambiente & Sicurezza, New Business Media, no. 9/2014 Le problematiche di inertizzazione dell’amianto (The problems of inerting the asbestos), Sergio Clarelli, il Giornale dell’ingegnere no. 5/2014 Impianti di Inertizzazione dell’amianto: Stato dell’arte (Asbestos Inertization Plants: State of the art), Sergio Clarelli, in Proceedings National Conference on “Treatment and disposal of waste containing asbestos: Italian situation”, Istituto Superiore di Sanità, Rome, 12/12/2013 Amianto: bonificare i siti con lo smaltimento di rifiuti (Asbestos: reclaim the sites with the disposal of waste), Sergio Clarelli, Ambiente & Sicurezza, Il Sole 24 Ore, no. 21/2011

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Assessing the liability for the remediation of contaminated sites: proportional liability and the role of the party appointed expert Eleonora Malavasi; Beatrice Toniolo

Butti and Partners - B&P Avvocati

As now well known, the polluter pays principle establishes that the costs of pollution should be borne by those who caused it. The fundamental purpose of this principle is that the cost of pollution is borne by polluters, not by society. The polluter pays principle is also one of the fundamental principles of the European Environmental law, as established by art. 191(2) of the TFUE («the polluter should pay») and by art. 1(1) of Directive no. 2004/35/CE on environmental liability with regard to the prevention and remedying of environmental damage («[...] establish a framework of environmental liability based on the ‘polluter-pays’ principle»). In accordance with the polluter-pays principle, the Italian regulation on contaminated land (Legislative Decree n. 152/2006) provides that the obligation to remediate contaminated land is imposed on the polluter only, not on the innocent owner or manager of the land. But, how the competent authority shall identify the polluter? According to the European Court of Justice (case C-378/08) the competent authority “is not required to establish fault, negligence or intent on the part of operators whose activities are held to be responsible for the environmental damage”. However, the authority shall establish, after having conduct of a prior investigation into the origin of the pollution found, “a causal link between the activities of the operators at whom the remedial measures are directed and the pollution”. It must be underlined that the competent authority can presume that there is a causal link between operators and the pollution found when there are plausible evidence capable of justifying the presumption, such as: • the proximity of the operator’s installation to the pollution found, • the correlation between the pollutants identified and the substances used by the operator in connection with his activities. The application of the polluter pays principle is simple when it is certain that there is only one polluter. But this case rarely happens. In fact, in many cases there are several concurrent responsible parties. In these cases, the main legal problem is whether a proportionate liability regime or a joint and several liability regime is in place. In the first case, each party can be required to pay for the remediation only for their share of responsibility. On the contrary, if joint and several liability applies, the competent authority can ask each responsible party to carry out the entire remediation.

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In the past, Italian case law were in favor of the joint and several liability regime. However, the highest Italian administrative Court (Consiglio di Stato) recently issued a fundamental decision (n. 3756 of 30th July 2015), sustaining that, taking into account all the relevant regulations and principles, the contaminated land regime is governed by the rule of proportionate liability. The Court quotes the European Court of Justice decision n. C-543/13, according to which the operator is required to bear the cost of the remediation only in relation to its contribute to the occurrence of the environmental damage. Indeed, proportional liability is mentioned both in the national and European legislation on environmental damage. The proportional liability rule is also the more appropriate solution in the light of the general principle of civil legal liability. Nevertheless, the application in practice of proportional liability may raise several problems. The main question is how to determine the share of responsibility of each party in cases of multiple party causation. In particular, it is possible to identify two main categories of cases when more than one operator may have caused the pollution: 1. when, in the same area, there are many different industrial installations; 2. when more companies managed the same industrial installation over time. In this context, the party appointed expert plays a fundamental role in the administrative proceedings aiming to identify the polluter of a certain area. The technical reports issued by the expert provide the competent authority with the data necessary to establish if there is a causal link between the operator(s) and the pollution. Therefore, the information given must include all the technical elements useful to ascertain whether the operator is – or can be presumed – responsible for the pollution and, eventually, to what extent. The technical reports should also underline if there are reasons to believe that also other operators are liable. The presence of more responsible parties, when the regime of proportional liability applies, means that the remediation costs must be beard by each responsible party only to their share of responsibility. In order to collect all the useful information the technical expert shall: • accurately identify the production cycle of the plant and the substances used, also with reference with activities carried out in the past in the same area; • in the event of groundwater contamination, verify the direction and characteristics of the aquifer; • if applicable, take into consideration the degradation process of the chemicals used and of the substances involved; • examine the possible contaminants migration path in relation to the soil characteristics. Therefore, the technical expert plays an important role in order to collect and analyze all the information necessary to ascertain the origin of the pollution and to correctly identify the polluter.

BIBLIOGRAFIA

Judgment of the Court (Grand Chamber) of 9 March 2010 n. C-378/08, ECLI:EU:C:2010:126 Judgment of the Court (Third Chamber) of 4 June 2015 n. C-543/13, ECLI:EU:C:2015:359 Consiglio di Stato, Decision n. 3756 of 30th July 2015

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Forensic sciences in Air Pollution control


Odour emissions from laying hen shed Federica Borgonovo; Andrea Schievano; Marcella Guarino Department of Environmental Science and Policy, UniversitĂ degli Studi di Milano, Milan

Odour emissions related to intensive animal production are recognized as an environmental issue, since the odour emitted from industrial activities is perceived by the population as a nuisance problem, even if this don’t represent a risk for human health. In particular the expansion of the industry, the development of residential areas near farms and higher requirements on air-quality by communities increase the potential for odour nuisance from laying hen farms. Therefore, it becomes important the development of odour control strategies in order to reduce negative public attitudes towards layer. Leyer hens are housed in specially designed building and there are many factors such as litter conditions, manure properties (composition, moisture content, surface crusting, quantity, age and removal frequency), feed properties, microbial activity, stage of production (bird numbers, age, stocking density), bird activity and management practices that may influence the generation and emission of odour. The unpleasant odours compounds, released into the shed and exhausted outside through the ventilation-system, is subjected to dispersion and dilution. The enlarged or the setting-up of new production facility, requires an evaluation of the impact on the surrounding area through the use of an odour dispersion modeling, in order to estimate the likelihood of odour nuisance. Following the increased interest in environmental problems, the characterization and measurement of environmental odours have taken on an important role. For this purpose several techniques have been studied and developed. Analytical techniques such as gas-chromatography coupled with mass spectrometry are the oldest and most consolidated methods studied and applied for the evaluation of environmental odours. Nevertheless the chemical analysis can be highly complex and not always effective. For example in the characterization of complex odours is not easy to relate the human sensation caused by that odorous mixture with its chemical composition. Conversely sensory analysis, such as dynamic olfactometry, has made it possible to overcome this problem, since it allows odour to be to quantified as a result of its direct effect on a panel of qualified examiners. For this reason, this type of analysis is used increasingly frequently in the assessment of environmental odours. The aim of the present study was to measure the odour concentration (Cod) in the air emitted from a laying-hen farm using dynamic dilution olfactometry. The study was conducted in a farm located in North of Italy during two different seasons: winter and summer. The farm consists of two sheds with a different ventilation system.

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Shed 1 is characterized by a cross ventilation system in which fans are installed along one of the long side walls, while shed 2 has a tunnel ventilation, where fans are installed on one of the short side walls. Odour emissions were measured in seven different points of the farm. In particular exhaust air was sampled directly from the fan face of the two sheds and from manure storage, other samples were taken on boundaries of the farm. Air sampling was carried out following the recommendations described in the European Standard EN 13725 (CEN, 2003) drawing the air into disposable NalophanÂŽ bags. The bags containing air from the laying-chicken farm were transported to the laboratory for olfactometry analysis within 24h to minimize the possibility of sample deterioration. The results highlighted a variability in the concentration of odors as a function of ventilation rate, season and wind direction. In particular odour concentration values change widely between the two sampling seasons. Higher odour emissions in winter, ranging from 58 to 677 ou/m3, while in summer the emissions rates were lower, ranging from 49 to 114 ou/m3. This study allowed to evaluate the odours impact of a typical chicken farm, in terms of odour concentration (Cod) and to evaluate the effect of the season on odour emissions.

BIBLIOGRAFIA

Odour, dust and non-methane volatile organic-compound emissions from tunnel-ventilated layer-chicken sheds: a case study of two farms, Mark Dunlop, Zoran D. Ristovski, Erin Gallagher, Gavin Parcsi, Robin L. Modini, Victoria Agranovski and Richard M. Stuetz, Animal Production Science, 2013, 53, 1309-1318. http://dx.doi.org/10.1071/AN12343 Odour Sampling: Techniques and Strategies for the estimation of Odor Emission Rates from Different Source Types, Laura Capelli, Selena Sironi and Renato Del Rosso, Sensors 2013, 13, 938-955. Doi:10.3390/s130100938 Odour impact assessment by means of dynamic olfactometry, dispersion modelling and social participation, Selena Sironi, §Laura Capelli, Paolo Centola, Renato Del Rosso and Sauro Pierucci, Atmospheric Environment, 2010, 44, 354-360, 2010

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The role of landfill as a carbon sink for the estimation of global warming emissions in waste management: an environmental forensic case study A. Pivato, F. Girotto

DICEA - Department of Civil, Environmental and Architectural Engineering, University of Padova

Anthropogenic emissions of greenhouse warming gases (GWG) to the atmosphere are thought to contribute to the Earth’s global warming. Among different waste management options, incineration is often considered one of the most effective and environmentally protective as demonstrated by many Life Cycle Assessment analysis. Nonetheless, depending on previous treatments that a waste may receive, such as mechanical biological treatment (MBT), landfilling could offer better possibilities than incineration in terms of GWG emissions thanks to carbon sequestration according to the “Carbon Sink” principle. The latter refers to any process that avoids the emission of GWG, e.g., the biogenic carbon that is not dissimilated and remains permanently stored in a landfill, avoiding its emission to the atmosphere. The current study presents a forensic case study of MSW management in Italy; it aims at assessing the GWG (i.e., methane, carbon dioxide, and nitrous oxide) released to the atmosphere by two different scenarios of a waste flow processed in a mechanical biological treatment: incineration with energy recovery and landfill disposal with gas recovery. For each scenario, total fluxes of GWG are estimated as the sum of: a) emissions during waste refinery to produce refuse-derived fuel (RDF); b) indirect emissions associated to transport; c) process or treatment emissions derived from the waste itself (direct emissions) and from the fuel used for its treatment prior to disposal; d) disposal emissions that result from the ultimate disposal of the waste; e) emissions avoided as a result of useful energy or materials recovery; f) stored or sequestered emissions due to short-cycle carbon locked up in the landfill and prevented from being returned to the atmosphere as carbon dioxide for longer than 100 years. Carbon sink is a fundamental phenomenon to be accounted in the study, given that, without considering it, the GWG in the landfill would considerably change (from -33.9 kg CO2/t DF to 250.3 kg CO2/t DF, DF being the dry fraction from the MBT process). According to the composition of waste and to the plant engineering for the treatment/disposal destinations assumed, landfilling results the better option in term of GWG emissions. It is worth mentioning that not only GWG should be considered in the evaluation of waste management options. Nonetheless, the results from the present study provide useful information to prove that a waste management option (landfilling), that a priori could appear less sustainable, represents, instead, an optimal solution.

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Environmental forensic investigation on the particulate matter dispersion from a cement factory

Prem Mohan1); Muhammed Siddik A.1); George K. Varghese1); Irfan Khursheed Shah2)

1) 2)

National Institute of Technology Calicut, Kerala, India Amar Singh College, Srinagar, Jammu& Kashmir, India

In India, the national ambient air quality standards are set by the Central Pollution Control Board (CPCB) in discharge of the powers conferred on it by the Air (Prevention and Control of Pollution) Act, 1981. The permissible 24-hour average concentration of PM10 in the ambient air as per the Indian standards is 100μg/m3 which is double the value specified by World Health Organization (WHO) (World Health Organization 2006). In spite of the higher limit specified, it was observed that in the majority of the air monitoring locations, the PM10 concentrations exceeded the limit (Pollution et al. 2012). The “WHO Air quality guidelines” (World Health Organization 2006) indicate that by reducing particulate matter (PM10) concentration from 70 to 20 micrograms per cubic metre (μg/m3), the air pollution-related deaths can be cut down by around 15%. Thus, the stakes involved in reducing the concentration of PM10 in ambient air are high. Cement manufacturing is a process that results in the emission of significant quantities of PM10 to the ambient air (Jaecker-Voirol and Pelt 2000). An environmental forensic investigation was carried out in the surroundings of a major cement manufacturing unit at a place called Coimbatore in the Tamil Nadu state of India. The investigation was carried out to identify the contribution of the cement manufacturing unit to the PM10 concentration of the surrounding air environment. The sampling points’ selection and sample collection were done following the principles outlined in the INTERPOL manual for Pollution Crime Forensic Investigation (INTERPOL 2014). On-site monitoring of the air samples was carried out using Mini Laser Aerosol Spectrometer (GRIMM, Mini-LAS 11-R). The instrument is capable of measuring PM2.5 and PM1 in addition to PM10. The test results at most of the monitoring locations were well above the limits specified in national ambient air quality standards. Dust particles deposited on leaf surfaces, dust samples from various locations surrounding the industry and the cement samples were analyzed chemically for knowing the composition. As Calcium (Ca) constitute close to 50% of the weight of cement, Ca content in the collected sediment was used as the signature component to establish particulate matter contribution from cement factory. Microscopic studies were carried out for surface texture and particle shape analysis. The distribution of particles was analyzed using Geographic Information System (GIS) for the visual identification of the extend of the pollution around the cement factory. The results from the chemical

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and microscopic analyses combined with GIS analysis established the role of the cement factory in the particulate matter pollution of its surroundings, specifically in the areas North West of the factory.

BIBLIOGRAFIA

Abril, G. A., Diez, S. C., Pignata, M. L., and Britch, J. (2016). “Particulate matter concentrations originating from industrial and urban sources: Validation of atmospheric dispersion modeling results.” Atmospheric Pollution Research, 7(1), 180–189. Brusca, S., Famoso, F., Lanzafame, R., Marino Cugno Garrano, A., and Monforte, P. (2015). “Experimental analysis of a plume dispersion around obstacles.” Energy Procedia, 82, 695– 701. CPCG. (2011). “Guidelines for the Measurement of Ambient Air Pollutants.” Dasgupta, S., Sen, S., Das, R., and Dasgupta, D. (1994). “Dispersion Patterns of Suspended Particulate Matters from Furnaces in Glass Industries: Seasonal and Meteorological Effects.” Transactions of the Indian Ceramic Society, 53(2), 44–48. Hsu, C.-Y., Chiang, H.-C., Chen, M.-J., Chuang, C.-Y., Tsen, C.-M., Fang, G.-C., Tsai, Y.-I., Chen, N.-T., Lin, T.-Y., Lin, S.-L., and Chen, Y.-C. (2017). “Ambient PM<inf>2.5</inf> in the residential area near industrial complexes: Spatiotemporal variation, source apportionment, and health impact.” Science of the Total Environment, Elsevier B.V., 590–591(April), 204–214. INTERPOL. (2014). “Pollution Crime Forensic Investigation Manual. Volume I of II.” Interpol, 1, 183. Jaecker-Voirol, A., and Pelt, P. (2000). “PM10 emission inventory in Ile de France for transport and industrial sources: PM10 re-suspension, a key factor for air quality.” Environmental Modelling and Software, 15(6–7 SPEC. ISS), 575–581. Pollution, C., Board, C., and Environment, M. O. F. (2012). National Ambient Air Quality Status & Trends in India-2010 Central Pollution Control Board. World Health Organization. (2006). WHO Air quality guidelines for particulate matter, ozone, nitrogen dioxide and sulfur dioxide: global update 2005: summary of risk assessment. Geneva: World Health Organization.

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Techniques for air monitoring in the environmental emergencies management Gianni Formenton

ARPAV Regional Environmental Protection Agency of Veneto

Introduction

The prevention of accidents is one of the main goals of the European legislation on industrial sector. The industries, which produce, process or storage hazard substances in large quantities, establish an emergency plan to carry out in case of accident events. However in a framework with small industries a lot of dangerous situations happen in factories without a serious risk management plan. The public authorities, at the same time, must be ready and organized with tools and protocols to face dangerous situations. During the accidents only trained personnel can cross the most dangerous zone (red zone), with adequate equipment, while workers and civilians must be evacuated. The first instrument to evaluate the risk is the knowledge of the substances which are involved in the accident. One of the activities where the hazard can be underestimated producing a risk not only for the workers, but also for population is the waste treatment, in this situation usually is very difficult to identify the substances, involved in the accident. In any case, the principal dangerous event is fire or the emission of poisonous gases or vapours in outdoor or indoor zones and the main vehicle for the diffusion of pollutants is the air.

Materials

To keep safe the staff inside the red zone is necessary to operate very quickly. A lot of expeditious instruments can be used, these instruments are often needed to measure the pollutants in the work places. An inexpensive equipment is the gas detector tube, based on the principle of the chemical change of colour due to reaction between the pollutant and a reactive contained inside the tube. The air or gas is sampled with a manual pump and a graduate scale on the tube allow to estimate the concentration of pollutant. Other types of instruments use an electrochemical response. They can be portable and must be selected with correct range of measurement to preserve the safety of personnel. The response of these instruments is often specific and they must be periodically calibrated with standards or by maker company. In some occasions, for instance when the emission of a substance is known, a no-specific instrument can be used like a large diffuse portable system based on PID (Photo-Ionization Detector), where the substances, sampled with a pump, are ionized by a lamp with a specific energy.

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When the emission is unknown, the vapour or gas can be analysed with an instrument which is able to separate the different substances and the most common technique is the gas-chromatography (GC). The gas is sampled and carried by an inert gas through a capillary column, which separates the substances, before to arrive at the end where there is a detector. The most performing detector analyses the molecular mass (MS) of compounds after electron ionization, since every compound has a specific mass spectrum That act as fingerprint. There are other types of detectors less specificity like: FID, ECD , TCD etc. During a fire or explosion episode many substances are released and the fallout can cover a large area even out of the red zone (orange or green zone). The concentration of pollutants are lower than in the red zone, but for planning an effective sampling is important to collect detailed meteorological information and to know the sensitive points, i.e hospitals, schools and residential areas. It is often necessary to sample in different places at the same time. Moreover the instruments used in the red area are not sufficient in number and for their detection limit. Usually to verify the concentration of volatile organic compounds, which can give an acute dangerous reactions for the health of population, the air is sampled using plastic bags or by special steel canister. These canisters give an important guarantee of sampling facility and cleanness of materials. Canisters can be analyzed, after pre-concentration, with portable or laboratory instrument. The use of GC-MS allows to detect a large spectrum of organic substances. The combustion of organic materials with chlorine may produce dioxins and other persistent organic pollutants. The concentration in air of these compounds can rarely give an acute health reaction, but to monitor the presence is useful to plan some procedures to reclaim area or to interdict the use of vegetables without a careful precaution. To obtain a sufficient quantity of organic micro-pollutants in a short time, high volume sampler must be used.

Discussion

During accidents the most important challenge is to evaluate the extension and the probability of damage. To correlate the concentration of pollutants the comparison with international values for worker (e.g. TLV) exposition is one of the criteria used, however often these concentrations are too high. Indeed between the population involved, there are children, old and sick people; therefore other exposition values could be more useful. The WHO published the concentration of some pollutants which can give a risk, furthermore in accord with REACH regulation in the safety data sheet of some substances there are other limit values for exposition like DNEL or DMEL. A lot of pollutants are released also during the normal industrial and domestic activities. To evaluate the different concentration between normal and accident situations there are useful studies which are produced by environmental authorities and by universities and collecting these studies can be useful to have a complete view on the air quality. An important target is a correct communication and information to public authorities and to population: the language must be clear and without an excess of technical or scientific terms.

Conclusion

Managing a big fire or an industrial accident is not an easy task, a lot of skilled personnels must be involved like environmental experts, engineers, chemists, doctors. An expert team must work together quickly and professionally, to avoid alarmism and to provide a prompt correct information. Chemical measurements and their interpretation are useful not only to manage the accident but also to organize an adequate post emergency safety plan. 104


FORENSIC SCIENCES IN AIR POLLUTION CONTROL

REFERENCES

Directive 2012/18/EU of the European Parliament and of the Council of 4 July 2012 on the control of major-accident hazards involving dangerous substances, amending and subsequently repealing Council Directive 96/82/EC. Determination of Volatile Organic Compounds in Air by GC/MS: Italian Proficiency Tests, G. Formenton A. Bassetto. R. De Lorenzo: Journal of AOAC International Vol. 96, No. 1, 2013. Air Quality Guidelines for Europe Second Edition, WHO Regional Publications, Europea

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Ingegneria forense nel settore antincendio e sicurezza


L’attività del N.I.A. e dei nuclei investigativi antincendi territoriali M. Mazzaro

Primo Dirigente, Nucleo Investigativo Antincendi

L’istituzione dei Nuclei Investigativi Antincendi Territoriali, avvenuta con lettera circolare prot. DCPREV n. 5770 del 14.05.2015, ha posto l’obiettivo di introdurre un nuovo modello organizzativo delle strutture periferiche del C.N.VV.F. nell’ambito delle investigazioni, per dare un maggiore impulso all’attività investigativa. In seguito all’emanazione della suddetta circolare, il Nucleo Investigativo Antincendi in accordo con la Direzione Centrale per la Formazione, ha svolto attualmente n. 13 edizioni del corso di formazione per il personale operativo proveniente dai Comandi Provinciali e dalle Direzioni Regionali VV.F. formando complessivamente circa 400 unità. A tre anni dall’emanazione della suddetta circolare, si ha già evidenza dell’attivazione sul territorio di alcuni nuclei territoriali e in taluni casi di attività investigativa svolta in maniera congiunta tra i N.I.A.T. e il N.I.A. L’avvio di questa attività ha reso necessario l’acquisto di dotazioni quali valigette di repertamento e misurazione oltre che di strumentazione per il rilievo video fotografico per rendere pienamente operativi i costituendi nuclei territoriali. Il nuovo modello organizzativo di cui si è dotato il C.N.VV.F. impone allo stato attuale una ridefinizione delle modalità di attivazione del Nucleo centrale così come disciplinate dalla circolare prot. n. 11662 del 24.10.2008 sulle “Procedure per la richiesta dell’intervento del N.I.A. da parte dei Comandi Provinciali dei Vigili del Fuoco”. A tal fine, nel presente lavoro si illustra l’attività ad oggi svolta per la costituzione dei N.I.A.T., fornendo un modello organizzativo che tenuto conto dei nuovi Nuclei territoriali definisca le competenze e i rapporti in ambito investigativo tra gli Uffici di Polizia Giudiziaria dei Comandi Provinciali, i Nuclei Territoriali ed il Nucleo Investigativo Antincendi Centrali. Il lavoro verrà illustrato alla luce delle esperienze maturate in questi ultimi anni che danno evidenza del crescente numero di casi nei quali il personale dei Nuclei territoriali viene attivato dai Comandi Provinciali e dalle Direzioni Regionali nonché delle conseguenti richieste di collaborazione con il Nucleo centrale ed i laboratori della Direzione Centrale per la Prevenzione e la Sicurezza Tecnica (DCPST). In virtù di questa attività, il presente lavoro si propone di fornire un’idea dei possibili sviluppi futuri sull’attività investigativa svolta dai vigili del fuoco, fornendo spunti di riflessione anche sull’utilizzo dei laboratori centrali della D.C.P.S.T. nell’ambito investigativo a servizio delle strutture periferiche del C.N.VV.F.

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Teoria e applicazione del procedimento investigativo sulle cause d’incendio – Alcuni casi di studio Armando De Rosa

Direzione Centrale per la Prevenzione e la Sicurezza Tecnica - Nucleo Investigativo Antincendi, CNVVF

L’investigazione antincendio è un’attività estremamente complessa per la natura distruttiva dell’evento su cui si indaga che vede gli investigatori operare su scenari caratterizzati da elevati livelli di danneggiamento delle strutture e dei materiali tali da non consentire un’agevole ricostruzione dello stato dei luoghi. A questo si aggiunge la complessità dello studio della dinamica di eventi quali un incendio o esplosione, fenomeni notoriamente condizionati da un elevato numero di variabili. Il lavoro presentato, tratto da un’indagine del Nucleo Investigativo Antincendi, mostra un caso di studio nel quale viene illustrata una metodica d’indagine volta ad analizzare la dinamica di una esplosione avvenuta all’interno di un edificio ad uso civile costituito da più piani. Nell’illustrazione del lavoro si metterà in evidenza come l’uso di modelli di calcolo di fluido-dinamica computazionale (Computational Fluid Dynamics - CFD) possa costituire un efficace strumento nell’investigazione delle cause. Nell’ambito del caso esaminato, l’utilizzo del software FLACS (FLame ACceleration Simulator) quale software CFD per la simulazione di esplosioni, ha consentito la realizzazione di un modello di calcolo rappresentativo dello scenario incidentale ipotizzato alla luce dei dati raccolti nell’ambito delle attività di polizia giudiziaria delegate dall’A.G. La prima fase dell’attività di studio tesa alla ricostruzione dell’evento è stata quella di analisi dello scenario con l’esecuzione di rilievi sullo stato dei luoghi. In questo modo, sono stati raccolti dati geometrici e strutturali degli edifici coinvolti, nonché la descrizione del livello meccanico del danno sulla struttura interessata dalla deflagrazione e su quelle ad essa adiacenti. Nella fase successiva dello studio è stato sviluppato un modello geometrico 3D dell’area e sono stati definiti una serie di scenari di esplosione in termini di dimensioni della nube di gas e posizione della sorgente d’ignizione, al fine di osservare i differenti risultati di calcolo mediante analisi CFD. L’ultima fase di studio, è relativa al confronto dei risultati di calcolo delle varie simulazioni con i dati relativi ai livelli di danneggiamento dello stato dei luoghi. Tale confronto ha consentito di selezionare lo scenario ritenuto più probabile tra quelli simulati, poiché caratterizzato da sovrappressioni di calcolo compatibili con il livello di danneggiamento riscontrato in sito.

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Il presente lavoro mostra come l’uso di strumenti CFD rappresenti una tecnica di modellazione attraverso la quale gli investigatori possono valutare un’ampia gamma di scenari incidentali al fine di interpretare correttamente le cause reali dell’incidente analizzato ricostruendone la dinamica. Tuttavia, il limite di utilizzo di tale metodica è certamente rappresentato dalla capacità degli investigatori di raccogliere informazioni volte ad ottenere una fedele ricostruzione dello stato dei luoghi ex-ante l’evento e post esplosione per l’esatta definizione geometrica della struttura e la valutazione dei livelli di danneggiamento attraverso cui poter stimare le sovrappressioni raggiunte.

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Il Nucleo Investigativo Antincendio del Veneto – Indagini svolte su incendi occorsi in attività produttive in provincia di Treviso Relatori

Roberto Faotto; Michele Michielan; Frediano Brotto

Corpo Nazionale Dei Vigili Del Fuoco – Comando Provinciale Vigili del Fuoco di Treviso – Nucleo Investigativo Territoriale Veneto

Autori

Nicola Micele, Giuseppe Quinto, Francesco Pilo, Roberto Faotto, Daniele Musolino, Michele Michielan, Marco Minozzi, Frediano Brotto, Domenico Bazzacco

Al fine di avviare un potenziamento dell’attività investigativa e di coordinamento, nonché per far fronte alle crescenti richieste di indagine da parte delle Autorità Giudiziarie, la Direzione Centrale per la Prevenzione e la Sicurezza Tecnica del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, con circolare del 14.05.2015 n° 5770, ha istituito il Nucleo Investigativo Antincendio (N.I.A.), ponendo le basi per l’istituzione sul territorio nazionale di strutture organizzative a valenza territoriale: i Nuclei Investigativi Antincendi Territoriali (N.I.A.T.). Con nota n. 0006915 del 19 aprile 2016 la Direzione Interregionale VVF del Veneto e Trentino Alto Adige ha formalizzato la costituzione del Nucleo Investigativo Antincendio Territoriale (N.I.A.T.) Veneto, dipendente dalla stessa Direzione Interregionale Veneto e TAA e operante principalmente nell’ambito della regione Veneto. La sede operativa e di coordinamento è stata istituita presso il Comando provinciale dei Vigili del Fuoco di Treviso. L’intervento del Nucleo Investigativo Antincendio Territoriale è previsto indicativamente per l’indagine nelle seguenti situazioni: incendi (civili e industriali) – esplosioni, scoppi (civili e industriali) – incidenti nel trasporto e utilizzo di merci pericolose – incidenti su impianti industriali. Il NN.I.A.T. interviene a supporto delle indagini condotte dai vari Comandi.

Attività dell’ufficio PG del Comando

Nell’immediatezza dell’evento incidentale il Comando provvede a svolgere le seguenti attività di PG. 1 - Eventuale sequestro - Sommarie informazioni testimoniali - Contatti con la Procura – Primo report fotografico - Raccolta report di intervento.

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Attività del N.I.A.T.

L’attività in capo al N.I.A.T. è la seguente. 2 - Analisi dello stato dei luoghi - Repertazione video fotografica - Campionamenti, prelievi - Analisi di laboratorio (ad es. per ricerca acceleranti di fiamma) - Ricostruzione evento - Ricerca delle cause. Nel periodo fra il 2016, anno di istituzione del Nucleo, e il 2017 il N.I.A.T. Veneto è intervenuto su più di trenta eventi incidentali, nella maggior parte dei casi trattasi di incendi. Di seguito, a titolo esemplificativo sull’attività svolta, vengono presentati due casi che riguardano incendi occorsi in due attività industriali. 1) Squadre del Comando Provinciale VVF di Treviso sono intervenute per un incendio in una cartiera. L’incendio ha coinvolto alcune bobine di carta di grosse dimensioni poste sotto una copertura adiacente al corpo di fabbrica principale. Durante le operazioni di spegnimento è stato necessario lo smassamento delle bobine coinvolte; in questo modo lo stato dei luoghi è risultato radicalmente modificato. L’Autorità Giudiziaria disponeva una delega di indagine ai Vigili del Fuoco; inoltre, in forza della rilevanza e delle criticità connesse all’evento, procedeva alla nomina di un Consulente Tecnico. L’ipotesi più accreditata inizialmente è stata quella dell’origine di natura dolosa dell’incendio. Questi gli elementi a supporto di questa ipotesi, tenendo in considerazione le caratteristiche di combustibilità del materiale coinvolto: • la zona di stoccaggio, posta sul retro del corpo principale di fabbrica e confinante con terreni agricoli, non era controllata • come riferito agli investigatori, nessuno dei dipendenti nelle ore precedenti all’evento si è recato in quell’area. • ai primi dipendenti accorsi al momento della scoperta dell’incendio, questo si è presentato come un muro di fiamme alte fino alla copertura, propagatosi già su quasi tutte le bobine stoccate sotto la tettoia. A fronte di queste prime valutazioni, i Vigili del Fuoco incaricati della delega hanno reputato utile approfondire le dinamiche legate alla filiera produttiva della cartiera, in particolare quelle relative alla fase finale dello stoccaggio del prodotto finito (le bobine). In effetti, durante tali accertamenti, si è avuto modo di individuare, in una delle fasi della filiera produttiva, una specifica operazione che poteva dar luogo, al verificarsi di talune circostanze, ad un possibile innesco. Il PM, valutando sufficiente la fondatezza di questa ipotesi e non essendovi prove tangibili circa la pista dolosa, disponeva l’esecuzione, a cura degli investigatori VVF, di un esperimento giudiziale. 2) Squadre del Comando Provinciale di Treviso intervenivano per un incendio presso un’industria dolciaria. Al momento dell’evento incidentale, la campagna produttiva stagionale non era ancora iniziata, trattandosi in un periodo di messa a punto dei macchinari e sperimentazione di nuovi prodotti dolciari. L’incendio ha comportato la totale distruzione del magazzino di circa 1000 m2, materia prima, imballaggi e prodotto finito. Per poter effettuare il minuto spegnimento, viste la notevole quantità dei materiali detenuti, è stato necessario l’intervento di mezzi meccanici. Questi i primi elementi raccolti: le testimonianze, i dati estrapolati dalla centrale di rivelazione incendi, la tipologia dei sistemi di rivelazione incendio, la tipologia costruttiva del fabbricato, il layout interno del magazzino, la natura dei materiali stoccati. Con l’utilizzo del software Fire Dynamics Simulator FDS associato al software Smokeview è stato verificato e supportato quanto accertato dagli investigatori dei Vigili del fuoco relativamente alla zona

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INGEGNERIA FORENSE NEL SETTORE ANTINCENDIO E SICUREZZA

di origine dell’incendio e sulla sua velocità di propagazione. Nella zona individuata come origine dell’incendio erano state stoccate delle casse in plastica contenente materiale di scarto derivante da prove di produzione dei dolciumi (impasti di farine, zuccheri, aromi e grassi fritti in olio a circa 200°C). È stato pertanto ricostruito un ciclo produttivo di prova, mediante il riempimento di un bins in plastica le cui temperature superficiali ed interne del materiale sono state monitorate nell’arco delle 24 ore. Il monitoraggio è stato effettuato con termocamera ad infrarossi, sonde termiche posizionate a tre altezze, datalogger per la registrazione dei dati. Il materiale di scarto è stato successivamente innescato al fine di testarne empiricamente la velocità di combustione. Gli elementi analizzati e raccolti hanno permesso di stabilire con certezza la zona di origine dell’incendio, mentre la ricostruzione delle prove di produzione hanno evidenziato che all’interno del bins in plastica sopra indicato persisteva un cosiddetto “cuore caldo” dove le temperature iniziali rilevate (circa 80-85°C) si mantenevano nel tempo. Nonostante le temperature rilevate nel “cuore caldo” non fossero sufficientemente elevate per determinare un’autoaccensione spontanea del prodotto, la causa più verosimile è stata ricondotta a processi fermentativi che hanno innescato un fenomeno di autocombustione. Il processo è stato agevolato dalla pezzatura e dall’umidità del prodotto nonché dalle temperature iniziali dello stesso poi mantenute nel tempo.

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Applicazione del procedimento investigativo sulle cause di incendio o esplosione - Due casi di studio Relatore

Marco Minozzi

Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco – Direzione Interregionale Vigili del Fuoco Veneto e Trentino Alto Adige – Nucleo Investigativo Territoriale Veneto

Autori

Nicola Micele; Giuseppe Quinto; Francesco Pilo; Roberto Faotto; Daniele Musolino; Michele Michielan; Marco Minozzi; Frediano Brotto; Domenico Bazzacco Vengono illustrati due casi reali d’incendio/esplosione confinati, per i quali si è utilizzata una precisa struttura metodologica investigativa codificata dal NIA [1] e dalla Facoltà la Sapienza [2]. Questa metodologia veniva già utilizzata anche prima della codifica, come schema logico nelle operazioni di PG, studio e stesura di relazioni peritali, dove la distruzione del sito (confinato o all’aperto) per incendio generalizzato e/o esplosione non permetteva l’utilizzo della semiotica dell’incendio. NFPA® 921

Guide for Fire and Explosion Investigations

ISPEZIONE ESTERNA

ISPEZIONE INTERNA

ATTIVITÀ FUORI DALLA SCENA

REPERTAMENTO RACCOLTA INFORMAZIONI INIZIALI

FASI

1

Informazioni preliminari

Raccolta testimonianze

Collezione eventi

ESAME ESTERNO DELLA SCENA

2

ESAME INTERNO DELLA SCENA

3

COMPUTATIONAL FIRE INVESTIGATION

4

5

Descrizione investigativa

Descrizione investigativa

Disamina

esterna

interna

Documentazione progettuale

Lettura

Lettura

strutturale esterna

strutturale interna

Foto e video esterni

Ricognizione del materiale

significativi

Condizioni ambientali

combustibile presente Analisi semiotica dell’incendio Foto e video interni

Tab. 1 - Modello investigativo

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CONTROLLI DOCUMENTALI

Analisi dettagli esecutivi

Aspetti gestionali

Test di laboratorio

Modellazione dell’azione incendio Analisi strutturale degli effetti dell’incendio Ricostruzione dell’evento

CONCLUSIONI E RAPPORTO


INGEGNERIA FORENSE NEL SETTORE ANTINCENDIO E SICUREZZA

Nella ricerca delle cause incendio/esplosione è fondamentale studiare la possibile evoluzione/influenza dell’evento con l’ambiente dove si è generato e propagato (temperature, potenza termica, pressioni, ecc.). Quindi, la peculiarità degli operanti del nucleo investigativo è quello di approfondire/studiare l’intero spazio temporale dell’evento e dell’intervento delle squadre di soccorso.

CASO A – Incendio/esplosione appartamento, stanza prove audio

1 Raccolta informazioni iniziali La civile abitazione a due piani fuori terra è composta da 4 unità abitative. L’appartamento del XX, l’unico danneggiato dall’evento si distribuisce su due piani. È stato esaminato dal personale NIAT il teatro dell’evento. Agli atti dei Carabinieri e dalle informazioni raccolte per le vie brevi il giorno dell’evento alle ore 19:30÷40 circa ha lasciato l’appartamento per dirigersi al parcheggio pubblico nelle vicinanze della sua abitazione. Ore 20:10 la prima chiamata alla S.O. VV.F. 115 di PD. Visto le dichiarazioni, l’intero evento si è sviluppato in circa 10÷15 minuti. Si evidenzia che il PT dell’appartamento è rimasto presidiato dal proprietario fino alla sua uscita. 2 Esame esterno della scena Dalla disamina esterna della scena si sono riscontrati solamente degli annerimenti nella parte superiore delle aperture lato strada. 3 Esame interno della scena Semiotica dell’incendio e danneggiamenti dovuti all’esplosione. Non sono stati riscontrati possibili acceleranti di fiamma utilizzati per innescare l’incendio. La maggior parte del materiale fonoassorbente presente all’interno della sala prove audio era costituito da poliuretano espanso flessibile di colore nero, il resto (quantitativo minore) era poliestere di colore bianco. 4 Controlli documentali Specifiche tecniche del materiale utilizzato come fono assorbente nella stanza prove audio al piano interrato. 5 Computational fire investigation Si è studiato il comportamento al fuoco del poliuretano (lab. NBCR VE), bruciando sotto la cappa aspirata un piccolo quantitativo di materiale per ricavare dei dati quantitativi sui VOC prodotti dalla combustione. Al fine di trarre le giuste valutazioni si è eseguita una modellazione computazionale CFD per comprovare ed illustrare le ipotesi assunte, al fine di verificare la compatibilità dello scenario d’incendio/esplosione reale con quello ipotizzato. Conclusioni L’incendio all’interno della stanza prove audio si è innescato per conduzione e irraggiamento dal materiale depositatosi nel fondo della canna fumaria dopo l’incendio di fuliggine. La combustione del poliuretano nelle prime fasi dell’incendio ha sviluppato CO. Successivamente, quando l’ambiente tendeva a saturarsi dei prodotti della combustione, la generazione di CO è aumentata velocemente. Il monossido si è accumulato in grandi quantità all’altezza del soffitto della stanza prove audio, questo strato dei prodotti della combustione del poliuretano e del poliestere si è incendiato in una fase controllata dalla ventilazione quando probabilmente si è aperto il foro dell’impianto di condizionamento. È possibile che l’aria fresca entrante dal foro dell’impianto di condizionamento si sia miscelata con i prodotti della combustione. Di conseguenza questa miscela infiammabile ha trovato la fonte di accensione nell’incendio. L’aumento della pressione dall’interno della stanza prove audio verso l’esterno è stata provocata dall’aumento repentino del volume di gas innescato.

CASO B – Incendio/esplosione vendita abbigliamento a Padova

1 Raccolta informazioni iniziali Alle ore 2:45 di giovedì 9 giugno 2016, al Comando Provinciale dei VVF di PD giungeva una richiesta telefonica di intervento per incendio/esplosione in un centro commerciale dove all’interno eserciva l’attività delle “Sorelle Ramonda”. Sono state ricercate le seguenti informazioni: lay-out zona al piano primo; rilievo dei danni; rilievo fotografico della PG durante le fasi di spegnimento e a incendio concluso; tipo di attività svolte nell’edificio, presenza di impianti pericolosi; sostanze/materiali depositati; in Comune gli elaborati planivolumetrici dell’edificio; pratica VV.F.; rapporti statistici VV.F. e

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note alla Procura; materiale sequestrato dai CC. 2 Esame esterno della scena La proprietà è delimitata solamente nel lato a NORD da recinzione in pannelli di cls debolmente armati, mentre negli altri lati è aperta nei fondi altrui. A OVEST gli accessi all’area avvengono tramite due varchi nella recinzione metallica dotati di cancelli scorrevoli, sempre aperti, anche nelle ore notturne. 3 Esame interno della scena Le attività commerciali di vendita si distribuiscono in tutta la superficie del piano terra. La parte OVEST dell’edificio è diviso in due piani. L’attività “Sorelle Ramonda” era separata dall’attività solarium al piano primo da una parete in doppia lastra di cartongesso REI. Nei sopralluoghi, gli operanti hanno rinvenuto i seguenti oggetti/materiali: una bombola di gas vuota da 17 kg (propano); una bombola di gas vuota da 15 kg; una piastra elettrica con interruttore acceso/spento nella posizione massima; una tanica di plastica con foro circolare con forma riconducibile alla piastra rinvenuta; un sigillo per bombola di propano non rovinato meccanicamente per asportazione manuale; ecc. Gli incendi hanno interessato solo due zone del solarium, Il fumo prodottosi ha annerito presumibilmente per diversità di intensità e durata, in modo diverso, le pareti perimetrali dell’attività e l’intradosso del solaio di copertura. Si sono prelevati in sito dei campioni per la ricerca di accelerante di fiamma. 4 Controlli documentali Si è eseguito: disamina documentale progettuale; analisi degli esecutivi e studiato gli aspetti gestionali. 5 Computational fire investigation L’esito dei prelievi in alcuni campioni hanno dato il seguente risultato: “Pattern riconducibile ad una miscela benzina-distillato petrolifero medio pesante (gasolio)”. Si è approcciato l’investigazione con i metodi della Fire Engineering. L’approccio FE ha permesso di valutare quantitativamente la propagazione del propano verificando l’adeguatezza delle ipotesi fornite. Conclusioni L’uso del codice di fluidodinamica computazionale e le formule empiriche hanno consentito di verificare le ipotesi formulate e di capire quali tra queste è stata quella che più corrispondeva in termini di effetti all’evento realmente accaduto. La causa dell’incendio è stata di natura dolosa, provocata da…

BIBLIOGRAFIA [1] COST TU0904 – Integrated Fire Engineering and Response – Fire Brigade Reports and Investigations - , 2013 – Procedures statistics and real fire description. – NIA, Dirigente VV.F. Ing. Notaro Francesco, 2013. [2] Atti del Convegno: Ingegneria Forense, Crolli, Affidabilità strutturale e consolidamento, IF CRASC ’15, Facoltà di Ingegneria Civile e Industriale Sapienza, Roma - Bontempi F., Crosti C., Mangione M, Structural Fire Investigation e Ingegneria Forense, Bontempi F., Augenti N., 2015.

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Incendio in un centro commerciale - dalle prove sperimentali all’analisi computazionale Relatore

Francesco Pilo

Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco – Comando Provinciale Vigili del Fuoco Venezia – Nucleo Investigativo Territoriale Veneto

Autori

Nicola Micele; Giuseppe Quinto; Francesco Pilo; Roberto Faotto; Daniele Musolino; Michele Michielan; Marco Minozzi; Frediano Brotto; Domenico Bazzacco

Sommario

Nel presente lavoro è stata seguita la struttura metodologica investigativa per l’attività di fire investigation. Per esplicitare le fasi e le operazioni annesse sono state analizzate le attività investigative effettuate per la ricerca delle cause d’incendio in un edificio all’interno di un parco commerciale. 1. Raccolta informazioni iniziali La prima fase inizia con l’identificazione dei principali parametri geometrici che compongono la scena. Il centro commerciale si colloca all’interno di un parco urbano di circa 60.000 m2 in provincia di TV. All’interno dell’edificio interessato dall’evento si trovavano due attività commerciali a NORD fai da te/arredamento casa/giardino e a SUD elettronica/informatica/telefonia. La struttura prefabbricata dell’edificio era costituita da pilastri in cemento armato con alloggiamento a forcella per le travi lamellari di copertura. Quest’ultime con dimensioni 240 x 1370 mm, aventi sviluppo a raggiera in tredici campate direzione NORD-SUD. Il manto di copertura era costituito dal basso verso l’alto da: lamiera grecata aventi le nervature perpendicolari alle travi lamellari principali, pannelli in polistirene e doppia guaina bituminosa. 1.1 Informazioni preliminari Si sono reperiti gli elaborati planivolumetrici e temporali dell’impianto antintrusione perché l’unico allacciato a una centralina di registrazione remotizzata. L’impianto di rivelazione fumo non era remotizzato, la sua progettazione era finalizzata solamente all’evacuazione del personale e degli avventori nelle ore di apertura dei negozi. 1.2 Raccolta informazioni testimoniali Dalle iniziali testimonianze è stato accertato che i primi prodotti della combustione si sono visti fuoriuscire dalla copertura sul retro negozio a SUD, presumibilmente dal locale adibito a magazzino. 1.3 Condizioni ambientali La ventilazione in un incendio di copertura condiziona nelle prime fasi tutta la dinamica dell’evento, mentre nelle fasi successive le sovrappressioni e i moti turbolenti che creano i prodotti della combustione non sono più influenzabili dalle basse velocità dei venti. Quindi, si sono raccolti i dati meteorologici convalidati dall’ARPAV (stazione di Ponte

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di Piave): velocità media del vento 1.2 ms-1; direzione vento N. 2. Esame esterno della scena Si sono reperiti tutti i filmati video presenti nel web e le fotografie riportate nei quotidiani di cronaca cittadina fatti prima, durante e dopo le fasi di spegnimento. Nei sopralluoghi si sono documentate le condizioni architettoniche del fabbricato da tutti gli angoli, per comprovare gli effetti dell’incendio su tutti i prospetti. 3. Esame interno della scena L’attività lavorativa a quell’ora era chiusa al pubblico. Il carico d’incendio presumibilmente presente all’interno dell’attività a SUD, materiale plastico, cartaceo di confezionamento era compatibile con l’energia sprigionatasi durante l’incendio. Sospettando l’uso di accelerante di fiamma, per l’intensità e lo sviluppo veloce dell’incendio è stato necessario, al tempo, prelevare dei campioni dall’area coinvolta nell’incendio da sottoporre alle analisi del laboratorio NBCR VV.F. VE. 4. Controlli documentali Si è effettuato il controllo documentale ed impiantistico ante incendio, nonché la gestione delle manutenzioni. Da tali controlli è stato studiato l’impianto di: evacuazione fumo/calore; rilevazione fumo; riscaldamento; illuminazione e i dettagli costruttivi delle compartimentazioni. 4.1 Disamina documentazione progettuale Sono state esaminate le documentazioni presenti in: Ufficio Statistica VV.F.; Ufficio PI VV.F.; Comune; Ufficio tecnico ditta costruttrice. 4.2 Analisi dettagli esecutivi Il pacchetto del manto di copertura installato ha avuto un ruolo determinante nella dinamica dell’incendio. La copertura era continua in tutto il corpo di fabbrica. 4.3 Riferimenti normativi PI Lo studio ha approfondito la resistenza al fuoco della compartimentazione tra le due attività e la progettazione/esecuzione degli evacuatori fumo/calore. 4.4 Materiali utilizzati per la copertura Si sono analizzati gli aspetti di reazione al fuoco del manto di copertura. 5 Computational fire investigation Al fine di trarre le giuste valutazioni sono state eseguite due modellazioni CFD per comprovare ed illustrare rigorosamente le ipotesi assunte. È stato ipotizzato l’innesco di un materiale in due zone planivolumetricamente diverse del negozio a SUD, entrambe compatibili con le determinate condizioni al contorno: A. sopra al soppalco magazzino; B. retro negozio. 5.1 Test di laboratorio Per valutare la dinamica e la partecipazione del pacchetto di copertura all’incendio è stato di fondamentale importanza poter ricostruire la configurazione iniziale dello stato dei luoghi sopra al soppalco, all’interno del magazzino a SUD. L’incendio sperimentale si è svolto presso il laboratorio del NIA (Roma). Le analisi preliminari hanno permesso di raccogliere le informazioni necessarie ad individuare i componenti caratteristici della geometria dell’edificio, oltre alla collocazio-

Confronto immagine reale con quella simulata (frecce: p.ti di riferimento)

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INGEGNERIA FORENSE NEL SETTORE ANTINCENDIO E SICUREZZA

ne e alla disposizione delle varie merci. 5.2 Risultati simulazione CFD Si è rappresentato l’evoluzione dell’incendio con una successione di immagini, perché la variabile tempo in questo studio/evento era conosciuta; sono trascorsi 33 minuti da luogo presidiato al riconoscimento dell’incendio (fuoriuscita delle fiamme dalla copertura). 5.3 Risultati scenario A Prodotti della combustione, evoluzione temporale delle temperature dell’aria in vari piani 5.4 Risultati scenario B Prodotti della combustione e temperature. 5.5 Confronto fra simulazione ed evidenze del caso reale Confrontando la figura della simulazione (a dx) con l’immagine del video (a sx), si è avuta conferma che l’incendio si è innescato e sviluppato nel soppalco del magazzino a SUD. L’evoluzione dell’incendio reale è stato ben approssimato dal programma di fluidodinamica, verificando le ipotesi fatte preliminarmente con la documentazione fotografica acquisita nelle indagini. Conclusioni Sono state studiate due simulazioni di incendio, con innesco nella zona SUD del negozio. Lo studio condotto ha avuto lo scopo di: a) determinare il più probabile scenario; b) determinare le temperature per confrontarle con i danni strutturali dell’edificio e avere un riscontro con il reale incendio. La simulazione A ha confermato, per i tempi di sviluppo noti, le strutture portanti, il materiale utilizzato per il manto di copertura, il test sperimentale presso il laboratorio del NIA e per le compartimentazioni antincendio realizzate, che l’incendio, si è sviluppato all’interno del magazzino sopra al soppalco. Lo scenario ipotizzato ha anche permesso di: confrontare i tempi dell’evoluzione temporale delle registrazioni impianto antintrusione; confermare la zona di innesco; verificare che un eventuale incendio innescatosi nel retro negozio (simulazione B) non sarebbe stato congruente con le evidenze riscontrate a seguito dell’evento.

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Company Session

Fire investigation: dagli accertamenti sull’incendio alle analisi chimiche


Nuovi orizzonti della prevenzione incendi ai fini della determinazione delle cause d’incendio Leonardo Corbo

Corbo Rosso Corporation, già direttore Servizi Antincendio Protezione Civile

Il verificarsi di un incendio può dipendere da una combinazione di più fattori quali: tipo e quantità dei materiali combustibili coinvolti, sorgenti di ignizione, modalità di propagazione del fuoco, mancanza di adeguate misure di prevenzione, atti od omissioni di persone che hanno consentito che questi fattori si concatenassero tra loro. Un’accurata analisi tecnico investigativa dell’evento condotta da specialisti della materia, con metodi e strumenti professionalmente ineccepibili, oltre a consentire una fedele ricostruzione della dinamica del sinistro, porterebbe anche all’identificazione di importanti elementi indicatori utili a stabilirne la causa e le eventuali responsabilità. Ho esaminato oltre 100.000 atti afferenti incendi avvenuti in Italia dal 1994 al 2015, potendo così accertare che gli incendi dolosi in Italia sono molto più di quelli indicati nelle statistiche disponibili realizzate dai vari Enti competenti. Secondo le statistiche dei Vigili del Fuoco circa il 70 % degli incendi è di origine non accertata. La situazione in Italia del fenomeno dei danni dolosi non è molto chiara e pertanto sarebbero auspicabili un maggior sforzo tecnico-scientifico-legale e una maggiore collaborazione di autorità statali e compagnie di assicurazione per approfondire gli accertamenti che permettano di individuare l’effettiva causa di un incendio. Occorre pertanto identificare un percorso formativo minimo comune per procedere con sufficienti garanzie di uniformità di approccio.

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Campionamenti, analisi chimiche e interpretazione dei risultati Alberto Sturaro

CNR – IDPA di Padova

Tra gli accertamenti da compiere per comprendere se un incendio possa essere doloso o meno, vi sono le analisi chimiche dei campioni prelevati nel luogo del sinistro. L’analisi chimica ci consente di dare risposta a due domande: è stato usato un accelerante? Quale? Siamo in grado, infatti, di rilevare tracce infinitesimali di moltissime sostanze usate per innescare incendi. La fase di prelievo dei campioni è, dunque, un’operazione fondamentale per il buon esito dell’attività chimico-analitica. È pertanto necessario arrivare attrezzati sul luogo dell’incendio. Anche i contenitori nei quali si conservano i campioni devono avere caratteristiche tali da non contaminare i residui di incendio. Per ciascuna indagine si impiega una quantità di materiale che varia da 5 a 50 g, in base al peso specifico del materiale raccolto. Pertanto, quantità dell’ordine di decine di grammi fino a 500 g possono considerarsi adeguate e rappresentative. L’attenzione va posta a qualsiasi cosa risulti estranea al luogo o abbia un aspetto oleoso oppure abbia un odore di prodotto petrolifero o che individui una macchia anomala su una superficie ricercandola in zone ove la combustione non sia stata completa o impedita, essenzialmente per mancanza di comburente. Per l’analisi viene utilizzato il metodo SPME-GC-MS per l’analisi degli acceleranti e composti volatili. Tale metodologia presenta alcuni indubbi vantaggi: nessuna manipolazione del campione solido indipendentemente dall’umidità che non interferisce con l’azione della fibra, eliminazione di interferenze e/o contaminazioni dovute all’uso di solventi di estrazione, arricchimento a seguito di selezione chimica delle specie di interesse estratte dal campione, notevole riduzione dell’interferenza dovuta alla matrice e a composti con differenti proprietà chimiche, nessuna limitazione sulla quantità di campione da esporre alla fibra, costo estremamente ridotto dell’accessorio per l’estrazione in condizioni SPME.

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Le indagini, gli aspetti multidisciplinari e le problematiche connesse Alfio Pini

Corbo Rosso Corporation

L’obiettivo primario della Fire Investigation è quello di determinare la causa di un incendio: accidentale? Colposa? Dolosa? Per raggiungere tale scopo è necessario un approccio multidisciplinare, sistematico, con una particolare ai dettagli e alle eventuali incongruenze. Le fasi di lavoro comprendono accertamenti sul posto, mediante lo studio e il rilievo dei luoghi, lo studio della semiotica dell’incendio e la raccolta e analisi di resoconti testimoniali e documentazione reperita dai media. Discendono dunque valutazioni tecnico scientifiche supportate dalla modellazione dell’incendio e dalle analisi di laboratorio dei campioni prelevati e relativa interpretazione dei risultati. Sono numerosi i quesiti da porsi approcciandosi ad un luogo in cui si è verificato un incendio, ad esempio se la zona di origine è identificabile, se era presente un potenziale innesco, ecc., così come sono molti gli elementi da considerare e valutare come la presenza o meno di segni d’effrazione, analisi degli effetti e dei danni, ecc. L’incendio, infatti, si sviluppa secondo le leggi della fisica e della chimica, e pertanto lascia tracce che possono essere rilevate, interpretate e valutate. Per compiere tali attività sarebbe fondamentale intervenire il prima possibile per evitare di perdere informazioni utili a ricostruire l’evento. Non sempre ciò è possibile, in particolare in relazione all’intervento delle Autorità competenti – VV.F. e Pubblico Ministero che hanno l’esigenza di tutelare la sicurezza e di individuare l’eventuale responsabile del dolo. Vi è quindi la necessità di reperire la documentazione dal Comando dei Vigili del Fuoco e di avere l’autorizzazione da parte del P.M. di poter accedere ai luoghi. Attività, queste, non sempre espletabili in tempi brevi.

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Possibili procedure di accertamento in fase di sequestro di beni. Azione dolosa – procedimento penale Leonardo Marini

Avvocato, consulente Corbo Rosso Corporation

Nell’ambito della gestione dei danni, in sinistro incendio costituisce una delle tipologie di maggior complessità, e conseguente difficoltà, causata da un insieme di fattori connessi agli esiti materiali dell’evento e alle conseguenze incidentali che ne derivano, sia sul piano della gestione contrattuale, sia sul piano della dimensione giudiziaria in cui la situazione si proietta con frequenza. Nei sinistri incendio, l’impegno economico a cui una Compagnia Assicurativa si espone può elevarsi a valori che possono ripercuotersi in modo significativo nel corso di più esercizi. Tenendo in considerazione che questo tipo di sinistri rappresenta uno dei maggiori veicoli di frode assicurativa, la Compagnia ha dunque tutto l’interesse di accertarne in tempi brevi la causa. In questo scenario l’Autorità Giudiziaria, consapevole che diverse figure possono fare ricorso all’incendio doloso, nella persona del Pubblico Ministero, avrà la necessità di inibire l’accesso al sito interessato dal rogo per poter preservare eventuali elementi di prova e valutare le cause che lo hanno determinato. Questo attraverso l’istituto del Sequestro Probatorio. In questa condizione l’accesso al bene è consentito solo a determinati soggetti che operano ai fini d’indagine. Ne consegue che la Compagnia Assicurativa non è autorizzata ad accedere al sito per poter svolgere i rilievi peritali contrattualmente pattuiti. Sorge, così, la necessita specifica di ottenere l’autorizzazione ad accedere ai luoghi. Per ottenerla la Compagnia o lo studio peritale incaricato, per tramite di un avvocato, possono rivolgere un’istanza specifica al Pubblico Ministero titolare dell’indagine chiedendo di essere autorizzati all’accesso ai luoghi oggetto di sequestro. Nella pratica quotidiana si è riscontrata l’accondiscendenza dell’Autorità Giudiziaria nel concedere questo tipo di autorizzazioni, che però non sono immuni da condizioni e limitazioni in termini di individuazione delle persone quali aventi diritto all’accesso autorizzato, tempi e modi di svolgimento delle attività peritali. Riteniamo, dunque, che la collaborazione con le Autorità sia fondamentale. L’interesse della Compagnia, infatti, è quello di indagare in tempi brevi la causa dell’incendio e non cercare elementi che permettano di risalire all’identità degli autori nell’ipotesi di sinistro doloso.

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TVF2018 I TREVISOFORENSIC

Il fattore tempo risulta determinante in relazione alla gestione del sinistro in quanto un sopralluogo compiuto nell’immediatezza delle operazioni di spegnimento dell’incendio consente il riscontro di elementi che, invece, dopo mesi di sequestro, possono essere stati alterati, con riferimento in particolare all’eventuale presenza di sostanze acceleranti la combustione quando i luoghi restano esposti agli eventi atmosferici. La necessità di procedere celermente agli accertamenti è rappresentata anche dall’apporto dei Vigili del Fuoco che si limitano a relazione in ordine alle possibili cause non procedendo, tuttavia, al campionamento di reperti e alle relative analisi di laboratorio. In questo scenario caratterizzato da norme di diritto penale, di procedura penale, di contrattualistica assicurativa e di prassi, si mette in evidenza la necessaria figura dell’avvocato che, in coordinamento con le altre figure specialistiche interessate, si adopera per il conseguimento degli obiettivi.

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Qualità delle azioni di restauro in ambito forense: criteri di valutazione


Il progetto di restauro e la tracciabilità delle scelte C. Feiffer

Docente Università di Roma Tre

Il CTU è la figura che costituisce gli “occhi tecnici del giudice” che sentenzia in base al tipo, caratteristiche e considerazioni che questi emette nelle sue perizie. Egli, dunque, deve sapere cos’è il restauro degli edifici storici, quali sono i concetti teorici di base, come si sviluppa la conoscenza preliminare dell’edificio e quindi come si articola ed estende il progetto di restauro.

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Il progetto di consolidamento strutturale: limiti e modi L. Jurina

Docente Politecnico di Milano

Attraverso due casi esemplificativi, riguardanti il centro storico di Rovigo e un edificio residenziale in costruzione, si intende mettere in luce le differenti dinamiche che regolano un contenzioso e le modalitĂ risolutive ottenibili attraverso una mediazione tra le parti, che contempla invece un dialogo tecnico con tempi rapidi.

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Patrimonio archeologico tra crolli, manutenzioni e progetti Il grande progetto Pompei Annamaria Mauro; Maria Previti Parco Archeologico di Pompei

L’emergenza Pompei come occasione per una riflessione e un’analisi sulle metodologie di intervento su un patrimonio archeologico estremamente fragile, testimonianza di una cultura materiale la cui conservazione richiede una particolare sensibilità e formazione culturale. La necessità di superare l’emergenza nella quale versava il Parco Archeologico nel 2012 e di fornire una risposta concreta in termini sia di conservazione che di fruizione all’eco negativa del crollo della Schola Armaturarum, hanno ispirato la logica del Grande Progetto Pompei: un piano generale di interventi in grado di migliorare il livello globale di sicurezza strutturale, la fruibilità e la valorizzazione della città antica. L’esperienza del Grande Progetto Pompei, dalla messa in sicurezza del sito al restauro di singole domus, dall’irreggimentazione delle acque superficiali dei pianori alla messa in sicurezza dei fronti di scavo, dall’accessibilità alla fruizione integrata, dalla manutenzione programmata alla valorizzazione del parco. L’esigenza di una corretta diagnosi e terapia dei dissesti - spesso contrastante con le esigenze di rapidità ed economicità dettate dall’emergenza – ha posto in evidenza anche il problema di conciliare sicurezza e conservazione, con importanti implicazioni nella progettazione ed esecuzione dell’opera nel rispetto delle norme vigenti. I beni archeologici, ancora di più dei manufatti architettonici, presentano delle difficoltà oggettive nelle verifiche dei requisiti di sicurezza per il rischio sismico.

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Processo diagnostico, cura, prevenzione Paolo Gasparoli

Politecnico di Milano, Dipartimento di Architettura, Ingegneria delle Costruzioni e Ambiente Costruito

Il degrado e l’architettura storica

Come tutte le cose, anche gli edifici invecchiano. I sintomi dell’invecchiamento si manifestano con alterazioni e degradazioni progressive dei materiali costitutivi che dipendono dalle interazioni con l’aggressività ambientale o dall’attività antropica connessa agli usi. Il concetto di degrado e i criteri interpretativi degli eventi connessi al suo formarsi e al suo progredire non presentano, nell’ambito dei Beni Culturali, sostanziali differenze rispetto a quelli dell’edilizia recente. Il degrado è dunque un evento atteso, che può essere interpretato come la risposta dei materiali e dei componenti di un edificio alle azioni degli agenti atmosferici e all’aggressione antropica connessa agli usi. Si ha degrado naturale quando esso si manifesta in tempi corrispondenti al tempo di vita congruente e atteso dalla soluzione tecnica. Si ha degrado patologico quando si verificano situazioni di perturbazione, in genere provocate da errori di progetto o di processo, che accelerano i fenomeni del degrado naturale provocando eventi degenerativi in tempi anche molto anticipati rispetto alle normali dinamiche dell’invecchiamento naturale (“tempo di vita” o “ciclo di vita”). Ciò può dirsi analogamente per gli interventi di manutenzione o restauro: quando si verificassero fenomeni di rapido invecchiamento di interventi manutentivi da poco eseguiti significa, probabilmente, che sono stati compiuti errori in fase progettuale o esecutiva, oppure che la fase diagnostica non è stata eseguita nel modo corretto e completo. Nello specifico dei Beni Culturali si può aggiungere che il degrado, in quanto fisiologico in un edificio già vecchio, non è da intendersi prioritariamente in senso negativo, non sempre richiede interventi di tipo correttivo e in ogni caso si deve avere la consapevolezza che esso non sarà mai del tutto eliminabile. Secondariamente i “segni” del passaggio del tempo, che si rendono evidenti con rugosità e patine, andrebbero conservati piuttosto che eliminati, in quanto conferiscono all’oggetto il valore di antichità e i caratteri di autenticità che lo rendono unico e irripetibile L’intervento di restauro (o di conservazione) sarà quindi diretto a gestire una condizione di “cronicità” del degrado attraverso “cure” (attività di manutenzione a bassa intensità) che saranno tanto più efficaci quanto più eseguite in modo continuo e costante. Il tema dell’intervento di “cura” su un edificio antico presuppone, quindi, azioni di “amministrazione” di condizioni croniche di sofferenza (degradi) che appaiono realisticamente ineliminabili del tutto. In questi casi il “prendersi cura” dell’edificio non può significare, in-

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fatti, il perseguimento di impossibili obiettivi di definitiva “guarigione”, date le permanenti condizioni di invecchiamento, ma azioni di “assistenza” che rendano più lento l’inevitabile declino.

La patologia edilizia

Chiarito il significato del degrado sugli edifici storici e le modalità di intervento, che saranno di tipo sostitutivo solo se davvero inevitabili, si deve prendere atto, come accennato, che non sono infrequenti condizioni patologiche anche in interventi sull’edilizia storica. La patologia edilizia, studia i fattori di disturbo e i meccanismi che portano, in tempi ravvicinati, a degradi o guasti connessi ad alterazioni di tipo fisico che possono scardinare le logiche dell’invecchiamento naturale. I processi degenerativi di invecchiamento patologico di materiali e componenti possono dipendere: - dalle cause che li hanno determinati; - dai loro meccanismi di azione; - dalle alterazioni evidenti o nascoste che provocano. La conoscenza dell’insieme dei fenomeni che hanno portato al decadimento inatteso di materiali e componenti, o di interventi manutentivi che si sono rivelati poco durevoli, consente di risalire al difetto generatore, alle cause ed errori di processo, alla messa a punto di più idonei interventi di manutenzione. L’affidabilità di una soluzione tecnica, attivata sia in fase di costruzione che di manutenzione, può essere disattesa: - da una errata scelta di materiali; - da disfunzioni interne al sistema o all’elemento tecnico non correttamente risolte in fase di progettazione, in fase di costruzione o di manutenzione; - da sollecitazioni meccaniche derivate da mobilità di tipo termico, igrometrico, in fase di presa dei materiali; - da sollecitazioni meccaniche derivate dall’umidità (pioggia battente, tensione di vapore); cambiamenti di stato con variazioni di volume (gelo, evaporazione); fenomeni chimici o elettrochimici (efflorescenze, ossidazioni, incompatibilità di tipo chimico), ecc.; - da azioni di tipo biologico (muffe, infestanti vegetali, insetti); - da perturbazioni del degrado naturale conseguenti a difetti di materiali o dovute a localizzazioni errate di materiali o strati rispetto a determinati agenti di degrado. Quando i decadimenti fisici o prestazionali e gli eventi di degrado si sviluppano in termini temporali inattesi, ed in genere molto ravvicinati rispetto al tempo di vita utile specifico della soluzione tecnica allo studio, si ha invecchiamento patologico. L’accelerazione dei processi di invecchiamento, in questi casi, è sempre dovuta alla presenza, nella soluzione tecnica, di difetti o di altri fattori di disturbo come: - errori di progetto e/o di costruzione; - errori d’uso o gestione; - mancata o errata manutenzione (in grado di innescare, anche in elementi o strati contigui, quadri morbosi di natura patologica).

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QUALITÀ DELLE AZIONI DI RESTAURO IN AMBITO FORENSE: CRITERI DI VALUTAZIONE

L’esito del processo diagnostico consente di definire, anche sul piano pratico e normativo: - Cosa ha determinato il guasto (analisi di tipo tecnico); - Chi ha causato il difetto e quindi il guasto (analisi di responsabilità); - Come si è determinato il guasto (analisi di processo).

La manutenzione preventiva

In un contesto necessariamente multidisciplinare e multidimensionale, la manutenzione, dunque, si configura come disciplina caratterizzata da un doppio compito: da una parte quello analitico, finalizzato a definire quadri diagnostici descrittivi dello stato di funzionamento o delle condizioni di degrado o di rischio; dall’altra quello progettuale, il cui obiettivo è quello di definire le strategie attuative e individuare, in termini tecnici ed esecutivi, le specifiche azioni da compiere per contenere le azioni degli agenti del degrado e controllare le situazioni di rischio, il tutto in una visione sistemica dei problemi. Il paradigma della manutenzione come sistema presuppone il paradigma della manutenzione come programma che si attua attraverso lo strumento del piano di manutenzione. Nelle logiche della manutenzione preventiva, assumono rilevanza strategica le attività ispettive e di monitoraggio che hanno lo scopo di individuare tempestivamente i sintomi e le cause del degrado per prevenire il danno. Tali procedure trovano attuazione attraverso ispezioni cicliche con monitoraggi e buone pratiche di gestione.

BIBLIOGRAFIA

Le superfici esterne degli edifici. Degradi, criteri di progetto, tecniche di manutenzione, Paolo Gasparoli, Alinea, Firenze, 2002. Manutenzione e Recupero. Criteri, metodi e strategie per l’intervento sul costruito, Paolo Gasparoli, Cinzia Talamo, Alinea, Firenze, 2006. La Manutenzione Programmata dei Beni Culturali edificati. Procedimenti scientifici per lo sviluppo di Piani e Programmi di Manutenzione. Caso studio su architetture di interesse archeologico a Roma e Pompei, Roberto Cecchi, Paolo Gasparoli, Alinea, Firenze, 2011.

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Non solo strutture, ma anche superfici e finiture Nicola Berlucchi1 Studio Berlucchi Srl

Il restauro delle superfici rappresenta un aspetto del restauro molto articolato e vario, forse quello più suscettibile ai diversi approcci metodologici che caratterizzano la disciplina del restauro, che vanno dalla “pura conservazione” al “rifacimento delle superfici”. È evidente come, a seconda del tipo di approccio seguito, una superficie irregolare, caratterizzata da ampie zone disomogenee, da lacune e da materiali differenti, possa essere considerata incompleta oppure realizzata a regola d’arte. È perciò fondamentale ampliare la cultura dei committenti affinché sia condiviso il rispetto per gli intonaci ed i materiali originali, a dispetto dei rifacimenti con materiali compatibili ma di recente realizzazione. Un intonaco a marmorino cinquecentesco, microfessurato e con lacune e superfici erose, non sarà mai confrontabile con un intonaco a marmorino di nuova realizzazione, pur nel rispetto delle tecniche di realizzazione tradizionali, ma avrà certamente molto più fascino e significato storico! Come possiamo in occasione di una contestazione, e di una conseguente CTU, stabilire un approccio unitario e univoco in casi simili? Non c’è un metodo chiaro e prestabilito, ma potremmo provare a stabilire dei principi da cui partire: - Risulta fondamentale analizzare e verificare la presenza di un corretto progetto di restauro (presenza di relazione metodologica, analisi e saggi preliminari, documentazione grafica e fotografica interpretata, attenta descrizione delle lavorazioni… ); - Analizzare le autorizzazioni e le prescrizioni della Soprintendenza competente; - Analizzare la documentazione di cantiere con relazione tecnica (consuntivo scientifico) a cura dei restauratori responsabili dei lavori. La presenza del suddetto materiale fornirà la corretta base di partenza per ogni valutazione di merito e darà una corretta idea del grado di attenzione dedicato al manufatto oggetto di contenzioso.

1) Dipl. Specialista Restauro Monumenti, Docente Scuola Specializzazione in Restauro - Univ. La Sapienza Restauratore BBCC, CERT’ing in Restauro strutturale, RIBA Specialist Conservation Architect

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QUALITÀ DELLE AZIONI DI RESTAURO IN AMBITO FORENSE: CRITERI DI VALUTAZIONE

Ricordo che il progetto di restauro è perfettamente descritto dalle normative relative ai lavori pubblici *e che tali descrizioni dettagliate dei documenti necessari e del loro contenuto minimo sono molto utili anche nel caso di lavori privati soggetti ad autorizzazione da parte delle Soprintendenze. Dalla lettura dei suddetti testi emerge come ogni fase di progettazione sia perfettamente descritta e come il progettista debba necessariamente passare da una fase di conoscenza preliminare (rilievo, indagini, sopralluoghi, saggi, prove etc.) prima di giungere alla fase progettuale, che dovrà comunque garantire la conservazione del manufatto, dei materiali originali e di tutto ciò la cui rimozione o demolizione non sia espressamente approvata dalla Soprintendenza stessa. In quali aspetti è più probabile che possano sorgere dei contenziosi? 1. In fase di redazione del progetto per mancata approvazione dello stesso da parte della Soprintendenza 2. In fase di esecuzione dei lavori per difformità dei lavori eseguiti rispetto a quelli autorizzati 3. Alla conclusione dei lavori per mancato rispetto del budget iniziale di contratto (aumento di spesa) o per risultati estetici non apprezzati 4. Successivamente alla conclusione dei lavori per presunti difetti di realizzazione. Il caso 1 è purtroppo molto frequente: i committenti non riescono a capacitarsi che l’ottenimento di autorizzazioni su edifici vincolati possa essere così lungo e tendono ad attribuire le colpe all’incapacità dei progettisti, senza comprendere che l’attuale apparato normativo rende talmente complesso l’iter da richiedere almeno 1 anno per l’ottenimento di un permesso di costruire ed almeno 4/5 mesi per ogni perizia di variante, anche se a cantiere in corso e con i conseguenti rallentamenti dei lavori. Il caso 2; spesso, a causa delle lentezza delle autorizzazioni, si tende a rimandare ad una perizia di variante finale l’autorizzazione delle inevitabili varianti in corso d’opera che emergono da sorprese, ritrovamenti o modifiche progettuali. Il rischio di tale modo di procedere è quello di far realizzare alle imprese lavori non ancora approvati, andando contro la legge ed esponendo anche il committente a gravi rischi di denuncia. Purtroppo la realtà è che ogni variazione in corso di cantiere non ha tempi compatibili con le tempistiche previste dalle norme (si pensi ad una variazione di lavori su facciate monumentali con passaggio prima in Soprintendenza poi alla commissione del Paesaggio e successivo nuovo passaggio in Soprintendenza per il silenzio assenso, il tutto con ponteggi montati e impresa al lavoro!). In questi due primi casi il CTU dovrebbe probabilmente tenere conto della situazione di impossibilità effettiva a rispettare alla lettera le norme, pur valutando la responsabilità del progettista per eventuali scelte di lavorazioni che abbiano comportato danni per il manufatto o problemi reali per la committenza. Il caso 3 di mancato rispetto del budget e/o dei tempi di contratto è probabilmente il più frequente ed anche quello che rappresenta la quasi totalità dei contenziosi, in quanto riguardante gli aspetti economici. Il progettista dovrebbe aver ben presente il suo obbligo deontologico e professionale di rispettare il budget fissatogli dal committente e per tale ragione dovrebbe progettare riducendo al minimo qualsiasi rischio di variante in aumento. Ma per ridurre al minimo le varianti bisogna progettare bene e soprattutto conoscere profondamente il manufatto, le sue patologie e le soluzioni da adottare. Bisogna dedicare

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tempo e studio, e questo non capita spesso, soprattutto quando i progettisti propongono sconti delle proprie parcelle del 50 o 60%! Nel restauro l’errore progettuale è dietro l’angolo, ed oramai la normativa ha ridotto al minimo le motivazioni per varianti effettive e giustificate, attribuibili ai soli eventi imprevisti ed imprevedibili. Eventi che non possono essere considerati imprevedibili se potevano essere prevenuti con indagini diagnostiche, saggi stratigrafici, ricerche di archivio, saggi di scavo, carotaggi, in poche parole con studi preliminari completi. Infine i contenziosi per cattiva esecuzione o difetti occulti, il punto 4. In questo caso non vi è un metodo standard se non quello di ricostruire le tecniche ed i materiali utilizzati per i lavori di restauro e capire, con l’aiuto di un consulente restauratore, se siano stati commessi errori di posa, di miscelazione o errori di valutazione progettuale, quali ad esempio una sottostima dei problemi di risalita capillare, una cattiva protezione dalle acque meteoriche, un mancato isolamento etc. Si dovrà andare caso per caso, valutando anche il budget iniziale fornito dal committente, il grado di informazione dato allo stesso dal progettista e quello di condivisione delle scelte portate avanti. Purtroppo, soprattutto nel caso di incarichi privati, i progettisti hanno ancora il timore di scrivere ai committenti, di redigere verbali delle riunioni e, in tal modo, di cautelarsi da future contestazioni che spesso, più che da errori reali, sono motivate dal tentativo di risparmio economico. Speriamo che iniziative come questo interessante seminario possano contribuire ad invertire questa cattiva abitudine di una categoria che sta purtroppo diventando sempre più debole nei confronti dei committenti e forse anche della società in cui operiamo. Normative di riferimento per la descrizione dei minimi contenuti progettuali: - Codice dei contratti D.Lgs.18 aprile 2016, n. 50; - D.M. 22 agosto 2017, n. 154 - e soprattutto D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207

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Edifici storici: la CTU non è un collaudo P. Pettinelli

Avvocato, libero professionista

La controversia relativa all’esecuzione a regola d’arte degli interventi di restauro è molto diffusa e ricorrente, atteso che di sovente il risultato degli interventi non incontra il gradimento finale del committente o soprattutto la conservazione e la durata dei lavori non è quella prevista o comunque quella auspicata. La controversia non può che prevedere l’affidamento da parte del giudice di una consulenza tecnica di ufficio che spesso viene assunta alla base della decisione del giudice senza un particolare approccio critico, da parte del magistrato, colché la perizia diventa decisiva ai fini della decisione della causa.

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Contenzioso sul progetto di un edificio monumentale M. Bianchi

Consulente Heres

L’intervento prevede la presentazione di un caso concreto di ATP su edificio privato di interesse storico. Verranno presentate le varie fasi del procedimento cha ha visto il coinvolgimento di diversi esperti, dal restauratore alla storica dell’arte per le superfici decorate; gli avvicendamenti legali assistiti da professionisti in materia di restauro, fino alle conclusioni del CTU che, vista la materia, si è a sua volta avvalso dell’ausilio di un restauratore qualificato.

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Il ruolo della diagnostica strutturale nell’ingegneria forense Filippo Casarin

Ingegnere, Expin Srl

La possibilità di definire dei procedimenti logici di causa ed effetto, necessari nell’ambito dell’ingegneria forense alla oggettivizzazione degli eventi, è grandemente aiutata dall’aspetto empirico dell’approccio sperimentale, proprio dell’ambito della diagnostica strutturale. La presentazione, non focalizzandosi specificamente su particolari aspetti giudiziari, evidenzierà le possibilità ed i limiti delle differenti metodologie diagnostiche nel definire degli aspetti propri dei fenomeni meccanici, degli elementi e dei materiali strutturali, in relazione ai diversi aspetti cercati. In particolare, si affronteranno temi quali il monitoraggio strutturale, gli aspetti vibrazionali, metodi diagnostici invasivi e non invasivi volti alla determinazione del corretto funzionamento o degli aspetti di malfunzionamento strutturale di elementi strutturali, manufatti ed edifici.

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Urbanistica Forense


C.T.U. e processo: imperfezioni, errori e prassi virtuose Maurizio Tira1); Lucio Munaro2) 1)

2)

Rettore Università di Brescia Magistrato del Tribunale Treviso

Non è vero che basta essere un bravo professionista per fare bene il c.t.u. Non è vero che perizia, esperienza, onestà e abilità nella professione sono garanzia di successo come c.t.u. Non è vero che il confine tra sapere tecnico, logica e percezione dei fatti è sempre nitido e riconoscibile. Non è vero che la stima riconosciuta al c.t.u. da un certo magistrato è certamente garanzia di successo anche presso altri magistrati. Il “mestiere” di c.t.u. presenta complessità infinitamente superiori a quanto credano la generalità dei professionisti e alcuni magistrati. Presuppone un patrimonio di logica, capacità argomentativa e “intelligenza processuale” spesso considerate (assurdamente) quali meri elementi accessori rispetto al sapere tecnico. È questo uno dei maggiori equivoci che aleggia in materia, si insidia nel rapporto giudice-c.t.u. e ne mina la fruttuosità. Di qui una ricognizione delle patologie e dei rimedi la cui conoscenza permette al c.t.u. di coltivare seriamente l’aspettativa di essere nominato o ancora nominato.

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Illazioni sull’urbanistica italiana Piero Pedrocco

Docente Università di Architettura di Udine e presidente Centro Studi Urbanistici Veneto

La storia dell’Urbanistica italiana è nota e non varrà qui ripercorrerla se non per i sommi capi che interessano il confronto tra la stessa e nuove ipotesi di ricerca. Sin dal ’42, in pieno conflitto, la logica dello zoning ha dominato la materia. Ma la città europea e mediterranea pre e post-industriale, se escludiamo conclamati casi di grandi aree industriali novecentesche che vanno ovviamente separate dalla città, ha scarso afflato con la separazione delle funzioni per zone. Ciò ha prodotto inevitabili deformazioni di insediamenti che un tempo maggiormente integravano le funzioni urbane tra esse, separando spazi di produzione, anche intellettuale, da spazi relazionali e abitativi o di altro genere. La città per parti rappresenta un ossimoro evidente del sincretismo urbano tradizionale e delle teorie di agglomerazione economica, dove il vantaggio deriva proprio dalla compresenza di funzioni rare e condivisibili assenti sul resto del territorio e prossime alla residenza o al domicilio e ai luoghi della governance. L’avvento delle correzioni legislative, delle deroghe e delle combinazioni di disposti suddivisi in molteplici legislazioni speciali (per l’housing sociale o la produzione o il recupero) e soprattutto decreti, a volte a capo di differenti Ministeri (Sanità, Infrastrutture, Industria, LL.PP.) ha poi ulteriormente gravato la materia di scelte parziali (vedi opere pubbliche in variante al PRG, ma non solo), con effetti di dispersione insediativa che la logica computazionale degli standard urbanistici del famoso DM1444/’68 (ex L. 765/’67, ponte infinito che ci rimanda a Tacito: Corruptissima re publica plurimae leges) e della Verifica del dimensionamento dei PRG per la attribuzione degli standard, ha condotto sempre più verso la dispersione della forma urbana. Ma forma è sostanza. E, purtroppo, la sostanza dei nostri insediamenti si esprime oggi civilmente ed economicamente/socialmente attraverso una inefficace non-forma. Perde così l’urbe la sua tradizionale, anche se non perfettamente coincidente fin dall’evo antico, sinergia con la civitas che la abita in forme compulsive diverse dal passato (molteplicità di residenze, domicili, appartenenze, investimenti dei cives – badanti, borghesia globalizzativa, city users vagantivi, forme insediative metro e megalopolitane, eccetera). Le legislazioni regionali, fin dagli anni 70-80 e fino ai giorni nostri, hanno semplicemente ricalcato il modello deterministico-computazionale della logica razional-comprensiva precedente, camuffandolo. Il processo logico rimane deduttivo. In base al numero di abitanti che la città attrae, e non in base al progetto urbano che si propone e che dovrebbe essere

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attraente, si computano ragionieristicamente i servizi parametrizzandoli e distribuendoli a pioggia sul disegno di piano. Si agisce così sempre in ritardo. Ciò porta a standard metrici che restano spesso sulla carta in assenza di standard prestazionali sul territorio fisico. In parte ciò è purtroppo vero anche per la Lombardia con il suo PRG suddiviso in 4 parti, che tenta un modello induttivo a partire dalla logica dei servizi, buono forse per Milano e Brescia ma sicuramente di scarsa efficacia per comuni minori, e comunque sempre affetto, sull’esistente, da regolamentazioni parametriche di tipo deduttivo. Volendo sintetizzare, purtroppo anche banalizzando per metafore, che mi auguro comunque significative, l’urbanistica italiana, soprattutto nel secondo Novecento, e fino ad oggi, appare come un insieme di regolamenti di “polizia spaziale”, di misure e di impedimenti esondanti e aggrovigliati che invece di guidare il progetto urbanistico prima ed il progetto urbano poi, li hanno semplicemente offuscati, quando non resi impossibili. La pianificazione-regolazione si è così tradotta in controllo, e il controllo in divieto, spesso concorrente, riducendo la legge da strumento di cultura, quale dovrebbe tradizionalmente essere, a freno di civiltà. A ciò si aggiunga che nel nostro Paese, a differenza di molti altri, le leggi di tutela dei beni culturali e del paesaggio sono in capo, fin dal periodo pre-bellico, a ministeri diversi rispetto alle leggi di promozione e trasformazione del territorio, con una evidente discrasia tra tutela e progetto della tutela stessa nella società e nello spazio in divenire. Ciò non tarderà a produrre situazioni di insostenibilità maggiori di quelle già evidenti. Anche a causa di ciò, la reductio ad unum della progettazione del paesaggio italiano non si ottiene di fatto nemmeno in ambito strettamente cittadino. Ergo: servono nuovi modelli. I modelli che un Paese stratificato come il nostro dovrebbe perseguire sono diversi da quelli ragionieristico-polizieschi finora perseguiti e adatti al più per il controllo di fasi di dirompente sviluppo, come nell’ultimo ciclo economico lungo (Kondratiev), e dovrebbero, per dirla in breve, ritornare alla promozione culturale e formale dello spazio e del progetto. In tal senso anche la derivata ambiente-città, che non sembra portare molti risultati paesistici e ambientali, andrebbe forse rivista in una derivata città-ambiente, con una città però non tanto vista solo come macchina per abitare e produrre, ma spazio per l’uomo che si innesta umanisticamente nell’ambiente desiderato. E ciò anche per affrontare la “primavera” inflazionistica del prossimo ciclo di lungo periodo, che in assenza di modelli e ipotesi progettuali sul nostro sistema insediativo, potrebbe nuovamente e vieppiù travolgerlo. Limitandoci all’ambiente urbano alcuni esperimenti condotti recentemente presso il Laboratorio integrato di progettazione urbanistica dell’Università degli studi di Udine tentano la ricucitura formale e sostanziale di ambiti urbani degradati agendo tridimensionalmente per progetti urbani di interi quartieri, atti a riscrivere la forma della città compatta e attraente in un territorio devastato da sfrangiamenti, anacoluti e disaffezioni (aree dismesse o brownfields, vuoti urbani, dispersione insediativa anziché diffusione urbana organizzata con falsi spread che si traducono in sprawl). Si tratta di illazioni tipiche dell’accademia e dell’insegnamento, che in tal senso cercano però di ricondurre alla forma della città europea la dispersione della città industriale e post-industriale, ricorrendo talvolta a metodi in uso nel Nord Europa, talaltra a nuove ipotesi procedurali e procedimentali anche in campo urbanistico. Stiamo pubblicando questi esempi sulla Collana PIU – Infrastrutture, urbanistica e paesaggio da me diretta per Aracne editrice in Roma, nella speranza che possano solleticare e sollecitare anche il legislatore ad una difficilissima revisione del modello urbanistico italiano, ormai datato e inefficace su molti fronti. Il processo fondamentale che li sorregge presenta un approccio progettuale e un chiaro intento planivolumetrico di ideazione e morfogenesi spaziale.

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URBANISTICA FORENSE

A livello generale, Comunale o sovracomunale redazione di un Key Diagram e di un Regolamento edilizio: a) redazione e adozione comunale ed approvazione regionale di uno strumento guida per l’area urbana e/o metropolitana, di solo indirizzo e con indicazioni simbologiche ad esclusione delle principali strade e ferrovie nazionali e regionali, contenente altresì gli ambiti di tutela paesistica e architettonica ope legis e ragionamenti sulla Teoria della base economica che guidino la scelta delle principali localizzazioni urbanistiche; b) redazione e adozione comunale e approvazione regionale del Regolamento edilizio comunale. A livello locale, redazione di Piani operativi di quartiere supportati da Progetti planivolumetrici guida: a) analisi dello stato di fatto che consenta di individuare le strutture e i segni del territorio dai quali derivare gli ambiti di progettazione: non necessariamente omogenei, ma logici nella distribuzione dimensionale, strutturale, trasportistica e distributiva di masse e funzioni che saranno attribuite al quartiere in progetto; b) indagini sulle strutture formali classiche dell’edificato e delle tessiture dei centri storici della regione e analisi mirate alla “base economica” di sostegno al quartiere e alle “soglie” che necessita superare per la sua realizzazione; c) redazione di un Diagramma Chiave (Key Diagram) di larga massima del quartiere in scala 1:5000, che definisca gli ambiti di progettazione, con l’attribuzione simbologica delle funzioni da allocare e dimensionare col progetto successivo, con la definizione degli assi principali esistenti e di progetto e degli assi secondari, delle aree pedonali, delle principali piazze e canali, che potranno comunque subire variazioni di forma anche sostanziali in fase di progetto, e con una previsione di larga massima della popolazione insediabile, che si computerà in forma analitica solo alla fine; d) redazione di Norme tecniche di attuazione per guidare le fasi successive di progetto; e) progettazione dettagliata degli ambiti in scala 1:1000 da parte dei vari gruppi, i quali dovranno integrarsi tra loro (confini, funzioni, trasporti); f ) ricongiunzione dei vari ambiti in un progetto planivolumetrico che porta a due elaborati fondamentali quali la Mappa dell’intero quartiere e la realizzazione del Plastico in scala 1:1000, che costituiscono assieme il Progetto Planivolumetrico Guida; le specificazioni puntuali planivolumetriche consentirebbero di superare alcuni limiti formali sulle distanze e sagome degli edifici; g) la progettazione esemplificativa di elementi chiave del progetto procede alle scale architettoniche 1:200, 1:100, con eventuali specificazioni urbanistiche di parte dell’ambito in scala 1:500, 1:250, ove necessario; h) a questo punto scatta una fase di rivisitazione dell’insieme atta a fornire cogenza e coerenza pianologica al progetto, innestandolo in un processo urbanistico attraverso la redazione di un Piano Operativo del quartiere con attuazioni dirette per le parti sufficientemente dettagliate e pianificazione attuativa delle parti non ritenute esaustive, salvo doversi confrontare con le assunzioni del Progetto Planivolumetrico Guida per poterle migliorare; i) la fase di controllo verrebbe affidata ad un Urbanista Condotto (mi ispiro alle proposte avanzate in materia da Guido Colombo in seno al Centro nazionale di studi urbanistici anni orsono) per l’attuazione diretta, dotato dei poteri conformativi conferitigli, in vece del Consiglio Comunale, e da una Commissione di alto livello tecnico per la

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adozione dei Piani attuativi e Progetti integrati speciali, sempre con poteri derogati dall’organo amministrativo competente in materia di conformazione urbanistica. Sebbene gli strumenti siano ancora due come nella attuale legislazione di molte regioni, non può sfuggire la loro differente natura. 1) A livello comunale, altamente “Schematica e Strategica” e “non Strutturale”, di mero indirizzo e non cogente, se non per opere infrastrutturali e strutturali di preminente interesse, con individuazione di vaste aree di urbanizzazione o riconfigurazione formale attraverso progetti urbani di quartiere di cui al punto 2; 2) A livello locale o di quartiere, con carattere “Planivolumetrico Progettuale” anziché “Operativo-precettivo”, con controllo formale semplificato degli elementi ad attuazione diretta per le parti ritenute già attuabili, e rimodulazione attraverso atti di urbanistica integrata e complessa (Programmi integrati di intervento, PIRUEA, PRU, PRUSST, Contratti di Quartiere, progetti Urban europei e altri progetti speciali) per quelle bisognose di approfondimento. Il modello, a differenza della logica regolatrice, non mira ad attuazioni decennali del piano, ma ad un lento processo pluridecennale e secolarizzante di agglomerazione, addensamento e qualificazione dello spazio urbano, proprio come avveniva nelle città del passato per le quali lo spazio sia pubblico che privato avevano un valore prossemico e culturale ben diverso da quello attuale che si conformava attraverso l’integrazione e la successione logica di atti progettuali altamente simbolici o comunque contestualizzanti. Naturalmente si tratta per ora di soli spunti da porre in discussione tra altri fermenti del nostro dibattito disciplinare.

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La salvaguardia del territorio attraverso la Vigilanza edilizia - Gestione contenzioso L’esperienza del Comune di Treviso Roberto Manfredonia

Dirigente del Comune di Treviso

Obiettivo dei convegni è quello di elevare la figura professionale dell’Ingegnere Forense, valorizzandone le competenze e regolamentandone l’attività attraverso l’analisi della più ampia ricognizione del molteplice repertorio professionale coinvolto, dal quale emerge la multidisciplinarietà della materia per favorire una nuova sinergia tra ingegneri, avvocati, magistrati e PA al fine di contribuire a una migliore amministrazione della Giustizia e ad una più diffusa Legalità. Per promuovere la migliore diffusione quindi dell’approccio dell’Ingegneria Forense, oltre che lo scambio di conoscenze e di esperienze maturate da esponenti del mondo accademico, liberi professionisti, operatori di aziende private, giuristi e magistrati, è necessario illustrare l’esperienza fatta in questi anni nella Pubblica Amministrazione. I temi dell’Ingegneria Forense si occupano dei Crolli, Affidabilità Strutturale, Consolidamento, ma anche di argomenti multidisciplinari come gli illeciti edilizi e paesaggistici, tema che investe il ruolo istituzionale del comune ordinariamente declinato con la Vigilanza Edilizia di competenza amministrativa del servizio Attività Edilizia che include all’interno lo Sportello Unico Edilizia. L’ingegnere forense deve pertanto avere competenze trasversali, sia in ambito tecnico che in ambito legale, poiché le sue affermazioni, oltre a sostanziare scientificamente e tecnicamente i problemi, avranno anche grande valenza in ambito giuridico.

Gli illeciti edilizi e paesaggistici

Il tema degli illeciti edilizi e paesaggistici, oltre che correlato alle attività di vigilanza (che i comuni devono organizzare in maniera trasparente e proporzionata alle esigenze del territorio per mezzo del Regolamento Edilizio) è anche connesso con il tema della qualità delle certificazioni relative agli immobili esistenti, che oltre ad essere tema sondato dall’ingegneria forense, vede oggi nella legittimità il prioritario requisito richiesto dai proprietari, dagli acquirenti, e dagli operatori del comparto edilizio (tecnici abilitati, imprenditori, notai, finanziatori) per molteplici motivazioni che di seguito si elencano: 1. la legge 122/2010 impone ai notai di verificare oltre l’accatastamento anche l’attestazione del tecnico sulla legittimità dello stato del fabbricato; 2. il professionista che presenta le pratiche ha l’esigenza di poter eseguire senza rischio i propri adempimenti amministrativi basati su autocertificazioni, dichiarazioni ed asseverazioni;

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3. Il lungo periodo di crisi edilizia nonché le esigenze di efficientamento energetico degli edifici hanno visto incrementare gli interventi sul patrimonio esistente spesso da sanare per difformità rispetto ai titoli edilizi; 4. la rinnovata sensibilità nei confronti del tema del risparmio di suolo, che ha portato ad attivare interventi di rigenerazione urbana dell’edilizia esistente; 5. Il Piano casa che richiede, quale presupposto per la sua applicazione, la legittimità del fabbricato su cui si interviene; 6. Le valutazioni di ingegneria forense legate alle indagini impone la necessità per i professionisti di individuare le corrette classificazioni tecnico giuridiche sia per individuare le relative sanzioni che per procedere alle conclusioni istruttorie. Attraverso l’analisi della normativa vigente, si fornisce un quadro di riferimento per operare con piena consapevolezza nel complesso panorama normativo nazionale, regionale, relativo agli illeciti edilizi per poter operare come ingegneri forensi nella materia specialistica ai fini di applicare con coerenza tecnico giuridica la corretta classificazione tecnico giuridica degli interventi abusivi ed eventualmente individuare/stimare la corretta sanzione edilizia proporzionata all’entità dell’abuso accertato e qualificato dal punto di vista tecnico giuridico, anche a fronte di prevedibile richiesta di sanatoria spontanea.

Argomenti trattati

− Analisi della normativa di riferimento − Funzioni di vigilanza e controllo dei comuni; − Le ipotesi di cui all’art. 44 del T.U; − La vigilanza edilizia e l’attività di polizia giudiziaria; − Gli abusi edilizi: il reato edilizio, caratteri, procedibilità, prescrizione. Conseguenze penale, in caso di totale o parziale difformità, di variazione essenziali ovvero di violazione dei regolamenti edilizi comunali ovvero in caso di assenza del permesso di costruire ovvero in caso di opere di lottizzazione abusive; conseguenze penali in materia di opere abusive eseguite su aree sottoposte a vincoli paesaggistici e/o di bene culturale); − Classificazione tecnico giuridica; − Regolamento edilizio tipo con definizioni uniformi; − Responsabilità del titolare del permesso di costruire del costruttore del direttore dei lavori.

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Forensic sciences in Water management


Environmental forensic analysis of microplastic pollution - The first report on “Nattika” beach, Kerala Coast, India Ashwini SK; George K. Varghese

National Institute of Technology, Calicut, Kerala, India

Kerala being a prominent tourist destination in the southern part of India with a coastline of 560 km, is an abode of plastic pollution. Plastics are capable of disintegrating and fragmenting into billions of micron-scale particles which makes the pollution problem very difficult to solve(Song et al. 2017; Weinstein et al. 2016). The size of the plastics determines what effect it can cause. Plastics of size < 5 mm to 1nm is termed as microplastics by NOAA (Arthur, Courtney, Joel Baker 2009). In the current study microplastics of size range 5mm to 1mm were considered.The effects of micro-plastics is not just limited to hindering the aesthetics but also to numerous health effects that follow with the emergence of microplastics in the food chain (Revel et al. 2018; Wesch et al. 2016). The spread of microplastics has reached to a very serious level that it is even found in the common salt which we intake on a daily basis(Dris et al. 2016; Gasperi et al. 2018; Hurley and Nizzetto 2018; Karami et al. 2017). The first step in solving this problem, is to track the source of plastic pollution. Since Plastics are pervasive, it is challenging to track its source with expert judgment. Thus, adopting suitable environmental forensic techniques become decisive in identifying their sources (Bookspan et al. 2015; Gloria 2014; Woodall et al. 2015). “Nattika” is a traditional fisherman’s village in the Thrissur district of Kerala state. To analyse the fate and distribution of microplastics, “Nattika” beach was chosen as the study area. Anthropogenic activities such as fishing, tourism promotion events, beach fest, etc., are prominent in this area. Apart from being exposed to many recreational activities, Natikka is in the vicinity of many plastic industries. Three representative samples of 1cm thick top sand (0.3 m x 0.3 m, area) were taken randomly along the highest strandline of the beach. Sampling and separation procedures were carried out according to the guidelines by NOAA (Julie Masura, Joel Baker, Gregory Foster 2015). Results obtained clearly indicated the influence of the land activities on the beach. Pellets, Fibre and Fragments of plastics were found in the samples. Among the many classification of plastics, pellets is a distinct item, which the product manufacturers use as their raw material. The materials separated were confirmed as plastics using Fourier-Transform Infrared Spectroscopy (FTIR) analysis (Perkin Elmer- Spectrum Two with Spectrum 10 software) coupled with the spectral Databases (L1108836 Polymers & Polyadditives Library of S.T. Japan-Europe GmbH). On an average, 38 particles/kg of sand was found. Among this, Polystyrene was the prominent (30 particles/kg of sand). Other plastics found were Polyethylene (6 particles/kg of sand) and Polypropylene (2 particles/ kg of sand). Polystyrene presence was mainly due to the high volume of se-

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FORENSIC SCIENCES IN WATER MANAGEMENT

mi-degraded and freshly popped out thermocol pieces in the sand matrix. There is a fishing utility center on the shore that also act as a net melding hall. The Polyethylene fibers found in the samples have higher chances to be from the net melding hall. In general, it could be concluded that the plastic fragments found in the beach sand were formed from the human interaction in the beach as most of the fragments retained in the 1mm sieve were derived from the macro pieces retained on the 5mm sieve. It was cross-checked and verified using FTIR. But, an extensive forensic analysis has to be carried out in the light of the preliminary studies to pin down the exact source of the plastics found in the sand matrix.

BIBLIOGRAPHY

Arthur, Courtney, Joel Baker, B. H. (2009). “Proceedings of the International Research Workshop on the Occurrence , Effects , and Fate of Microplastic Marine Debris.” Proceedings of the International Research Workshop on the Occurrence , Effects , and Fate of Microplastic Marine Debris, 9–11. Bookspan, S., Corley, J., and Gravel, A. J. (2015). Forensics. Introduction to Environmental Forensics, Elsevier Ltd. Dris, R., Gasperi, J., Saad, M., Mirande, C., and Tassin, B. (2016). “Synthetic fibers in atmospheric fallout: A source of microplastics in the environment?” Marine Pollution Bulletin, Elsevier Ltd, 104(1–2), 290–293. Gasperi, J., Wright, S. L., Dris, R., Collard, F., Mandin, C., Guerrouache, M., Langlois, V., Kelly, F. J., and Tassin, B. (2018). “Microplastics in air: Are we breathing it in?” Current Opinion in Environmental Science & Health, Elsevier Ltd, 1, 1–5. Gloria, I. (2014). ENVIRONMENTAL FORENSICS. CRC Press, Taylor & Francis Group. Hurley, R. R., and Nizzetto, L. (2018). “Fate and occurrence of micro(nano)plastics in soils: Knowledge gaps and possible risks.” Current Opinion in Environmental Science & Health, Elsevier Ltd, 1, 6–11. Julie Masura, Joel Baker, Gregory Foster, and C. A. (2015). “Laboratory Methods for the Analysis of Microplastics in the Marine Environment : Recommendations for quantifying synthetic particles in waters and sediments.” (July), 1–39. Karami, A., Golieskardi, A., Keong Choo, C., Larat, V., Galloway, T. S., and Salamatinia, B. (2017). “The presence of microplastics in commercial salts from different countries.” Scientific Reports, Nature Publishing Group, 7(March), 1–11. Revel, M., Châtel, A., and Mouneyrac, C. (2018). “Micro(nano)plastics: A threat to human health?” Current Opinion in Environmental Science & Health, Elsevier Ltd, 1, 17–23. Song, Y. K., Hong, S. H., Jang, M., Han, G. M., Jung, S. W., and Shim, W. J. (2017). “Combined Effects of UV Exposure Duration and Mechanical Abrasion on Microplastic Fragmentation by Polymer Type.” Environmental Science and Technology, 51(8), 4368–4376. Weinstein, J. E., Crocker, B. K., and Gray, A. D. (2016). “From macroplastic to microplastic: Degradation of high-density polyethylene, polypropylene, and polystyrene in a salt marsh habitat.” Environmental Toxicology and Chemistry, 35(7), 1632–1640. Wesch, C., Bredimus, K., Paulus, M., and Klein, R. (2016). “Towards the suitable monitoring of ingestion of microplastics by marine biota: A review.” Environmental Pollution, Elsevier Ltd, 218, 1200–1208. Woodall, L. C., Gwinnett, C., Packer, M., Thompson, R. C., Robinson, L. F., and Paterson, G. L. J. (2015). “Using a forensic science approach to minimize environmental contamination and to identify microfibres in marine sediments.” Marine Pollution Bulletin, 95(1), 40–46.

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Environmental impact assessment of groundwater underlying a partially controlled waste disposal site in Northern Croatia Goran Kniewald; Marina Mlakar

Rudjer Boťković Institute, Division for Marine and Environmental Research, Zagreb

The possible environmental impact of a partially controlled waste disposal site in the north of Croatia was evaluated within the scope of several administrative and legal proceedings before a court of law. The concessionary contractor operating the site was obliged to make periodical analyses of seepage fluids and the underlying ground water, while a more complex environmental audit, voluntary or compulsory was not required by Croatian legislation. The dumping site was periodically evaluated by environmental inspectors, however at one time the company maintained that urgent remedial action in the dumping site was necessary and hired a company to start removing the bales to an undisclosed site at that time. The amount of money that was requested by the remover, and paid by the contractor, was grossly inflated in view of the alleged urgency at a time just before the holiday season. The State Attorneys Office started investigating due to a possible criminal corruption relationship between the contractor and the remover. A court expert (expert witness) was called with the request to evaluate wheter such urgent action was exigent at that time. An inspection of the dump and the baling process by the expert preceded a forensic evaluation of analytical measurements of a number of chemical parameters including nitrate, nitrite, toxic metals and pathogens performed by a registered laboratory indicated that such urgent remedial action was not essential.

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Charateristics on disintegration of sewage sludge using dual frequency ultrasonic pretreatment Sae –Eun OH; Choi Jae-Hyeok; Gayflorzee Johnsa Kollie

Department of Civil & Environmental Engineering, Hanbat National University

The purpose of this study was to evaluate the decomposition characteristics of sludge according to irradiation intensity and irradiation time during dual frequency ultrasound pretreatment, and to compare with single frequency ultrasonic wave for the excess sludge generated in sewage treatment plant to improve anaerobic digestion efficiency. The excess sludge used for pretreatment by ultrasonic wave was collected from the sewage treatment plant in Daejeon city. Sewage treatment adopts standard activated sludge method and sludge treatment adopts mesophilic anaerobic digestion. Experiments were performed using single frequency (28 kHz, 40 kHz) ultrasonic waves and dual frequency (28 kHz + 40 kHz) ultrasonic waves and the irradiation intensity was changed to 6,750 ~ 45,000 J/g TS based on total solids and the irradiation time was changed to 10 minutes, 30 minutes, 60 minutes, 90 minutes, and 120 minutes respectively. The Soluble Chemical Oxygen Demand (below SCODcr) concentration was increased up to 7.4, 6.5 and 8.1 times in single frequency (28 kHz, 40 kHz) and dual frequency (28 kHz+40 kHz) at 120 minutes irradiation time respectively. Also, solubilization rate was increased to 35.9%, and 31.1% at single frequency (28 kHz, 40 kHz), and 39.7% at dual frequency (28 kHz+40 kHz). Additionally, the analysis result shows, as the intensity of the ultrasonic irradiation and the irradiation time increased, it was confirmed that the average particle size of the sludge was reduced. The particle size of the sludge before ultrasonic pretreatment was 334.37μm, and the ultrasonic single frequencies of 28 kHz and 40 kHz changed particle size to 34.63 μm and 56.00 μm at the maximum irradiation intensity of 45,000 J/g TS and the irradiation time of 120 minutes, respectively. The dual ultrasonic wave (28 kHz + 40 kHz) particle size was 20.37 μm, which was 93.2% undifferentiated before pretreatment. The temperature of the surplus sludge before ultrasonic pretreatment was 17.8°C, and the temperature was raised to 61.7°C at 28 kHz, 58.7°C at 40 kHz, and 63.8°C at 28 + 40 kHz at an irradiation intensity of 45,000 J/g TS, and the difference in temperature between single frequency and dual frequency was slightly increased. Finally, it was confirmed that dual frequency untrasonic pretreatment was more efficient compared to the single frequency ultrasonic pretreatment according to changes of the irradiation intensity and irradiation time.

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TVF2018 I TREVISOFORENSIC

BIBLIOGRAPHY

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Establishing center for enviromental forensic in Croatia Neven Cukrov; Jasminka Klanjšček; Marina Mlakar; Damir Valić; Goran Kniewald

Ruđer Bošković Institute, Division for Marine and Environmental Research, Zagreb

The Division for Marine and Environmental Research (DMER) is part of the Ruđer Bošković Institute, regarded as Croatia’s leading scientific institute in the natural and biomedical sciences as well as marine and environmental research. Division has almost 100 scientists and technicians organized in 11 laboratories (Laboratory for Aquaculture and Pathology of Aquatic Organisms, Laboratory for Biological Effects of Metals, Laboratory for Informatics and Environmental Modelling, Laboratory for inorganic environmental geochemistry and chemodynamics of nanoparticles, Laboratory for marine and atmospheric biogeochemistry, Laboratory for molecular ecotoxicology, Laboratory for physical chemistry of aquatic systems, Laboratory for physical chemistry of traces, Laboratory for Radioecology and Laboratory for environmental microbiology and biotechnology) and marine/research station Martinska, near the city of Šibenik and is the largest organization for the marine and environmental research in Croatia. The DMER laboratories conduct research in the fields of oceanography, aquatic chemistry, radioecology, geochemistry, biogeochemistry, bioelectrochemistry, environmental electrochemistry, ecotoxicology, aquaculture and fish pathology, biodiversity, ecological modeling and environmental informatics. The scale of research problems spans from nanoscience to satellite oceanography. Some researchers from DMER have long history working as experts accredited to courts. They use their scientific knowledge on issues regarding environment protection and management. The cases included identification of pollutant type and/or its source, species determination, and environmental impact and risk assessment. Recently, the whole division were accredited to court for criminal cases against the environment and currently we are in the formation process of the Center for environmental forensics at the Institute, the first one in Croatia.

BIBLIOGRAFIA

http://www.irb.hr/eng/Research/Divisions/Division-for-Marine-and-Environmental-Research

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Inquinamento da ammoniaca: fonti, impatti, ripristino ed elaborato tecnico Alice Limoli1); Alessandra De Pretto2) 1)

2)

Dipartimento DICAM, Università di Trento Avvocato

Per composto azotato si intende ogni sostanza contenente azoto eccetto l’azoto gassoso molecolare. L’ammoniaca fa parte di questi composti come i sottoprodotti del processo di nitrificazione quali nitriti e nitrati. Il 94% delle emissioni da ammoniaca in Europa in anni recenti sono dovute a fonti di origine agricola pertanto l’inquinamento da ammoniaca può essere definito come diffuso. L’azoto è un nutriente che, se presente in alta quantità, provoca l’eutrofizzazione di laghi e gli stagni, fenomeno che riduce la biodiversità. L’ammoniaca contribuisce alla formazione di piogge acide e, assieme ai nitrati, è precursore del particolato secondario che comporta ricadute sulla salute. Molti degli interventi volti alla riduzione dell’inquinamento da ammoniaca si basano su vincoli, azioni di prevenzione e formazione degli agricoltori. Nel quadro europeo della Direttiva Nitrati si inseriscono, a livello statale, il testo unico ambientale e il decreto effluenti, al contempo le delibere e i decreti agiscono a livello regionale con il fine di regolamentare e ridurre l’impatto dell’inquinamento da composti azotati. Le tecniche di ripristino a valle di problemi di inquinamento possono concentrarsi sulla fase solida (corpo discarica e terreno inquinato) o sulla fase liquida. Le tecniche di rimozione dell’ammoniaca dalla fase liquida sono applicate in situ o ex situ e si dividono in trattamenti di tipo fisico chimico o biologico. Il ripristino a valle di un atto criminale di danno ambientale, deve formularsi con riparazioni di tipo primario, complementare o compensativo. Il ripristino consente di evitare una serie di conseguenze negative sul piano sostanziale e processuale per il fatto commesso, e chi si adopera al ripristino potrà usufruire di effetti premiali che andranno ad alleggerire di molto la sua posizione processuale quali la sospensione della pena e lo sconto della pena; è al contempo possibile evitare ulteriori sanzioni e l’ordinanza di ingiunzione per il danno ambientale. Al fine di ottenere i benefici sopraccitati, è necessario preparare e depositare un elaborato tecnico attestante le attività operative svolte in sede di ripristino ambientale.

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Forensic Environmental Modelling


Uncertainty and probabilistic reasoning in Forensic Science Lara Fontanella

Department of Legal and Social Sciences, D’Annunzio University, Chieti-Pescara

Nowadays, probabilistic reasoning plays an important role in criminal investigations, prosecutions and trials, especially in relation to forensic scientific evidence produced by expert witnesses. Popular television crime series convey the idea that forensic scientists can identify with certainty the source of a trace found at the crime scene. Moreover, in those fictional narratives, identification corresponds to individualization, that is the reduction of a group of potential donors of a forensic trace to a single source. In this sense, “individualization” differs from “classification” where the potential source is narrowed only to a set of objects. Saks et al. (2008) point out that there is no scientific basis for individualization claims in forensic sciences and that the concept of individualization is supported extensively by the defective logic that equates infrequency with uniqueness. This “individualization fallacy” is defined as the misjudgement that arises when a forensic scientist rules out all other possible sources for an unknown trace, including the multitude he has not examined, once he has found a source that matches the features of the questioned trace. Source identification can be achieved only in a probabilistic sense, since behind every opinion rendered by a forensic scientist there is a statistical basis. In fact, trial evidence, constituted by information or data, is linked to proof through inferential reasoning. This inferential reasoning seldom proceeds deductively, starting with premises known or assumed to be certain. More commonly, it proceeds by induction, moving from particular findings to possibly multiple competing hypotheses. In this context, inferences are based on information believed true only as a matter of probability and on generalisations that are true only for the most part. Therefore, trials are characterised by reasoning in conditions of uncertainty. Forensic science should acknowledge the existence of this uncertainty as an inevitable feature, and expressing statements of certainty should be avoided (Taroni and Biedermann, 2015). The inevitability of uncertainty implies the necessity to determine, in terms of probability, the degree of belief that may be assigned to a particular uncertain event. The field of probability aims at conceptualizing and measuring uncertainty on a scale from 0 to 1 and at building a system of rules for coherent behaviour in uncertain environment. In this context, the evaluation of the importance of forensic evidence follows the standard statistical schism of being frequentist or Bayesian (Curran, 2009). The frequentist approach offers evidence against a proposition by showing that the evidence is unlikely if this proposition is true. The less likely the evidence under the proposition, the more support given to the alternative. This approach is also known as the coincidence probability approach, because either the evidence came from

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FORENSIC ENVIRONMENTAL MODELLING

the suspected source or a “coincidence” has occurred. In the LR or Bayesian approach, the emphasis is on the evaluation of the probability of the evidence E under (at least) two competing hypotheses, the prosecution’s hypothesis Hp and the defence’s hypothesis Hd. The weight of the evidence is assessed through the likelihood ratio LR=P(E|Hp)/P(E|Hd), which measures of the relative strength of support that evidence E gives to the prosecution’s hypothesis against the defence’s hypothesis. The LR allows to transform the prior oddsof the two hypotheses, P(Hp)/P(Hd), into the posterior odds, P(Hp|E)/P(Hd|E). In particular, according to the Bayesian rule, the prior odds are multiply by the likelihood ratio to obtain the updated posterior odds. Therefore, if the two competing hypotheses refers to the so-called source level propositions, the uncertainty on the trace origin is measured in terms of the weight of the forensic evidence. This measure needs to take into account both the issue of non uniqueness, which in general is accounted for by the random probability match, and other forms of variability that can leads to error in the assessment of the matching. Morrison (2016) classifies the sources of potential variability in: intrinsic variability at the source, variability in the transfer process, the sampling and the measurement techniques, and, finally, variability in the statistical modelling technique and in the modelling assumptions. All those forms of variability are strictly linked to the uncertainty and to error rates. The necessity of accounting for error rates is clearly highlighted in the US Supreme Court decision of Daubert vs. Merrell Dow Pharmaceuticals (1993), which requires one out of four criteria for expert admissibility to be “...the technique’s known or potential rate of error...”. In addition, the 2009 report of National Academy of Sciences states “All results for every forensic science method should indicate the uncertainty in the measurements” and establishes that “Research is needed to address issues of accuracy, reliability, and validity in the forensic science disciplines.” Error in the forensic science realm can result from a number of different causes, such as practitioner or human errors, instrument measurement errors and statistical errors in terms of deviation between actual and predicted values. The uncertainty should include both the probability of coincidence and those error sources. Uncertainty and probabilistic reasoning can be ascribed also to analyses in Environmental Forensics, i.e. scientific evaluation of environmental data for the purposes of reconstructing the history and sources of environmental contamination. In this context, the science required to bring a successful case should unambiguously identify the source of the contamination and make estimates of the amount discharged. However, the interpretation of environmental analytical data is often a hard task since these data usually demonstrate great variability. Moreover, identifying the origin of contaminants and demonstrating a pathway by which those materials may have reached a given location are not easy tasks due to the diverse nature of the chemical processes that take place in the environment. Consequently, those environmental forensic analyses are prone to uncertainty, which propagates from measurement errors, sampling variability and prediction errors associated to the statistical models. For this reason, the awareness of the “range of certainty” is essential for environmental investigations and should take into account all forms of variability.

BIBLIOGRAFIA

Curran J. M. (2009) Statistics in Forensic Science. Wiley Interdisciplinary Reviews: Computational Statistics, Vol. 1 (2), 141-156 Saks M. J., Koehler J. J. (2008) The Individualization Fallacy in Forensic Science Evidence. Vanderbilt Law Review, Vol. 61 (1), 199-219. Taroni F., Biedermann A. (2015) Uncertainty in Forensic Science: Experts, Probabilities and Bayes’ Theorem. Statistica Applicata - Italian Journal of Applied Statistics Vol. 27 (2), 129-267

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An integrated model-based approach to the human risk assessment of pesticide as a decision tool in environmental forensic Alberto Pivato

DICEA, Department of Civil, Environmental and Architectural Engineering, University of Padova

The inhalation of pesticide in air is of particular concern for people living in close contact with intensive agricultural activities. Currently, the relationship between health issues and pesticide dose is mainly investigated using correlative models such as in epidemiological studies. Some of these studies do not highlight impacts of pesticides on human health. An epidemiological study performed in the Veneto Region (Italy) showed no evidence of pesticide effects on the prevalence of congenital malformations in Italy, a country where pesticide use is strictly controlled (Clementi et al., 2007). Correlative models have however several limits and cannot exclude that health problems actually occur. For example, cohort studies typically restrict their investigations to a limited number of diseases and, as often happens for statistical analyses, are difficult to use as predictive tools. Moreover, epidemiological studies hardly distinguish the effects of pesticides from other concomitant processes affecting human health, since large amounts of data are required to highlight the relationship between causes and effects when evaluating health risks as low as those derived from diffuse pesticide pollution, which can therefore easily go unnoticed. If a correlative model does not identify a relationship between pesticides and human health, it does not prove that there are no effects (Cohen, 1988). Therefore, pesticide-related risks – as the one developed in the current work - must also be addressed using process-based approaches, i.e. tools which explicitly consider the effect of relevant ecological processes on the pollutant fate to calculate risk in a mechanistic fashion. The development of tools to quantify the risk for a specific situation is of great practical important in environmental forensic. These tools should allow the identification of the causes of the potential effects of pesticides on humans and therefore they should support the analysis of the responsibilities of a supposed environmental crime. The risk related to the inhalation of pesticides in air is evaluated for residents, as this type of exposure is a major concern for populations living near a vineyard. Chronic (long term) and acute (short term) risks are assessed in the case of carginogenic and non-carcinogenic effects. The source emission modellization and the simulation of airborne transport from the field to off-target areas are fundamental processes to include in the analysis. The emission modellization is based on well-known assumptions and fugacity model applications (Mackay, 2001). The transport process is modelled with the well-kwown CALMET/CALPUFF system (Scire et al., 2000).

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FORENSIC ENVIRONMENTAL MODELLING

Two types of pesticide emission sources are considered: 1) pesticides directly volatizing from boom sprayers towards the outside of the sample field; 2) pesticides volatizing from crops and soil and transported outside only after sprayer treatments. This subdivision is made because of the different time scale and velocity of the two processes; the first will peter out in few hours and is related to acute risk while the second will last for several days after treatments and affects mainly chronic risk for residents. The calculated risk represents the effect of pesticides on residents for a short (acute) and prolonged (chronic) inhalation exposure; it can be estimated knowing two main parameters: the dose and the chemical toxicity. The dose is a function of the concentration of the pesticide at the exposure point and of the typology of exposure: Dose = Concentration*Exposure. The peak concentrations (CPEAK) are extracted from the hourly concentrations of pesticide in air and can be used in the acute (short term) risk estimation. The mean concentration (CAVERAGE) of long period (days) is calculated for the assessment of chronic (long term) risk. The only performed exposure is inhalation of pesticide in air because it can be considered of major concern for population living near vineyard. EI,ACUTE (acute exposure) and EI,CHRONIC (chronic exposure) are the exposure factors considering the different aspects of air inhalation:

where: “IR” is the Inhalation Rate [m3/h]; “Abi” is the inhalation absorption factor [mg/mg]; “ET” is the exposure time [h/day]; “W” is the body weight [kg]; “EF” represents the days during which this average concentration is simulated in air, which is the simulation run length that is equal to the treatment period. The chemicals toxicity must be expressed differently for carcinogenic and non-carginogenic effects. For the former it can be expressed as a slope factor (SF); it is an upper bound, approximating a 95% confidence limit, on the increased cancer risk from a lifetime exposure to an agent by ingestion or inhalation. This is usually expressed in units of proportion (of a population) affected per mg of substance/kg body weight-day. For the latter it can be expressed as ADI (Average Daily Intake), ARfD (Acute Reference Dose) or AOEL (Acceptable Operator Exposure Level). These parameters express a threshold intake (from different exposure routes) rescaled on body weight [mg/kgbw*d]. In conclusion, in the present deterministic integrated modelling system developed by coupling single, well-known and validated methodologies, the effect of pesticides on health can be analysed in itself, in isolation from all other processes, since the influence of other external factors is not present or can be easily controlled for (unlike in epidemiological studies). For this reason, this modelling approach can be used as a tool to assist the responsibility analysis of the effect of pesticide drift from vineyards on human health.

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TVF2018 I TREVISOFORENSIC

Although the lack of a validation of the computed pesticide concentrations in air is a limitation of this approach which should be tackled by future studies, we stress the importance of modelling approaches in complex scenarios of a chemical release into the environment.

REFERENCES

Clementi M., Causin R., Marzocchi C., Mantovani A., Tenconi R., 2007. A study of the impact of agricultural pesticide use on the prevalence of birth defects in northeast Italy. Reproductive Toxycology 24, 1-8. Cohen J., 1988. Statistical Power Analysis for the Behavioral Sciences. Second Edition. Lawrence Erlbaum Associates, Inc., Publishers. Hillsdale, New Jersey. Mackay, D., 2001. Multimedia Environmental Fate Models: The Fugacity Approach. Lewis Publishers, Boca Raton, FL. Scire, J.S., Strimaitis, D.G., Yamartino, R.J., 2000b. A User’s Guide for the CALPUFF Dispersion Model (Version 5). Earth Tech, Inc, Concord, MA.

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Forensic Epidemiology and ecotoxicology


Legal controversial aspects of HP14 classification of waste A. Pivato; G. Beggio

ICEA - Department of Civil, Architectural and Environmental Engineering

Within a circular economy framework, waste classification system must be consistent with the established recycling and reuse targets. Reliable and harmonized waste classification criteria ensure safe handling, transport, reuse or disposal and prevent unsustainable costs due to administrative burdens and mandatory treatment. In a forensic context, a clear and scientifically agreed upon classification procedure will help to verify the conditions to avoid possible legal responsibility due to incorrect classification of waste. In Europe, waste material is classified for hazardousness according to the so-called “Waste Framework Directive” (WFD) 2008/98/EC, which declares a waste hazardous if characterized by at least one of the 15 Hazard Properties (HP), as described in the Annex III of Directive 2008/98/EC. Further, several wastes classified as hazardous, non-hazardous or “mirror entries” (waste type that can be classified as hazardous or non-hazardous) are listed in the so-called “European List of Waste” (LoW), as established by the Commission Decision 2000/532/EC. Both LoW and Annex III of WFD undercame amending process to update the list of hazardous and non-hazardous waste according to the technical and scientific progress, while continuously harmonizing the HPs with the Hazard Classes as defined in the Regulation for chemical substances and mixtures 2008/1272/EC (CLP). Within the 15 HPs, “HP14 – Ecotoxic” is acknowledged as being the most frequent Hazard Property classifying entries of LoW as hazardous. Given the importance, after years of discussion, the European Council delivered amendment to Annex III of WFD, i.e. Council Regulation 2017/997/EC, establishing up-to-date criteria for the classification of waste as HP14. In accordance with the CLP, HP14 must currently be assigned according to the application of a calculation method based on chemical composition (mass fractions) and speciation of waste components present in the solid phase and already classified with one or more Hazard Statement Codes related to ecotoxicity, i.e. as listed in Table 3, Annex VI of the CLP (i.e. H400, H410, H411, H412, H413, H 420). Two issues influence the reliability of the established waste classification system. First, the calculation method is based on the principle of concentration addition (i.e. the toxicity of the individual toxic components is additive), thus not considering the real interactions between the compounds present in the waste. This is due to an intrinsic limitation of the summation method, which hardly translates possible synergism and/or antagonism between substances in numerical terms.

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FORENSIC EPIDEMIOLOGY AND ECOTOXICOLOGY

Secondly, the totality of toxic-classified chemical species in the assessed mixture must be known and consequently analyzed and quantified. This process can be difficult to implement with a complex multi-component waste matrix. Moreover, although specific organic waste constituents classified as ecotoxic can be punctually measured in laboratories, analytical procedures for investigating inorganic content are able to determine only elemental concentration, the real speciation remaining largely unknown. These limitations are usually solved by applying a “worst case” assessment. This procedure assumes that the whole elemental concentration is present as the “most critical” toxic-classified substance, i.e. the substance (listed as ecotoxic in the CLP) resulting in the highest content according to the specific molecular formula, not considering substances that cannot be present because of the physical-chemical properties of the waste matrix as suggested by “expert knowledge”. Consequently, being solely based on the precautionary principle, its application can lead to the overestimation of hazard properties and unnecessary reclassification of some “mirror entries” as hazardous. Being solely based on a subjective use of precautionary principle, the “worst case” assessment is still subject to contestation by the actors involved in assessing ecotoxicity of waste. To overcome these limitations, both CLP and Regulation 2017/997/EC accept testing as an alternative procedure for the HP14 classification, which results are to prevail on the outcomes of the calculation method. Ecotoxicity testing involves performing specific battery of bioassays, which results describe an overall effect, encompassing all possible toxic sources (e.g. contaminants of concern) or synergic and/or antagonistic effects of the whole waste matrix, without the need to assume speciation of waste constituents. Currently, Regulation 2017/997/EC allows single Member States to establish testing methods, which should be consistent to procedures established in the Commission Regulation 440/2008/EC (pursuant to CLP) or “other internationally recognized test methods and guidelines”. This orientation reflects the not yet occurred agreement about a unique procedure able to summarize the heterogeneity of approach in ecotoxicity testing. As a direct consequence, different approaches are currently being assessed by the European Environmental Agencies. Among the proposals, methodological differences address the following aspects: • Which bioassay should be involved, (i.e. aquatic and/or terrestrial organisms); • Which procedure for waste sample preparation should be implemented (i.e. size reduction of solid particles; leaching procedures according to different Liquid-toSolid ratio (L/S) and pH control); • Which concentration limits (in terms of ECx) should be chosen to trigger the hazard classification. Each mentioned issue is currently addressed according to two main orientations. The first, proposed by the Italian Environmental Agency, imposes that the HP14 classification procedure for waste (testing and classification) must be fully compliant with the only institutionally acknowledged legislation, i.e. the rules established in the CLP. Therefore, test methods for HP14 involve exclusively the aquatic biotest listed in CLP (Annex 1 of ECHA guidance), i.e. fish (OECD Method 203), crustaceans (OECD Method 202 and 211) and algae (OECD Method 221). Being the CLP deficient of criteria assessing terrestrial toxicity, this approach does not need the implementation of bioassays involving terrestrial organisms on solid waste samples. Toxicity of water extracts of the waste to be classified, must be obtained from a leaching test performed according to the OECD document No.23 on testing difficult substances and mixtures, or to a more standardized protocol for transformation

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and dissolution of metals compounds (OECD document No.29). This protocol, thought for metallic products, establishes a 7-day leaching test performed at a L/S of 10^6 (i.e. 100 mg/l), a size reduction of tested solid waste particles up to 1mm and providing controlled pH range (5.5 – 8.5). The classification criteria (i.e. the concentration limits) are listed in Table 4.1.0 b) iii) of the CLP. The second, proposed by international working group lead by Germany and France, is based instead on data provided through years by several European research projects and practical solutions for laboratory issues when testing waste matrix. This approach proposes to test 3 trophic levels of both terrestrial and aquatic organisms. The proposed battery includes bioassays testing bacteria (ISO 17187), plant (ISO 11269-2) and earthworms (ISO 175121) for solid waste and bacteria (ISO 11348-3), crustacean (ISO 8692) and algae (ISO 6341) for water extracts obtained by leaching test of the waste to classify. Preparation of solid samples and water extracts should be performed according to EN 14735, officially designed for sample preparation for ecotoxicity testing. This standard requires a size reduction of solid waste sample (for both terrestrial bioassays and leaching procedure) up to 4mm and imposing a 24hr leaching test performed with a L/S of 10 (i.e. 0.1 kg/l) without providing pH control. The classification criteria introduced by this classification system are consistent with the LoW. The suggested concentration limits are the concentrations causing the maximum ecotoxicological effect for each bioassay proposed, when performed on a waste set classified non-hazardous according to the LoW. Within a forensic context where waste hazardousness must be classified and justified, following the second approach can provide more reliable scientific data. The first approach does not consider the difficulties occurring in testing derived from a Regulation (i.e. CLP) thought for products, pure substances or mixtures with a limited number of constituents (which is not the case of waste). Further, covering both terrestrial and aquatic toxicity provide a more complete characterization of the ecotoxic properties of the investigate waste material. Speaking about aquatic bioassays, leaching test procedure as established by EN 14735 results favorable. Performing leaching test at a high L/S requires a very small mass of waste material and a large volume of leachant, thus leading to representativeness issues due to the heterogeneity of the waste sample. Further, controlling the pH will miss to consider a part of ecotoxicity because some inorganic content (i.e. heavy metals), present in a bioavailable form out of the proposed range, will not be considered. The application of the proposed approaches will have a different impact on the classification of several “mirror entries� of the LoW, such as Car Fluff or Bottom Ashes from incinerated Municipal Solid Waste. Therefore, National Regulations should address the need to develop methodologies for ecotoxic classification characterized by being scientific-sound, cost-effective and able to solve issues related to specific waste types.

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Acustica forense

Aspetti normativi, metodologici e tecnici


Acustica forense: giurisprudenza, scenari e metodi di accertamento Sergio Luzzi1); Vincenzo Giuliano2); Luca Minniti3); Chiara Bartalucci1); Giacomo Nocentini1); Franco Pagani2); Carlo Poli4) Vie En.Ro.Se. Ingegneria, Firenze Associazione dei Periti e degli Esperti della Toscana, Firenze 3) Tribunale di Firenze, II Sezione Civile, Firenze 4) Camera Civile di Firenze, Firenze 1)

2)

Introduzione

Questo lavoro presenta i risultati del progetto “Scenari e metodiche di misura per l’acustica forense”, frutto della collaborazione tra giudici, avvocati e consulenti tecnici del Tribunale di Firenze. All’interno delle attività del progetto, le sentenze e i quesiti riguardanti l’acustica sono stati raccolti in un database e quindi catalogati in categorie di accertamento riguardanti le immissioni di rumore e la non conformità acustica degli edifici.

Il contesto

La Legge Quadro n. 447 del 1995 definisce l’inquinamento acustico come “l’introduzione di rumore nell’ambiente abitativo o nell’ambiente esterno tale da provocare fastidio o disturbo al riposo ed alle attività umane, pericolo per la salute umana, deterioramento degli ecosistemi, dei beni materiali, dei monumenti, dell’ambiente abitativo o dell’ambiente esterno o tale da interferire con le legittime fruizioni degli ambienti stessi”. Da questa definizione derivano le azioni giuridiche di tutela della persona e della proprietà, espresse dall’art. 844 c.c. “Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi”. Alle necessità della produzione e tenuto anche conto della priorità d’uso”. Al complesso e variegato problema delle immissioni, riferibili alla piena fruibilità dei beni materiali oltre che alla tutela della salute, si aggiunge il non meno complesso problema della non conformità acustica degli edifici, regolamentata da specifici decreti attuativi della Legge Quadro, da specifiche normative riguardanti la “regola dell’arte” e dagli articoli del Codice Civile che trattano i vizi della cosa e il risarcimento del danno. La discussione sulla normale tollerabilità, sul criterio civilistico dell’art. 844 c.c. e sul rapporto di questo con le norme di settore e con i limiti pubblicistici, in particolare quelli fissati dal DPCM 14.11.1997, ha generato problematiche legate alle possibili grandezze fisiche e metodologie utilizzabili per la valutazione delle emissioni e immissioni acustiche a ai conseguenti parametri di giudizio della loro tollerabilità, considerandone anche gli aspetti relativi alla soggettività del disturbo percepito, secondo la definizione di annoyance fornita dalla Organizzazione Mondiale della Sanità.

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ACUSTICA FORENSE I ASPETTI NORMATIVI, METODOLOGICI E TECNICI

Il progetto

Il progetto, che fa riferimento a un database di oltre 500 sentenze relative a questioni di acustica, presenta un primo punto di condivisione di approcci e metodi, rappresentati nelle 53 schede corrispondenti ad altrettante tipologie di scenario di causa, che mirano a risolvere in modo omogeneo e scientificamente corretto le varie e complesse casistiche dell’acustica forense. La giurisprudenza di merito e di legittimità, riguardante gli aspetti di acustica applicata alla valutazione del disturbo da rumore, è stata esaminata con attenzione alle metodiche di giudizio e alle relative sentenze, cercando un corrispettivo tecnico nelle schede operative. È stata effettuata una esegesi puntuale e particolareggiata dell'art. 844 del Codice Civile e una trattazione delle tematiche connesse al quadro normativo di settore dal punto di vista dell’avvocato chiamato a operare nel contenzioso riguardante le immissioni rumorose e, più in generale, l’inquinamento acustico. Lo studio ha prodotto una vera e propria linea guida sugli scenari e sui metodi per l’accertamento tecnico in materia di acustica: le numerose tipologie di sorgente analizzate e catalogate come scenari, in quanto riferibili ad almeno una sentenza che le riguarda, sono state raccolte in forma organica nelle categorie e riportate sinteticamente in tabella 1. Per ogni scenario è stata prodotta una scheda specifica, divisa in quattro sezioni, comprendenti le nozioni metodologiche generali associate alla fattispecie, inclusa una formulazione di riferimento per il quesito, seguite dalle varie fasi delle operazioni peritali, con indicazioni per la corretta e completa conduzione degli accertamenti volti a rispondere in modo esaustivo al quesito e da una sezione finale che riporta i riferimenti alle sentenze riguardanti l’argomento.

Tab. 1 – Catalogazione degli scenari di contenzioso riguardanti l’acustica e il disturbo da rumore

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A titolo di esempio, in figura 1 è riportata la prima sezione delle schede che trattano gli accertamenti tecnici delle immissioni di rumore prodotte nei due scenari tipici di contenzioso: immissione di rumore da impianti di condizionamento e immissioni da attività di ristorazione.

Fig. 1 – Esempio di schede relative a scenari tipici di contenzioso riguardanti l’acustica e il disturbo da rumore

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ACUSTICA FORENSE I ASPETTI NORMATIVI, METODOLOGICI E TECNICI

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I diversi livelli, assoluti e differenziali, e i criteri comparativi e le valutazioni di conformità edilizia sono stati distinti per contesti o scenari di rumorosità, con riferimento a sentenze e interpretazioni giuridiche e alle metodiche tecniche da adottare per l’accertamento considerando anche gli aspetti peculiari del danno biologico, morale, immobiliare derivanti da esposizione a rumore. Il danno acustico alla salute, considerato nelle diverse fattispecie valutative e nei diversi ambiti giuridici, è stato così esaminato in tutti i suoi possibili aspetti di danno uditivo ed extrauditivo, considerando le diverse patologie e la riduzione dell’integrità psicofisica del soggetto e gli elementi di danno alla salute o danno biologico rappresentati da interferenza con la comunicazione verbale, disturbo del sonno, effetti sulla salute mentale, effetti sulle prestazioni e sul comportamento derivanti dalla “annoyance”. Oltre al danno acustico alla salute si è considerato anche il danno morale derivante da problematiche di tipo acustico, che possono produrre o indurre lesioni di diritti della persona costituzionalmente rilevanti (reputazione, riservatezza, identità personale, libertà, dignità, tutela del diritto al godimento della casa di abitazione). In ultimo sono state considerate alcune casistiche di danno patrimoniale, con specifico riferimento al danno immobiliare derivante da immissioni e da carenze nell’isolamento acustico.

Conclusioni

La trattazione del rapporto tra legge e scienza, tra interpretazione giurdica e diritto obiettivo derivante dall’oggettività dell’accertamento tecnico, nello specifico del contenzioso acustico ha come fine l’indicazione di metodologie per l’accertamento a tutela dei principi e diritti fondamentali della persona nei diversi contesti civili e sociali, sempre più caratterizzati da mancanza di quiete dovuta a immissioni moleste e a carenza di corretto isolamento acustico. Il lavoro svolto dagli autori di questa memoria, a partire da una sintesi della giurisprudenza in materia di protezione dalle immissioni sonore, ha prodotto una lettura ragionata degli scenari di contenzioso con lo sguardo rivolto alle fonti del disturbo acustico. Questa impostazione, che fa riferimento a un database di oltre 500 sentenze relative a questioni di acustica, rappresenta un importante punto di condivisione di approcci e metodi, descritti nelle oltre 50 schede corrispondenti ad altrettanti scenari di causa, che mirano a risolvere in modo omogeneo e scientificamente corretto le varie e complesse casistiche dell’acustica forense.

BIBLIOGRAFIA

Scenari e metodiche di misura per l’acustica forense, S. Luzzi, L. Minniti et al., Atti del 43° Convegno Nazionale AIA, Alghero, Maggio 2016 Una raccolta di metodi per l’accertamento delle immissioni di rumore e della non conformità acustica degli edifici nelle consulenze tecniche d’ufficio, S. Luzzi, V. Giuliano et al. Atti del 44° Convegno Nazionale AIA, Pavia, Giugno 2017 Acustica Forense - Giurisprudenza, scenari e metodiche per l’accertamento S.Luzzi, V. Giuliano, L. Minniti, C. Poli, F. Pagani, in via di pubblicazione, ETS Libri 2018

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Bonifica acustica di un sito produttivo. Il CTU: tecnico, problem solver o conciliatore? Antonio Camarota Libero professionista

Premessa

Il CTU deve essere un mero tecnico, che risponde ai quesiti, a volte predisposti dagli avvocati in modo impreciso e semplicistico, ovvero un problem solver che diventa un “valido ausiliario del Giudice e senza il quale non può essere scritta una giusta sentenza” o, ancor meglio, il “dominus che, a seguito di espresso mandato del Giudice, supportato dai CCTTPP e dai legali, conduce le parti alla conciliazione della lite?”

Case study

In una area, classificata acusticamente in classe III (area agricola), era presente un insediamento artigianale di proprietà dei coniugi ROSSI, nel quale era allocata anche la loro abitazione. Dopo anni, in un lotto di terreno adiacente, si è insediato il Consorzio Agricolo Bianchi, che utilizzava un impianto di essiccazione di cereali; l’azienda impiegava gli impianti di trattamento dei cereali per circa sei mesi all’anno, ma nelle stagioni di raccolta del grano e del mais li attivava in continuo 24/24 ore e 7/7gg. La disamina del lay out aziendale ha evidenziato gravi errori progettuali; sono stati posizionati in prossimità dell’abitazione: - n° 6 silos (ndr: altezza 20 m e diametro 6 m) di stoccaggio delle granaglie; - le sorgenti sonore degli impianti aziendali (impianto di essiccazione, sistemi di sollevamento e spostamento delle granaglie, ventilatori, ecc); - le fasi di scarico e carico delle granaglie e della loro movimentazione. Nell’anno 2010, i sigg.ri ROSSI hanno depositato ricorso ex art.700 c.p.c., per far inibire l’utilizzo dell’impianto di essiccazione. Il precedente CTU accertava il superamento dei limiti di legge, ma il suo omissivo operato non ha evidenziato alle parti e al Giudice la reale entità del problema:omissioni che hanno indotto questi attori ad avere un quadro del tutto carente rispetto alle reali problematiche in essere, determinando l’inizio di lungo iter processuale. Nell’anno 2014 i Sigg.ri ROSSI proponevano appello avverso la decisione del Tribunale e il giudizio veniva assegnato ad una Corte d’Appello del Tribunale.

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TVF2018 I TREVISOFORENSIC

Il quesito affidato allo scrivente prevedeva, effettuati tutti gli accertamenti ritenuti necessari,..., di verificare se, a seguito degli interventi effettuati dal Consorzio in corso di causa, le immissioni acustiche nella proprietà degli attori superavano la normale tollerabilità, previa valutazione anche dell’impatto ambientale e dell’efficacia delle soluzioni realizzate. La perizia si è articolata in tre fasi distinte: FASE A–Caratterizzazione delle lamentate immissioni acustiche e valutazione dell’efficacia acustica degli interventi di mitigazione realizzati dal Consorzio. FASE B–Tentativo di conciliazione e acquisizione della consapevolezza da parte del Consorzio della reale situazione aziendale in relazione all’inquinamento acustico e alla pluralità di sorgenti, che determinavano le lamentate immissioni. FASE C–Slittamento dei termini per la consegna dell’elaborato peritale, realizzazione da parte del Consorzio di ulteriori interventi di mitigazione e nuova valutazione del disturbo. Durante la fase A le misure si sono protratte sia durante la fascia oraria diurna che notturna per tempi di durata variabile ( ad es. 7/7gg e 24/24 ore per il rumore del traffico veicolare). I risultati hanno documentato la: • sussistenza dell’inquinamento acustico [eccedenze di 12-14dB(A)] a causa di sorgenti rumorose [ Leq=94dB(A)]; • scarsa/nulla efficacia acustica di alcuni interventi di mitigazione [ ndr: attenuazioni variabili da 1 a 14dB(A)]; • presa d’atto del sussistere di gravi criticità aziendali, relative alle emissioni gassose e alla prevenzione incendi, che interferivano pesantemente sulla progettazione di alcuni interventi di mitigazione acustica; • prevedibilità della insufficiente attenuazione dei tre tipi di barriere proposte dal Consorzio; • disponibilità dell’azienda ad attuare ulteriori interventi di riduzione delle immissioni sonore. È emerso immediatamente il livello delle eccedenze durante la fascia oraria notturna [ndr: pari a 14 dB(A)] e questo ha indotto il Consorzio a non attivare gli impianti durante detto periodo. Se lo scrivente si fosse comportato esclusivamente come Tecnico, esperto del settore, escludendo la progettazione degli interventi di mitigazione, avrebbe concluso le OOPP e avrebbe predisposto la relazione di perizia, dando compiuta risposta al quesito peritale. Non era stato assolto ancora l’incarico, affidato verbalmente al CTU, di esperire un tentativo di conciliazione.Nel tentare la conciliazione ( FASE B) il CTU ha suggerito una pluralità di soluzioni:dalla vendita della abitazione e del successivo cambio di destinazione d’uso da abitazione ad ufficio, alla vendita parziale ovvero totale del complesso artigianale degli attori. Nessun risultato si è ottenuto. La determinata volontà del CTU di essere un Problem Solver e, quindi, di risolvere almeno la criticità del rumore, lo ha indotto a mutare i termini del problema, senza trascurare però l’obiettivo di contenere i costi di realizzazione degli interventi di mitigazione. La previsione degli elevati costi di progettazione e di esecuzione degli interventi di mitigazione e della realizzazione degli interventi senza le necessarie cautele, la certezza che una sentenza, che imponendo l’installazione di opere onerose, avrebbe innescato ulteriore litigiosità fra le parti, determinando ennesima dilatazione dei tempi per la soluzione della lite, ha indotto il CTU a risolvere questo problema per altra via e in tempi brevi.

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ACUSTICA FORENSE I ASPETTI NORMATIVI, METODOLOGICI E TECNICI

Nella decisione del Consorzio di attivarsi ha pesato il fatto, prospettato dal CTU, che, per poter progettare interventi di mitigazione idonei “anche dal punto di vista giuridico”, avrebbe dovuto entrare nel merito di problematiche aziendali ( prevenzione incendi ed emissioni gassose) che per un esperto evidenziavano gravi criticità. Nella FASE C il CTU ha suggerito al Consorzio, fra l’altro, ad es.: • alcune tipologie di nuovi interventi; • come implementare significativamente le caratteristiche di fonoisolamento degli interventi già realizzati; • di chiedere alla Corte una proroga di sei mesi dei termini per la consegna della relazione peritale ( proroga concordata, condivisa e accettata dai sigg.ri Rossi e dal loro legale).

Conclusioni

Le strategie suggerite dall’ausiliario della Corte, maturate per risolvere il problema delle immissioni sonore, hanno concesso al Consorzio il tempo necessario, per attuare le dichiarate intenzioni di contenere l’inquinamento acustico. Conclusi i sei mesi di proroga autorizzati dalla Corte, è stata accertata l’efficacia acustica degli interventi eseguiti (ndr: primo fra tutti lo smantellamento dell’impianto di essiccazione) e documentato il non superamento dei limiti di legge. Le attività di conciliazione promosse dal CTU, anche senza ottenere un verbale di conciliazione sottoscritto dalle parti, di fatto, hanno risolto in corso di causa il tema dell’inquinamento acustico evitando così alla Corte di esprimersi nel merito.

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Profili giuridici e tecnico/applicativi nella valutazione del disturbo da rumore: tolleranza giurisprudenziale e accettabilità amministrativa Arch. Marcello Alderuccio1); Arch. Antonella Miarelli2) 1)

2)

ASUIUD, Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Udine Architetto, libero professionista, Venezia

Il disturbo da rumore nella percezione del paesaggio sonoro

Il paesaggio è un sistema dinamico caratterizzato non solo dalla percezione visiva, ma anche dal prodotto degli altri stimoli sensoriali, in primis quello uditivo. Sia il concetto generale di “landscape” (paesaggio) che quello specifico di “soundscape” (paesaggio sonoro) sono entrambi incentrati sulla percezione da parte dei diversi individui, secondo una impostazione concettuale introdotta dallo studioso canadese Ray M. Schäfer nella seconda metà degli anni ’70 e codificata nel 2014 con la ISO 12913-11 in termini di modello percettivo connesso ad un fenomeno fisico (rumore) “come percepito e/o vissuto e/o compreso da una o più persone in uno specifico contesto”. È quindi “ambiente sonoro” il suono al ricettore proveniente da tutte le sorgenti e modificato dallo stesso ambiente di propagazione, è “paesaggio sonoro” l’ambiente sonoro percepito o conosciuto e/o compreso da un individuo o dalla collettività nell’ambito di uno specifico contesto. Pare pertanto assai limitativa la sua caratterizzazione mediante parametri esclusivamente energetici, in quanto - essendo questo un processo percettivo - coinvolge ciascun soggetto ricettore con le proprie molteplici caratteristiche individuali. Rumori con lo stesso livello di pressione sonora possono essere percepiti con varia intensità soggettiva ed arrecare diverso apprezzamento del disturbo, rivelando quindi l’insufficienza del corrente approccio strumentale, volto al confronto di un dato livello energetico con i limiti di riferimento.

La valutazione di accettabilità del rumore nel confronto tra le normative europee

La ricognizione compiuta dalla UNl/TR 11571-20152 a livello europeo, evidenzia come sia sostanzialmente conforme in ambito pubblicistico l’applicazione dei consueti criteri “assoluti” e “differenziali”. Con esclusivo riferimento a questi ultimi, in tutti i paesi esaminati il livello differenziale viene calcolato come differenza tra il livello equivalente del rumore a sorgente specifica attiva ed il livello residuo, corretti per tener conto di caratteristiche particolari riconosciute come peggiorative. Nel solo Regno Unito, il rumore residuo è identificato con il c.d. background noise, descritto mediante un livello percentile elevato. Per la normativa inglese i valori limite differenziali sono pari a 10 dB(A), in Francia, Italia e Portogallo invece essi appaiono sostanzialmente omogenei e sono pari a 3 dB nel periodo notturno e 5 dB nel periodo diurno. Diversa la valutazione in caso di rumore a tempo

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parziale: in Portogallo e Francia sono consentiti differenziali inversamente proporzionali alla durata dell’immissione, il Belgio invece articola i valori limite secondo la destinazione d’uso specifica degli ambienti e la fascia oraria, da 3 dB (per locali destinati al riposo) a ben 12 dB (locali di soggiorno e di servizio).

Il doppio binario di tutela nel sistema normativo italiano

Rifacendosi alla codificazione tedesca, nel nostro sistema giuridico la valutazione del disturbo da rumore è un argomento che trova regolamentazione su piani diversi e distinti, reciprocamente non interferenti: quello dei rapporti di diritto privato e quello dei rapporti pubblicistici: - I rapporti intersoggettivi che hanno nell’art. 844 del Codice Civile il loro riferimento normativo, rapporti di diritto privato, quali quelli che intercorrono tra chi è autore l’immissione e chi la subisce; - I rapporti pubblicistici in cui agiscono il soggetto produttore di rumore e la Pubblica Amministrazione, disciplinati dalla Legge Quadro n. 447/1995 e dai successivi decreti di attuazione. Differenti sono i parametri di valutazione delle due tutele: l’accettabilità/ammissibilità per la tutela pubblicistica, che difende la quiete pubblica, e la normale tollerabilità per tutela privatistica, nei rapporti tra privati. Molteplici ed autorevoli autori3 sono fondamentalmente concordi nel sostenere che questi due diversi piani normativi risultano differenziati ed autonomi, ma che tuttavia tale chiarezza si intorbidisce quando sia necessario passare dal piano concettuale a quello pratico ed operativo della sua valutazione tecnica, risultando peraltro anche disuguali e diversamente articolate le metodiche di rilevamento. Le incertezze, inoltre, si sono sicuramente accentuate con la Legge 13/2009, che ha tentato di operare una sorta di commistione tra i due ambiti. Sul punto però due autorevoli pronunce, la Corte Costituzionale (Ord. n. 103 del 24 marzo 2011) e le Sezioni Unite della Cassazione (Sent. n. 4848 del 27 febbraio 2013), eliminano ogni dubbio interpretativo, ritenendo ancora non coincidenti i limiti di accettabilità amministrativa ed il limite civilistico della normale tollerabilità. Nello specifico quindi, la giurisprudenza distingue le immissioni illecite quando superano la soglia prevista dalla normativa tecnica, dalle immissioni intollerabili ex art. 844 c.c., lesive del diritto ad una normale qualità della vita. In concreto quindi: - L’ammissibilità della tutela pubblicistica indica quel livello di immissione rumorosa, considerata in relazione ad un ambiente esterno o abitativo, che, prescindendo dalle esigenze del suo fruitore, sia compresa entro un limite minimo ed uno massimo prefissati dalla norma di riferimento (i limiti differenziali di cui al DPCM 14/11/97, quando applicabili); - La tollerabilità civilistica indica invece quel livello massimo di immissione rumorosa, considerata in relazione allo specifico fruitore di un bene, che sia tale da non attentare alla sua integrità psicofisica se non eccessivamente intrusivo sul c.d. rumore di fondo, determinato ricorrendo ad opportuno descrittore acustico (il livello percentile L95, secondo la prevalente giurisprudenza). Il dualismo tra accettabilità e tollerabilità non pone in essere alcuna questione conflittuale. Secondo entrambe le metodologie occorre effettuare due misurazioni, quando la sorgente del rumore è attiva e quando è inattiva. La differenza tra i due criteri non è soltanto numerica, 5 dB (di giorno) o 3 dB (di notte) per il criterio amministrativo e 3 dB per il criterio civilistico, è anche metodologica, perché diverse sono le modalità di caratterizza-

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zione strumentale, risultando talvolta un rumore accettabile per il limite differenziale del DPCM 14/11/97 e tuttavia non tollerabile in quanto non rispettoso del criterio comparativo sul rumore di fondo, demandando in tal caso al concreto apprezzamento del Giudice ogni decisione di merito.

BIBLIOGRAFIA

UNI ISO 12913-1, 2015 “Paesaggio sonoro. Definizione e impostazione concettuale”. UNl/TR 11571-2015, “Rassegna dei metodi per la valutazione del rumore da sorgenti fisse riportati in norme tecniche o in provvedimenti legislativi nazionali in relazione alla sua accettabilità”. Contributi diversi, citati nel testo integrale del documento “Profili giuridici e tecnico/applicativi nella valutazione del disturbo da rumore: tolleranza giurisprudenziale e accettabilità amministrativa”, M. Alderuccio, A. Miarelli per TVF2018, disponibile sul sito www.trevisoforensic.it.

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Contenzioso legale in acustica dell’involucro edilizio e in acustica ambientale Casi studio Massimo Rovere

1. Caso studio di un contenzioso legale tra una attività commerciale ed un appartamento di civile abitazione

Viene presentato un primo caso studio riguardante un contenzioso legale in cui l’attore proprietario di un appartamento invoca la verifica del criterio comparativo della normale tollerabilità secondo l’articolo C.C. 844 nei confronti di un esercizio commerciale confinante e posizionato al piano sottostante all’appartamento.Questo caso mette in luce che la progettazione acustica preliminare in fase progettuale è l’elemento fondamentale perché rappresenta il primo step del progetto esecutivo.Il caso descrive l’accertamento tecnico preventivo attraverso il quale il CTU dovrà rispondere al quesito del giudice verificando l’esistenza dei vizi ed individuandone le possibili soluzioni.Il caso termina con una proposta risolutiva da parte del convenuto.

2. Caso studio di un contenzioso legale riguardante un edificio monofamiliare di civile abitazione

Viene presentato un secondo caso studio riguardante un accertamento tecnico preventivo nel quale la CTU dovrà discriminare le varie problematiche riguardanti un edificio monofamiliare nel quale l’attore lamenta vizi acustici causati da rumorosità proveniente dall’esterno verso l’interno delle camere da letto.L’isolamento acustico delle facciate secondo le norme dell’involucro edilizio sono importanti ma non fondamentali per ottenere un comfort acustico all’interno dei vani interni delle abitazioni.Il caso mette in relazione gli aspetti legati all’acustica ambientale della rumorosità delle infrastrutture stradali con le caratteristiche di isolamento acustico dell’involucro edilizio quali sono le facciate e le coperture.

BIBLIOGRAFIA

Guida all’acustica degli edifici, Massimo Rovere, EPC Editore 2013 Manuale di acustica, Renato Spagnolo Città studi 2014

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Rumori e vibrazioni indotte da impianti negli edifici-misure in situ Daniele Bortoluzzi1); Alessandro Marzi2); Andrea Cerniglia3) Libero professionista Libero professionista 3) ACCON Italia Srl 1)

2)

1. Introduzione

Il rumore indotto da impianti a servizio degli edifici residenziali esistenti è un problema con cui ci si scontra giornalmente – es. la lavatrice del vicino etc… Un caso più emblematico è rappresentato del rumore degli impianti tecnologici a servizio degli edifici quali ad esempio UTA, chiller, etc. Se dal lato progettuale il dimensionamento di questi impianti è ben consolidato e noto, meno affrontato è invece il problema delle vibrazioni/rumore e relativo calo di comfort. Nel corso degli anni le case produttrici hanno cercato di far fronte alle problematiche di rumorosità portando sul mercato modelli sempre più silenziosi. Inoltre, hanno proposto diverse soluzioni per la limitazione delle vibrazioni introducendo specifici sistemi antivibranti alla base delle macchine stesse. Talvolta però tali sistemi sono posizionati “come da regola” in contesti che non sono quelli standard vanificandone in parte, di fatto, gli effetti come evidenziato nel caso studio del presente lavoro. Nel presente si riportano i dettagli di una campagna di misure di rumore e vibrazione condotte dagli autori in un caso reale.

2. Caso studio

Il presente caso studio riguarda le misure in situ effettuate in una abitazione posta all’ultimo piano di una palazzina al di sopra della quale è installato un chiller. Lo studio è partito a seguito delle lamentele del proprietario della suddetta abitazione il quale ha segnalato il disturbo da rumore arrecato dal chiller ubicato proprio al di sopra della propria abitazione (Figura 1). Il chiller poggia su di un telaio in acciaio realizzato con 2 travi HE260A principali su cui si innestano 3 traverse IPE 200. Il collegamento macchina-telaio è realizzato mediante 6 dispositivi antivibranti. Sul telaio si trova inoltre una macchina non più operativa.

3. Misure sperimentali

Lo scopo delle misure è stato quello di andare ad associare, con buona approssimazione, il legame fisico-meccanico fra il rumore lamentato dall’inquilino con il funzionamento della macchina stessa. Per raggiungere ciò le misure in situ si sono divise in tre fasi: Misure di rumore in abitazione; Misure accelerometriche alla base degli antivibranti; Analisi modale sperimentale.

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ACUSTICA FORENSE I ASPETTI NORMATIVI, METODOLOGICI E TECNICI

a)

b)

c) d) Fig. 1 – a) Pianta dell’abitazione in oggetto (sopra-sinistra); b) posizione del chiller in questione rispetto all’abitazione (sopra-destra); c) schema del telaio metallico di supporto (sotto-sinistra); d) foto del telaio (sotto-destra).

3.1 Misure di rumore nell’abitazione

La prima fase di misura ha riguardato la misura del rumore nella stanza dell’abitazione disturbata. Per verificare l’entità del rumore immesso all’interno dell’appartamento, si è resa necessaria l’esecuzione di un’indagine fonometrica [1]. Le indagini fonometriche sono state svolte mediante utilizzo della seguente strumentazione: • Fonometro: “Larson Davis”, modello “831” (integratore e analizzatore “Real Time” monocanale), numero di serie 0003314, di “Classe 1”, conforme alle specifiche richieste dal D.P.C.M. 16/03/1998. • Microfono: per campo libero da 1/2”, marca “PCB Group Company”, modello 377B02, numero di serie LW135632, di “Classe 1” adeguatamente protetto da cuffia antivento. • Calibratore: “Larson Davis”, modello “CAL 200”, numero di serie 10264, di “Classe 1”. Si riportano di seguito i riferimenti legislativi e normativi e le metodologie di misura: • D.P.C.M. 05/12/1997 – “Determinazione dei requisiti acustici passivi degli edifici” - Tabella B - Requisiti Acustici Passivi degli Edifici, dei loro Componenti e degli Impianti Tecnologici • UNI EN ISO 16032:2005 – “Misurazione del livello di pressione sonora di impianti tecnici in edifici – Metodo tecnico progettuale”.

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Si è proceduti quindi alla prima campagna di misurazione come segue: 1. Identificazione della postazione d’angolo P1 e di numero 2 misure in campo riverbe­ rante (P2 e P3); 2. Misure in bande di 1/1 ottava (63 – 8000 Hz); 3. Correzione con livello di fondo; 4. Segnalazione presenza toni puri in bande di 1/3 ottava (senza che venga tuttavia prevista alcuna correzione, ai sensi della norma) Il Livello equivalente continuo ponderato A rilevato è risultato LAeq = 34 dB (> 25 dB previsti per edifici residenziali). Le analisi mostrano inoltre come la quasi totalità dell’energia sonora risulti concentrata a 50 Hz, frequenza questa compatibile con la frequenza di rete a servizio dell’edificio.

3.2 Misure accelerometriche alla base degli antivibranti

Per cogliere al meglio l’interazione macchina-telaio è stata assunta la condizione di operatività massima dell’impianto (chiller al suo massimo regime). Le misure di accelerazioni in testa e ai piedi dei dispositivi antivibranti evidenziano che in due dispositivi (“m2” e “m3”) vi sia una amplificazione del segnale ai piedi degli stessi. I risultati pertanto mostrano la parziale inefficacia del sistema antivibrante installato, lasciando intravedere un’interazione dinamica fra dispositivi e struttura metallica di supporto.

3.3 Analisi Modale Sperimentale

La prova [2] è stata condotta a macchina spenta per non introdurre nel sistema vibrazioni forzanti esterne non note a priori. Il test si è svolto sollecitando il telaio in diversi punti con un maglio, connesso ad un trasduttore di forza, mantenendo un accelerometro in posizione fissa. L’analisi della risposta in termini di frequenza Frequency Responce Function evidenzia un picco a 160 Hz ed una risposta marcata nell’intorno dei 125 Hz e 65 Hz; frequenze queste compatibili con quanto emerso nelle misure accelerometriche di cui in precedenza.

4. Conclusioni

Lo studio ha evidenziato l’inefficacia parziale degli antivibranti installati riconducibili in prima analisi, alla luce dei dati in possesso, a: • dimensionamento e posizionamento non corretto dei sistemi stessi per il caso in esame; • piano di appoggio dei dispositivi non perfettamente orizzontale; • struttura di supporto (telaio in acciaio) non sufficientemente rigida da garantire la piena efficacia dei dispositivi. Attività future potranno riguardare campagne di misurazioni mirate all’approfondimento del comportamento dinamico del in modo da poter tarare ed estrapolare un modello e relativo metodo di lavoro da replicare in caso di problematiche simili [3].

BIBLIOGRAFIA

[1] Pascali M., Acustica ambienti interni, Grafill, Palermo, 2010 [2] Cerniglia A., Analisi dei modi di vibrazione, RCI, 8 (1999), pp. 245-264 [3] Approccio numerico-sperimentale per la valutazione e il controllo delle vibrazioni prodotte dagli impianti tecnologici negli edifici; Alessandro Marzi, Andrea Cerniglia, Daniele Bortoluzzi. Associazione Italiana di Acustica 44° Convegno Nazionale - Pavia, 7-9 giugno 2017

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Contributo sulla “normale tollerabilità” La normale tollerabilità art. 844 c.c. VS legge amministrativa L. 447 Claudio Gino Gianni

Ingegnere, Specialista in acustica ambientale, CTU, Componente della Commissione di Acustica della Federazione degli Ingegneri della Toscana

Due citazioni in premessa

From Wikipedia Leo Leroy Beranek (September 15, 1914 – October 10, 2016 → aged 102) was an American acoustics expert, former MIT professor, He authored Acoustics, considered a classic textbook in this field. POLIMI - DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA CIVILE E AMBIENTALE PROGRAMMA Tecnico Competente in Acustica Ambientale, 160 ore 1. … 2. … 3. … … 32. La normale tollerabilità art. 844 c.c. vs legge amministrativa L. 447. 33. … 34. ESAME FINALE

Incarico assegnato

Il giudice stabilisce di avvalersi di ausiliario tecnico, formula i quesiti e conferisce il seguente incarico: “Il CTU, esaminati gli atti di causa e la documentazione allegata, sentite le parti ed i loro consulenti tecnici, previo accesso sui luoghi, ed espletata ogni altra opportuna indagine: 1. Descriva la situazione dei luoghi, …. ; 2. Dica se nell’immobile dei ricorrenti si verifichino immissioni rumorose, ……. ; 3. Rilevi, con l’impiego di idonea strumentazione …….. ; 4. Dica se i valori delle suddette immissioni, rilevate presso l’abitazione dei ricorrenti, superino i limiti di legge e/o superino i limiti della normale tollerabilità valutata, in base al criterio comparativo dei 3 dB sul rumore di fondo, rilevato nel periodo di misura in assenza della attività specifica della resistente; 5. Indichi, in caso di superamento dei limiti, quali misure siano idonee a ricondurre entro la soglia della normale tollerabilità le immissioni di cui sopra, indicando i rimedi da adottare ed i lavori da eseguire per raggiungere l’obiettivo richiesto, specificando se essi comportino modifiche strutturali dell’immobile, nonché il presumibile costo dei medesimi ed i tempi necessari per la realizzazione dei lavori; 6. Esperisca il tentativo di conciliazione;

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Normale tollerabilità

Il quesito del giudice chiede di valutare se il rumore immesso, confrontato con il “Rumore di Fondo” e con il “Rumore Residuo” superi o meno la “Normale Tollerabilità”. La percezione individuale deve divenire “Normale” e quindi, in qualche modo, oggettiva. La pubblicistica più recente sembra ritenere che il confronto tra i valori di rumore ambientale immesso, valutato con il parametro Leq, ed il rumore di fondo, valutato con il parametro L95, possa individuare la “Normale Tollerabilità”, appena sono superati i 3 dB di differenza. Il confronto tra rumore ambientale ed rumore residuo (valutato con i singoli Livelli Equivalenti Leq) debba essere utilizzato per verificare il rispetto delle normative di Acustica Ambientale e, quindi, la ammissibilità normativa dell’edificato o della attività. La rilevanza e la accuratezza delle due valutazioni è oggetto di continua riflessione con differenti interpretazioni nella pubblicistica. Cercheremo di capire come risolvere la questione, almeno di dare le indicazioni che possono servire ad aiutare il Giudice a capire quale è la effettiva condizione ambientale da valutare. Preme sottolineare che il numero 3 dB non è casuale. Un aumento di 3 dB di un rumore ambientale corrisponde al raddoppio della potenza riconducibile alla molteplicità dei suoni che lo costituiscono. Non solo. In un qualunque colloquio la percettibilità del parlato dell’interlocutore è assicurata solo si giunge all’orecchio con almeno 3 dB in più rispetto al rumore circostante. Nonostante ciò ancora non si può stabilire se la Normale Tollerabilità collegata alla immissione di rumori all’interno degli ambienti di vita possa essere superata con il superamento del limite dei 3 dB da parte del Rumore immesso (Leq livello medio con tempo di integrazione “Slow”, pari a 1000 ms.). L’immagine sotto rende decisamente evidente la effettività del problema, una medesima serie di rumori impulsivi emessi con cadenza di due secondi restituisce (nel medesimo fonometro integratore) tre “Numeri” enormemente diversi: Impulse → 64.8 dB Slow → 52.2 dB Fast → 32.1 dB

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ACUSTICA FORENSE I ASPETTI NORMATIVI, METODOLOGICI E TECNICI

La percettibilità di un rumore intrusivo è certa con il superamento di almeno 3 dB del rumore residuo presente nel momento, ed è altrettanto evidente che possono aversi effetti di mascheramento per la presenza di rumori di altro genere percepiti (se dò un colpo di tosse devo chiedere “Scusa puoi ripetere?”), ma la immissione di rumore è evidentemente disturbante se viene percepita più spesso e con continuità nel tempo. Il Rumore di Fondo, definito come sopra, è il valore medio presente nel 95% del tempo di misura, accidentalmente superato da immissioni di rumori eterogenei ma decisamente saltuari. Nella attuale pubblicistica il Rumore di Fondo misurato come detto viene denominato “Silenzio Relativo”, come a significare che nella normale attività umana accadono continuamente microepisodi che producono rumori, ma la sensazione che riceviamo esclude la loro rilevanza quando sono effettivamente rari. (cinguettio, latrato, bicchiere che cade, grida di bambini) sono fastidiosi solo se continuamente presenti, ma vengono sostanzialmente ignorati se in forma sporadica. Quale sia la soglia di sopportazione o di disturbo è evidentemente individuale.

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Analisi di dettaglio dell’andamento diurno

Nelle figure sopra si mettono a confronto le storie temporali di misura e di residuo. Entrambe sono riferite ai peggiori 15 minuti della sessione di misura. Le “Creste di rumore” tipiche del rumore antropico, sono numerosissime e spesso si configurano come modulazione di ampiezza di rumori esterni (SEL di passaggio auto). La valutazione sviluppata è obbligatoriamente eseguita sulle misure fisiche effettuate ed il confronto è decisamente complesso. l’unica soluzione è affidarsi alla media statistica (confermando l’affidabilità della valutazione in base al valore scarto quadrato medio). Si comprende quindi che se il valor medio del rumore immesso in ambiente di vita valutato come valor medio nel tempo di misura (estesa per almeno 30 minuti) è superiore di almeno 3 dB al rumore di fondo, ciò significa che per almeno 30 minuti il rumore immesso è decisamente percepibile. Occorre ripetere che si parla di valore medio. (in un ristorante molto affollato il colloquio con il nostro commensale è faticoso, è necessario urlare per essere certi che il nostro parlato venga percepito perché il nostro parlato deve raggiungere l’orecchio dell’amico con una potenza superiore di almeno 3 dB rispetto ai rumori che giungono dall’intorno).

Sensibilità dell’orecchio umano

Analogamente a quanto detto appena sopra si deve sottolineare che la misura “Fisica” del rumore deve essere pesata “A” per simulare la sensibilità media (e standard) dell’uomo, ma l’orecchio umano NON è un trasduttore lineare, attenua l’intensità del rumore percepito secondo l’andamento della curva di ponderazione “A”. Quindi ogni misurazione di rumore è riferita alla sensibilità di un orecchio umano medio e standardizzato. Conseguentemente la percezione individuale è minimizzata o accresciuta inevitabilmente da mille concause (non scientificamente correlabili). Un rumore impulsivo che superi di 10-20 dB il rumore di fondo (o rumore residuo), distoglie l’attenzione, interrompe la conversazione, risveglia dal sonno, impedisce l’ascolto, più semplicemente possiamo dire “è intollerabile”, come è evidente che il colpo del tacco in una camminata è una piccola frazione del tempo del passo. Eseguendo l’integrazione del rumore con tempo di risposta “Slow” la restituzione grafica esegue immediatamente un media all’interno del tempo di risposta per cui il rumore del colpo di tacco si confonde con il tempo complessivo del passo ed il valore calcolato è decisamente inferiore, ma la percezione è invece chiarissima ed evidente, e disturbante, e intollerabile. Normalmente il fonometro rileva il rumore con tempo di risposta “Slow”, perché questo è il tempo di risposta dell’orecchio umano, ma è altrettanto vero che in presenza di un rumore improvviso ed inaspettato si ha immediatamente uno smarrimento. L’analisi del rumore residuo con tempo di risposta “Fast” e la sua integrazione come L95 individua con maggior precisione la condizione di quiete propria dell’ambiente di vita e consente, quindi di conoscere con maggior certezza se l’immissione di rumore è effettivamente disturbante. Analizzando il rumore residuo all’alba, in primavera inoltrata, in ambiente urbano ma prossimo ad un viale alberato, si hanno valori decisamente significativi per le continue grida delle rondini (ciascun grido, con tempo di risposta “Impulse” supera comodamente i 50 dB). In questa situazione la differenza tra Leq, ed L95 della medesima misura si ha una grande differenza. Cioè si arriva a dire che il rumore residuo e disturbante.

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ACUSTICA FORENSE I ASPETTI NORMATIVI, METODOLOGICI E TECNICI

Normale tollerabilità

Quanta sopportazione si ammette se il rumore immesso è generato dalle simpatiche rondinelle e non si ammette per il falegname che lavora ad un mobile? Il Tecnico non deve fare differenze il rumore deve essere oggettivo e discendere da misure. Quando la sorgente del disturbo è spenta, il rumore di fondo è il valore medio dei minimi. La normativa tecnica, precisa che il rumore di fondo è il livello sonoro statistico L95, cioè che viene superato nel 95% della durata della misurazione. Ed è questa condizione di silenzio relativo o di rumore di fondo che rappresenta la “condizione dei luoghi” richiesta dall’art. 844 c.c. per il confronto con l’immissione del rumore intrusivo per poi accertarne se vi sia eccedenza del limite di tollerabilità di giurisprudenza. La misurazione del livello equivalente non soddisfa ai requisiti di certezza necessari per la valutazione giudiziaria. Il rumore residuo, essendo il valore medio, per definizione fisico-matematica è sempre maggiore del rumore di fondo, che è il valore medio dei minimi. Invece la differenza tra rumore ambientale (valore medio) e rumore intrusivo (valore istantaneo) dipende dal tipo di rumore, se impulsivo, fluttuante o continuo. Di regola la differenza tra intrusivo e fondo è maggiore della differenza tra ambientale e residuo. La maggiore differenza che si riscontra con le misurazioni istantanee esprime la maggiore risoluzione e perciò sono più adatte per valutare il disturbo delle immissioni. Il difetto principale del livello equivalente è che non tiene nel giusto conto né i momenti di rumore intrusivo né quelli di silenzio relativo (rumore di fondo) ma si limita a farne la media. I parametri di valutazione sono estratti dalla misura strumentale. Il confronto tra Leq, omogenei e tra L95 omogenei, così come il confronto tra tutti gli altri parametri disponibili L10, L20, L50, L90, l’analisi per bande di terzi d’ottava e l’individuazione di toni puri e di rumori impulsivi, ma anche di toni “Quasi Puri” e “Quasi Impulsivi”, possono consentire di individuare con maggiore accuratezza la effettiva condizione dei luoghi. Anche le misure sono suscettibili di interpretazione, ed è evidente che la responsabilità sulla scelta di quali parametri indagare e quali confronti utilizzare è decisamente rilevante e spesso deve discendere dalla percezione del CTU sul posto e dall’analisi dei luoghi nel corso della indagine. Il DPCM stabilisce, quali sono i parametri che consentono l’avvio di una attività umana (criterio differenziale 5 dB di giorno e 3 dB di notte), il criterio differenziale è applicabile nei rapporti tra Pubbliche Amministrazioni e privati, mentre può essere solo un riferimento non esaustivo nei rapporti tra privati. Ma una attività umana (anche commerciale) disturba se supera di 3 dB il Rumore Residuo anche di giorno?

Leo Leo Beranek

Credo che sia utile, invece, fare un passo indietro, ritornare agli inizi della Acustica moderna (L.L. Beranek) e ricondursi alla Raccomandazione ISO/R-1966 del 1971 (oggi ritirata e non più sostituita); i cui principi possono consentire di individuare un criterio valutativo di protezione della salute delle persone e la tutela del diritto alla quiete costituzionalmente garantito. In particolare la raccomandazione ISO non stabilisce un criterio per comprendere quale sia la “Normale Tollerabilità”, bensì individua su base statistica una scala di reazione della popolazione in relazione a gradi successivi di superamento del “rumore di fondo”:

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Eccedenza di 0 dB(A)

Nessuna reazione da parte della popolazione.

Superamento fino a 5 dB(A)

Reazione moderata (lamentele sporadiche).

Superamento fino 10 dB(A)

Possibile reazione media (lamentele diffuse e minaccia di azioni legali).

Superamento fino a 15 dB(A) Superamento di 20 dB(A)

Certezza di reazione forte, si avviavano azioni legali. Fortissima reazione (e conseguenti vigorose azioni legali).

Risulta evidente e banale una correlazione tra il livello di superamento del “rumore di fondo” e la definizione di normalità secondo la ISO/R-1966. La conformità con la normativa nazionale stabilisce che una attività sia lecita, ma ciò non esime dal fatto che la stessa possa generare disturbo e quindi danno e quindi diventare illegittima. È evidente che il libero diritto di intraprendere non può travalicare il diritto primario alla salute. Allora si può concludere che il confronto tra il Livello di rumore intrusivo ed il livello del rumore di fondo possa dare indicazioni sulla normale tollerabilità (Lintrusivo – Lfondo) secondo i criteri della Raccomandazione ISO R 1996, ma anche il confronto tra il livello di rumore ambientale ed il residuo (Lambientale – Lresiduo) possa dare indicazioni secondo il criterio differenziale con l’accortezza di considerare lecito il limite dei 3 dB anche di giorno se i ricettori disturbati sono ambienti destinati al riposo e considerare lecito il limite di 5 dB se i ricettori disturbati sono ambienti di vita non destinati al riposo. Ma anche questa distinzione rileva profili di dubbio che lasciano ampio spazio a contestazioni. In ogni caso è la sensibilità e la capacità di discernimento del CTU che può individuare quei parametri, rilevati con il rilievo di rumore e discriminati con la verifica sul posto, che consentono di comprendere quale sia la reale situazione dei luoghi e delle immissioni di rumore per consentire al Giudice di esprimere un Giudizio. L’analisi in post processing è un elemento rilevante della relazione tecnica e la condivisione dei dati di misura in forma di tabella diviene l’elemento minimo per assicurare la partecipazione delle parti e consentire il diritto alla difesa. Certo di aver inserito numerosi elementi di dubbio, senza risolvere le incertezze, concludo il presente contributo augurando buon lavoro e buona fortuna.

BIBLIOGRAFIA

L. L. Beranek – Noise and noise control – New York 1971 Dott. Ing. Sergio Luzzi - Quesiti e metodologie di accertamento per l’acustica forense, Vademecum per la formulazione dei quesiti e Criteri di scelta della Valutazione 2017 Giudice Dott. Marco Cecchi– Tribunale di Arezzo – Sezione Civile - La protezione giuridica dal rumore: fatto e diritto nella Giurisprudenza di merito e legittimità 2017

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Ingegneria forense nel settore ambientale ed energetico


La normale tollerabilità e la sua misura: principali problemi dei metodi disponibili e ricerca di un criterio oggettivo Marco Caniato

Dipartimento di Scienze e Tecnologia - Libera Università di Bozen - Bolzano

Federica Bettarello

Studio Associato Acusticamente – Conegliano (TV)

I limiti di rumorosità di sorgenti specifiche sono regolamentati da decreti pubblicistici e possono essere determinati grazie all’utilizzo di linee guida (normative) specifiche che ne definiscono: (i) campo di applicazione, (ii) limiti di utilizzo, (iii) metodi di misurazione e (iv) di presentazione dei risultati. Quando viene richiesta la verifica della sussistenza o meno di un determinato disturbo rumoroso, sussistono pertanto condizioni tali da permettere di produrre un risultato paragonabile ai valori limite inclusi in decreti specifici. Se il disturbo da rumore si appalesa invece tra privati, è ormai prassi comune ricorrere alla risoluzione mediante la verifica del superamento della “normale tollerabilità”, secondo quanto definito dall’articolo 844 del Codice Civile. Per la definizione di tale parametro non esiste ad oggi purtroppo alcuna definizione, alcuna linea guida o alcun modus operandi oggettivo e di riferimento. Si apre quindi il dibattito su come “misurare” la normale tollerabilità e su quali siano i limiti a cui riferirsi per avere un confronto certo. Si fa notare infatti che il decibel (dB) non è un’unità di misura, ma un’indicazione di scala logaritmica. Ciò fa sì che la metodologia di misura influenzi fortemente il risultato ottenibile e se non viene definito a priori il processo metodologico, parlare di valori di riferimento o valori limite può diventare del tutto aleatorio. È ormai diventata prassi comune (esistono infatti a riguardo alcuni articoli di opinione, qualche comunicazioni a convegno o forum in internet) determinare il rispetto o meno della normale tollerabilità mediante il cosiddetto “criterio comparativo”, ossia per “differenza” tra il “valore misurato” ed il cosiddetto “rumore di fondo”, determinando quest’ultimo mediante il valore del 90° o 95° percentile del valore misurato (ossia quel valore che durante il rilievo fonometrico di riferimento viene superato per il 90 o 95% del tempo di misura). Se tale differenza (ottenuta mediante una ratio non univocamente definita) eccede i 3 dB si considera superata la soglia della normale tollerabilità e quindi viene accertato il disturbo. Le lacune insite in tale metodologia sono molteplici. Ciò nonostante il metodo descritto continua ad oggi a trovare applicazione a causa di un’errata interpretazione secondo la quale la Suprema Corte di Cassazione in molte sentenze lo ha convalidato come corretto. In realtà non è così: si fa notare infatti che la Cassazione non entra mai nel merito della

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INGEGNERIA FORENSE NEL SETTORE AMBIENTALE ED ENERGETICO

bontà o meno della metodologia di determinazione della prova, ma solo nell’analisi della metodologia utilizzata dal magistrato per svolgere il suo lavoro. Quindi la Suprema Corte si limita ad argomentare che il magistrato, peritus peritorum, ha utilizzato un metodo (nel qual caso il comparativo, ma molte sentenze presentano l’utilizzo anche semplicemente della testimonianza verbale) per arrivare alla sentenza. Non si esprime e non si può esprimere sul fatto che il criterio comparativo sia idoneo, corretto, efficace, scientifico o meno, ma asserisce semplicemente l’idoneità ad utilizzare un metodo per la determinazione della prova. Sarà il magistrato a scegliere quale. Sgombrato dunque il campo dal “problema giuridico”, si apre quindi quello scientifico. Come già definito precedentemente vi è un problema di definizione di molti parametri, quali ad esempio: - quante misure effettuare? si considera una media delle misure effettuate o meglio prendere in considerazione il valore massimo ottenuto? - la durata della misura da cosa dipende? - chi può fare queste misure? deve essere un tecnico competente in acustica ambientale o no? - il fonometro deve essere in classe 1 o 2? deve essere usato un fonometro o è sufficiente un programma sul computer, smartphone o tablet? - la differenza di 3 dB è uno standard fisso? vale per tutti i casi? - la misura deve essere fatta dentro le abitazioni o anche all’esterno? solo in ambienti abitabili oppure anche in ambienti diversi? - può essere fatta a finestre aperte? a finestre chiuse? in tutti e due i casi? - c’è una differenza tra giorno (sera) e notte? - il ricettore può definire autonomamente l’utilizzo degli ambienti o ci si riferisce al catastale? e in mancanza dello stesso? - quale frequenza di campionamento è da utilizzare? - che pesatura (filtro) in frequenza? la differenza tra valore misurato e rumore di fondo si può fare anche solo per determinate frequenze o solo per il livello finale? Come si nota dall’elenco sopra riportato, limitato per brevità, la misura e quindi la determinazione del disturbo mediante un criterio comparativo lascia moltissimi margini di aleatorietà al CTU, che di fatto opera nella determinazione della prova con un suo personale giudizio e senza una base oggettiva, scientifica e affidabile di riferimento. Questo comporta un enorme problema: non vi è alcuna possibile ripetibilità del metodo e nessuna riproducibilità. In parole povere e un altro CTU opererà la medesima valutazione otterrà certamente un valore diverso, stante l’aleatorietà del metodo! Inoltre, l’aspetto che presenta il maggior grado di incertezza rimane ancora la definizione del cosiddetto “rumore di fondo”. Per capire infatti se la metodologia che vede nella scelta del 90° o 95° percentile del rumore misurato la definizione di tale parametro sia corretta o meno si riportano due osservazioni: - se il disturbo è causato da una sorgente specifica, quando tale sorgente viene meno si presuppone che il disturbo cessi di esistere; pertanto sembrerebbe ovvio considerare il “rumore di fondo” come “quell’insieme di rumori che si rileva quando si esclude la specifica sorgente disturbante” (ovvero quello che nel D.M. 16/3/98 “tecniche di rilevamento e di misurazione dell’inquinamento acustico” viene definito come “livello di rumore residuo”);

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- il “rumore di fondo” calcolato come 90° o 95° percentile del rumore misurato fa molto di più: elimina anche tutti gli altri rumori non oggetto del contenzioso; infatti secondo tale metodo, quando si agisce per determinare il disturbo si opera la misura del rumore con sorgente accesa e poi per valutare il disturbo non serve spegnere la stessa, ma artificialmente (in post elaborazione) si eliminano tutti i rumori, anche quelli ad essa non connessi come il traffico, gli uccellini, il rumore antropico, il frigorifero attivo nell’abitazione del lamentante, etc. Questa operazione non trova scientificamente una spiegazione, se non quella di forzare l’ottenimento di un valore che certamente comporterà il superamento della soglia dei 3 dB. Eliminando infatti tutti i rumori, qualsiasi alterazione comporterà un disturbo. Anche il respiro del CTU stesso. Concludendo, l’utilizzo del metodo comparativo per la determinazione del superamento o meno della normale tollerabilità, così come è oggi concepito nel nostro Paese, non permette di dare al magistrato la certezza scientifica della prova. Fortunatamente, vi sono ad oggi disponibili nella letteratura scientifica internazionale, così come nelle normative tecniche di altri paesi, molti metodi provati, affidabili e ripetibili, basati su studi epidemiologici di ampia scala per la determinazione di tale disturbo, ai quali si rimanda per una più completa ed esaustiva comprensione del problema. Si auspica quindi che i magistrati si affidino a tecnici coscienziosi che utilizzano metodi scientifici per la determinazione delle prova e che all’atto della redazione del quesito non impongano comunque al CTU di utilizzare tale metodo lacunoso, non scientifico e quindi non affidabile.

BIBLIOGRAFIA

M. Caniato; F. Bettarello, C. Schmid, P. Fausti, Assessment criterion for indoor noise disturbance in the presence of low frequency sources, Applied Acoustics, Volume 113, 1 December 2016, Pages 22–33, DOI 10.1016/j.apacoust.2016.06.001 DIN 45680 – Measurement and evaluation of low-frequency noise immissions in the neightbourhood, 1997 ISO 7029:2000, Acoustics -- Statistical distribution of hearing thresholds as a function of age

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Contaminazione delle acque sotterranee proveniente dall’esterno del sito: obblighi dei soggetti non responsabili Ostoich M.1); Mason L.1); Gattolin M.2); Alderuccio M.3); Cantarella L.1); Tomiato L. 1); Zambon M.1)

1) ARPA Veneto. Servizio Controllo Ambientale, Dipartimento Provinciale di Venezia 2) Città Metropolitana di Venezia, Servizio Ambiente 3) ASUIUD, Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Udine

Introduzione

Nell’ambito del Sito di Interesse Nazionale (SIN) di Porto Marghera-Venezia la presenza di diverse e significative contaminazioni storiche dei suoli e delle acque sotterranee, nonché la vicinanza di siti produttivi diversi e la presenza di materiali di riporto nel suolo dovuti all’imbonimento in fase di realizzazione delle aree industriali con materiali costituiti da scarti produttivi, ha determinato diverse situazioni complesse nella definizione della responsabilità della contaminazione delle acque sotterranee. La definizione delle effettive responsabilità risulta importante alla luce della Sentenza della Corte di Giustizia Europea 4/03/2015 ai fini della definizione degli obblighi del proprietario anche non responsabile, sul quale gravano comunque le misure di prevenzione di cui all’art. 245 del D.Lgs. n. 152/2006 e smi. Numerose sentenze sono disponibili sia a livello di Tribunali Amministrativi Regionali (TAR) italiani che di Consiglio di Stato sulla questione. È orientamento unanime l’impossibilità di imporre al proprietario non responsabile interventi di messa in sicurezza di emergenza e bonifica a meno di iniziativa di parte. Non risulta sempre chiara nella normativa vigente invece la distinzione di interventi di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza (MISE) in particolare in situazioni in cui la contaminazione ha carattere storico. Al fine di consentire il recupero delle aree dismesse, di evitare la propagazione di acque sotterranee contaminate in siti attigui, di evidenziare eventuali situazioni di contaminazione dovuta a valori di fondo ed al fine anche di applicare la recente disciplina sui reati ambientali in attuazione della direttiva 2008/99/CE, occorre poter disporre di un quadro operativo chiaro in merito alle misure di prevenzione da attuare, un quadro storico delle attività svolte nel sito e valutare l’impiego di eventuali contaminanti traccianti. La definizione di un modello idrogeologico approfondito del sito e la esecuzione di un piano di indagine esaustivo costituiscono il primo passo fondamentale che va condotto rigorosamente per evitare errori sia sul piano amministrativo che eventualmente su quello civile e penale. Sono presentati alcuni casi significativi desunti dalle esperienze in campo con l’evidenziazione dei problemi effettivi e delle possibili soluzioni con particolare riferimento al SIN di Venezia.

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Contaminazione delle acque sotterranee e ricerca del responsabile

Sono numerosi i casi di situazioni di contaminazione delle acque sotterranee in cui la sorgente dell’inquinamento è esterna al sito o alla porzione indaga; in tali casi la contaminazione delle acque sotterranee si presenta anche in assenza e/o in presenza di contaminazione diversa della porzione insatura. Si tratta di situazioni in cui la contaminazione della falda freatica deriva da monte idrogeologico e non è imputabile - né totalmente né parzialmente - alla proprietà del sito interessato. Sulla base dell’evoluzione normativa, della giurisprudenza e dei casi concreti esaminati si evidenzia che: 1. La P.A. procedente non possa imporre la bonifica di una matrice contaminata al proprietario/utilizzatore non responsabile. 2. Il soggetto non responsabile può comunque agire di propria iniziativa. 3. È possibile, invece, imporre al proprietario non responsabile l’adozione e messa in opera delle misure di prevenzione ex art. 245 necessarie ad evitare rischi per la salute sia delle persone che utilizzano il sito sia di quelle che vivono/lavorano nelle aree adiacenti nonché la propagazione dell’inquinamento, per ragioni di urgenza. Ai sensi dell’Allegato III parte IV Titolo V vi sono misure di prevenzione che di fatto coincidono con la MISE (si veda ad esempio l’emungimento di piezometri nella zona di confine priva di barriere fisse). 4. La P.A. può comunque imporre al proprietario non responsabile di eseguire l’Analisi di Rischio (AdR) per la determinazione del rischio sanitario associato al/i contaminante/i rinvenuti e di utilizzare l’area in modo compatibile con tali valori anche mettendo in atto idonee misure di prevenzione. La rivalsa del proprietario sul soggetto responsabile attiene al rapporto privatistico tra terzi. 5. È in capo alla P.A. (Provincia/Città metropolitana), ai sensi dell’art. 244 del D.Lgs. n. 152/2006 e smi, la ricerca del responsabile. La verifica dell’effettiva responsabilità di contaminazione deve essere condotta attraverso l’individuazione delle sorgenti primarie (ad es. cisterna) e/o secondarie (ad es. suolo contaminato) correlabili all’attività del proprietario (attuale) attraverso la caratterizzazione idrogeologica certa della/e falda/e ed il loro monitoraggio sia a monte che a valle per un numero di campagne rappresentativo. Si evidenzia che in area di pianura, ed in particolare laddove sono presenti anche riporti storici, la circolazione della falda può non essere chiara e può risultare difficile definire con certezza l’effettiva direzione di deflusso.

Attribuzione della responsabilità

L’attribuzione della responsabilità della contaminazione delle acque richiede dunque l’accertamento dell’uso attuale e/o passato delle sostanze contaminanti nei cicli produttivi o comunque in uso presso il sito e la contaminazione del terreno al fine della verifica del nesso di causalità. Qualora entrambe questi aspetti siano esclusi il nesso di causalità non può essere provato e ragionevolmente la contaminazione può provenire dall’esterno. È possibile pertanto ricondurre i diversi casi riscontrabili alle seguenti situazioni: 1. Problema di inquinamento di acque sotterranee con suolo pulito ed evidenza inequivocabile che le acque contaminate provengono da monte (quindi chiara situazione idrogeologica e acque a monte contaminate e assenza di tali sostanze nei cicli dell’azienda posta sul sito). In questo caso al proprietario in quanto non responsabile non è possibile chiedere di bonificare ma nemmeno di mettere in atto le misure di prevenzione.

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2. Proprietario di terreno contaminato, oltre alle acque contaminate, ma non responsabile di tale inquinamento; in aggiunta, il monte idrogeologico non risulta contaminato. In questo caso risultano imponibili al proprietario le misure di prevenzione ed è imponibile la valutazione del rischio sanitario. 3. Situazioni in cui non è chiaro se l’inquinamento provenga effettivamente dall’esterno del sito in base all’idrogeologia locale con presenza contemporanea di contaminazione del terreno e di contaminazione delle acque sotterranee nel monte idrogeologico. In questo caso è imponibile al proprietario la valutazione del rischio sanitario. 4. Siti che ricadono nella perimetrazione del SIN: in questo caso per il solo fatto di appartenere al SIN tutti i siti sono considerati in via presuntiva “potenzialmente contaminati”; nel caso di Porto Marghera vi è peraltro una presenza diffusa e significativa di riporto costituito da scarti di produzione e lavorazione. Pertanto è richiesta al proprietario l’applicazione delle misure di prevenzione. Si intende quindi definire un quadro di riferimento per l’operatività delle Agenzie Ambientali (ARPA) in supporto agli enti Amministrativi (Ministero, Regioni, Province, Comuni) sulla base della normativa vigente, dei riferimenti giurisprudenziali e dell’esperienza finora sviluppata.

Discussione e conclusioni

Alla luce del quadro europeo sul danno ambientale, sulle misure di prevenzione e riparazione di cui alla Direttiva 2004/35/CE ma anche della normativa italiana D.Lgs. n. 152/2006 sia sul danno ambientale che sulla bonifica dei siti contaminati, nonché sulla base delle numerose sentenze dei tribunali amministrativi ma in particolare della sentenza della Corte di Giustizia Europea del 4/03/2015 sulla tassatività di imposizione degli interventi di bonifica al responsabile della contaminazione, le attività di individuazione del responsabile della contaminazione e la messa in atto delle adeguate e soprattutto efficaci misure di intervento sono aspetti fondamentali ed imprescindibili in capo agli Enti competenti che richiedono valutazioni tecniche anche molto complesse. Il presente lavoro ha considerato un’area con elevata contaminazione da solventi clorurati all’interno del SIN di Venezia Porto Marghera, per la quale il soggetto proprietario ha provveduto a transazione con lo Stato per la compensazione del danno ambientale attraverso la partecipazione ai costi per la realizzazione delle opere di riabilitazione mediante la realizzazione di un sistema di marginamento con palancole e la raccolta delle acque sotterranee ed il loro trattamento in impianto centralizzato. Oltre alla notevole estensione e sostanzialmente alla diffusa contaminazione da solventi clorurati, il sito appare interessante dal momento che vi sono state cessioni di proprietà e quindi cominciano ad essere presenti altri soggetti ma anche perché nell’attiguo e confinante canale attraverso i monitoraggi istituzionali svolti dall’Agenzia regionale nella stazione della rete acque superficiali sono stati riscontrati in particolari periodi livelli significativi di solventi clorurati. In funzione del livello della falda visti i contaminanti riscontrati non si può escludere che l’inquinamento presente nella più vicina stazione di monitoraggio provenga dal sito contaminato; d’altro canto, considerando che anche nel canale esterno in passato erano presenti scarichi con solventi clorurati e che il sedimento è stato contaminato non si può escludere anche il fenomeno di contaminazione dall’esterno verso l’interno. Fondamentale è dunque l’accertamento del nesso di causalità tra azione causa del fenomeno di contaminazione ed effetto, cioè della contaminazione della falda.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

D.Lgs. 3/04/2006, n. 152 “Norme in materia ambientale”, GURI n. 88 del 14/04/2006. Direttiva 2004/35/EC, del 21/04/2004 sulla responsabilità ambientale per la prevenzione e la riparazione dei danni ambientali, GUCE n. L 143 del 30/04/2004. Direttiva 2008/99/CE del 19/11/2008 sulla tutela penale dell’ambiente, GUCE n. L 328 del 6/12/2008. Legge 22/05/2015 n. 68 “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”, GURI del 28/05/2015 n. 122. Sentenza della Corte di Giustizia Europea del 4/03/2015 causa C534/13, http://curia.europa. eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=162668&doclang=IT

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L’individuazione del soggetto responsabile della bonifica dei siti contaminati ASUIUD, Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Udine ARPA Veneto. Servizio Controllo Ambientale, Dipartimento Provinciale di Venezia 3) Città Metropolitana di Venezia, Servizio Ambiente 1)

2)

Alderuccio M.1); Cantarella L.2); Ostoich M.2); Ciuffi P.3); Gattolin M.3); Tomiato L.2); Zambon M.2)

Introduzione

La Direttiva 2004/35/CE (Environmental Liability Directive, ELD) ha introdotto l’obbligo dell’attribuzione degli oneri relativi agli interventi di ripristino e riparazione (“remediation”) in capo al soggetto responsabile del danno (o pericolo di danno) ambientale. Per la contaminazione del suolo e delle acque sotterranee, la ricerca del responsabile, sulla base della Parte IV Titolo V del D.Lgs. n. 152/2006, è il presupposto necessario per poter imporre interventi di messa in sicurezza, caratterizzazione e la bonifica del sito. Nelle situazioni di contaminazioni non recenti tale identificazione risulta particolarmente difficile e deve essere basata su un’attenta ricostruzione storica delle attività che hanno generato la contaminazione e sulla individuazione di contaminanti traccianti utilizzabili al fine di definire con ragionevole certezza il nesso di causalità tra attività produttiva, ovvero condotta omissiva, e fenomeno di contaminazione riscontrato. Il lavoro presenta l’approccio seguito nella ricostruzione storica in un sito in cui sono stati interrati rifiuti speciali pericolosi in un’area industriale-artigianale e le indagini ambientali preliminari necessarie a definire lo stato di contaminazione e l’area interessata dal fenomeno. Sono presentate le tecniche analitiche adottate in relazione agli specifici contaminanti riscontrati, costituiti da solventi organo-clorurati, caratterizzati da elevata tossicità, persistenza nelle matrici ambientali e capacità di bioaccumulo. Le indagini effettuate e le conseguenti valutazioni sono presentate nell’ottica di fornire un quadro metodologico nell’approccio all’individuazione del responsabile ma anche alla luce dell’applicazione della normativa sui reati ambientali introdotta dalla L. n. 68/2015 (che ha recepito la Direttiva 2008/99/CE).

La ricerca del responsabile della contaminazione

La giurisprudenza si è più volte espressa in merito alle indagini che la Pubblica Amministrazione (PA) è chiamata a svolgere al fine di accertare la responsabilità di un inquinamento ambientale, in ottemperanza all’art. 239 del D.Lgs. n. 152/2006 (cosiddetto Testo Unico dell’Ambiente, TUA), che, nel formulare i principi generali della materia, richiama le norme comunitarie con particolare riferimento al principio “chi inquina paga” (art. 3-ter dello stesso TUA): il principio deriva dalla Direttiva 2004/35/CE sulla responsabilità ambientale e il cardine su cui si basa tale assunto consiste nell’obbligo di imputazione degli oneri ambientali, derivanti da una condotta omissiva o commissiva, al medesimo soggetto che ha causato la compromissione ambientale. In conformità a tale principio, gli artt. 242 c. 1 e 244, c. 2 del TUA stabiliscono che, riscontrato un fenomeno di contaminazione di un sito, gli

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interventi di messa in sicurezza, di caratterizzazione, di bonifica e di ripristino ambientale possono essere imposti dalla PA solamente ai soggetti responsabili dell’inquinamento, che abbiano in tutto o in parte generato la contaminazione tramite un proprio comportamento non diligente e legato all’inquinamento da un preciso nesso di causalità. In tal senso, l’art. 244 del TUA chiarisce che, individuato un fenomeno di contaminazione, la PA deve procedere ad “opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell’evento di superamento”. La facoltà di intervento spontaneo da parte del proprietario nell’ambito del procedimento di bonifica non elide, inoltre, il dovere della Provincia/Città Metropolitana di attivarsi per l’individuazione dell’autore dell’inquinamento, attraverso l’avvio del procedimento previsto dall’art. 244 del medesimo decreto. È, quindi, sempre necessario un rigoroso accertamento al fine di individuare il responsabile della contaminazione, nonché l’accertamento del nesso di causalità che lega il comportamento del responsabile all’effetto consistente nella contaminazione della matrice ambientale. Tale accertamento presuppone una adeguata istruttoria procedimentale, non essendo configurabile una sorta di responsabilità oggettiva facente capo al proprietario o al possessore del sito in ragione di tale sola qualità, il che implica la ricerca di prove concrete e tecnicamente sostenibili, non potendo l’accertamento basarsi su mere presunzioni. La conoscenza delle attività svolte nel tempo in un sito costituisce elemento fondamentale per poter identificare la potenziale sorgente di contaminazione e definire eventuali contaminanti traccianti da utilizzare nella definizione del nesso di causalità. La disponibilità di traccianti specifici, in tutta evidenza, semplifica il compito di valutazione; diversa è la situazione in cui invece vi possono essere valori di fondo per cause naturali relativamente ai contaminanti considerati. Tale ricostruzione deve partire da informazioni disponibili sulle attività svolte recuperabili presso gli Enti pubblici (in primis il Comune); tra le informazioni la ricostruzione dell’assetto urbanistico ed edilizio costituisce elemento basilare. Il Sindaco, peraltro, rappresenta l’autorità sanitaria locale. L’azienda sanitaria (ASL) può anche contribuire a fornire informazioni legate all’attivazione industria “insalubre”: il TULSS RD n. 1265/1934 conferisce al Sindaco la competenza ad autorizzare sul proprio territorio le attività che possono comportare problemi di natura igienico-sanitaria, cosiddette “industrie insalubri”, e demandano all’ASL l’espressione dei pareri in supporto ai provvedimenti del Sindaco. Le attività tecniche svolte devono tenere conto di tutti i presupposti giuridici previsti dal D.Lgs. n. 152/2006 e smi, della nutrita giurisprudenza esistente ma soprattutto della Sentenza della Corte di Giustizia Europea del 4/03/2015. Alla luce di questa Sentenza e di altri pronunciamenti della Giustizia Amministrativa Italiana, dell’applicazione dell’art. 257 (“omessa bonifica”) del D.Lgs. n. 152/2006 e non ultime delle modifiche del Codice Penale introdotte dalla L. n. 68/2015, che ha previsto all’art. 452-terdecies del CP il reato di “omessa bonifica”, l’identificazione del responsabile della contaminazione diventa un punto nodale in tutti i procedimenti di bonifica e richiede uno sforzo significativo sia dal punto di vista economico che tecnico alle Pubbliche Amministrazioni interessate.

Il caso studio: contaminazione da solventi clorurati

Nel presente lavoro viene presentato e discusso il caso specifico di contaminazione storica da solventi organo-clorurati riscontrata casualmente durante le attività di emungimento acque nell’ambito della MISE in un sito attiguo, interessato dal plume della contaminazione. Il sito in cui per primo è stata riscontrata la compromissione risulta prossimo ad altre potenziali sorgenti e le vie che hanno veicolato il contaminante non sono di immediata evidenza, circostanza che ha richiesto complesse ed approfondite attività di verifica analitica. Il lavoro si concentra sulle indagini preliminari necessarie per avere contezza del quadro ambientale e per individuare la sorgente di contaminazione, al fine di poter disporre di tutti gli ele-

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menti necessari e sufficienti alla identificazione del responsabile della contaminazione e sostanziare pertanto i successivi provvedimenti amministrativi volti alla predisposizione del Piano della Caratterizzazione, dell’Analisi di Rischio Sanitario-Ambientale sito specifica, del conseguente Progetto Operativo di Bonifica in presenza di rischio, in esecuzione di quanto previste dall’art. 242 del TUA. Lo scarso franco della falda dal piano campagna (circa 1 m) e la specificità dei contaminanti riscontrati (caratterizzati da elevata tossicità, persistenza e bioaccumulabilità) ha richiesto - dal punto di vista sanitario - di considerare l’interdizione a fini preventivi dei potenziali utilizzi diretti umani delle acque ad uso potabile e irriguo provenienti da pozzi per uso domestico o da corso d’acqua superficiale. Il caso è stato affrontato sotto profili diversi, ma complementari: 1) profilo amministrativo; 2) profilo storico e urbanistico (ricostruzione attività antropiche e produttive, trasformazione dell’area e utilizzi); 3) profilo ambientale (indagini preliminari/caratterizzazione ambientale del sito); 4) profilo degli interventi e del ripristino ambientale (riparazione). In particolare sarà affrontato il tema degli obblighi spettanti al soggetto autore dell’inquinamento, alla proprietà (incolpevole) e all’Ente Territoriale in caso di inerzia delle parti e di intervento sostitutivo con recupero delle spese anticipate.

Criteri generali nella ricerca storica

Il TUA precisa che l’approccio storico è di fondamentale importanza nelle valutazioni connesse alla contaminazione ambientale ed alle successive procedure di bonifica e risanamento delle matrici ambientali (riparazione). La ricostruzione storica delle attività svolte in un dato contesto spaziale e temporale è propedeutico e funzionale a qualsiasi valutazione analitica nonché all’organizzazione spaziale dei dati ed all’elaborazione infine dei modelli concettuali, preliminare e definitivo (Parte IV - Titolo V, Allegato 2 D.Lgs. n. 152/2006 e smi). La norma tecnica tuttavia non dettaglia criteri e procedure, che rimangono funzionali alla comprensione delle attività produttive e delle conseguenze che hanno portato allo stato attuale dei luoghi. In generale quindi la ricostruzione storica citata dal Titolo V del D.Lgs. n. 152/2006 ha lo scopo di ricercare, raccogliere e coordinare ogni tipo di informazione riguardante le attività svolte presso il sito in esame nel corso della sua evoluzione negli anni, ricostruendone in modo organico e possibilmente non frammentario lo sviluppo, le trasformazioni, i processi produttivi che hanno interessato i luoghi e l’intorno prossimo, inclusi gli eventuali eventi accidentali che possono aver prodotto l’inquinamento del sito, evidenziando - in ragione delle attività ivi svolte - le aree a maggiore potenziale presenza di contaminazione ed i possibili percorsi di migrazione in relazione alla morfologia del sito.

Discussione e conclusioni

La questione della identificazione del responsabile delle contaminazione è di cruciale rilevanza nell’ambito dei procedimenti ex art. 242 D.Lgs. n. 152/2006 in caso di superamento della CSC per la definizione del soggetto tenuto a procedere alla messa in sicurezza del suolo e delle acque sotterranee ed alle eventuali fasi successive, nonché sotto il profilo dei provvedimenti amministrativi necessari e delle eventuali responsabilità penali. L’individuazione del responsabile della contaminazione risulta fondamentale nell’applicazione del principio “chi inquina paga” ma soprattutto per definire il soggetto che dovrà farsi carico degli interventi di bonifica. È evidente che le attività tecniche sono il presupposto indispensabile di tutto l’impianto investigativo e devono integrarsi e fondarsi sulle basi giuridiche la cui origine trova precisa fonte nell’ordinamento europeo di cui alla Direttiva 2004/35/CE (environmental liability). È altrettanto evidente che è indispensabile la partecipazione attiva di tutti i soggetti (Enti) coinvolti per ottenere una prova certa di responsabilità (Cantore, 2017).

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L’esecuzione corretta e coerente delle indagini ambientali può avvenire solamente alla luce di una accurata e completa analisi storica del sito basata su informazioni desunte da documentazione reperita da diversi enti, dall’evoluzione urbanistica ed edilizia del sito, dall’uso di strumenti basati sulle immagini satellitari, ecc. Le attività di ricerca storica devono consentire di accertare con sicurezza le informazioni “anagrafiche” del sito riguardanti estremi catastali, proprietà, destinazione urbanistica e nominativi delle società che hanno operato sul sito, la tipologia delle attività svolte e le sostanze coinvolte nei cicli produttivi in relazione alla tipologie dei parametri rilevati in concentrazioni superiori alle CSC. Deve poi essere reso evidente il nesso di causalità tra la condotta del soggetto individuato come “responsabile” e la contaminazione riscontrata. La mancata individuazione del responsabile comporta l’impossibilità di applicazione del principio comunitario “chi inquina paga” ma a cascata rende impossibile l’imposizione ad alcun soggetto le attività di caratterizzazione, analisi di rischio e se del caso la presentazione ed esecuzione di un progetto di bonifica. Questa attività, prettamente interdisciplinare, in capo alla Provincia/Città metropolitana, richiede la stretta sinergia con Comune e ARPA e richiede risorse tecniche, umane, economiche e mezzi non sempre disponibili. Peraltro l’organizzazione di questa attività richiede l’utilizzo di personale e mezzi per tempi che in genere possono andare da alcuni mesi a oltre l’anno come dimostra il caso presentato. Lo studio presentato sinteticamente riguarda un caso di contaminazione storica dovuta ad interramento di rifiuti e contaminazione derivante da un impianto di gestione rifiuti dismesso. I traccianti individuati (solventi organo-clorurati) hanno facilitato la ricerca essendo tendenzialmente molto persistenti e tossici. L’accurata ricostruzione storica ha permesso di valutare e mirare l’indagine ambientale: essa ha consentito di escludere una serie di sorgenti di fatto potenzialmente responsabili almeno in linea teorica ma poi divenute non correlabili al fenomeno. Appare rilevante che tra indagine storica in merito al contesto fisico e temporale ove è avvenuto l’inquinamento e l’indagine più propriamente ambientale esiste un rapporto di reciprocità. La ricostruzione nel tempo delle attività che venivano svolte presso il sito orienta la ricerca dei parametri ambientali, ma vale anche il contrario: il superamento dei parametri rilevati deve trovare giustificazione nelle attività proprie dell’area, al fine sia di rendere congruente l’indagine ambientale sia di poter definire correttamente il profilo delle responsabilità. Si tratta pertanto di due aspetti fondamentali, necessari, mutui e sinergici, attraverso i quali si inquadra una situazione complessa quale la compromissione delle matrici ambientali ed il loro ripristino.

RIFERIMENTI NORMATIVI E BIBLIOGRAFICI

Cantore Rosanna, 2017, “La partecipazione di tutti i soggetti coinvolti per ottenere la prova di responsabilità”, responsabile Servizio Bonifiche Siti Contaminati della Città metropolitana di Milano. Milano, 6 luglio 2017. D.Lgs. 3/04/2006, n. 152 “Norme in materia ambientale”, GURI n. 88 del 14/04/2006. Direttiva 2004/35/EC, del 21/04/2004 sulla responsabilità ambientale per la prevenzione e la riparazione dei danni ambientali, GUCE n. L 143 del 30/04/2004. Direttiva 2008/99/CE del 19/11/2008 sulla tutela penale dell’ambiente, GUCE n. L 328 del 6/12/2008. Legge 22/05/2015 n. 68 “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”, GURI del 28/05/2015 n. 122. RD 27/07/1934 n. 1265, “Testo unico leggi sanitarie”, GURI 9/08/1934 n. 186.

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Impianti di biodigestione e di combustione: quando un contratto genera contenzioso P. Provenzano; G.Q. Iddas

GQI Associati, Engineering and Architecture

L’interesse crescente nel trattamento dei rifiuti e nella produzione di energie rinnovabili provenienti da essi ha indotto gli investitori ad indirizzare risorse su impianti di produzione di biomasse e di riutilizzo delle medesime, mediante sistemi svariati. I fornitori di tali impianti, tavolta, volti a competere in un mercato non ancora sufficientemente esperiente, si spingono a proporre garanzie che, di fatto, risultano difficilmente raggiungibili. Non sempre, inoltre, i contratti riescono a garantire le parti dalle criticità tecniche o da interazioni complesse tra committenti, general contractor, subappaltatori. Gli autori, attraverso la descrizione di due impianti diversi per natura, scopi e ubicazione, il primo di biodigestione liquami e il secondo di combustione a biomassa, illustrano le problematiche insorte al momento del collaudo e nelle successive prove di messa in esercizio. Per entrambi i due impianti sono state accertate difformità rispetto alle pattuizioni di contratto e difetti di fornitura e progettuali, che hanno dato luogo a controversie, per la cui risoluzione gli autori sono stati incaricati. La verifica delle contestazioni ha reso necessario il riavvio degli impianti, la relativa messa in funzione, e il controllo delle prestazioni. I casi di studio confermano che nel trattamento di biomasse, come nella produzione di energie rinnovabili, i fattori maggiormente incidenti sono i costi di costruzione dell’impianto, i costi della biomassa, la sua gestione e la sua manutenzione. Un corretto business plan non può prescindere dai rischi connessi all’uso di materie organiche disomogenee e di natura variabile nel tempo. Affinché il contratto possa tutelare tutte le parti, occorre preliminarmente analizzare l’intero sistema in cui l’impianto è inserito, si da verificare gli elementi che hanno ingresso, la natura, le caratteristiche e l’eventuale variabilità, nonché la destinazione del prodotto finale. Tale analisi è utile anche per esplicitare le criticità insite nei rapporti tra i sottoscriventi il contratto e per tutelarne i relativi rischi. La quantificazione dei rischi, infatti, deve essere tenuta in conto nel modello finanziario a base di investimenti per impianti innovativi e deve essere adeguatamente scongiurata con l’approfondimento di contratti specifici.

Impianto di biodigestione

Il primo impianto presentato dagli autori è stato concepito per permettere la trasformazione dei liquami e del digestato in materiale palabile, gestibile con minori rischi di impatto ambientale grazie alla riduzione del contenuto di nutrienti ed in particolare di azoto. Il committente, un’azienda agricola dedita all’allevamento di bovini, ha commissionato l’im-

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pianto ad una società che commercializzava impianti pubblicizzati nelle riviste di settore come capaci di trasformare il liquame in “ammendante compostato misto”. Il venditore si avvaleva della collaborazione di una seconda società subappaltatrice che forniva la componente meccanica e impiantistica. Il contratto prevedeva la vendita al committente di un impianto per il trattamento di 22 litri di liquame per m³ di biomassa strutturante al giorno, mentre restavano a carico della committente le opere edili, consistenti in una vasca rettangolare in cemento armato, coperta da una tettoia, per l’allettamento del substrato di biomassa strutturante (Fig.1), sulla quale versare reflui zootecnici. Per la vasca era previsto in contratto un pozzetto per la raccolta dell’eventuale percolato. La componente meccanica e impiantistica comprendeva un’apparecchiatura semovente, tipo carroponte, sul quale erano montate le attrezzature che operavano la distribuzione del liquame, la movimentazione e l’ossigenazione della biomassa. Il contratto, tuttavia, non definiva né le caratteristiche del refluo da trattare, né il prodotto ottenibile in uscita dall’impianto, né le specifiche strutturali della biomassa sulla quale spargere il liquame. Le poche informazioni fornite dal venditore, inoltre, si rivelavano assolutamente insufficienti per consentire scelte consapevoli da parte del committente. I rilievi condotti nell’azienda hanno permesso di accertare tra i reflui zootecnici si raccoglievano sia le deiezioni prodotte in azienda, sia le acque meteoriche raccolte dalle aree scoperte. Si accertava che la vasca era priva di un pozzetto per la raccolta del percolato che, pertanto, tendeva a ristagnare al suo interno. La distribuzione del liquame avveniva originariamente per tracimazione, dalla canaletta in acciaio posta anteriormente al carroponte. La presenza di sostanza secca e di lunghe fibre vegetali, frammiste alle deiezioni, tuttavia, determinava la ripetuta ostruzione di condotti e pompe. Il venditore, pertanto, attraverso operatori del fornitore delle parti meccaniche, aveva cercato di ovviare all’in-

Fig. 1 - Vista dell’area di deposito della biomassa per il trattamento del liquame e modifica del sistema di spargimento

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INGEGNERIA FORENSE NEL SETTORE AMBIENTALE ED ENERGETICO

conveniente modificando il sistema di distribuzione del liquame sul letto di biomassa attraverso un sistema di tre diffusori puntiformi, in sostituzione del sistema a tracimazione originario (fig.1). La distribuzione puntiforme mediante tre diffusori, tuttavia, se da un lato permetteva di ovviare ai problemi di intasamento, non consentiva uno spargimento uniforme, determinando, conseguentemente un rallentamento delle fasi di avvio del processo di biodigestione. L’analisi dell’impianto e le verifiche sul funzionamento hanno evidenziato che la vendita e la successiva definizione dei rapporti contrattuali non è stata preceduta da un’analisi globale dell’azienda sulla quale operare. Uno studio preliminare dell’azienda avrebbe, invece, consentito di caratterizzare le specifiche del refluo e le migliori specificità dell’impianto, del sistema di raccolta, di triturazione e spargimento, le caratteristiche strutturali della biomassa e il sistema di drenaggio e raccolta della fase liquida, nonché il sistema di gestione del materiale ottenuto anche in relazione al sistema legislativo in vigore al momento della stipula del contratto.

Impianto di combustione

Il secondo caso riguarda un impianto cogenerazione alimentato con biomassa legnosa per la produzione di energia elettrica e di calore. L’impianto è stato commissionato nella quasi totalità delle componenti, ad eccezione della turbina, ad una società già impegnata nel settore energia che intendeva esplorare le possibilità di un nuovo settore commerciale. Nonostante la committente intendeva utilizzare come combustibile una biomassa eterogenea, il contratto stabiliva il conferimento di un cippato con caratteristiche ben definite, soprattutto in termini di umidità. Per le evidenti discrepanze tra desiderata del committente e pattuizioni contrattuali, in fase di collaudo erano state formulate delle riserve al rilascio di un esito positivo. Gli autori hanno provveduto alla riattivazione dell’impianto, individuando, oltre a difetti e difformità minori, comunque risolvibili, un difetto nella turbina, proveniente dalla fornitura di terzi. All’esito della prova è risultato che l’impianto alimentato con materiale conforme al contratto è in grado di produrre il quantitativo di vapore richiesto. Solo a causa dei blocchi della turbina non si era potuto stabilizzare l’impianto sui livelli di produzione massima di energia elettrica alla turbina previsti, in corrispondenza dei quali la stessa andava in blocco. Nonostante lo sforzo profuso da entrambe le parti, non è stato possibile raggiungere un accordo, con la correzione dei difetti riscontrati per il fatto che il committente si sarebbe comunque ritrovato con un impianto diverso da quello prospettato nel proprio business-plan. L’analisi tecnico-economica del sistema biomassa-energia non può, pertanto, essere limitata all’impianto di produzione, in quanto il combustibile rappresenta un fattore determinante nella produttività energetica. Una progettazione integrata deve essere alla base della commercializzazione di tali tipi di impianti, anche per permettere la stipula di contratti che possano comprendere e definire tutti gli aspetti e le interazioni che l’intero processo comprende.

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L’attività peritale nel contenzioso amministrativo per gli impianti fotovoltaici incentivati in Conto Energia: principali casistiche delle violazioni rilevanti Giuseppe Mastropieri; Barbara Paulangelo REA Srl – Reliable Energy Advisors

Revoche e rimodulazione di tariffe incentivanti in seguito all’attività di controllo del GSE – Gestore dei Servizi Energetici Srl

Il Gestore dei Servizi Energetici - GSE S.p.A., in qualità di soggetto attuatore dei meccanismi di incentivazione degli impianti di produzione di energia elettrica e termica alimentati da fonti rinnovabili, effettua verifiche mediante controlli documentali e sopralluoghi sugli impianti finalizzate ad accertare la sussistenza o la permanenza dei presupposti e dei requisiti per il il mantenimento degli incentivi. Con l’emanazione del D.M. 31 gennaio 2014 del MiSE (di seguito D.M. Controlli), sono state disciplinate in modo abbastanza rigoroso, ai sensi dell’articolo 42 del D. Lgs. 28/11, le modalità operative di effettuazione dei controlli con sopralluogo da parte del GSE sugli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e sono state individuate le cosiddette “violazioni rilevanti” ovvero le violazioni che laddove accertate comportano la decadenza dagli incentivi. Il D.M. Controlli ha altresì previsto la possibilità per il GSE di individuare ulteriori violazioni o inadempimenti da ritenersi rilevanti qualora ne sia conseguito, ugualmente, un indebito accesso agli incentivi, nonché ulteriori violazioni cosiddette minori, che comportano una riduzione della tariffa incentivante. L’attività di verifica svolta dal GSE ha assunto negli anni crescente rilevanza con oltre 10.000 controlli effettuati negli ultimi 4 anni (in applicazione di quanto previsto dall’art. 6, comma 2 del DM Controlli):

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INGEGNERIA FORENSE NEL SETTORE AMBIENTALE ED ENERGETICO

Verifiche svolte N° Sopralluogo Documentali Potenza complessiva N° Violazioni Minori accertate Rilevanti Importi indebitamente percepiti e oggetto di recupero

2014

2015

2016

2017

3.188

2.919

3.553

1.674

2.798 390 568 MW 243 173 70

2.086 833 675 MW 412 302 110

2.220 1.333 818 MW 961 272 689

1.572 102 1.505 MW 2.421 Nd Nd

17 mln€

41 mln€

107 mln€

196 mln€

Considerata la rilevanza delle poste in gioco e un qualche margine di discrezionalità riconosciuto al GSE dallo stesso DM Controlli nella verifica e rilievo delle violazioni (nonché delle relative sanzioni), è facile comprendere il sorgere di numerosi i contenziosi in sede amministrativa volti ad ottenere l’annullamento dei provvedimenti di decadenza delle tariffe incentivanti e/o l’annullamento delle richieste di restituzione dei benefici indebitamente percepiti: solo nel corso del 2017, sono sorti circa 600 contenziosi su tematiche relative ad incentivi previsti per gli impianti fotovoltaici. Sotto il profilo delle contestazioni di natura tecnica, uno dei filoni più corposi afferisce ai casi di accertamento della mancata certificazione di provenienza da Paesi UE dei pannelli installati sugli impianti fotovoltaici che hanno ottenuto l’accesso alla maggiorazione tariffaria – cd. “Bonus Made in EU” - prevista dal Quarto e Quinto Conto Energia nel caso di utilizzo di componenti prodotti in Unione Europea. Numerosi sono infatti i casi di contraffazione di pannelli cinesi (spacciati per europei) o i casi in cui le certificazioni presentate al GSE sono risultate false, non corrispondenti ai pannelli installati o comunque non riconducibili ad un sito di produzione europeo1). Altra violazione accertata con elevata frequenza dal GSE riguarda l’elusione della cosiddetta norma sull’artato frazionamento (art. 12, comma 5 del D.M. 5 maggio 2011 e art. 29 del DM 23 giugno 2016), ovvero la realizzazione da parte dei medesimi soggetti, o comunque nell’ambito di una medesima iniziativa imprenditoriale, di impianti contigui dichiarati però, sia ai fini dell’ottenimento del titolo autorizzativo, sia ai fini dell’ottenimento delle tariffe incentivanti, come singoli impianti, ovvero non considerando l’effetto cumulo delle potenze (che in taluni casi avrebbe potuto comportare un valore di tariffa spettante più basso di quello percepito). Si sono aperti poi nel corso degli anni numerosissimi giudizi amministrativi riguardanti il mancato completamento dei lavori degli impianti entro i termini temporali previsti dalla Legge 129/2010, cd. Salva-Alcoa. Le principali contestazioni in questo caso riguardano le fotografie inviate al tempo al GSE la cui finalità avrebbe dovuto essere proprio quella di accertare l’installazione di tutti i componenti e il completamento dei lavori entro i termini previsti, ma che in molti casi raffigurano invece componenti non installati o non cablati o uno stato dei luoghi diverso da quello attuale. A tal proposito, si è consolidata la giurispru1) A tal riguardo occorre però ricordare che nel 2017 sono intervenuti due distinti provvedimenti normativi (l’art. 57 quater della L. n. 96 del 21 giugno 2017, di conversione del D.L. n. 50 del 24 aprile 2017, e l’art. 1, co. 89, 3-quater della L. n. 124 del 4 agosto 2017) che hanno consentito, a determinate condizioni (e salvo che ovviamente che gli impianti stessi non presentino altre violazioni), la parziale riammissione agli incentivi per gli impianti per i quali siano stati utilizzati pannelli non conformi.

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denza che conferma l’assoluta rilevanza ai fini della valutazione del GSE delle fotografie caricate all’epoca dal soggetto responsabile, aventi natura probatoria. Anche per gli impianti installati sulle coperture di edifici, siano essi residenziali o industriali, sono frequenti problematiche relative alle modalità di installazione dei pannelli fotovoltaici, in particolare riguardanti le modalità di integrazione architettonica, spesso dichiarata dal Soggetto Responsabile come “totale integrazione” ma realizzata secondo i requisiti previsti per la “parziale integrazione”, pertanto oggetto di una tariffa più bassa rispetto a quella percepita 2. L’intervento mira pertanto ad analizzare questi ed altri principali casi di violazioni che risultano causa di provvedimenti decadenziali da parte del GSE su impianti fotovoltaici, con particolare focus sui casi “border line” di più complessa valutazione e gestione, analizzandone le modalità di indagine, sia attraverso verifiche documentali che mediante sopralluogo. Sarà infine effettuato un breve focus sulle novità introdotte dalla Legge Bilancio 2018 che prevede a tal proposito che il GSE, in caso di irregolarità sugli impianti, possa rimodulare, nel rispetto del principio di proporzionalità, la tariffa in una forbice compresa tra il 20% e l’80%, in ragione dell’entità della violazione accertata, e che in caso di autodenuncia le decurtazioni della tariffa siano ulteriormente ridotte di un terzo.

2) Non da ultimo, il caso delle serre fotovoltaiche, cui spettava un incentivo più alto rispetto ai semplici impianti installati a terra, spesso contestate dal GSE per la mancata evidenza dell’effettiva coltivazione della serra in modo continuativo “per tutta la durata del periodo incentivante” così come previsto dai Decreti del Conto Energia.

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L’utilizzo di modelli matematici per l’accertamento di responsabilità da danni per allagamento – Un caso di studio Gaspare Andreella; Marika Righetto

Studio API - Associazione Professionale Ingegneri

Il caso di studio che vorremmo proporre è una causa per danni da allagamento di interrati in seguito ad un evento meteorico intenso, che ha coinvolto, oltre che i danneggiati, l’azienda gestore delle acque nere, il comune in qualità di gestore delle acque bianche e il consorzio di bonifica in qualità di gestore del corpo idrico ricettore della rete delle acque bianche, nonché il consiglio di bacino in qualità di ente che pianifica gli interventi di messa in sicurezza e le rispettive assicurazioni. La causa, per la quale abbiamo svolto il ruolo di CTU, era di una certa rilevanza perché avrebbe potuto innescare una serie di richieste di danni da parte di altri cittadini che subirono gli stessi danni ma che ancora non avevano proceduto, probabilmente a causa della situazione intricata dal punto di vista delle competenze dei vari enti delegati alla gestione delle diverse reti. In particolare, tra i quesiti posti dal giudice, quelli che hanno richiesto l’approfondimento oggetto di interesse sono i seguenti: “letti gli atti ed i documenti tempestivamente depositati, acquisite le necessarie informazioni anche presso terzi, il consulente: … 3. valuti se le opere idrauliche siano sottodimensionate rispetto alle necessità dei luoghi ovvero se presentassero problemi di funzionamento legati alla non corretta manutenzione; 4. valuti quali siano le cause dell'allagamento degli immobili degli attori, chiarendo in particolare se il fatto sia addebitabile a problematiche inerenti il sistema fognario delle reti bianche e nere, agli impianti di sollevamento o agli scoli consortili. Nel caso l’allagamento sia dovuto a un concorso di cause, specifichi il grado di rilevanza di ciascuna In seguito alla presentazione della bozza di perizia del CTU, nella quale è stato adottato un metodo di verifica idraulico basato sulla valutazione a moto uniforme della capacità di deflusso delle portate nelle sezioni idrauliche principali della rete, concordato congiuntamente con i consulenti di parte, taluni consulenti di parte hanno ritenuto in sede di osservazioni alla bozza del CTU di adottare diverso modello di analisi con ciò discostandosi da quanto originariamente concordato, adottando una base topografica propria e utilizzando un modello monodimensionale a moto vario per la propagazione delle portate in rete.

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Tali consulenti hanno adottato il medesimo modello EPA-SWMM, aspetto che permette il confronto scientifico dei risultati. Tuttavia, analizzando gli elaborati nel dettaglio, in particolare le consulenze di parte, l’interpretazione dei risultati ottenuti con il medesimo modello EPA-SWMM conduceva considerazioni diametralmente opposte: CTP n. 1 asseriva che la condotta fognaria bianca lavora in pressione sia a scolo pieno che a scolo vuoto, provocando in ogni caso tracimazione ed allagamento per le aree oggetto di interesse. CTP n. 2 ammetteva, al contrario, che si avverino fenomeni di condotta in pressione ed effetti di flushing solo in occasione di scolo pieno. Tali circostanze e la necessità di rispondere adeguatamente alle osservazioni dei consulenti ha imposto la necessità di approfondire ulteriormente il fenomeno adottando una modellazione di rango superiore fondata sull’analisi bidimensionale a moto vario, fisicamente basata su un complesso modello topografico e delle aree adiacenti ai locali allagati, in forza del quale le concause sono state accertate in modo: 1. Fisicamente basato 2. Oggettivo 3. Riproducibile Con questo approccio è stato implementato un modello idraulico della rete delle acque meteoriche che tenesse conto non solo della capacità di deflusso delle condotte appartenenti agli Enti chiamati in causa, ma anche delle modalità con cui le portate in eccesso possono inondare le aree ad esse circostanti in occasione dell’evento oggetto di studio. Al fine di valutare l’effetto delle singole criticità che sono intervenute nel corso dell’evento, sono state svolte 3 simulazioni distinte: • Con simulazione 1, visibile al seguente link https://youtu.be/u24KHL_0V0g si è considerato: • condotta fognatura bianca ostruita al 30%, Scolo ricettore pieno; • Con simulazione 2, visibile al seguente link https://youtu.be/UDnTFk5nKZY si è considerato: • condotta fognatura bianca ostruita al 30%, Scolo ricettore pieno come un livello di ragionevole franco, quindi in condizione di buon funzionamento; • Con simulazione 3, visibile al seguente link https://youtu.be/GACEL04eON4 si è considerato: • condotta fognatura bianca in perfetta efficienza e scolo ricettore pieno come un livello di ragionevole franco, quindi in condizione di buon funzionamento. Mediante la modellazione bidimensionale a moto vario dell’area, è stato possibile individuare un indicatore di allagabilità in forza del quale le concause sono state accertate scientificamente. In particolare, l’effetto della concausa, dovuta all’insufficienza dello scolo ricettore, è stata facendo la differenza tra il volume di allagamento della simulazione 1 e quello risultante dalla simulazione 2, dividendolo per il volume totale risultante dalla simulazione 1. Analogamente, l’effetto dell’ostruzione della condotta è stato depurato del contributo all’allagamento causato dal funzionamento non ottimale delle condotte di lottizzazione che, anche con fosso ricettore pieno e condotta comunale in piena efficienza non sarebbero state in grado di convogliare a valle la precipitazione caduta nei relativi bacini scolanti, come risulta dalla simulazione 3.

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Ringraziamenti Un ringraziamento speciale a tutti gli sponsor di Treviso Forensic 2018 per il loro cortese contributo

Ascom Confcommercio ASI Insurance Brokers S.r.l. Comune di Treviso Corbo Rosso Corporation Expin S.r.l. Ditta Gatto Index S.p.A. Pali Campion S.r.l. & Atlantech S.r.l. Polyglass S.p.A Tecnaria S.p.A Tecnosicuro


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