Portfolio Fotografico | Mauro Pagnano by Etiket

MAURO PAGNANO PORTFOLIO FOTOGRAFICO

A mia madre e mio padre.

MAURO PAGNANO P O R T F O L I O F OTO G R A F I C O

Prodotto e realizzato da

INDICE

PASTA DI GRAGNANO Realizzato per Gourmet magazine - Svezia

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NCO Nuova Cucina Organizzata

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FATTORIA FUORI DI ZUCCA Fattoria Sociale ed agriturismo ad Aversa

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DE GASPERI Bistrot

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PEPE IN GRANI “Miglior pizzeria al mondo 2017-2018”

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MOZZARELLA DI BUFALA CAMPANA Servizio realizzato presso “La Stella Bianca”

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VITEMATTA Cantina a Casal di Principe

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FATTORIA DEI SOGNI Agricoltura e Agriturismo

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STIL LIFE Fotografie di prodotti per commercio online

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MADE IN CASTELVOLTURNO Sartoria sociale

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IL SENTIERO VERSO IL GIARDINO DEL PARADISO 38 Grand Hotel TERRA DEI FUOCHI La terra che vuole tornare ad essere “felix”

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MIGRAR NO ES DELITO Messico

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COI LORO OCCHI Lesbo e Lampedusa

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LOCKED IN BELGRADO Balcani

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INCONTRI Bambini nel mondo

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PASTADI GRAGNANO Reportage realizzato per Gourmet magazine - Svezia

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Massimo Menna, Amminisratore delegato Garofalo S.p.a. e Presidente del consorzio

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NCO Nuova Cucina Organizzata

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La carbonara

Le polpette di baccalĂ

Le polpette di salmone

La pizza con peperoncini verdi

Gli gnocchi al tegamino

Gnocchetti zucca e speck

La zuppa di legumi

La pasta e patate 9

FATTORIA FUORI DI ZUCCA Fattoria Sociale ed agriturismo ad Aversa

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DE GASPERI Bistrot

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PEPE IN GRANI “Miglior pizzeria al mondo 2017-2018” The Guardian - Gambero Rosso

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MOZZARELL DI BUFALA CAMPANA Servizio realizzato presso il caseificio “La Stella Bianca”

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VITEMATTA Cantina a Casal di Principe

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VITEMATTA Cantina a Casal di Principe

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FATTORIA DEI SOGNI Agricoltura e Agriturismo

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STILL LIFE Fotografie di prodotti per commercio online

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MADE IN CASTELVOLTURNO Sartoria sociale

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Il sentiero verso il giardino del paradiso

Anni fa, in una vecchia libreria del centro storico di Napoli, mentre cercavo nella sezione arti un testo sulla mia rock band preferita, mi ritrovai tra le mani un volume gigantesco. In copertina c’era una foto, tanto semplice quanto potente.

Due bambini di spalle camminavano mano nella mano, intorno a loro una fitta vegetazione formava una specie di arco dal quale stavano uscendo per dirigersi verso la luce. Si trattava di un libro del fotografo W. Eugene Smith, uno dei padri del foto-giornalismo, per me il più grande di tutti.

Sfogliando quel libro, che poi acquistai al posto del libro sui Pearl Jam, cominciò la mia vera relazione con la fotografia. Anche se una flebile vocina continua a ripetermi che le mie foto, se solo fossero in grado di suscitare delle emozioni in chi le guarda, potrebbero dare un minimo ed insignificante contributo per cambiare ciò che non va nel mondo che mi circonda, la fotografia rimane, pur sempre, un’esperienza del tutto personale. Serve prima di tutto a me stesso, a conoscere e ad entrare nelle storie che mi incuriosiscono, che mi fanno rabbia, che mi toccano, che mi fanno amare l’uomo o mi indignano profondamente.

L’ingresso in queste storie è un ingresso tanto privilegiato quanto discreto, da testimone, non da protagonista.

La fotografia mi permette di pormi accanto ai protagonisti, con l’intento di restituire loro tutta la dignità e il rispetto che merita la loro condizione umana, soprattutto quando è stata calpestata nei diritti più elementari e fondamentali.

Per questo penso che sia per me solo uno strumento per realizzare un bisogno del tutto soggettivo: non abituarmi mai a quello che il mondo ancora ci mostra come inaccettabile.

Per questo motivo sento il dovere di inserire in questo portfolio commerciale anche alcuni scatti tratti dai reportage di tipo foto-giornalistico che ho realizzato e che spero di continuare a realizzare sempre. Perchè è a questo tipo di fotografia che devo dire grazie per tutto quello che è cambiato nella mia vita.

Con la speranza che attraverso essa io possa sempre provare il desiderio di conoscere e raccontare le storie di chi è più indietro, più oppresso, più povero e meno fortunato di me. Grazie alla fotografia, ad esempio, ho incontrato gli uomini e le donne del consorzio di cooperative sociali NCO. In quelle realtà che lavorano su beni confiscati alla camorra, prendendosi cura di uomini e donne con problemi psichiatrici, ho trovato amici che oggi considero fratelli e in

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una di quelle case, una volta di proprietà di chi aveva martoriato la mia terra, ci sono gli uffici di Etiket Comunicazione, l’agenzia di comunicazione sociale con cui lavoro, che mi permette di vivere scattando foto e raccontando storie.

Per tutto questo e tanto altro, quindi, devo ringraziare la fotografia e quella foto sulla copertina del libro di Smith. L’aveva intitolata Il Sentiero verso il giardino del Paradiso e leggendo il libro ho poi scoperto che anch’essa aveva un valore del tutto personale. Erano due anni che Smith non toccava la macchina fotografica. Era tornato ferito dal fronte in Giappone, dove era stato uno dei più grandi reporter della seconda guerra mondiale. Provava dolori che non gli permettevano neanche di inserire il rullino nella sua Leica e viveva in uno stato di depressione che gli faceva metter tutta la sua vita in discussione. Quel giorno aveva deciso che la sua rinascita sarebbe stata affidata ad un singolo scatto, che sarebbe stato la spalla su cui appoggiarsi per rialzarsi e andare avanti nella sua missione di fotoreporter. Ritrovò la luce attraverso l’immagine dei suoi due figli che camminavano, mano nella mano, verso la luce. E da quel giorno, attraverso i suoi reportage, ha ripreso a raccontare il mondo a modo suo e ha rivoluzionato il concetto di saggio fotografico. Quella foto permise al grande Eugene Smith di uscire da tormenti che lui stesso definì più dolorosi dei ricordi della guerra.

A tanti altri osservatori avrà suscitato altri tipi di emozioni, come solo una grande opera d’arte sa fare. A me, molto modestamente, ha dato il via ad un percorso in cui ha preso vita la decisione di trasformare la passione per la fotografia e per le arti visive nella mia professione e nella mia personalissima missione di vita.

In quel libro, parlando della sua esperienza come fotografo di guerra, Smith ha scritto: “ Io non ho potuto impedire le ferite degli uomini che ho fotografato, ma forse la vista della loro sofferenza può aver suscitato compassione anche negli animi più induriti e aver indirizzato l’odio, non contro gli uomini ma contro il male che si può fare loro”.

Mauro Pagnano

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TERRA DEI FUOCHI La terra che vuole tornare ad essere “felix”

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Terra dei Fuochi è il primo progetto di ampio respiro che ho provato a realizzare. Per 5 anni ho cercato di documentare quello che accadeva attorno a me attraverso l’obiettivo della mia fotocamera. Il lavoro è stato realizzato accanto alle tante attiviste e ai tanti attivisti che hanno lottato per migliorare le condizioni di salute della nostra terra e dei suoi abitanti.

Oggi, grazie a quelle lotte, i prodotti della nostra terra sono i più controllati d’Europa.

Il Paese si è finalmente accorto che esistono Terre dei Fuoichi in tutto il territorio nazionale e che difendere la propria terra significa lottare per le future generazioni.

Nella foto in doppia pagina la nube di un rogo tossico dal tetto di casa mia.

Nella pagina a sinistra: le foto di due roghi tossici. Nella pagina a Destra: La piccola

Giada, malata di leucemia con la madre Rita; Attivisti che controllano i camion di rifiuti in arrivo presso l’inceneritore di Acerra. Nella pagina seguente: Una delle grandi manifestazioni avvenute tra il 2013 e il 2014 contro il fenomeno della terra dei Fuochi.

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MIGRAR NO ES DELITO Messico Queste foto fanno parte di un lavoro realizzato per documentare il cammino dei migranti che dal Centro America tentano di attraversare il pericolosissimo territorio messicano ed entrare in USA. Scappano da guerre mai dichiarate che nei loro paesi le sanguinarie gang locali stanno combattendo tra di loro e contro la popolazione civile e affrontano un lunghissimo cammino per tutto il Messico, spesso sul tetto di un treno merci chiamato La Bestia. Sul percorso della bestia c’è il piccolo villaggio di contadini di Amatlan, dove un gruppo di donne cucina e lancia il cibo ai migranti tutti i giorni da 20 anni.

A destra dall’alto 1. Natalie, migrante Onduregna con la figlia di pochi mesi nata durante il cammino in Messico. 2.

Antonio, per tutti Erika, Guatemalteco, in cammino verso gli Usa per scappare alle violenze delle gang perchè omosessuale.

3. Neris, 17 anni, in cammino per sfuggire alle grinfie delle gang che hanno cercato di arruolarlo. In basso un migrante riposa dopo il lungo cammino dal Guatemala nel centro Hermanos en el Camino. Nella pagina accanto Lupita, del gruppo las Patronas, lancia il cibo ad un migrante sul treno e Leonita, 78 anni, la più anziana del gruppo.

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“Non ci siamo mai chiesti chi erano, sapevamo solo che avevano fame e bisogno d’aiuto e sono 20 anni che cuciniamo per loro, anche se il governo non vuole.�

Leonita, 78 anni, contadina.

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COI LORO OCCHI Lesbo e Lampedusa Un porogetto personale, realizzato dall’ acqua con una piccola fotocamera subacquea, per non abituarmi mai ai numeri, per non abituarmi mai a leggere di uno, dieci o cento migranti morti in mare o costretti a rimanere sulle navi che li hanno slavati perchè il mio Paese e la mia Europa ha deciso di chiudere i porti.

Un progetto per continuare a restare umano e provare a mettermi nei panni di chi finisce in mare a poche miglia dal sogno di una vita piĂš dignitosa.

Lesbo: Kostas e la sua piccola barca da pesca, con la quale ha salvato centinaia di migranti.

I resti di un imbarcazione su cui viaggiavano migranti, infranta sulle coste.

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Lampedusa: La porta d’Europa di Mimmo Paladino realizzato in onore delle migliaia di migranti morti a mare Punta sottile, la parte di terra piÚ a dus d’Italia.

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LESBOSWIMMING TODAY! In un campo per rifugiati, un gruppo di giovani volontari organizza delle lezioni di nuoto per i bambini provenienti dalla Siria e dall’Iraq.

Sono arrivati via mare dalla Turchia, alcuni di loro hanno visto morire gente in mare. Alcuni, come la piccola Yara, hanno i segni della guerra ancora addosso. Da mesi, ormai, vivono nel campo senza sapere quale sarà il loro futuro. L’ Europa non si decide, non li vuole. Con le lezioni di nuoto e con il gioco riescono a strappare alcune ore alla monotonia del campo e hanno superato anche la paura del mare.

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LOCKED IN BELGRADO Balcani

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Febbraio 2017, uno degli inverni più freddi degli ultimi tempi. Tutti i governi europei hanno deciso di chiudere i confini sulla rotta balcanica, quella che dalla Grecia portava verso il nord Europa passando per l’est. Più di cento profughi provenienti da Afghanistan, Iraq e Pakistan, rimangono bloccati a Belgrado e si rifugiano in dei capannoni dismessi dietro la stazione.

Molti sono adolescenti non accompagnati. In quei locali senza acqua e senza servizi bruciano di tutto per riscaldarsi e per cucinare quel poco che riescono a reperire per le vie del centro. In quei locali si lavano e dormono. L’odore di fumo è nauseante e tossico, alcuni aspettano il momento giusto per attraversare il confine di notte ma spesso vengono picchiati e mandati indietro.

Altri sono semplicemente rassegnati, ma indietro, verso i loro paesi ancora tanto instabili e pericolosi, non possono tornare.

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INCONTRI Bambini nel mondo

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INCONTRI Bambini nel mondo

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P O R T F O L I O F OTO G R A F I C O D I

MAURO PAGNANO

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