(In)fedele alla linea

(In)fedele alla linea

Francesco Torresi

Indice

a COLONNA PORTANTE (Perché ho scelto il Teatro Barbarico Montano? che cos’è?)

b LE RADICI (Per conoscere il canto e l’uomo sono risalito alle sue origini, alla geografia e all’atmosfera che il luogo crea-il cavallo e la montagna)

c LA FUGA (La perdita dei cavalli e del luogo dell’infanzia, l’abbandono e la ribellione)

d SAGA (Il ritorno alle origini, al luogo arcano, antico e ai cavalli attraverso la creazione del Canto e del Teatro-racconto del viaggio di un uomo)

e NON E’ ANCORA FINITA…

f L’ALTRO/IL DUBBIO (Una conversazione con Angelo Flaccavento)

Introduzione

Sono molti anni che seguo Giovanni Lindo Ferretti; le prime cose che ho sentito di lui sono state le canzoni dei CCCP Fedeli alla linea, forse il gruppo più importante della scena Punk-rock italiana. L’amore che si è radicato in me, col tempo, è anche dovuto alla suggestione della personalità di Ferretti, il suo acuto e complesso spirito di osservazione,(“E’ la mancanza d’attenzione, nella vita, l’origine di ogni disgrazia”), lo sguardo che gli permette di cogliere, nel paesaggio intorno, tutti i colori, le ombre, le luci e le “infinite” varianti. Molto serio e convinto mi sembra il suo modo di rapportarsi agli altri come un uomo tra gli uomini senza ostilità, con pudore ma con il cuore aperto e lo sguardo diretto accettandosi reciprocamente, conserva il suo senso dell’onore in un mondo “triste”, è un uomo arcaico, molto legato ai cavalli, alla sessualità, alla materialità, alla carne, al piacere e anche al dolore quando la malattia lo mette alla prova. I CCCP nascono a Fellegara nel 1982 dopo un casuale e fortunato incontro tra Giovanni e Massimo Zamboni, nella “rossa” e socialista Berlino Est. Inizialmente l’obbiettivo di Ferretti(cantante/cantore), Zamboni(chitarrista) e Umberto Negri(bassista) era quello di inserirsi nella scena Punk tedesca gravitante attorno alla figura degli Einsturzende Neubauten, ma con l’entrata in formazione di Danilo “Fatur” artista del popolo e di Annarella Giudici benemerita soubrette, il gruppo devia le proprie istanze verso il teatro espressionista. I due nuovi innesti, infatti, non si occupano dell’aspetto musicale ad eccezione di Annarella che partecipa all’interpretazione di alcuni brani e alla formulazione degli slogan del gruppo, ma arricchiscono i concerti con esibizioni goliardiche e performance surreali. E’ con questa formazione che

le esibizioni cominciano ad assumere una dimensione più articolata

e spesso lo spettacolo si esprime non solo musicalmente ma veicola anche idee politiche. L’impianto ideologico trova il suo compimento nell’adozione di un’iconografia ispirata al kitsch est-europeo e nell’elaborazione

manifesti ea, na che

teorici

“punk in si

nei

quali

i

filo-sovietici”,

maniera ribella

appassionata alla

CCCP

gruppo e

società

con

si di

tutto

borghese,

proclamano musica

Fedeli

alla

melodica

l’entusiasmo

della

conformista

e

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emiliagioventù

tecnologica.

Escono presto dalla dimensione relativamente circoscritta per esibirsi più volte in Germania, a Berlino in locali come il Kob e lo Spectrum e nel 1989 arrivano nella loro amata Russia, a Mosca. Con la fine del mito socialista-comunista e la caduta del muro di Berlino anche i CCCP cadono e si sciolgono. Qualche anno dopo, nel 1992 nascono i C.S.I. (C.S.I., autoironico riferimento alla Comunità degli Stati Indipendenti, nata sulle ceneri dell’U.R.S.S.) che si formano in vista di un unico concerto che si è tenuto all’auditorium del Museo d’arte contemporanea di Prato, col materiale e i musicisti già coinvolti in Epica Etica Etnica Pathos, ultimo album dei CCCP, pubblicato nel 1990.

Nei C.S.I. senza Fatur e Annarella, resta la vena di ribellione politica, che si esprime però in maniera meno aggressiva, pur conservando la sostanziale fede e convinzione. Il progetto ha buon esito e dà vita a ulteriori concerti, diventando poi un complesso a tutti gli effetti, ma con la peculiarità di quell’indipendenza già proclamata nel nome, cioè della possibilità di staccarsi in qualsiasi momento, per poi ritornare a collaborare con gli altri. La fecondità dei C.S.I. si vede anche dai frutti, che oltre a produrre negli anni ’90 dischi di profondità e spessore inauditi in Italia, dà vita al Consorzio Produttori Indipendenti, attorno a cui ruotano numerosi artisti e a cui è concessa la possibilità di operare una svolta alla propria carriera discografica (su tutti Marlene Kuntz e Yo Yo Mundi).

Dal 2001 al 2009 saranno i P.G.R. formati da Giovanni Lindo Ferretti, Ginevra Di Marco, Gianni Maroccolo, Giorgio Canali e Francesco Magnelli.

L’esuberanza e la ribellione giovanile sono ormai alle spalle e Ferretti continua il suo interminabile viaggio in solitaria. Ha attraversato la terribile esperienza della malattia, la sua medicina sarà il viaggio in Mongolia e nell’estate del 1996 insieme a Massimo Zamboni, compagno di avventura, percorre luoghi il cui fascino antico si ricollega al suo

passato e alla sua terra di origine. Scrive una canzone, “In viaggio”, un brano che contiene uno dei temi fondamentali della sua esistenza e del suo canto.

Al gami

ritorno

sente

interrotti

con

il la

bisogno famiglia

di e

riallacciare con

le

sue

i

le-

radici.

Nel 2012 chiede, con una lettera, di entrare a far parte della Corte transumante di Nasseta. Questo momento della sua vita, questo suo ritorno, è determinante anche per il recupero della fede, “dopo aver cercato il senso in mille modi senza trovarlo, l’ho trovato tornando a casa, al mio mondo di quando ero bimbo: i monti, il rosario[..]” si riaccosta così alla fede attraverso gli scritti del cardinale Ratzinger.

Ha anche raccontato: “Ad una certa età ho perso la fede, ma di sicuro la fede non ha mai perso me – prosegue - A volte questo ti fa scoprire una forza che non credevi di avere”. Giovanni Lindo Ferretti ha riacquistato se stesso, le sue certezze e ha ripreso il contatto con il cavallo, l’animale del viandante, del guerriero…l’antico compagno dell’uomo.

Nel film-documentario di Germano Maccioni Ferretti afferma: “…se non avessi potuto tornare ai pascoli, non ce l’avrei fatta, mi sarei bruciato in un mese”.

Saranno la montagna, il ritorno alla casa del padre, i cavalli e il viaggio, a conferire nutrimento e poesia al suo canto e al Teatro Barbarico Montano.

CosÏ siamo noi nomadi erranti e pascoliamo il nostro gregge di pensieri sugli altopiani dell’anima sottraendoli ai lupi della notte nomadi erranti e piÚ erriamo piÚ siamo lontani dal vero

a COLONNA PORTANTE La figura di Giovanni Lindo Ferretti è stata sempre presente nella mia vita, fin da bambino, all’inizio non per mia scelta e quando sono diventato più grande ho interiorizzato, sentito il bisogno, la necessità di immergermi in quel mondo, nel suo mondo; in tutto ciò che gravitava intorno alla storia di questo uomo, a livello artistico, umano e sociale. Mi ha affascinato fin da sempre il carisma di Ferretti, la capacità di comunicare al mondo il disagio di un’epoca, gli anni ’80 in Italia. Il mio innamoramento per questo personaggio è nato dal momento in cui ho familiarizzato con i temi trattati nelle canzoni dei CCCP, alimentato dalla forza delle parole, dei testi e di quanto lui si è fatto portavoce come profeta, della sua generazione, denunciando i grandi problemi della società del tempo. Colgo l’importanza del suo cammino artistico proprio quando mi rendo conto che le sue illuminazioni visionarie hanno fatto presa anche sulle generazioni successive, sui giovani come me, vogliosi di essere i protagonisti del cambiamento, del futuro degli anni 00. Non dimenticherò mai il ritornello simbolo degli anni ’80 post-punk, una delle canzoni che hanno reso celebri i CCCP di Ferretti, “io sto bene” dall’album del 1985 “1964-1985 Affinità-divergenze fra il compagno Togliatti e noi del conseguimento della maggiore età” che diceva: “non studio non lavoro non guardo la tv non vado al cinema non faccio sport”.

Ferretti senza dubbio è stata ed è tuttora una persona alla scoperta di se stesso, alla ricerca di quei valori ormai perduti o nascosti, offuscati, messi in ombra dalla società. La sua potenza di comunicazione ha influito molto su molti giovani; l’essere dissacratore in tanti aspetti ha fatto sì che io cominciassi a pormi delle domande, ad avere dei dubbi, a chiedermi il perché di tante cose, ad inseguire la verità.

La costanza con cui ho seguito Ferretti mi ha permesso di entrare nel suo mondo composto di luoghi, persone, animali ed emozioni e di approfondire lo studio delle tematiche da lui trattate, di fare mio un frammento del suo passato, come se fossi ospite della sua sfera, nella sua arte. Con il tempo Giovanni Lindo Ferretti ha dimostrato veramente che il cambiamento

e la casualità possono portare ad una rappresentazione reale della vita, ad un avvicinamento alla realtà, al Vero. Tramite la parola e attraverso il Canto si è reso protagonista di una filosofia che permette di non rinunciare alla individualità su questa terra; è riuscito a mantenersi autonomo e ad affrontare i tempi moderni in modo attivo, intelligente, evitando i risvolti negativi(come la tecnologia esasperata e i falsi idoli), i “valori”, che caratterizzano il presente, l’ora. Questa visione cui è pervenuto sente il bisogno di comunicarla agli altri e lo farà soprattutto attraverso il Teatro Barbarico Montano. Decide di ritirarsi sull’appennino Tosco-Emiliano ritornando alla “casa del padre”, dai suoi cavalli, dai suoi animali e soprattutto dalla sua gente.

E’ per questo che ho tentato di immergermi nel suo spettacolo per assorbire il suggestivo messaggio e forse per diventare capace anche io, di evadere dalla finzione di questa realtà e recuperare lo stupore e la meraviglia del creato.

Vorrei diventare capace anche io di riallacciarmi alla tradizione, ai luoghi cari del passato e del presente e alle emozioni vere.

La nuova opera è inscenata dalla Corte transumante di Nasseta, un Teatro contemporaneo inusuale, anomalo per collocazione, geografia, stilistica, culturale. Fonda la propria disciplina sull’arte equestre ma la pratica con i cavalli della propria tradizione considerati finora inadatti a questo utilizzo per indole e temperamento, ribelle e non mansueto. Sceglie la luce naturale per illuminare lo spazio scenico sfrutta la potenza evocativa della parola, del suono, dei sensi, per crearne un canto epico rifuggendo da psicologia, sociologia, impegno e denuncia: usa la musica, componendola e creandola per sostenere ed amplificare un racconto che affiora da millenni. All’origine c’è una immagine: tre cavalli scuri, possenti e scalpitanti. Una potenza distruttiva con un punto di equilibrio, di grafica, nell’uomo che li governa con calma sapiente.

Senso tragico dell’esistere e capacità di meraviglia: la storia dell’uomo su questo pezzo di terra. Noi non siamo più quell’uomo, la sua era è finita, ma di quell’uomo non possiamo farne a meno.

b LE RADICI “Appennino è suono Arcano”.

“Non conosco geografia che non sia storia, letteratura, religione, poesia, economia”.

Ferretti nasce a Cerreto Alpi, un paese di poche anime. Generazione su generazione è erede di una famiglia di montagna che, da tempo immemorabile ha fatto della pastorizia il suo sostentamento e ha affrontato ogni problema guardandolo in faccia.

Il paesaggio che lo circonda find da bambino è fatto di torrenti, fiumi boschi e di rupi e la natura è aspra e difficile ma nasconde tanta vitalità, tante esistenze segrete, animali, profumi e colori che mutano ad ogni stagione.

La sua è una famiglia numerosa con alcune figure femminili dominanti ed altre sullo sfondo; la sua infanzia è piena di scoperte e ricca di avventure e affetti. Va nei boschi e a caccia di frodo con lo zio e vive in confidenza con gli animali: “mucche, capre, cani, asini, muli e cavalli: il paradiso in terra”.

Il cavallo soprattutto è l’animale cui si sente più vicino e il cui contatto è per lui necessità, gli dà benessere fisico e psichico. Il legame con questa bestia diventa un patto stretto e gli fa sentire la continuità con il passato e la storia, oltre che dargli il piacere dei giorni presenti. Non ama i cavalli per dominarli e montarli: per lui bello è pensarli, osservarli, prendersene cura e allevarli seguendone la vita, la veglia, il sonno e averli come compagni nelle cavalcate all’alba nell’attesa del sole che sorge. Il cavallo risponde anche ad uno degli ideali dominanti di questo autore: la bellezza e l’energia primordiale, mentre l’etica, altro polo del suo binomio fondante nutre il suo rapporto con gli animali che non è mai di violenza e di controllo ma è di affetto e fiducia. Marino Marini, lo scultore italiano che nel XX secolo si è dedicato con passione ai cavalli: “Al fondo l’amore per il cavallo è la ricerca di un’architettura.

La forma del cavallo è l’opposto di quella dell’uomo: una forma orizzontale contro una verticale” avendo scolpito e modellato con sentimento ossessivo le due figure “un’idea nata serena e cresciuta negli anni estremamente inquieta” ha raccontato un crepuscolo dell’umanità: la fine di una civiltà.

“Guardando le mie statue equestri degli ultimi venti anni una dopo l’altra, il cavaliere diventa ogni volta più incapace di padroneggiare il suo cavallo e la bestia, nella sua ansietà sempre più feroce, si rende rigida invece di impennarsi. Credo sul serio che andiamo incontro alla fine di un mondo. …”l’inquietudine” dei miei cavalli cresce con ogni opera; i cavalieri diventano sempre più spossati e hanno perduto la padronanza delle bestie e le catastrofi alle quali soccombono somigliano a quelle che hanno distrutto Sodoma e Pompei”.

(Marino Marini)

Herbert List, Marino Marini nel suo studio, a cavallo di una scultura, Milano, 1952

Tancredi diventa suo compagno di vita, suo confidente ed amico e per questo la sua perdita sarà rimpianto che durerà a lungo. La lettera che gli scriverà ce lo confida così come il tumulo che costruisce con le sue mani, coprendolo con strati di pietre e rami e di ogni cosa che testimoni e ricordi a Tancredi lo scorrere delle stagioni e gli tenga compagnia.

Caro Tancredi, li ho visti finalmente e in grande quantità. Centinaia e migliaia. Ho visto più cavalli ogni giorno per la maggior parte di questi miei giorni mongoli che in tutta la mia vita andando per fiere, mostre e mercati. Cavalli ovunque, nella steppa, suoi monti, nelle valli, sui crinali, nel deserto, sui laghi, dentro i fiumi, in strette gole e spazi immensi. Mai al chiuso, la stalla non esiste. Enormi branchi da centinaia di bestie e branchi piccoli, razzette, coppie, a volte solitari. Liberi, galoppanti, al trotto cadenzato, sospinti, immobili a scacciarsi le mosche con le code fluenti.

Pascolando alla corda o impastoiate le gambe. Almeno due cavalli sellati, legati vicino la gher, sempre. Pazienti, forti, piccoli, ma in tipologie diverse: dal tozzo allo snello, anche molto aggraziati. Resistenti allo sforzo. Mantelli d’ogni tipo e d’ogni tonalità. Sauri e bai, morelli, grigi, bianchi, roani, pezzati, appaloosa, sorcino, palomino, isabella. Ne ho visti due tigrati alle gambe e uno, facendo attenzione, l’ho toccato per assicurarmi che non fosse dipinto. I cavalli domati portano la criniera alla greca, moltissimi un lungo ciuffo al garrese, molti il ciuffo tra le orecchie. Quelli che partecipano al Naadam, i più resistenti nella velocità, hanno un legaccio alla coda, sotto il moncone, altri il ciuffo legato dritto, a covone. Agli stalloni la criniera incolta, foltissima, lunghissima anche al ginocchio. Ferrato ne ho visto uno solo, una sera in città: l’ho sentito. Appena fuori Ulan Bator appaiono numerose le mandrie.

Lo stallone legato da una parte, da un’altra i puledri, le giumente strette vicino la gher, uomini e donne che mungono. Ti stupisce? Qua si mungono le cavalle, spesso durante il giorno, in compenso non si mungono le pecore che sono allevate per la carne. L’airak, latte di cavalla fermentato,

viene consumato in grande quantità e venduto ovunque, in bidoncini d’alluminio, dai bimbi. E’ acido, buono, leggero, sa di stalla in un posto che non sa cosa sia. Picchia un po’ alla testa, l’allarga. E’ il “bere” dei nomadi. Il latte fresco invece, e tu lo sai, per me sa di mandorla vagamente pastoso.

Qui tutto il mondo gira ancora intorno ai cavalli e tutti girano a cavallo. Senza cavallo niente mongolo: che almeno loro non scendano.

A cavallo si sale e si scende rigorosamente da sinistra, anche la soma viene fatta da sinistra, la destra è del cavallo, un tabù per gli umani. La sella è composta da un sottosella di feltro, un sottosella di cuoio a volte imbottito, i quartieri sono lunghi fino alla staffa che è sempre rotonda, due riporti piccoli coprono gli staffili. Arcione e seggio sono in legno, pezzo unico colorato alto scomodissimo, fissato con legacci al sottosella e rivestito di pelle o stoffa con due stelle per parte, in rilievo, a massaggiare le cosce, far fluire il sangue e permettere di cavalcare a lungo.

I finimenti sono in cuoio crudo o trecce di crine, il sottopancia sottile, spesso uno posteriore, a volte uno in centro che passa sul seggio. Il morso spezzato, arrotondato, risale ai lati della bocca abbondantemente. A volte una carezza sotto la briglia, a volte la longhina legata all’anello sinistro del morso; sempre quando si parte lasciata ricadere ad arco.

“Tsiù” per partire. Briglie e selle sono volentieri decorate d’argento, anche molto preziose. L’alto seggio e l’andatura sciolta, la leggerezza del cavallo, la monta libera, personale, disinvolta, anche molto storta, danno al cavalcare una vistosa eleganza a cui contribuiscono il deel e gli alti stivali. Ragazzi e uomini portano, nella bella stagione, il deel scamiciato alla destra, con la manica che pende o arrotolata sulla fascia colorata che fa da cintura. Molto ganzo. Per potenza, per forza, resistenza nell’esser parco, il cavallo della steppa è ineguagliabile; quello della taiga, di montagna, è incredibile. Sferrato passa dagli acquitrini in cui affonda alle sassaie in cui si mantiene in equilibrio, tra guadi impetuosi, lastroni viscidi, traballanti, in sottoboschi intricati, ripidi, scivolosi, ingombri di tronchi caduti, rovi, radici che affiorano e sassi

e buchi; tra nuvolii di moschini che oscurano l’aria e penetrano ovunque, negli occhi, nelle orecchie, in bocca, nelle narici. Piccolo, tozzo, aria di compassione, gambe sottili, piede d’acciaio, sicuro, indomito nello sforzo, di buon occhio, quieto nel pericolo. Va continuamente, se il caso saltella equilibrandosi, a velocità sostenuta anche in salita. Scoreggia molto, respira piano, suda pochissimo, giusto un’ombra.

Può stare legato, sellato, tutto il giorno al sole, all’acqua, al vento gelido cui volta il culo; abbassa la coda e la testa ciondoloni. Pascola di notte, abituato alla corda, alle pastoie. Caricato a soma bada a sé, tenendo il passo della carovana. Mai pulito, mai spazzolato. Gode di grande considerazione, onorato, molto amato, anche da morto. I teschi ornano gli ovoo e vengono innalzati al cielo sui pali. Le unghie degli zoccoli, legate come campanelle, tintinnano al vento e le code bianche sono stendardi, simbolo del potere.

Dovessimo rinascere, caro Tancredi, prega Dio ci faccia rinascere in Mongolia. Vita selvaggia, dura, ma un gran bel colpo d’occhio tutto intorno.

Ricordi ed affetti di Giovanni

c LA FUGA “Cantante dei CCCP - Fedeli alla linea in regressione genetica tornavo a casa, la mia, dei miei, nel natio borgo dove era vissuta da sempre la mia gente.

La disgrazia unita al boom economico, miracolo italiano in dopoguerra, c’avevano traslocato in città. Gli adulti a lavorare, guadagnare col pane il companatico e il risparmio. I bimbi a crescere, studiare, farsi ammaliare nella città in grande mutamento. Tutti ad ammodernare il mondo, con zelo, ognuno il suo, negli anni ’60 e ’70.

Reduce da cotanto immane sforzo, confuso e stanco, di troppe cose già a noia e d’altre che rifuggono il conto, mi fermo, a rimirar il cammino e d’intorno”. (GLF) La vita di Giovanni Lindo Ferretti ha un senso, è all’interno di una economia, quella dell’eterno, del divino. Egli ha la fortuna di essere amato da questa economia, che è lo stato attuale della sua vita. La sua origine montanara, la sua appartenenza a una famiglia che ha tramandato nei secoli le vecchie mura e le usanze, costituiscono le sue radici. Nel 1953 si è verificata la prima lacerazione all’interno della compagine familiare. La guerra era finita da poco e il padre che era il giovane capofamiglia muore improvvisamente. La madre si ritrova, dopo averlo seppellito, incinta di Giovanni che il padre aveva desiderato tenere nonostante le difficoltà: comincia così un periodo davvero molto triste per tutti loro. Vennero vendute tutte le bestie e per la prima volta dopo secoli, la sua gente smette di essere pastori, allevatori e montanari. Sua madre, una giovane donna con un bimbo di cinque anni, un cognato malato all’ospedale per cui bisognava pagare le cure e una vecchia nonna, si è tirata su le maniche trasformando la propria sopravvivenza in qualcosa di positivo. Questi avvenimenti disastrosi che colpiscono la famiglia di Ferretti, successivamente provocheranno in lui un disagio esistenziale; la voglia di ribellarsi, di dare una svolta alla sua vita, crescerà sempre di più, sente che qualcosa

deve cambiare. La perdita delle bestie e lo scendere in città provocheranno in lui una tempesta che poi diventerà sostanza e materia della sua arte.

Nel suo lungo percorso da punkettone, è ribelle militante nelle prime file di “Lotta Continua”, con i futuri membri delle Brigate Rosse.

Ferretti ha anche avuto la fortuna di “essere ripreso per il coppino”, proprio come dicevano i suoi vecchi, e ritirato su da un mare di tombini, di pericoli in cui era finito molte volte.

Gli anni ’80, a Reggio nell’Emilia, erano tempi, dove Ferretti e molti altri cominciarono a credere, a vivere nella convinzione che, proprio a loro, toccasse il grande compito della realizzazione del comunismo, quello stato sociale in cui a ognuno è dato secondo le proprie necessità, indipendentemente dalla storia, dalla geografia, dalla complessità del genere umano, che non è riducibile ad uno schema letterario filosofico. Per lunghi anni Ferretti credette che questo progetto fosse realizzabile, cioè che l’uomo facendo forza su di sé, sulla propria razionalità, sulla propria intelligenza e anche sull’organizzazione di un giusto livello di violenza, perché le cose non possono essere tutte riconducibili solo a buoni sentimenti: nessuno di loro in quegli anni lo ha mai pensato veramente.

Giovanni Lindo, credeva davvero ne valesse la pena per costruire finalmente un luogo di giustizia, di pace sulla terra. Dal secondo anno di università comincia a fare l’operatore psichiatrico, prima in una dimensione molto politica, molto di liberazione dell’uomo e poi, piano piano, sempre più in una dimensione umana con un coinvolgimento totale, così puro e assoluto che lo rendeva perfino incapace di operare di fatto, nei confronti di un disagio che noi definiamo “mentale”.

Approfitta della scadenza dei cinque mesi di contratto, come operatore, licenziando e potendo così partire per Berlino, andandoci a vivere. Per una serie di accadimenti fortuiti o addirittura molto provvidenziali è cominciata la sua storia di cantante prima dei CCCP e poi, come si definisce lui stesso, cantore.

“Madre di dio e dei suoi figli Madre dei padri e delle madri Madre oh Madre oh Madre mia l’anima mia si volge a te speculum iustitiae sedes sapiencia rosa mistica turris davidica…”

Madre, CCCP Fedeli alla linea

“ero cresciuto nella mitologia della rivoluzione. Mi ero innamorato della modernità. Mi prometteva cose meravigliose, mi prometteva il Paradiso in terra, mi prometteva la giustizia. Poi mi sono reso conto che avevo attraversato delle mode, che avevo avuto delle leggere malattie dell’anima”.

Giovanni Lindo ferretti, con queste parole ci fa capire quale è per lui il senso del viaggiare, di una vita sempre in movimento, in perenne cambiamento. Anche la storia della sua famiglia ce lo conferma. Ferretti afferma spesso che lui, come uomo, si sente all’ombra di un’esistenza antica, come diceva Pasolini, un Autore cui si sentirà sempre vicino. Stirpe, quella dei Ferretti, viene da un cammino lungo millenni, proprio come da Cerreto Alpi a Roma.

Giovanni Lindo, quando aveva 14 anni, disse: “c’era la messa con le chitarre e mi son detto: se devo ascoltare la chitarra allora vado ad ascoltare i Nomadi e l’Equipe 84”.

E’ così che si allontana dalla fede, fugge dalla famiglia, dalla casa, dalle sue origini, credendo di combattere infinite battaglie stando dalla parte dei buoni, del bene. Ma così non era. La vera lotta in realtà era dentro di sé. Sua madre, gli aveva insegnato ad affrontare tutte le situazioni che gli si presentavano o verificavano, accettandole nella loro totalità.

Col tempo le cose non funzionavano più, o semplicemente non andavano come avrebbero voluto, e più passava il tempo più si rendeva conto che aveva solo attraversato delle mode, delle leggere malattie dell’anima. Dai 14 ai 35 anni è stato praticamente un vero e proprio militante, a tutti gli effetti.

Si sentiva protagonista di una rivoluzione in corso e per questo voleva rendersi partecipe di questo cambiamento epocale, era armato, sulle barricate, durante la rivoluzione portoghese, che definirà poi una rivoluzione triste. Era convinto che l’uomo potesse bastare a se stesso e che con una prassi rivoluzionaria poteva cambiare il mondo. Ma se dovessimo definire questo autore/poeta che ha suggestionato e influenzato almeno due generazioni potremmo dire che è stato, rimane e sarà sempre un punkettone.

Ce lo conferma la preghiera/canzone “Madre”; all’inizio si pensava che non fosse adatta al pubblico dei CCCP o che il disco non avrebbe venduto abbastanza. Ci fu una lunghissima discussione sulla pubblicazione o meno della traccia ma alla fine fu Annarella a decretare l’esito: “Vi dico io come andrà a finire. Chitarra, Giovanni comincia a cantare, scenderà qualche lacrima e alla fine tutti saluteranno con il pugno chiuso”. Andò veramente così, aveva ragione lei.

Ai concerti dei CCCP, Madre era un passaggio autentico, e per dimostrare che qualcosa aveva toccato il pubblico, non potevano fare altro che alzare il pugno chiuso.

Questo aneddoto sta a significare che i CCCP non sono stati solo, un gruppo di Punk-filosovietico o di musica melodica Emiliana, ma ben altro.

Proprio dove nacquero i CCCP, in una casa contadina, un parallelepipedo poggiato su piano padano, la vera sala prove del gruppo, dove si suonava tutti i giorni, ritrovo di vita, dove fare belle e grandi colazioni, dove passare tanti pomeriggi e fare notte in compagnia. Il casolare diventò un set fotografico, un laboratorio di scultura, un centro di aggiornamento su estetica e retorica, diventa il polo d’attrazione tra la città e il distretto delle ceramiche, un insieme di arti applicate, un luogo dove si poteva dare spazio alla creatività e forza all’unione tra persone, tutte con lo stesso intento, tutte con gli stessi obbiettivi: questo era CCCP Fedeli alla linea.

La mancanza di denaro, la precarietà fatta giornata e la mancanza di sicurezza, di garanzia si addicevano alla linea certificando la fedeltà. Le loro canzoni, scandite da un ritmo martellante nella testa, canzoni fulminanti e due parole ossessive: Emilia Paranoica, la più rappresentativa delle canzoni dei CCCP.

sempre più indefinibile teatri vuoti e inutili potrebbero affollarsi se tu ti proponessi di recitare te Emilia Paranoica brucia Tiro, Sidone il roipnol fa un casino se mescolato all’alcool bombardieri su Beirut due tre quattro plegine chiedi a settantasette se non sai come si fa E.MI.LIA.PA.RA.NO.oi.oi.oi.oi.CA. posso essere uno stupido felice un prepolitico un tossicomane quello che se ne va nelle storie d’amore camminare leggero soddisfatto di me da Reggio a Parma, da Parma a Reggio, a Modena, a Carpi, a Carpi al Tuwat Emilia di notti dissolversi stupide sparire una ad una impotenti in un posto nuovo dell’A.R.C.I. Emilia di notti agitate per salvare la vita Emilia di notti tranquille in cui seduzione è dormire Emilia di notti ricordo senza che torni la felicità Emilia di notti d’attesa di non so più quale amor mio che non muore e non sei tu e non sei tu EMILIA PARANOICA EMILIA PARANOICA PA.RA.NOI.CA. PA.RA.NOI.CA. aspetto un’emozione sempre più indefinibile sempre più indefinibile

La vicenda dei CCCP viene anche narrata da Maria Grazia Guidetti, storica componente, (non musicalmente), del gruppo; racconta di quanta gente e quante persone popolavano il grande casolare di tre piani a Fellegara e ci fa capire quanto fossero una famiglia i CCCP. Ogni persona aveva un compito, una mansione da svolgere e tutti diventavano ed erano i protagonisti di questa storia. Anche se da più di trenta anni non sono attivi, la forza della suggestione che mi ha pervaso quando ho conosciuto tutto di loro, ancora mi suscita commozione e mi fa immaginare l’atmosfera e l’aria che si respirava in quegli anni, in quel periodo storico. Mi permetto di fantasticare e cerco di tuffarmi in tutte quelle situazioni che si verificavano a Fellegara, rendendomi in modo immaginario, quasi partecipe di quel mondo passato, perché così lo voglio definire. Con il solo atto della scrittura mi rendo conto di quanto quel passato possa aver influito sulle generazioni future, e come quelle dinamiche potrebbero essere fondamentali per la crescita dell’individuo, oggi.

Per i CCCP e gli altri, il centro di gravità permanente del cantautore siciliano, Franco Battiato, è Fellegara. Loro lo avevano trovato, noi oggi no. I CCCP il primo urlo non lo hanno mai dimenticato, “EINS ZWEI DREI VIER/IL VALIUM MI RILASSA”, questa la frase, Ferretti è il microfono, Pietro la batteria, Zeo la chitarra, Umberto il basso.

Il 9 Novembre 1989 cade il muro di Berlino e l’unione sovietica si avvia verso lo sgretolamento, anche i CCCP Fedeli alla linea percepiscono che il loro ciclo è terminato. Chiudono la loro storia musicale nelle campagne di Reggio Emilia registrando a Villa Pirondini l’album “Epica Etica Etnica Pathos”. La canzone di congedo, una tenera, commovente e dolorosa ballata si intitola “Annarella”, proprio come la “Benemerita Soubrette”, la figura femminile che ha animato le esibizioni della band con indimenticabili performance e travestimenti; da bambola sexy a madre dolorosa, da soubrette a icona santa, da ballerina di flamenco a danzatrice classica in tutù. Alternava l’immagine della distinta signora con il cappellino a quella della mondina Emiliana segnata dalla fatica ed infine autoritaria ‘domatrice’ dell’incontenibile efebo invidiato, da tutti gli dei dell’olimpo, Fatur.

D’altronde, il travestimento è per Annarella, la forma espressiva più forte e immediata, che ha pesato quanto le parole negli equilibri creativi del gruppo. In una intervista del 1989 gli altri tre componenti della band sottolineavano il “fondamentale contributo delle sue performance[…] cambia un abito e assume la personalità che si addice a quell’abito, vale tanto quanto una strofa intelligente o quanto un giro di chitarra che qualcuno trova molto bello o molto ben fatto”.

«Senz’altro l’abito…

I monaci, ad esempio, avevano un tempo problemi di abito.

Allora darsi un abito era accettare un’univoca dimensione pubblica, una regola, inserirsi nella tradizione. (…)Dare vita a un abito o è un’assurdità o è un’altra cosa, anzi due. È accettare la potenza del mondo, il regno della necessità. E’ animismo.

L’abito è la maschera, ed è la maschera una volta indossata che comanda, che gestisce chi la indossa. È glorificare la potenza dell’individuo. Un narcisismo che ha bisogno di travestirsi continuamente per continuare ad esistere. Ciò che è non appare, ciò che appare non è.

Lode alle soubrettes, vera coscienza acritica e inconsapevole del nostro tempo».

CCCP Fedeli alla linea.

Fu proprio Luigi Ghirri, maestro della fotografia italiana, nato a Scandiano(Reggio Emilia), autore di Kodachrome(1978) e di un grande lavoro nello studio di Giorgio Morandi(1991), che lo aveva impegnato due anni interi, a realizzare la foto di copertina di Epica Etica Etnica Pathos e svariati scatti inediti. Ghirri seguì i CCCP durante tutto il processo di creazione dell’album e divenne grande amico di Ferretti&Co.

lasciami qui lasciami stare lasciami così non dire una parola che non sia d’amore per me per la mia vita che è tutto quello che io ho e non è ancora finita Annarella

d SAGA L’inquietudine, la curiosità, la voglia di scoprire nuovi orizzonti, di conoscere gente diversa hanno sempre condotto Ferretti a viaggiare.

Le sue mete erano naturalmente non quelle turistiche ma piuttosto le lande desolate, il deserto, le montagne. “all’inizio è sempre geografia. Parola che mi porta a casa, parola che mi porta via. Basta pensarla, ne nasce storia”.

La sua scoperta sarà all’inizio concentrica per allargamento e coinciderà con la sua crescita, prendendo possesso dei luoghi ne ricava un senso di gioia e forza e anche, anzi soprattutto nella solitudine. Lo spazio intimo gli apre la possibilità dei vari regni della creazione, gli apre la mente.

Viaggia le montagne senza scalarle ma girandoci intorno su sentieri antichi o strade moderne.

Il primo viaggio in un mondo altro per storia e concezioni dell’umano e del divino è il Sahara. Seguono poi anche altre terre poco abitate dove lo attira l’incontro con steppe, allevatori e nomadi. Vuole essere “ospite” e cercare di dare oltre che ricevere senza essere di peso.

“Rara la vita in due... fatta di lievi gesti, e affetti di giornata... consistenti o no, bisogna muoversi... come ospiti... pieni di premure con delicata attenzione... per non disturbare ed è in certi sguardi che... si vede l’infinito” (Tutto l’universo obbedisce all’amore, Franco Battiato)

I viaggi per Ferretti tendono al pellegrinaggio: sono nutrimento, mutazione, conferme “tappe sempre più distanziate di una transumanza. Da casa nel mondo per necessità, interesse e ritorno”. Tra le terre, i luoghi che ha attraversato, la Mongolia è quella che più degli altri gli appartiene e quando ritorna alla sua casa di origine sente una intima vicinanza proprio con quella terra lontana. Varia l’altezza dei monti, la portata dei fiumi, la vastità dei piani, ma non muta la qualità, la sostanza; la semina e la raccolta, la difesa e la cura della terra di generazione in generazione.

Le colline e le montagne conservano il passato, le usanze, il linguaggio, i metodi di lavoro: la montagna è il luogo più adatto alla conservazione del passato.

Una volta tornato a casa, sulle montagne dell’Appennino, luogo arcano, antico e soprattutto primordiale, che ha visto passare e avventure di uomini valorosi. Ferretti sentirà l’esigenza di tradurre le emozioni che i luoghi gli ispirano, in parole e canto.

Questo canto oltre ad essere cantato è stato anche musicato così che acquistasse una forma ed una sostanza del tutto epica.

Il fascino arcano che egli deriva dall’immaginare le montagne in tutte le loro ere, tropicale e glaciale, sarà materia del suo canto. Rivede i luoghi antichi spazzati dai venti, illuminati dalla luna ma soprattutto animati dalla presenza e dalla potenza e dalla grazia dei cavalli. Questa malia che i cavalli hanno sempre suscitato in lui, lo ha spinto a possederne almeno qualcuno, perfino durante i tour dei C.S.I. che a volte lo portavano lontano per mesi.

Li affidava allora all’amico di sempre, Marcello, il Signore dei cavalli la cui stalla era a un’ora di cavalcata nel bosco, da casa sua. Marcello ha anche lui, da sempre, grande passione e cura dei cavalli e ha messo insieme spettacoli con i “maremmani”. La loro antica cultura equestre, sopravvissuta, la sentono come arte e nel progetto che nascerà spontaneamente, in modo quasi immediato, l’inizio sarà la prova fatta sul luogo più difficile, cioè quello con i vicini di casa, il risultato va, andrà, oltre le aspettative e nascerà così il Teatro Barbarico Montano.

Io ho assistito alla IV edizione di SAGA, l’ultima in ordine di tempo e so che alcuni elementi sono mutati rispetto allo spettacolo originale.

Il luogo che ospitava SAGA IV erano i chiostri benedettini di San Pietro, a Reggio Emilia.

La sede è molto suggestiva con una bellissima arena, abbastanza ampia da contenere tutto lo spettacolo, i cavalli che si muovono in modo quasi ieratico e solenne. La musica accompagna il canto che ha il sapore di una storia narrata in modo epico.

Assistere al teatro barbarico è una vera e propria esperienza: per goderla pienamente, per viverla necessita di attenzioni, di sensibilità nel cogliere ogni dettaglio, ogni particolare, tutti essenziali. Questo teatro di uomini e cavalli per Ferretti e la sua compagnia è sentito come il restauro di un’opera d’arte che è stata consegnata loro e che con SAGA I, II, III e IV devono e possono donarla al futuro. Questo “teatro barbarico” non è solo da intendere come messa in scena, bensì come la costruzione di una cerimonia, un rito, che fa riferimento a una povertà tecnica alla quale guarda come un valore; durante lo spettacolo, si rimane incantati di fronte la naturale e immensa grazia che scaturisce dal cavallo che la possiede di per sé ma che è anche magistralmente guidato. Per Giovanni Lindo seguire l’orma dell’animale, il suo segno sulla sabbia, significa mettersi in moto, dare inizio a un vero e proprio percorso, cammino.

L’opera, in tutti i suoi momenti, attimi, regala anche a chi guarda, la sensazione viva di essere sempre in viaggio. La straordinaria emozione che si prova è quella di viaggiare in epoche diverse tra loro, in una geografia antica, di terre inesplorate dall’uomo, di fughe a cavallo, di difficoltà da superare insieme con le bestie amiche. Appena arrivato ai chiostri di San Pietro, mi ero reso conto subito che di lì a poco avrei assistito ad una impresa “folle”, se considerata nel contesto contemporaneo. Realizzare il teatro barbarico montano poteva essere impresa folle, fallimentare, ma Saga IV per me è stata la prova reale che è ancora possibile oggi: l’unica attività, in Italia, di arte equestre che va a compimento, proprio come negli anni ’80. Il racconto è incentrato sulla storia epica dell’Alpe,

contrafforte montuoso d’Appennino, e dei suoi abitanti. Giovanni Lindo Ferretti, Signore del Canto e delle parole, vuole rigenerare il patto che antichi uomini e antichi cavalli stipularono a reciproco sostegno.

La scelta volontaria di inscenare il teatro con luce naturale fa sì che lo spettacolo assuma una impronta epica, col calar del sole diventiamo partecipi di una meraviglia senza eguali; e capaci di condividere la sua convinzione intima e profonda che la riscoperta delle radici, il recupero per rapporto con il cavallo è “la più nobile conquista(…) base materiale della civiltà” come canta Ferretti in “T.P.R.”. Durante lo spettacolo ci accorgiamo che tra i temi classici o “storici” dell’autore come “maciste all’inferno” ed altre autostazioni di brani del passato, senza dubbio emerge l’evoluzione del pensiero di Ferretti, ma non come personaggio, bensì come Uomo: riaffiora in primo piano l’attenzione alle tradizioni cattoliche. Il suo ritorno alla fede, (mai persa e da sempre in lui radicata), e l’immagine della madonna che si unisce, alle altre immagini femminili della sua vita e tutte le contiene, dalla nonna alla madre, la Madonna è sintesi ed emblema di bellezza. Sentiamo quanto Giovanni Lindo Ferretti sia davvero entrato in una dimensione terrena ormai rara, che appartiene solo a pochi oggi, perché profonda ed interiorizzata. La musica dello spettacolo è sontuosa e inquieta, antica e contemporanea, e spesso vi rifulge l’antico spirito punk in simbiosi con violini, trombe ed elettronica. Questo affascinante pastiche affianca il racconto delle drammatiche similitudini fra l’inizio dei secoli e l’oggi: “calano lenti, dal nord e dall’oriente al ponte tremolante della via dei Franchi… viadotti e gallerie dalle pendici del monte traffico intenso sulla Parma mare A15/code a tratti, code attratte dal sole…” recita al suono di un organo nell’inizio folgorante e meticcio la voce raspata di Ferretti. Una magica follia in italiano e in latino, libretto d’opera nel senso più classico, con intuizioni fulminanti che coglie l’intero senso del tempo e dell’umanità, i cavalli, dice Ferretti, danno una idea grezza di teatralità:

“qualcuno mi ha detto che quest’opera è la cosa più vicina ai CCCP che io abbia mai fatto(…)”; afferma poi: “il nostro intento non è rievocare il nostro passato ma prepararci al futuro, e vogliamo portare nel nostro futuro, e vogliamo portare nel nostro futuro questo dono che il Creatore ci ha dato: i cavalli”.

e NON E’ ANCORA FINITA “Non è ancora finita” è un suo messaggio che riassume la ricerca continua di un uomo che ha avuto un percorso accidentato e vario, è andato in tante direzioni, ha realizzato il ritorno alla sua Itaca, ma non esclude la ripresa del cammino.

Il suo narrare e la sua musica stessa da cantastorie ci avvertono che il racconto non ha fine.

Ferretti ha realizzato in gran parte ciò che sognava e ha raggiunto un suo equilibrio, apparentemente sia all’interno di sé che in rapporto al mondo esterno, dico apparentemente perché mi sembrano sempre almeno ipotizzabili le contraddizioni nell’uomo e quindi in lui.

Il luogo dove vive oggi non può essere tanto lontano dall’Emilia Paranoica e da “aspetto un’emozione sempre più indefinibile, indefinibile”.

Arno Hammacher, Chiesa della Valtellina

f L’ALTRO/IL DUBBIO

Per una felice coincidenza temporale, proprio mentre io stavo lavorando alla mia tesi, mi è capitato di parlare di Ferretti con Angelo Flaccavento, critico di moda e costume.

7 Gennaio 2016, ore: 15:46 F: Ciao Angelo,

Oltre alla sua immagine carismatica, cosa della sua lirica ti attrae di più e cosa ti convince, quali immagini e quali temi del canto ti colpiscono di più e se c’è qualcosa che ti lascia perplesso o che ti convince meno nella sua personalità

e nel suo modo di proporsi, nelle sue tematiche.

Condivido la tua impressione sulla sua immagine severa, quasi dura e “medievale”. E’ proprio nel teatro che la sua figura è dominante nella scena e la sua voce si ammorbidisce, diventa da cantastorie…

ore: 16:35 A: Buonasera Francesco.

La figura di Giovanni Lindo Ferretti mi ha sempre affascinato, provocando un misto di curiosità e repulsione. Il timbro metallico e l’enunciato ritmico, quasi per editti, del suo cantare - in epoca CCCP, in modo particolare - sono la prima cosa che mi ha colpito, irritandomi e poi irretendomi, per la ricerca ostinata e certamente consapevole di un registro antimelodico e antigrazioso. La persona/personaggio Ferretti è dura, scabra: come una scultura lignea medievale, nulla concede al frivolo e al bello - anche un bello alternativo. Il suo è sempre stato un punk fintamente rozzo, in realtà verbalmente molto sofisticato, e orgogliosamente di provincia. Io ho sempre apprezzato il punk estetizzato e dadaista alla Poli Styrene. Mi piace l’andamento schizoide e paranoide delle sue liriche, che negli anni si è fatto sempre più solenne e introspettivo. Cosa non mi piace o convince?

L’atteggiamento del guru carismatico, forse riflesso della venerazione da parte dei fan. Per innata anarchia, sono allergico alle autorità, in qualsiasi forma. Da un ex punk, o forse ancora tale - la spiritualità estrema è quanto di più punk, a ben guardare - mi aspetterei minore consapevolezza del proprio ruolo pubblico. Lo preferisco persona, invece che personaggio.

8 Gennaio 2016, ore: 22:23 F: Capisco che ti piaccia meno come personaggio che come persona e mi è chiaro anche il tuo rifiuto nei confronti di chi si atteggia a Profeta e che sembra detenere la verità. Io, giovane come sono, mi sento ancora attratto da lui in toto, senza riserve e lo ammiro sia per il suo modo di essere punk che per il resto del suo percorso. L’unica perplessità che mi resta su di lui è quella zona d’ombra che in fondo mi sembra non abbia mai rivelato. Ha cantato e scritto ed io ho letto tutto ma delle sue emozioni e dei suoi veri affetti, al di fuori di quelli più dichiarati, non mi sembra di coglierne la totalità. Quando parli di Altro fai riferimento forse a quella forza nascosta dentro l’artista che viene fuori solo a volte e non sempre con consapevolezza e volontà ? “non esiste alcun Io, ed è una menzogna, un travisamento, quando diciamo: io penso, io vivo. Bisognerebbe dire (Es denkt, Es lebt), dove l’Es - cuore attivo dell’inconscio - potrebbe essere la forma più generalizzata dell’Altro nella sfera della creatività artistica”. (Francese)

ore: 23:52 A: Io infatti lo trovo impenetrabile, a tratti persino anaffettivo. Cupe vampe si percepiscono nei tremiti della voce e nel pathos secco sul palco, ma a colpirmi è la durezza di Ferretti, la sua sostanziale reticenza ad esporsi davvero, a scoprire il nodo pulsante di sentimenti, affetti, pensieri. Il mio dubbio è che il suo personaggio sia l’Altro: una messa in scena, forse una difesa dell’io recondito. Senza giudizi di sorta sull’impersonare: spesso c’è più verità nella maschera che nel volto nudo.

9 Gennaio 2016, ore: 16:01 F: Da te che sei un esperto, vorrei sapere, quanto pensi abbiano influenzato i CCCP Fedeli alla linea con i loro abiti, costumi e “attrezzi” di scena, sui gusti e la creatività di chi è venuto dopo di loro. A me sembra che, con anticipo, essi abbiano attinto al mondo orientale e ad un immaginario che per quegli anni era diverso da quello anglo-americano, più conosciuto in Europa e che a me invece ha sempre affascinato. Raccontami le tue impressioni.

ore: 16:33 A: Penso che l’influenza dei CCCP sia stata enorme. Nella scrittura musicale, certamente, ma soprattutto nella fusione di mondi e influenze. Il loro per me era un punk sofisticato, working class solo nella espressione orgogliosa della ascendenza politica fedele alla linea, in realtà parecchio colto e distante dal volgo. Le canzoni e anche gli spettacoli, con la gloriosa presa in giro della soubrette, erano quasi cabaret dadaista, di altissimo livello performativo. Nel loro aprirsi al mondo bizantino, i CCCP hanno segnato una cesura rispetto al punk proletario e muscolare. La successiva evoluzione spirituale nella forma CSI, da alcuni presa per involuzione, non mi sorprese affatto, a tal proposito.

Non penso invece che, Annarella a parte, i look dei CCCP abbiano segnato uno stacco rispetto alla norma punk. Erano puro bricolage situazionista.

Ho sempre avuto l’impressione, forse errata, che a Ferretti & Co degli abiti importasse ben poco.

9 Gennaio 2016, ore: 16:58 F: Le tue riflessioni per me sono preziose e stimolanti e mi spingono a guardare anche in maniera più critica e obbiettiva tutto quello che mi piace.

Ti ringrazio anche del tempo che mi hai dedicato e degli impulsi che mi hai iniettato. “Non fare di me un idolo, mi brucerò”. Ciao Angelo

ore: 17:10 A: Grazie Francesco! Felice di esserti utile Amo seminare dubbi negli altri. Quindi ti invito a dubitare anche di me ;-) Un abbraccio a.

Giovanni Lindo Ferretti Barbarico

Alessandra Calò, SAGA III

Annarella, benemerita soubrette dei CCCP Fedeli alla linea

Alessandra Calò, SAGA III

Daesung Lee Futuristic Archaeology

Chiostri di San Pietro Reggio Emilia, SAGA IV foto scattata da me

Annarella a Villa Pirondini nel 1990 catturata da Luigi Ghirri

Saga IV Foto scattata da me

CCCP Fedeli alla linea, dal vivo dal balconcino della piazza di Santarcangelo, su cui si racconta avesse fatto un discorso Mussolini.

The horse rider’s journal

Fellegara

Elmetto di Davide Dall’osso, il costumista

Annarella immortalata da Luigi Ghirri

BIBLIOGRAFIA -

Fernand Braudel, Mediterraneo, Ed. Bompiani, Febbraio 2002

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Giovanni Lindo Ferretti, Reduce, Ed. Mondadori, Aprile 2008

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Giovanni Lindo Ferretti, Bella gente d’Appennino, Ed. Mondadori, Novembre 2009

- Umberto Negri, Io e i CCCP. Da Carpi a Berlino. Una storia fotografica e orale, Ed. Shake, Marzo 2007 - Annarella Giudici, G. Lindo Ferretti, Rossana Tagliati, Annabella benemerita soubrette. CCCP fedeli alla linea, Ed. Quodlibet, Maggio 2014 -

Giovanni Lindo Ferretti, Barbarico, Ed. Mondadori, Novembre 2013

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Rockerilla n°105, CCCP, Ed. Rockerilla s.n.c., Maggio 1989

- Toni Contiero, FELLEGARA. Dove sono nati i CCCP Fedeli alla linea, Ed.NCS, Novembre 2015 - Gigi Marinoni, CCCP Fedeli alla linea(Ragazza emancipata, Tien an Men, Trafitto), Ed. Stampa alternativa nuovi equilibri, Luglio 2008 -

Koto Bolofo, Koto Bolofo Horse Power, Ed. Steidl, Dicembre 2010

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Pier Paolo Pasolini, Il caos, Ed. Garzanti, Ottobre 2015

FILMOGRAFIA - Germano Maccioni, Fedele alla linea, Giovanni Lindo Ferretti, Popoli doc, Maggio 2013 - Luca Gasparini, Tempi moderni. CCCP Fedeli alla linea, 1989 - Paolo Boriani, SAGA, Sky Arte HD documentario, 2013 - Giovanni Lindo Ferretti, SAGA, Il canto dei canti CD Album, Sony Music, Etichetta Nomusic Di Sergio Delle Cese, (Aprile 2013) SITOGRAFIA -Testimoni della Fede Laici, Giovanni Lindo Ferretti(2008), Don Bosco Land. Disponibile da: www.donboscoland.it/articoli/articolo.php?id=130159 consultato nel Dicembre 2015.

-Saga Opera Equestre, il Canto dei Canti, consultato tutto il sito. disponibile da: http://www.sagaoperaequestre.it/ consultato nel mese Novembre 2015 e Gennaio 2016.

-Leonardo Maria Eva, Non fare di me un idolo mi brucerò, Un gruppo, tre gruppi, CCCP Fedeli alla linea - Consorzio Suonatori Indipendenti - Per Grazia Ricevuta. Disponibile da http://www.testipensanti.it/testipensanti/cccp.html consultato da Agosto fino a Dicembre 2015.

-Venite ad Me, Storie di conversione. La testimonianza di Giovanni Lindo Ferretti, sezione Res Sacrae, disponibile da: www.veniteadme.org/storie-conversione-giovanni-lindo-ferretti/ consultato nel Dicembre 2015 -Piero Scaruffi, Max Osini & Massimo Spezzaferro, CCCP(2002), disponibile da: www. scaruffi.com/vol6/cccp.html consultato da Settembre 2015 fino a Gennaio 2016.