Comunicare la sostenibilità ambientale

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Politecnico di Milano

Facoltà di Disegno Industriale Corso di laurea specialistica_ Communication Design III facoltà di Architettura

COMUNICARE LA SOSTENIBILITA’ SOCIALE E AMBIENTALE Strategie per una comunicazione sostenibile della sostenibilita’ nel comune di Milano

Relatore_ Prof.ssa Maria Luisa Galbiati Studente_ Ester Bolognino

Appello 21 luglio 2010 a.a. 2009/2010 Milano



Politecnico di Milano Facoltà di Disegno Industriale Corso di laurea specialistica_ Communication Design III facoltà di Architettura

COMUNICARE LA SOSTENIBILITA’ SOCIALE E AMBIENTALE Strategie per una comunicazione sostenibile della sostenibilita’ nel comune di Milano

Relatore_ Maria Luisa Galbiati Studente_ Ester Bolognino

Appello 21 luglio 2010 a.a. 2009/2010 Milano


Questa è una metatesi


INDICE Abstract Guida alla lettura

X XII

- I benefici sociali della pubblicità - I mezzi di comunicazione di massa Suggestioni del suono e delle musica

58 60 63

Parte 1 1.0 Comunicazione 00

1.3 Persuasione 66

1.1 Retorica 28

1.4 Marketing 88

- Introduzione 01 - Il significato quotidiano del termine 02 - Il modello di Shannon-Weaver 04 - I diversi tipi di Linguaggi 05 - La teoria della comunicazione 09 - Finalità della comunicazione 12 - Modelli di comunicazione interpersonale 13 - Finalità della comunicazione 2. Gli atti linguistici 15 - I dialoghi 17 - I mass media, canali dei dialoghi 18 - L’interpretazione 20 - Dal segno al senso 22 - Conclusione 24 - Testo e Contesto 25 - Elementi del contesto 26

- La retorica, storia e sviluppo 28 - La struttura dell’orazione latina 30 - Raccontare i fatti 31 - Il linguaggio 32 - Pubblicità e retorica 32

1.2 Pubblicità 34 - La prima classificazione 36 - Origini 36 - Contesto storico 37 - Una società di consumatori 37 - La pubblicità degli inizi del ’900 39 Pubblicità come capolavoro messaggi della Belle époque 41 - L’agenzia di pubblicità 42 I reparti e le figure 43 Cinque visioni del comunicatore di professione 46 - La strategia di comunicazione 49 La nascita di una relazione 49 Mirare prima di sparare 49 Creatività o strategia? 50 Cos’è la strategia? 50 Le basi della strategia pubblicitaria 52 - Psicologia della pubblicità 53

IV

- Un pò di storia 67 - Convincere o persuadere? 70 - La persuasione e la pubblicità 71 La fonte 72 La struttura del messaggio 73 Il ricevente 74 - La pubblicità sociale 75 - La pubblicità per la prevenzione 76 - L’appello alla paura 78 - Il paradosso dell’argomentare 80 - La persuasione nelle relazioni interpersonali 83 L’interazione comunicativa 83 La comunicazione non verbale 83 - Il processo comunicativo e la persuasione 84 - Le richieste che vincolano 84

- Le tante definizioni 88 - Il marketing nella storia e nella società 89 - Bilancio sintetico di 50 anni di sviluppo 92 - Dal marketing tradizionale al marketing sostenibile 93 - Il marketing laterale 95 Etica 96 - Prima classificazione di marketing 97 - Piano marketing 98 - Le 4P e le 4C 101 - Bisogni 102 Bisogni, desideri e domanda: definizione 102 Prime classificazioni dei bisogni 103 Il marketing crea bisogni o esaudisce desideri? 104 I bisogni di Murray 105 La gerarchia dei bisogni di Maslow 105 La teoria dei valori di Rokeack 107 La teoria dei mezzi-fini 107 La decisione di acquiso di Sheth, Newman e Gross 107 Il prodotto come paniere di attributi 108 - Psicologia di Marketing e comunicazione 109 Tecniche di marketing nei media tradizionali 110 Tecniche di marketing nei nuovi media 112 - L’influenza dei mass media e l’effetto terza persona 112

V


- Strategie di marketing 114 - Marketing emozionale e marketing polisensoriale 114 La gestione delle leve irrazionali dell’acquisto 114 Linguaggi sinestetici 115 Stimolazioni sensoriali 116 - Marketing esperienziale 116 Customer experience 118 Stimolare positivamente la c. e. 118 Gli strumenti per una c. e. che crei valore 118 - Marketing relazionale 119 La conoscenza fattore chiave 120 - Marketing non convenzionale 121 I ninja guerriei non convenzionali 122 I 10 principi della “Sacra scuola del marketing non convenzionale” 123 - Guerrilla marketing 124 Come si organizza una campagna di guerrilla? 125 - Il marketing virale 126 Consigli per gli acquisti 127 - Ambient marketing 128 Ambush marketing 129

Parte 2

- Introduzione 131

2.1 La sostenibilità 132 Il Rapporto Brundtland – Our common future 132 - Sostenibilità: un concetto ampio e poliedrico 134 - La storia di The natural step 136 - Lo sviluppo sostenibile 137 - Critiche alle definizioni di sostenibilità 139 - L’ultimo gadget ideologico dell’Occidente 140 Lo sviluppo (in)sostenibile 140

2.2 Ecologia 144 - Ecologia e ambientalismo 144 - I fattori ambientali 146 Le emergenze ambientali 147 - Ambientalismo 147 - Correnti dell’ecologia 148 - Correnti della filosofia ambientalista 150 - Storia 150 L’ambientalismo oggi 151 - Le tante storie dell’ambiente 152 - Le associazione ambientali 157 Greenpeace 157 WWF 158

VI

Legambiente 158 FAI 159 - Problematici scenari futuri della corsa al green 160 Earth Day: quarant’anni dopo 162 - Greenwashing 164

2.3 Decrescita 166 - Decrescita, il contesto storico e sociale 166 - I principi 168 - La formula IPAT 169 Dichiarazione sulla decrescita 170 - Manifesto del Doposviluppo 173 Rompere l’immaginario dello sviluppo e della globalizzazione 173 - I nuovi aspetti dello sviluppo 174 Oltre lo sviluppo 175

2.4 Lo sviluppo sostenibile 176 - Sviluppo sostenibile 179 Lo sviluppo sostenibile secondo la legge italiana 180 Cambiamento climatico e occupazione 182 - Lo scenario del cambiameno. Il programma delle 8 R 183 - Scenari possibili 185 Rapporto sui limiti dello sviluppo 185 - Limits to Growth: the 30-years update 186 L’impatto del Rapporto 189

2.5 L’impronta ecologica 190 - Questa grande sconosciuta - Cambiamenti climatici in numeri Impronta ecologica: l’impatto pro capite sull’ambiente Calcolo dell’impronta ecologica personale

190 193 194 196

2.6 Milano 198 - Nuovo piano per la città - Verso una citta’ aperta e sostenibile Il verde cittadino Le “parti” e le “voci” della città - L’urbanistica verso una politica energetica innovativa Il progetto “Nove Parchi per Milano”

198 199 200 201 201 202

VII


Parte 3

- Introduzione 205

3.1 Studio Preliminare 206 - Brief 206 - Le diverse Milano 208 - Progetti realizzati a Milano 210 L’illogica allegria per i beni comuni 210 BikeMi 214 Car sharing 216 - EXPO Milano 2015 217 Perchè Milano 217 Milano, metropoli-nodo mondiale 217 Il tema dell’Expo: Feeding the Planet, Energy for Life 218 Milano, ambasciatrice dell’Italia nel mondo 219 Come cambierà Milano in vista dell’Expo 220 Le infrastrutture 220 L’immagine della Expo 221 I numeri dell’Expo 221 - Milano città verde (?) 222 - Risultati della ricerca sul campo 224 - Cosa vuol dire progettare la sostenibilità 226 - Sviluppo sostenibile e sostenibilità ambientale 228 Senari della transizione 229 - Ssostenibilità cognitiva degli artefatti 231 L’accezione economica, sociale ed ecologica di design 231 Sustainable Interaction design 232 Dimensione emotiva ed esperienziale dell’utente 232 Linee guida per una sostenibilità cognitiva degli artefatti 233 - Un’analisi sociologica per introdurre il marketing tribale 234 - Il marketing tribale 242 - Il marketing mediterraneo 247 Strategie 249 Può il marketing promuovere la sostenibilità? 249 Il mondo è in crisi: e se a salvarlo fossero i brand? 251

Nonni sprint Le amiche di shopping New entry I novelli L’integrato L’impegnata

271 272 273 274 275 276

3.3 Il progetto 288 - Premessa 278 - Campagne passate 280 - Novità apportate 280 Bisogni 280 Marketing tribale 281 Come persuadere? 282 Impronta ecologica 284 Marketing mediterraneo 286 - Le fasi del Piano 288 0. Teaser (fase di azzeramento) 288 1. Informare 289 2. Proporre soluzioni 290 3. Chiamare all’azione 290 4. Rendere partecipi dei risultati 290 - La fase ‘0’: Teaser 294 Criteri di individuazione dei NIL 294 Suddivisioni in zone 295 - Tappeto “passi” 398 Tappeto sonoro 301

Ringraziamenti 304 Bibliografia 306 Sitografia 308

3.2 Copy strategy 254 - Debrief 254 - Obiettivi della tesi 255 - Problemi 256 - Bisogni 257 Se i desideri sfuggono al controllo 260 - Concept 264 - Target 266 - Personas 270 Mamma apprensiva 270

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abstract ‘Sostenibilità’ sembra essere la parola del momento. Tutti ne parlano ma pochi sanno di cosa si tratta. Molti la reclamano ma non la applicano e altrettanti la temono. Al di là del fatto che sia ormai una moda ostentare un vocabolario ambientalista - perché solo di questo si tratta, non certo di atteggiamenti sostenibilità è un concetto che porta dentro di sè una speranza. Non è una parola vacua sulla bocca di politici, ecologisti, fanatici della natura. Sostenibilità è la strada attraverso la quale l’uomo, e per uomo intendo l’umanità intera, deve fare i conti se non vuole autodistruggersi lentamente. Con questa tesi, si intende chiarire il significato del termine e comunicarlo ai cittadini di Milano, per iniziare. Ma come si può comunicare in maniera efficace un concetto che ha al suo interno un insieme di nozioni complesse? E una volta comunicato, cosa e come si può riuscire a convincere gli uomini a modificare i loro atteggiamenti secolari tanto da risultare ormai radicati? Questo volume si assume il grave compito di cercare, quanto meno, di dare delle risposte precise a queste domande. Per far questo si è creduto necessario inserire tutto il procedimento che ha portato al progetto finale. Si è sviluppata una sorta di “cassetta per gli attrezzi”!

una summa mettendo in evidenza solo gli aspetti utili ai fini della progettazione; altro obiettivo è quello di creare un progetto di comunicazione che non sia solo utile ma anche “bello”. Forse è un progetto ambizioso, ma io sono fermamente convinta che il design possa essere uno strumento eccezionale per migliorare la vita di tutti seguendo criteri sostenibili; il design deve avere una utilità sociale e non solo commerciale.

La tesi si compone di tre parti: - la prima si occupa della comunicazione, dalla storia della retorica alle tecniche di persuasione utilizzate in pubblicità e dal marketing. Si concentra anche, sulle strategie per la comunicazione sociale e della sostenibilità ambientale cercando, dopo un attento studio delle case histories e di varie campagne sociali e ambientali, di creare un modello strategico che sia efficace per comunicare questi temi. Questo modello non vuole essere universale ma specificamente adatto alla comunicare ai cittadini di Milano e della Lombardia; - nella seconda parte si affrontano i temi che si svilupperanno nel corso del progetto. In particolare, dopo una premessa sulla sostenibilità in generale, ampio spazio è riservato alla storia dell’ecologia e all’evoluzione delle sue teorie, alla spiegazione delle cause e delle conseguenze dell’attività umana sul nostro pianeta con annesse la possibili soluzioni. Molto importante anche l’analisi della situazione milanese; - la terza parte consiste nel mettere in pratica le teorie assunte nella sezione teorica per dar vita ad un progetto di comunicazione (comunicazione indetta dal comune di Milano, avrà come target tutti o una parte di cittadini milanesi e lombardi, e come contenuti tematiche ecologiche). Un obiettivo della tesi è quello di approfondire il tema comunicazione e trarre

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guida alla lettura La tesi di laurea che compone questo volume contiene molti argomenti diversi tra loro. Vuole essere un aiuto per i progettisti della comunicazione: suo scopo è infatti quello di identificare un percorso progettuale fornendo tutti gli elementi più utili per comunicare efficacemente un argomento, e particolarmente un tema di natura sociale. Tuttavia è essa stessa una traccia progettuale, un percorso. È una meta-tesi, una tesi della tesi. Un discorso teorico sul quale si fonda la parte progettuale. Se consideriamo come tesi il progetto, tutto ciò che viene inserito prima compone la metatesi Un discorso che spiega e al contempo accompagna e costituisce il percorso progettuale: spiega come fare un progetto ed è un progetto. Si compone di due parti principali, una teorica di ricognizione di tutti gli argomenti legati alla comunicazione, alla pubblicità e alla realizzazione di una strategia comunicativa; la seconda costituita dal progetto stesso, realizzato seguendo le linee guida proposte nella prima parte. Le due parti sono l’una la realizzazione pratica dell’altra, invece teorica.

- i rimandi color argento sono collegamenti di tipo teorico che approfondiscono l’argomento che si sta trattando e collegano due o più parti parti che risultano l’una il completamento delle altre; - i riferimenti oro evidenziano come la teoria diventa pratica, come il progetto di tesi è il risultato dello studio e delle teorie esplicitate nella prima parte. Questa rete di continui e fitti riferimenti rende completa e logica la struttura delle informazioni contenute che al contrario potrebbe sembrare spezzettata e discontinua. Grazie alle note a fianco del testo il capitolo o paragrafo può essere approfondito e completato. Ogni riferimento non è puramente casuale!

L’ordine dei capitoli e dei paragrafi non è casuale ma è frutto di una scelta metaprogettuale ben precisa: prima fra tutti è la parte relativa alla comunicazione e alla strategia. In questa parte si affrontano i temi legati alla comunicazione interpersonale, perché il progetto che seguirà è volutamente intriso di elementi che riescono a rendere la strategia meno macchinosa e più intima e diretta all’individuo e alla comunità cittadina; alla pubblicità, perché da questa disciplina saranno tratti degli elementi essenziali per progettare la comunicazione; alla persuasione e retorica, che costituiranno i pilastri e le basi per la strategia; e il marketing, capitolo dal quale saranno estratti i principali elementi delle già esistenti correnti che andranno a formare un nuovo tipo di marketing strategico che ha come fondamento principale il marketing mediterraneo. Nella seconda parte si affrontano i temi relativi alla sostenibilità sociale e in particolare ambientale. Questi sono indispensabili per capire a che punto della storia siamo, quali possono essere le aree di intervento e quali sono le informazioni da comunicare e attraverso quali strumenti veicolarle. Solo dopo aver assunto tutte queste nozioni base e conoscenze si passa alla progettazione vera e propria che parte dalla definizione di una mission e di obiettivi chiave per approdare alla realizzazione del progetto attraverso lo studio, il ragionamento e l’applicazione di ciò che si è imparato nelle prime due parti di questa tesi. Per questo motivo, si è scelto di evidenziare questo legame tra teoria e pratica con l’introduzione di rimandi. I rimandi, posti a lato del testo, sono divisi in due tipologie:

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comunicazione

parte 1 //////////////////////////////////////////////////////////////////////

comunicazione

introduzione La comunicazione è e dà la vita. Nessuno non comunica, tutti abbiamo bisogno di relazionarci con gli altri esseri viventi. La comunicazione quindi mette in relazione, in una delle relazioni possibili. I fattori che si mettono in gioco durante la comunicazione sono molteplici e li vedremo in questo capitolo. Siamo immersi nella comunicazione in maniera talmente tanto radicale che molta di questa va a vuoto o meglio, non viene percepita. La percezione è un elemento importantissimo della comunicazione: spesso può essere distorta o forzata o pilotata. La pubblicità e il marketing hanno preso tanti elementi della comunicazione e li hanno mixati insieme alla retorica, l’arte del persuadere e alla creatività. In questa prima parte si racconta cos’è la pubblicità e come si realizza una strategia di comunicazione facendo una summa di tutti i loro elementi, seguendo anche un percorso logico che partendo dal modello primordiale di comunicazione, approderà alle strategie di marketing più sottili e innovative. Questo primo capitolo è stato pensato come una summa di tutti gli elementi della comunicazione interpersonale e di massa e redatto come uno strumento utile per progettare. È una sorta di vademecum del comunicatore: mette nero su bianco in maniera schematica e sintetica tutto ciò che c’è da sapere sulla comunicazione per poter ideare una strategia di marketing e comunicazione davvero efficace. Analizza tutti gli aspetti dando rilievo a quelli maggiormente inerenti al progetto affrontato nella terza parte. Questa prima parte è pensata come un riassunto semplice, comprensibile dai non addetti ai lavori anche grazie a numerosi schemi e tabelle, e allo stesso tempo completo per chi fa il progettista della comunicazione.

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parte 1

comunicazione

1.0

comunicazione

Il significato quotidiano del termine In un’ipotetica graduatoria, che registri le parole oggi più di moda, il termine comunicazione occuperebbe uno dei primi posti. A conferma, si può osservare il consenso di cui gode l’espressione ‘tutto è comunicazione’, con la quale si sintetizza una delle principali ‘scoperte’ della nostra epoca, definita appunto epoca della comunicazione. Il fatto che la parola comunicazione serva a dire ‘tutto’ dovrebbe destare dei sospetti (dire tutto è molto vicino a dire nulla). Inoltre, il suo alto indice di circolazione non può essere assunto come garanzia del suo valore e della sua precisione semantica, perché l’inflazione corrompe la parola come la moneta. Prima dunque di affrontare uno studio specialistico del termine comunicazione, sembra doveroso soffermarsi sull’uso quotidiano che ne facciamo, in modo da constatarne la polisemia e il rischio di ambiguità e insieme la duttilità nel registrare i cambi culturali. Uno dei modi efficaci per sondare quale sia l’area semantica attribuita oggi al termine comunicazione è studiare un dizionario importante come lo Zingarelli; non però consultando solo l’edizione attuale, ma facendo un confronto con le edizioni precedenti, così da cogliere, assieme alla situazione attuale, anche il lento cambiamento avvenuto a livello semantico in un periodo di ottant’anni (la prima edizione è del 1922). La prima cosa che emerge con evidenza è lo spazio crescente dedicato al lemma: nelle prime edizioni, fino al 1965, la voce è fatta di 60 parole, mentre nelle ultime edizioni le parole sono quadruplicate. Nell’edizione del 1970 la trattazione cambia completamente e il primo significato segnalato, in termini di spazio dedicato, è: “atto del comunicare, trasmettere ad altri: comunicazione di idee, di notizie; comunicazione orale, scritta. Mezzi di comunicazione di massa, il complesso della stampa e degli audiovisivi impiegati per la diffusione delle notizie e di spettacoli a tutti i livelli della società e tendenti a creare comportamenti ideali e bisogni di massa”.

Nelle edizioni successive la scelta di dare importanza al lemma viene ulteriormente confermata; ci sono più dettagli (lo spazio dedicato quasi raddoppia) e maggiore è l’attenzione al contributo della tecnologia e degli studi di settore. Nel 1983 due sono le novità da evidenziare: scompare la valutazione relativa ai mezzi di comunicazione di massa (“tendenti a creare comportamenti ideali e bisogni di massa”) e viene aggiunta la definizione: “Processo mediante il quale l’informazione viene trasmessa, con appositi segnali, da un sistema all’altro”. Colpisce il fatto che ci siano voluti 35 anni per recepire la proposta della teoria dell’informazione (sarà l’edizione del 1999 a registrare il significato: “Scambio di messaggi fra un emittente e un ricevente: comunicazione verbale, non verbale; la zoosemiotica studia i sistemi di comunicazione tra animali”). Un’ultima constatazione può essere utile: i due termini comunicatore, comunicatrice nelle prime quattro edizioni sono segnalati come sostantivi derivabili dal verbo Comunicare, con la sola spiegazione “che comunica”. Dal 1993 le due parole ritornano nel dizionario con questa descrizione: “1. Chi comunica | (est.) Chi sa usare i mezzi di comunicazione di massa per influenzare, persuadere, convincere chi lo ascolta. 2. Chi invia regolarmente comunicazioni ai giornali”. Dall’esame dello Zingarelli si nota dunque un progressivo superamento del legame comunicazione/mezzi e vie di trasporto e insieme una sempre più ampia accoglienza dei significati derivati dalla tecnologia e dagli studi sulla comunicazione. Oggi per comunicazione si intende il vasto complesso di attività lavorative e professionali che spaziano dal giornalismo, all’editoria elettronica, alla comunicazione d’impresa e al marketing, passando per la cinematografia e altro ancora. Comunicare, lat – communicàre - cum = con, e munire = legare, costruire e dal latino communico = mettere in comune, far partecipe – dare notizia, ragguagliare.1 La comunicazione non è soltanto un processo di trasmissione di informazioni (secondo il modello di Shannon-Weaver). In italiano, il termine “comunicazione” ha il significato semantico di “far conoscere”, “rendere noto”. La comunicazione è un processo costituito da un soggetto che ha intenzione di far sì che il ricevente pensi o faccia qualcosa. 2

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vocabolario della lingua italiana Il Nuovo Zingarelli, 2000 Anolli L., Fondamenti di psicologia della comunicazione, 2006

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parte 1

comunicazione

Il modello di Shannon-Weaver Questa teoria ha preso il nome di modello postale della comunicazione perché considera la comunicazione come «trasmissione di un’informazione attraverso un messaggio inviato da un emittente a un ricevente».

01. Modello postale della comunicazione con nomenclatura differenziata.

Il modello Telematico può essere scomposto come nella figura sotto. Prima che il messaggio arrivi al Ricevente è codificato dall’Emittente, subisce distorsioni, passa attraverso un Canale e infine è decodificato dal Ricevente.3

02. Schema completo del modello comunicativo.

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Teoria matematica delle comunicazioni, 1954

I diversi tipi di linguaggi Come si è detto, “comunicare” significa rendere partecipi gli altri dei propri pensieri mediante la trasmissione di un messaggio. Il messaggio traduce l’idea che si ha nella mente in un insieme di segni (gesti, suoni, parole, immagini, oggetti), e può essere inviato attraverso vari linguaggi. La comunicazione, nella sua accezione semiotica, è la maniera di trasmettere significati.4 Possiamo dividere in due macro gruppi i tipi di linguaggio: non verbale e verbale. 1 - NON VERBALE (tutto ciò che non è testo) - Linguaggio gestuale Consiste nei messaggi volontari e/o involontari che il corpo umano comunica attraverso espressioni (sguardi,mimica facciale ecc.), gesti (delle mani o delle braccia), movimenti (alzarsi, sedersi, ecc.). Nel caso della danza o del mimo il linguaggio può diventare racconto o narrazione. - Linguaggio iconico-visivo E’ costruito attraverso l’immagine, come un disegno o una architettura. La nostra è considerata la civiltà dell’immagine per la presenza massiccia di cartelloni pubblicitari e messaggi televisivi. Nell’ambito delle scienze della comunicazione la comunicazione non verbale viene suddivisa in tre componenti: CINESICA: Il sistema cinestesico comprende tutti gli atti comunicativi espressi dai movimenti del corpo. - movimenti oculari: il contatto visivo tra due persone ha una pluralità di significati, dal comunicare interesse al gesto di sfida. L’aspetto sociale ed il contesto influenzano anche questo aspetto: una persona, in una situazione di disagio, tenderà più facilmente del solito ad abbassare lo sguardo. - mimica facciale. va considerato che non tutto ciò che viene comunicato tramite le espressioni del volto è sotto il nostro controllo (ad esempio l’arrossire o l’impallidire). La gran parte delle espressioni facciali sono, ad ogni modo, volontarie ed adattabili a nostro piacimento alle circostanze. - i gesti, in primo luogo quelli compiuti con le mani. La gestualità manuale può essere un’utile sottolineatura delle parole, e quindi rafforzarne il significato, ma anche fornire una chiave di lettura difforme dal significato del messaggio espresso verbalmente. Anche in questo senso va considerata la difformità interpretativa che le diverse culture danno ai vari gesti: ad esempio in Bulgaria lo scuotimento laterale del capo, che in quasi tutte le culture significa “No”, ha esattamente il significato opposto

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Andrea Semprini, La marca postmoderna, 2005

parte 1 La persuasione La comunicazione non verbale pag.83

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parte 1

comunicazione

- postura. Anche in questo caso gli elementi sociali e di contesto hanno grande importanza, talvolta identificando con precisione la posizione corretta da mantenere in una data circostanza. PROSSEMICA: analizza i messaggi inviati con l’occupazione dello spazio. Il modo nel quale le persone tendono a disporsi in una determinata situazione, apparentemente casuale, è in realtà codificato da regole ben precise. Ognuno di noi tende a suddividere lo spazio che ci circonda in quattro zone principali: - Zona intima (da 0 a 50 centimetri) - Zona personale (da 50 cm ad 1 metro) - Zona sociale (da 1 m a 3 o 4 m) - Zona pubblica (oltre i 4 m) La zona intima è quella con accesso più ristretto: vengono accettati senza disagio al suo interno solo alcuni familiari e il partner. Un ingresso di altre persone esterne a questo ristretto nucleo di “ammessi” all’interno della zona intima viene percepita come una invasione che provoca un disagio, variabile a seconda del soggetto. Basti pensare alla situazione di imbarazzo che si prova quando si è costretti ad ammettere nella propria zona intima soggetti estranei, ad esempio in ascensore o sull’autobus; la conseguenza di questa situazione è un tentativo di mostrare l’involontarietà dell’“invasione”, quindi si tende ad irrigidirsi e a non incrociare lo sguardo con le altre persone. La zona personale è meno ristretta: vi sono ammessi familiari meno stretti, amici, colleghi. In questa zona si possono svolgere comunicazioni informali, il volume della voce può essere mantenuto basso e la distanza è comunque sufficientemente limitata da consentire di cogliere nel dettaglio espressioni e movimenti degli interlocutori. La zona sociale è quell’area in cui si svolgono tutte le attività che prevedono interazione con persone sconosciute o poco conosciute. A questa distanza (da 1 a 3 o 4 metri) è possibile cogliere interamente o quasi la figura dell’interlocutore, cosa che permette di controllarlo per capire meglio le sue intenzioni. È anche la zona nella quale si svolgono gli incontri di tipo formale, ad esempio un incontro di affari. La zona pubblica è quella delle occasioni ufficiali: un comizio, una conferenza, una lezione universitaria. In questo caso la distanza tra chi parla e chi ascolta è relativamente elevata e generalmente codificata. È caratterizzata da una forte asimmetria tra i partecipanti alla comunicazione: generalmente una sola persona parla, mentre tutte le altre ascoltano. PARALINGUISTICA: sistema vocale non verbale, indica l’insieme dei suoni emessi nella comunicazione verbale, indipendentemente dal significato delle parole. Il sistema paralinguistico è caratterizzato da diversi aspetti: - Tono: viene influenzato da fattori fisiologici (età, costituzione), e dal contesto: una persona di elevato livello sociale che si trova a parlare con una di livello sociale più basso tenderà ad avere un tono di voce più grave. - Frequenza: anche in questo caso l’aspetto sociale ha una forte influenza: un sottoposto che si trova a parlare con un superiore tenderà ad avere una frequenza di voce più bassa rispetto al normale.

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- Ritmo: il ritmo dato ad un discorso conferisce maggiore o minore autorevolezza alle parole pronunciate: parlare ad un ritmo lento, inserendo delle pause tra una frase e l’altra, dà un tono di solennità a ciò che si dice; al contrario parlare ad un ritmo elevato attribuisce poca importanza alle parole pronunciate. Nell’analisi del ritmo va considerata l’importanza delle pause, che vengono distinte in pause vuote e pause piene. Le pause vuote rappresentano il silenzio tra una frase e l’altra, quelle piene le tipiche interiezioni (come “mmm”, “beh”) prive di significato verbale, inserite tra una frase e l’altra. - Silenzio: anche il silenzio rappresenta una forma di comunicazione nel sistema paralinguistico, e le sue caratteristiche possono essere fortemente ambivalenti: il silenzio tra due innamorati ha ovviamente un significato molto diverso rispetto al silenzio tra due persone che si ignorano. Ma anche in questo caso gli aspetti sociali e gerarchici hanno una parte fondamentale: un professore che parla alla classe o un ufficiale che si rivolge alle truppe parleranno nel generale silenzio, considerato una forma di rispetto per il ruolo ricoperto dalla persona che parla.

03. Albert Mehrabian (“Non-verbal communication”) nel 1972 ha condotto uno studio che ha mostrato che ciò che viene percepito in un messaggio vocale può essere così suddiviso:

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parte 1

comunicazione

2 - VERBALE (testi, ovvero parole e suoni) - Linguaggio verbale Consente infinite possibilità di comunicazione mediante segni orali e scritti, ognuno dei quali è formato da significato e significante. I segni della lingua sono le parole: il significato è dato dall’idea che con la parola si vuole comunicare; il significante è rappresentato dall’insieme di lettere e suoni variamente combinati. In ogni situazione in cui avviene una comunicazione sono presenti i seguenti elementi fondamentali: 1) Emittente: è colui invia il messaggio; 2) Destinatario/Ricevente: è colui al quale è diretto il messaggio e lo riceve; 3) Messaggio: è ciò che viene comunicato dall’emittente; 4) Codice: è ogni linguaggio che permette di comunicare il messaggio (la comunicazione avviene quando iol codice di trasmissione è noto ad entrambi); 5) Referente: è ciò di cui si parla; 6) Contesto: è la situazione nell’ambito della quale si comunica il messaggio 7) Canale: é il mezzo fisico che porta il messaggio dall’emittente al destinatari. 04. Schema riassuntivo dei vari tipi di linguaggio.

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La teoria della comunicazione La teoria della comunicazione è lo studio dei fenomeni di trasmissione di segnali tra un sistema ed un altro di uguale natura. Comunicare, dal latino communis = che appartiene a tutti, significa propriamente condividere, “mettere qualcosa in comune con gli altri”. L’atto della comunicazione ha infatti lo scopo di trasmettere a qualcuno informazioni e messaggi. Come si è visto nel precedente paragrafo, i modi di comunicare sono numerosi e vari, come varie e numerose sono le informazioni che si possono trasmettere. Tuttavia, al di là di tanta varietà, è possibile individuare il meccanismo della comunicazione e le caratteristiche fondamentali che sono comuni ad ogni atto comunicativo. Il linguista Roman Jakobson, nella sua “teoria della comunicazione verbale” ricavata dal modello cibernetico, ha schematizzato sei aspetti fondamentali che sono riconducibili anche ad altre forme di comunicazione, comprese quelle che utilizzano un linguaggio non verbale ma che si servono, ad esempio, di suoni o di gesti. Egli ha individuato che un messaggio inviato da un mittente (o locutore, o parlante) viene ricevuto da un destinatario (o interlocutore) e che si riferisce ad un contesto (che è l’insieme della situazione generale e delle particolari circostanze in cui ogni evento comunicativo è inserito nel messaggio). Per poter compiere tale operazione sono necessari un codice che sia comune sia al mittente sia al destinatario, e un contatto che è al tempo stesso un canale fisico e una connessione psicologica fra il mittente e il destinatario che consente loro di stabilire la comunicazione e di mantenerla. Per comprendere un messaggio è necessario che il destinatario abbia lo stesso codice e universo semantico (mondo di riferimento) del mittente.

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parte 1 La persuasione La struttura del messaggio pag.73

comunicazione

- MITTENTE, la fonte delle informazioni effettua la codifica di queste ultime in un messaggio, - DESTINATARIO, accoglie il messaggio, lo decodifica, lo interpreta e lo comprende, - MESSAGGIO, o referente: l’oggetto della comunicazione, il contenuto - CANALE, il mezzo di propagazione fisica del codice (onde sonore o elettromagnetiche, scrittura, bit), - CONTESTO, l’universo semantico, l’“ambiente” all’interno del quale si situa l’atto comunicativo, - CODICE, composizione, forma del messaggio, deve essere compatibile a entrambi, parola parlata o scritta, immagine, tono impiegata per “formare” il messaggio. Secondo Jakobson, dunque, ci sono sei fattori che concorrono a realizzare un singolo atto comunicativo. Ai sei fattori Jakobson associa sei funzioni: - la funzione referenziale (contesto o ambiente) - la funzione espressiva (mittente) - la funzione conativa (destinatario) - la funzione fàtica (contatto) - la funzione poetica (messaggio) - la funzione metalinguistica (codice). 5

05. Le sei funzioni di Jacobson

Si ha una funzione referenziale (ciò di cui si parla) quando, nel comunicare qualcosa, il parlante collega continuamente due serie di elementi: le parole con i referenti, compiendo un’operazione che è alla base del linguaggio, la referenza. Il parlante, per poter compiere questo processo, deve possedere una conoscenza extralinguistica che gli permetta di comprendere e di utilizzare il fenomeno della corefenza e possedere una competenza testuale. Si ha una funzione espressiva quando il mittente cerca di dimostrare, nel suo messaggio, il proprio stato d’animo utilizzando vari mezzi, come una particolare elevazione o modulazione del tono della voce, espressioni “forti” o alterazione del normale ordine delle parole. Si ha una funzione conativa (dal latino conari = intraprendere, tentare) o persuasiva quando il mittente cerca di influire sul destinatario mediante l’uso del vocativo o dell’imperativo. Si ha la funzione fàtica (dal latino fari = pronunciare, parlare) quando ci si orienta sul canale attraverso il quale passa il messaggio che serve per richiamare l’attenzione dell’ascoltatore sul canale comunicativo. Si ha la funzione poetica quando, orientandoci sul messaggio, si pone al centro dell’attenzione l’aspetto fonico delle parole, la scelta dei vocaboli e delle costruzioni. Questa funzione poetica non appare solamente nei testi poetici e letterari, ma anche nella lingua di tutti i giorni, nel linguaggio infantile e in quello della pubblicità. Si ha la funzione metalinguistica quando all’interno del messaggio sono presenti elementi che definiscono il codice stesso, come il chiedere e il fornire chiarimenti su termini, parole e grammatica di una lingua. Queste funzioni non compaiono quasi mai isolatamente, ma accade spesso che un messaggio sia contemporaneamente emotivo e conativo, oppure poetico ed emotivo. Circa le funzioni del linguaggio sono stati fatti altri studi e sono state formulate diverse proposte. M.A.K. Halliday, linguista britannico che ha sviluppato un modello di influenza internazionale, la grammatica sistemica funzionale (o anche linguistica sistemica funzionale) individua nel linguaggio dell’adulto tre funzioni fondamentali: - funzione ideativa, che serve per esprimere l’esperienza che il parlante possiede del mondo reale, compreso il suo mondo interiore; - funzione interpersonale, che permette l’interazione tra gli uomini e serve per definire le relazioni che intercorrono tra il parlante e l’interlocutore; - funzione testuale, che serve per costruire testi ben formati e adatti alla situazione cui si riferiscono. Il fenomeno del linguaggio umano è complesso e inesauribile e molti sono gli studi ad esso riferiti, studi che inglobano e accomunano discipline diverse, non solo la linguistica, ma anche la psicologia, la sociologia, la filosofia, l’antropologia. 6

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Breve corso di semiotica, Bonfantini, 2006

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Learning, Keeping & Using Language, M.A.K. Halliday, 1990

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parte 1

comunicazione

Finalita’ della comunicazione Dopo aver parlato di come e attraverso quali linguaggi avviene la comunicazione, e dei fattori che scendono in campo quando si comunica, si analizzano ora le sue finalità. La comunicazione riguarda sia l’ambito quotidiano (ad esempio un colloquio tra amici) sia l’ambito pubblicitario e delle pubbliche relazioni: in ciascuno di questi ambiti la comunicazione ha diverse finalità. Gli agenti della comunicazione possono essere persone umane, esseri viventi o entità artificiali. Infatti è colui che “riceve” la comunicazione ad assegnare a questa un significato, per cui è la potenzialità creativa dell’essere umano ad assegnare significati ad ogni cosa, creando il “sistema comunicazione” con le sue due caratteristiche: - l’immaginazione - la creazione di simboli.
 È tuttavia argomento di discussione se la comunicazione presupponga l’esistenza di coscienza, o se si tratti di un processo che può avvenire anche tra macchine. Se infatti è colui che riceve la comunicazione ad assegnare un significato ogni “cosa” può comunicare. Il concetto di comunicazione comporta la presenza di un’interazione tra soggetti diversi: si tratta in altri termini di una attività che presuppone un certo grado di cooperazione. Ogni processo comunicativo avviene in entrambe le direzioni e, secondo alcuni, non si può parlare di comunicazione là dove il flusso di segni e di informazioni sia unidirezionale. Se un soggetto può parlare a molti senza la necessità di ascoltare, si è in presenza di una semplice trasmissione di segni o informazioni. Nel processo comunicativo che vede coinvolti gli esseri umani ci si trova così di fronte a due polarità: da un lato la comunicazione come atto di pura cooperazione, in cui due o più individui “costruiscono insieme” una realtà e una verità condivisa (la “struttura maieutica” proposta da Danilo Dolci); dall’altro la pura e semplice trasmissione, unidirezionale, senza possibilità di replica. Nel mezzo, naturalmente, vi sono le mille diverse occasioni comunicative. Come si è detto, il processo comunicativo ha una intrinseca natura bidirezionale, quindi il modello va interpretato nel senso che si ha comunicazione quando gli individui coinvolti sono a un tempo emittenti e riceventi messaggi.
In realtà, anche in un monologo chi parla ottiene dalla controparte un feedback continuo, anche se il messaggio non è verbale, un esempio ne è la frase: “parla quanto vuoi, io non ti ascolto”.Questo fenomeno è stato riassunto con l’assioma (di Paul Watzlawick) secondo il quale, in una situazione in presenza di persone, “non si può non comunicare” 7: perfino in una situazione anonima come in un vagone della metropolitana noi emettiamo per i nostri vicini continuamente segnali non verbali. Già da questo semplice modello possiamo individuare diversi aspetti potenzialmente problematici del processo comunicativo:

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Pragmatica della comunicazione umana, Paul Watzlawick, 1977

- Il processo di comunicazione, pur essendo formalmente cosa separata dal mezzo attraverso il quale avviene, ne è altamente influenzato: se utilizzo il codice Morse, cercherò di limitare il messaggio allo stretto necessario, se utilizzo una lettera userò un tono tendenzialmente più formale rispetto ad una telefonata. Il mezzo influenza la comunicazione, ciascuno in un modo diverso, e quindi si potranno individuare dei mezzi di comunicazione particolarmente adatti a trattare un certo argomento, ma inadatti ad un altro. - Non è detto che il gran numero di singoli messaggi, verbali e non verbali, emessi in un dato momento, siano sempre congruenti tra loro. Posso dire due cose diverse con le parole e con i gesti (ad esempio dire al mio rivale in amore “lieto di conoscerti” con un’espressione del volto assai contrariata). - Non è detto che l’interpretazione del contesto all’interno del quale avviene lo scambio comunicativo sia sempre identica o congruente. Nell’aula di una scuola, il docente potrà pensare di avere uno stile partecipativo e “democratico”, mentre lo studente potrà sentirsi parte di una relazione asimmetrica e autoritaria. Da quanto appena detto emerge chiaramente che la comunicazione non sempre “funziona”; questo dato viene confermato innumerevoli volte dall’esperienza quotidiana. In situazioni particolari come i conflitti interpersonali, o anche quando sono in gioco patologie mentali la comunicazione diventa particolarmente difficile e può produrre ulteriore disagio. Modelli di comunicazione interpersonale Nel 1967 Paul Watzlawick e colleghi hanno introdotto una differenza di fondamentale importanza nello studio della comunicazione umana: ogni processo comunicativo tra esseri umani possiede due dimensioni distinte: - il contenuto, ciò che le parole dicono, - la relazione, ovvero quello che i parlanti lasciano intendere, a livello verbale e più spesso non verbale, sulla qualità della relazione che intercorre tra loro.

parte 1 La persuasione Interazione comunicativa pag.83

Friedemann Schulz von Thun, psicologo di Amburgo, ha proposto un modello di comunicazione interpersonale che distingue quattro dimensioni diverse visualizzate nel “quadrato della comunicazione”: - contenuto: di che cosa si tratta? (lato blu del quadrato, in alto) - relazione: come definisce il rapporto con te, che cosa ti fa capire di pensare di te, colui che parla? (lato giallo, in basso). - rivelazione di sé: ogni volta che qualcuno si esprime rivela, consapevolmente o meno, qualcosa di sé (lato verde, a sinistra).

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parte 1

comunicazione

06. Modello di comunicazione interpersonale di Friedemann Schulz von Thun del 1981:

- appello: che effetti vuole ottenere chi parla? Ciò che il parlantechiede, esplicitamente o implicitamente, alla controparte di fare, dire, pensare, sentire. (lato rosso, a destra).

Finalita’ della comunicazione 2. Gli atti linguistici Questo paragrafo è il sequel di quelli precedenti. Si è spiegato come avvengono le comunicazioni tra le persone poichè essa ha natura bidirezionale. Adesso si analizzeranno, facendo ricorso alla semiotica, i tre tipi di atti linguistici. È importante conoscerli perchè, non bisogna dimenticarsi che, la comunicazione pubblicitaria utilizza tutti questi modelli e componenti per essere efficace; in particolar modo oggi che il marketing si fa sempre più mirato e la comunicazione tra aziende e consumatori è diventata simile o uguale a quella fra due persone che si conoscono bene e conversano. Gli atti linguistici, o semiosici, sono considerate singole unità di senso. Questa è la prima tricotomia (sono infatti tre) necessaria per poi capire come l’uomo interpreta segni e simboli, di cui ci occuperemo dopo. Essi sono divisi in classi o tipi: - la classe degli espressivi: comprende tutti gli atti linguistici che esprimono sentimenti, stati d’animo, atteggiamenti e orientamenti dell’emittente; - la classe degli appellativi: chiamano direttamente in causa il destinatario, tentano di esigerne direttamente una reazione, oppure agiscono sullo status o sulla condizione relazionale del destinatatio; - la classe dei rappresentativi: comprende gli atti linguistici che mirano ad affermare, descrivere, rappresentare stati di cose o relazioni considerati quali oggetti (messaggi) del discorso.8 Queste tre classi sono poi divise in generi, per esempio la terza classe (rappresentativi) si suddivide in informativi e apprezzativi, per gli appellativi si distinguono tre generi: fàtici da parte dell’emittente nei confronti del destinatario; prassici che premono sul destinatario tentando di determinare in esso una risposta; fattivi che tentano di disporre un compimento d’azione operativa, senza chiedere una risposta.

Queste quattro dimensioni si possono tener presenti sia nel formulare messaggi che nell’ascolto e nell’interpretazione dei messaggi di altri. In questo secondo caso la “scuola di Amburgo” parla delle “quattro orecchie” (corrispondenti ai “quattro lati del quadrato della comunicazione”) su cui ci si può sintonizzare. Ad esempio, per riuscire ad offendersi nell’ascoltare la comunicazione x, si dovrà assegnare ad essa significato sintonizzandosi sull’orecchio “giallo”, quello che tende a vedere nella comunicazione degli altri il loro soppesarci, il segno cioè di quanto questi ci rispettino. Questo modello visualizza come si sia sempre liberi di assegnare a qualsiasi comunicazione un significato oppure un altro, evidenzia così il potere di chi ascolta nel contribuire a definire la qualità di una interazione. Con un poco di allenamento è possibile, ad esempio, sintonizzarsi sull’orecchio verde, invece che su quello giallo, e chiedersi, di fronte ad una comunicazione che sembra irritante (e lo farà solo se siamo sintonizzati sull’orecchio giallo!): “come si sente, la persona che parla, per sentire il bisogno di parlare in questo modo?”

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Breve corso di semiotica, M. Bonfantini, 2006

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parte 1

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07. Schema dei tre tipi di atti linguistici con relativi generi

I dialoghi Chiariti quali sono gli atti linguistici, ovvero le singole unità di senso, adesso si analizzano i dialoghi che possono essere considerati dei moduli composti dalle unità di senso. Il modulo attribuito agli atti semiotici, può essere applicato anche alle ‘battute’ dialogiche e ai dialoghi. Si avranno quindi tre tipi di dialogo: - dialogo di PRIMO TIPO: è fine a se stesso, è il dialogo di intrattenimento e si biforca in due sottotipi: - dialogo di-vertente; - dialogo conformativo-ripetitivo. - dialogo di SECONDO TIPO: è funzionalizzato all’ottenimento e si divide in: - dialogo di scambio; - dialogo di competizione. - dialogo di TERZO TIPO: è un dialogo di riflessione, di ricerca, di cooperazione e discussione. Si caratterizza come indagine per la soluzione di un problema e si divide in tre sottotipi: - dialogo di ri-scoperta o ri-velazione, per il suo stile dogmatico si può definire proprio del discorrere ‘religioso’ o ‘metafisico’; - dialogo di ricerca, è proprio dello spirito critico, ma insieme prefinalizzato della scienza che deve indicare una soluzione a un problema; - dialogo di esplorazione e di problematizzazione, è proprio della passione folosofica. Come metteva ben in luce Jacobson, perchè la comunicazione e il dialogo siano possibili deve attivarsi e mantenersi un canale fisico che ne consenta e garantisca il contatto. Se si sposta dunque l’attenzione specificamente sul canale comunicativo, e le modalità di comunicazione che ne conseguono, possiamo distinguere tre modalità di rapporto dialogoco. Si avranno: - la dialogicità INTERPERSONALE. Questa comunicazione a botta e risposta fra persone e soggett individuali può avvenire: - in presenza reciproca dei due interlocutori - in assenza reciproca dei due interlocutori che comunicano tra loro a distanza. - La dialogicità UNO-MOLTI. Questa è la comunicazione tipica dei mass media. Consente le seguenti possibilità di risposta, benchè sia predisposta soprattutto per la ricezione e il consenso: - prevista - esigita - concessa - tollerata - imprevista - indiretta. - La dialogicità SOCIALE e METATESTUALE. Rispetto a un testo-base o testo-stimolo si esercita in dialoghi in presenza, aperti pariteticamente a tutti

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i partecipanti. Storicamente, è certo con la pittura sulle pareti delle caverne, e poi con le statue e i cippi di confine, e più chiaramente con le iscrizioni sulle lapidi, che una parte della comunicazione da fluida e interpersonale diventa stabile e sociale. L’ordine diventa comandamento. La consuetudine si fissa nella sacralità monumentale. Ma poi con la carta e i copisti il testo comincia a correre e a girare. Nasce e si afferma una cultura della comunicazione uno-molti dei testi.

parte 1 La pubblicità I mezzi di comunicazione di massa pag.60

I mass media, canali dei dialoghi Se si parla dei modi, dei canali comunicativi non si può tralasciare di parlare dei media, dei mezzi attraverso cui circola, si trasmette la cultura e la comunicazione. Partiamo dai testi (scritti), essi si offrono democratici e liberali. Il loro contenuto gira per le mani di tutti quelli che sappiano leggere e perché il loro contenuto può essere appreso, interpretato, approfondito, discusso, anzitutto nella propria personale intimità: quindi liberamente. Con il Settecento i libri e i giornali passano al vaglio dei circoli di discussione quindi il libero esame si fa pubblico. Poi arriva il teatro: il pubblico porta a casa e studia i libretti dell’opera e dei melodramma. Il cinema sembra continuare la tradizione dello spettacolo popolare fondendo teatro e circo, ma in esso non vi è più un testo ‘fermo’: il testo cinematografico scorre indipendente. Se leggere richiede sforzo, anche sentire senza vedere, come alla radio, richiede uno sforzo di immaginazione. La TV, spettacolo gratis e a domicilio, invece non chiede nulla: le immagini e le chiacchere vanno incontro a chi la guarda o ascolta o entrambe le cose. Il dialogo istaurato tra TV e pubblico è di uno-molti senza risposta. Ma nel Novecento si sviluppa un’altra linea di dialogo uno-molti, contrapposta al modello della televisione: qui i media comunicano non per fluida emissione, al contrario per incisione e registrazione. In questo modo le immagini e i suoni si ‘testualizzano’ si librizzano in tante copie. I video registrati assomigliano quindi ai libri perché richiedono una lettura, possono essere studiati tramite ‘moviola’. Questa direzione sembra portare alla nascita di un nuovo genere: il videosaggio, fatto a posta per essere visto, commentato da gruppi (youtube, blog, social network). Il videosaggio, afferma Bonfantini, è potenzialmente il ‘socialvideo’: l’intermedium del futuro.9

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Breve corso di semiotica, M. Bonfantini, 2006

08. Schema dei tre tipi di comunicazione dialogica

09. I due nuovi media

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L’interpretazione Questo paragrafo vuole indagare, avvalendosi della semiotica, le modalità interpretative dei messaggi scambiati tra mittente e destinatario e quindi della comunicazione e dell’interpretazione che l’uomo compie di quello che gli sta intorno. Se un mittente invia un messaggio al destinatario, abbiamo visto, perché il messaggio venga capito è necessario che i due interlocutori abbiano in comune il codice con cui è, appunto, codificato il messaggio. Questo è molto importante nell’ambito pubblicitario, dove il contenuto del messaggio deve essere comprensibile e chiaro: si valuta una campagna pubblicitaria non tanto, o solo, per la sua accuratezza stilistica e per la sua creatività, quanto invece per la sua efficienza. E se lo scopo è quello di vendere più prodotti (spot commerciali), far conoscere un’azienda (campagne istituzionali) o mettere in evidenza un problema sociale o promuovere un modello di vita (campagne sociali), il messaggio deve essere chiaro e esplicito. Poi se una pubblicità è anche bella e creativa tanto meglio. Ecco perchè i due interlocutori devono appartenere allo stesso universo semantico ed è per questo che è necessaria, da parte del destinatario, un’interpretazione del messaggio inviatogli da mittente. Per capire come l’uomo interpreta ci vengono in aiuto due discipline, la semiotica, (fondata da C. S. Peirce (1839-1914) e F. de Saussure (1857-1913), la scienza a cui assegnano il compito di analizzare i meccanismi che consentono alla comunicazione umana di funzionare), e la psicologia con le teorie relative alla percezione. Partiamo dalla semiotica e dagli schemi riportati di seguito. 10. Il triangolo semiotico di Peirce 10

Il segno è “qualcosa che da un lato è determinato da un oggetto e dall’altro determina un’idea nella mente di una persona, in modo tale che quest’ultima determinazione, [...] l’Interpretante del segno, è con ciò stesso mediamente determinata da quell’oggetto”.10 Quindi, l’agente che scatena la semiosi è un oggetto esterno che viene chiamato dinamico in quanto mette in moto la risposta interpretativa. Gli oggetti sono tutte le cose esterne al proprio essere. L’oggettività è quanto si contrappone a noi soggetti. Può essere oggetto una cosa materiale o anche un evento. Esistono tre tipologie di oggetti: - naturali, sono quegli oggetti non rielaborati, ma spontanei; - artefatti, rientra in questa categoria tutto ciò che è prodotto dall’uomo; - segnici, oggettualità comunicativa, creata appositamente per produrre pensiero e non per determinare fisicamente azione. Chiusa la parentesi dell’oggettualità, si riprende il discorso dell’interpretazione. Eravamo rimasti all’oggetto dinamico che provoca un evento nel nostro sistema nervoso. Esso è correlato ad un percepito: l’oggetto immediato, che viene da noi fissato nell’interpretante, mediante il giudizio riflessivo sul percepito. Allo stadio della percezione abbiamo una fugace e passiva rappresentazione dell’oggetto. L’atto percettivo è necessario perchè l’organismo inteprete possa reagire all’oggetto. Una volta percepito, l’oggetto immediato viene fissato, mediante il giudizio riflessivo, nell’interpretante. La risposta non è un effetto immediato ma un’interpretazione: essa è anche sostanzialmente un giudizio. La fecondità della prospettiva aperta del triangolo semiotico sta nella sua dinamicità: ogni interpretazione può diventare oggetto e dare vita a un’altra interpretazione, e così via. Ogni ciclo del momento semiosico è costituito da tre momenti successivi all’interpretazione. Il primo consiste nell’acquisizione di im significato-dato ed è lo stadio dell’interpretante immediato. Questo provoca una prima emozione della mente dell’interprete che lo ha riconosciuto e scatena altre tensioni interpretative che portano alla seconda fase, quella dell’interpretante dinamico che poi si risolve in una ipotesi più comprensiva e fondata nell’interpretante logico-finale. 11 Questo è il processo interpretativo che l’uomo porta avanti ogni volta che guarda, ascolta, annusa, gusta, ecc, un oggetto o ogni volta che assiste ad un accadimento. Anche di fronte a manifesti, spot e comunicazioni pubblicitarie. Per questo è importante comprenderlo e tenerlo sempre a mente perché servirà nel momento della ideazione delle campagne.

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Collected Papers, 8.343

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Collected Papers, 8.343 Breve corso di semiotica, M. Bonfantini, 2006

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Dal segno al senso Singnificante e significato si definiscono e si confermano - si avvitano - a vicenda in un sistema che vi permette di percepire e riconoscere il qualcos’altro a cui ogni segno rinvia. Potete percepire e riconoscere la richiesta verbale di un cacciavite in qualsiasi modo venga espressa: detta, sussurrata, urlata, telefonata, scritta in stampatello, in corsivo, al computer o con un dito sopra il vetro appannato, o indicata facendo il gesto di avvitare. Il fatto di aver riconosciuto il significato della richiesta vi permette di estrarre dalla cassetta degli attrezzi, confrontandoli con il cacciavite-prototipo che avete rapidamente estratto dalla vostra mappa delle rappresentazioni, diversi oggetti fisici che corrispondono al significato “cacciavite”. Grandi, piccoli, di vari colori e materiali, ma sempre: un manico, una punta, la funzione di avvitare. É il fatto di riconoscere anche un senso più generale a suggerirvi di inserire “cacciavite” in un elenco di cui fanno parte pinza, tenaglia, martello e quindi a permettervi di reagire cercando nella cassetta degli attrezzi.

Scrive De Mauro: La ricezione di un concreto atto di parole comporta che, quando il ricettore ne voglia ricostruire non già superficialmente, ma pienamente e profondamente il senso dui partenza, proceda sì movendo dal dato formale e funzionale offerto dalla forma linguistica dell’enunziato, ma trascendendolo o meglio integrandolo nella ricostruzione del reticolo di associazioni materiali provate e peculiari che accompagnano per ciascun singolo locutore la produzione di ogni edizione. Il significato è permanente e univoco. Il senso è individuale, mutevole e molteplice. Come emittenti, a partire da /cacciavite/ e dal suo significato potete percorrere, all’interno della vostra enciclopedia (lungo le connessioni tracciate nelle vostre mappe personali e secondo le regole delle vostre istruzioni per l’uso) innumerevoli itinerari di senso: passando dalle pinze alle viti, all’essere avvitari, svitati, eccetera. Come destinatari non necessariamente quando percepite /cacciavite/ rifate passo dopo passo l’itinerario che l’emittente ha compiuto. Ancora De Mauro: L’immagine del binario che il ricevente deve ripercorrere in direzione inversa a quella del produttore è una cattiva immagine, per il linguaggio verbale. Il movimento della ricezione si sviluppa piuttosto in un modo simile a chi saggia ed esplora gli appigli per salire su un albero o, in montagna, su una paretina; scorgiamo e scegliamo un appiglio o un appoggio, protendiamo una mano o un piede, saggiamo la sicurezza di presa o di appoggio e, se possiamo fidarci, scegliamo e proviamo un secondo appiglio, poi un terzo, un quarto [...] così ci arrampichiamo per ipotesi, tentativi, ritorni, nuove partenze e il cammino di ciascuno è solo uno dei possibili per arrivare più in alto.

11. Dal segno al senso, dal significante al significato attraverso il codice

Se ci si sta interrogando sul significato di un significante si ha un problema che riguarda codici e corrispondenze. Allora prendete, nella biblioteca che sta nella vostra mente, qualcosa di simile a un dizionario, e cercate una definizione che corrisponda al significante che avete percepito. Se vi state invece interrogando sul senso che un segno ha per voi, avete un problema che riguarda relazioni fra cose o concetti. Allora nella vostra mente rendete qualcosa di simile a un’enciclopedia - che, idealmente, è grande quando l’intera biblioteca che avete in testa - e cercate come e dove si connette quel segno he con tutti gli elementi di cui avete memoria, conoscenza o esperienza.

Rieccoci al motivo per cui non solo l’atto dell’esprimersi ma anche quello del comprendere va considerato creativo. Per capire si procede per prove, errori, scelte successive e sono necessari tecniche, competenze e un investimento in termini di attenzione ed emozione. Inoltre quando l’emittente compone il suo messaggio sa (o dovrebbe sapere) dove vuole arrivare. Quando il ricevente affronta quel messaggio non sa (e dovrebbe sapere di non poter sapere) dove in effetti arriverà. Il suo percorso creativo è molto più avventuroso. 12

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Farsi capire, Annamaria Testa, pagg. 189 - 191

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Conclusioni In fase conclusiva si sintetizzano alcune caratteristiche ‘costanti’ identificate parlando di comunicazione e di suoi modelli. 1. la comunicazione costituisce l’essere umano, ne rappresenta la specificità ontologica. L’uomo nasce da un atto di comunione tra un uomo e una donna, si sveglia alla coscienza e cresce in essa grazie al dialogo; si muove nel mondo come in una selva di segni e si serve del linguaggio per decifrarli e condividerne con gli altri l’interpretazione (Heidegger). L’homo sapiens è homo communicans; 2. la comunicazione è scambio simbolico, in cui intervengono in modo attivo e creativo tutti e due i soggetti. Non c’è asimmetria tra emittente e ricevente, ma reciprocità: l’uno e l’altro sono attori allo stesso titolo del processo comunicativo; 3. in gioco, nella comunicazione, non è soltanto la produzione/trasmissione di un messaggio, ma la costruzione di un significato. La sociologia di impostazione fenomenologica (Schulz, Berger, Luckmann) parla a proposito di un vero e proprio lavoro di negoziazione: quello che intercorre tra due individui che comunicano è una vera e propria trattativa, una contrattazione, il cui risultato è un’immagine condivisa del mondo; 4. lo scambio simbolico, operato a partire da questa contrattazione, consente all’uomo di definire il suo sapere, la sua immagine della realtà. La realtà che noi conosciamo è una ‘realtà sociale’ più che ‘naturale’: non esiste una nostra conoscenza che non sia mediata dalla cultura cui apparteniamo e che contribuiamo a costruire; 5. oltre a questa dimensione sociale, la comunicazione, non solo in contesto religioso, ne presenta anche una rituale. Molti fatti di comunicazione servono a confermare un certo modo di essere, aiutano nella fase di passaggio a un’altra situazione, guariscono o leniscono quanto di doloroso non può essere evitato. La ritualità della comunicazione è presente, con un significato più debole, anche in molte manifestazioni della cultura dei media: è sufficiente pensare ai riti catartici della televisione degli affetti, ai riti dell’appuntamento fisso con la fiction preferita, ai riti sociali della partita di calcio teletrasmessa, o ai riti mediali veri e propri, come i viaggi del Papa o i funerali di Lady Diana di Inghilterra. 6. il soggetto umano vive all’interno di una rete di comunicazioni interpersonali che non possono prescindere dai contesti sociali, storici e culturali. Non esiste ccomunicazione che di questi contesti non risenta. Difficilmente si può lavorare oggi su un modello di comunicazione senza condividere questi assunti di base. 13

Testo e contesto Se non si considera il contesto, il senso sfugge, le ipotesi di significazione sono campate in aria. É impossibile definire il “contesto” in maniera univoca e non tautologica: il contesto è ciò che comincia dove finisce quello che abbiamo deciso di considerare “testo”. Bisogna decidere dove comuncia o finisce il testo dunque. Il senso di un testo cambia in relazione al contesto nel quale viene considerato. Il Grande Dizionario italiano dell’uso di De Mauro dà di “contesto” diverse definizioni, circa otto. L’unico vincolo al definire qualcosa come contesto di qualcos’altro è che siano differenti i livelli logiic a cui appartengono “testo” e “contesto”: il secondo termine deve poter classificare il primo. Ragionando su come si fa a imparare, Bateson parla del concetto di contesto e dice tre cose importanti: 1. Uno stesso contesto si può ripetere. L’idea di fondo è che per l’uomo, l’insieme di esperienze della vita sia segmentata o suddivisa in sottosequenze o contesti che possono essere giudicati uguali o differenti. Solo a partire dalle somiglianze o differenze siamo in grado di capire, imparare, giudicare quando succede. Se non avessimo la capacità di distinguere tra contesti simili o diversi, non riusciremmo nemmeno a decidere qual è il senso che il contesto conferisce all’evento che in quel contesto lì si verifica. Non potremmo imparare nè diventare più abili nel districarci tra gli eventi. 2. Ma anche il contesto che classifica un evento si trova inserito in un contesto ed è classificato da un meta messaggio di ordine superiore (un meta-meta messaggio) e così via. Un essere vivente riceve uno stimolo. “Lo stimolo è un segnale elementare, interno o esterno. Il contesto dello stimolo è un meta messaggio che classifica il segnale elementare. Il contesto del contesto dello stimolo a sua volta classifica il meta messaggio”. Anche parlando di contesti che definiscono qualcosa e sono definiti da qualcos’altro, Bateson ci dice che procediamo per gerarchie. 3. Dal punto di vista pragmatico, ciascun contesto va considerato come un gruppo di eventi “che indicano all’organismo qual è l’insieme di alternative all’interno del quale esso deve compiere la scelta successiva”. Prive di contesto, le parole e le azioni non hanno alcun significato. Ciò non vale solo per la comunicazione verbale umana ma per qualunque comunicazione, per tutti i processi mentali, per tutta la mente, compreso ciò che dice all’anemone di mare come deve crescere, e all’ameba che cosa fare il momento successivo. 14

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Comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche

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Mente e natura, G. Bateson

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comunicazione

Dal gioco dei contesti dipendono l’intera nostra ossibilità di cotruire il senso di quanto ci circonda e ci succede, e anche una certa parte della nostra capacità di riconoscere i significati: “strappata al suo co-testo verbale e al suo contesto situazionale e fatta ascoltare fuori contesto a uditori della stessa lingue, una sequenza sillabica anche ampia risulta indecifrabile”. 15 Il senso espresso da una stessa frase o da una stessa azione, una volta che ne sia stato compreso il significato, cambia non solo in relazione al contesto in cui questa viene formulata, ma può ulteriormente modificarsi in relazione al conteso riferendosi al quale ciascun destinatario decide di prenderla in esame. Dunque: nessun contesto, niente senso. Ma, di conseguenza: un contesto, un senso. Due contesti possibili, due sensi possibili, e così via. Ecco perché è importante capire - e capire se tutti hanno capito - qual è il contesto all’interno del quale andrebbe ricostruito il senso di un messaggio: se si trascura questo dettaglio, lo stesso testo viene classificato da emittente e ricevente a partire da due contesti diversi, o soggettivamente percepiti come tali, il senso cambia e non si riesce a capire perché.

regole secondo cui questi interagiscono, sia le regole a partire dalle quali questi interpretano quanto accade. - Genere (genre) classifica secondo categorie stilistiche il tipo di comunicazione effettuato: racconto, conferenza, poema, e così via. Tuttavia, la descrizione dei processi di comunicazione proposta dai modelli linguistici rimane pur sempre la descrizione di un processo “ideale” a cui sfugge ancora la maggior parte delle difficoltà e degli incidenti di percorso.

Elementi del contesto Abbiamo ormai compreso che il contesto ha un confine molto labile in comune con il testo e che influenza e indirizza la comprensione del messaggio. Bisogna considerare anche che la comunicazione, non solo linguistica, si verifica, normalmente, fra individui fatti di carne, di ossa e paturnia e non fra funzioni fisse, unidimensionali e immutabili come sembrano essere emittente e ricevente. Gli antropologi Hymes e Gumperz, grazie alle loro ricerche di etnografia della comunicazione, individuano un modello: Seaking che deriva dall’acronimo costituito dalle iniziali degli elementi considerati (Setting, Participant, Ends, Acts Sequences, Keys, Instrumentalities, Norms, Genre). - Situazione (setting) è un insieme di condizioni ambientali, materiali e immateriali: luogo, momento, configurazione psicologica. - Partecipanti sono tutti coloro - non solo emittente e ricevente - che infiuiscono sullo scambio e possono determinarlo. - Finalità (ends) sono sia gli obiettivi dello scambio che i risultati effettivamente raggiunti, a scambio avvenuto. - Atti (acts sequences) sono i contenuti trasmessi, nella forma effettiva in cui vengono trasmessi. - Tono (keys) è la maniera in cui il messaggio viene modulato. - Strumenti (instrumentalities) sono sia quelli impiegati dall’emittente, sia quelli utilizzati dal destinatario: il canale prescelto, la lingia usata, il registro secondo cui questa viene usata, il codice (condiviso o meno). - Norme appartengono all’emittente e al destinatario e riguardano sia le

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Capire le parole, T. De Mauro

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parte 1

la retorica

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La retorica, storia e sviluppo Retorica, dal latino retoricam, a sua volta proveniente dal greco retorike (retor téchne, “tecnica della parola”), la cui radice è retor, da eirein (“parlare”), è la teorizzazione dell’oratoria, è l’arte di saper parlare bene e di strutturare nella forma più convincente e persuasiva un discorso, esaltando i propri punti di vista e disprezzando quelli altrui. Quindi la retorica è un arte che si avvale della potenza del linguaggio. Per poter parlare di retorica è necessario introdurre il concetto di verità (con il termine verità si indicano una varietà di significati, che esprimono un senso di accordo con la realtà). Il italiano verità deriva dal latino verus e dal greco aletheia. Alètheia, viene da lanthano che vuol dire “coprire”, dimenticare. Da lanthano proviene Lete, che è il fiume dell’oblio, il fiume che copre. Alètheia, con l’alfa privativo, è il contrario di ciò che si copre: è ciò che si scopre nel giudizio. Il concetto di verità è posto alla base di tutte le culture: non c’è ragione senza verità. Non è importante possedere la verità, ma cercarla: questo è il fondamento linguistico della retorica. La retorica è anche la teorizzazione dell’oratoria, ovvero del metodo di organizzazione del linguaggio naturale, non simbolico, secondo un criterio per il quale ad una proposizione segua una conclusione. In questo senso la retorica è un metalinguaggio, in quanto cioè «discorso sul discorso». 16 La retorica è la composizione di un discorso che ha l’obiettivo di ricercare la verità, anche se con il tempo il discorso retorico ha acquisito la finalità di convincere anche quando non si è nel vero, infatti il suo scopo è la persuasione, intesa come approvazione della tesi dell’oratore da parte di uno specifico uditorio. Da un lato, la persuasione consiste in un fenomeno emotivo di assenso psicologico; per altro verso ha una base epistemologica: lo studio dei fondamenti della persuasione è studio degli elementi che, connettendo diverse proposizioni tra loro, portano ad una conclusione condivisa, quindi dei modi di disvelamento della verità nello specifico campo del discorso.

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La retorica antica, R. Barthes

Per avere un’idea più precisa dello sviluppo della retorica si fa qui un accenno storico alla sua nascita. È possibile fornire indicazioni geografiche e cronologiche precise: nel 467 a.C., dopo il lungo governo dei tiranni Gelone e Gerone I, che si erano resi protagonisti di massicci espropri di terreni, molti cittadini di Siracusa intentarono processi per tornare in possesso dei beni confiscati, facendo valere i propri diritti in tribunale con l’arma della parola. In questo contesto il primo a dare lezioni di eloquenza pare fu il filosofo Empedocle di Agrigento, subito imitato dai suoi allievi siracusani Corace e Tisia, i primi a scrivere manuali di retorica e a chiedere un compenso per i propri insegnamenti. Corace e il suo discepolo Tisia vengono di norma indicati come i «padri» della retorica, sebbene essa doveva essere conosciuta in Sicilia fin da tempi remoti: il loro merito sta dunque nell’aver teorizzato «con metodo e precettistica» quella che era un’antica pratica. Fondamento della loro arte (a quanto risulta dalla testimonianza di Platone) è il concetto di «verosimile» (eikós), che doveva essere tenuto in maggior considerazione della verità e che veniva ricercato e studiato secondo un metodo rigoroso, scientifico. Gli insegnamenti dei due retori si affermarono rapidamente in Sicilia, ma il loro non fu certo l’unico orientamento diffuso: in contrapposizione alla loro retorica scientifica si affermò nella scuola pitagorica una retorica che potremmo definire irrazionalista, basata sulla seduzione che la parola è in grado di esercitare sull’anima di chi ascolta (tanto che si parla di psicagogia). I pitagorici distinguevano gli argomenti e i discorsi in base al tipo di pubblico (la cosiddetta polytropía), e facevano largo uso di antitesi ovvero quei discorsi che per leggittimare un argomento procedono per negazione o confuta degli argomenti contrastanti. Nel IV secolo, Platone oppose, alla concezione sofistica, una propria visione della retorica, alla quale attribuiva una funzione eminentemente pedagogica, quale strumento in grado di guidare l’anima attraverso argomentazioni e ragionamenti. La pratica della retorica veniva così ricondotta nell’alveo della stessa filosofia, con la quale finiva per identificarsi, svuotata della propria autonomia. Cambiavano di conseguenza gli interlocutori, non più né il popolo né i giudici, e i luoghi, non più assemblee né giudizi. Aristotele distolse l’attenzione dalla considerazione della retorica quale arte di persuadere, incentrando l’analisi sullo studio dei mezzi di persuasione, strumenti indipendenti dall’oggetto dell’argomentare. La retorica riacquista così una funzione propria, autonoma dalla filosofia e in stretta relazione con la dialettica della quale è da considerare la controparte. In seguito divenne l’arte dello scrivere corretto e dell’eloquio fluente. La retorica e l’oratoria si sviluppano nel corso della storia e rimangono vive, però meno affermati risultano gli oratori. Saltando un periodo molto lungo, dal Medioevo (la retorica è inserita nel trivium insieme a grammatica e logica), all’Illuminismo (era in cui si deve parlare alla ragione e non al cuore) e all’Ottocento (Victor Hugo e i Romantici fanno “Guerra alla retorica e pace alla sintassi!”), arriviamo al Novecento.

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In questo secolo l’attenzione per la retorica si riaccende per diversi motivi, come afferma Annamaria Testa in “Farsi Capire”: da una parte il relativismo, negando ogni certezza, rivaluta l’idea di verosimiglianza propria del discorso retorico. Dall’altra uomini d’affari e politici, specie nel mondo anglosassone, scoprono quanto è importante saper convincere parlando in pubblico. Si può parlare e ragionare anche su quanto non è certo, ma opinabile. Norberto Bobbio commenta che “La teoria dell’argomentazione rifiuta le antitesi troppo nette: mostra che tra la verità assoluta e la non verità c’è posto per la verità da sottoporsi a continua revisione mercé della tecnica dell’addurre ragioni pro e contro”. Bisogna anche distinguere tra persuadere e convincere. Della persuasione ci occuperemo in un capitolo successivo. La struttura dell’orazione latina L’oratore deve essere in grado di: - docere et probare, ovvero informare e convincere. - delectare, catturare l’attenzione con un discorso vivace e non noioso - movere, commuovere il pubblico per far si che aderisca alla tesi dell’oratore. La preparazione dell’orazione avviene in cinque fasi, che sono: - inventio, ricercare le idee per svolgere la tesi prefissata, rifacendosi a topos codificati. - dispositio, organizzare argomenti ed ornamenti nel discorso. - elocutio, l’espressione stilistica delle idee, con la scelta di un lessico appropriato e di artifici retorici Deve essere funzionale all’obiettivo per farsi capire dagli interlocutori. Usare correttamente i verbi, la punteggiatura dove far fermare l’attenzione, le figure retoriche fondamentali per dare colore al linguaggio. - memoria, come memorizzare il discorso e ricordare le posizioni avversarie per controbatterle. - actio: declamazione del dicorso modulando la voce e ricorrendo alla gestualità. La struttura del discorso presenta uno schema, che può essere seguito rigorosamente nell’ordine proposto o meno. L’orazione prevede quattro fasi: - exordium, tentativo di accattivarsi l’uditorio “delectando” e “movendo” con ornamenti, - narratio, esposizione dei fatti, per “docere” l’uditorio, in ordine cronologico o con una introduzione a effetto in medias res, - argumentatio, dimostrazione delle prove a sostegno della tesi (confirmatio) e confutazione degli argomenti avversari (refutatio), - peroratio, la conclusione del discorso, muovendo al massimo gli affetti dell’uditorio e sviluppando pathos.

Raccontare i fatti Raccontare i fatti vuol dire in primo luogo informare. Cicerone dice che la narrazione dev’essere breve, chiara e verosimile: l’idea che non ci sia niente da togliere e niente da aggiungere. In teoria una narrazione risulta verosimile quando i fatti raccontati sono veri, ma nella pratica una narrazione poco convinta fa sembrare falso il vero, e una fluida e sicura può far sembrare vero quanto non lo è. La narrazione di una serie di eventicorrisponde alla loro messa in scena davanti a un pubblico. Il narrare ha sempre una qualità spettacolare e drammatica. A proposito di come e cosa scegliere il fisolofo inglese Paul Grice sostiene che se parlando, o costrunedo un discorso, non seguissimo delle regole di cortesia la cui osservanza viene data per scontata dai destintari, questi non saprebbero come interpretare il messaggio e decidere che è credibile. Alla base c’è il principio di cooperazione: “Dare un contributo tanto informativo quanto è richiesto”. Vuol dire che se qualcuno vi domanda che ore sono, non gli raccontereste la storia della vostra vita, non improvviserete una conferenza sul concetto filosofico di tempo. Le massime della conversazione di Grice sono: 1. Secondo la quantità: a. dà un contributo tanto informativo quanto è richiesto b. non dare un contributo più informativo di quanto è richiesto 2. Secondo la qualità, tenta di dare un contribuo che sia vero, e quindi: a. non dire ciò che credi essere falso b. non dire ciò per cui non hai prove adeguate 3. Secondo la relazione: a. sii pertinente 4. Secondo il modo: a. evita l’oscurità di espressione b. evita l’ambiguità c. sii breve d. sii ordinato nell’esposizione. Per verificare che nell’esposizione ci siano tutte le informazioni che servono, Cicerone e poi i trattatisti medievali e (con la regola delle cinque W: who, what, when, where, why) anche i cronisti contemporanei si propongono domande ideai a cui il testo deve rispondere. L’elenco latino è un pò più lungo: chi?, che cosa?, perchè?, dove?, quando?, in che modo?, con quali mezzi o aiuti?. 17

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Farsi capire, Annamaria Testa, pagg. 250 - 251

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Il linguaggio Il linguaggio ha tre funzioni antologiche adottate dalla retorica per persuadere e convincere l’interlocutore: - funzione magica, l’atto stesso di nominare le cose è una magia, un cambiamento della realtà è la pratica linguistica più antica, le parole hanno un effetto diverso su ognuno di noi; - dimensione mitica, è il racconto, il luogo dove ci si tramanda le informazioni; - logos, la logica, la razionalità, il ragionamento per arrivare all’affermazione della propria tesi. Queste tre dimensioni sono strumenti indispensabili che utilizziamo tutti quando vogliamo convincere qualcuno o semplicemente quando discorriamo. Tuttavia esse possono creare delle incomprensioni perché si sormontano e formano errori di comunicazione, ambiguità e confusioni, specialmente se gli interlocutori non condividono lo stesso universo semantico. Per questo l’uomo ha avuto l’idea di creare linguaggi formalizzati ad esempio quello scientifico-matematico per avere l’assoluta certezza della verità. Nel linguaggio comune il più comune è il logos, ovvero il discorso finalizzato. Un altro strumento fondamentale e molto utilizzato in comunicazione, è l’insieme delle figure retoriche. Sono molto potenti perché attraverso di esse si riescono a dire, a comunicare cose che il linguaggio non riesce a dire. Sono molto in voga tra i pubblicitari e i giornalisti poiché molto efficaci, dirette e d’impatto. La retorica è oggi tornata al centro di una serie molto vasta di approfondimenti, soprattutto nelle vesti di teoria dell’argomentazione e come strumento persuasivo nelle publicità e comunicazione di massa. Pubblicita’ e retorica La retorica rappresenta una componente notevolmente importante in qualsiasi messaggio e da secoli è considerata lo strumento principale per chi voglia esercitare un’opera di persuasione. Probabilmente perché costituisce un livello figurato del discorso grazie al quale è possibile colpire l’attenzione e l’emotività del destinatario, coinvolgendolo attivamente attraverso la creazione di qualcosa di differente rispetto alle convenzioni linguistiche e manifestando nel contempo una grande capacità di sintesi. La figura retorica, infatti, è un’operazione che modifica alcuni elementi di una proposizione realizzando una sorta di “trasgressione” rispetto alla norme sociali e linguistiche condivise nella società e provocando di conseguenza una sensazione piacevole presso lo spettatore. La pubblicità rappresenta uno dei linguaggi più persuasivi in assoluto e deve pertanto basarsi su un impiego massiccio della retorica. Non è un caso che faccia solitamente ricorso a tutti quegli elementi strutturali che, secondo filosofi greci, caratterizzano ciascun discorso di tipo retorico:

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- l’inventio (la ricerca degli argomenti del discorso), - la disposizio (l’organizzazione di tali argomenti), - l’elocutio (la traduzione degli stessi argomenti in efficaci figure retoriche), - la memoria (le tecniche per memorizzare ciò che si deve dire e non perdere il filo del discorso) - l’actio (l’arte di accompagnare il discorso con gli atteggiamenti del corpo). La retorica, nella tradizione classica, veniva applicata soltanto al linguaggio verbale. Ma se tutte le forme di comunicazione sono dotate di un registro retorico ciò vuol dire che tutte le figure retoriche possono operare sia sul registro verbale che su quello visivo. Per questo motivo, è stato possibile classificare le principali figure retoriche esistenti, ciascuna delle quali opera sul piano verbale che su quello visivo. Tra le principali figure retoriche, l’antonomasia è probabilmente, insieme all’enfasi, all’iperbole, alla metafora e alla metonimia, una delle più diffuse in pubblicità, in quanto permette a quest’ultima di esprimersi al meglio, anche se, in realtà, i pubblicitari possono impiegare tutte le figure esistenti. Si chiamano figure retoriche i diversi aspetti che il pensiero assume nel discorso per trovare efficace e viva espressione. Considerate nel mondo classico come modi di espressione lontani da quelli della comunicazione ordinaria e quotidiana e per questa ragione ascritti solamente al campo della poesia in virtù del loro peculiare “ornato”, oggi le figure retoriche vengono intese in un’accezione più vasta come espressioni particolarmente pregnanti e tali da imporre un’interpretazione che tenga conto del di più di significato di cui sono specificamente portatrici. Da questo punto di vista, dunque la funzione delle figure diventa essenziale all’interno di un discorso, non tanto per abbellirlo, quanto piuttosto per comunicare ad esso una particolare carica emotiva che incrementi il senso del messaggio. A evidenziare il particolare valore, da esse, di volta in volta, veicolato, la retorica, che è la scienza che studia le proprietà del discorso, le ha distinte, tradizionalmente, in: - figure di parola (a loro volta divise in tropi, figure grammaticali, e figure di costruzione); i termini che si usano conservano il loro senso proprio, ma il modo in cui si organizzano ne modifica l’intensità. Si costruisce una figura di parola quando si toglie o si aggiunge qualcosa, o quando si cmbia l’ordine (naturale) delle cose. - figure di pensiero (tra le quali, la similitudine, l’allegoria, l’apostrofe, l’interrogazione e la perifrasi); non riguardano forma o disposizione delle parole ma la qualità del ragionamento: si può specificare, chiarire, ripeterlo in altri termini o dettagliarlo.

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- messaggio pubblicitario: Esempio: numerose pubblicità hanno interrotto il film Esempio: pubblicità occulta,
che non è chiaramente riconoscibile come tale Esempio: pubblicità progresso,
messaggio che ha lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica su problemi sociali (come la droga, l’abbandono degli animali, i maltrattamenti ai bambini ecc.)
 Sinonimi: propaganda, réclame, spot.

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la pubblicita’

In entrambe le definizioni il primo significato è relativo ad un pubblico o ad una cosa pubblica, abbiamo ricercato anche questo termine: Si è visto come l’arte oratoria abbia come principale, anche se non unica, applicazione la comunicazione pubblicitaria. In questa, come vedremo tra qualche pagina, gioca un ruolo fondamentale la persuasione e le sue astute, e non sempre leggittime, tecniche. Adesso però iniziamo a capire cos’è la pubblicità, la sua evoluzione, l’influenza passiva e attiva sulla società, fino ad arrivare ai giorni nostri. Come ormai abitudine in questa ricerca, l’incipit di ogni argomento è rappresentato dall’indagare il significato etimologico della parola per poi approfondirne tutti gli aspetti salienti. Sono due i dizionari sui quali è stata condotta la ricerca. Ecco i risultati: 1. pubblicità [pub-bli-ci-tà] s.f. inv. - 1 Pubblica conoscenza di qlco., come conseguenza della sua divulgazione, della sua diffusione: evitare la p. del fatto; risonanza, eco: evento che ha avuto una larghissima p. || dare p. a qlco., renderla nota, di pubblico dominio - 2 Insieme di attività e di mezzi attraverso cui si richiama l’attenzione del pubblico su prodotti commerciali, servizi, prestazioni di vario tipo; SIN propaganda, réclame: p. televisiva, radiofonica; messaggio pubblicitario: rivista piena di p. - 3 Carattere pubblico di qlco.: p. delle sedute parlamentari - sec. XVII (3); a. 1849 (2). 18 2. pubblicità [pub-bli-ci-tà], nome femminile - divulgazione tra il pubblico: Esempio: è stata fatta grande pubblicità all’iniziativa ecologica Esempio: farsi pubblicità,
comparire in pubblico per rendere note le proprie attività Sinonimi: clamore, diffusione, notorietà - l’insieme delle attività e dei mezzi con cui si richiama l’attenzione del pubblico su un prodotto commerciale, per aumentare le vendite: Esempio: fare pubblicità a un profumo; agenzie di pubblicità

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Dizionario della Lingua Italiana Sabatini Coletti

- pubblico [pùb-bli-co], aggettivo (pl. pùbblici) - che riguarda tutte le persone, la collettività: Esempio: la salute pubblica va tutelata - dello Stato, in quanto si occupa della collettività: Esempio: amministrazione pubblica, forza pubblica,
la polizia Esempio: pubblico ufficiale,
chi esercita funzioni di vario genere a nome dello Stato Esempio: opere pubbliche,
costruzione di edifici oppure opere che servono alla collettività Esempio: pubblico ministero,
il magistrato che raccoglie prove e poi riveste il ruolo della pubblica accusa Sinonimi: collettivo, comune, statale
Antonimi: privato - di tutti, che è noto a tutti: Esempio: è una notizia di dominio pubblico - dove tutti possono andare, che tutti possono utilizzare: Esempio: locale pubblico; giardino pubblico; mezzi pubblici Esempio: udienza pubblica,
a cui tutti possono assistere nome maschile - l’insieme delle persone, la gente:
 Esempio: un ufficio aperto al pubblico solo in determinati orari; comparire in pubblico Sinonimi: piazza, popolo - l’insieme delle persone che leggono libri o assistono a spettacoli teatrali, cinematografici, televisivi: Esempio: quel film ebbe molto successo di pubblico
Sinonimi: presenti, spettatori.19 Molto importante, dunque la dimensione ‘pubblica’ che rimanda al concetto di massa e, quindi, di comunicazione di massa. Riassumendo un po’ le definizioni si può dire che la pubblicità dunque è una forma di comunicazione a pagamento, diffusa su iniziativa di operatori economici rivolta alle masse attraverso mezzi come la televisione, la radio, i giornali, le affissioni, la posta, Internet, etc, di un prodotto o servizio, di

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Dizionario della Lingua Italiana, Zanichelli editore, 2010

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un’azienda o altro che tende in modo intenzionale e sistematico a influenzare gli atteggiamenti e le scelte degli individui in relazione al consumo di beni e all’utilizzo di servizi. La prima classificazione La pubblicità si può classificare in vari modi. È meglio partire dal più semplice di essi ovvero quello basato sul fine ultimo: profit/non profit e cioè se la réclame è più o meno a scopo di lucro: - Pubblicità commerciale: è quella volta a reclamizzare un prodotto di mercato (o comunque la ditta che lo produce). È la forma di pubblicità più diffusa. - Pubblicità sociale: è quella volta a promuovere finalità socialmente rilevanti. - Advocacy advertising: è quella volta a promuovere un consenso relativamente a tematiche su cui esiste una divergenza di opinioni. - Pubblicità pubblica: è quella impiegata dallo Stato o dalla Pubblica Amministrazione volta a comunicare informazioni relative ai diritti e ai doveri dei cittadini. - Propaganda politica: è quella volta a reclamizzare un partito o un’idea politica. Esistono molte catalogazioni della pubblicità che si possono completare o incrociare, si può analizzare dal punto di vista del mezzo di comunicazione o medium che la veicola (radio, televisione, cinema, giornali, periodici, affissioni, Internet) fino a classificazioni piuttosto specifiche come ad esempio quelle in relazione al tipo di target (ossia il destinatario). Le origini La pubblicità è, apparentemente, una disciplina nuova, nata con la nascita dei consumi di massa o con la rivoluzione e produzione industriale. In realtà le sue radici sono molto più antiche, almeno se si considera pubblicità la propaganda. Ci sono testimonianze risalenti al 79 d.C.: sui muri delle case romane distrutte dal vulcano, sono presenti delle scritte che invitano i passanti a votare per un certo candidato alle elezioni politiche. Per la pubblicità vera e propria si deve aspettare l’invenzione della stampa. Nel 1630 appare il primo annuncio pubblicitario su un giornale dell’epoca: si tratta di una semplice inserzione che richiamava il nome del prodotto. Con la rivoluzione industriale, l’aumento della produzione di merci e lo sviluppo del consumismo si è imposto poi il modello pubblicitario che noi conosciamo: il prodotto di una scienza che usa tecniche raffinate e si avvale dell’apporto di psicologi, artisti, disegnatori e registi famosi. È un fenomeno che coinvolge masse enormi di persone ed è un’industria che investe ingenti capitali, impiega intelligenze sopraffine e dà lavoro a milioni di persone.

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Contesto storico La pubblicità ha ormai acquisito tecniche raffinate ed è presente in quasi tutte le attività dell’uomo e in tutti i settori. Per capire come mai ha avuto questa diffusione così totalizzante è utile capire qual è il contesto in cui si sviluppa e matura. Questo sviluppo avviene durante un periodo di tempo che và dalla fine dell’Ottocento fino alla prima guerra mondiale. Questi quindici anni circa, vengono normalmente denominati Belle Époque: dopo la grande depressione (1873-1895), la Francia entra in un periodo di crescita economica alquanto sostenuta che si può far derivare dalla seconda rivoluzione industriale. Il mondo occidentale guardava con fiducia e ottimismo al futuro, sicuro che progresso, benessere e pace avrebbero continuato a guidare i suoi passi verso conquiste sempre nuove. Queste aspettative sembrarono realizzarsi per tutto il primo quindicennio del nuovo secolo, un periodo di grandi speranze che da molti fu poi ricordato con nostalgia come la Belle Époque. In effetti all’inizio del Novecento il mondo occidentale aveva molte ragioni d’orgoglio: debellata la maggior parte delle epidemie e ridotta notevolmente la mortalità infantile, gli abitanti del pianeta toccavano ormai il miliardo e mezzo. Alla crescita demografica fece riscontro un impressionante aumento della produzione industriale e del commercio mondiale, che tra il 1896 e il 1913 raddoppiarono. Nacquero il cabaret, il cancan, il cinema, nuove invenzioni resero la vita più facile a tutti i ceti e livelli sociali, la scena culturale prosperava, e l’arte prendeva nuove forme con l’impressionismo e l’art nouveau. La borghesia celebrava i risultati raggiunti in pochi decenni di egemonia con Esposizioni universali, in cui si esibivano le ultime strabilianti meraviglie della tecnica Gli abitanti delle città avevano scoperto il piacere di uscire, anche e soprattutto dopo cena, di recarsi a chiacchierare nei caffè e assistere a spettacoli teatrali. Le vie e le strade cittadine erano piene di colori: manifesti pubblicitari, vetrine con merci di ogni tipo, eleganti magazzini. Questa mentalità e questo modo di affrontare la vita aveva condizionato anche i settori produttivi. In tutta Europa si erano sviluppate una serie di correnti artistiche giunte a teorizzare che ogni produzione umana poteva divenire un’espressione artistica. Un societa’ di consumatori La Belle époque era tale solo per chi se la poteva permettere: il benessere di alcuni si basava sul disagio di moltissimi altri; innanzitutto dei popoli colonizzati, secondariamente del proletariato operaio e contadino. Quest’ultimo tuttavia, soprattutto quello operaio, cominciò a godere di qualche vantaggio, non solo grazie alle proprie durissime lotte, ma grazie anche alla logica stessa dell’economia del mercato.

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In base a questa logica infatti se si vuole guadagnare di più bisogna produrre e vendere di più. Ma per aumentare le vendite è necessario che masse sempre più estese abbiano sempre più denaro per comprare. Gli imprenditori, quindi, man mano che la produzione scendeva, accettarono di concedere aumenti dei salari, facendo salire il reddito pro capite nei paesi sviluppati. Dopo aver creato nuovi mercati nelle colonie, costringendole ad acquistare dall’Occidente i prodotti lavorati, quindi, misero anche in moto una crescita esponenziale dei loro mercati interni, ponendo le basi per una vera e propria società di consumatori. Si provvide anche rapidamente alla crescita della distribuzione; beni di consumo come abiti, calzature, mobili, utensili domestici, che prima erano prodotti artigianalmente e venduti da piccoli commercianti al dettaglio cominciarono a essere offerti da una rete commerciale sempre più ampia. Gli oggetti prodotti dalla seconda rivoluzione industriale ebbero la caratteristica di entrare nelle case e di trasformare la vita quotidiana. Nel campo dei prodotti consumati dalle famiglie, infatti, la prima rivoluzione industriale aveva migliorato il generale tenore di vita della popolazione sotto due soli aspetti: l‘aumento della produzione agricola e le innovazioni nella produzione tessile. Aveva cioè immesso sul mercato a condizioni d’acquisto più favorevoli generi alimentari e tessuti, che sono seni di consumo immediato o beni semidurevoli. La Seconda rivoluzione industriale, invece, cominciò a offrire beni di consumo durevoli come il telefono, il grammofono, la macchina fotografica, l‘automobile, la bicicletta, la macchina da cucire, la macchina da scrivere…. Il pubblico rispose a questa nuova possibilità di vita manifestando il desiderio di possederli e dando luogo a una società di consumatori di cui industriali e commercianti dovevano semplicemente assecondare la spontanea propensione dell‘acquisto. I fattori che avevano spinto gli industriali a moltiplicare la produzione di beni di consumo erano molteplici e uno legato all’altro: - una tecnologia in rapido sviluppo, strettamente collegata all’industria e alla sua espansione; - una crescita demografica senza precedenti, alla quale si accompagnò un’imponente urbanizzazione; - un grande sviluppo della classe impiegatizia che, unito a un significativo aumento del reddito pro capite, favorì la nascita di clienti anche fra i ceti meno privilegiati; - un dominio coloniale vastissimo dove l‘industria aveva creato nuovi marcati interamente controllati dall’Occidente. Gli Stati Uniti furono i primi a soddisfare questo desiderio provvedendo rapidamente a migliorare le tecniche di distribuzione. Nei maggiori centri urbani impiantarono grandi magazzini in cui si poteva trovare di tutto, dalla spilla alla balia all‘automobile; i centri più piccoli e le zone rurali furono raggiunti attraverso la vendita per corrispondenza; inoltre, per consentire l’acquisto alle fasce meno abbienti, furono escogitate

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tutte le possibili forme di pagamento rateale, che indebitarono le famiglie ma, contemporaneamente, resero accessibile a chi aveva un reddito medio-basso una quantità prima impensabile di prodotti costosi. Alcune di queste innovazioni furono introdotte rapidamente anche in Europa. In appoggio a questa massiccia strategia di vendita nasceva la pubblicità, che cominciava ormai a riempire i muri delle città e le pagine dei giornali. La produzione non era più diretta a un ristretto pubblico di ricchi e di benestanti ma alla società di massa, così denominata per la possibilità di libero accesso ai beni di consumo da parte di tutte le categorie sociali della popolazione. La pubblicita’ degli inizi del ‘900 Molto presto industriali e commercianti capirono che, per allargare il mercato dei consumatori, avevano bisogno della pubblicità, cioè di un operazione realizzata attraverso tutti i possibili mezzi di comunicazione di massa con l‘obiettivo di far conoscere al pubblico i loro prodotti. Negli Stati Uniti le prime pubblicità attraverso manifesti stradali comparvero subito dopo la Guerra di secessione, intorno al 1870. Esse incrementarono a tal punto le vendite che nel 1900 il denaro investito dai produttori americani in questo settore era aumentato di dieci volte rispetto a trent’anni prima. Anche questa idea fu poi imitata rapidamente dagli europei. La pubblicità nacque in modo artigianale, limitandosi a descrivere l’uso e il funzionamento di un certo prodotto. Ai primi del Novecento l’industria pubblicitaria modificò radicalmente le abitudini e i gusti della gente manipolando le une e gli altri a proprio vantaggio. Contemporaneamente, però, essa svolse una funzione costruttiva perché contribuì validamente allo sviluppo economico, e una funzione creativa perché offrì nuove occasioni espressive ad artisti, disegnatori e grafici. Inizialmente erano gli stessi produttori e commercianti a elaborare messaggi per informare la potenziale clientela dell’esistenza dei propri prodotti. Con il passare del tempo, però, l’attività pubblicitaria assunse proporzioni talmente grandi e complesse da diventare un’attività commerciale a sé stante che doveva essere svolta da specialisti. Nacquero perciò gli agenti pubblicitari: il loro compito consisteva nel convincere i consumatori non solo della bontà di una determinata marca, ma addirittura di aver bisogno di un prodotto di cui non avevano mai sentito esigenza. Queste erano formate da squadre di disegnatori o “cartellonisti”, scrittori, esperti di mercato. Nel compiere quest’opera di manipolazione crearono veri e propri capolavori e segnarono la nascita di una nuova forma d’arte. I pubblicitari individuarono un potente strumento di diffusione di massa da affiancare ai manifesti stradali, le pagine di giornali, che furono invase da annunci a pagamento. In pochi anni i guadagni provenienti da questa iniziativa divennero una voce così rilevante delle entrate di quotidiani e settimanali da creare un fenomeno che ebbe conseguenze impreviste.

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Pubblicità come capolavoro messaggi della Belle époque

La proposta dei giornali, infatti, cominciò a essere sempre più fortemente condizionata dai contributi degli inserzionisti, finché proprietari e direttori, nel timore di perderli, non osarono più contrastarne gli interessi. Poiché gli inserzionisti maggiori erano gli industriali, i giornali cominciarono a schierarsi in modo sempre meno obbiettivo contro gli scioperi e ogni altra rivendicazione dei lavoratori influenzando pesantemente l’opinione pubblica, rappresentata dai loro numerosissimi lettori. In molti casi, a partire dagli Stati Uniti, questo atteggiamento segnò una limitazione della libertà di stampa: una limitazione non più determinata dalla censura di Stato, ma indotta in modo strsciante dalle leggi del mercato. I lavoratori capirono di avere contro un nuovo e temibile nemico e cominciarono a definire i giornali ”stampa borghese” e “stampa dei padroni”.

Sommersi dall’invadenza dei martellanti inserti pubblicitari della TV, replicati dai grandi pannelli che ormai integrano totalmente la fisionomia urbanistica delle nostre città, sempre più ci appare evidente il baratro non solo temporale, ma anche culturale, che separa l’onnipresente versatilità della pubblicità odierna - destinata tuttavia per esigenze di marketing a un’ istantanea deperibilità - dalla sedimentazione creativa delle affiches di inizio secolo. Negli anni in cui iniziò a consolidarsi in maniera sempre più stringente il dialogo tra il mondo della persuasione pubblicitaria e il bacino di utenza dei potenziali acquirenti, la forza espressiva delle nuove istanze stilistiche dell’ Art Nouveau trasformò infatti i cartelli pubblicitari in veri e propri manifesti artistici. Anche ai giorni nostri la pubblicità trasmette o perlomeno ritiene di interpretare, in uno sconfinamento tra differenti campi espressivi, la densità estetica del linguaggio artistico contemporaneo: si pensi solo alla celebre campagna pubblicitaria di Oliviero Toscani per Benetton o agli spot televisivi girati da registi cinematografici di calibro internazionale o, per arrivare ad un controverso caso della cronaca recente, alla replica della casa di moda Dolce e Gabbana che in difesa dei suoi manifesti, criticati per il loro messaggio politically uncorrect, ha chiamato in causa appunto la supposta artisticità della sua operazione pubblicitaria. Tuttavia la storia della grafica pubblicitaria dei primi del ‘900 rappresentò davvero un fondamentale campo di sperimentazione e di verifica degli assunti artistici delle più innovative ricerche in corso: dall’Art Nouveau al Futurismo, dal déco al razionalismo. Fu in particolare all’inizio del XX secolo che questo approccio estetico venne emergendo nell’ ambito delle esperienze grafiche di alcuni protagonisti della scena internazionale, come documentato dalla mostra Manifesta. Art Nouveau in Europa, visitabile nelle sale espositive della Fondazione Carige sino al 28 marzo. Attraverso le litografie originali, provenienti dall’Accademia di Belle Arti di Budapest e realizzate da celebri artisti, come Alfons Mucha, Eugène Grasset, Bruno Paul, Adolfo Hoenstein e Leopoldo Metlicovitz, per citare solo alcuni nomi, è possibile infatti ricostruire il clima culturale e artistico diffusosi in Europa, nelle diverse varianti nazionali di questo stile, negli anni a cavallo tra Otto e Novecento. Supportati da un’ormai acquisita consapevolezza dell’efficacia del messaggio pubblicitario e da una nuova filosofia estetica che, in nome del progetto globale, aveva definitivamente sdoganato il valore culturale delle arti decorative e applicate, i loro manifesti rispecchiano fedelmente il gusto e le innovazioni compositive del Liberty, restituendoci allo stesso tempo il sapore di un’ epoca ormai tramontata. 20

01. Immagine. Poster di promozione di una libreria per bambini; “Wee Willie Winkie runs through the town”, 1940. Autore: Cleo Sara. Work Projects Administration Federal Art Project, Illinois

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Matteo Forchessati, Repubblica - 06 marzo 2007, pagina 13, sezione: Genova

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L’agenzia di pubblicita’ Oggi nel mondo esistono numerosissime agenzie di pubblicità e comunicazione dislocate in tutti i paesi. Molte agenzie sono internazionali e hanno un giro d’affari degno delle multinazionali, molte altre sono locali e hanno dei guadagni più modesti. Dalla più piccola alle più grandi, queste agenzie hanno un ruolo fondamentale nell’economia (locale o globale) poiché sono il luogo nel quale le aziende investono molto denaro per pubblicizzarsi, vendere i propri prodotti e quindi far girare l’economia. Ne esistono moltissime specializzate in settori merceologici particolari, o in tecnologie avanzate o nella comunicazione veicolata da medium all’avanguardia e innovativi. Prima di capire come sono nate e quale è stato il loro sviluppo è opportuno sapere cosa sono. Un’Agenzia pubblicitaria (o Agenzia di pubblicità) è un’impresa che realizza, di solito, la pubblicità Above the line, cioè per i media classici quali sono la televisione, la radio, la stampa, le affissioni e il cinema. Il termine Above the line è contrapposto a quello di Below the line, che invece riguarda le promozioni, le vendite tramite internet o per corrispondenza, le pubbliche relazioni e le sponsorizzazioni che solitamente sono affidate a società specializzate in questo. Questa seconda classificazione della pubblicità, relativa al medium che utilizza per veicolare un messaggio, sarà ripresa e approfondita in seguito. Ogni agenzia ha una propria particolare organizzazione e delle proprie specifiche figure professionali che spesso variano in relazione sia alla grandezza dell’agenzia stessa, sia all’importanza del cliente (cioè l’utente), e sia all’entità del denaro da gestire. È possibile descrivere una struttura tipo delle agenzie pubblicitarie, almeno idealmente. In questo capitolo si cercherà di delineare storia e figure che operano all’interno dell’agenzia perché come si vedrà esse sono strettamente correlate: le figure professionali sono nate man mano che proliferavano le richieste di annunci pubblicatati. La nascita delle prime agenzie può essere ricondotta all’invenzione della stampa prima, e alla diffusione dei giornali in seguito. Come si è visto precedentemente, le prime forme di pubblicità risalgono al I secolo d.C.: semplici testi che invitavano a votare per alcuni candidati politici. Ma il primo annuncio pubblicitario, se pur semplice, è del 1630 apparso su un giornale locale. Proprio la diffusione dei giornali è stata la spinta più forte allo sviluppo della pubblicità e delle agenzie: all’epoca dei primi giornali, normalmente l’editore era anche stampatore e lo scopo dei giornali non era tanto quello della diffusione delle notizie e dell’informazione, insomma non c’era nessun ideale di divulgazione della cultura o della democrazia, lo scopo primario era, allora come oggi, quello di far soldi, di ottenere un guadagno. Nel ‘700 in Inghilterra, per riuscire a ottenere più ricavi, un editore decise di offrire un servizio aggiuntivo: la possibilità di inserire inserzioni all’interno

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del suo giornale. Aveva infatti notato che molte persone avevano bisogno di cose che altri possedevano. Decise quindi di mettere in comunicazione le due parti. Il redattore si occupava di organizzare gli annunci consegnati dalla gente. Il suo lavoro principale consisteva nel copiare e correggere le bozze portate dai cittadini, per lo più analfabeti. Proprio per le mansioni che svolgeva fu chiamato copywriter (inglese: copy= copiare e writer= scrittore). Il copywriter, come vedremo, è una figura ancora esistente all’interno dei reparti creativi delle agenzie odierne. Gli annunci vennero divisi per categorie, quindi classificati (da qui il nome classify). Le tasche dell’editore/stampatore iniziarono a gonfiarsi poiché si creò un giro d’affari importante e in continua crescita. Il redattore/copywriter d’altro canto riceveva sempre lo stesso salario così decise di mettersi in proprio. Le persone ormai lo conoscevano bene e iniziò a lavorare da casa (ufficio privato) facendosi pagare una percentuale. È questo il primo passo verso le agenzie di pubblicità. L’idea rivoluzionaria è quella della percentuale: il guadagno dell’agenzia è la percentuale di sconto che i media applicano. Tutti i media fanno sconti alle agenzie per gli spazi comprati ed è questo che costituisce il margine di guadagno. Tornando alla storia: il copywriter guadagna bene e decide di assumere una persona incaricandola di portare gli annunci al giornale. Questa nuova figura che mantiene i contatti tra cliente e agenzia è l’attuale account. Con i classify (traducibile in ‘annunci economici’) nasce anche il moderno concetto di concorrenza. Già all’epoca c’era già l’idea del risparmio tanto che i produttori o rivenditori di una stessa categoria merceologica si organizzarono in distretti e aprirono i loro negozi tutti sulla stessa via (per es.: “via dei calzolai”, “via dei giacchettai”, …). Gli annunci sui giornali diedero la possibilita, anche a chi non possedeva una bottega, di vendere i propri prodotti. Da questo momento in avanti gli annunci divennero sempre più complessi: ai testi, sempre più mirati e accattivanti, si accostarono figure, immagini di accompagnamento.

I reparti e le figure L’organizzazione professionale che fornisce servizi per lo studio, la progettazione e la realizzazione della pubblicità (o più in generale di una campagna pubblicitaria) è solitamente l’Agenzia pubblicitaria. Tale agenzia è costituita da vari reparti, ciascuno con funzioni ben specifiche nella filiera dei servizi offerti ai clienti. A sua volta ognuno di questi reparti è caratterizzato da determinate figure professionali.
 - Il motore primo dell’attività è l’Utente, colui che si serve della pubblicità per reclamizzare un prodotto, una marca, un’idea, se stesso. Può essere una persona, un ente, un’associazione, una società per azioni, un partito politico,

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e così via. L’utente, tramite il suo Reparto Marketing, e più precisamente tramite un tecnico che si chiama Advertising manager, e che si occupa della programmazione e delle prese di decisione relative alla creazione di una campagna pubblicitaria, presenta all’agenzia pubblicitaria un Piano di Marketing in cui si fornisce una serie di indicazioni sulla pubblicità che si vuole realizzare. L’agenzia vera e propria è divisa in reparti: - Reparto Account è il reparto nel quale si trovano gli Account executive, che sono gli alter ego dell’advertising manager e che è, appunto, il tramite tra il cliente e l’agenzia, e che col suo Reparto Account raccoglie seleziona elabora e gestisce flussi di informazione, coordina e controlla i flussi di produzione, tiene sotto controllo qualità e costi. Il reparto account è strettamente connesso con altri due reparti: il reparto planning e il reparto mezzi. - Reparto Planning: lo Strategic planner è colui che sviluppa un’Analisi Situazionale cioè prende in considerazione la condizione dei consumatori, del prodotto, dell’impresa, della marca, del mercato e della concorrenza alla luce degli obiettivi strategici e tattici dell’utente che ha commissionato la campagna pubblicitaria. Il loro ruolo è diventato centrale, man mano che è cresciuta l’articolazione dei media e delle discipline della comunicazione. - Reparto Media. All’interno del Reparto Media si trovano invece tre distinti tecnici:
 - il Media researcher è colui che si occupa della raccolta, dell’aggiornamento e dell’integrazione di tutti i dati utili relativi al mondo dei media;
 - il Media planner è colui che sceglie tra i vari tipi di media e tra le varie testate o emittenti quella più adatta alla pubblicità che si vuol lanciare. Per fare questa scelta si basa sulle caratteristiche dei destinatari della pubblicità, di ciascun medium, sul periodo di tempo entro il quale andrà sviluppata la campagna, sull’impiego che fa la concorrenza dei media, e sull’atteggiamento dei commercianti cioè di chi poi alla fine vende i prodotti alla gente. Ma in particolar modo si basa su quanti soldi sono stati messi a disposizione per la campagna;
 - il Media buyer è colui che contratta con le Concessionarie di Pubblicità per l’acquisto dei tempi o degli spazi sui vari media. Quindi prenota quando e quante volte ad esempio uno spot dovrà andare in onda durante una giornata, stipula un contratto relativo a questo, e controlla che tale contratto venga rispettato, portando avanti eventuali contestazioni. Questo quadro sarà utile all’account executive, per la stesura di un altro documento fondamentale, che è in sostanza una sorta di mappa che permette di orientare tutta la campagna pubblicitaria e che prende il nome di Brief. - Il Brief è un documento di riferimento per la preparazione della pubblicità. In realtà non esiste una regola su com’è fatto all’atto pratico un Brief, anche perché spesso e volentieri ciascuna agenzia ha i propri modelli e tali modelli

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rappresentano altrettanto frequentemente uno degli elementi che vengono utilizzati per rendersi concorrenziali rispetto alle altre agenzie di fronte al cliente (cioè l’utente). E in ogni caso un brief varia di complessità in relazione alla complessità della campagna pubblicitaria che si intende realizzare e all’entità dello stanziamento previsto. Per avere un’idea però, un brief semplice e chiaro per creare una pubblicità è, ad esempio, un documento che fornisce una risposta alle seguenti domande: - Qual è il target? (Ovvero: a chi è diretta la pubblicità? ) - Qual è l’offerta? (Ovvero: che cosa si propone al target?) - Quali sono le prove a sostegno di quanto si sta dicendo? (Ovvero: come si può dimostrare che l’offerta è valida?) - Qual è l’impressione finale che si vuol lasciare? (Ovvero: qual è il concetto-chiave da comunicare al target?) Il brief, perciò, contiene le coordinate entro le quali dovranno muoversi i creativi per l’ideazione della pubblicità vera e propria (in realtà quando il brief risulta eccessivamente complesso e articolato ai creativi viene fornito un documento sintetico che prende il nome di Copy Strategy).

parte 3 Studio preliminare Brief pag.206

- Nel Reparto Creativo le due figure chiave sono rappresentate dal Copywriter che si occupa dei testi e dall’Art Director che si occupa delle immagini. Si parla di Coppia Creativa perché questi due soggetti lavorano sempre insieme: da un lato perché, come si usa dire “due teste pensano meglio di una”, dall’altro perché, effettivamente, ciascuno porta il suo contributo relativo al suo ambito di competenze. C’è da dire comunque che sebbene i due ruoli siano complementari, non sono così definiti e dicotomici perché, spesso, il Copywriter contribuisce alla cura degli aspetti estetici così come l’Art Director contribuisce alla cura dei contenuti (o perlomeno così dovrebbe essere). Le idee ritenute valide vengono realizzate sotto forma di Rough, cioè di schizzo semplice e presumibilmente chiaro di cosa s’intende realizzare, e vengono presentate al direttore creativo, altra figura chiave del reparto creativo. Il compito del direttore creativo è quello di gestire il reparto e orientare la produzione coerentemente con il brief e, se si vuole, con lo stile dell’agenzia. In sostanza egli è responsabile di tutto ciò che esce da questo reparto, in particolare di quell’idea che verrà scelta per essere presentata all’account e allo strategic planner, che poi sono quelli dai quali erano partite le indicazioni. Se l’idea non va bene viene ridiscussa. Altrimenti si procede: il reparto account prepara una presentazione della pubblicità per il cliente e il reparto creativo inizia a trascrivere “in bella copia” i bozzetti: si parla di Layout per le pubblicità stampate, di Script per i comunicati radiofonici, di Storyboard per gli spot televisivi. Per questa operazione i creativi si servono di altri due reparti che diventeranno poi decisivi al momento della realizzazione della pubblicità definitiva:

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una versione più tecnica e meno partecipata dell’atto originale e si fondano sul bisogno di stabilire relazioni. Non chiedono di legarsi con vincoli di fedeltà, ma solo di fornire una rappresentazione dei sogni del cliente efficace. 2. Il manipolatore: il comunicatore professionista vende prodotti massificati attraverso la diffusione manipolatoria di emozioni e comportamenti stereotipati, tali però da influenzare occultamente consumi e coscienze. Parla un linguaggio astruso, vive in un mondo mercificato, separa se stesso dalle proprie responsabilità etiche. È una versione che sottolinea l’aspetto dell’incantamento. L’intenzione seduttiva oggi non è neanche occultata. La comunicazione non deve avere valenze pedagogiche, sarebbe pericoloso. Annamaria Testa inserisce una precisazione sull’etica individuale: per comunicare un tema è necessario interiorizzarlo, ma è materialmente impossibile elaborare in termini affettivi un tema ripugnante. Per riuscire a farlo bisognerebbe diventare ripugnanti 3. Il guru/ mago: il comunicatore professionista è il vero guru contemporaneo: l’unico a capre sul serio la società in cui viviamo. La magia della comunicazione trasforma ogni rospo in un principe. È vero che il buon professionista sa trasmettere concetti complessi con precisione e chiarezza ma questo non lo mette in grado di interpretare qualsiasi fenomeno né di ridurre qualsiasi complessità a uno slogan.

- il Reparto Produzione, che coordina la realizzazione materiale delle idee creative, individua i fornitori adatti, controlla costi, tempi, qualità tecnicoesecutive. In particolare TV producer e Radio producer si occupano rispettivamente del mondo televisivo e di quello radiofonico selezionando le case di produzione adatte e assistendo tutto il lavoro di realizzazione. L’Art Buyer invece si occupa del mondo della stampa o più in generale delle immagini. L’ultimo reparto è rappresentato da chi realizza all’atto pratico la pubblicità, cioè gli Esecutivisti. Quando tutto è pronto l’idea della pubblicità viene presentata al cliente, che solitamente si riserba un po’ di tempo per riflettere e fare le dovute considerazioni (in questo lasso di tempo, ma anche dopo che la campagna è stata lanciata, può ordinare una serie di copy testing per valutare l’efficacia della pubblicità stessa): se la pubblicità viene rifiutata o accettata solo parzialmente riparte tutto quanto il processo appena descritto fino a quando non si trova una soluzione. Viceversa se la pubblicità viene approvata si innesca la macchina di produzione che realizzerà concretamente la campagna pubblicitaria. Quando una campagna pubblicitaria viene finalmente lanciata si dice che è On Air. Cinque visioni del comunicatore di professione. Annamaria Testa è una di queste, una comunicatrice e più precisamente, ma riduttivamente, è una copywriter. Nel suo libro “Farsi Capire” analizza molti aspetti della comunicazione, alcuni dei quali approfondiremo in seguito. Qui è interessante dare il suo punto di vista, dall’interno e dall’esterno, sul mestiere del comunicatore. Circolano numerosi pregiudizi su chi comunica per professione: - uno che aliena la propria capacità di inventare: dopotutto, una parte piuttosto intima di sè - un bieco manipolatore - un guru/un mago contemporaneo - l’unico vero artista moderno - un artista mancato. Le prime tre definizioni riguardano, più che il ruolo del comunicatore, la società dei media e dei consumi in favore della quale opera; la quarta e la quinta concernono invece le opere prodotte. Sviluppiamo ognuna delle cinque definizioni per cercare di capire cosa fa, dunque il comunicatore. 1. Il mercenario: il comunicatore professionista è una malafemmina mediatica perché vende se stesso al migliore offerente. Quella riduce l’amore al sesso, questo riduce la comunicazione agli slogan. Il mestiere della comunicazione si fonda, come quello della malafemmina, su una sapienza antica quanto il mondo e c’entra con la seduzione. In entrambi i mestieri viene venduto qualcosa di personale e producono

Se un prodotto è mediocre resta tale anche se ben impacchettato in una costosa campagna pubblicitaria. I clienti se ne accorgono. 4. Il grande artista: la comunicazione professionale – in particolare quella pubblicitaria – è una forma d’arte contemporanea. Certi spot sono meglio dei film. Certi manifesti sono meglio dei quadri e rappresentano l’autentico del tempo. “un oggetto d’arte – afferma Marcel Mauss – è un oggetto riconosciuto come tale da un gruppo”, secondo questa definizione anche la pubblicità potrebbe essere arte. In realtà per essere autori di una comunicazione che sta in piedi non è necessario essere artisti. 5. Un’autore a metà: il comunicatore professionista è un artista mancato. Non ha motivazione narcisistica sufficiente a produrre opere che tecnicamente saprebbe eseguire. Non ha capacità visionaria. È un bravo sognatore che non ha un sogno proprio e allora sogna i sogni di altri. In effetti, al comunicatore mancano sia l’urgenza di esprimere se stesso che quella di comunicare a un proprio pubblico. L’espressione di sé e il pubblico appartengono al cliente. La sua posizione è ambigua: interna al comunicare ma separata da tutti i termini del processo. Prevede la responsabilità che il messaggio raggiunga un obiettivo ma non la facoltà di scegliere messaggio e obiettivo. Insomma l’ambito d’intervento concerne lo stile. 21

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Annamaria Testa, Farsi capire

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12. Schematizzazione del funzionamento e del frazionamento dell’agenzia di pubblicità.

La strategia di comunicazione: costruire, cambiare e consolidare atteggiamenti Non c’è nulla di peggio di una grande spinta nella direzione sbagliata

Seconda classificazione: la nascita di una relazione La pubblicità deve parlare al consumatore, promettere qualcosa, sedurlo. Andare un po’ oltre la banale ovvietà. Ci possono essere due tipologie di pubblicità: - una informativa, che descrive le caratteristiche del prodotto; - l’altra che parla del beneficio che avrà qualora si acquista quel dato prodotto. La seconda via è quella preferibile perché, al contrario della prima che si concentra solo sul prodotto, mette in contatto il prodotto con il consumatore e trova un punto di confluenza tra le due entità. La strategia in pubblicità sta qui, nell’avvicinare il prodotto all’utente. Per farlo è necessario conoscere bene le esigenze dell’uno (consumatore) e i vantaggi dell’altro (prodotto). Nel capitolo successivo si definiranno i concetti di marketing e le strategie messe in atto dallo stesso. Qui invece, analizzeremo l’arte di avere il prodotto adatto per un gruppo predefinito di consumatori, al prezzo adatto e con adatta pubblicità e promozione.

Mirare prima di sparare La pubblicità deve seguire delle tattiche, non può comlpire il bersaglio sbagliato e non può permettersi di non colpire affatto per due ragioni: - prima di tutto perché questo sarebbe controproducente alla strategia di brand, apporterebbe confusione nel cliente e di sarebbe il rischio che anche i più fedeli abbandonino la marca; - in secondo luogo per ragioni economiche, poiché le risorse messe in gioco per una campagna pucclicitaria, come sappiamo, sono molto cospicuie e non ci può essere il rischio di fare un buco nell’acqua. Per cui non c’è niente di più controproducente e pericoloso che sparare senza prima mirare bene. Il pubblicitario è quel campione di tiro a segno che riesce a piazzare sempre il colpo dove ha messo l’occhio. Mirare è la strategia. Colpire il bersaglio è la tattica. Le tattiche possono essere diverse ma la strategia di marca deve rimanere una sola. La coerenza strategica non è un obiettivo semplice da raggiungere. La fretta e l’angoscia dei risultati di breve periodo possono portare, a mosse tattiche che per cercare un rimedio immediato intaccano la strategia di marca, e così provocano guasti peggiori subito dopo. È sorprendente e preoccupante constatare come questo avvenga anche in imprese con una forte organizzazione e una seria cultura professionale.

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Il principio fondamentale della strategia è sommare gli sforzi invece di sottrarli. La regola da non dimenticare è che il cliente ha già una strategia (mission) e questa dev’essere rispettata e evidenziata quando è forte e dimostrata, rivista, corretta e affinata quando invece la mission sulla carta non corrisponde nella realtà.

Creatività o strategia? Norman Berry, quando era presidente esecutivo della Ogilvy & Mather a New York e direttore creativo mondiale, diceva: «dobbiamo esigere quella grande libertà creativa che nasce da binari strategici d’acciaio». Molti pensano che questo concetto sia un “paradosso”. Probabilmente sono coloro che pensano che la creatività debba essere libera e senza costrizioni e hanno un concetto di fantasia superficiale. Il ragionamento, infatti, è coerente e lineare. Quando più precisa e chiara è la strategia, tanto più vivace, interessante, libera può essere l’esecuzione: la creatività di una campagna pubblicitaria può permettersi di “volare” ma non deve mai perdere di vista l’obiettivo e la coerenza progettuale. E definiva così la strategia pubblicitaria: - “Cominciamo col fare un bilancio della situazione di partenza della nostra marca e del suo contesto attuale: chi sono i consumatori, che cosa pensano, riguardo alla nostra marca e alle marche concorrenti, come si comportano” - “Poi decidiamo e scegliamo l’obiettivo, la situazione in cui vorremmo portare la nostra marca entro un tempo determinato: chi vorremmo che fossero i nostri consumatori, che cosa vorremmo che pensassero”.

problema si può risolvere, non è un problema”. A questo punto si deve imparare a distinguere un problema risolvibile da uno che non lo è. “Il problema di design nasce da un bisogno” dice Archer. I bisogni delle persone possono essere di svariata natura: economici, primari, sociali e molti altri e da tutti questi può nascere un problema. La soluzione di tali problemi migliora la qualità della vita. Di seguito si riporta lo schema che riassume la metodologia progettuale ideata da Munari per arrivare alla soluzione, e alla migliore possibile, del problema di design. 22 13. Il problema non si risolve da solo ma contiene tutti gli elementi per la sua soluzione, occorre conoscerli e utilizzarli nel progetto di soluzione. - Sintetizziamo gli elementi che compongono l’inizio del metodo: problema è indicato con P, soluzione con S. Tra questi ci sono le operazioni che servono per giungere da un punto all’altro. - La definizione del problema è importante perché il problema può avere diverse soluzioni, bisogna decidere quale scegliere. - Molti progettisti pensano subito di trovare un’idea che risolva il problema. L’idea ci vuole ma non all’inizio dello schema. - Ogni problema ha in se altre componenti che costituiscono problemi secondari e sottoproblemi. - A questo punto è bene raccogliere i dati necessari a studiare tutti i componenti del problema. - All’operazione di raccolta dovrà seguire quella di analisi dei dati. - Dopo l’analisi dati c’è la creatività che va a sostituire il termine utilizzato fino ad ora ‘idea’. Mentre l’idea è qualcosa che dovrebbe fornire una soluzione bella e pronta, la ‘creatività’ tiene conto di tutte le operazioni necessarie che seguono l’analisi dati. - Seguono la raccolta dati sulle possibilità materiche e tecnologiche per il progetto; - la sperimentazione sui materiali e sugli strumenti. - Dalla sperimentazione nascono dei modelli, realizzati per dimostrare delle possibilità materiche e tecniche da usare nel progetto. - Questi modelli devono avere delle verifiche per controllarne la validità. - Solo a questo punto possono essere elaborati i dati raccolti che prenderanno corpo in disegni costruttivi per realizzare il prototipo.

Ma dunque cos’è la strategia? È la strada che porta la marca in una situazione diversa da quella attuale e la conduce dal punto A al punto B. Lavorare strategicamente vuol dire: - Sapere qual è il punto A. - Decidere quale dovrà essere il punto B - Definire che cosa dovremo fare perché il consumatore passi dal punto A al punto B Va detto che non esiste una formula infallibile per elaborare strategie, ma esistono, le chiavi teoriche. Anche Bruno Munari si è espresso in favore di una metodologia progettuale chiara e lineare, che non permetta al creativo di abbandonare la giusta direzione e il verso e non perdere mai di vista lo scopo del progetto. Munari, in ‘Da cosa nasce cosa’, mette sullo stesso piano e associa, la realizzazione di un progetto di design o di una strategia pubblicitaria, con la risoluzione di un problema; sottolinea che un progetto non nasce da un’epifania improvvisa e geniale (ciò che si pensa sia la creatività), ma dal procedere seguendo un metodo ben preciso, quasi scientifico. Prima di tutto definisce problema prendendo spunto da Antonio Rebolini: “Quando un problma non si può risolvere, non è un problema. Quando un

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Bruno Munari, Da cosa nasce cosa, pagg. 35-62

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Le basi della strategia pubblicitaria In questo capitolo si analizzano gli elementi che bisogna tenere in considerazione quando si progetta una strategia. 1. Il chi Ci sono tre elementi, connessi fra loro, che sono la base della strategia pubblicitaria: a. Il pubblico obiettivo (il target group) Chi vogliamo che reagisca alla pubblicità Chi sono i consumatori che rappresentano il maggior potenziale di mercato per la nostra marca Spesso c’è più concentrazione di quanto si possa immaginare. Anche per un prodotto di larghissima diffusione, come la Coca-Cola, il 20 per cento dei consumatori rappresenta l’80 per cento dei consumi. Per quali posizioneremo la nostra marca in modo più significativo? A questo punto occorre definire stili di vita, abitudini d’acquisto, tendenze culturali, comportamenti e soprattutto, l’atteggiamento del consumatore verso la marca. Si tratta, come abbiamo visto, di definire chi, come, quando e perché compra il nostro prodotto o servizio. b. Il contesto concorrenziale Con quali prodotti o marche siamo in concorrenza diretta o indiretta? Quali altre marche o prodotti potremmo sostituire? Dove c’è un vuoto di mercato che potremmo riempire? Che cosa può far prevalere il nostro prodotto sulla concorrenza? c. Il posizionamento di marca Capire come il pubblico percepisce, oggi, la nostra marca Come vorremmo che la percepisse domani, per effetto della nostra pubblicità? 2. Il come: Il successo di una strategia dipende per metà da ciò che abbiamo analizzato e deciso, e per metà da come lo comunichiamo. Senza entrare in dettaglio nei segreti della creatività pubblicitaria, vorrei citare qui gli elementi che dobbiamo definire chiaramente nella nostra strategia: a. La promessa Una promessa di utilità rilevante che nasce dai problemi, del pubblico scelto, che la nostra marca risolve, o dai desideri che – in modo razionale o emozionale – può soddisfare. b. La giustificazione Ciò che in inglese si chiama reason why non è altro che le ragioni esplicite o implicite che appoggiano la promessa e spiegano come la marca può mantenerla.

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c. La forma e il tono La personalità del prodotto ci darà la capacità di mettere in relazione la promessa e la sua spiegazione con gli stili di vita, le attività e i valori del pubblico cui ci rivolgiamo. d. Innovare, consolidare, cambiare Che cosa possiamo sperare che la pubblicità faccia accadere nella mente del consumatore? Tre cose: – Sviluppare un atteggiamento nuovo Quando il consumatore non conosce la marca o il prodotto, o li conosce così poco che non ha un’opinione formata. – Consolidare un atteggiamento riguardante il prodotto o il servizio Quando l’atteggiamento del consumatore è quello desiderato e l’obiettivo è evitare che, con il passare del tempo, i cambiamenti di circostanze o le attività della concorrenza, possa cambiare idea. – Cambiare l’atteggiamento verso la marca Quando il consumatore non sente, pensa o crede le cose che vorremmo riguardo alla marca o al prodotto. La pubblicità serve anche a costruire nuovi atteggiamenti. Un atteggiamento nuovo non si crea dal nulla. Non nasce adulto. Ma, se sappiamo capire a fondo le esigenze del consumatore, possiamo cogliere qualcosa di nuovo che non si è ancora manifestato, una tendenza latente cui nessuno ha ancora dato gli strumenti adatti per esprimersi. Quando è possibile, questa è la strada che può portare a grandi successi.

Psicologia della pubblicita’: le fasi della comunicazione pubblicitaria Uno strumento molto interessante per descrivere ed analizzare le fasi della comunicazione pubblicitaria è costituito dal modello Think-feel-do. Questa tassonomia è stata elaborata da Lavidge e Steiner (1961) e dichiara la presenza di una successione di ‘fai’ che il consumatore segue secondo un ordine sequenziale. Il processo di comunicazione pubblicitaria parte così dalla conoscenza iniziale di un prodotto fino a giungere al suo acquisto. Il modello è articolato in sette fasi: 1. una condizione iniziale in ci non si è ancora manifestata l’influenza della pubblicità. In questo stadio può accadere che il soggetto non sia consapevole dell’esistenza di un prodotto o servizio; 2. in seguito si sviluppa la consapevolezza dell’esistenza dell’oggetto; 3. successivamente il soggetto viene a conoscenza delle prerogative e delle qualità del bene; 4. nello stadio seguente si sviluppa un atteggiamento favorevole verso il prodotto;

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parte 1 La persuasione Un pò di storia pag.68

parte 3 Il progetto Campagne passate pag.280

5. l’atteggiamento favorevole evolve in preferenza per il prodotto e per le sue possibili alternative; 6. alla preferenza si aggiunge il desiderio di acquisto; 7. infine vi è la fase conclusiva in cui si completa il processo di convincimento e di effettua l’acquisto. Tale tassonomia trova un rispecchiamento nel classico modello psicologico che suddivide il comportamento in tre dimensioni: 1. componente cognitiva (che consta degli stati intellettivi); 2. componente affettiva (composta dagli stati emozionali); 3. componente motivazionale. In contrapposizione a questa teoria è stato elaborato il concetto di pubblicità “low-involvement” (Kregman, 1965) che si riferisce ai prodotti a basso coinvolgimento. Secondo Krugman in questo caso vi è uno stravolgimento della successione tradizionale del processo che ha luogo nel caso del modello think-feel-do. La pubblicità potrebbe così indurre immediatamente all’acquisto un consumatore poco coinvolto. 23 L’analisi sociosemiotica della pubblicita’ Giandomenico Belliotti, nella sua “Analisi sociosemiotica della pubblicità”, afferma che la pubblicità è un’attività a scopo persuasivo, che spinge chi la guarda all’acquisto degli oggetti di cui parla trasformando il destinatario in consumatore finale: il codice che essa utilizza è sempre e soltanto di tipo economico. Il testo pubblicitario è un messaggio persuasivo che, riprendendo termini e formule sintattiche, li trasforma in funzione dei suoi scopi economici, accentuandone il valore espressivo. Volli invece, afferma che, prendendo spunto dalle sei funzioni di Jacobson, nel testo pubblicitario si evidenzia la funzione conativa, ovvero quella che spinge il consuamatore a essere attivo nel mercato.24 La comunicazione in pubblicità non è mai occulta, nulla agisce a livello subliminale e i destinatario non è mai passivo al contrario, viene costantemente sollecitato da molti livelli semantici del messaggio che mirano a vivificare la sfera di esperienze individuali e sociali entro cui si riconosce. Ciò che caratterizza il discorso pubblicitario è il suo carattere strategico, ovvero finalizzato alla seduzione del consumatore. La pubblicità fa ricorso alla retorica proprio perché tramite gli artifici persuasivi di tale disciplina, essa si appropria di livelli di senso e moltiplica la sua efficacia comunicativa grazie al supporto linguistico

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psicologicamenteblog.blogspot.com Ugo Volli, Semiotica della pubblicità, Laterza, 2005

della retorica dalla quale, la pubblicità, si rifornisce di “tanti altri possibili significati connotati che rinviano a universi culturali o sottocodici di tipo ideologico, antropologico, estetico”. Lo sguardo linguistico e semiologico sulla pubblicità, supportato dalle nozioni della retorica, supera l’idea della comunicazione commerciale come persuasione occulta. Questa analisi si propone di approfondire l’analisi della parte del testo pubblicitario che fa ricorso a espressioni, non linguistiche, ma di tipo visivo. Lo studio delle immagini pubblicitarie inaugura una vera e propria semiologia della visualità. “Se c’è un’immagine in un annuncio pubblicitario, essa possiede un qualche valore comunicativo e, dunque, un qualche potenziale di significazione. Come la parola, anche l’immagine possiede due livelli di lettura: quello propriamente pubblicitario, di tipo connotativo e quello visivo, di tipo denotativo, legato al fatto che l’immagine sta lì in quanto rappresentazione di qualcos’altro. La comunicazione pubblicitaria risulta efficace perché l’immagine che essa adopera viene messa in relazione con il messaggio verbale e iscrive il piano connotativo in quello denotativo.” 25 Con l’abbandono dell’idea che la pubblicità adoperi linguaggi subdoli e occulti, le scienze sociali hanno iniziato a guardarla con interesse: si comprende che la comunicazione pubblicitaria fa parte della realtà sociale, è una delle sue componenti costitutive e contribuisce attivamente a determinare le dinamiche della società. La pubblicità viene definita da Volli come “strumento estetico ed ideologico di massa, serbatoio a cui attingiamo il nostro modo di guardare le cose, di scoprire il bello, di divertirci e sognare”. È capace di superare l’arte e la moda non soltanto per la diffusione e per la ricchezza di mezzi, ma anche per velocità nei mutamenti. Il messaggio pubblicitario è in grado di variare fortemente a seconda di come viene veicolato ed a seconda del mezzo che viene scelto per la sua diffusione, elemento in grado di condizionare fortemente le condizioni di lettura del messaggio. Il testo pubblicitario, come sottolineato da Volli, riveste il ruolo di ospite di diversi supporti della comunicazione. Ha bisogno di appoggiarsi continuamente ad altri testi, come un elemento secondario e parassitario, ma comunque fondamentale, perché nella maggior parte dei casi costituisce il principale mezzo di finanziamento dei canali di comunicazione.

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Giandomenico Belliotti, Analisi sociosemiotica della pubblicità

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La pubblicità va pensata come un discorso dove ogni parola è una mossa strategica ed ogni azione ha un valore significante. I modelli teorici usati nell’analisi sociosemiotica della pubblicità non sono più di tipo retorico ma di tipo logico narrativo: non si classificano più i segni, ma si va alla ricerca di strutture testuali. Il testo pubblicitario non presenta tanti messaggi quante sono le sostanze espressive da esso utilizzate ma emette un solo messaggio che fonda la propria unità nelle strutture profonde del testo di tipo narrativo. I modelli narrativi adoperati nell’esame delle modalità di consumo proposte dai testi pubblicitari vanno intesi come forme dell’immaginario collettivo che passano temi e simboli al vaglio di situazioni soggettive e intersoggettive storicamente e culturalmente determinate. Il discorso pubblicitario non è tanto una forma retorica di persuasione del consumatore a comprare determinati prodotti, quanto una procedura di valorizzazione dei prodotti e una costruzione dell’immagine di marca che li sostiene. Il consumatore non si limita a scegliere un prodotto per ragioni di calcolo economico ma attribuisce ad esso determinati valori. Emerge così la questione centrale della costruzione dell’identità, nella sua duplice funzione del fare (le azioni compiute dai soggetti per dotare di valore gli oggetti) e dell’essere (le passioni vissute nelle relazioni intersoggettive). Un racconto, secondo l’ipotesi semiotica è sempre la storia di un Soggetto che va in cerca di un Oggetto. Quest’ultimo però non è importante di per sé ma per il fatto di essere desiderato, per i valori che il Soggetto proietta al suo interno. In ogni caso qualunque sia il contenuto semantico di tale valore, esso non è quasi mai una caratteristica intrinseca dell’Oggetto cercato; è piuttosto un valore per il Soggetto, dunque una qualcosa che serve alla realizzazione di quest’ultimo, alla costruzione e al riconoscimento della sua identità. Per questo motivo, esso viene chiamato valore di base o in termini più generali esistenziale. Una storia però non è soltanto il resoconto del modo in cui il Soggetto si ricongiunge con l’Oggetto quanto quella del modo in cui quel Soggetto si procura i mezzi per potersi poi ricongiungere a esso. Prima di ricongiungersi con il suo valore di base, l’eroe deve entrare in possesso di altri Oggetti che gli permettono di poter agire efficacemente al momento in cui incontrerà l’Antisoggetto. Anche questi oggetti sono dotati per lui di un valore ma di tipo diverso rispetto al primo: sono infatti strumenti di lotta e di affermazione, non oggetti del desiderio. Questo secondo tipo di valore si definisce pertanto valore d’uso.

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La valorizzazione dell’Oggetto da parte del Soggetto, si suddivide in quattro grandi classi in cui si raccolgono le possibili forme di razionalità più o meno consapevolmente adottate dai consumatori al momento di acquistare determinati prodotti: - valorizzazione pratica (valori utilitari, d’uso): considera l’oggetto come strumento; - valorizzazione ludica (valori non-utilitari): secondo le relazioni del quadrato semiotico 26, è la negazione diretta della valorizzazione pratica. L’oggetto viene valorizzato non tanto per il suo valore funzionale ma per le sue qualità formali e fisiche, per la bellezza, per il piacere che procura; - valorizzazione critica (valori non esistenziali): secondo le relazioni del quadrato semiotico, è contraria alla ludica e complementare alla pratica. L’oggetto viene scelto per la sua convenienza economica, per il rapporto qualità/prezzo; - valorizzazione utopica (valori esistenziali, di base): secondo le relazioni del quadrato semiotico, è contraria alla pratica e complementare alla ludica. L’attenzione viene spostata dall’oggetto verso il soggetto che si congiunge con il suo oggetto di valore, realizzando la propria identità profonda. Il prodotto non viene considerato dal consumatore per le sue caratteristiche fisiche ma in base ai valori immateriali che egli vi iscrive; allo stesso modo l’identità del consumatore si determina volta per volta sulla base dei valori che sono presenti negli oggetti e quindi delle valorizzazioni in cui esso si trova narrativamente coinvolto. Prodotto e consumatore si costituiscono nella loro relazione reciproca,

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Giandomenico Il quadrato semiotico, noto anche come rettangolo di Greimas, è un metodo di classificazione dei concetti pertinenti ad una data opposizione di concetti quali maschile-femminili, bello-brutto, ecc. e di classificazione dell’ontologia pertinente. È stato introdotto dal linguista e studioso di semiotica lituano Algirdas Julien Greimas, derivato dal quadrato logico di Aristotele. A partire da un’opposizione data di concetti S1 e S2, il quadrato semiotico per prima cosa presuppone l’esistenza di altri due concetti, ossia ~S1 and ~S2, che stanno tra loro nelle seguenti relazioni: S1 e S2: contrarietà S1 e ~S1, S2 e ~S2: contraddittorietà S1 e ~S2, S2 e ~S1: complementarietà Il quadrilatero semiotico introduce anche prodotti, i cosiddetti meta-concetti, che sono dei composti. Tra questi, i più importanti sono: S1 e S2 né S1 né S2 Per esempio, dalla coppia di concetti opposti maschile e femminile, si può ottenere: S1: maschile S2: femminile ~S1: non maschile ~S2: non femminile S1 e S2: maschile e femminile, cioè ermafrodite, bisessuale né S1 né S2: né maschile né femminile, asessuato Alcune varianti alternative al quadrilatero semiotico sono state proposte in letteratura, come ad esempio il diagramma concettuale o la matrice concettuale.

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relazione che è il racconto pubblicitario a proporre in modi ogni volta diversi sulla base delle congiunture economiche del mercato e dei desideri circolanti negli immaginari sociali del momento. L’universo pubblicitario si rivela in tal modo come una grande macchina che riprende dall’immaginario collettivo situazioni, desideri o bisogni già esistenti e li trasforma al suo interno per i propri obiettivi comunicativi specifici, li traduce sotto forma di storie di Soggetti che per realizzare se stessi, vanno alla ricerca degli Oggetti più diversi nei quali si trovano iscritti i valori sociali più diversi. L’analisi semiotica della pubblicità diviene una vera e propria indagine sociale sulle motivazioni di consumo e, suo compito è quello di ritrovare una serie di costanti narrative, di forme invarianti di valorizzazione di Oggetti da parte di Soggetti. 27 I benefici sociali della pubblicita’ Oggi la pubblicità è accettata perché ormai si è integrata perfettamente nella vita di tutti i giorni e fa parte della nostra esperienza quotidiana. Forse più che una critica frontale come quella che superò al suo inizio, oggi incontra opposizione soprattutto da parte di coloro che se ne sentono saturati. Il maggior difetto della pubblicità è che ce n’è troppa. Ovviamente la pubblicità non è perfetta. Né peggio di tante altre cose. È reale come la vita stessa. Nasce a immagine e somiglianza dell’uomo e delle sue abitudini sociali. Come specchio fedele della nostra società, è logico che non le manchino i difetti. Tuttavia, a margine del discorso su come funziona la pubblicità e su tutti i suoi meccanismi, esistono alcuni benefici sociali della pubblicità, che forse non riconosciamo perché li diamo per scontati, ma sono decisivi nella vita di oggi: 1. La pubblicità migliora la relazione qualità/prezzo Pubblicità, marketing e concorrenza sono i diretti responsabili della riduzione dei prezzi. Un esempio moderno di questo fatto sono i viaggi organizzati. Grazie alla pubblicità la gente viaggia di più, e farlo è ogni giorno di più alla portata di tutti i portafogli. 2. La pubblicità promuove l’innovazione Fibre artificiali, elettrodomestici, pentole antiadesive, personal computer, carte di credito, veicoli con freni a disco, servosterzo e ABS. Tutte queste sono state innovazioni, ognuna con costi enormi. Solo dopo esser passate dalla prova del fuoco del mercato, attraverso la pubblicità, hanno potuto essere confermate e accettate dalla nostra società. La risposta massiccia alle loro vendite ha permesso di migliorarle e di abbassarne il prezzo per metterle a disposizione della maggioranza.

3. La pubblicità sviluppa la libertà di scelta Dice l’Associazione europea delle agenzie di pubblicità: «La pubblicità sviluppa e potenzia la libertà di scelta, diritto considerato come l’essenza della democrazia». Fernando Romero ha scritto nel suo saggio El derecho de elegir (“il diritto di scegliere”): «Il marketing è un’espressione evidente della democrazia. La decisione della scelta sta nelle mani del consumatore. Giorno per giorno traccia con le sue azioni la strada del successo o fallimento dei politici e dei prodotti. Potremmo dire che con i suoi acquisti quotidiani sta votando, come potremmo dire che con il suo voto ogni quattro anni sta comprando. Comprando idee, speranze, progetti. E, soprattutto, esercitando il suo diritto di scegliere». 4. La buona pubblicità forma e informa il consumatore La pubblicità influisce sulle abitudini di consumo, ma può farlo nei due sensi. Come elemento di informazione pubblica, i progressi nella sensibilizzazione sociale sui problemi derivanti, per esempio, dall’abuso di tabacco e alcool sono dovuti anche a campagne pubblicitarie. È ampiamente dimostrato che la pubblicità, mentre ha contribuito fortemente all’affermazione di singole marche (per esempio, al successo mondiale delle Marlboro) ha avuto una scarsissima influenza sulla diffusione generale dei consumi di alcol o di tabacco. Per trent’anni in Italia, nonostante divieto totale della pubblicità per i “prodotti da fumo”, il consumo di sigarette ha avuto un forte aumento, anche fra i giovani. Solo molto più tardi è diminuito, per effetto di una forte corrente di opinione che è partita dagli Stati Uniti e si è diffusa in Europa, come in altre parti del mondo. In senso inverso, per molti anni è diminuito continuamente il consumo di alcolici, benché ci fossero forti investimenti pubblicitari nel settore (che solo alcuni anni più tardi si erano ridotti, in seguito alla diminuzione dei consumi). La pubblicità si è rivelata uno degli strumenti efficaci di formazione e prevenzione. Purtroppo accade raramente in Italia. Finora la “pubblicità sociale“ nel nostro paese si è rivelata quasi sempre un fallimento o uno spreco (con qualche lodevole, ma rara, eccezione). Il problema più importante è la scarsità di strategie chiare, di strutture di servizio adeguate – in generale di quella che in un’area commerciale si definirebbe una “strategia di marketing”. Quasi tutti i nostri ministeri o servizi pubblici, quando fanno pubblicità, badano più a “farsi belli” per raccogliere voti e simpatie che a raggiungere risultati o dare un vero servizio alla società civile. 5. La pubblicità può contribuire all’evoluzione del costume sociale La pubblicità non può non tener conto dell’evoluzione del costume e della società. Come ha detto Néstor Lujan in uno dei suoi articoli, «La pubblicità è il riflesso dei nostri costumi». La pubblicità ha favorito l’uso di soluzioni domestiche pratiche nel pieno della

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Giandomenico Belliotti, Analisi sociosemiotica della pubblicità

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rivoluzione famigliare per l’aumento dell’occupazione femminile. Qualche volta la pubblicità riesce ad anticipare una tendenza. La buona pubblicità lavora a favore della corrente; quando è realizzata con approfondimento e intelligenza, la sua spinta innovatrice può anticipare i cambiamenti annunciati, favorire o stimolare l’evoluzione sociale. La pubblicità è uno strumento di progresso, di comunicazione, fatto a misura delle esigenze umane e con grandi possibilità di migliorare la qualità della nostra vita. Come ogni strumento, può essere usata male; ma quando è fatta bene e con coscienza i suoi benefici sociali sono straordinari. Il 15 giugno 1931, in un discorso all’Advertising Federation of America, Franklin D. Roosevelt disse: «Se ricominciassi la mia vita, credo che preferirei lavorare in pubblicità che in qualsiasi altra professione. Perché la pubblicità è arrivata a coprire l’intera gamma delle esigenze umane; e unisce autentica fantasia allo studio profondo della psicologia umana. Poiché porta a un gran numero di persone la conoscenza di cose utili, la pubblicità è essenzialmente una forma di educazione... Il generale miglioramento delle condizioni di vita nelle civiltà moderne sarebbe stato impossibile senza quella conoscenza di livelli più elevati che è diffusa dalla pubblicità».

I mezzi di comunicazione di massa Il concetto di ‘massa’ nasce agli inizi del Novecento, periodo nel quale si sviluppa una nuova società Iin cui si era venuta determinando una nuova organizzazione del lavoro, nella quale i processi produttivi erano stati suddivisi e parcellizzati per essere gestiti in maniera più efficiente e razionale. Quindi, la società di massa che gli studiosi videro profilarsi era un agglomerato eterogeneo di persone in condizioni di prevalente isolamento psicologico, in cui l’individuo, così spersonalizzato, partecipando in modo inconsapevole alla crescita economica, viene visto come un elemento perfettamente intercambiabile con altri individui. Inoltre gli individui sembrano agire più sulla spinta dall’imitazione e della suggestione, in conseguenza quindi di pressioni manipolatorie esterne, piuttosto che sulla base di motivazioni razionali. Oltre a ciò si assisteva in quegli anni ad un vorticoso sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa, che, supportati da un sempre crescente progresso tecnologico, riuscivano a raggiungere un numero sempre maggiore di cittadini. In conseguenza di queste premesse, i primi studiosi, anche in considerazione del loro atteggiamento elitario e conservatore, temendo le potenzialità di mutamento sociale, insite nei mezzi di comunicazione di massa, si occuparono delle possibili forme di controllo sociale esercitate dai media, e della loro capacità di conservare, piuttosto che di cambiare lo status quo. Se nella prima metà del XX secolo i mass media per eccellenza erano la stampa, la radio e il cinema, a cavallo fra gli anni ‘50 e ‘60 si venne affermando l’era

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della televisione, che, presentando potenzialità suggestive simili a quelle del cinema stesso, si distingueva da esso nei tempi di “esposizione” e nel numero di persone raggiunte, che risultavano estremamente più elevati. Si sono sviluppate così le prime scuole di pensiero relative agli effetti psicosociali indotti dai media. La considerazione di fondo da cui esse muovono, è che le comunicazioni di massa si sono evolute in direzione opposta a quella demagogica e populista paventata nel primo dopoguerra, diventando piuttosto, strumenti di legittimazione dell’ordine sociale, “di rafforzamento di quei valori, credenze, stili di vita funzionali al - e legittimanti il - sistema socioculturale dominante e/o a gruppi di particolare potere al suo vertice” (E. Cheli). È così che le teorie della comunicazione, già osservate in precedenza, sono state applicate alla comunicazione di massa, dando luogo a forme differenziate delle regole stesse. Infatti vengono prese in considerazione: la qualità della fonte (credibilità, attrattiva, potere), la qualità del messaggio (contenuto, struttura, reiterazione, ordine di presentazione degli argomenti), le caratteristiche del canale (giornali, radio, TV), caratteristiche del ricevente (età, sesso, stato sociale, stile di vita, grado culturale, livello di autostima, ecc.). Gli studi relativi alla comunicazione di massa hanno poi teorizzato alcuni effetti prodotti dall’esposizione ai mass media, specialmente la TV, riassumibili in due categorie principali: - gli effetti diretti, o immediati, che si hanno quando l’esposizione al messaggio concorre a modificare la probabilità di attuare un dato comportamento, legati soprattutto ai messaggi di violenza, messaggi relativi ai suicidi (effetto Werther), e alla pubblicità sia in senso proprio che in senso preventivo; - gli effetti indiretti, o a lungo termine, che riguardano l’influenza esercitata da una realtà fittizia offerta dai media, sul modo in cui gli individui si rappresentano la realtà oggettiva. Come ulteriore precisazione bisogna dire che la parzialità ed incompletezza del messaggio è più evidente in campo narrativo (film, telefilm, soap operas), dove la finzione è esplicita, quindi attesa e ammessa (ma non priva di conseguenze); ma sussiste anche nell’ambito informativo/giornalistico, dove non è altrettanto nota, attesa, e soprattutto gradita dai fruitori. Secondo il modello degli effetti a lungo termine, è comunque sulla base di questa realtà di seconda mano che, in misura assai rilevante, le persone costruiscono e modificano le loro immagini del mondo, specie in quegli ambiti in cui non possono disporre di un’adeguata conoscenza diretta e personale. Nello specifico, i più rilevanti fra questi effetti sono: - La teoria dell’agenda setting, che riguarda l’informazione giornalistica e l’impatto che essa produce a livello di “rappresentazione del mondo”; i media, infatti, non si limitano a veicolare dati “puri”

parte 1 Comunicazione Mass media, canali dei dialoghi pag.18

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sulla realtà, ma assegnano agli eventi, alle questioni, alle persone oggetto delle notizie: a. una diversa rilevanza, anch’essa legata alla frequenza e alla risonanza con cui sono stati esposti al pubblico, b. una diversa valutazione di merito, esplicita o, più spesso, implicita. La teoria dell’agenda setting sostiene a chiare lettere che “la comprensione che la gente ha di gran parte della realtà sociale è mutuata dai media” (E. Cheli). È da questa influenza che derivano i luoghi comuni relativi ai problemi del lavoro, ai rischi dovuti alla criminalità, al disagio sociale urbano, all’immagine degli immigrati. - La cultivation theory, che va a sorreggere la teoria precedente, ed afferma che c’è una notevole discrasia fra la realtà e l’immagine che di essa ne danno i media, e che questa immagine distorta può avere conseguenze molto rilevanti qualora vengano prese per buone da chi riceve il messaggio. In sostanza gli effetti sono visti come credenze: i mezzi di comunicazione di massa, e in particolare la TV, influenzano ciò che la gente crede circa la realtà (specialmente riguardo la violenza e il crimine). - L’ipotesi del knowledge gap, per cui, se nel processo di “acculturazione” l’impatto dei media è stato addirittura superiore a quello conseguito dal sistema scolastico, questi non si configurano come uno strumento di uguaglianza sociale, anzi avrebbero addirittura accentuato su alcuni piani la disparità culturali. Questo perché, mentre le persone di status più elevato (quindi con una cultura di base più ampia) mostrano una fruizione attiva, focalizzata, di ciò che leggono ascoltano, guardano, quelle di status inferiore rivelano una elaborazione in gran parte passiva dei contenuti, essendo motivati essenzialmente de ragioni di distrazione e intrattenimento. - La spirale del silenzio ipotizza il fatto che le persone esprimono (verbalmente) e manifestano (con l’azione), le proprie opinioni, nella misura in cui le percepiscono condivise dal gruppo sociale di appartenenza. Di conseguenza, secondo un processo che si alimenterebbe in maniera circolare, le opinioni coerenti alle credenze, ai costumi, ai valori dominanti, si diffondono più facilmente (la cosiddetta “opinione pubblica”), mentre quelle contrastanti passano sotto silenzio. Il fattore psicologico alla base di questo fenomeno, che agisce a livello individuale, sarebbe la paura dell’isolamento sociale: esprimere un’opinione diversa, o addirittura in conflitto, con quella della comunità significa, infatti, prendere le distanze da quest’ultima, riducendo sia l’identificazione dell’individuo col gruppo, che il riconoscimento del gruppo nei confronti dell’individuo, e provoca inoltre il timore di incorrere in quelle sanzioni che la società può comminare ai “devianti”. Ad ogni buon conto, nonostante i rischi derivati da un uso improprio dei mass media, questi presentano senz’altro anche notevoli peculiarità positive. Ad esempio, consentono di ricevere ed assimilare meglio le informazioni dell’ambiente circostante, e, nello stesso tempo, di aumentare la rapidità la chiarezza, e la varietà dei propri sistemi di trasmissione dell’informazione. Inoltre si è prodotta una differenziazione delle funzioni informative dei

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diversi media, dove la radio e la stampa hanno assunto un ruolo centrale per quanto riguarda l’approfondimento delle informazioni, diventando sempre più importante nello spiegare, interpretare e commentare gli avvenimenti, soprattutto quando sono in gioco le grandi questioni della società, lasciando alla Tv e al cinema una funzione di puro e semplice reportage. Infine, per quanto riguarda gli effetti derivati dalla fruizione del computer, ed in particolar modo dell’accesso ad Internet, tuttora non sono stati prodotti studi esaustivi al riguardo. Ancora gli entusiasmi della società sono troppo accesi dagli iniziali vantaggi “benefici”, per condurre un’attenta analisi riguardo alle informazioni che circolano nella “rete”, e delle conseguenze psicologiche e sociali che da esse possono derivare. Purtroppo, su questo campo, non siamo che agli inizi.

La suggestione del suono e della musica Un ultimo aspetto da analizzare è, infine, l’importanza della suggestione della musica, intendendo con questo tutta la componente audiologica, riguardante la preparazione del prodotto mediatico. Se nell’immagine è insita la forza rappresentativa più immediata, questa viene del tutto privata dalla forza evocativa e suggestionante, che spetta alla parte fonica (nella quale è compreso anche il silenzio, in quanto “suono zero”). In concreto, le immagini, sia di una fiction, che di un evento sportivo, che di un comune reportage giornalistico, hanno la funzione esclusiva di rappresentare un avvenimento con delle limitate capacità di coinvolgimento. Pensiamo per esempio ad una competizione sportiva senza commento o ad un reportage giornalistico senza la descrizione dell’avvenimento mostrato; questi eventi comunicativi mancano quasi interamente della loro componente suggestionante. O ancora, pensiamo ad un film senza colonna sonora, o, peggio, ad una scena di particolare tensione commentata da una musichetta allegra e spensierata. Il suono diventa quindi fondamentale per veicolare il messaggio, per il quale l’immagine funge da supporto. Il suono diventa così una componente scrupolosamente studiata, in maniera da guidare il coinvolgimento dello spettatore in una direzione ben precisa Anche nella pubblicità, quindi per quanto riguarda l’applicazione persuasiva più pratica, la scelta delle musiche di commento, dei parlati (voci e costruzione del messaggio), e dei suoni di “sfondo” (ambiente, rumori, suoni caratteristici), la scelta avviene dopo un accurato studio degli elementi più appropriati, nonché eufonici, per la scena descritta. Anche nella vita quotidiana, accade continuamente che siano i suoni a causare stati di tensione o distensione: se attraversando la strada si sente un rumore di frenata improvvisa, o un clacson, si innesca immediatamente un riflesso condizionato che ci fa ritrarre immediatamente su un lato della strada, anche se la causa di quel suono non era riferita alla nostra presenza (magari era a decine di metri di distanza). Con questo, in definitiva, si pone l’attenzione su quanto sia importante la

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componente suggestionante e persuasiva che si deve riconoscere al suono e sottolineare, soprattutto, la forza della sua più grande espressione: la musica.

parte 3 Studio preliminare Cosa vuol dire progettare la sostenibilità pag.226

Negli anni 2000, l’umanità così esperta e tecnologicamente progredita continui a manifestare tanta ingenuità e tante debolezze. Cialdini dimostra come le varie tecniche di “acquiescenza” (come egli le chiama) sono riconducibili a sei diverse categorie, ognuna delle quali corrisponde ad un principio psicologico di base, un fattore che «... orienta e dirige il comportamento umano e pertanto dà alle tattiche usate il loro potere». I sei principi che compongono questa sorta di sistema persuasorio (social cognition) sono elementi ben conosciuti dell’universo psicosociale: - la coerenza-impegno, - la reciprocità, - la riprova sociale (o imitazione), - l’autorità, - la simpatia, - la scarsità (o timore di restare privi di qualcosa). 28 Ciascuno di questi principi, nelle sue molteplici incarnazioni teoriche e pratiche, rappresenta un fattore motivazionale molto importante, un elemento portante del comportamento individuale e sociale in ogni sfera della convivenza e dell’azione, un dato, quindi, di abitudine, consueto e rassicurante. Non meraviglia dunque che noi siamo sempre pronti ad accettare esempi o argomentazioni, situazioni anche nuove che si riferiscano ad uno di tali fattori. Se un persuasore fa appello alla coerenza non trascina affatto su un terreno nuovo e quindi ansiogeno; al contrario, egli dà l’illusione di combattere sul terreno abituale, di mantenere o ricostituire un equilibrio consueto. Per trovarci disponibile a pensare od agire come vuole bssta un pò di abilità. Lo stesso accade per ogni altro fattore; pensiamo al meccanismo della reciprocità: è talmente abituale e diffuso che non si ha difficoltà a lasciarsi guidare da esso. Anzi, è la sua mancanza a porci in crisi, ad indebolire le difese e le diffidenze ed è proprio su questo che il persuasore fa leva.

incompleti, informazioni sommarie. Può darsi che essi siano tentati di colpirci proprio “lungo le scorciatoie” del pensiero per indurci ad azioni e decisioni sbagliate; quelle scorciatoie a cui non possiamo affatto rinunciare perché ormai il rapporto fra informazioni possibili e capacità di elaborazione mentale è divenuto quasi impossibile. Occorre quindi un “contrattacco”: non indiscriminato, non generalizzato ma limitato a quei persuasori che «falsificano, adulterano o fabbricano di sana pianta quei segnali che naturalmente attivano le nostre risposte automatiche…». Ma vi sono anche coloro che «si comportano lealmente e possono essere considerati «alleati in un proficuo gioco di scambio…». Sono quegli informatori sociali che lavorano su dati reali e che quindi svolgono un proficuo ruolo di guida ed orientamento del comportamento altrui

parte 1 La persuasione La pubblicità sociale pag.75

Quali sono esattamente i fattori che inducono una persona a dire di sì alle richieste di un’altra? E quali sono le tecniche che sfruttano con più efficacia questi fattori? Perché una richiesta formulata in un certo modo viene respinta, mentre una richiesta identica presentata in maniera leggermente diversa ottiene il risultato voluto? Se si vuole capire appieno la psicologia dell’acquiescenza, si devono studiare i professionisti della persuasione. Loro sanno che cosa funziona e che cosa non funziona: lo garantisce la legge della sopravvivenza. Il loro mestiere è far acconsentire alle richieste e i loro mezzi di sostentamento dipendono proprio da questo. Quelli che non sanno portare la gente a dire di sì ben presto escono di scena, quelli che lo sanno fare rimangono e prosperano.

L’uomo è un risparmiatore di energie cognitive, un abile scopritore di euristiche e altre scorciatoie di ragionamento; sa trarre conclusioni da un minimo di informazioni e compiere sintesi fulminee su pochi dati presenti. Se questo è vero, afferma Cialdini, dobbiamo stare in guardia doppiamente contro i persuasori occulti; probabilmente essi conoscono le nostre abitudini cognitive e soprattutto la necessità ineliminabile di procedere in modo “economico”, di cogliere segnali parziali ed

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Cialdini, R. B., The science of persuasion, 2001

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parte 1

la persuasione

1.3

la persuasione

La persuasione segue un filo diretto con la retorica, disciplina della quale ci siamo occupati nei capitoli precedenti. Anzi, si può dire che la persuasione è lo scopo della retorica, il discorso persuasivo per eccellenza. La ragione che spinge a capire e inserire qui i meccanismi di persuasione non è tanto quella di aumentare l’efficacia della comunicazione o di imparare a resistere alle richieste alle quali si rischia di acconsentire. Lo scopo, invece dell’inserimento di questo argomento è in linea con l’obiettivo esplicitato pagine fa, ovvero quello di fornire tutte le informazioni necessarie per poter progettare una campagna strategica di comunicazione. Quindi ci si limiterà a suggerire certi meccanismi che potranno contribuire a riconoscere e rompere alcuni automatismi insiti nella pubblicità. Molti studiosi riconoscono il fatto che gran parte della comunicazione può essere ricondotta a un ‘gioco di persuasione’: nella quotidianeità ci impegnamo sempre a convincere gli altri a fare delle cose o a pensare nel nostro stesso modo. Quali comunicazioni, però, riescono a persuaderci? La retorica, come altre discipline, ha tentato di rispondere a questa domanda individuando anche le strategie linguistiche che consentono di produrre argomentazioni persuasive. Molti dei temi connessi alla persuasione ritenuti oggi importanti, in realtà lo erano anche per i filosofi e retori antichi. Empedocle di Agrigento per esempio sottolineò l’importanza di riuscire a suscitare una reazione emotiva negli ascoltatori, le stesse mire del marketing cosiddetto emozionale. Protagora di Abdera e Gorgia da Lentini esaltarono invece la potenza della persuasione attraverso la seduzione della parola e del discorso arrivano ad affermare che in ogni questione si possono sostenere due opinioni, l’una opposta all’altra: ogni opinione è vera perché la verità è relativa. La verità ultima può dunque essere fatta coincidere con l’opinione. Con la Retorica, Aristotele si propone di condurre una trattazione sistematica di questa disciplina, definita come l’arte “di scoprire in ogni argomento ciò che è in grado di persuadere”. Individua tre elementi fondamentali del discorso persuasivo: chi parla, ciò di cui questi parla, a chi si rivolge che sono gli stessi elementi del modello di comunicazione (emittente, messaggio, destinatario).

Come già accennato nel capitolo riguardante la retorica, l’importanza di saper convincere con successo si è accentuata con l’insorgere delle società di massa, che ha posto l’esigenza di una forma di persuasione, per così dire, organizzata: la propaganda. La propaganda è l’espressione del potere che cerca di affermarsi anche attraverso la conquista dell’opinione pubblica. Tuttavia l’apparizione della propaganda moderna vera e propria risale all’epoca della Prima guerra modiale e della Rivoluzione d’ottobre. L’idea della persuasione organizzata è connessa con i suggerimenti che provengono dalla nascente psicologia delle masse. In particolare il sociologo Gabriel Tarde e il giornalista Gustave Le Bon (che scrisse ‘La psicologia delle folle’) avevano cercato di capire perché, quando gli individui si trovano in gruppi di vaste dimensioni, tendono a far funzionare meno le proprie capacità intellettuali, mostrando comportamenti uniformi tanto da far pensare a una sorta di unità mentale collettiva. 29 Un po’ di storia L’idea di poter utilizzare strategie per rendere più efficace la prorpia comunicazione e quindi poter influenzare le opinioni e i comportamenti altrui, ha radici antiche. Ma prima del ‘900, nessuno era riuscito a stabilire quali fossero gli effetti realmente ottenuti. Nella psicologia sociale lo studio dei processi persuasivi occupa oggi uno spazio di grande rilievo. In particolare, l’interesse verso la persuasione prende il via nell’ambito dello studio degli ‘atteggiamenti’. Negli anni ‘20-30 di questo secolo, gli psicologi sociali sono molto impegnati a ottenere il riconoscimento di statuto scientifico per la loro disciplina e farlo rientrare nelle cosidette scienze esatte. Spiegare scientificamente un fenomeno significa soprattutto individuarne le cause e renderlo prevedibile. È proprio questa l’epoca in cui vengono messe a punto le più diffuse scale di misurazione degli atteggiamenti, scale che permettono di trasformare gli atteggiamenti in numeri o punteggi. Questi atteggiamenti studiati, erano e sono, fortemente condizionati dai cambiamenti dello scenario internazionale e sociale. Durante la Seconda guerra mondiale, la Germania, terra con una forte tradizione filosofica e culturale in generale, perde tutti questi valori per appoggiare Hitler e le atrocità da esso commesse. Gli studiosi e psicologi sociali americani si chiedevano come fosse possibile che una nazione patria di ricche tradizioni potesse tollerare il tradimento di tutti i valori umanistici. La Germania era vista come un enorme laboratorio in cui la propaganda estremamente efficace produceva fenomeni di massa di cambiamento degli atteggiamenti. Da qui si sviluppano due filoni principali di studio “scientifico” della persuasione. Al primo faceva capo Kurt Lewin che effettuò studi sull’efficacia della partecipazione attiva e dell’autopersuasione. Dopo la fine della guerra si avvia il programma di ricerca di Carl Hovland. Dagli

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Nicoletta Cavazza, Comunicazione e Persuasione, il Mulino, 1997

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parte 1

la persuasione

studiosi di questo filone la persuasione è concepita come un processo di influenza che si attua in un contesto di comunicazione tra una fonte e un ricevente, attraverso un messaggio che va dal primo al secondo. Il programma di ricerca era finalizzato ad analizzare con il metodo sperimentale un gran numero di variabili che si ipotizzava influissero sul processo persuasivo (credibilità della fonte, caratteristiche del ricevente, ...). Infatti, all’epoca il comportamentismo era l’ottica dominante nella psicologia: l’individuo era concepito come un essere che risponde semplicemente a stimoli dell’ambiente circostante, facilmente condizionabile nelle sue risposte. Oggi questi due filoni possono essere riassunti così: - dalle ricerche lewniane sulle dimaniche di gruppo si evince che i comportamenti delle persone possono essere influenzati in maniera efficace soltanto se si attiva una sorta di autopersuasione; - il filone di Hovland sviluppa l’idea secondo la quale, se si vuole convincere una persona a fare qualcosa, occorre esporle nel modo migliore un certo ragionamento che sostenga la validità di quella posizione.

parte 3 Il progetto Come persuadere? pag.282

parte 1 La pubblicità Le fasi della comunicazione pubblicitaria pag.54

Negli anni che vanno dal 1965 al 1975, lo studio degli atteggiamenti entra in crisi. Questa era dovuta alla sensazione che il concetto di atteggiamento non fosse utile per definire un fenomeno preciso. Cresce l’interesse per l’approccio social cognition, orientato all’individuazione del modo in cui le persone elaborano le informazioni che ricevono dall’ambiente e le organizzano in strutture immagazzinate nella mamoria. William McGuire avanza il primo tentativo di ricavare una teoria del processo di persuasione affermando che esso si attua in sei fasi: - presentazione del messaggio - attenzione - comprensione dei contenuti - accettazione della posizione sostenuta da questo - memorizzazione della nuova opinione - comportamento. Questa teoria, che inizialmente aveva convinto numerosi studiosi, si rivelò non priva di difetti di tipo metodologico (come si fa ad analizzare l’attenzione?) e non spiegava gli effetti emersi dalla ricerca. Alla fine degli anni ‘70, Richard Petty e John Cacioppo, compilano una rassegna e propongono il ‘modello della probabilità di elaborazione’ sostenendo che gli atteggiamenti possono modificarsi attraverso due percorsi mentali: percorso centrale e periferico.

14. Dal segno al senso, dal significante al significato attraverso il codice

Il percorso centrale è un processo di elaborazione attenta e di riflessione accurata sulle argomentazioni e sulle informazioni contenute nel messaggio persuasivo. Richiede una certa quantità di risorse cognitive quali: prestare attenzione, comprendere, mettere in relazione e integrare le nuove informazioni con quelle già possedute dal ricevente. Il percorso periferico riguarda invece un processo di cambiamento basato su elementi che non sono direttamente pertinenti al tema, sono i cosiddetti segnali periferici, di sfondo ad esempio l’attrattiva della fonte, la lunghezza del messaggio, la sua piacevolezza. Normalmente si verifica la tendenza a non prestare attenzione alla maggior parte dei messaggi. Di fronte a un messaggio persuasivo possiamo intraprendere uno dei due percorsi a seconda del livello di motivazione (ovvero la rilevanza che il tema ha per noi) e della nostra capacità e possibilità di capirne i contenuti. Quando si parla di capacità di elaborazione dei contenuti non si intendono soltanto le capacità relativamente stabili come l’intelligenza o il livello di istruzione, ma anche quelle dovute a condizioni transitorie che condizionano lo sforzo di riflessione che una persona è in grado di produrre in un determinato momento (stanchezza, noia). Il risultato dei due percorsi può dar luogo, in entrambi i casi, a un cambiamento di atteggiamento, ma di natura diversa. Dopo il percorso centrale, la persona avrà riflettuto sull’argomento e si forma una opinione piuttosto forte e stabile, difficilmente influenzarla di nuovo. Al contrario, dopo aver effettuato il percorso periferico una persona sarà più pronta a cambiare la sua opinione nuovamente durante le occasioni successive. 30

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parte 3 Il progetto Le fasi del piano pag.288

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parte 1

la persuasione

Convincere o persuadere? Nel Novecento, come già ricordato nel capito che parla della storia della retorica, le discipline legate alla persuasione riaccendono interesse e pongono nuova attenzione ai loro meccanismi. Perelman, per esempio, pone i fondamenti di una nuova visione della retorica. Egli sostiene che , mentre per Aristotele si può ragionare anche su ciò che appare verosimile, per il metodo cartesiano è “ragionamento” solo quanto può essere espresso in termini matematico-logici, ma questa seconda posizione presenta un piccolo problema: il metodo matematico è inapplicabile nel campo, estesissimo, di quanto è opinabile. Così, quando la deduzione logica si dimostra inefficace, ci ritroviamo senza strumenti e regole. Per questo Perelman dice che è importante costruire una teoria del discorso non dimostrativo, non fondato su prove analitiche. Norberto Bobbio commenta che “La teoria dell’argomentazione rifiuta le antitesi troppo nette: mostra che tra la verità assoluta e la non verità c’è posto per le verità da sottoporre a continua revisione mercé la tecnica dell’addurre ragioni pro e contro”.

parte 3 Il progetto Come persuadere? pag.283

Perelman riprende anche la tradizionale distinzione tra persuadere e convincere. Se Kant distingue le due azioni riferendo la prima al promuovere un giudizio soggettivo fondato su un’opinione personale e la seconda al diffonfere una verità oggettiva basata su credenze razionali, invece Perelman, con Aristotele, dice che la differenza è relativa e che è relativa all’uditorio: è persuasiva un’argomentazione che pretende di valere per un uditorio particolare, convincente quella che può ottenere l’adesione di qualunque essere ragionevole. Anche nel linguaggio corrente la definizione “comunicazione persuasiva” sembra implicare un’idea di manipolazione maggiore rispetto a “comunicazione convincente”: la prima esalta l’intenzione dell’emittente (quello che vuole persuadere), la seconda la capacità del ricevente di scegliere come retroagire, e di scegliere se convincersi. In sostanza, “comunicazione persuasiva” sembra riflettere una concezione passiva del destinatario: che se ne starebbe lì come un salame bevendosi quanto gli viene raccontato. Ma, come dice Bateson in Mente e Natura, “potete portare un cavallo all’abbeveratorio, ma non potete costringerlo a bere: il bere è faccenda sua. Ma anche se ha sete, il cavallo non può bere se non lo portate all’acqua: portarcelo è faccenda vostra”. Più che una distinzione oggettica tra convicere facendo appello alla ragione e persuadere facendo appello alle emozioni, o fra ethos (persuasione che deriva dalla forza morale dell’oratore), logos (persuasione che deriva dalla logica dell’argomentazione) e pathos (persuasione che fa appello

all’emotività) forse stiao parlando di differenti percezioni dello stesso processo. Come ricorda Piattelli Palmarini, “nella vita ordinaria, queste componenti si trovano quasi sempre mescolate”. Se è così, la preferenza che assegniamo all’una o all’altra parola dipende anche dalla percezione che abbiamo di noi stessi e degli altri come emittenti e destinatari, e da quanto pensiamo che persuadere o convincere sia anche faccenda nostra, o solo altrui. 31 15. La persuasione e l’arte di convincere in Kant e Perelman

La persuasione e la pubblicita’ Parlare di comunicazione persuasiva oggi porta ad una prima associazione mentale con la pubblicità. Infatti, questa disciplina è il luogo in cui esplicitamente le strategie persuasive vengono impiegate per raggiungere due obiettivi: quello a breve termine di rendere più probabile il consumo di un determinato prodotto, e quello a lungo termine di creare un atteggiamento favorevole rispetto al prodotto per rafforzare le abitudini di consumo. La pubblicità, oltre questi due obiettivi, ne consegue altri in modo più indiretto: rende familiari i vari prodotti e orienta gli acquirenti nel momento dell’acquisto. Anche se molte persone si sentono infastidite dalle interruzioni pubblicitarie, non si può negare che molti spot risultino divertenti. L’affinamento delle tecniche pubblicitarie ha portato questo prodotto a essere considerato un vero e proprio genere di spettacolo. Tuttavia l’invadenza degli annunci pubblicitari in tutte le forme, in tutti i momenti della nostra giornata è ormai tale da renderci per lo più impermeabili a molti di questi. Che cosa rende più probabile che gli effetti desiderati siano raggiunti?

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Farsi capire, Annamaria Testa, pagg. 239 - 241

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la persuasione

Prima di tutto si può notare come tutti gli annunci pubblicitari sono un’esortazione all’acquisto. Tale messaggio può essere esplicito (contenere informazioni riguardanti il prodotto e che argomentano la ragione per cui questo dovrebbe essere comprato) o implicito (non vi è un riferimento diretto alla vendita). Stranamente, il secondo caso è il più immediato e il più chiaro poichè non richiede lo sforzo cognitivo di capire le argomentazioni a favore del prodotto ma sono mostrate chiaramente. Esiste un primo livello di influenza che consiste semplicemente nel mostrare ripetutamente un oggetto alle persone fino a farlo diventare familiare. L’effetto di mera esposizione è un principio per il quale un oggetto mostrato molto spesso diventa familiare e quando ci si trova a dover scegliere tra marche diverse, o ad avere poco tempo per gli acquisti, si tende a preferire la confezione o il prodotto più familiare. In genere, quindi, percepiamo come più gradevoli gli oggetti più familiari.

persuasivo del messaggio (e che non hanno niente a che vedere con il contenuto) sono: - la bellezza, tendiamo a rispondere in maniera favorevole alle persone dall’aspetto fisico gradevole poiché a questa associamo altre caratteristiche quali la simpatia, la bonta, la gentilezza; - caratteristiche somatiche infantili, le persone adulte che le conservano sono ritenute e percepite come più oneste, affidabili; - la somiglianza a sé o la condivisione di qualche caratteristica rilevante: ci piacciono per lo più persone che ci somigliano.

Per riassumere si può dire che la pubblicità contiene due tipi di elementi: - quelli di contenuto (informazioni, ragioni per le quali si dovrebbe acquistare il prodotto); - quelli periferici (colori, musiche, forma della confezione, fonte del messaggio e tutto ciò che non riguarda le caratteristiche intrinseche del prodotto). Attraverso il percorso centrale prestiamo attenzione al primo gruppo di elementi, quelli che riguardano il contenuto, poiché si analizzano in maniera critica le caratteristiche del prodotto; la maggior parte dei messaggi invece, passa attraverso il percorso periferico, cioè un attenzione superficiale agli elementi secondari. Di seguito saranno elencati alcuni accorgimenti persuasivi che riguardano l’organizzazione degli elementi periferici e di contenuto distinguendoli per ognuno degli attori della comunicazione, fonte, messaggio, ricevente.

La struttura del messaggio

La fonte È dimostrato che le caratteristiche della fonte emittente costituiscono informazioni periferiche che vengono utilizzate per orientarci sulla possibilità o meno di accettare il messaggio. La percezione della credibilità è la più influente. La credibilità o autorevolezza si compongono di due elementi: - il livello di expertise, ovvero il livello di conoscenze specifiche su un dato argomento; - livello di trustworthiness, cioè il grado di affidabilità e di sincerità nel comunicare qualcosa. Normalmente la credibilità di una fonte è una caratteristica molto utilizzata in pubblicità, per lo più utilizzando attori che interpretano una precisa professionalità. Nonostante il pubblico sa che si tratta di attori, questa costruzione fittizia di professionalità (expertise) funziona. Altre caratteristiche della fonte che contribuiscono a potenziare l’effetto

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parte 3 Il progetto Come persuadere? pag.184

Sui processi di identificazione si basa anche l’utilizzo dei testimonials: persone famose che, particolarmente gradite dal segmento di popolazione a cui la pubblicità si rivolge, rimandano in modo particolare per caratteristica al prodotto.

Si è sottolineato in precedenza che l’attenzione dello spettatore è molto limitata e che, di conseguenza, solo una piccola parte degli annunci pubblicitari oltrepassa la soglia di attenzione minima. Per utilizzare al meglio le risorse cognitive messe a disposizione dall’individuo, esso deve essere predisposto in modo da favorire la concentrazione e la memorizzazione. Infatti, soltanto dopo molte ripetizioni le persone arrivano al livello massimo di consapevolezza del prodotto. - Vividezza. Per ottenere l’attenzione degli utenti bisogna essere visibili. I colori (o al contrario il bianco e il nero), le forme, i suoni, vengono composti in modo da rendere nell’insieme un’immagine che colpisca i sensi e che, quindi, venga facilmente percepita. La psicologia cognitiva suggerisce che ciò che rende vivida un’informazione è il suo grado di concretezza, la capacità di interessare sul piano emotivo, di provocare immagini nella mente. Paradossalmente, i messaggi più vividi, vivaci e accattivanti dal punto di vista formale, tendono a distrarre l’attenzione e a toglierla dal contenuto. Spesso ci ricordiamo di una pubblicità bella, della quale abbiamo apprezzato i suoni, la composizione o altro, ma non riusciamo ad associarla al prodotto. Solo dopo numerose ripetizioni la collegheremo a ciò che vuole promuovere.

parte 1 Comunicazione La teoria della comunicazione pag.10

parte 3 Progetto Le fasi del piano pag.288

- Ordine degli argomenti. Gli studi sulla memoria hanno evidenziato due effetti: quello della primacy e quello della recency. Di fronte a una lista di informazioni, le persone tendono a ricordare meglio le prime (primacy) e le ultime (recency), mentre quelle poste nelle zone centrali vengono dimenticate. Le prime informazioni vengono organizzate in una sorta di schema nella memoria che serve da filtro per le informazioni successive. Gli ultimi elementi rimandono

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parte 1

la persuasione

nella memoria operativa, quella temporanea dove si attivano di volta in volta le informazioni che utilizziamo in ogni situazione specifica. Per questa ragione, il ricordo degli elementi finali prevale se si chiede alla persona di rievocarli subito dopo la lettura, mentre se lo stesso compito viene effettuato dopo un lasso di tempo, al contrario, il ricordo dei primi prevale. Tutto ciò suggerisce di collocare le argomentazioni più forti all’inizio o alla fine per rendere più efficace la capacità persuasiva del messaggio. - L’argomentazione bilaterale. La pubblicità offre una presentazione di parte del prodotto. Eppure, considerare nel messaggio qualche aspetto negativo, un punto di vista opposto che viene controbattuto, può avere effetti pesuasivi non irrilevanti. Questo tipo di argomentazione ha dei benefici soprattutto nel lungo periodo poiché, come dice lo psicologo americano W. McGuire, questo accorgimento funzionerebbe come una sorta di vaccinazione: l’introduzione di una piccola parte del virus protegge le persone contro la malattia poiché stimola la produzione di anticorpi in grado di fronteggiare un eventuale attacco (“attacchi persuasivi”).

memorizzazione della nuova opinione, comportamento. La fase di attenzione e di comprensione possono essere riassunte in una unica, la “ricezione”. Inoltre, è stato accertato, che l’individuo non passa dalla fase di ricezione a quella di accettazione o non accettazione del messaggio ma formula una risposta soggettiva fatta di ulteriori argomentazioni o controargomentazioni. In caso di forte controargomentazione si parla di effetto boomerang: la persona manifesta una posizione contraria ancora più radicale di quanto non fosse in partenza. Le persone intelligenti, per esempio, hanno una maggiore capacità di analisi del messaggio e per questo accetteranno molto più facilmente le posizioni sostenute mediante argomentazioni razionali.

16. Processo di influenza del comportamento

Il ricevente - A chi si rivolge la pubblicità. Le pressioni del mercato, sempre più competitivo, si sono tradotte in un maggiore orientamento al consumatore da parte delle aziende. Tale approccio presuppone che il produttore conosca sempre meglio le persone a cui si rivolge, conosca gli stili di vita, i bisogni, le sue caratteristiche. L’individuazione di un target quindi è fondamentale perché il messaggio sia strutturato in modo corretto. Si parla di “segmentazione del mercato”, ovvero una suddivisione del mercato di massa in categorie sociali relativamente omogenee. Ai raggruppamenti basati su dati sociodemografici, utilizzati in passato ma non più validi, si sostituiscono altri centrati sul concetto di stile di vita, ovvero di insiemi di persone che condividono, per libera scelta, una certa filosofia personale, fatta di comportamenti, atteggiamenti e opinioni. Infatti l’adozione di un determinato stile di vita si accompagna con una diversa propensione al consumo sia sul piano quantitativo ma anche, e soprattutto, qualitativo, oltre che con un diverso atteggiamento nei confronti della stessa pubblicità. I tecnici pubblictari devono fare i conti con questi elementi per la scelta dei linguaggi, del posizionamento del prodotto, delle tecniche usate. Questo perché vi è, da parte degli utenti, una tendenza a evitare il contatto con informazioni che non riguardano il loro mondo o che lo contrastano, il fenomeno dell’esposizione selettiva. - Intellingenza e autostima. Queste due caratteristiche agiscono in maniera molto simile sulla propensione ad accettare una posizione sostenuta mediante la comunicazione persuasiva. Il processo persuasivo, come si è visto, può essere concepito come una sequenza di 6 fasi: presentazione del messaggio, attenzione, comprensione dei contenuti, accettazione della posizione sostenuta,

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La pubblicita’ sociale Scopo della pubblicità non è solo quello di indurre comportamenti di acquisto e di incrementare l’espansione delle vendite a fini di profitto. Oggi, la comunicazione pubblicitaria viene sempre più spesso impiegata anche per diffondere le informzioni e promuovere il consenso su obiettivi considerati di pubblica utilità. In Italia è negli anni ‘70 che iniziano a essere diffusi i comunicati firmati dal marchio “Pubblicità e Progresso”, una iniziativa ispirata a un simile modello già sperimentato negli USA. Ci si propone di applicare le tecniche e le strategie della pubblicità commerciale a temi sociali per i quali si renda necessaria non solo la diffusione di informazioni corrette, ma anche l’esortazione a un certo genere di comportamenti, o meglio la dissuasione dall’attuare comportamenti “a rischio”. Spesso questo tipo di pubblicità viene commissionata dagli enti pubblici come i ministeri o i dipartimenti.

parte 1 La pubblicità La suggestione del suono e della musica pag.65

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la persuasione

17. Persuasione attraverso elementi di contenuti e periferici

conseguenza, ma tendono a valutare il rischio minore di quello che è realmente. Questa sottovalutazione si traduce in una scarsa propensione al rispetto dei suggerimenti della comunicazione. Questo perché intervengono altri fattori sociali il primo dei quali riguarda le aspettative che l’individuo ritiene che le persone per lui significative abbiano nei suoi confronti. Esempio: so perfettamente che in caso di incidente stradale la cintura di sicurezza può diminuire notevolmente il rischio di lesioni fisiche fino a salvarmi la vita (conoscenza delle conseguenza). Dunque ho senza dubbio una valutazione positiva della loro funzione. Ma ci sono in Italia città in cui è piuttosto consueto circolare senza (norma sociale). Questo si traduce nel fatto che se salgo in auto con un caro amico di una di queste città, mi attendo che lui, che non usa la cintura, possa pensare che non ho fiducia nel suo modo di guidare e magari mi rivolga qualche battuta ironica. Risultato: per evitare questo, non allaccio la cintura.

La pubblicita’ per la prevenzione La maggior parte delle campagne di tipo sociale può essere ricondotta al tema della prevenzione di comportamenti a rischio. Questo tipo di annuncio può essere basato prevalentemente sulla comunicazione di informazioni oppure può fare appello al piano emotivo destando sentimenti di paura. Gli effetti che ci si attende dalla pubblicità sociale riguardano sia l’aumento delle conoscenze ma soprattutto l’adozione, nella vita quotidiana, a comportamenti sani. Spesso però le campagne di prevenzione si sono poste l’obiettivo minimo di diffondere informazioni corrette su un tema. Purtroppo l’idea intuitiva secondo la quale un’informazione corretta induce le persone a modificare atteggiamenti, non risulta sempre suffragata dai fatti. La discontinuità fra conoscenza, coscienza del rischio e comportamento sembra essere un dato confermato livello internazionale: i ragazzi mostrano di conoscere piuttosto bene i rischi di un determinato atteggiamento e le sue

Nel caso particolare dei messaggi finalizzati alla prevenzione, la resistenza alla loro accettazione è aggravata da quattro principali ostacoli psicologici e sociali. - Il piacere che la persona trae dalla condotta a rischio; per esempio i fumatori. Essi sanno che fumare è un rischio ma questo comportamento consente loro di rilassarsi. - L’ottimismo irrealistico circa la propria salute, traducibile con l’espressione: “non può succedere proprio a me”. Questa è una tendenza che porta a valutare in modo distorto la probabilità che le conseguenza negative di un dato comportamento ci colpiscano effettivamente. - Lo scetticismo circa l’efficacia delle raccomandazioni comunicate. Quesi ogni giorno vengono comunicate in maniera allarmistica nuove risultanze della ricerca, più per esigenze giornalistiche che per reali motivi. Questo porta a favorire un atteggiamento fatalistico, ovvero molti decidono di non prendere in considerazione tali comunicazioni. - La contraddittorietà dei messaggi. Le raccomandazioni veicolate dalla pubblicità sociali si scontrano con altri tipi di comunicazioni che inducono a comportamenti contrari: non solo messaggi pubblicitari circa prodotti a lungo andare, dannosi per il nostro organismo, ma anche modelli di comportamento diffusi dai mass media nei film, negli spettacoli o nelle canzoni, che non avendo finalità esplicitamente persuasive, risultano più credibili agli occhi del pubblico. 32

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Nicoletta Cavazza, Comunicazione e Persuasione, il Mulino, 1997

parte 3 Copy strategy Target pag.266

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parte 3 Il progetto Campagne passate pag.280

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la persuasione

L’appello alla paura Quando la persuasione ha come obiettivo quello di indurre pratiche sane di vita, viene molto spesso utilizzata una strategia che fa ricorso all’attivazione delle paure. In questo caso il messaggio viene concepito in modo tale da avere una parte in cui si “minacciano” alcune conseguenze indesiderabili che si verificheranno qualora l’individuo non adotti i comportamenti raccomandati nel messaggio. Un esempio di questa strategia è la campagna di prevenzione alle tossicodipendenze promossa dalla Presidenza del consiglio dei ministri: ritratti in primo piano di visi di adolescenti con occhi completamente bianchi, senza pupille; lo slogan recitava: “Se ti droghi, ti spegni”. La foto impressionante dei ragazzi privi di espressione costituisce il segnale che deve indurre una stato emotivo sgradevole, la conseguenza negativa di un comportamento indesiderabile. Questa modalità di comunicazione, a parer di Nicoletta Cavazza in ‘Comunicazione e persuasione’, risulta essere fra le più efficaci a patto che si rispettino alcune caratteristiche. L’induzione alla paura può essere ottenuta anche attraverso le immagini: per esempio un auto completamente distrutta per richiamare l’attenzione sul problema della guida in stato di ubriachezza. Devono però essere presenti informazioni dettagliate sulle azioni concrete da intraprendere per evitare le conseguenze sgradevoli paventate. Si è visto che più è forte la minaccia contenuta nel messaggio persuasivo, maggiore è la sua capacità di creare una tensione sgradevole nell’individuo. Ma è anche vero che solo i messaggi con un debole richiamo alla paura riescono a modificare i comportamenti nel senso desiderato. Questo è possibile grazie al fatto che la forte tensione emotiva provoca una ricerca da parte dell’individuo di risposte atte a rimuoverla. Una di queste risposte è quella raccomandata nel contenuto della comunicazione, ma esistono rispsote alternative di tipo difensivo che consistono nell’innalzare ulteriormente il livello delle barriere psicologiche. Mentre una debole tensione motiva le persone a considerare con attenzione i pro e i contro del comportamento raccomandato, una forte tensione non lo consente e favorisce, al contratio, l’attuazione di comportamenti più automatici come quelli difensivi. Per rendere meno probabile l’adozione di tali risposte alternative di tipo adattivo, è necessario allora che la raccomandazione segua immediatamente la minaccia contenuta nel messaggio e che essa sia sufficientemente chiara, specifica e dettagliata. Nella concezione del messaggio occorre tenere presente che la sola strategia di appello alla paura non è sufficiente, in quanto le persone sono motivate a mettere in atto comportamenti di protezione rispetto al rischio solo se: - percepiscono il problema come effettivamente grave; - si sentono vulnerabili rispetto a esso;

- percepiscono i comportamenti raccomandati come efficaci nel fronteggiare la minaccia; - si percepiscono in grado di attuarli (self-efficacy). Questa motivazione diminuisce in relazione ai costi legati alla rinuncia a condotte “a rischio”. Per esempio, un fumatore deve essere persuaso che anche lui, e non solo le persone che fumano molto più di lui, possono ammalarsi di cancro. Bisogna contrattaccare la sua sensazione di invulnerabilità personale. Poi il messaggio deve indurre l’idea che, smettendo di fumare, si può effettivamente evitare il pericolo perché il nostro soggetto, per esempio, può pensare che ormai il danno è fatto e che quindi non valga la pena smettere di fumare. Inoltre, è anche necessario indurlo a pensare che ce la può davvero fare. Ci sono però altri fattori che remano contro la fatica della decisione. Sono i costi percepiti relativamente a comportamenti sostitutivi (“se smetto di fumare mangerò e ingrasserò tanto”), e a ricompense tratte dai comportamenti indesiderati (“fumare mi fa sentire meno a disagio in pubblico”). È emerso che i messaggi nei quali si sottolineano gli svantaggi che derivano dalla non attuazione del comportamento raccomandato risultano più efficaci di quelli in cui si mettono invece in evidenza i vantaggi procurati dalla sua attuazione. Se si sottolinea una possibile perdita (“se non fai... allora...”), mentre nel secondo un possibile guadagno (“se fai... puoi...”): le ricerche condotte sul nostro modo di ragionare evidenziano il fatto che siamo più sensibili e quindi più motivati a evitare le perdite eispetto al conseguimento di un guadagno. Risulta quindi molto importante il fattore relativo alla fiducia del ricevente in se stesso. Si deve tenere presente che c’è una differenza fondamentale tra i messaggi di tipo commerciale e quelli che abbiamo descritto in questo capitolo. Nei primi è sempre contenuta una ingiunzione positiva: “compra”, “bevi”; mentre nei secondi l’ingiunzione è negativa: “non drogarti”, “non fumare”. Viene enunciata una possibilità di comportamento (potresti fumare ma non lo devi fare), e per questo si parla di dissuasione piuttosto che di persuasione. È evidente, anche dalla nostra esperienza quotidiana, che la dissuasione, cioè una richiesta di rinuncia, è psicologicamente più costosa della persuasione, che implica al contrario una richiesta di accettazione. Per questa ragione oggi molti messaggi a scopo preventivo (anche indiretto) vengono concepiti in termini positivi. Questa nuova strategia di comunicazione sarà ampiamente trattata nelle successive pagine nel capitolo in cui si parla del marketing e si afferma che le minacce sono rifiutate dagli individui e rischiano di far scappare le persone davanti alla comunicazione che le contiene.

parte 3 Il progetto Tappeto “passi” pag.299

parte 3 Il progetto Come persuadere? pag.284

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la persuasione

Il paradosso dell’argomentare In questo paragrafo si portano prove in favore di quanto detto in precedenza, e cioè che la persuasione che fa ricorso alla paura non funziona quali mai. Piattelli Palmarini dice: Per sua natura intima, l’arte della persuasione è un esercizio lieve. Aborrisce i mezzi pesanti. È lecito esercitare un certo ascendente, ma non fare appello al principio di autorità. L’autorità, non a caso, subentra proprio quando la persuasione non basta. Per persuadere si devono attivare l’immaginazione e il raziocinio, si devono spesso smuovere i sentimenti, perfino le passioni [...] ma sempre in modo delicato, senza oltrepassare una soglia che è difficile delineare in astratto. Per sua natura intima, il persuadere esclude non solo la minaccia o il ricatto, ma anche mosse sleali come l’appello alla pietà, o alla cieca fiducia [...]. Da Aristotele in poi esiste addirittura una “teoria centrale” della persuasione, che è presto detta: si ottiene il massimo della presa quando si adottano linee di ragionamento che l’interlocutore è più incline ad accettare e quando si fa appello alle motivazioni che più gli stanno a cuore. Un discorso funziona se c’è dentro più che la dichiarazione di un tema, una serie di risposte pertinenti a un elenco di domande o un riassunto. Per esempio un discorso funziona meglio e chi lo ascolta è messo nella condizione di reagire pensando “sì, accidenti! È proprio vero!” e di provare, in questo riconoscimento della “verità”, un’emozione. Tutte le risposte che stanno dentro il discorso devono essere date in modo tale da risultare verosimili. Eco dice che “il verosimile altro non è che l’aderenza a un sistema di aspettative abitualmente condiviso dall’udienza”. 33 La differenza tra narrare e argomentare è sottile. Se narrare è scegliere fatti e collegarli in una mappa, argomentare è aggiungere alla mappa le istruzioni che servono a interpretarla. Ma le istruzioni vengono accolte se sono congruenti con il sistema di regole e di istruzioni per l’uso nelle mappe del pubblico. Ecco il paradosso. Ancora Piattelli Palmarini ci viene in aiuto per descriverlo e uscirne: Si sa che la persuasione più efficace è quella che smuove dei meccanismi già presenti nell’interlocutore. Abbiamo appena visto che questo rischia in ogni momento di diventare un paradosso: che bisogno c’è di persuadere qualcuno a fare qualcosa che ha già intenzione di fare con, o senza la nostra persuasione? Sembrerebbe proprio che la persuasione riesca di più laddove ce n’è meno bisogno [e che non abbia possibilità di riuscire laddove ce n’è molto bisogno].

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Almanacco Bompiano: Cent’anni dopo 1972

Un modo per venirne a capo è osservare come funziona il metodo centrale della persuazione: 1. Se l’interlocutore ha una certa opinione, ha un certo valore, teme una certa eventualità senza esserne cosciente allora un’argomentazione circostanziata può far affiorare alla sua coscienza quanto era rimasto sommerso. 2. Se l’interlocutore, pur essendo cosciente di qualcosa, non ha avuto occasione di trarre tutte le conseguenze allora un’argomentazione orientata lo può guidare e mettere in evidenza certe conseguenze rispetto ad altre. 3. Se l’interlocutore ha credenze (opinioni, valori, scopi, desideri) contraddittori o incompatibili fra loro allora un’argomentazione discriminante può individuare la contraddizione, poi sottolineare l’esigenza di fare una scelta, poi orientare la scelta. 4. Se l’interlocutore pensa che la situazione in cui si trov rappresenti un’opportunità, magari irripetibile, per chiarirsi a proposito di uno o più dei punti precedenti allora un’argomentazione empatica può condurlo a “sentire” la validità di certe ragioni, che in precedenza non l’avevano toccato nell’intimo. 5. Se all’interlocutore viene offerta qualche informazione nuove, qualche prospettiva inattesa allora un’argomentazione può, a partire dal dato nuovo, riformulare il tema in un’altra prospettiva. L’opera di persuasione sfrutta, in effetti, le molle già cariche nell’interlocutore, ma gli dischiude motivazioni nuove per farle scattare, e direttrici nuove lungo le quali estendersi. Inoltre, non bisogna dimenticare che esistono occasioni e momenti privilegiati, magari irripetibili, per esercitare un’azione di persuasione. Lo “stesso” argomento può non essere lo “stesso” per la stessa persona in fasi diverse della sua vita.

parte 3 Il progetto Le fasi del piano pag.290

Argomentare è un atto creativo: è proporre nuove connessioni tra fatti e concetti. Per connettere fatti e concetti si usano parole e frasi. Per connetterli in modo nuovo, si cercano parole e costruzioni nuove. Il processo della persuasione presenta anche altri paradossi. Uno di questi, forse il più centrale, riguarda l’originalità che deve possedere ogni argomentazione veramente persuasiva, e la

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parte 1

la persuasione

perfetta prevedibilità del suo effetto. Anche la più elegante, pertinente e inattesa delle argomentazioni risulta persuasiva se, e solo se, ha una sua precisa “logica” [...] il paradosso, quindi, è che nella persuasione devono coesistere, spalla a spalla, elementi prevedibili, quasi calcolabili, e elementi di spontaneità, freschezza, sorpresa. Come aveva già ben visto Cartesio, un cambiamento di opinione che risulta da un processo di persuasione non è nè causato dall’argomentazione persuasiva nè indipendente da questa. Questo doppio nè (nè causato da, nè indipendente da) va ben oltre l’ambito della persuasione: è il paradosso centrale di tutte le scienze cognitive (paradosso di Cartesio-Chomsky). Le opinioni, le convinzioni, le decisioni, le credenze, i ragionamenti, strettamente parlando, non hanno “cause”. Eppure sono intimamente legati tra loro, e legati alle vicende del mondo circostante, Sempre strettamente parlando, le cause appartengono al mondo studiato dalle scienze della natura, e al mondo delle macchine [...]. I moti della volontà e le decisioni sono, se si vuole, cause interne, ma sempre governate dal libero arbitrio. Per questo chi intende persuadere dev’essere delicato. Questa delicatezza non c’entra con l’essere reticenti, esitanti o distaccati. Un trasferimento di opinioni e di credenze avviene a partire dall’esistenza di un campionario generale di opinioni e modi di cavarsela nel mondo che non è radicalmente diverso da persona a persona. Mettere in chiaro i meccanismi della persuasione significa anche sottolineare che usciamo dal paradosso nella misura in cui facciamo tre cose: - rendiamo trasparenti e comprensibili gli strumenti e le tecniche della persuasione (spirito originale del discorso persuasivo ovvero essere un fatto e un fondamento della democrazia, accessibile a tutti); - siamo consapevoli della condizione paradossale in cui ci mettiamo proponendoci di persuadere qualcun altro: cioè, di volere che un altro voglia qualcosa che noi vogliamo; - essendo consapevoli, cominciamo a capire che cosa il qualcun altro, vorrebbe o potrebbe volere e perché. Solo cominciando a volere ciò che lui vuole, possiamo riuscire a inventarci anche i motivi che potrebbero condurlo a volere ciò che noi vorremmo che volesse. Prima di parlare bisogna ascoltare. Per farsi capire è indispensabile, prima, capire. 34

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Farsi capire, Annamaria Testa, pagg. 254 - 259

La persuasione nelle relazioni interpersonali

L’interazione comunicativa Il tema della persuasione non può rimanere circoscritto all’ambito della comunicazione mediale: anche nelle relazioni interpersonali le persone si pongono o sentono l’esigenza di convincere qualcun altro a mettere in atto un certo comportamento, a pensarla in un certo modo. Facciamo dunque un ulteriore passo nella comprensione dei processi di persuasione, prendendo in considerazione gli scambi diretti che si realizzano fra le persone attraverso la comunicazione interpersonale. Si riprendono qui, alcuni elementi della comunicazione già spiegati nei capitoli precedenti. Gli studiosi della comunicazione riconoscono che le persone non comunicano soltanto attraverso il linguaggio, ma hanno a disposizione un sistema di segnali che provengono dal corpo: i primi sono gli aspetti verbali (che comprendono il linguaggio, le parole), questi ultimi sono non verbali (linguaggio “del corpo”, tono, voce). Il linguaggio è un mezzo di comuniczione comune a tutte le società umane che su questo punto si distinguono da tutte le specie non umane. Esso è strutturato su regole che governano l’articolazione dei suoni elementari chiamati fonemi che a loro volta si compongono in unità significative, i morfemi (parole). Fonemi e morfemi si strutturano in sequenze più lunghe, i periodi che si articolano ancora secondo le regole della sintassi. La semantica fa riferimento alla relazione fra le parole, le frasi, i periodi e gli oggetti e significanti che essi esprimono. Lo scopo della comunicazione è quello di stabilire significati condivisi fra i partecipanti circa le parole che vengono espresse.

parte 1 Comunicazione Modelli di comunicazione interpersonale pag.13

La comunicazione non verbale Ognuno di noi accompagna le proprie conversazioni con gesti, espressioni del viso e altri segnali che concorrono a far cogliere al nostro interlocutore il significto che vogliamo attribuire alle nostre parole. I comportamenti che fanno parte di questo sistema non verbale sono molti e possiamo organizzarli in tre categorie: - I segnali paralinguistici. Sono quelli che produciamo con la voce nel pronunciare le frasi. Riguardano la qualità della voce, le vocalizzazioni, le pause, i sospiri, e altri ancora. - Le espressioni del volto. Sono l’insieme dei segnali più importanti circa le emozioni e i sentimenti. Esistono circa 20.000 espressioni facciali universalmente riconosciute. Gli studiosi distinguono sei emozioni base: felicità, sorpresa, tristezza, paura, disgusto e rabbia; a queste sono associati determinati movimenti. - Il comportamento spaziale. Riguarda la posizione del corpo, i gesti e il contatto fisico fra i parlanti. Per sintetizzare, possiamo sostenere che il comportamento non

parte 1 Comunicazione I diversi tipi di linguaggi pag.05

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parte 1

la persuasione

verbale favorisce il raggiungimento di diversi scopi che possono essere classificati in: 1. fornire informazioni sullo stato d’animo e sull’atteggiamento reciproco dei partecipanti all’interazione; 2. regolare l’interazione attraverso le segnalazioni e l’anticipazione nei turni di presa di parola; 3. esprimere il grado di intimità fra i parlanti; 4. stabilire il grado di dominanza e controllo fra i partner; 5. presentare se stessi.

parte 1 Il marketing Psicologia di marketing e comunicazione pag.109

parte 3 Studio preliminare Il marketing mediterraneo pag.248

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Il processo comunicativo e la persuasione Abbiamo già visto nel capitolo che parla della comunicazione, il processo attraverso il quale una fonte (emittente) invia un messaggio ad un ricevente attraverso un canale. Questo modello è basato sul funzionamento delle macchine che seguono lo schema stimolorisposta. Questa perfetta reversibilità fra le attività di codifica e decodifica (ciò che la fonte vuole dire è esattamente ciò che il ricevente capisce) non vale però per l’essere umano. Questo perché i soggetti hanno storie, esperienze, contesti e sensibilità diverse e una semplice battuta (dell’emittente) potrebbe essere interpretata come un’offesa (da parte del ricevente). Le richieste che vincolano Viviamo in un mondo denso di richiami persuasivi. Robert Cialdini, psicologo americano, studiando il fenomeno della persuasione, e come le persone accondiscendono o resistono a essa, ha avviato una tecnica di indagine: l’osservazione partecipante. Egli, dall’osservazione diretta di questi fenomeni, è riuscito a individuare alcune tecniche e principi su cui si basano questi professionisti per aumentare le probabilità di concludere le vendite o avere successo nei loro propositi. - Il colpo basso. Esempio: in un concessionario veniva fatta a un cliente un’offerta molto vantaggiosa, un prezzo molto più basso di quello della concorrenza. In questo modo il cliente veniva indotto a decidere l’acquisto. Poi lo si coinvolgeva sempre più nella decisione, facendogli provare l’auto. Al momento di concretizzare l’acquisto il venditore trovava un modo per contravvenire ai vantaggi offerti in partenza: l’offerta scaduta qualche giorno prima, l’obbligo di acquisto di alcuni optional o un errore di calcolo. A questo punto il commesso si scusava e sottolineava la libertà del cliente di recedere dalla decisione presa. In moltissimi casi la persona concludeva l’acquisto nonostante non ci fossero più i vantaggi vagheggiati. Il principio che spiega come arriviamo, in situazioni di questo tipo, a

un comportamento diverso da quello che avevamo deciso di mettere in atto è quello della coerenza. Nella nostra società è vista come una caratteristica positiva, propria delle persone logiche e intellettualmente dotate. Per essere coerenti cerchiamo di attuare comportamenti che siano sulla stessa linea. Il più delle volte lo facciamo senza pensarci, procediamo automaticamente. Proprio questo automatismo però a volte ci porta a considerare gli svantaggi del perdurare in una condotta quando ormai le circostanze sono cambiate. La nostra attenzione rimane diretta alla coerenza dei comportamenti e non alle condizioni entro le quali li mettiamo in atto. Nel caso dell’automobile, mentenere la decisione dell’acquisto è risultato più rilevante del considerare il modificarsi delle condizioni. - Il piede nella porta. Il principio di coerenza è alla base anche di questa tecnica. Essa consiste nel chiedere a una persona di attuare un comportamento di poco conto, apparentemente innocuo, che però in seguito porterà, per coerenza, ad accettare richieste più costose. L’attuazione di un comportamento costituisce una sorta di impegno rispetto ai comportamenti che adotteremo succesivamente. Esempio: due psicologi, per capire questa dinamica, si proposero di convincere alcune casalinghe ad accogliere in casa per due ore una équipe di ricercatori di mercato che avebbero dovuto fare un inventario dei prodotti per le pulizie. Era solo un pretesto: si tratta di capire a quali condizioni le casalinghe avrebbero acconsentito. La richiesta veniva fatta in vari modi, il confronto fra due di queste risultò interessante: a. il ricercatore telefonava alla signora, si presentava, chiedeva di rispondere a una domanda per una ricerca (primo atto, poco costoso). Alla risposta affermativa chiedeva che sapone usava. Il giorno dopo ritelefonava e chiedeva di mandare l’équipe (atto costoso); b. veniva avanzata direttamente la richiesta di accogliere i ricercatori. Il 52% delle casalinghe accettò quando venivano contattate secondo la prima modalità, mentre solo il 22% accettava quando la richiesta più onerosa veniva fatta direttamente (caso b). Un approccio di questo genere fa leva proprio sul nostro bisogno di percepirci come persone coerenti. - La porta in faccia. Questa tecnica consiste nel fare una richiesta molto forte all’inizio che ha buone probabilità di essere respinta, accompagnata da una seconda richiesta più ragionevole che la persona-bersaglio non riesce a rifiutare senza sentirsi troppo in colpa. Anche in questo caso, l’osservazione in un contesto sperimentale di questa tecnica, porta in faccia riferendoci al primo rifiuto, dimostra che l’accettazione della seconda richiesta aumenta notevolmente (triplica) rispetto alla condizione in cui la prima richiesta forte non sia stata avanzata. Per capire perché acconsentiamo più facilmente in queste circostanze, ricorriamo al principio del contrasto e al principio della reciprocità. La prima richiesta forte fa apparire la seconda, per contrasto, meno rilevante. Il principio

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parte 3 Il progetto Come persuadere? pag.183

parte 3 Studio preliminare Marketing mediterrano pag.248

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la persuasione

di reciprocità è alla base del sentimento di obbligo che ciascuno di noi sente per quacuno che ci offre qualcosa. La seconda proposta, meno esosa, viene vista come una concessione che ci fa sentire in dovere di ricambiare con una concessione a nostra volta. Riassumendo, ci sono degli elementi che emergono con più forza nell’analisi sulla persuasione: - È poco probabile riuscire a cambiare opinioni già formate. Tendiamo infatti a non prestare ascolto e attenzione alle informazioni che contraddicono le nostre opinioni, per non dover fronteggiare l’incongruenza. Le nostre opinioni non sono isolate ma sono in relazione di coerenza fra loro. Cambiare un opinione significa allora ristrutturare tutto questo sistema per ristabilire la coerenza. Questo può avvenire, ma richiede un impegno di riflessione da parte nostra che può essere attivato soltanto da fatti ed esperienza molto rilevanti. - È relativamente facile provocare nuove opinioni. Se è vero che l’esigenza di persuadere non caratterizza soltanto l’epoca contemporanea, è anche vero che attualmente l’informazione e i richiami persuasivi popolano il nostro quotidiano in una misura ben superiore alle nostre possibilità di attenzione. Per affrontare questo mondo “rumoroso”, quindi, apriamo ad esso in modo differenziato la nostra capacità, voglia e interesse a vagliarli approfonditamente e criticamente. Rispetto alle questioni che non hanno una importanza rilevante per la nostra esistenza (la maggioranza) ci formiamo le opinioni e prendiamo decisioni usando una strategia “a risparmio” cognitivo cioè consideriamo prevalentemente gli elementi più “vistosi”, quelli periferici o di sfondo. Riusciamo così ad agire in modo rapido, anche se le decisioni prese possono essere completamente cambiate alla prossima occasione. La ripetizione martellante dei messaggi persuasivi ha proprio la funzione di mantenere una certa stabilità anche nelle decisioni prese attraverso questo canale. - È relativamente facile influenzare il modo in cui le persone si rappresentano la realtà. Per decidere, per agire, per scegliere, per comportarci, per orientarci abbiamo bisogno di informazioni e questa esigenza ci fa dipendere sempre più dai mezzi di comunicazione di massa, i quali estendono le potenzialità della nostra esperienza diretta. La mediazione comunicativa non equivale alla nostra esperienza diretta ma è già selezione, interpretazione, elaborazione da parte del sistema dei media. Ciò significa che la rappresentazione della realtà che noi ci costruiamo è influenzata dai criteri di selezione, elaborazione e interpretazione adottati di volta in volta nel sistema dei media. - Ma è sufficiente riuscire a cambiare o provocare l’opinione di qualcuno perché questi agisca come desideriamo? Spesso non teniamo conto che la risposta a tale domanda è negativa perché solo a determinate condizioni il nostro comportamento è rigorosamente congruente con gli atteggiamenti. Lo è più probabilmente se siamo in grado di ricordare

agevolmente l’atteggiamento adeguato alla situazione in cui dobbiamo decidere quale comportamento adottare e se questo atteggiamento non è in aperto contrasto con le aspettative che le altre persone significative hanno nei nostri confronti. Il comportamento tende a essere altamente coerente invece con altri comportamenti, perché l’impegno che con questi sentiamo di assumere verso gli altri finisce per vincolarci. La visibilità della condotta ci inchioda al “dovere di coerenza” anche quando ciò va contro i nostri interessi.

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parte 1

il marketing

Marketing: l’insieme delle attività che mirano a influenzare una scelta del consumatore o cliente.

1.4

il marketing

Marketing deriva da ‘market’ vocabolo inglese che significa “mercato”, a cui viene aggiunta la desinenza del gerundio per indicare la partecipazione attiva, cioè l’azione sul mercato stesso. Letteralmente è “piazzare sul mercato” e comprende quindi tutte le azioni aziendali destinate al piazzamento di prodotti, considerando come finalità il maggiore profitto e come causalità la possibilità di avere prodotti capaci di realizzare tale operazione. Il marketing (spesso abbreviato in mkt o mktg) è un ramo della scienza economica che si occupa dello studio descrittivo del mercato e dell’analisi dell’interazione del mercato, degli utilizzatori con l’impresa.

Le tante definizioni Le definizioni di marketing sono diverse. Quella principale viene da Philip Kotler, riconosciuto all’unanimità quale padre dei più recenti sviluppi della materia per i lavori apparsi dal 1967 al 2009. Tuttavia, il concetto di marketing ha radici ben più lontane. Nel 1959 l’economista italiano Giancarlo Pallavicini, mise insieme alcuni strumenti che costituirono le basi per quello che divenne il marketing moderno; egli introduce le seguenti definizioni: - Il marketing viene definito come quel processo sociale e manageriale diretto a soddisfare bisogni ed esigenze attraverso processi di creazione e scambio di prodotto e valori. È l’ arte e la scienza di individuare, creare e fornire valore per soddisfare le esigenze di un mercato di riferimento, realizzando un profitto: delivery of satisfaction at a price. - Il marketing management consiste invece nell’analizzare, programmare, realizzare e controllare progetti volti all’attuazione di scambi con mercatiobiettivo per realizzare obiettivi aziendali. Esso mira soprattutto ad adeguare l’offerta di prodotti o servizi ai bisogni e alle esigenze dei mercati obiettivo ed all’uso efficace delle tecniche di determinazione del prezzo, della comunicazione e della distribuzione per informare, motivare e servire il mercato. Esistono molte altre definizioni. Citiamo in primo luogo quella di Russell Winer:

William Pride e O.C. Ferrel ne danno una definizione più globale: Marketing: processo di produzione, promozione, distribuzione (punto vendita) e determinazione del prezzo di beni, servizi o idee al fine di porre relazioni soddisfacenti con il cliente in un ambiente dinamico. In realtà, negli ultimi venti anni, il marketing ha subito una rapida e forte evoluzione che ha segnato la concezione stessa del marketing come ambito di ricerca. Tale tendenza è rintracciabile nell’evoluzione delle definizioni che l’American Marketing Association, l’organismo più autorevole nella ricerca di marketing al mondo, ha coniato negli ultimi anni. Nel 1984, l’AMA Board, dava questa definizione: Il processo di organizzazione e di esecuzione del concepimento, della politica dei prezzi, delle attività promozionali e della distribuzione di idee, beni e servizi per creare scambi commerciali e soddisfare gli obiettivi degli individui e delle organizzazioni. 35 Questa visione è molto simile a quella finora descritta nelle precedenti definizioni. Negli ultimi anni, il marketing ha iniziato invece ad abbandonare la prospettiva transazionale, per concentrarsi maggiormente sull’ottica relazionale. La definizione più recente dell’AMA Board descrive infatti il marketing così: Una funzione organizzativa ed un insieme di processi volti a creare, comunicare e trasmettere un valore ai clienti, ed a gestire i rapporti con essi in modo che diano benifici all’impresa ed ai suoi portatori di interesse. 35 Il marketing nella storia e nella societa’ Il marketing costituisce un argomento esteso e complesso, difficile da definire ed ancor più da inquadrare in modo rigoroso e sistematico. Il campo d’azione del marketing si estende infatti ad una lunga serie di attività, da quelle meramente tecniche che riguardano la logistica o la gestione dei canali di distribuzione a quelle altamente complesse e sofisticate che si occupano dello studio dei comportamenti dei consumatori e della progettazione dei prodotti e dei servizi maggiormente idonei a soddisfarne le esigenze. E come se non bastasse, le attività d’interesse per il marketing costituiscono nel contempo l’oggetto dell’attività di altre funzioni aziendali, dalla ricerca e sviluppo alla produzione, alla finanza, alla gestione delle risorse umane.
A questi elementi di complessità dobbiamo poi aggiungere quelli connessi alle specificità dei vari settori e mercati: beni di consumo durevoli e non durevoli, beni per l’industria e per le istituzioni, beni materiali ed immateriali, beni privati e beni collettivi, e così di seguito.
Di fronte ad un campo così esteso, complesso e mutevole si sarebbe tentati di abbandonare ogni sforzo volto ad individuare caratteristiche comuni e linee di tendenza, abbandonando il campo

35

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AMA Board, 1985

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parte 1

il marketing

ai comportamenti spontanei o basati su principi e regole empiriche.
Tuttavia, la rilevanza che il marketing è andato via via assumendo sotto il profilo economico, sociale, politico ed ambientale è tale da rendere sempre più necessario uno sforzo di comprensione, di analisi e di sviluppo di generalizzazioni e leggi scientifiche in grado di rendere le condotte degli operatori sempre più consapevoli e ‘razionali’. A questo fine, è utile inquadrare per sommi capi il ciclo evolutivo che ha condotto il marketing ad assumere un ruolo di primo piano nell’ambito delle discipline che hanno come oggetto i temi relativi alla condotta strategica ed operativa delle imprese che operano nell’ambito di mercati competitivi.
 Le origini del marketing risalgono ai primi anni del secolo scorso, quando negli Stati Uniti iniziarono a svilupparsi le prime grandi imprese produttrici di beni di consumo durevoli e non durevoli - Singer, Coca Cola, Ford, Sears e molte altre - le cui strategie erano orientate verso la creazione di un mercato di massa per i propri prodotti. L’obiettivo fondamentale delle imprese in questione, nonché di tutte le altre che rapidamente si aggiunsero ad esse - non solo negli Stati Uniti ma anche in Europa - era quello di sviluppare al massimo i propri volumi di produzione al fine di conseguire economie di scala tali da consentire l’offerta al mercato di prodotti standardizzati a prezzi competitivi.

18. Il ciclo evolutivo del marketing in pillole

Philip Kotler distingue, nella storia economica recente, quattro strategie di approccio al mercato da parte dell’impresa: - Orientamento alla produzione: in questo periodo, dalla Rivoluzione industriale fino alla metà del Novecento, il mercato è caratterizzato da un eccesso di offerta rispetto alla domanda. Unica preoccupazione dell’imprenditore è ridurre i costi di produzione, azione giustificata soprattutto nei mercati dove prevalgono beni commodity, e dove quindi si può vincere con la concorrenza di prezzo. - Orientamento al prodotto: intorno agli anni ‘30 del Novecento l’impresa si concentra sulla tecnologia del prodotto, piuttosto che sul consumatore. Il rischio di questa strategia è la cosiddetta miopia di marketing, cioè non accorgersi che il fattore chiave di successo per un’azienda non è dal lato dell’offerta ma della domanda, cioè del bisogno o funzione che il cliente deve soddisfare (rendendo quindi vani gli sforzi per sostenere un prodotto se esistono tecnologie alternative più comode/economiche/efficaci). - Orientamento alle vendite: a partire dagli anni ‘50 e ‘60 del Novecento si cerca di vendere ciò che si produce. È una prospettiva di tipo insideout, praticata soprattutto nel breve termine, e con prodotti/servizi a bassa visibilità (unsought goods), oppure in casi di sovrapproduzione, o ancora quando un mercato è saturo (e quindi va conquistato con la forza vendita). Anche in questo caso il rischio è di capire poco cosa desidera il consumatore finale. Iniziano quindi a svilupparsi attività volte a facilitare il deflusso verso il mercato dei crescenti volumi di produzione dell’industria manifatturiera, dalla creazione di strutture professionali di vendita - le cosiddette forze di vendita - allo sviluppo di nuove reti di distribuzione e di assistenza alla clientela, specie nei mercati dei beni durevoli o comunque complessi. Trovano inoltre sviluppo le attività di sostegno e di sviluppo della domanda del mercato quali la pubblicità e la politica della marca.
Si sviluppa così una nuova fase del ciclo di vita del marketing, quella nota come orientamento alla vendita. Con il graduale sviluppo dell’economia basata sui consumi individuali, l’orientamento in questione si rivela insufficiente a realizzare gli obiettivi dell’impresa su mercati sempre più competitivi. La spinta a ricercare nuovi spazi di mercato e lo sviluppo di una crescente varietà di prodotti da offrire ai consumatori conducono le imprese ad effettuare una vera e propria rivoluzione delle proprie strategie e politiche di mercato: appunto la rivoluzione del marketing. - Orientamento al marketing: consiste nella comprensione dei bisogni del cliente, per produrre i beni e quindi soddisfarli. È una prospettiva di tipo outside-in, o anche pull (capire il mercato) anziché push (spingere sul mercato). Nasce a partire dagli ultimi anni del Novecento ed è sempre in continuo sviluppo fino ai giorni nostri. Lo sviluppo della funzione del marketing nelle imprese è parte di una

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parte 3 Il progetto Marketing mediterraneo pag.286

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il marketing

strategia di mercato che viene definita “proattiva”, dove l’impresa ha un ruolo propositivo nei confronti dei bisogni del mercato. In altri termini, le imprese - soprattutto quelle appartenenti ai settori più dinamici e competitivi - si rendono conto che il successo e lo sviluppo della propria attività si basa:
 - sulla capacità di individuare e definire in modo tempestivo i desideri ed i bisogni dei consumatori;
 - sulla capacità di individuare e valutare le offerte competitive esistenti e prevedibili;
 - sulla definizione di un’offerta di valore percepita ed apprezzata dai consumatori obiettivo;
 - sulla realizzazione di una comunicazione ai consumatori potenziali in grado di far comprendere i vantaggi dei prodotti e dei servizi offerti.
 Ecco così affermarsi la quarta fase del ciclo di vita del marketing, quella nota come orientamento al marketing focalizzato sul consumatore. È in questa fase che trovano pieno sviluppo gli strumenti del marketing moderno e cioè quel marketing management che costituisce il paradigma attuale del marketing e che trova il suo massimo sviluppo negli anni ‘80 e ‘90. Negli anni più recenti il processo di innovazione del marketing non si arresta e, anche a seguito dell’operare delle grandi forze di trasformazione della produzione materiale, quali la produzione flessibile e le tecnologie della comunicazione e dell’informazione, inizia ad affermarsi una quinta fase del ciclo di vita del marketing, quella che possiamo definire: - Orientamento alla relazione di clientela, (customer relation management).
In un mercato reso sempre più competitivo dall’innovazione tecnologica e dai processi di globalizzazione, l’orientamento al cliente diviene indispensabile, una vera e propria conditio sine qua non. Infatti, allorquando il successo di mercato non è più esclusivamente determinato dalla capacità di make and sell, ma dipende sempre più dalla capacità di sense and respond, diviene fondamentale che i clienti - sia quelli esistenti in un determinato momento che quelli potenzialmente acquisibili - vengano assunti come il punto di riferimento della catena del valore originata dall’impresa. Bilancio sintetico di 50 anni di sviluppo A conclusione della sintetica descrizione delle varie fasi del ciclo di vita del marketing, possiamo tentare di delineare un sia pur sintetico bilancio, volto soprattutto a definire una visione sul futuro. Per quanto concerne il ruolo svolto dal sistema concettuale e tecnico del marketing nel corso del XX secolo, è opportuno ricordare quanto messo in luce dalle ricerche condotte da Alfred Chandler, uno dei maggiori studiosi delle moderne corporations. Se la produzione industriale di beni e servizi di consumo - e quella dei beni industriali che ne è determinata - ha potuto raggiungere eccezionali livelli di sviluppo, afferma Chandler, ciò è dovuto in misura sostanziale ai progressi realizzati dalle imprese

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nell’area del marketing e della distribuzione di massa. In altri termini, produzione di massa e marketing di massa costituiscono due dimensioni strettamente collegate e complementari dello stesso fenomeno, e cioè quello del capitalismo avanzato di mercato. In altri termini, i concetti, gli strumenti e le tecniche del marketing sono stati strettamente funzionali allo sviluppo dei paesi avanzati ad economia di mercato.
Ma se il marketing ha avuto un ruolo così importante nel contribuire allo sviluppo economico e sociale del mondo in cui viviamo, ne deriva necessariamente una qualche relazione diretta o indiretta con alcuni dei principali effetti del modello di sviluppo sin qui seguito: Gli effetti in questione possono essere sommariamente individuati nei seguenti:
 - crescente deterioramento ambientale ed ecologico;
 - progressivo esaurirsi delle risorse fisiche e naturali;
 - divario crescente fra ‘ricchi e ‘poveri’, sia all’interno dei paesi maggiormente sviluppati, che fra questi ed il resto del mondo;
 - sviluppo dell’instabilità politica, della conflittualità fra etnie diverse e del terrorismo;
 - crescente sviluppo dei grandi centri urbani, la maggior parte dei quali è caratterizzata dal progressivo deterioramento della qualità della vita;
 - permanere di precarie condizioni sanitarie in gran parte dei paesi ‘poveri’ e, all’opposto, diffusione della malattie determinate da un elevato tenore di vita;
 - sfruttamento della manodopera e diffusione del lavoro minorile, soprattutto nei cosiddetti ‘paesi emergenti’;
 - permanere di elevati livelli di analfabetismo, sia nei paesi ‘ricchi’ che in quelli ‘poveri’.

Nel loro complesso, gli effetti suddetti stanno determinando quelli che possono essere definiti come i tre divari fondamentali del mondo contemporaneo, e cioè:
 1. Il divario fra il grado di sfruttamento delle risorse fisiche e naturali della Terra e la disponibilità delle stesse (divario ecologico).
 2. Il divario fra il grado di soddisfacimento dei bisogni individuali e quello dei bisogni collettivi (divario di qualità della vita).
 3. Il divario fra ‘ricchi’ e ‘poveri’ (divario sociale, politico e strategico).
Il problema dell’eliminazione, o quantomeno della riduzione, di tali divari può essere considerato come la sfida del prossimo quarto di secolo.

parte 2 Il progetto Il marketing mediterraneo pag.286

La transizione dal marketing tradizionale al marketing sostenibile Quelli che si innamorano di pratica senza scienza, son come il nocchiere, ch’entra in un navilio senza timone o bussola, che mai ha certezza dove si vada. Sempre la pratica deve essere edificata sopra la bona teorica. Leonardo da Vinci

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parte 1

parte 2 La sostenibilità Il rapporto Brundtland pag.133

parte 2 La decrescita Oltre lo sviluppo pag.175

il marketing

Di sostenibilità ci occuperemo abbondantemente nel capitolo specificamente dedicato. Qui ci limiteremo ad affrontare l’argomento dal punto di vista della strategia di marketing da mettere in campo per comunicarla. Secondo la definizione introdotta sin dal 1987 dalla Commissione Bruntland, la sostenibilità può essere definita come “il progresso che soddisfa le esigenze senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare i loro bisogni”. Tale definizione assume che lo sviluppo sostenibile costituisca un processo a lungo termine, fondato sul principio etico dell’equa ripartizione delle risorse della Terra fra le popolazioni presenti e quelle future.
Non avrebbe infatti senso né giustificazione un processo di sviluppo basato sulla dilapidazione del patrimonio fisico, naturale e di ‘civiltà’ di cui gode l’umanità, senza la minima preoccupazione nei confronti dei ‘posteri’. Inoltre, ha un’importanza fondamentale ai fini dello sviluppo sostenibile che la nozione di ‘bisogno’ venga estesa sino ad includere categorie come la qualità dell’ambiente, una società più giusta e solidale ed, infine, un’economia più prospera.
L’avvio di un processo di sviluppo sostenibile implica, se non l’eliminazione, almeno la graduale riduzione dei tre divari considerati in precedenza.
Per quanto concerne il primo divario, quello ecologico, la rilevanza della sostenibilità ecologica sta nel fatto che lo sviluppo economico ed il benessere della società dipendono strettamente dall’integrità della biosfera e dalla natura dei processi ecologici che hanno luogo all’interno di essa. Le risorse che la natura mette a disposizione della società e delle sue strutture economiche hanno un valore che non può essere trascurato se non si vuole mettere in pericolo la stessa sopravvivenza dell’umanità. Se passiamo a considerare il secondo divario, quello riguardante la qualità della vita, possiamo rilevar come uno dei limiti del processo di soddisfacimento dei bisogni sinora seguito dai paesi più avanzati abbia sostanzialmente privilegiato la produzione di beni e servizi a fruizione individuale. Se consideriamo un consumo emblematico delle società avanzate contemporanee, quello dell’auto, la priorità sinora assegnata con alcune rare eccezioni - alla motorizzazione privata rispetto a quella collettiva si sta ritorcendo nella progressiva riduzione del grado di soddisfacimento sia del bisogno di mobilità privata che del bisogno di mobilità collettiva.
Per quanto concerne infine il terzo ed ultimo divario, quello determinato dalla povertà che ancora riguarda oltre due terzi degli abitanti della Terra, la sua graduale eliminazione può costituire una delle basi più solide di un processo di sviluppo sostenibile, come viene posto in evidenza da molti studiosiIl ruolo del marketing nella definizione di strategie di mercato nell’era dello sviluppo sostenibile dovrà assumere caratteristiche diverse a seconda del settore di attività dell’impresa, della sua dimensione, del grado di evoluzione e di innovazione tecnologica, del grado di orientamento al mercato, del livello culturale e professionale del management e delle risorse umane, dei rapporti con gli stakeholder, ecc. Ad esempio, in un’impresa che già da tempo opera secondo una visione

orientata al cliente, o che ha adottato i principi della Corporate Social Responsibility (CSR), o che ha avviato consistenti programmi di cause related marketing, sarà più facile iniziare ad operare secondo le logiche del marketing sostenibile. In questo quadro, il contributo della funzione di marketing può manifestarsi secondo le linee seguenti:
 - valutazione della rilevanza che le questioni relative allo sviluppo sostenibile hanno per l’impresa nel suo complesso e per sue le funzioni fondamentali;
 - analisi degli atteggiamenti e dei comportamenti dei vari stakeholder dell’impresa nei confronti dei temi dello sviluppo sostenibile (da quelli generali a quelli specifici, come ad esempio la biodegradabilità degli imballaggi e delle confezioni, oltre che dei prodotti usati);
 - valutazione della misura in cui i vari prodotti dell’impresa possono essere progettati/fabbricati/distribuiti/installati/sostituiti/riciclati secondo principi di sostenibilità e con quali variazioni in termini di costi/prezzi/margini di profitto; - valutazione dei rapporti che l’impresa intrattiene con centri ed istituti di ricerca, movimenti ecologici e di impegno sociale e civile, istituzioni e strutture pubbliche, stampa e operatori della comunicazione; - valutazione dei programmi di promozione del concetto di sviluppo sostenibile ai quali l’impresa ha partecipato direttamente o indirettamente. Una volta predisposta un consimile base di conoscenza e di valutazione, è possibile passare alla definizione di un piano strategico nel quale definire:
 a. la mission in termini di sostenibilità che si intende realizzare - per esempio, la produzione di medicinali a basso costo per le popolazioni dell’Africa; la realizzazione di pompe sommerse particolarmente idonee per essere impiegate nei programmi di irrigazione e di conservazione delle acque; la produzione di motori elettrici da sostituire a quelli a benzina; lo sviluppo di forme di ‘commercio equo e solidale’;
 b. le soluzioni finanziarie, organizzative e gestionali da adottare; e, infine,
 c. il piano di marketing da realizzare. 36

Un sistema di pensiero e di metodo per realizzare la transizione: il marketing laterale Il marketing tradizionale si fonda su un processo di segmentazione-definizione del mercato obiettivo-posizionamento che con l’andar del tempo è divenuto sempre più rigido, costringendo le imprese ad operare secondo una visione ‘verticale’ che ha avuto l’effetto di saturare i mercati con un’offerta crescente di beni e servizi fra di loro simili e proposti a consumatori sempre meno sensibili alla comunicazione pubblicitaria dalla quale sono sommersi dalla mattina alla sera.
La visione verticale del mercato ha indotto le imprese a concentrare i proprio sforzi competitivi su una segmentazione sempre più fine del mercato obiettivo, con la conseguente riduzione dei singoli segmenti a dimensioni insufficienti a garantire la profittabilità. Non solo, ma lo sforzo volto a suddividere un determinato mercato in un numero sempre più elevato si segmenti ha distolto l’attenzione delle imprese dalla ricerca

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Walter G.Scott, “Introduzione al concetto di marketing sostenibile”, Medusa, Milano 2005

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parte 2 La sostenibilità Il rapporto Brundtland pag.133

il marketing

di nuovi spazi di mercato e di crescita.
La necessità di superare la visione del marketing verticale ha dato origine al modello del marketing laterale. Lo schema del marketing laterale, proposto da P.Kotler e F.Trias de Bes, deriva dall’integrazione nel paradigma tradizionale di marketing dell’elaborazione concettuale realizzata da E. De Bono - uno dei maggiori studiosi nel campo del pensiero creativo - ormai universalmente nota come ‘pensiero laterale’.
Sulla base di questa integrazione è stato sviluppato un paradigma più evoluto di marketing, volto non tanto a sostituire il marketing tradizionale, quanto ad integrarne il sistema concettuale, tecnico ed applicativo in una prospettiva più adeguata alle nuove realtà di mercato ed alle nuove sfide poste dalla trasformazioni economiche, sociali, tecnologiche ed ambientali. Kotler e de Bes, preso atto del fatto che la maggior parte dei processi innovativi sono determinati dall’introduzione di nuove tecnologie, sia di prodotto che di processo, si sono proposti di invertire il processo, ponendo il punto di partenza nell’individuazione dei bisogni da soddisfare e quindi nell’ideazione delle relative risposte. A questo fine, i due studiosi suddetti hanno individuato nel pensiero creativo di De Bono l’anello mancante del paradigma di marketing. Più precisamente, essi hanno individuato nella creatività la leva aggiuntiva da porre a disposizione dei decisori di marketing.
In altri termini, nelle nuove realtà di mercato, sociali e ambientali il marketing non può più limitarsi a trovare nuovi spazi alle innovazioni technology-driven, ma deve assumere il ruolo di funzione guida del processo di innovazione e delle conseguenti strategie.
Come si vede, il modello del marketing laterale può costituire uno strumento prezioso per sviluppare strategie di mercato orientate alla sostenibilità. Abbiamo sin qui delineato uno scenario quanto mai vasto e problematico, caratterizzato da una molteplicità di problemi e questioni di rilevanza tale da sfidare anche i più agguerriti specialisti di macrotendenze.
Il futuro del marketing non può essere ipotizzato se non nel quadro dell’evoluzione dell’economia e della società mondiale. E come i principi e gli strumenti del marketing sono stati sviluppati e collaudati soprattutto nel periodo storico 1945-75 - i trent’anni gloriosi nel corso dei quali le popolazioni dei paesi industriali hanno raggiunto un decente livello di qualità della vita e di benessere - oggi e nei prossimi decenni lo sviluppo dei principi e degli strumenti suddetti non potrà avvenire che tenendo conto dell’intera popolazione mondiale.

Etica

marketing di plasmare praticamente ogni aspetto dei costumi, delle attitudini e della cultura della società. Impiegato con saggezza e con la consapevolezza dei suoi limiti, il marketing può sviluppare e canalizzare le grandi energie di cui dispone un libero sistema di mercato al fine di conseguire il bene dei consumatori, delle imprese e della società nel suo complesso. Impiegato invece senza la necessaria consapevolezza, il marketing può invece conseguire gli effetti opposti.”
Lo sforzo di quanti si occupano di marketing dovrà dunque essere quello di sviluppare sempre più una visione che abbia al centro l’interesse della società, nella consapevolezza che i principi e gli strumenti del marketing possono contribuire in modo determinante a promuovere tale interesse. 37 Prima classificazione di marketing Il marketing può rivolgersi ai consumatori, e in questo caso si parla di marketing B2C, (business to consumer, “dall’impresa al consumatore”), spesso definito semplicemente marketing; oppure, può rivolgersi al mercato delle imprese, e in questo caso prende il nome di marketing industriale o marketing B2B, (business to business, “da impresa a impresa”). Sono da citare anche il marketing dei servizi (compagnie aeree, catene alberghiere...) e il marketing istituzionale (fatto cioè da istituzioni). Di significato meno economico è il marketing politico, così come quello che le aziende riservano ai propri dipendenti e che viene comunemente definito, sebbene impropriamente, marketing B2E (business to employee, “da impresa a dipendente”). Questa attività pertanto può fungere da “interfaccia” tra l’impresa e il contesto esterno (insieme al settore vendite, import/export, pubbliche relazioni e altri), osservandone il comportamento e presidiando, almeno in parte, i flussi informativi uscenti dall’impresa (voluti o non voluti), e incamerando le conoscenze provenienti dall’esterno; tra queste sono compresi i deboli segnali che consentono di comprendere, possibilmente in tempo utile, le modifiche al mercato che si realizzeranno in un prossimo futuro. L’analisi della posizione competitiva dovrebbe essere diffusa nella direzione delle varie funzioni, ma spesso è lasciata al marketing, che utilizza modelli come le “5 forze di Porter” (teorizzate dal docente universitario statunitense Michael Porter), modelli analitici come la matrice del Boston Consulting Group o le 7S della McKinsey, le ricerche ed indagini di mercato e le segmentazioni del mercato. Il marketing è inoltre volto alla creazione del valore per il cliente, e uno dei suoi scopi è creare un posizionamento della marca (brand) nella mente del consumatore attraverso tecniche di brand management. Le ultime tendenze sono volte allo studio del marketing esperienziale, che abbraccia la visione del consumo come esperienza, in cui il processo di acquisto si fonde con gli stimoli percettivi, sensoriali ed emozionali.

Solo il marketing ha il potere di armonizzare gli interessi delle imprese e dei loro clienti (e, per estensione, della società nel suo complesso). Può esercitare un’influenza civilizzatrice sulla forza bruta del capitalismo. Non dovremmo sottovalutare il potere delle forze di mercato e quelle del

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Walter G.Scott, Marketing & Competizione, Vita e Pensiero, Milano 1997

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Piano di marketing Il piano di marketing è la pianificazione della strategia a livello corporate/ aziendale, ed è diviso nelle seguenti fasi: - definizione della missione, che è formata da: - i bisogni di mercato che devono essere serviti; - gli elementi di distintività dell’impresa; - identificazione dell’Area Strategica di Affari (Business Strategic Unit) nella quale si andrà a operare, cioè le varie attività dell’azienda vanno classificate nelle apposite matrici di analisi del portafoglio: - la matrice Boston Consulting Group. - la matrice General Electric. - identificazione delle strategie di sviluppo per ciascuna attività, attraverso la matrice di Ansoff. Il piano di marketing è un documento scritto formato dai seguenti contenuti: - Sommario: è il sommario dell’intero piano di marketing; - Obiettivi: sono i risultati desiderati che portano alle vendite e ai profitti. Devono essere dettagliati, realistici, quantificabili (definiti in termini economici di utile netto o fatturato) e posti in ordine gerarchico; - Analisi dello scenario competitivo: analisi del mercato, della concorrenza, dei consumatori: marketing audit; - Analisi SWOT: identificazione dei punti di forza e di debolezza dell’azienda (Strengths and Weaknesses), valutazione delle opportunità e dei rischi del mercato (Opportunities and Threats); - Strategie: complesso di azioni per raggiungere gli obiettivi; - Piano di azione: specifica cosa sarà fatto, chi lo farà, quando sarà fatto, e quanto costerà. È l’elaborazione delle strategie; - Budget: documenti finanziari preventivi, tra cui le proiezioni dei costi/ricavi previsti; - Controllo: indica le modalità di monitoraggio dell’attività; - Piani di emergenza (contingency plans): alternative da attuare in caso di problemi; non sempre sono presenti nel piano.

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19. La matrice Ansoff

20. La matrice McKinsey (GE) Business Screen

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21. Matrice Boston Consulting Group. La matrice crescita/quota venne ideata negli anni settanta dal BCG. Tale matrice permette di classificare le aree strategiche di affari o attività dell’impresa. Tramite questa il management decide come allocare le risorse nelle varie attività. Nel marketing, la matrice BCG è utilizzata anche per la classificazione dei diversi prodotti o dei diversi segmenti in cui opera l’azienda. I parametri utilizzati per la classificazione sono: Tasso di crescita del mercato sull’asse verticale; è una misura di attrattività del mercato. Quota di mercato relativa sull’asse orizzontale; misura la forza dell’impresa in quel mercato. Dalla combinazione di questi due elementi si possono individuare 4 categorie: Question Mark, Star, Cash Cow, Dog. Question Mark: sono identificati da una bassa quota di mercato in mercati ad alta crescita. Per tale motivo, essi non generano un intenso flusso di cassa in entrata e richiedono notevoli investimenti per poter crescere e diventare stars. Star: sono prodotti/attività caratterizzati da un’alta quota di mercato in mercati in forte crescita. Richiedono investimenti per continuare a crescere, per poi trasformarsi in cash cows. Cash Cow: sono prodotti/attività con un’alta quota di mercato in mercati a bassa crescita. Possono ritenersi attività di successo, che richiedono minori investimenti, più che altro “difensivi”. Sono “mucche” da cui “mungere” denaro per finanziare le altre attività. Dog: sono prodotti/attività con una quota bassa in un mercato a bassa crescita. Possono generare profitti appena sufficienti al pareggio, o addirittura perdite, per cui il management potrebbe decidere di disinvestire.

Le 4P e le 4C Il modello delle 4P organizza tutte le attività di marketing operativo che un operatore di mercato gestisce in quattro grandi aree: - Prodotto (Product) - Prezzo (Price) - Distribuzione (Placement) - Comunicazione o Promozione (Promotion) Con lo sviluppo della ricerca sul marketing, sono state proposte varie integrazioni al modello, ad esempio l’aggiunta del Packaging, della vendita personale (Personal selling), o del servizio (concetto di prodotto-servizio). In questo modo il modello diventerebbe delle “cinque P”, delle “sei P” e così via. In una sua opera recente Kotler attualizza il concetto di marketing mix, sostenendo che in realtà molte delle proposte di integrazione avanzate negli anni non appaiono necessarie: il packaging è a tutti gli effetti un aspetto del prodotto, la vendita personale fa parte integrante della promozione, mentre il servizio è parte costitutiva del prodotto (che andrebbe meglio definito come offerta). 32 D’altra parte, Kotler suggerisce due possibili espansioni del marketing mix: - Le relazioni istituzionali (rapporti delle imprese con il mondo delle istituzioni per gestire le conseguenze di leggi, provvedimenti, orientamenti della politica verso le attività imprenditoriali che possono influenzare i mercati) - Le relazioni pubbliche (organizzazione di campagne che cercano di modificare gli atteggiamenti negativi dell’opinione pubblica verso determinate categorie di prodotti). Nella stessa opera, Kotler accoglie invece un’altra critica al modello, che sostituisce o associa alle “quattro P” altrettante ‘C’: - Customer value (valore per il cliente) - Cambiamento (capacità stutturale dell’azienda di cambiare se stessa ed ciò che propone al mercato) - Convenience” (facilità per i clienti di trovare i prodotti e d’interagire con l’azienda) - Comunicazione Questa impostazione vuole evidenziare l’importanza di pensare prima in termini di valore per il cliente, e solo successivamente definire le corrispondenti attività di marketing dell’impresa (le quattro ‘P’).

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Philip Kotler, Il marketing secondo Kotler. Milano, Il sole 24 Ore, 1999

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I bisogni In più parti del capitolo sulla comunicazione, si è ribadito che la comunicazione interpersonale è dettata da un bisogno dell’uomo, un esigenza. Il linguaggio, infatti, ha permesso agli individui di sopravvivere, di potersi organizzare contro eventuali pericoli, di instaurare le prime relazioni sociali, di trasmettere alle generazioni successive le conoscenze fino a quel momento acquisite. Il comunicare sottintende una trasmissione di informazioni di vario tipo, informazioni che possono riguardare fatti, pensieri, stati d’animo, istruzioni, codici. Quindi, l’esigenza di trasmettere queste informazioni è riconducibile alla necessità di soddisfare dei bisogni, da quelli primari, fisiologici, che riguardano la sopravvivenza organica e della specie, a quelli secondari, di natura sociale e psichica. Per questo, alla base della strategia di orientamento al mercato si trova il concetto di soddisfazione dei bisogni del cliente e l’identificazione del profilo del mercato è il primo passo che intraprende il marketing strategico. Abbiamo infatti visto che la prima voce presente nel piano marketing è proprio la comprensione dei bisogni che il cliente esprime o cela in quel dato momento. Il bisogno è antecedente alla decisione di aquisto. Questa è la conclusione a cui sono arrivati gli analisti economici dei mercati: le motivazioni economiche o meno che possono indurre un individuo a compiere un azione economica non riguardano il campo dell’economia.

Bisogni, desideri e domanda: definizione Nel linguaggio corrente il bisogno è spesso un “bisogno di” un particolare bene o servizio e la sua riconoscibilità è resa almeno più agevole dal collegamento con l’individuazione del prodotto, inteso come mix di attributi formulato sul versante dell’offerta e che consente di far fronte al bisogno stesso. parte 3 Copy strategy Problemi pag.256

La teoria economica si concentra sullo studio del comportamento più che dei processi che generano le motivazioni: - Il comportamento del consumatore è visto come il riflesso delle sue preferenze (che sono di fatto rilevate dai comportamenti), per cui si vede il problema della decisione del consumatore come un problema di scelta razionale. - L’homo economicus presenta rilevanti differenze rispetto all’uomo reale, in particolare sul piano psicologico. - Vi sono però lavori importanti degli economisti che nel tentativo di arricchire “la psicologia astratta dell’homo economicus” propongono classificazioni di bisogni per mettere in luce meccanismi che possono motivare i comportamenti.

Nella prospettiva psicologica, il concetto di bisogno tuttavia non risulta legato solo ad una concezione “in negativo”, vale a dire come stato di privazione o di pena, ma deve essere considerato anche in una concezione “in positivo” come complesso di aspettative che l’individuo tende ad espandere. In questo ambito, ci si interroga sul processo di formazione dei bisogni, su quelle che sono le aspirazioni degli individui nella ricerca del loro benessere e su come questo stato di benessere venga a realizzarsi. Secondo un approccio psicologico l’intenzione di acquisto si presenta nel momento in cui l’energia psichica che si genera dalla motivazione viene a trasformarsi nella volontà di assumere un comportamento o di realizzare l’acquisto di un prodotto.

Prime classificazioni dei bisogni Il Bisogno può essere considerato come una naturale esigenza della vita sociale umana. Si distinguono in questo ambito: - Bisogni innati, naturali e generici i quali riguardano appunto la natura dell’essere umano; - Bisogni acquisiti, culturali e sociali quali sono strettamente collegati all’esperienza, alle condizioni ambientali e all’evoluzione della società e “creati” in particolare dall’azione pubblicitaria e dalla comunicazione. 38

Uno degli obiettivi del marketing strategico diventa quello di agevolare l’adattamento dell’impresa all’evoluzione di bisogni derivati del mercato e alla soddisfazione di questi. Allo stesso tempo dunque la Mission dell’impresa necessariamente dovrebbe ruotare attorno a un determinato bisogno generico piuttosto che a quello derivato che rimane comunque saturabile. Per quanto riguarda invece la classificazione dei Bisogni assoluti e relativi, i primi sono quelli che noi sentiamo a prescindere dalla condizione altrui e sono saturabili, mentre i secondi sono quelli in relazione agli altri e la cui soddisfazione ci porta al disopra degli altri dandoci una sensazione di superiorità e non sono saturabili poiché più sale il livello generale più si sposterà di conseguenza la loro soglia di soddisfazione.39 L’uomo, in tutta la vita e soprattutto nella quotidianetà, è condizionato da tanti fattori, soprattutto sociali.

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Altri autori hanno sostanzialmente rifiutato questa visione neutrale del marketing rispetto ai bisogni basata su una netta distinzione tra bisogni e desideri. Si parte dai desideri la cui dinamica spiega l’accumularsi dei bisogni, la cui mancata soddisfazione sarebbe inaccettabile. Si può quindi distinguere tra Bisogni Consapevoli che sono bisogni che il cliente si aspetta (espressi, non espressi, immaginari, che sono

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parte 3 Copy strategy

Galbraith (1952) Keynes (1936)

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parte 3 Copy strategy Cosa vuol dire progettare la sostenibilità pag.226

quindi i sogni) e Bisogni non Consapevoli: inconsci (si intendono quelli che il cliente matura inconsciamente) e effettivi (che sono connessi al benessere del cliente). Il Marketing Strategico si pone perciò l’obiettivo di proporre al cliente delle soluzioni per la soddisfazione dei suoi bisogni effettivi, siano questi manifesti o latenti, consapevoli o inconsapevoli. 40 Questa è la catena delle forze motivazionali che determinano il benessere individuale: - la ricerca di Confort riduce le tensioni attraverso la soddisfazione dei bisogni fisiologici, la ricerca di Stimolazione fornisce un alternativa alla noia attraverso eccitanti quali la novità, il cambiamento, l’incertezza, la non convenienza etc, la ricerca di Piacere riunisce confort e stimolazione sia nella riduzione delle tensioni, sia nel produrre novità ed eccitazione. Nella nostra società dei consumi, questi sono i bisogni che la progressiva escalation del marketing cerca di soddisfare, bisogni che sono in continua evoluzione poiché appunto non sono saturabili. Abott propone la distinzione tra bisogni generici e bisogni derivati, basata sui temi della saturazione e della risposta tecnologica. Il bisogno generico è in rapporto con quello derivato, in quanto quest’ultimo rappresenta una particolare risposta/soluzione al bisogno generico dato da un determinato bene. Mentre il bisogno derivato è saturabile, il bisogno generico non lo è. Abott mette quindi in evidenza il ruolo dell’innovazione tecnologica in rapporto alla definizione dei bisogni derivati, sia quando tale innovazione è portatrice di migliori prestazioni dei prodotti esistenti, sia quando porta alla sostituzione della soluzione tecnologica esistente con una diversa soluzione. Se nella distinzione proposta da Abott è la variabile tecnologica a fungere da discriminante, in quella proposta da Keynes (e anche da Galbraith) tale ruolo è assunto dalla variabile della vita sociale.

Il marketing crea bisogni o esaudisce desideri? parte 3 Copy strategy Bisogni pag.258

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Qui, si prende distanza dalla tradizionale concezione di marketing quale “creatore di falsi bisogni” esso invece costituisce lo strumento attraverso cui si manifestano i bisogni derivati in continua evoluzione o latenti dei consumatori. Le motivazioni delle decisioni di acquisto del cliente possono essere classificate attraverso diversi criteri: possono rispondere a una ricerca di riduzione delle tensioni (di difesa) o a una ricerca di stimolazione (di offesa), possono esprimersi con una modalità cognitiva o affettiva, possono avere una fonte endogena e quindi legata all’individuo stesso o esogena e dunque legata a fattori esterni dell’ambiente, infine possono essere proattive o reattive a seconda se anticipino o meno i cambiamenti attesi. Tutte queste dimensioni della decisione concorrono l’un l’altra completandosi e

Hamel e Prahalad (1994)

formano l’Intenzione d’acquisto, per passare dall’intenzione alla Domanda è poi necessario l’intervento del potere di acquisto. Kotler distingue tra bisogno, desiderio e domanda: - I bisogni sono “uno stato di tensione, qualche cosa che una persona cerca di soddisfare o ridurre ... e presumibilmente alcuni oggetti o attività consentiranno di farlo”. - Il desiderio diventa poi domanda potenziale quando si accompagna ad un determinato potere di acquisto In questo senso, per Kotler il marketing non agisce sui bisogni ma sui desideri e sulla domanda, in quanto esso cerca di influenzare gli individui e di provocare desiderio, suggerendo l’oggetto (bene o marca) che può dare un contributo alla sua soddisfazione. 41

I bisogni di Murray Secondo Murray il Bisogno è un “costrutto ipotetico che rappresenta una forza nella corrispondente regione del cervello e che organizza e guida il comportamento della mente e del corpo al fine di mantenere l’organismo in una condizione di equilibrio”. I bisogni dunque si suddividono in quattro dimensioni: - Bisogni Primari e Secondari a seconda che abbiano origine fisiologica o meno - Bisogni Positivi o Negativi a seconda che il soggetto sia attirato o respinto dall’oggetto. - Bisogni Manifesti o Latenti a seconda che il bisogno conduca a un comportamento reale o immaginario. - Bisogni Consapevoli o Inconsapevoli a seconda che mantenga nei loro confronti un atteggiamento introspettivo o meno. Si possono inoltre distinguere tre stadi diversi dell’individuo: - Refrattario in cui nessuno stimolo è in grado di risvegliare il bisogno - Inducibile in cui il bisogno è inattivo ma può essere risvegliato - Attivo in cui il bisogno determina il comportamento.

La gerarchia dei bisogni di Maslow Maslow propone una Gerarchia dei Bisogni in cui prevede cinque categorie di bisogni: - Fisiologici, - di sicurezza, - sociali, - di stima, - di autorealizzazione. Maslow afferma che esiste un ordine di priorità che ci spinge a ricercare prima la soddisfazione dei bisogni primari e man mano passare alla categoria successiva. Questi bisogni di ordine inferiore una volta soddisfatti decadono e ci si sposta sui bisogni della classe superiore che iniziano così a influenzare il nostro comportamento. Se prima non si hanno soddisfatti i

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Kotler (1967)

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bisogni fisiologici, non si cercherà la soddisfazione dei successivi. Si verifica perciò secondo Maslow prima una progressiva attenuazione dell’intensità dei bisogni soddisfatti e poi un intensità crescente per i bisogni di ordine superiore ancora non soddisfatti. L’ordine di priorità dei bisogni si basa su due premesse: Riassumendo, Maslow propone un “ordine di priorità dei bisogni” sulla base di due premesse essenziali, che si possono sintetizzare nei termini seguenti: - un principio di saturazione dei bisogni, per cui un bisogno che viene soddisfatto in modo regolare cessa di essere motivante; - un principio di gerarchia tra i bisogni, per cui un bisogno risulta motivante sole se sono soddisfatti i bisogni di livello inferiore. 42 “Il desiderio ci suggerisce: impossessati di quell’oggetto e potrai essere felice. Noi gli crediamo e ci sforziamo di ottenere l’oggetto. Se non lo otteniamo, o se non ne otteniamo abbastanza, soffriamo. Se invece lo otteniamo, il desiderio ci propone all’istante un altro obiettivo e noi non riusciamo nemmeno ad accorgerci che siamo stati presi in giro”

22. Piramide della gerarchia dei bisogni di Maslow.

La teoria dei valori di Rokeack Secondo Rokeach i Valori sono legati ai bisogni ma si manifestano ed esprimono in modo più vicino a noi. Essi sono le rappresentazioni mentali dei bisogni individuali, istituzionali e sociali. Sono le idee che ci facciamo su ciò che è desiderabile. Rokeack distingue tra Valori Terminali, e cioè le nostre convinzioni rispetto ai nostri obiettivi e Valori Strumentali, i quali indicano invece le nostre convinzioni sulle modalità da adottare per raggiungere i valori terminali. Sono i valori che spingono ad avere determinati bisogni. E allora, in questa prospettiva, la conoscenza dei valori è un utile strumento per conoscere le motivazioni dei comportamenti. 43

La teoria dei Mezzi-Fini La Teoria Mezzi-Fini si propone di individuare i legami che intercorrono tra comportamenti e valori e di spiegare come la scelta di un prodotto o di un servizio serva a raggiungere una condizione desiderata. Dunque per ‘Mezzi’ si intende i prodotti e i servizi acquistati, mentre i ‘Fini’ corrispondono ai valori terminali evocati da Rokeach. Tre sono gli elementi che costituiscono la catena mentale della teoria mezzi fini e sono: gli attributi dei prodotti che possono essere tangibili e intangibili, le conseguenze funzionali e psicosociali causate dal consumo dei prodotti, e infine Valori terminali e strumentali. L’acquisto di un prodotto pertanto avverrebbe in relazione al valore finale che permetterebbe di raggiungere, e che non è altro che la risultante degli attributi di prodotto che derivano dalle caratteristiche di produzione. Al cliente finale di beni di consumo interessano poco le caratteristiche tecniche di produzione, ammesso che sia in grado di comprenderle, cosa che invece non avviene in un mercato business to business dove il cliente professionista è specializzato e privilegia le caratteristiche tecniche di un prodotto piuttosto che il suo paniere di attributi.

La decisione di acquisto di Sheth, Newman e Gross Sheth, Newman e Gross applicano il concetto di valore alla decisione di acquisto descrivendola come un fenomeno multidimensionale che coinvolge diversi valori: - Valore Funzionale, e cioè l’utilità di un bene percepita nello svolgere il suo ruolo utilitario e fisico; - Valore Sociale e cioè l’utilità di un bene in relazione alla sua associazione a uno o più gruppi sociali; - Valore Emozionale, la capacità di un bene di suscitare sentimenti o reazioni affettive; - Valore Epistemico, la capacità di un bene di suscitare curiosità, o di soddisfare un desiderio di conoscenza; - Valore Circostanziale, l’utilità di un bene in una situazione o in un contesto specifico nel quale si trova chi deve decidere. Questi sono i valori che si trovano alla base della teoria del prodotto come paniere di Attributi.

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Maslow (1943)

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Rokeack (1967)

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Il prodotto come paniere di attributi Dall’analisi dei bisogni si è pervenuti alla conoscenza della struttura multidimensionale dei bisogni. Questa struttura multidimensionale applicata al concetto di prodotto fa vedere quest’ultimo come un Paniere di attributi. Un prodotto infatti fornisce essenzialmente un servizio di base, ma non solo quello. Attorno ad esso infatti vi sono dei servizi supplementari o valori aggiunti che accrescono il valore di quest’ultimo completandolo o migliorandolo. L’insieme dei servizi di base e aggiunti costituisce il Paniere di attributi. Per quanto riguarda il Servizio di base di un prodotto, esso rappresenta il valore funzionale che appartiene alla categoria di prodotto e il vantaggio generico o di base che è offerto da tutte le marche di quella categoria di prodotti. Esso costituisce anche il Mercato di riferimento a cui si rivolge l’impresa. I servizi Supplementari che ruotano attorno a quello di base possono risultare estremamente importanti nel caso in cui la concorrenza delle altre marche sia elevata e le prestazioni di base dei concorrenti si equivalgano. Questi servizi supplementari possono essere: - Servizi necessari e cioè le modalità di produzione del servizio di base e tutti quei servizi aggiunti che normalmente si accompagnano allo stesso servizio di base. - Servizi Aggiunti e cioè quei servizi non necessariamente legati a quello di base e che rappresentano un valore aggiunto e distintivo per la marca. Il Marketing mira ad influenzare i desideri, suggerisce ai consumatori che l’acquisto è un buon sistema per soddisfare le proprie esigenze di status sociale. Il marketing non crea il bisogno di status, ma si limita a suggerire in che modo una marca può contribuire alla sua soddisfazione. La soddisfazione dei bisogni dell’acquirente è al centro dell’economia di mercato e dell’approccio di marketing che ne deriva. La critica al marketing che ne deriva è quella di aver fatto del mercato un meccanismo di creazione di bisogni invece che un meccanismo di soddisfazione degli stessi. Il fatto di generare voglie e desideri, che non possono tradursi in domanda in assenza di potere d’acquisto, può essere fonte di frustrazioni e malfunzionamenti dell’assetto economico. Per capire meglio cosa sono i bisogni e i desideri e, soprattutto, quanto sia difficile e complesso capire il consumatore, e di conseguenza, offrirgli ciò che cerca e desidera è utile leggere quanto segue: “Coloro che attribuiscono importanza al valore del piacere possono apprezzare una tazza di caffè per il gusto ricco, mentre coloro che privilegiano la realizzazione personale vedranno il caffè come un mezzo che dà loro un leggero stimolo a migliorare la produttività; altri ancora, che privilegiano i rapporti umani, considereranno il fatto di prendere un caffè con altre persone come un rituale sociale”

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Molto importante, oltre conoscere i comportamenti di acquisto, è capire le motivazioni degli acquirenti. Nella moderna teoria economica sul comportamento d’acquisto del consumatore, il consumo è concepito come un’attività nella quale i beni sono impiegati per “produrre” i servizi da cui deriva l’utilità per l’individuo. Le scelte del cliente si basano non tanto sul prodotto quanto sul servizio che da esso si ottiene. Psicologia di marketing e comunicazione Questo paragrafo prende spunto dagli studi di un consulente e docente di marketing e organizzazione aziendale, Daniele Trevisani. Il titolo del paragrafo riprende quello del libro il cui sottotitolo è: “Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. La particolarità di questo libro, come dice il titolo, è nel considerare il marketing dal punto di vista psicologico. Si è normalmente abituati a pensare al marketing come a qualcosa di economico, di quantitativo, di statistico. La metodologia usata da Trevisani si chiama ALM (Action Line Management) e parte da una analisi di scenario, entro cui colloca la mission dell’azienda. La mission è messa in relazione con il marketing mix specifico dell’area merceologica. Dal marketing mix si sviluppa la linea d’azione che determina il comportamento della front line, e cioè di quelli che hanno a che fare direttamente con i clienti. Trevisani punta esclusivamente sul rapporto psicologico e personale tra fornitore e cliente. Quote e numeri spariscono, o quanto meno passano sullo sfondo, di fronte alla psicologia del produttore, del venditore, del consumatore, del decisore aziendale. Ecco dunque che il marketing non è più quella scienza arida e seriosa fatta di diagrammi a torta, di regressioni lineari, di preventivi e consuntivi, di politiche di prezzo, di strategie di distribuzione, ma diventa una affascinante disciplina centrata sul legame più forte che esiste tra le persone, quello che le spinge a dare e prendere qualcosa l’una dall’altra, a cercare, a sognare, a immaginare, a volere, a cedere proprie risorse in cambio di oggetti di desiderio. L’acquisto non è solo un banale atto con cui ci si procura qualcosa di cui si ha bisogno, ma è un’azione simbolica con cui ci si costruisce la propria immagine sociale e la propria relazione con gli altri. L’acquisto è solo l’atto emblematico e conclusivo di tutto un processo articolato e complesso come è complessa la natura umana vista nella sua interezza. Consumatore e produttore diventano interlocutori e tra loro inizia una comunicazione costante e reciproca che porta il consumatore e scegliere

parte 1 La persuasione Il processo comunicativo e persuasivo pag.84

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quel determinato prodotto perché prima il produttore ha ascoltato la sua richiesta. I consumatori sono persone che amano e odiano, provano simpatie e antipatie, hanno un concetto di sé che vogliono confermare. Le loro decisioni di acquisto sono fortemente condizionate da questo insieme di pulsioni, dove le considerazioni razionali si mischiano con emozioni, timori, bisogni latenti. E allora Trevisani parla di marketing percettivo, partendo dalle illusioni ottiche e mostrandoci come il prodotto viene visto, ascoltato, annusato, gustato, toccato. La casa del marketing apre nuove finestre sul panorama delle percezioni sensoriali, della teoria della Gestalt secondo cui noi riorganizziamo le nostre percezioni in base a ciò che sappiamo, del budget mentale che assegna diverse priorità alle decisioni, dei bisogni di Maslow, secondo cui ai bisogni primari seguono bisogni sempre più sofisticati. Aver fatto un buon prodotto, con un prezzo competitivo, e avere una buona rete di vendita, non basta più per avere successo in un mercato saturo. Noi non compriamo una cosa perché ci serve, ma perché soddisfa un insieme di nostri bisogni psicologici. Basti pensare a quei prodotti che fanno tendenza, che testimoniano l’appartenenza ad un gruppo o ad un modo di pensare, come per il commercio equo e solidale. Anche la customer satisfaction è rivista alla luce delle complessità psicologiche, dove non si tratta più di soddisfare le attese del cliente, ma di ridurre quel gap che fatalmente esiste fra il prodotto reale e il prodotto ideale che il cliente sogna nella sua mente. Viene da pensare che la vendita diventa così qualcosa di troppo raffinato e complesso per lasciarla fare solo ai venditori, e che il marketing non può più essere solo roba da economisti. Infatti, non a caso molti marketing manager vengono da studi umanistico-filosofici e dalla comunicazione. E anche i grandi venditori sono buoni conoscitori della psicologia delle persone, magari senza saperlo. Del resto recentemente il marketing è diventato scienza della relazione con il cliente (marketing relazionale, customer relationship marketing). 44

Psicologia del marketing: Tecniche di marketing nei media tradizionali Le ricerche di marketing costituiscono uno strumento fondamentale nella realizzazione e diffusione di un messaggio pubblicitario. Queste nel corso degli anni hanno subito un’evoluzione dipesa da diversi fattori; in primis dallo sviluppo e dell’incremento dei mezzi di comunicazione di massa. La comparsa di nuovi media e di strumenti tecnologici ed il loro costante perfezionamento hanno infatti contribuito ad ampliare non solo le tipologie di messaggi pubblicitari ma l’intero sistema pubblicitario, rivoluzionando così anche il mondo del marketing.

Sulla base di questo processo di sviluppo possono essere individuate due tipologie di tecniche di marketing: quelle utilizzate nell’ambito dei media tradizionali e le tecniche di marketing utilizzate nei nuovi media. Le tecniche di marketing utilizzate nell’ambito dei media tradizionali sono state sviluppate ed utilizzate in modo particolare nell’ambito cinematografico e televisivo e consistono ne: la ripetizione, la attentiongetting production features, l’animazione, i branded characters, il celebrity endirsement, i premiums, il product placement, le integrated marketing strategies ed il video news realises. Vediamole brevemente: - Ripetizione: consiste nella ripetizione dello stesso messaggio per lassi di tempo variabili; - Attention-getting production features: la pubblicità viene implementata da effetti che hanno lo scopo di attirare l’attenzione dello spettatore verso lo spot, sono di tipo sonoro e visivo e possono includere oggetti o persone in movimento spesso a ritmo di musica; - Animazione: è costituita dall’utilizzo di disegni animati ed immagini in movimento; - Branded characters: prevede la sponsorizzazione del prodotto attraverso l’uso di personaggi popolari tratti da programmi e contenuti di animazione; - Celebrity endorsement: o celebrità testimonial, il prodotto viene presentato da personaggi famosi appartenenti al mondo dello spettacolo, dello sport, della musica, che nel messaggio pubblicitario mostrano di utilizzare ed approvare il prodotto; - Premiums: sono dei piccoli giocattoli o oggetti che vendono distribuiti in omaggio con l’articolo che si sta acquistando. Un esempio di questa strategia di vendita è il giocattolo o gadget che accompagna l’acquisto dell’Happy Meal; - Product placement: questa tecnica ha avuto larga diffusione in ambito televisivo e cinematografico. Il prodotto pubblicizzato viene in genere inserito all’interno di scene contenute in programmi televisivi o produzioni cinematografiche. Ciò è finalizzato non solo a promuovere un determinato prodotto ma soprattutto a non dare la percezione allo spettatore di assistere ad un messaggio pubblicitario, rendendolo così molto più efficace. - Strategie di marketing integrato: è costituita dallo svolgimento di campagne pubblicitarie strutturate in contemporanea su più media; ad esempio l’utilizzo del celebrità endorsement può essere accompagnato dalla scelta di allegare dei premiums al prodotto; - Video news releases: consiste nella realizzazione di video da parte delle compagnie produttrici riguardo i loro articoli e a iniziative ad essi correlate che in seguito vengono distribuiti e trasmessi a livello televisivo.

parte 3 Il progetto Tappeto “passi” pag.299

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Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management, Franco Angeli, 2002

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Tecniche di marketing nei nuovi media In seguito allo sviluppo dei nuovi media sono state elaborate nuove tecniche più sofisticate e innovative che riescono non solo a veicolare il messaggio pubblicitario in modo efficace ma anche ad interagire con il consumatore e a registrarne e a analizzarne le scelte e i consumi. Alle tecniche tradizionali, che abbiamo visto poco più in su, si sono aggiunte negli ultimi anni: il viral marketing, l’advergames, il tracking software e spyware e gli online interactive agents. Le tecniche di marketing utilizzate nell’ambito dei nuovi media consistono in: - Viral marketing: concerne il ‘buzz’ riguardo un prodotto, servizio o evento e viene diffuso nelle forme più varie e fantasiose, in modo estremamente veloce e grazie al passaparola. In nome deriva dalla tendenza all’utilizzo di una figura che veicola e diffonde il messaggio pubblicitario velocemente in modo analogo a quanto accade con il contagio virale. - Advergames: si tratta di videogiochi interattivi realizzati al fine di veicolare dei messaggi pubblicitari. La loro peculiarità rispetto ad altre tecniche di marketing è il passaggio da parte dell’utente dalla condizione di spettatore passivo a quello di soggetto attivo in quanto interagisce con il sito e le sue features durante il gioco. Questo è estremamente importante poiché riesce a coniugare il mantenimento di elevati livelli attentivi con la fruizione del messaggio pubblicitario aumentandone così l’efficacia in modo esponenziale. - Tracking software e spyware: consistono in software che permettono di raccogliere dati inerenti alle modalità di navigazione e ai temi di permanenza degli utenti all’interno di un sito. I più conosciuti sono i cookies, ovvero dei files che vengono istallati dal sito visitato all’interno del computer degli utenti e vengono nuovamente raccolti e aggiornati ad ogni accesso al sito. Ciò ha lo scopo non solo di tracciare la navigazione dell’utenza ma anche di testare l’efficacia delle strategie marketing adottate e di monitorare le preferenze su prodotti e aree del sito. - Online interactive agents: rappresenta una forma virtuale di pubblicità nascosta. Tali agenti sono dei robot o dei bot che vengono programmati per dialogare con gli utenti e rispondere ai navigatori che iniziano una conversazione con loro. Questa tecnica è finalizzata al mantenimento e all’incremento dell’interesse verso il sito e gli articoli che promuove e in modo particolare all’accrescimento della brand loyalty. L’influenza dei mass media e l’effetto terza persona Che i media influenzino le opinioni e le scelte degli individui è cosa risaputa, ma quanto siamo consapevoli dell’effetto che hanno su di noi? La risposta più appropriata è che in parte siamo consapevoli dell’influenza che esercitano su di noi i mass media ed in parte no e riteniamo che a subirne l’influsso siano gli altri piuttosto che noi personalmente. Per spiegare questo è utile citare la teoria elaborata da Davidson (1983) secondo

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cui le persona sottostimano l’effetto che i mass media hanno si di loro e al contempo sovrastimano quello che hanno sugli altri. Tale meccanismo prende il nome di “effetto terza persona”. Ciò sembra sia dipeso dal bisogno di percepire le proprie azioni come libere da qualsiasi forma di controllo al fine di accrescere il proprio livello di autostima. Questo induce le persone ad attuare un confronto tra se stessi e gli altri sulla base dell’influenzabilità; così la propria capacità di resistere all’influenza mass mediatici sarà posta in risalto dalla difficoltà degli altri a farlo. Ciò determina l’attivazione di un meccanismo di confronto sociale per cui la propria riuscita verrà enfatizzata dall’insuccesso altrui; in questo caso sarà enfatizzata la capacità di percepire se stessi come libero dai condizionamenti esercitati dai mezzi di comunicazione di massa. Studi svolti in questo ambito hanno evidenziato che l’effetto terza persona risulta essere enfatizzato quando: 1. la fonte che veicola le informazioni viene percepita come poco attendibile o tendenziosa; 2. l’informazione è avvertita come dannosa o socialmente indesiderabile; 3. le persone su cui i media hanno influenza vengono percepiti come una categoria estremamente ampia e socialmente distante. Uno studio ha indagato sulla percezione dell’influenza mass mediatici nel corso delle elezioni politiche tenutesi in Australia nel 1993. Sono stati creati due gruppi composti da soggetti che avevano espresso la loro preferenza di voto per i due maggiori partiti contrapposti che si erano presentati alle elezioni. Ai soggetti era stato chiesto di indicare quale secondo loro poteva essere l’influenza esercitata da diverse tipologie di trasmissioni televisive mandate in onda durante il periodo elettorale. Sulla base dei risultati ottenuti è emerso che le persone percepiscono la loro espressione di voto come mediamente meno influenzata dai mass media rispetto a quella delle altre persone. Interessante notare che il grado di differenziazione varia in base alle prerogative che presenta il gruppo con cui viene effettuato il paragone e al grado di identificazione della persona con il partito di appartenenza. Infatti ad una maggiore identificazione corrisponde un aumento della tendenza a ritenere i membri del proprio schieramento politico come influenzati in modo minore dai media rispetto agli appartenenti al partito avversario. Questo si rivela molto interessante soprattutto alla luce della teoria erborata da Tajfel e Turner (1986) secondo cui gli individui in determinate situazioni tendono a percepire se stessi come membri appartenenti a dei gruppo piuttosto che come degli individui singoli. In queste situazioni le persone hanno la tendenza a fare dei confronti intergruppo che favoriscono il proprio gruppo di appartenenza.

parte 3 Copy strategy Obiettivi della tesi pag.256

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Inoltre nei soggetti in cui l’identità di partito venga percepita come forte la comparsa dell’effetto terza persona è condizionata all’appartenenza di gruppo e la gerarchia dell’influenza percepita vede in ordine crescente: se stessi, i componenti del proprio gruppo, quelli del gruppo avversario e gli elettori in genere.

Strategie di marketing Fin qui si è fatta una panoramica sul significato di marketing e su tutti gli strumenti che si mettono in campo quando si realizza una strategia marketing. Eppure, ogni azienda, ogni periodo storico della società, ogni Paese e infine ogni persona -consumatore, può essere spinto all’acquisto con modalità differenti. Certo, le basi di tutto rimangono le regole della comunicazione, della retorica e persuasione, che la pubblicità fa proprie, però possono cambiare le tattiche, le stretegie, gli approcci. Nei paragrafi che seguono, si analizzano alcune tra le più diffuse e le più in voga al momento, stretegie marketing, fino a giungere alla strategia dalla quale saranno attinti, per la realizzazione del progetto finale, più elementi e la mission: il marketing mediterraneo.

Marketing emozionale e marketing polisensoriale

La gestione delle leve irrazionali dell’acquisto

Al momento dell’acquisto, oltre che fattori di tipo razionale (mi serve un prodotto) gioca un ruolo fondamentale l’aspetto irrazionale, il subconscio del consumatore che non è un soggetto totalmente razionale. Dagli studi scientifici che ribadiscono l’importanza del fattore emotivo nella decisione d’acquisto, si abbandona l’idea del marketing come logica di “bisogno-acquisto-beneficio”. G.Abbate e U.Ferrero, in ‘Emotional assets’ fanno riferimento alle ricerche neuroscientifiche che hanno dimostrato come nell’animale esistano due modalità di pensiero, l’una razionale (afferente alla parte sinistra del cervello) e l’altra irrazionale (afferente alla parte destra), distinte ma interagenti. Secondo gli stessi autori, questi studi forniscono un apporto importante alla ricerca orientata al mercato poiché consentono di comprendere meglio le scelte del consumatore e, quindi, anche di mettere a punto una comunicazione più mirata. Molto importante capire, per coloro che progettano le strategie comunicative, che la sfida non è più tra prodotti, ma tra percezioni attorno ai prodotti; ed è allora la comunicazione, che lavora sulle percezioni, a fare la differenza. Oggi “non è più il prodotto ad essere venduto”, dato che per ogni categoria merceologica esiste una scelta amplissima, quindi ciò su cui bisogna puntare, è il rapporto che il soggetto stabilisce col brand e con i valori e le emozioni che esso comunica. A questo proposito Fabris sostiene che “il consumatore ha cambiato pelle o sta cambiando pelle, in cerca di esperienze più che di prodotti, di sensazioni e di emozioni più che di valori d’uso.” 40 L’obiettivo che oggi il marketing si pone è quello di indagare, non più solo

sul comportamento del consumatore, ma sulla sua mente, sulla sua soggettività, sui suoi desideri, sulle sue emozioni e percezioni, in rapporto ad un prodotto o ad una comunicazione, al fine di capire meglio i suoi bisogni e quindi soddisfarli. Si parla quindi di marketing emozionale, che Abbate e Ferrero definiscono: “l’insieme delle forme interpretative della realtà circostante espresse dalla parte destra del cervello, analizzate attraverso tecniche estremamente raffinate che si servono dei metodi della psicolinguistica applicata secondo parametri e schemi statistici costantemente aggiornati e verificati”. 45 Le sensazioni soggettive ed irrazionali che concorrono al processo d’acquisto, sembrerebbero dipendere dagli stimoli sensoriali attivati nel consumatore al momento della sua decisione; ne consegue la necessità per l’azienda di trasmettere gli stimoli sensoriali più adatti a convincere il cliente circa l’irrinunciabilità e l’insostituibilità del prodotto. Di questo, appunto, si occupa il cosiddetto marketing polisensoriale (definito quindi in relazione al marketing emozionale), che propone tecniche di vendita e di comunicazione basate sulla sollecitazione strategica di tutti e cinque i sensi del consumatore. Compito della comunicazione polisensoriale sarà allora quello di estendere i propri contenuti e le proprie capacità espressive oltre il visivo e l’auditivo, ottenendo così due vantaggi, ossia dotare il prodotto di un’identità forte, “a tutto tondo”, e coinvolgere maggiormente il consumatore sia sul piano cognitivo che su quello passionale.

Linguaggi sinestetici La comunicazione polisensoriale attorno al prodotto può innanzitutto avvalersi di linguaggi di tipo sinestetico. La sinestesia è una figura retorica basata sulla messa in relazione di due o più sistemi sensoriali, come associare un aggettivo appartenente al livello del tatto, a un oggetto che si vede o che si odora (profumo ruvido). In pubblicità oggi si utilizzano moltissimo le sinestesie e, come spiega bene G. Ceriani nel suo saggio intitolato ‘Dal sincretico al sinestesico: le metafore del sensibile’, oggi il sincretico46 si apre sempre più al sinestesico. Mediante l’utilizzo di sinestesie, la pubblicità riesce a creare una relazione più prossima col ricevente e ad attivare il suo consenso lavorando su due livelli: - abbassando la soglia cognitiva responsabile del giudizio (in semiotica si parla di sanzione) in favore di quella affettiva/sensoriale;

parte 3 Il progetto Tappero “passi” pag.299

45

Abbate e U. Ferrero, Emotional assets secondo la terminologia semiotica, un testo sincretico è un testo che utilizza più codici espressivi – lo spot pubblicitario, ad esempio, è un tipico caso di testo sincretico in quanto utilizza due codici, visivo e sonoro

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Zanacchi Adriano, Pubblicità: effetti collaterali. Riflessioni sulle conseguenze «involontarie» della pubblicità, 2004

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- moltiplicando i percorsi cognitivi, relativi ai sensi chiamati in causa. In un certo senso, si potrebbe parlare di una pratica al limite del subliminale: “con l’evocazione delle sensazioni si sollecitano direttamente i desideri psico-fisici dell’individuo (la fame, il desiderio di freddo o di caldo, la sete, la voglia di contatti piacevoli ed eventualmente seducenti come quelli attesi, ad esempio, da una stoffa di seta) e si convoca una manipolazione potente ancorché indiretta”. 47

Stimolazioni sensoriali Il mondo della pubblicità non è l’unico aperto alla sinestesia. Il marketing, che non si dimentica di tutti gli strumenti/luoghi che ha a disposizione per colpire il consumatore, si sta impegnando sempre di più nel puntare a stimolazioni sensoriali più “concrete”, ad esempio con l’immissione di determinati profumi o musiche nel punto vendita. Questa è anche un’applicazione diretta del marketing polisensoriale ed emozionale: il consumatore fa esperienza diretta dei valori e del mondo del brand direttamente sulla propria pelle. Gli odori sono dei potenti media grazie alla loro capacità di imprimersi a lungo nella memoria. La loro elaborazione pertiene alla parte emozionale del cervello, ed essi vengono quindi registrati sotto forma di emozioni, strettamente legate alle situazioni in cui sono stati percepiti per la prima volta. Per tale motivo, l’utilizzo degli odori a fini commerciali è un trend che si va sempre più affermando: dagli agenti immobiliari che profumo di caffè, o di torta nel forno, le case da mostrare a dei potenziali acquirenti (perché questi odori attivano emozioni positive, legate a concetti come “infanzia” e “mamma”) ai grandi magazzini che diffondono profumi di campo per indurre il rallentamento dell’andatura dei clienti (che quindi possono dedicare più tempo agli acquisti), si tratta sempre di sfruttamento non ingenuo del potere evocativo degli odori. Anche la musica è fortemente interrelata alle emozioni e la sua utilità a fini commerciali è ben nota da tempo. Un fenomeno cui si assiste sempre più di frequente è l’utilizzo in pubblicità di canzoni già famose: il passaggio dall’ambito culturale a quello promozionale comporta infatti due notevoli vantaggi, ossia lo “sfruttamento” di emozioni, perlopiù positive, già esistenti (legate alle situazioni in cui la canzone è stata udita precedentemente) e un surplus di popolarità per il prodotto pubblicizzato. Marketing esperienziale Il marketing esperienziale si potrebbe definire la diretta “conseguenza” del marketing emozionale e fa della polisensorialità il punto di forza. Il cliente ha bisogno di emozioni, è giudato all’acquisto di un prodotto per non per i suoi requisiti fisici, ma per l’esperienza che potrà vivere utilizzandolo. Il marketing, da tempo pone attenzione sulla ritrovata sfera del sensibile. Teorizzato da Bernd Schmitt, professore alla Columbia University, il ‘marketing esperienziale’ è così chiamato in quanto si basa più sull’esperienza del consumo

che sul prodotto in sé. Obiettivo primario della strategia di marketing sarà allora quello di individuare che tipo di esperienza valorizzerà al meglio il prodotto: secondo Schmitt esistono cinque diversi tipi di esperienza: 1. sense experiences ovvero esperienze che coinvolgono la percezione sensoriale; 2. feel experiences ovvero esperienze che coinvolgono i sentimenti e le emozioni; 3. think experiences ovvero esperienze creative e cognitive; 4. act experiences ovvero esperienze che coinvolgono la fisicità; 5. relate experiences ovvero esperienze risultanti dal porsi in relazione con un gruppo. Il manager potrà costruire per i consumatori queste esperienze mediante il communication mix, ovvero l’insieme degli strumenti che parlano della marca, inclusi siti internet, punti vendita e personale. Naturalmente, questi cinque tipi di esperienza potranno essere combinati tra loro a formare “esperienze ibride” o “esperienze olistiche” (nel caso in cui vengano combinate tutte e cinque). Il marketing esperienziale si differenzia dal marketing tradizionale per il fatto di costruire marche che interagiscono con le vite reali dei clienti. Una delle tendenze del marketing esperienziale riguarda lo spazio del punto vendita. Stiamo assistendo alla trasformazione del retailing, che si oriente sempre di più verso l’entertainment. Il pubblico, stanco della fredda virtualizzazione promossa dalla tecnologia, sembra aver riscoperto l’importanza del contatto umano e lo ricerca anche nel punto vendita, col quale vuole instaurare un rapporto partecipativo ed emozionale. Ecco allora che il punto vendita risponde dotandosi di strumenti comunicativi e di attrazione basati sulla stimolazione di tutti e cinque i sensi del cliente. E’ approdata così anche in Italia la nuova forma di punto vendita denominata concept store e ispirata all’arte fusion: ne è l’esempio più recente lo spazio Boffi, aperto a Milano nel 1998 e riaperto al pubblico in seguito al riassetto architettonico realizzato dall’architetto Piero Lissoni in collaborazione con la direzione marketing di Boffi. Uno spazio di 1200 metri quadri, sviluppato su tre livelli e organizzato in diversi ambienti che si differenziano tra loro per illuminazione, musica e profumazione. Fondamentale appare, dunque, il ruolo del design nella ridefinizione del punto vendita. 48 Giovanni Anceschi, nella prefazione al libro di Dina Riccò ‘Sinestesie per il design’, 49 parla di come nella nostra ‘cultura dell’artificiale’ l’impoverimento sensoriale sia dovuto a due spinte: - da un lato, alla de-corporalizzazione cui ci spinge la tecnologia; - dall’altro, al frastuono sensoriale che domina i luoghi pubblici e il mondo dei media. La progettazione opererà allora nel senso di una ricostruzione sensoriale, creando ambienti in cui i cinque sensi cooperino armoniosamente alla percezione, anziché venire narcotizzati (per mancanza di stimoli) o storditi (per eccesso di stimoli).

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G. Ceriani, Dal sincretico al sinestesico: le metafore del sensibile

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http://www.popai.it (il sito web del Point Of Purchase Advertising International) Riccò D., Sinestesie per il design, le interazioni sensoriali nell’epoca dei multimedia, 1999

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Customer experience I più sbrigativi la definirebbero come “il servizio clienti“, la funzione aziendale che, unendo pazienza e diplomazia, è deputata ad ascoltare e leggere lamentele e, raramente, suggerimenti dei clienti cercando di rispondere a tutti accontentandone il più possibile. Niente di più sbagliato, come approccio e come definizione. In realtà il servizio clienti non è che uno degli elementi che contribuiscono a creare la customer experience che si può definire come il grado di percezione che i clienti hanno delle loro interazioni con un’organizzazione o brand. 50 Quindi come una situazione in cui sono i clienti il vero punto forte della relazione con un’azienda in quanto detentori della componente emozionale.

Stimolare positivamente la customer experience. Per far in modo che il consumatore sia influenzato positivamente nella relazione con il brand, è necessario far scatenare la sua emotività. L’azienda non può che prenderne atto e cambiare i propri atteggiamenti per arrivare a stimolare un sentimento empatico nel consumatore. Se un consumatore si sente libero di esprimere la sua opinione direttamente all’azienda, se si sente ascoltato e, perchè no anche esaudito nelle sue richieste, è un consumatore felice. E un consumatore felice continuerà ad acquistare proprio quel prodotto perchè lo sente più suo. Il segreto per l’azienda sta proprio nel riuscire a stimolare esperienze positive nei consumatori. Sembra una cosa semplice, ma come già detto non si tratta banalmente del numero verde di un servizio clienti. E’ una situazione che investe tutta la struttura aziendale di un cambiamento incisivo e radicale nel modo di presentarsi all’esterno. Bisogna farsi percepire come un’azienda aperta, trasparente e dinamica. Per il consumatore ciascun dipendente rappresenta l’intera azienda ed è importante che ciascuno abbia nei confronti del consumatore un comportamento omogeneo e condiviso da tutti gli individui interni all’azienda. Attenzione però, non si sta parlando di regole e procedure imposte dall’alto. Anche qui il principio è uno e semplice: non dimenticare mai che ogni membro dell’azienda è un essere umano e quindi un consumatore per un’altra azienda.

Gli strumenti per una customer experience che crei valore. I social media oggi consentono di avere un rapporto diretto con i propri consumatori senza intermediari creando una situazione di grande vantaggio per entrambi: da un lato i consumatori possono esprimersi per migliorare il prodotto che già usano ogni giorno, e dall’altro l’azienda può ascoltarli migliorando un prodotto che verosimilmente attrarrà altri consumatori, ma che sicuramente farà felici quelli attuali. Un vantaggio notevole per l’azienda visto che si possono risparmiare soldi in costose ricerche di mercato che nella migliore delle ipotesi non aggiungeranno niente di nuovo a quanto l’azienda può già scoprire da sola con un investimento minimo.

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Customer Experience Matters

Marketing relazionale Il marketing relazionale è quella branca del marketing che permette di accrescere la relazione con il cliente attraverso la sua fidelizzazione. Il marketing relazionale potrebbe essere descritto come la creazione, lo sviluppo, il mantenimento e l’ottimizzazione delle relazioni tra Clienti ed Azienda, basato sulla centralità del cliente. Rappresenta l’insieme dei processi di gestione della relazione con i clienti attraverso l’analisi delle sue informazioni. La relazione che viene stabilita tra i consumatori e l’azienda è una relazione one-to-one, un rapporto diretto tra il brand e il suo target. A differenza del marketing tradizionale, infatti, il marketing relazionale non analizza ampi segmenti di consumatori, ma tende a interessarsi a target molto precisi, cercando di creare un filo diretto tra l’azienda e ogni singolo consumatore attraverso molteplici canali: dalla comunicazione web a quella telefonica (call center), la relazione tende ad essere bilaterale e permette alle aziende di conoscere in maniera approfondita i propri interlocutori. Gli esperti in marketing relazionale studiano tutte le possibilità per generare una relazione continuativa tra consumatore e marca e, tendenzialmente, coinvolgono il target in programmi a lunga scadenza che offrono benefici immediati e senso di appartenenza ed esclusività che lega al brand. Ciò avviene attraverso la creazione di Club, programmi di caring, raccolte punti, concorsi a premio, member gets members, oppure attraverso benefit mirati o programmi di collection, intesi come accumulo di sconti restituiti al titolare in via posticipata o tradotti in buoni sconto o altro. Per ottimizzare il Marketing Relazionale è necessario creare con la clientela una relazione di tipo personalizzato attraverso: - la conoscenza delle caratteristiche dei clienti, dei loro bisogni e delle loro preferenze; - creazione di fasce di utenza, in funzione delle loro caratteristiche - creazione di una comunicazione bilaterale - creazione di azioni mirate alle fasce di utenza - creazione di proposte mirate a seconda dei bisogni Tra le varie forme di marketing da mettere in atto nella propria strategia aziendale, il marketing relazionale è sicuramente quella più importante nelle fasi di forte competitività e di generale incertezza economica. Attraverso la creazione di relazioni durature e stabili, punta infatti a produrre valore dai clienti già acquisiti dall’azienda. L’assunto su cui si basa il marketing relazionale è che è molto più difficile e costoso acquisire un nuovo cliente piuttosto che mantenerne uno già in essere e renderlo ancora più disposto a spendere. L’acquisizione di un nuovo cliente è operazione costosa sia in termini di investimenti diretti (pubblicità, promozioni e operazioni di marketing) sia in termini di risorse. Un cliente già acquisito, al contrario, ha una predisposizione favorevole nei confronti del prodotto/servizio, ha una buona considerazione

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dell’azienda ed è in sostanza pronto a spendere di nuovo. Sulla base di questo gruppo (spesso ristretto) di clienti si gioca la stabilità dell’azienda. Essi sono predisposti a spendere: bisogna dare loro l’occasione di farlo in modo intelligente, diversificando e personalizzando le proposte, fidelizzando in continuazione, avendo come obiettivo costante la soddisfazione del cliente.

La conoscenza fattore chiave L’aspetto più importante del marketing relazionale può essere considerata la fidelizzazione del cliente, da attuare attraverso molteplici formule. Per avviare ogni tentativo di fidelizzazione e in generale di relazione con i clienti, però, è necessario conoscere il cliente stesso. La conoscenza, anzi, può essere definita come la chiave di volta di ogni processo di marketing relazionale. Una conoscenza non passiva, ma attiva, che evolve nel tempo di pari passo con la storia dell’azienda (dei suoi prodotti e delle sue offerte) e con la storia del cliente. Una conoscenza che si sviluppa essenzialmente su tre fronti: - I rapporti diretti. Lo storico del cliente stesso, che una volta analizzato è in grado di suggerire il profilo/tipo del cliente nel suo rapporto con l’azienda. Questo tipo di archivio è in grado di indicare per ogni cliente che cosa compra (la merceologia a cui è interessato maggiormente), quanto spende (lo scontrino medio e la sua capacità/predisposizione all’acquisto), quando compra (la frequenza d’acquisto ma anche la periodicità), come preferisce pagare. - I dati sensibili. Sono le informazioni complementari che possono essere raccolte tramite questionari, promozioni e altri metodi simili. Di per sè possono essere poco significative e addirittura fuorvianti. Due sono gli utilizzi corretti da fare di questo tipo di conoscenze. Da una parte la raccolta - correttamente tutelata secondo i dispositivi di legge e con policy aziendali restrittive - dei dati personali al fine di individuare offerte e promozione personalizzate che soddisfino effettivamente il cliente. Dall’altra la raccolta di dati aggregati per capire il trend dell’azienda, il proprio target e quindi per (ri)posizionare al meglio le proprie forze. - Le abitudini di navigazione. Nella prospettiva di imprese che operano su Internet, il naturale e necessario compendio alla conoscenza derivante dai rapporti diretti è la conoscenza delle abitudini di navigazione. Anche in questo caso, la raccolta dei dati deve essere condotta per un uso assolutamente interno e basarsi esclusivamente sui percorsi, i tempi e le modalità di navigazione interna al sito. In sostanza, non si tratta di raccogliere informazioni sull’utente, ma sui modi e le relazioni che l’utente instaura con il sito Web aziendale. Questo consentirà di capire quali sono le aree di maggiore interesse e come ottimizzare la propria struttura Internet, al servizio del cliente stesso.

Marketing non convenzionale Con Marketing non convenzionale si intende “l’insieme di strategie promozionali che sfruttano i mezzi di comunicazione alternativi”, differenti dai classici sistemi pubblicitari. I prodotti vengono proposti al pubblico in modo “innovativo”, per rimediare all’assuefazione del marketing tradizionale. L’assunto di base è il seguente: le teorie e le tecniche utilizzate nel marketing non sembrano più adeguate a cogliere le esigenze di un consumatore, sempre meno sensibili alla comunicazione tradizionale e, al tempo stesso, sempre più consapevole, dopo anni di pubblicità. I sistemi di marketing non convenzionale, grazie alle loro caratteristiche peculiari, sarebbero in grado di attirare nuovamente l’attenzione del pubblico e permettere una maggiore efficacia del messaggio. L’evoluzione della società post-moderna ha trasformato oltre che i processi culturali e quelli produttivi anche il modo in cui viene percepito il prodotto commerciale. Quelli che prima venivano definiti come “consumer”, ovvero consumatori divengono parte integrante del processo di produzione e distribuzione di prodotti e servizi, passando allo stato di “prosumer”. Emerge quindi il profilo di un nuovo consumatore: autonomo, non più subordinato alla marca, competente, con maggiori conoscenze sui prodotti, esigente, che chiede sempre di più qualità e servizi, selettivo, case by case, orientato, in senso olistico, nella scelta coinvolge le dimensioni tangibili e intangibili. Come sostiene Seth Godin, guru del marketing “In un mercato affollato seguire le regole significa fallire, non emergere equivale a essere invisibili”. 51 In linea con Godin nella definizione di marketing non convenzionale, infatti, è insito un riferimento a terminologie militari nello specifico: guerra e armi non convenzionali identificando tutta una serie di attacco (guerriglia, sabotaggio, sovversione, attività di intelligence) e di armamenti (chimici, batteriologici, nucleari) non regolamentati dai codici di condotta delle convenzioni internazionali. Invece di interrompere i consumatori mentre sono impegnati nelle varie forme di intrattenimento o informazione, il marketing non convenzionale diventa a sua volta intrattenimento o informazione, in tal modo dovrebbe essere in grado di ottenere la completa attenzione da parte del pubblico. Uno dei concetti fondamentali del marketing non convenzionale è il passaparola: è il pubblico stesso a diffondere la pubblicità, perché la trova particolarmente divertente, interessante o utile. Grazie al marketing non convenzionale, le aziende avrebbero a disposizione un sistema efficace per coinvolgere i consumatori post-moderni, ma la disciplina non è ancora del tutto ben compresa. Rimane ancora molta confusione sull’argomento e questo porta ad alcuni limiti non trascurabili. Il marketing non convenzionale funziona solamente quando è davvero straordinario.

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Seth Godin Sperling & Kupfer, La Mucca Viola Come farsi notare (e fare fortuna) in un mondo tutto marrone, 2004

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Mentre la propaganza convenzionale si basa sulla quantità degli utenti raggiunti e non sulla reale efficacia della comunicazione, non tenendo conto delle “qualità sociali”, il marketing non convenzionale cerca di puntare sul reale coinvolgimento del suo pubblico. La qualità sociale è difficile da misurare: quante volte una pubblicità è stata ignorata? Quante persone ne hanno parlato agli amici? È semplice contare le cifre fornite dai mezzi broadcasting (share del programma TV, copie vendute del giornale), ma non è altrettanto facile quantificarne l’impatto. Per riuscire a coinvolgere socialmente i consumatori, il marketing ha bisogno di comprendere meglio i linguaggi del suo pubblico e sviluppare i nuovi messaggi promozionali attraverso le abitudini espressive della società contemporanea. Per realizzare una pubblicità efficace bisogna riuscire ad essere originali, introdursi attivamente nei rapporti sociali delle persone, dimostrare la qualità effettiva del prodotto e rendere l’advertising una forma di intrattenimento piacevole, compatibile con i valori del target che si vuole raggiungere. Le principali tipologie di marketing non convenzionale, delle quali ci occuperemo più avanti, sono: - Guerrilla marketing - Marketing virale - Product placement - Buzz marketing - Ambush marketing - Ambient marketing - Temporary shop. 52

marketing si baserà su una profonda conoscenza del territorio: sullo studio “dal basso” della psicologia del target, dello spazio in cui si muove, dei codici che ne regolano il comportamento. Come i Ninja, guerrieri spirituali che accrescevano la propria forza attraverso l’utilizzo di formule e simboli magici, riscopriremo il potere e la magia di ciò che è sconosciuto ai più, agendo sempre nel rispetto della Legge Universale. I 10 principi fondamentali della “Sacra scuola del marketing non convenzionale” (Iscritto in questa forma il 25 dicembre dell’anno 2006 da Alex Giordano e Mirko Pallera, fondatori di NinjaMarketing)

1. Dal Brand DNA al Viral DNA
 Progetta la natura virale del tuo brand, prima di ogni cosa. 2. Dai Target alle Persone
 Non ci sono target da colpire, ma persone con cui risuonare. 3. Dagli Stili di Vita ai Momenti di Vita
 Esci dall’ufficio ed entra nelle tribù e nei loro momenti di vita. 4. Dalla Brand Awareness alla Brand Affinity
 Non puoi piacere a tutti. Scegli e alimenta le tue affinità. 5. Dalla Brand Image alla Brand Reputation
 Non costruirti un’immagine, conquistati una buona reputazione. 6. Dall’Advertising all’Advertainment Non cercare di persuadere, ma diverti e stimola la conversazione.

I ninja, guerrieri non convenzionali

7. Dal Media Planning al Media Hunting
 Cambia il tuo media planner con un “cool hunter” della comunicazione.

I Ninja per centinaia di anni vissero sulle montagne, praticando arti esoteriche e dedicandosi allo studio delle leggi fondamentali della natura. Al contrario dei Samurai, che servivano il rigido codice del Bushido, i Ninja utilizzavano tecniche non convenzionali come quelle utilizzate dai guerriglieri, che in battaglia non cercano lo scontro frontale non avendo alcuna possibilità contro formazioni “regolari”. Allo stesso modo noi del Clan NinjaMarketing ci dedicheremo allo studio delle “tecniche segrete” del marketing. Come i Ninja ci addentreremo nell’arte della guerriglia, del mimetismo e dell’attacco improvviso, con l’obiettivo di ottenere il massimo dei risultati con il minimo di risorse. Come i Ninja, grandi osservatori della natura, il nostro approccio al

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Bernard Cova, Alex Giordano, Mirko Pallera, Marketing non convenzionale, 2007

8. Dal Broadcasting al Narrowcasting Non ci sono solo i mezzi di massa, pensa a quanto è lunga la coda. 9. Dal Market Position al Sense Providing Non cercare un posizionamento sul mercato, ma il tuo senso nella società. 10. Dal Fare Comunicazione all’Essere la Comunicazione!
 Quello a cui devi sempre aspirare è la coerenza dall’inizo alla fine. 53

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www.ninjamarketing.it

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Guerrilla marketing Il termine guerrilla marketing è stato coniato da Jay Conrad Levinson54 riferendosi “ad una forma di promozione pubblicitaria non convenzionale a basso budget ottenuta attraverso l’utilizzo di mezzi e strumenti aggressivi che fanno leva sull’immaginario e sui meccanismi psicologici del pubblico finale”

parte 3 Il progetto Tappeto “passi” pag.298

Il guerrila marketing è una pubblicità che esce dagli schemi tradizionali, per penetrare in modo diretto nella città e incontrare la gente in modo provocatorio e spiazzante. La guerrilla raggiunge il consumatore nei momenti e nei luoghi in cui non è attiva la sua “advertising consciousness” (come accade invece davanti alla TV o ascoltando la radio), quando cioè le sue difese nei confronti dei messaggi pubblicitari sono abbassate. Incuriosire, intrigare e coinvolgere sono gli effetti che la guerrilla produce sulle sue “vittime”. Infatti la guerrilla si può trovare nelle strade, sui muri, sulle panchine, sui fondi di bicchieri, in finte conversazioni, sui soldi, sulla frutta, sulla carta igienica, perfino sul corpo umano. La guerrilla è fatta per colpire il singolo, generando spiazzamento nello spettatore, causando poi un effetto di passaparola che a sua volta causa una diffusione in maniera “virale” del messaggio nella popolazione. Il guerrilla marketing si fa con armi non convenzionali, spesso con bassi costi, senza farsi riconoscere (almeno inizialmente) e con attacchi mordi e fuggi. Alcuni punti del guerrilla marketing 1. Guerriglia Marketing è un insieme di tecniche di comunicazione non convenzionale che consente di ottenere il massimo della visibilità con il minimo degli investimenti, 2. Concorre allo sviluppo delle strategie di mercato attraverso la messa in scena di pseudo-eventi concepiti in integrazione all’immagine dell’azienda, 3. Sfrutta il bisogno di novità dei mezzi comunicazione e la permeabilità dei suoi meccanismi per promuovere idee, marchi o prodotti, 4. Programma e inocula nel sistema dei “virus” comunicativi in grado di autoreplicarsi nelle menti dei consumatori, 5. Guerriglia Marketing è un processo di dissipazione della fiducia che il consumatore ancora ripone nell’economia nel suo complesso a vantaggio del successo di una singola impresa, 6. Il guerriglia marketing deve essere sempre una combinazione di diversi metodi di marketing.

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Jay Conrad Levinson, Guerrilla Marketing, 1984

Come si organizza una campagna di guerrilla marketing? Prodotti e servizi. La prima domanda da porsi è se il prodotto o servizio che si vuole lanciare si presta a una campagna di guerrilla marketing. Difficilmente una campagna istituzionale può essere veicolata con tecniche mordi e fuggi, anche se non è del tutto da escludere. Idea originale. Più che il prodotto o servizio, a contare è l’idea da trasmettere. Questa deve essere originale, capace di attirare la curiosità. L’impostazione iniziale che deve avere è quella di una piccola rivoluzione nel proprio settore. L’obiettivo finale è far parlare di sè, quindi più si è originali più si riuscirà nel proprio intento. E per questo non servono budget smisurati. Creazione del teaser. Nella parte operativa della campagna mordi e fuggi, tutto ruota attorno alla creazione del teaser, che dà concretezza all’idea originale. Non è l’unica tecnica pubblicitaria utilizzabile, ma sicuramente è quella più efficace in una campagna di guerrilla marketing. To tease significa “stuzzicare”, e lo scopo del teaser è esattamente quello: immagine, filmato o slogan, deve essere allusivo ed evocativo, deve semplicemente saper colpire l’utente. L’effetto virale. Se l’idea è originale e il teaser efficace, ciò che si ottiene è un effetto virale. Il caso passa di bocca in bocca e si propaga di utente in utente. Una volta ottenuto il proprio scopo di diffusione virale, si può giocare a carte scoperte. Se la campagna ha avuto successo, il tutto si svolge in pochi giorni o settimane, anche perché un teaser non può reggere più a lungo. A questo punto, il teaser va svelato, con un’opportuna fase due della propria campagna, in cui si spiega il significato del primo lancio. Se infine il successo è stato ampio, questo può generare una seconda campagna di comunicazione, di tipo tradizionale. In Italia, il guerrilla marketing è entrato nei primi anni del duemila, sospinto dalla ricerca di nuove applicazioni dei sistemi di media hoax già sperimentati, senza scopi di business o advertising, da parte del nome collettivo Luther Blissett. Alcuni membri del Luther Blissett Project hanno dato vita a Roma a guerrigliamarketing.it, la prima organizzazione italiana che ha tentato, con successo, di applicare sistemi di marketing audaci al business. Anche il mondo del non profit ha fatto uso della guerriglia mediatica. Un caso vistoso è rappresentato dall’iniziativa dell’associazione ambientalista Terra!, che ha collocato maschere antigas e cartelli stradali alle 150 statue storiche di Roma, per protestare contro le emissioni di CO2 e i gas serra.

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parte 1

il marketing

Viral marketing Il marketing virale è un tipo di marketing non convenzionale che sfrutta la capacità comunicativa di pochi soggetti interessati per trasmettere il messaggio ad un numero elevato di utenti finali. La modalità di diffusione del messaggio segue un andamento esponenziale. È un’evoluzione del passaparola, ma se ne distingue per il fatto di avere un’intenzione volontaria da parte dei promotori della campagna. Il termine nasce nella metà degli anni ‘90 con Draper Fisher Jurvetson utilizzando una analogia biologica con la diffusione esponenziale di un virus e, l’espressione viral marketing diviene nel 1998 marketing “buzz-word of the year”. Il principio del viral si basa sull’originalità di un’idea: qualcosa che, riesce a espandersi molto velocemente in una data popolazione. Come un virus, l’idea che può rivelarsi interessante per un utente, viene passata da questo ad altri contatti, da questi ad altri e così via. In questo modo si espande rapidamente, tramite il principio del “passaparola”, la conoscenza dell’idea. In genere, il termine è riferito agli utenti della rete che, più o meno volontariamente, suggeriscono o raccomandano l’utilizzo di un determinato servizio. Ultimamente, questa tecnica promozionale si sta diffondendo anche per prodotti non strettamente connessi a Internet: veicolo del messaggio resta comunque la comunità in rete, che può comunicare in maniera chiara, veloce e gratuita. Un esempio di marketing virale in rete sono le e-mail contenenti storie divertenti, giochi online, siti web curiosi, che nel giro di pochi giorni possono attrarre milioni di visitatori. Spesso si tratta di fenomeni temporanei, i cosiddetti internet meme (Internet phenomenon), che hanno un picco di visite in un periodo determinato, per poi veder calare la propria attrattiva. E così come in tutte le cose alcune strategie di marketing virale funzionano meglio di altre ma, secondo Wilson, sono sei gli elementi fondamentali del viral marketing. Una strategia virale di vendita non deve contenere tutti questi elementi, ma più ne contiene e più potenti saranno i risultati. Il viral marketing: - Offre servizi o prodotti gratuiti - E’ facile da trasferire ad altri (amici e conoscenti) - Deve essere facilmente scalabile 55 - Contiene motivazioni e comportamenti comuni - Utilizza le reti di comunicazione usate attualmente - Approfitta delle risorse degli altri

Dal punto di vista informatico invece un virus è un pezzo di codice software che se eseguito è in grado, di infettare i file (alcuni di essi) in modo da riprodursi facendo copie di sé stesso. Dal punto di vista del marketing: il termine viral definisce qualsiasi strategia marketing (di vendita) che incoraggia le persone a diffondere e passarsi l’un l’altra messaggi influenzando a loro volta in maniera esponenziale la sua diffusione. Ma attenzione si parla di viral marketing se parliamo di web altrimenti anche in america si parla di word-of-mouth,” “creating a buzz,”. Su internet alcuni hanno cercato di modificare il nome, non molto positivo sicuramente ma per i marketers il nome è, e rimane, Viral Marketing. Ecco come funziona: si parte da uno o più clienti potenziali che a loro volta diffondono il messaggio in una diffusione esponenziale simile alle catene di Sant’Antonio. Tale strategia dunque approfittano della moltiplicazione rapida, della facilità di diffusione delle informazione e sul divertimento nel farlo, permette di fare esplodere letteralmente il messaggio portandolo a migliaia o milioni di persone in pochissimo tempo.

Consigli per gli acquisti Secondo uno studio (ormai un po’ datato) della società americana specializzata Scharpe Partners, ben il 76% dei consumatori statunitensi utilizzava il consiglio di amici come fonte per un acquisto. In assoluto, è questa la modalità più seguita, solo avvicinata (68%) da precedenti esperienze d’acquisto e ben distanziata da altre forme di informazione (dall’8% del sito aziendale al 15% della pubblicità al 22% di articoli su riviste). Questo può rendere l’idea di quanto sia fondamentale il passaparola, nel bene e nel male. 23. Scelta delle fonti per gli acquisti (La ricerca di Scharpe Partners consentiva risposte multiple)

Se analizzato al punto di vista biologico e medico il virus è un “parassita” responsabile di malattie.

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scalabile la capacità di un sistema di “crescere” o “decrescere” (aumentare o diminuire di scala) in funzione delle necessità e delle disponibilità. Ad esempio se ospitate mail gratuite e avete successo nella strategia, dovrete velocemente aggiungere dei mail server altrimenti il sevizio si bloccherà.

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parte 1

il marketing

Ambient marketing La tecnica dell’ambient marketing consiste nel raggiungere le persone al di fuori dei comuni canali di vendita quando la loro mente è sgombra dai “martellamenti” dei consueti messaggi. Pro: i bassi costi e la capacità di stravolgere o modificare quelli che sono i luoghi frequentati abitualmente dalle persone, rendendoli improvvisamente più “visibili” Scopo: stupire, divertire e coinvolgere i consumatori Le tecniche attraverso le quali è possibile veicolare un’azione di marketing ambientale sono comunque molto simili a quelle usate per le iniziative classificabili come street.

Ambush marketing Ambush marketing è l’espressione comunemente usata nel mondo anglosassone in ipotesi di associazione indebita (non autorizzata) di un brand ad un evento mediatico; ossia quando lo stesso non appartenenga ad uno degli sponsor ufficiali. Accade sovente che un brand paghi per diventare sponsor ufficiale ed unico di un dato evento mediatico, nel quale si intromette, con un’azione di marketing non convenzionale, un’altra compagnia in modo non ufficiale. L’ambush marketing si sviluppa quando si associa un brand tra gli sponsor ufficiali ad un evento mediatico pur non appartenendo a questa categoria. Spesso accade che un brand paghi per diventare uno sponsor ufficiale ad un evento mediatico nel quale si intromette un altro brand in modo non ufficiale con azioni di marketing non convenzionali.

L’ambient marketing è una forma di marketing non convenzionale che sfrutta l’ambiente (sia esso una strada, un negozio, un ascensore, una cabina telefonica, la toilet di una discoteca...) per “incontrare” il target. Come le altre forme di marketing non convenzionale (Marketing virale, guerriglia Marketing, ecc) nasce per ovviare alla obiettiva difficoltà di “farsi vedere” nel crescente affollamento pubblicitario dei mezzi tradizionali. Nel caso dell’ambient marketing, la fascia di target alla quale ci si desidera rivolgere è presente in determinati luoghi in certi momenti della giornata. Ed è lì che si va a colpire. L’ambient marketing cerca di portare la pubblicità direttamente dove si trova il suo target specifico, costruendo messaggi ad hoc per i suoi obiettivi; un target potenzialmente molto ricettivo, perché colto “di sorpresa” in un momento di rilassatezza, in un ambiente ove si è recato con motivazioni completamente diverse da quelle usuali per la ricezione di una comunicazione pubblicitaria. Sempre più frequentemente anche la grandi aziende ricorrono a questa forma di Marketing, ad esempio i “Kissing Point” realizzati da Labello nelle stazioni ferroviarie tedesche (2006); o gli orinatoi appesi al soffitto nelle discoteche spagnole da Red Bull (“Red Bull ti mette le Ali”); o la dicitura “per una dimostrazione del prodotto rompere il vetro” applicate dalla Hoover sugli oblò degli aerei di linea (2007). Il campo nel quale attualmente l’Ambient Marketing conosce un maggiore sviluppo è quello della Comunicazione Sociale, spesso ad opera delle più importanti associazioni ambientaliste ed umanitarie. Importanti esempi in questo settore sono stati realizzati anche in Italia. Nel libricino appendice vi è una ampia raccolta di campagne di comunicazione sociali (molte anche per la sostenibilità ambientale e sociale) che utilizzano molte delle tecniche descritte qui, in particolare guerrilla, viral, ambient.

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ecologia

parte 2 //////////////////////////////////////////////////////////////////////

ecologia

introduzione

Ce n’è abbastanza per le necessità di tutti, ma non per l’avidità di ciascuno. Mahatma Gandhi

Ecco che la ricerca giunge ora al capitolo relativo ai contenuti progettuali, al vero tema del lavoro che si delineerà nella terza parte: la sostenibiltà. Di essa si affrontano i vari aspetti, sociale, economico e ecologico, e le caratteristiche e si cercherà di fare il punto della situazione attuale in cui versa la nostra Terra, l’Italia ma più nello specifico, Milano. In questo capitolo si darà ampio spazio alle riflessioni su molti dei problemi del nostro pianeta, e della nostra città in particolare, si discuterà specialmente di tutti quegli aspetti legati alla sostenibilità a 360 gradi e alla possibilità di promuovere uno sviluppo sostenibile. Si ragionerà sulla storia e sulle cause che hanno portato a queste situazioni di disagio, si analizzeranno i vari tipi e accezioni della parola sostenibilità: sociale, economica e ambientale scoprendo che sono l’una la conseguenza e la causa dell’altra e che formano un circolo vizioso dal quale l’umanità intera dovrà avere il coraggio e la forza di uscire se vuole risollevarsi dalla crisi da essa stessa prodotta. Bisogna rompere questo cerchio, aprendo così uno spiraglio, un varco per la ricostruzione e riconferma di una società basata sui diritti civili di uguaglianza e dignità della vita umana. L’umanità è in continuo sviluppo ma è necessario che questo sviluppo si trasformi e da selvaggio diventi sostenibile, ovvero: che risponda alle esigenze del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie, di esigenze. Quindi la crescita odierna non deve in nessun modo mettere in pericolo, ma anzi deve difendere, la possibilità di crescita dei nostri successori sulla Terra, deve difendere il futuro. Bisognerà attuare normative, rivedere leggi, maturare una coscienza ecologica per combattere le molte piaghe che affliggono il pianeta, con un programma che sia a lungo termine. Le tre componenti dello sviluppo sostenibile (economia, società e ambiente) dovranno essere prese in considerazione in maniera equilibrata, nessuna dovrà prevalere sulle altre. Si dovrà pensare a soluzioni politiche non a livello locale, bensì europeo e mondiale. La problematica ambientale e sociale è entrata a far parte delle politiche europee già nel 2001, ma nel 2005 le strategie per uno sviluppo sostenibile sono state rivedute e corrette.

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parte 2

la sostenibilità

2.1

la sostenibilita’

La sostenibilità è la caratteristica di un processo o di uno stato che può essere mantenuto ad un certo livello indefinitamente. Ovvero, per sostenibilità si intende la condizione di uno stato o processo che mantiene, per un tempo indeterminato, le stesse caratteristiche senza che ci sia un decadimento della condizione iniziale. Il termine trae la sua origine dall’ecologia, dove indica la capacità di un ecosistema di mantenere processi ecologici, fini, biodiversità e produttività nel futuro. Perché un processo sia sostenibile esso deve utilizzare le risorse naturali ad un ritmo tale che esse possano essere rigenerate naturalmente. Sono emerse oramai chiare evidenze scientifiche che indicano che l’umanità sta vivendo in una maniera non sostenibile, consumando le limitate risorse naturali della Terra più rapidamente di quanto essa sia in grado di rigenerare. In anni recenti questo concetto è stato applicato non solo agli organismi viventi ed ai loro ecosistemi, ma alla società. In questi termini indica un “equilibrio fra il soddisfacimento delle esigenze presenti senza compromettere la possibilità delle future generazioni di sopperire alle proprie”. 56 Perché ci siano equilibrio e longevità, la vita umana deve essere considerata, essa stessa, come un sistema che dipende da numerosi altri sistemi, climatico, agricolo, industriale, forestale, della pesca, etc. Tuttavia tale dipendenza è biunivoca poiché l’equilibrio e la longevità sono messi in relazione anche con l’influenza che l’attività antropica esercita sui sistemi stessi. Di conseguenza uno sforzo sociale collettivo per adattare il consumo umano delle risorse captate da tutti i sistemi entro un livello di sviluppo sostenibile, è una questione di capitale importanza per il presente ed il futuro dell’umanità. Il concetto di sostenibilità viene, poi, spesso utilizzato nell’ambito dell’economia dello sviluppo per analizzare processi economici. Questo è alla base delle riflessioni che studiano la possibilità futura che un processo economico “duri” nel tempo.

Il Rapporto Brundtland – Our common future

Brundtland, presidente World Commission on Environment and Development, WCED, istituita nel 1983 su ambiente e sviluppo, è stato pubblicato nel 1987. Lo studio prende avvio sottolineando come il mondo si trovi davanti ad una “sfida globale” a cui può rispondere solo mediante l’assunzione di un nuovo modello di sviluppo definito “sostenibile”. Il rapporto Brundtland constata che i punti critici e i problemi globali dell’ambiente sono dovuti essenzialmente alla grande povertà del sud e ai modelli di produzione e di consumo non sostenibili del nord. Il rapporto evidenzia quindi la necessità di attuare una strategia in grado di integrare le esigenze dello sviluppo e dell’ambiente. Questa strategia è stata definita in inglese con il termine «sustainable development», attualmente di largo uso, e tradotto successivamente con «sviluppo sostenibile». Per sviluppo sostenibile si intende:

parte 3 Copy strategy Target pag.266

“far sì che tutti i bisogni dell’attuale generazione siano soddisfatti senza compromettere la capacità di quelle future di rispondere alle loro esigenze”. “Lo sviluppo sostenibile, lungi dall’essere una definitiva condizione di armonia, è piuttosto processo di cambiamento tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali siano resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con gli attuali”. Tuttavia, se da un lato “lo sviluppo sostenibile impone di soddisfare i bisogni fondamentali di tutti e di estendere a tutti la possibilità di attuare le proprie aspirazioni a una vita migliore” dall’altro nella proposta persiste una ottimistica (per alcuni critici eccessiva) fiducia nella tecnologia che porterà ad una nuova era di “crescita economica”: “Il concetto di sviluppo sostenibile comporta limiti, ma non assoluti, bensì imposti dall’attuale stato della tecnologia e dell’organizzazione sociale alle risorse economiche e dalla capacità della biosfera di assorbire gli effetti delle attività umane. La tecnica e la organizzazione sociale possono però essere gestite e migliorate allo scopo di inaugurare una nuova era di crescita economica”. Comunque sia, un aspetto merita di essere sottolineato: la centralità della “partecipazione di tutti”: “il soddisfacimento di bisogni essenziali (basic needs) esige non solo una nuova era di crescita economica per nazioni in cui la maggioranza degli abitanti siano poveri ma anche la garanzia che tali poveri abbiamo la loro giusta parte delle risorse necessarie a sostenere tale crescita. Una siffatta equità dovrebbe essere coadiuvata sia da sistemi politici che assicurino l’effettiva partecipazione dei cittadini nel processo decisionale, sia da una maggior democrazia a livello delle scelte internazionali”.

parte 1 Il marketing La tranizione dal marketing tradizionale al marketing sostenibile pag.94 - 96

parte 3 Studio preliminare Scviluppo sostenibile e sostenibilità ambientale pag.228

“Il futuro di tutti noi”, rapporto della Commissione Brundtland (Gro Harlem

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Rapporto Brunftland, 1987

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parte 2

la sostenibilità

Il rapporto è diviso in tre ampi sezioni che disegnano le sfide a cui è chiamata l’umanità: Parte 1. Preoccupazioni comuni - un futuro minacciato - verso uno sviluppo sostenibile - il ruolo dell’economia internazionale Parte 2. Sfide collettive - Popolazione e risorse umane - Sicurezza alimentare: sostenere le potenzialità - Specie ed ecosistemi: risorse per lo sviluppo - Energia: scelte per l’ambiente e lo sviluppo - Industria: produrre più con meno - Il problema urbano Parte 3. Sforzi Comuni - Gestione dei beni comuni internazionali - Pace, sicurezza, sviluppo e ambiente - Verso un’azione comune. Il volume si chiude con il Sommario dei principi legali proposti per la protezione ambientale e per lo sviluppo sostenibile. 57 Sostenibilita’: un concetto ampio e poliedrico Il termine ‘Sostenibilità’ è soggetto a diverse interpretazioni: può essere contemporaneamente un’idea, uno stile di vita, un modo di produrre. Per alcuni è poco più che una parola oggi in voga. La definizione di sviluppo sostenibile data dalla Commissione Brundtland è quella più ampiamente condivisa, tuttavia essa non è accettata universalmente, quindi spesso è sottoposta a differenti interpretazioni. È difficile dare la definizione di sistema sostenibile poiché bisognerebbe tenere in considerazione la totalità delle attività umane. È un concetto sfaccettato che può essere quindi definito solo nell’ottica di un dialogo fra valori e che resiste ad una stabile definizione consensuale. Concerne anche il modo di operare sulla situazione corrente e su quella a venire, rientrando quindi nella sfera d’azione della politica. La Commissione Mondiale sull’Ambiente e lo Sviluppo (WCED), come abbiamo già visto, ha definito il concetto di sostenibilità: ”uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni”. In tale definizione non si parla dell’ambiente in quanto tale, ma ci si riferisce al benessere delle persone, e quindi solo come conseguenza, alla qualità ambientale. Bisogna però pensare che il concetto di sostenibilità

va ben aldilà della sola accezione ecologica che siamo solitamente abituati ad attribuirgli. Più nello specifico, la sostenibilità è un concetto sfaccettato e poliedrico composto da molteplici categorie (che si intersecano e influenzano reciprocamente), utili da considerare ogni qual volta ci confrontiamo con un processo di sviluppo. Di seguito sono state riportate le definizioni delle tre dimensioni di sostenibilità più conosciute (sostenibilità ecologica, economica e sociale) a cui sono state aggiunte altre accezioni meno conosciute e utilizzate. Proprio in virtù del carattere duttile e aperto del concetto di sostenibilità, la seguente lista non è da considerarsi né completa né quantomeno esaustiva. - Sostenibilità ecologica: la capacità di un ecosistema di mantenere processi ecologici, biodiversità e produttività nel futuro. Perché un processo sia ecosostenibile esso deve utilizzare le risorse naturali ad un ritmo tale che possano essere rigenerate naturalmente. Sono emerse 6 È bene ricordare l’accezione che usiamo in merito: “creazioni umane che abilitano alcune funzioni cognitive e più in generale ci aiutano nello svolgimento di alcuni compiti mentali” oramai chiare evidenze scientifiche che indicano che l’umanità sta vivendo in una maniera ecologicamente non sostenibile, consumando le limitate risorse naturali della Terra più rapidamente di quanto essa sia in grado di rigenerarle. - Sostenibilità economica: la capacità di un sistema economico di generare una crescita duratura degli indicatori economici. In particolare, la capacità di generare reddito e lavoro per il sostentamento delle popolazioni. - Sostenibilità sociale: la capacità di garantire condizioni di benessere umano quali sicurezza, salute, istruzione, equamente distribuite per classi e per genere. In comune con la sostenibilità ecologica, la sostenibilità sociale ha alla base il principio che le future generazioni debbano avere le stesse se non maggiori possibilità di accesso alle risorse sociali rispetto alla generazione presente. - Sostenibilità culturale: la capacità di mantenimento di valori storici e strategici stratificati nel tempo. valorizzazione dei beni e servizi, intesa come tentativo di renderli produttivi, di incentivarne il consumo e di favorire la diffusione della conoscenza del patrimonio, in particolare di quello verso cui si riversa una domanda minima rispetto alle potenzialità; tutela e conservazione dei beni culturali, in particolare di quei beni che rappresentano una forte attrattiva, su cui si riversa un’enorme domanda di consumo. 58 - Sostenibilità emotiva come riflessione e attenzione alla qualità delle relazioni tra gli uomini nei luoghi dell’interazione sociale, affettiva e comunicativa. Le emozioni infatti sono una determinante fondamentale delle azioni umane, perché sono collegate strettamente ai loro scopi. 59

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Agenda 21: www.agenda21.it

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Giangrande, 2005 Poggi, 2005

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parte 2

la sostenibilità

La storia di The natural step The Natural Step nacque in risposta alle crescenti preoccupazioni per i problemi di salute pubblica derivanti dall’aumento delle sostanze tossiche nell’ambiente e dalla crescente ingiustizia sociale globale. I principi e l’approccio di Natural Step vennero ricercati e sviluppati per fornire un pratico strumento per prendere decisioni che portino strategicamente alla sostenibilità. Nel 1989 il Dott. Karl-Henrik Robèrt, uno dei più autorevoli oncologi svedesi che si occupava di leucemie infantili, fonda la non profit. La sua esperienza di lavoro lo spinse a chiedersi come fosse possibile che i genitori o i singoli individui avrebbero fatto qualsiasi cosa per assicurare un futuro prospero e felice ai propri figli, mentre collettivamente le attività umane ci stavano portando esattamente nella direzione opposta: un degrado sistematico di ambiente e società. Insoddisfatto dal livello della maggior parte dei dibattiti riguardanti l’ambiente, incentrati sui problemi ‘a valle’ delle attività umane, decise di fondare The Natural Step allo scopo di individuare le cause, a livello sistemico globale, dei problemi ambientali.
Con l’aiuto di 50 scienziati svedesi scrisse, per la prima volta nella storia, un documento che descriveva le conoscenze basilari sulle funzioni del pianeta e su come l’essere umano interagisce con esso. Tale documento iniziale fu raffinato attraverso 21 revisioni, in un processo di creazione di consenso durato due anni; una volta completato, con il patrocinio della Casa Reale Svedese, fu inviato un pacchetto informativo fu spedito ad ognuna delle cinque milioni di famiglie svedesi e in ogni scuola della Svezia.
Negli anni ‘90, il Dott. Robert ha lavorato con il fisico John Holmberg al fine di stabilire una serie di principi guida per una società sostenibile basata sulle leggi della termodinamica e sui cicli naturali. Tali principi sono alla base dei contenuti e dell’approccio The Natural Step.

parte 2 Ecologia Greenwashing pag.165

In poco tempo The Natural Step attirò l’attenzione ed il sostegno di politici ed imprenditori. Lo stesso Re di Svezia riconobbe l’utilità di indurre i principali attori economici, politici e culturali, all’evoluzione verso attività che rispettino le dinamiche della natura. Le maggiori aziende svedesi cominciarono spontaneamente ad incorporare i principi di sostenibilità di The Natural Step nelle pratiche di business, perché traevano da tale condotta sostanziali vantaggi competitivi ed economici. Politici ed imprenditori presero parte a seminari per apprendere il nuovo approccio alla sostenibilità. Ad oggi più di 100 enti pubblici di governo locale e oltre 70 multinazionali tra le quali IKEA, Electrolux, McDonalds, NIKE, Volvo, incorporano questo approccio alla sostenibilità ed i principi di The Natural Step nelle loro pratiche.

fondata su solide basi scientifiche e su un approccio partecipativo per creare consenso sulle azioni da compiere e tradurre la conoscenza in azioni pratiche.
Un linguaggio di facile comprensione, condiviso da tutti, facilita la creazione di una prospettiva comune, consente di mettere assieme persone con interessi e punti di vista diversi per avviare un percorso collaborativo verso la sostenibilità. Il Framework permette di creare strategie efficaci che, consentano di evolvere, un passo dopo l’altro, verso gli obiettivi designati. 60 Lo sviluppo sostenibile Abbiamo fino ad ora parlato di ‘sostenibilità’ come di un termine astratto, i cui campi di applicazione e di interesse hanno confini labili e il cui significato non è universalmente accettato. Questo concetto è seguito dall’idea di ‘sviluppo sostenibile’, ovvero di un sistema di concezioni, di settori e di normative che possano dar vita ad una crescita sociale ed economica pur rispettando l’ambiente, difendendo la diversità biologica e rispettando i diritti umani di dignità e giustizia. Lo sviluppo è un’idea che, diversamente da sostenibilità, deve essere ricondotta a qualcosa di concreto, deve poter esistere uno sviluppo sostenibile, devono essere chiare le modalità con cui esso dev’essere perseguito. Negli ultimi tempi e con tutti i trattati, si sta cercando di delinearne le linee guida anche se ancora molto c’è da fare e da capire poiché solo una piccola parte della comunità umana è davvero sensibile e sensibilizzata su questo problema. Di seguito si riportano alcune definizioni di sviluppo sostenibile: - J.R. Hichs - SOSTENIBILITA’: massimo ammontare che una comunità può consumare in un certo periodo e rimanere, tuttavia, lontana dall’esaurimento delle risorse come all’inizio. - Bruntland, 1987 - SVILUPPO SOSTENIBILE: sviluppo che risponde alle necessità del presente, senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie esigenze. - ONU (WCU, UNEP, WWFN) 1992 - SVILUPPO SOSTENIBILE: miglioramento di qualità della vita, senza eccedere la capacità di carico degli ecosistemi alla base. - ICLEI, 1994 - SVILUPPO SOSTENIBILE: sviluppo che offre servizi ambientali, sociali ed economici di base a tutti i membri di una comunità, senza minacciare l’operabilità dei sistemi naturale, edificato e sociale da cui dipende la fornitura di tali servizi. - Ministero dell’ambiente - SVILUPPO SOSTENIBILE: che garantisce i bisogni del presente senza compromettere le possibilità delle generazioni future di fare altrettanto.

Il framework di The Natural Step è come una bussola. E’ una metodologia

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The Natural Step: www.thenaturalstep.org/it/italy

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parte 2

la sostenibilità

Lo sviluppo sostenibile è quindi, una forma di sviluppo (che comprende lo sviluppo economico, delle città, delle comunità) che non compromette la possibilità delle future generazioni di perdurare nello sviluppo, preservando la qualità e la quantità del patrimonio e delle riserve naturali (che sono esauribili, mentre le risorse sono considerabili come inesauribili). L’obiettivo è di mantenere uno sviluppo economico compatibile con l’equità sociale e gli ecosistemi, operante quindi in regime di equilibrio ambientale. La prima definizione in ordine temporale, come si è visto, è stata quella contenuta nel rapporto Brundtland nel 1987, e poi ripresa dalla Conferenza mondiale sull’ambiente e lo sviluppo dell’ONU (World Commission on Environment and Development, WCED).

24. Schema dello sviluppo sostenibile, alla confluenza di tre preoccupazioni

Sebbene questa definizione sintetizzi, in maniera molto semplificata, alcuni aspetti importanti del rapporto tra sviluppo economico, equità sociale, rispetto dell’ambiente, non può essere operabile.
È la cosiddetta regola dell’equilibrio delle tre “E”: ecologia, equità, economia.
Tale definizione parte da una visione antropocentrica, infatti al centro della questione non è tanto l’ecosistema, e quindi la sopravvivenza e il benessere di tutte le specie viventi, ma piuttosto le generazioni umane. Ecco perché la sola definizione che può essere operabile è quella che dice cosi: “un processo socio-ecologico caratterizzato da un comportamento alla ricerca di ideali”.

Nel 1991 la World Conservation Union, and World Wide Fund for Nature fornisce una definizione di sviluppo sostenibile tenendo conto di una visione globale: “...un miglioramento della qualità della vita, senza eccedere la capacità di carico degli ecosistemi di supporto, dai quali essa dipende” Nello stesso anno Herman Daly ricondusse lo sviluppo sostenibile a tre condizioni generali concernenti l’uso delle risorse naturali da parte dell’uomo: - il tasso di utilizzazione delle risorse rinnovabili non deve essere superiore al loro tasso di rigenerazione; - l’immissione di sostanze inquinanti e di scorie nell’ambiente non deve superare la capacità di carico dell’ambiente stesso; - lo stock di risorse non rinnovabili deve restare costante nel tempo. In tale definizione, viene introdotto anche un concetto di “equilibrio” auspicabile tra uomo ed ecosistema. Nel 1994, l’ICLEI (International Council for Local Environmental Initiatives) ha fornito un’ulteriore definizione di sviluppo sostenibile: “sviluppo che offre servizi ambientali, sociali ed economici di base a tutti i membri di una comunità, senza minacciare l’operabilità dei sistemi naturali, edificato e sociale da cui dipende la fornitura di tali servizi”. Ciò significa che le tre dimensioni economiche, sociali ed ambientali sono strettamente correlate, ed ogni intervento di programmazione deve tenere conto delle reciproche interrelazioni. L’ICLEI, infatti, definisce lo sviluppo sostenibile come lo sviluppo che fornisce elementi ecologici, sociali ed opportunità economiche a tutti gli abitanti di una comunità, senza creare una minaccia alla vitalità del sistema naturale, urbano e sociale che da queste opportunità dipendono. Nel 2001, l’UNESCO ha ampliato il concetto di sviluppo sostenibile indicando che “la diversità culturale è necessaria per l’umanità quanto la biodiversità per la natura: la diversità culturale è una delle radici dello sviluppo inteso non solo come crescita economica, ma anche come un mezzo per condurre una esistenza più soddisfacente sul piano intellettuale, emozionale, morale e spirituale”. 61 In questa visione, la diversità culturale diventa il quarto pilastro dello sviluppo sostenibile, accanto al tradizionale equilibrio delle tre ‘E’. Critiche alle definizioni di sostenibilita’ Il concetto di Sviluppo sostenibile è aspramente criticato da Serge Latouche, Maurizio Pallante e dai movimenti facenti capo alla teoria della Decrescita. Essi ritengono impossibile pensare uno sviluppo economico basato sui continui incrementi di produzione di merci che sia anche in sintonia con la preservazione dell’ambiente. In particolare, ammoniscono i comportamenti delle società occidentali che, seguendo l’ottica dello sviluppo sostenibile, si trovano ora di fronte al paradossale problema di dover consumare più del necessario pur di

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Art 1 e 3, Dichiarazione Universale sulla Diversità Culturale, UNESCO, 2001

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parte 2

la sostenibilità

non scalfire la crescita dell’economia di mercato, con conseguenti numerosi problemi ambientali: sovrasfruttamento delle risorse naturali, aumento dei rifiuti, mercificazione dei beni. Il tutto, a loro modo di vedere, non è quindi compatibile con la sostenibilità ambientale: ritengono lo sviluppo sostenibile una teoria superata, in ogni caso non più applicabile alle moderne economie mondiali. Non ci può essere sostenibilità se c’è l’idea di economia come la conosciamo oggi. Ci deve essere un apliamento, o meglio, un superamento di questo concetto ormai obsoleto. Finché ci sarà una mentalità capitalista l’idea di ecologia ed equità sarà, per l’umanità, un utopia. A questo proposito Serge Latouche afferma che: “di fronte alla globalizzazione, che non è altro che il trionfo planetario del mercato, bisogna concepire e volere una società nella quale i valori economici non siano più centrali (o unici). L’economia dev’essere rimessa al suo posto come semplice mezzo della vita umana e non come fine ultimo. Bisogna rinunciare a questa folle corsa verso un consumo sempre maggiore. Ciò non è solo necessario per evitare la distruzione definitiva delle condizioni di vita sulla Terra ma anche e soprattutto per fare uscire l’umanità dalla miseria psichica e morale. Si tratta di una vera decolonizzazione del nostro immaginario e di una diseconomicizzazione delle menti indispensabili per cambiare davvero il mondo prima che il cambiamento del mondo ce lo imponga nel dolore. Bisogna cominciare con il vedere le cose in altro modo perché possano diventare altre, perché sia possibile concepire soluzioni veramente originali e innovatrici. Si tratta di mettere al centro della vita umana altri significati e altre ragioni d’essere che l’espansione della produzione e del consumo”. L’ultimo gadget ideologico dell’Occidente Approfondiremo più avanti, nel capitolo dedicato, il concetto di sviluppo sostenibile. In questo contesto si propone, come esempio di diversa interpretazione del termine sostenibilità e del Rapporto Brundtland, alcuni brani dell’articolo di Davide Ranzini del 2004.

Lo sviluppo (in)sostenibile “In sostanza, il termine “sviluppo sostenibile” è una mistificazione verbale, un sofisma, perché non è l’ambiente che si vuole preservare ma, in primis, gli interessi dello sviluppo, quello nato dalla rivoluzione industriale inglese nel ‘ 700...” La definizione che conosciamo come rapporto Brundtland, ha ricevuto anche il sostegno delle maggiori organizzazioni internazionali come ONU, Commissione Europea e Banca Mondiale. 
Esso definendo quelli che sono i concetti alla base dello “sviluppo sostenibile”, promuove l’intervento tecnologico, come uno strumento per rendere più produttivo

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l’ambiente, e riconosce al contempo nei cosiddetti “beni globali”, come, aria, acqua, suolo, biodiversità, un patrimonio comune dell’umanità. Il Rapporto Brundtland propone 22 nuovi principi, tra i quali: - il rinnovamento della crescita economica, - il miglioramento della qualità della crescita, - la stabilizzazione dei livelli d’occupazione, - una nuova strutturazione delle relazioni economiche internazionali, - il rafforzamento della cooperazione internazionale. Il rapporto raccomanda l’inserimento di tali principi nelle leggi nazionali o in atti internazionali vincolanti, per specificare diritti, doveri e responsabilità di cittadini e Stati. Con il documento Brundtland viene anche riconosciuto che la Terra, con l’ambiente e le sue risorse, non può più sostenere gli attuali livelli di crescita economica e demografica della specie umana, senza causare profondi ed irreversibili sconvolgimenti globali degli equilibri naturali. Si è messo in conto che esiste l’altra faccia della medaglia che lo sfruttamento intensivo della terra, attraverso una prassi economica e tecnologica sregolata, presentava: inquinamento dell’ambiente con l’effetto serra in testa, fine degli oceani, radioattività, sfruttamento intensivo delle risorse naturali, distribuzione della ricchezza, crescita del divario tra Nord e Sud (intese come categorie socio-economiche) del mondo. Da tempo ormai il concetto di “sviluppo sostenibile”, definito giustamente da alcuni suoi detrattori, come “l’ultimo gadget ideologico dell’Occidente” o “un imbroglio”, è oggi, fortemente criticato per via non solo dell’ambiguità della definizione stessa, diventata ormai “ parola d’ordine dei sostenitori dell’Ecologia industriale o del capitalismo verde, vale a dire di coloro che si dichiarano a favore della riconciliazione della preoccupazione ecologista con l’industria o il mercato”. Ma sopratutto per quel che ingannevolmente racchiude questa teoria: “(che tenendo conto di dati quali l’esaurimento delle risorse e l’inquinamento risultante dalle attività industriali cerca di racchiudere l’ambiente nella razionalità economica)”, “ è assolutamente criticabile perché il patrimonio naturale e il capitale artificiale, non sono in realtà sostituibili. Considerare il primo come un “capitale” è peraltro un mero artificio linguistico, dal momento che il valore delle risorse naturali è inestimabile in termini economici; se esse sono una condizione per la sopravvivenza umana “il loro prezzo” non può essere che infinito. La teoria dello “sviluppo durevole” mira a correggere lo sviluppo classico, ma si guarda bene dal considerarlo per quello che è, cioè la causa profonda della crisi ecologica che conosciamo. Essa è infine particolarmente ingannevole nella misura in cui lascia credere che sia possibile rimediare a questa crisi senza mettere in discussione la logica mercantile, l’immaginario economico, il sistema monetario. In sostanza, il termine “sviluppo sostenibile” è una mistificazione verbale, un sofisma, perché non è l’ambiente che si vuole preservare ma, in primis, gli interessi dello sviluppo, quello nato dalla rivoluzione industriale

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inglese nel ‘ 700, e “cioè una guerra economica contro gli uomini e degli uomini contro la natura”, come evidenzia il francese Serge Latouche brillante autore di diversi libri sulle dinamiche della globalizzazione. “Lo “sviluppo sostenibile”, scrive Latouche “è come l’inferno, è lastricato di buone intenzioni”. Non bisogna lasciarsi ingannare: Non è l’ambiente che si tratta di preservare ma innanzi tutto lo sviluppo. In questo consiste la trappola. Il postulato dell’armonia naturale degli interessi non è radicalmente rimesso in questione. E’ ampliato in una sorta di “keynesismo ecologico”. Ad esempio, nello stesso rapporto Brundtland, Latouche fa notare che, a pagina 10 si legge:” Affinchè lo sviluppo durevole possa realizzarsi nel mondo intero, i ricchi devono adottare un modo di vita che rispetti i limiti ecologici del pianeta”. Tuttavia, qualche pagina più avanti, è scritto: ”Dati i tassi di crescita demografica, la produzione manifatturiera dovrà aumentare di 5-10 volte soltanto perché il consumo di articoli manifatturati nei paesi in via di sviluppo possa raggiungere quella dei paesi sviluppati”. Che cosa è, si chiede quindi Latouche ”lo sviluppo durevole se non l’assicurazione dell’eternità a una estensione universale dello sviluppo?”. Il termine “sviluppo sostenibile” va quindi respinto perché è una contraddizione in termini. Inoltre, come afferma l’economista indiano Amupam Mishra, in una critica meticolosa al documento Brundtland: “Gli esperti, che usano il tenore di vita occidentale come metro, non comprendono che la vera causa della distruzione della popolazione sta proprio nell’imposizione di un tenore di vita occidentale per tutti. Purtroppo tutti i governi odierni, sia democratici che dittatoriali, sia socialisti che islamici, fanno ogni sforzo per raggiungere un tenore di vita occidentale per la loro gente. E per questo sono pronti a vendere il loro suolo, l’acqua, le foreste, l’aria, ma anche le donne, e i bambini ai mercanti e speculatori occidentali”. Così è davvero impossibile non riconoscere nell’ambiguità e nell’incoerenza di questa definizione verbale, Il summit di Johannesburg ha posto in evidenza la totale non riformabilità del sistema, annunciando la sua “ineluttabile” e progressiva crudeltà con le stime fatte per il 2030 che prevedono una parte di mondo con ricchezza quadruplicata di fronte ai tre quarti di popolazione che vivranno in miseria: un solo e unico tipo di sviluppo quello, strettamente di “marca” occidentale rivestito di una fasulla patina d’ecologia che l’aggettivo “sostenibile”, suggestivamente le dà. Siamo di fronte ad un ossimoro, a due termini di fatto, opposti e inconciliabili. “Lo ‘sviluppismo’ è un’espressione profonda della logica economica. Non c’è posto, in questo paradigma, per il rispetto della natura preteso dagli ecologisti, né per il rispetto dell’essere umano reclamato dagli umanisti”.
“La teoria dello sviluppo, è sempre stata la prosecuzione della colonizzazione con altri mezzi. Sviluppo è stata l’occidentalizzazione del mondo”. 62

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Davide Ranzini del 2004, apparso su www.peacelink.it/ecologia


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rilievo, dopo un po’ di tempo sono finiti e i protagonisti sono scomparsi senza lasciare traccia e spesso si sono perse anche le tracce scritte, non solo la “storia” (ma anche la “cronaca”) degli eventi ambientali e delle persone che vi sono state coinvolte. 63

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parte 3 Studio preliminare Un’analisi sociologica per introdurre il marketing tribale pag.234

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Ecologia e ambientalismo Il termine “ecologia” appare fra la fine degli anni sessanta e i primi anni settanta del Novecento quando diventa di dominio dell’opinione pubblica e dei grandi mezzi di comunicazione, in primo luogo nei paesi industrializzati. Durante la famosa epoca della contestazione, la parola “ecologia” diventa un ulteriore pretesto per portare alla luce molti problemi, tra i quali: alterazioni provocate all’ambiente naturale dagli inquinamenti, dalla guerra, dalla congestione urbana, dal traffico automobilistico, dall’espansione dei consumi, dalla speculazione edilizia di speranza nel cambiamento verso condizioni di vita più umane, più in armonia con la natura. In pochi anni le parole “ecologia” e “ambiente” sono diventate spesso “di moda”, e come tali hanno attratto curiosità e attenzione, esercitando anche un sottile perverso fascino: dal momento che si riferiscono a problemi della vita comune, innumerevoli persone e intellettuali hanno scoperto (o hanno creduto) di essere in grado di parlare dei problemi ecologici e spesso anzi si sono riconosciuti “ecologi”. Nello stesso tempo intellettuali e studiosi di educazione umanistica hanno inventato altrettanti settori disciplinari, per cui sono nate l’ecologia della mente, la filosofia o sociologia ecologica, l’economia ecologica e ambientale, l’ecologia umana, il diritto dell’ambiente, la pianificazione ecologica del territorio, gli elementi ecologici di ingegneria chimica, l’etica ecologica, numerose storie ecologiche. Insomma, la parola “economia” è stata affiancata a termini facenti parte di altri contesti e discipline creando così molto spesso ossimori. Nello stesso periodo, a partire dai primi anni settanta, un crescente numero di associazioni e gruppi di persone si sono formati per condurre battaglie “ecologiche” o per la difesa della natura e dell’ambiente dalla costituzione delle zone protette, alla difesa dei litorali e dei fiumi, alla lotta contro i pesticidi e l’energia nucleare, contro le fabbriche inquinanti, contro la speculazione edilizia. Come spesso capita, molti eventi, iniziative, battaglie, talvolta di grande

Ai giorni nostri l’ecologia è tornata alla ribalta e, come spesso accade nel mondo del fashion che ripesca idee e concetti dal passato per riproporli, è nuovamente alla moda parlare di ecologia. Il realtà, il dibattito non si era mai arrestato ma nel biennio 2008/2010 si è riacceso a causa dei gravissimi problemi che, se prima erano sfocate minacce, ormai sono visibili agli occhi di tutti. Per questo tutti oggi parlano di ecologia, è sulla bocca di tutti, di chi ne parla pensando di sapere cos’è. Il problema ecologico è entrato a far parte dei programmi dei politici (a livello locale), delle iniziative delle organizzazioni mondiali (ONU, WWF,…) e, da qualche tempo, anche nelle mission e vision delle multinazionali e delle aziende di qualunque settore merceologico. Nel linguaggio comune il termine ‘ecologia’ ha acquisito la significazione di un approccio protettivo nei confronti del pianeta, provato dallo sfruttamento senza limiti dell’uomo nel corso dei secoli. In realtà, come vedremo fra qualche riga, questo significato è da attribuire al termine ‘ambientalismo’. A questa confusione dei termini ha contribuito anche l’assorbimento, nella lingua italiana, senza grande approfondimento critico, di termini stranieri, come quelli anglosassoni “ecology”, “environment”, “ecologist” (che è lo studioso di ecologia, l’”ecologo”, e non l’”ambientalista”), “conservation”. Un certo interesse meriterebbe anche un’analisi della mercificazione della parola “ecologia” (ma anche della parola “naturale”), appiccicata, per attrarre i compratori, alle più svariate merci, indubbiamente come segno del fatto che si tratta di parole e concetti divenuti “riconoscibili” come qualcosa di positivo, di buono. 63 Facciamo un po’ di chiarezza: L’ecologia (dal greco: oikos, “casa” o anche “ambiente”; e logos, “discorso” o “studio”) scienza che studia le relazioni tra gli esseri viventi e l’ambiente fisico in cui vivono, è la disciplina che studia la biosfera, ossia la porzione della Terra in cui è presente la vita e le cui caratteristiche sono determinate dall’interazione degli organismi tra loro e con l’ambiente circostante, o ancora porzioni della biosfera medesima. Il termine fu coniato dal biologo tedesco Ernst Haeckel nel 1866 che definì l’ecologia come lo studio dell’economia della natura e delle relazioni degli animali con l’ambiente organico e inorganico, soprattutto dei rapporti favorevoli e sfavorevoli, diretti o indiretti con le piante e con gli altri animali, o più semplicemente come lo studio dei rapporti fra gli esseri viventi e l’ambiente

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Giorgio Nebbia, Per una definizione di storia dell’ambiente

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circostante. La parola fu coniata su quella, molto più antica, di “economia”, usando lo stesso prefisso, eco (dal greco ecos, oikos; casa, villaggio, comunità). Del resto la relazione con questa scienza non fu casuale, infatti così come l’economia descrive le leggi e le regole che valgono in una casa, in una comunità, in cui gli umani si scambiano cose utili, l’ecologia si occupa della descrizione dell’ambiente, del territorio, in cui vegetali e animali scambiano materiali ed energia fra loro e con il mondo inorganico circostante. Haeckel definì pertanto l’ecologia come lo studio dell’”economia della natura”, un termine - “Oeconomia naturae” - che peraltro era già stato usato dal naturalista svedese Carlo Linneo nel 1749. Due approcci diversi all’ecologia sono: - la sinecologia, che analizza gli ecosistemi nella loro globalità, studiandone in particolare l’equilibrio o l’evoluzione; - l’autoecologia, che studia i rapporti ecologici intrattenuti da una singola specie, ossia la sua nicchia ecologica. Oltre ai singoli ecosistemi, l’ecologia studia i biomi, ossia le tipologie di ecosistemi, che si ritrovano in continenti diversi in condizioni climatiche, pedologiche e geomorfologiche simili. Ecologia, branca della biologia che studia i rapporti reciproci fra organismi viventi e ambiente circostante e le conseguenze di tali rapporti, spec. al fine di limitarne o eliminarne le nocività. Ecologico: che salvaguarda l’ambiente naturale. 64 Oggi il termine ecologia sottintende un insieme di fattori ambientalistici, politici, sociali e filosofici che implicano la salvaguardia ambientale mediante la protezione degli animali, la riduzione dell’inquinamento, la promozione delle energie rinnovabili e dello sviluppo sostenibile, la salvaguardia delle risorse naturali e degli ecosistemi, la promozione di aree naturali protette.

Le emergenze ambientali Nella sua storia geologica, la Terra ha subito molti cambiamenti ambientali (deriva dei continenti, glaciazioni e mutamenti climatici connessi), ma nell’attuale epoca (era olocenica o postglaciale) questi cambiamenti non sono stati significativi, se si esclude la pressione ambientale esercitata dall’uomo negli ultimi secoli. Quello che per natura non è mutato, è stato manomesso dall’uomo e dallo sviluppo dell’attività umana che ha profondamente modificato nei secoli l’ambiente, creando città, utilizzando risorse, modificando il paesaggio, inserendo nuove specie in regioni in cui prima erano assenti. Questa interferenza nei fattori ambientali ha portato allo sviluppo di problematiche come: - L’inquinamento ambientale in generale - L’effetto serra ed il riscaldamento globale (scioglimento ghiacciai) - Il buco nell’ozono - La deforestazione e la desertificazione di alcune aree - Le piogge acide - L’estinzione di numerose specie viventi Ambientalismo Diversamente dal termine ‘ecologia’, che indica lo studio delle relazioni tra i sistemi viventi del pianeta, per ambientalismo si intende il concetto filosofico ed i movimenti sociali che operano la difesa ed il miglioramento dell’ambiente e lo sviluppo sostenibile. Ambientalismo s. m. [der. di ambientale]. – 1. In sociologia e psicologia, indirizzo teorico che sostiene la preminente influenza dei fattori e delle situazioni ambientali nella formazione e nello sviluppo della personalità e dei comportamenti umani. 2. Termine, che si alterna con ecologismo, designante la politica per la difesa dell’ambiente (inteso come luogo in cui si svolge la vita umana, animale e vegetale, soprattutto in relazione ai problemi dell’inquinamento, del degrado ambientale e dello sfruttamento delle risorse naturali), e la corrispondente azione di propaganda per la salvaguardia dell’equilibrio naturale. 65

I fattori ambientali L’equilibrio dell’ambiente naturale è influenzato da diversi fattori, che generalmente vengono distinti in abiotici (“senza vita”), biotici (“vitali”) e limitanti (quelli senza cui un organismo non può vivere). La complessa interazione fra questi fattori ambientali e gli esseri viventi si definisce un ‘ecosistema’. Per preservare la vita e gli ecosistemi é fondamentale che sia mantenuto in equilibrio il sistema. Ecosistema, l’insieme degli esseri viventi, dell’ambiente e delle condizioni fisicochimiche che, in uno spazio delimitato, sono inseparabilmente legati tra loro, sviluppando interazioni reciproche.

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vocabolario della lingua italiana Il Nuovo Zingarelli, 2000

I temi principali di cui si occupa sono: - l’inquinamento - la protezione degli animali - gli ecosistemi e le aree protette - la politica di gestione dei rifiuti - gli organismi geneticamente modificati - la gestione delle risorse energetiche (con particolare interesse alle fonti alternative di energia e alle rinnovabili) - altri ideali di sviluppo (sviluppo sostenibile o decrescita) - i mutamenti climatici - la pace.

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enciclopedia web Treccani

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Correnti dell’ecologia L’ecologia e la filosofia si sono intrecciate e in epoca contemporanea, hanno dato impulso a molte discussioni. Possiamo distinguere, generalizzando, tre diverse all’interno del movimento ecologista in campo etico: - La prima corrente, deep ecology (ecologia profonda), espressione introdotta nel 1973 dal filosofo norvegese Arne Næss, sostiene che le conoscenze che l’ecologia ci ha apportato, imporrebbero un mutamento radicale nei nostri valori e dovrebbero generare in noi un senso di uguaglianza con tutto ciò che fa parte della comunità biotica. In particolare che il cosmo è una rete di relazioni e non un insieme di esseri separati e suggerisce una soluzione: tutti gli esseri viventi sono uguali. Infatti nell’ambito di una prospettiva biocentrica, in cui la vita ha il valore assoluto, lo stesso valore che attribuiamo a noi stessi deve essere attribuito alle altre forme viventi.
Il rischio maggiore di questa posizione estremista è quella che dalle regole esplicative dell’ecologia possano scaturire regole per l’agire morale, ovvero che possano essere presi come valori di condotta morale concetti di una scienza puramente descrittiva, quale è l’ecologia. Eticamente non ha alcun senso ravvisare nel paradigma ecologico la determinazione di ciò che deve essere fatto, in quanto non è detto che una cosa solo perché accade sia giusto che accada. Non necessariamente una determinata regola ecologica è giusta solo perché dettata dalla natura, se no sarebbe giusto, ad esempio, il prevalere del più forte anche nelle comunità umane così come avviene in natura.
 - Nella seconda corrente che possiamo riassumere sotto il nome di shallow ecology (ecologia di superficie), la natura non possiede un valore intrinseco, né diritti. Le varie componenti del mondo ricevono un significato solo dall’uso che fa di esse l’uomo, anche se è da rigettare, secondo gli esponenti di tale corrente, la cultura del dispotismo in cui l’essere umano non ha alcun limite morale nel suo rapporto con la natura. L’uomo, in questo antropocentrismo moderato, riveduto e corretto diviene amministratore e (quindi anche responsabile) della terra.
 - La terza e ultima corrente si rifà ad una visione neo-umanista della realtà, dove non c’è bisogno di scegliere fra l’alternativa del dominio e quella della sottomissione. A tal proposito Luisella Battaglia afferma che “se la prima è retta dall’idea dell’intrinseco valore tecnologico e legata un’immagine dell’uomo despota di una natura infinitamente sfruttabile, la seconda si richiama al mito regressivo di una natura intesa come madre nutrice, intenta a provvedere ai bisogni dell’umanità e turbata dagli interventi insensati e violenti dell’uomo”. 66 I neo-umanisti, pur consapevoli che il problema che si pone oggi non sia quello del dominio sulla natura, ma quello sul dominio del nuovo potere umano che minaccia la natura, indicano come soluzione la via del rispetto dell’altro (sia esso umano o non). E rifacendosi all’etica della responsabilità mettono in primo piano lo sforzo che la nostra specie, in quanto responsabile del resto, deve compiere per cercare di prevedere le conseguenze delle proprie azioni allargando il territorio della comunità morale sia in senso spaziale che temporale.
La natura entrata così nella cerchia delle responsabilità umane diviene, come sottolinea Luisella Battaglia, l’aspetto nuovo su cui riflettere nell’ambito dell’etica, mentre deve essere riconsiderato

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Luisella Battaglia, Il dilemma della modernità, Napoli 1994

il modo di atteggiarsi rispetto alla tradizione umanistica, che è considerata generalmente estranea al rispetto della natura e che, per questo motivo, viene spesso rifiutata dalla cultura ambientalista. Secondo la studiosa, le tesi della saldatura e della complicità tra umanesimo antropocentrico e assoggettamento del mondo vivente è ormai diventata una sorta di luogo comune che alimenta le concezioni antiumanistiche dell’ecologismo fondamentalista e rischia di negare sia la complessità della tradizione umanistica sia le stesse potenzialità del pensiero ecologico. Questo luogo comune, è nato principalmente a causa di un doppio equivoco, che identifica l’umanesimo con un antropocentrismo forte e l’ecologismo con un fondamentalismo biocentrico. Da qui nascono l’idea di un umanesimo ineluttabilmente antiecologico, convinto della necessità di difendere l’uomo e i suoi valori dalla sacralizzazione della natura, e quella di un ecologismo necessariamente antiumanistico, persuaso che per difendere la natura sia necessario mettere sotto accusa tutta la tradizione culturale e filosofica occidentale. Questi due modelli sono dunque opposti, ma essenzialmente accomunati da un paradigma di appiattimento che impedisce di concepire la complessità della relazione che intercorre tra uomo e natura, mentre, in verità, è importante promuovere una visione in cui l’integrità umana e l’integrità naturale si richiamino reciprocamente per determinare in quale modo l’uomo, sulla base di una scelta di valore che sarà sempre e solo umana, debba assumersi le responsabilità verso il resto del mondo. La via indicata da questo umanesimo ecologico è dunque quella di una cultura del rispetto, nutrita della consapevolezza che oggi non si tratta tanto di dominare la natura, quanto di limitare il dominio sulla natura. Le nostre responsabilità nascono dal nostro potere sull’ecosistema, reso sempre più forte da ogni progresso della tecnica e della scienza, per cui sta a noi tenere presenti tutte le conseguenze volute e possibili del nostro agire, preoccupandoci degli effetti a lungo termine delle operazioni umane sul sistema planetario, sulle generazioni future, sulle altre creature. L’approccio neoumanista all’ecologia poggia su un fondamentale principio: “Il valore esistenziale degli esseri viventi dovrebbe avere precedenza sul valore di utilità”. Ovvero non bisogna distruggere animali o piante, non solo perché può danneggiare l’interesse futuro degli esseri umani, ma soprattutto perché la loro esistenza ha un valore in sé. E’ sicuramente accettabile che da una parte la sopravvivenza e lo sviluppo umano richiedono l’utilizzo di animali e piante, ma questo va fatto tenendone presente il loro valore esistenziale. I movimenti ecologisti negli ultimi decenni hanno creato una consapevolezza senza precedenti storici riguardo ai problemi ambientali. Le loro lotte hanno permesso in tutto il mondo di far emergere i problemi dell’inquinamento, la tutela delle specie in estinzione sia nel mondo animale che in quello vegetale. Ha soprattutto posto l’attenzione sull’emergenza dell’equilibrio ecologico per il futuro del pianeta. Ma quest’approccio oggi sta mostrando i suoi limiti. La negazione degli Stati Uniti degli accordi di Kyoto ne è un palese esempio. La globalizzazione, ultima espressione del sistema capitalista pone, una priorità

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strutturale e ideologica del valore del profitto sul valore esistenziale degli esseri viventi. E’ questa negazione che rende inconciliabile il capitalismo con l’ambiente. Neanche i sistemi comunisti garantiscono l’armoniosa coesistenza tra ambiente e sistema economico in quanto il materialismo storico non implica nessun valore esistenziale (se non quello materiale) agli esseri viventi.

Correnti della filosofia ambientalista Si possono distinguere tre correndi diverse all’interno della filosofia ambientalista: una in base agli obiettivi prefissi, l’altra in merito al grado di accettazione della situazione attuale - Ambientalismo moderato: come la corrente socialdemocratica dentro la filosofia socialista è la parte moderata del movimento, così questa corrente è la parte moderata della filosofia ambientalista. Rappresenta tutte quelle correnti che portano avanti una trasformazione lenta e graduale della società al fine di arrivare ad una società ecocompatibile senza strappi eccessivi rispetto all’attuale situazione. Sono spesso rappresentati nei parlamenti dai partiti verdi. - Animalismo: questa corrente si prefigge soprattutto l’obiettivo della tutela degli animali. Gli animalisti identificano uno dei maggiori problemi della società attuale nel rapporto che la specie Homo Sapiens Sapiens tiene con le altre specie; loro maggiore motivo di impegno è la protezione dei diritti animali. L’animalismo può assumere diverse gradazioni in quanto a estremismo o metodi di lotta. Esiste l’animalismo legale, rappresentato dalla galassia di associazioni e ONG del settore come legambiente e il wwf; esiste poi anche un animalismo più estremo, che può essere riconosciuto per esempio nell’associazione ALF, che si batte per la tutela degli animali con azioni dirette e spesso illegali. - Ambientalismo estremo: rappresenta una galassia intera di opinioni, tendenze, e filosofie, le cui caratteristiche generali sono una interpretazione estrema delle idee ambientaliste. Possiamo trovare, all’interno di questa corrente, posizioni come quelle del Movimento per l’estinzione umana volontaria, la cui azione mira a sensibilizzare l’opinione pubblica circa la necessità di una estinzione volontaria del genere umano; oppure quelle dei medievalisti ambientalisti, che sostengono la necessità di tornare ad uno stile di vita medioevale per poter salvare il pianeta.

Storia Nei primi anni 60, a causa dello sviluppo industriale che vissero molti Paesi subito dopo la Seconda Guerra mondiale, nacquero i primi dibattiti politici. Nel 1962 il libro ‘Silent Spring’ (Primavera silenziosa), pubblicato da Rachel Carson, che criticava l’uso indiscriminato che si faceva allora dei pesticidi, destò notevoli polemiche e interesse fra la gente comune, e stimolò il nascere di una legislazione - fino ad allora assente - orientata alla tutela dell’ambiente. I primi movimenti ambientalisti cominciarono ad organizzarsi politicamente negli anni settanta. Il primo Partito verde della storia nacque in Australia nel 1972, precisamente in Tasmania, era il “Gruppo Tasmania Unita” (United

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Tasmania Group, U.T.G.) mentre in Europa il primo partito ambientalista fu fondato in Gran Bretagna nel 1973 (dapprima nominato People, poi Ecology Party ed infine Green Party). La coscienza ambientalista ricevette una spinta propulsiva dopo la pubblicazione, nel 1972, del ‘Rapporto sui limiti dello sviluppo’ a cura del Club di Roma che prediceva pessime conseguenze sull’ecosistema terrestre e sulla stessa sopravvivenza della specie umana a causa della crescita della popolazione mondiale e dello sfruttamento di risorse correlato. Il colore più usato dai movimenti ambientalisti è il verde, che fu utilizzato dai “Grünen” (il partito dei verdi tedesco nato negli anni ottanta). In Italia il partito dei Verdi fece la sua comparsa nel 1985 trasformandosi, dopo varie vicissitudini, in Federazione dei Verdi, pur senza potersi dire effettivamente rappresentante delle associazioni ambientaliste. Diverso è stato il rapporto dei movimenti ambientalisti con la politica istituzionale. Non è stato significativo per la prima associazione ambientalista italiana, Pro Natura, sorta nel 1948 su iniziativa di alcuni naturalisti. Successive associazioni hanno cercato di assumere un approccio di pressione in qualche modo lobbistica, come il WWF, altre fin dall’inizio hanno propugnato, come Legambiente, la necessità di incidere sulla grande politica. Alcuni militanti ambientalisti sono stati eletti in Parlamento. Gli sforzi dei movimenti ambientalisti hanno portato a grandi risultati nelle politiche ambientali, come la creazione dell’Ufficio Europeo dell’Ambiente, lo sviluppo e l’applicazione di norme sulla protezione ambientale, lo sviluppo di aree protette, o l’introduzione di sistemi di tassazione dei rifiuti o emissioni basato sulla quantità effettivamente prodotta (ad esempio la carbon tax). Da ricordare, inoltre, che con le pressioni degli ambientalisti e del mondo scientifico sono stati adottati a livello mondiale due importanti protocolli: quello di Montreal per la protezione dello strato di Ozono e quello di Kyoto per combattere il riscaldamento globale.

L’ambientalismo oggi Ormai molti governi del mondo occidentale ammettono l’importanza di dibattere su temi legati all’ambiente, l’utilità di strategie economiche sostenibili e rispettose dell’ambiente. Tuttavia i problemi che la nostra epoca ci pone (il riscaldamento globale, lo sviluppo demografico, la carenza di risorse energetiche, l’instabilità e l’incertezza socio-economica, lo sviluppo incontrollato di Cina e India) sono molto complessi e controversi. Gli ambientalisti dovranno consolidare le proprie forze allo scopo di continuare nel lavoro di pressione politica all’interno dei parlamenti e nella società. Sarà necessario anche confrontarsi e trovare la collaborazione delle frange più estreme del movimento ecologista e del “popolo di Seattle”. Dovranno anche confrontarsi con le numerose perplessità sulla consistenza intellettuale e scientifica di alcuni risvolti del movimento ambientalista: infatti - se è vero che i principi di difesa dell’ambiente sono oggi in gran parte ritenuti

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validi - alcune soluzioni proposte da una parte degli ambientalisti sono, secondo alcuni, di dubbia razionalità ed utilità. Contributi utili alla discussione sulla valenza della difesa dall’ambiente stanno giungendo anche da settori della società che fino a poco tempo fa non consideravano questo aspetto, come i grandi fondi d’assicurazione statunitensi, la Banca Mondiale, l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) e recentemente anche il Governo Inglese, che ha prodotto il rapporto Stern nel quale si sostiene la necessità di spendere ingenti quote di PIL per evitare dissesti finanziari dovuti alle emergenze ambientali.

Le tante storie dell’ambiente Giorgio Nebbia, in uno dei suoi numerosi scritti, sviluppa la storia dell’ambientalismo e dell’ecologia per punti, dividendo la trattazione in compartimenti che aiutano la comprensione di una così complessa vicenda. A partire da esso, si trarranno i punti più importanti che vengono poi schematizzati nella tavola a pag. a. La “storia dell’ecologia” Disciplina naturalistica nata nella seconda metà dell’Ottocento anzi l’”invenzione” del nome è attribuita al biologo tedesco Ernst Haeckel (1834-1919) che avrebbe usato per la prima volta il termine, in un suo libro del 1866 come per indicare la scienza dei rapporti fra gli esseri viventi e l’ambiente fisico circostante e dei rapporti fra gli esseri viventi. La ricerca ecologica ha avuto, nel periodo 19201940, alcuni “anni d’oro”. b. La “storia della conservazione della natura” Abbastanza affine alla storia dell’ecologia è la storia della conservazione della natura. Sono stati loro a sollecitare i governi, nazionali o locali, perché emanassero disposizioni per la conservazione della natura - per la costituzione di parchi in cui fosse possibile proteggere ecosistemi vegetali o animali di particolare rarità e valore naturalistico, per la protezione di animali in via di estinzione, di zone umide, per la lotta contro gli incendi, spesso dolosi. La parte meglio esplorata della storia della conservazione della natura riguarda gli Stati Uniti, dove sono stati creati parchi e riserve già nella seconda metà del secolo scorso. Tali iniziative di conservazione della natura si sono scontrate fin dall’inizio, con gli interessi speculativi delle compagnie turistiche, delle compagnie petrolifere e minerarie e di quelle interessate al taglio del legname. c. La “storia dell’ambiente” Un terzo gruppo di interessi storici riguarda la “storia dell’ambiente” considerata nel senso della parola anglosassone “environmentalism”, distinta dalla storia della conservazione della natura, a cui sembra più giusto associare il termine anglosassone “conservation”. L’esame degli scritti in questo campo conduce ad una specie di storia della geografia e del paesaggio, con intrecci con la storia dell’agricoltura, dei boschi e dell’uso del territorio.

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Numerose ricerche hanno mostrato che molte società del passato hanno prestato attenzione alla conservazione della natura, soprattutto dei boschi e alla regolazione del corso dei fiumi, alla difesa contro frane a alluvioni. Nella storia dell’ambiente rientra la storia dell’analisi degli ecosistemi urbani. Molti studiosi, soprattutto di estrazione urbanistica, hanno riconosciuto il carattere di “ecosistema artificiale” delle città. d. La “storia della contestazione ecologica” Si trovano qui numerosi termini come ecologismo, ambientalismo, ambientalismo scientifico, e simili. La “contestazione ecologica” è qui definita come ogni intervento di persone o di gruppi di persone contro azioni o opere o violenze che arrecano danno alla salute umana e alle risorse naturali. Mentre c’è stata un’esplosione di contestazione a partire dagli anni settanta di questo secolo, una più attenta analisi storica mostra che episodi di contestazione, soprattutto degli inquinamenti si sono verificati almeno a partire dal Medioevo. Benchè la contestazione ecologica sia nata con carattere popolare e, di base, in genere come protesta contro offese arrecate ad una comunità, spesso essa è stata guidata e aiutata dagli specialisti di varie discipline. e. La storia delle associazioni ambientaliste Le precedenti contestazioni e “lotte” sono state condotte da innumerevoli soggetti che andavano da piccoli gruppi, talvolta a livello di paese, fino a vere e proprie associazioni, con decine e centinaia di migliaia di iscritti. In Italia il campo più esplorato riguarda le associazioni ambientaliste “grandi”, in ordine di apparizione Pro Natura, Italia Nostra, il WWF, Amici della Terra, Greenpeace, Legambiente, e alcune altre. f. La storia del dibattito sui “limiti della Terra” Un’interessante pagina della storia del dibattito ecologico riguarda l’attenzione per i “limiti” della Terra. Il concetto di “limite” era già presente negli studi economici fin dal secolo scorso quando alcuni studiosi hanno indicato che le risorse naturali un giorno avrebbero potuto essere insufficienti o addirittura esaurirsi. Nel nostro secolo il movimento si tradusse in una denuncia del rapido “eccessivo” aumento della popolazione mondiale, rispetto alla disponibilità di cibo, acqua, risorse. Si trattava di una diretta conseguenza del principio, rigorosamente ecologico, dell’esistenza di una capacità portante - di una carrying capacity - limitata in qualsiasi ecosistema, locale o planetario. Il momento di massima attenzione si è avuto nel 1972 con la pubblicazione del libro, commissionato dal Club di Roma, intitolato “I limiti alla crescita”. L’invito a porre dei limiti alla crescita della popolazione e dei consumi e al conseguente degrado e esaurimento delle risorse naturali, sollevò un vasto dibattito. Direttamente legato alla consapevolezza dei “limiti” è il dibattito, più recente, sulla “sostenibilità”. g. La “storia delle lotte operaie per la salute e l’ambiente di lavoro” Mentre crescevano l’attenzione e la protesta “popolari” per le violenze esercitate

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all’ambiente, talvolta con l’ostilità e il sospetto di una parte della “sinistra”, cresceva anche un’attenzione e cultura “operaia” per il miglioramento delle condizioni e della sicurezza nell’ambiente di lavoro e per i rapporti fra le nocività dentro la fabbrica e quelle che si estendevano all’esterno della fabbrica. Tale attenzione era la diretta continuazione delle lotte operaie che avevano portato alla riduzione dell’orario di lavoro, alla limitazione del lavoro dei ragazzi e delle lotte per il salario. h. Storia dell’economia ecologica e del diritto ambientale L’osservazione della violenza e dei guasti ambientali ha ben presto portato molti a riconoscere la responsabilità nelle “attività economiche” e produttive e nelle stesse regole “dell’economia” capitalistica. Già negli anni sessanta alcuni cominciarono a ironizzare sulla validità del “prodotto interno lordo” come indicatore dello sviluppo economico e del benessere, mettendo in evidenza il rapporto diretto fra PIL, produzione di merci e produzione di rifiuti e di inquinamento. Riconoscere che l’ecologia nasce dal conflitto fra la difesa dei beni collettivi e i tentativi di appropriazione di tali beni da parte di interessi privati, poneva e pone un problema giuridico che richiedeva un’evoluzione anche della cultura giuridica. Nel corso della storia c’erano state molte norme e leggi che avevano consentito di difendere i beni collettivi: le norme sui boschi e pascoli soggetti a usi civici e quelle sul demanio fluviale e marittimo, tutti beni collettivi gradualmente distrutti o privatizzati. i. La storia delle tecniche “ecologiche” Non c’è dubbio che alcuni problemi di inquinamento, di risparmio delle risorse naturali, di difesa dell’ambiente, richiedono soluzioni tecniche. E’ abbastanza curioso notare che spesso le soluzioni a cui si ricorre oggi sono rielaborazioni di tecniche già largamente usate nel passato. Oggi ci si agita molto intorno a processi tecnici per il riciclo dei materiali usati e delle scorie, spesso dimenticando che sempre, in passato, per ragioni “economiche”, le imprese hanno cercato di ricuperare e riciclare tutto quanto era possibile. Fin dal passato molte furono le tecniche “ecologiche” adottate che assicurano la produzione di merci con minore consumo di energia, con minore consumo di materie non rinnovabili, con minore inquinamento. l. Storia dell’educazione e informazione ambientale Non appena è cominciata ad aumentare l’attenzione per i problemi “ecologici” e ambientali si è aperto un dibattito su come diffondere nuovi comportamenti “civili” verso la natura e l’ambiente nelle scuole, dalle elementari alle secondarie superiori e anche fra i cittadini. L’ecologia avrebbe dovuto essere diffusa nell’ambito delle discipline naturalistiche (chimica, scienze naturali, geografia, educazione tecnica) oppure avrebbe dovuto essere oggetto di una nuova “materia”, o avrebbe dovuto essere un capitolo della “educazione civica”? m. Carattere politico dei movimenti di contestazione I movimenti di conservazione della natura, dei beni culturali, e di lotta agli inquinamenti sono nati in ambiente essenzialmente borghese, di “classe media”. E’

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questa l’estrazione della comunità ecologica accademica, delle prime associazioni di difesa della natura, di Italia Nostra, del WWF, del Club di Roma. Le persone che si sono mobilitate hanno riconosciuto che si affacciavano nuovi diritti: il diritto all’aria pulita, il diritto degli animali e dei vegetali a vivere e ad essere protetti da molte violenze dovute alla speculazione, all’arroganza del potere economico. Nei paesi del Sud del mondo invece, in un primo tempo c’è stata una forma di rigetto per un’ecologia che veniva interpretata come una nuova forma di imperialismo e colonialismo dei paesi ricchi del Nord del mondo, con i loro “buoni” consigli di fermare lo “sfruttamento” della natura, i consumi e l’aumento della popolazione. n. Storia dell’”ecologia dei padroni” Se, da una parte, il mondo imprenditoriale ha contribuito a far sorgere l’immagine di una “ecologia” contro il progresso e contro gli stessi lavoratori, dall’altra parte ha seguito con grande attenzione la crescita della contestazione ecologica. Tanto più che tale contestazione aveva cominciato a denunciare che la vera origine delle offese alla natura e all’ambiente andava cercata nella maniera capitalistica della produzione industriale e nelle regole economiche che impongono un’espansione della produzione. Le imprese allora preparano la loro difesa che si è basata sul principio che nessuno possedeva conoscenze e capitali per realizzare tecnologie e merci pulite. La storia potrà mostrare come, alla proteste per la plastica le imprese abbiano risposto con l’invenzione di una “plastica biodegradabile” (che tale non era); alla scarsità di petrolio hanno risposto con la produzione di alcol etilico carburante ottenuto da devastanti coltivazioni di canna da zucchero o cereali. Per il successo di alcune di queste operazioni è stata utilizzata anche la collaborazione di parte del movimento ambientalista a cui è stata data l’illusione di poter partecipare, con correzioni benevolmente ecologiche, alle scelte del potere elettrico, automobilistico, chimico, petrolifero. o. Le chiese e l’ambiente; una etica ambientale L’attenzione cattolica è stata stimolata da un articolo dello storico americano Lynn White che ha attribuito alla tradizione antropocentrica giudeo-cristiana una delle radici del disprezzo per la natura e che ha riconosciuto in San Francesco e nella sua capacità di considerare l’uomo fratello dell’acqua, del fuoco, delle pietre, degli animali selvaggi, l’unico anticipatore della moderna visione dei rapporti uomo/ natura (San Francesco è stato poi proclamato patrono dell’ecologia dalla chiesa cattolica). A livello istituzionale nella chiesa cattolica postconciliare fu costituita una commissione Iustitia-et-pax che, dalla fine degli anni sessanta, cominciò ad essere molto attenta ai problemi ambientali. Una posizione più aperta si è avuta a livello di Consiglio mondiale delle chiese cristiane nei suoi numerosi incontri che hanno portato nel 1990 alla conferenza di Seul su “Giustizia, pace e salvaguardia del Creato”, divenuta poi una campagna internazionale.

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p. Storia dei rapporti fra ambiente e governi Una storia dei movimenti ambientalisti potrà mettere in evidenza, che una gran parte dei guasti ambientali deriva da disattenzioni o disinteresse del “potere”. Se è vero che l’abusivismo edilizio e l’occupazione delle coste sono dovuti alla speculazione privata, che l’inquinamento è dovuto alla smodata sete di profitto delle imprese, è altrettanto vero che tali azioni, violente contro i diritti di cittadini e di una comunità, sono rese possibili da inevitabili compromessi fra potere economico e “governo”. Tali compromessi possono essere mascherati dalla necessità di assicurare l’occupazione e la crescita economica e il soddisfacimento di bisogni “umani” con crescenti quantità di merci; ma comunque il “governo” si è in genere comportato come controparte, come “il nemico” nelle lotte ambientali. Il fenomeno non riguarda soltanto l’Italia. Per comprendere l’attenzione dei governi per l’ambiente occorre risalire agli anni sessanta quando l’ambiente comincia ad essere presente, sia pure timidamente, nelle conferenze delle Nazioni unite e delle sue agenzie. Dopo due anni di preparazione si tenne nel giugno 1972 la Conferenza delle Nazioni unite sull’”ambiente umano” (Stoccolma), seguita da quelle sulla popolazione (Bucarest, 1974, poi Cairo 1984), sull’habitat (Vancouver 1976, poi Istanbul 1996), sull’acqua (Mar del Plata, 1977), sulla desertificazione (Nairobi, 1977), Conferenza di Rio de Janeiro (1992) su “ambiente e sviluppo”, seguita dai vari tentativi di arrivare ad accordi per fermare (o rallentare) i mutamenti climatici o la perdita di biodiversità; protocollo per ridurre il buco nell’ozono (Montreal 1987) conferenza sul riscaldamento globale (Protocollo di Kyoto 2005), fino all’ultima conferenza sui cambiamenti climatici che si è tenuta a Copenhagen (2010). q. Storia dei rapporti fra ambiente, governi e potere in Italia I parlamenti e i governi italiani hanno cominciato ad affrontare i problemi ambientali in occasione della elaborazione, anche sotto la pressione dell’opinione pubblica, delle leggi contro l’inquinamento dell’aria (legge del 1966), dalle norme sulla biodegradabilità dei detersivi e su vari altri argomenti che allora non portavano ancora l’etichetta dell’”ecologia”. Nel 1970, all’alba dell’”ecologia”, con grande intuizione l’allora presidente del Senato Amintore Fanfani costituì una commissione “speciale” mista di senatori e studiosi sui “problemi dell’ecologia”. Da allora il governo italiano ha dovuto partecipare, alle varie iniziative internazionali; va comunque notato che in genere le norme europee sono state recepite con grande ritardo per non disturbare i potenti interessi economici che hanno sempre dominato le azioni di governo, ben più del “bene pubblico”. Una interessante pagina della storia dei rapporti fra ambiente e potere riguarda l’attenzione prestata dalle associazioni ambientaliste ai governi ogni volta che questi dichiaravano di sostenere azioni ecologiche. L’istituzione di un “consiglio” per l’ambiente con le rappresentanze dei più significativi gruppi “ecologici” ha

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fornito per la prima volta l’illusione che la voce delle associazioni potesse essere ascoltata dal potere, e che il potere politico anzi volesse incoraggiare, con contributi finanziari, il lavoro delle associazioni nel campo dell’educazione ambientale, della progettazione e perimetrazione di aree protette, eccetera. A poco a poco le associazioni ambientaliste hanno abbandonato la propria posizione di critica e di verifica dell’operato dei governi e sono diventate collaboratrici dei governi. Si è così diffusa l’idea che le associazioni dovevano smettere di dire sempre di “no”, che bisognava fare proposte operative e suggerire che cosa fare e collaborare alla realizzazione delle cose “buone”. Sarebbe stata questa una forma di “ambientalismo scientifico” in grado, con i propri aderenti e dirigenti, di mettere a disposizione dei “governi” utili competenze e guide tecnico-scientifiche. Non è parso vero ai governi di approfittare di questa offerta per stringere rapporti che rendessero più blanda la contestazione. Le associazione ambientali Come già indicato, nel corso della sua storia l’ambientalismo ha avuto numerosissimo nemici. Questi hanno dovuto, e continuano a vedersela, con numerosi e in alcuni casi potenti, enti di salvaguardia ambientale. Queste associazioni, enti, Onlus, e altri raggruppamenti hanno strenuamente lottato contro il capitalismo e le conseguenze che esso apporta al nostro pianeta. Conseguenze gravissime. Qui si analizzano alcune delle più importanti.

Greenpeace Greenpeace è un’associazione non violenta, che utilizza azioni dirette per denunciare in maniera creativa i problemi ambientali e promuovere soluzioni per un futuro verde e di pace. Greenpeace è indipendente e non accetta fondi da enti pubblici, aziende o partiti politici. Con circa tre milioni di sostenitori in tutto il mondo, Greenpeace è uno dei più grandi movimenti ambientalisti del mondo. Si ispira ai principi della nonviolenza; è indipendente da qualsiasi partito politico; non accetta aiuti economici né da governi né da società private e si finanzia esclusivamente con il contributo di singoli individui che ne condividono gli ideali e la missione. È formata da una rete di uffici nazionali e regionali interdipendenti che lavorano insieme a Greenpeace International, ad Amsterdam. Il ruolo di Greenpeace International è di avviare e coordinare i programmi e le attività di campagna. Ogni ufficio nazionale o regionale lavora su alcune o su tutte le priorità stabilite da International, anche se questo non impedisce agli uffici nazionali di stabilire priorità a livello locale che possono anche portare a una vera e propria campagna. Greenpeace International è finanziata dagli uffici nazionali che, a loro volta, vivono delle donazioni fatte dai sostenitori dei rispettivi paesi. Tutti gli uffici sono tenuti a sostenere Greenpeace International con il 18% delle loro entrate,

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mentre Greenpeace International, oltre a finanziare le campagne internazionali, ad assicurare la manutenzione della flotta e a investire in ricerca scientifica ed innovazione tecnologica, lavora su specifiche campagne internazionali in paesi chiave e aiuta economicamente gli uffici più piccoli che non riescono ad autofinanziarsi. 67

WWF La missione del WWF è costruire un mondo in cui l’uomo possa vivere in armonia con la natura. La crescita economica, materiale, quantitativa delle popolazioni umane ha un costo per la natura e per ciascuno di noi: le attività dell’uomo hanno superato i limiti di sopportazione del nostro pianeta. E’ come se ciascuno di noi, al momento della nascita, ricevesse in dono una quota di natura: un po’ di aria pulita, di acqua da bere, di risorse e luoghi naturali da vivere. Questa quota di natura si impoverisce sempre più, diminuisce sempre più. Se vogliamo un futuro dobbiamo invece custodirla, averne cura: ridurre il nostro peso sulle risorse naturali, alleggerire la nostra “impronta” sul pianeta. Ma da che dipende il “consumo di natura”? Chi ne è responsabile? Come possiamo rimediare? Il programma di lavoro del WWF tenta di dare una soluzione a queste domande, per tracciare un cambiamento di rotta verso la sostenibilità. Il nostro futuro dipenderà da accordi globali che stabiliranno le quote di consumo sostenibili: importanti saranno dunque le scelte dei governi e delle istituzioni. Ecco le principali linee d’azione del WWF in Italia e nel mondo: - Difesa della natura e del territorio - Affrontare i cambiamenti climativi - Promuovere nuovi stili di vita:
Sostenibilità, Turismo responsabile, Educazione ambientale - Dialogo con le istituzioni - Al fianco delle imprese - Cooperare 68

Legambiente Legambiente è nata nel 1980, erede dei primi nuclei ecologisti e del movimento antinucleare che si sviluppò in Italia e in tutto il mondo occidentale nella seconda metà degli anni ’70. Tratto distintivo dell’associazione è stato sempre l’ambientalismo scientifico, la scelta, cioè, di fondare ogni iniziativa per la difesa dell’ambiente su una solida base di dati scientifici, che ci hanno permesso di accompagnare le nostre battaglie con l’indicazione di alternative concrete, realistiche, praticabili.

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www.greenpeace.it www.wwf.it

Questo, assieme all’attenzione costante per i temi dell’educazione e della formazione dei cittadini, ha garantito il profondo radicamento di Legambiente nella società, fino a farne l’organizzazione ambientalista con la diffusione più capillare sul territorio: oltre 115.000 tra soci e sostenitori, 1.000 gruppi locali, 30.000 classi che partecipano a programmi di educazione ambientale, più di 3.000 giovani che ogni anno partecipano ai nostri campi di volontariato, oltre 60 aree naturali gestite direttamente o in collaborazione con altre realtà locali. 69

FAI FAI, non solo una sigla, ma anche voce del verbo fare. Il Fondo Ambiente Italiano nasce dalla determinazione di uomini e donne che hanno deciso di ‘fare’ qualcosa di concreto per il loro Paese; è una fondazione caratterizzata da un insieme di Beni di alto valore storico, culturale, paesaggistico e naturalistico, gestiti al fine di conservare, sostenere e valorizzare per gli Italiani l’ambiente del nostro Paese. Occuparsi di Ambiente significa occuparsi non solo dei luoghi nei quali l’uomo vive, ma anche di come egli vive, si sviluppa e opera in quei luoghi. In questo senso, il FAI si occupa del Paesaggio che, secondo il Codice dei Beni Culturali, è quel territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni. Dal 1975 ha salvato, restaurato e aperto al pubblico importanti testimonianze del patrimonio artistico e naturalistico italiano. Oggi il FAI gestisce e mantiene vivi - per sempre e per tutti - castelli, ville, parchi storici, aree naturali e paesaggi di incontaminata bellezza. Questa è la missione del FAI: promuovere in concreto una cultura di rispetto della natura, dell’arte, della storia e delle tradizioni d’Italia e tutelare un patrimonio che è parte fondamentale delle nostre radici e della nostra identità. L’opera del FAI e di chi ne promuove la Missione è ispirata a cinque principi fondamentali: - Conoscenza - è il “Rapporto tra soggetto e oggetto, tra pensiero ed essere”. Se l’oggetto delle attenzioni è l’Ambiente, ogni azione del FAI deve essere volta a metterlo o a rimetterlo in comunicazione l’Uomo (il soggetto). - Concretezza - II FAI porta nel concreto le proprie idee, realizzando progetti utili a raggiungere gli scopi per i quali è nato. La concretezza del FAI si attualizza in efficacia, cioè raggiungimento degli obiettivi, ed efficienza, cioè uso sapiente e appropriato degli strumenti. - Coerenza - Saper dimostrare con evidenza di fare ciò che si pensa è l’obiettivo del FAI. La coerenza è etica poiché etico “è il rapporto tra la scelta della condotta che si vuole perseguire e la ricerca dei mezzi atti a concretizzarla”. - Indipendenza - Nel compimento della sua missione il FAI opera con totale indipendenza da qualsiasi movimento o parte politica, religiosa, ideologica

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www.legambiente.eu

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ed economica. Il FAI non ha alcuna connotazione politica ed è sempre pronto a collaborare con chiunque condivida le sue idee e il suo atteggiamento etico e culturale, per il conseguimento del Bene comune. - Qualità - Per il FAI qualità significa tendere a un obiettivo che si situa in una dimensione ideale; significa cercare di avvicinarsi al miglior risultato possibile e raggiungibile con le forze a disposizione. Per il FAI “qualità” significa tendere sempre all’eccellenza, dalle cose più piccole a quelle più grandi. Gli esempi di eccellenza ai quali possiamo rapportarci e con i quali dobbiamo confrontarci nella nostra continua ricerca sono la Natura e l’Arte. 69 Problematici scenari futuri della corsa al green Tutti i Paesi del mondo stanno tentando di affrontare la questione ambientale. Questa corsa alla sostenibilità potrebbe però, oltre che eliminere alcuni rischi che stanno minacciando il pianeta, ne potrebbe creare di nuovi. David J. Rothkopf, nell’articolo “La green economy? Non è la valle dell’Eden“, identifica alcune potenziali dispute che potrebbero sorgere tra le Nazioni: 1. Guerre commerciali “verdi” - La lotta per ridurre emissioni potrebbe inasprire i regimi tariffari delle dogane a causa di barriere commerciali contro quei paesi che non adottano misure per limitare le emissioni. Questa soluzione è prevista anche per evitare che molte aziende delocalizzino la produzione in luoghi con leggi meno rigide. La comunità imprenditoriale teme che il protezionismo verde diventi un aspetto caratterizzante dei mercati internazionali nei decenni a venire. E naturalmente la prospettiva di guerre commerciali “verdi”, o anche semplicemente di manipolazioni opportunistiche delle leggi che regolano gli scambi per “proteggere” i posti di lavoro locali, lascia pensare a un periodo di tensioni internazionali in questo senso, specialmente fra paesi sviluppati e paesi emergenti.

 2. Ascesa e caduta delle potenze petrolifere -
Un altro fenomeno a cui assisteremo sarà la simultanea ascesa e declino dei “petro-stati”. Prima di tutto il prezzo del petrolio aumenterà esponenzialmente e questo farà arricchire i giganti dell’oro nero. Nonostante questo, non investiranno in ricerca per trovare materie prime alternative al petrolio poiché questo comporterebbe costi troppo elevati e anni e anni di sviluppo Ma subito dopo questo periodo avverrà un’inversione di tendenza e l’offerta inizierà pian piano a non poter più accontentare la domanda. Gli stati petroliferi quindi saranno in declino. Questo farà esplodere molte tensioni quando i governi tenteranno di rubare risorse ai Paesi vicini. 3. Effetti collaterali dell’imminente boom del nucleare -
Il nucleare è la soluzione al problema del cambiamento climatico. Non solo è una fonte energetica a emissioni

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www.fondoambiente.it

zero, ma con appena una tonnellata di uranio si produce la stessa quantità di energia che si produce con circa 3.600 tonnellate di petrolio (più o meno 80mila barili). Sfortunatamente, l’energia nucleare si porta dietro anche rischi reali e percepiti. Se si guarda alla storia, i rischi di incidenti nelle centrali sono veramente minimi, ma incombono due problemi molto concreti: uno è come smaltire il combustibile esausto e un altro è come garantire la sicurezza del combustibile in ogni fase del suo ciclo vitale, specialmente in paesi emergenti a corto di liquidità, che spesso sorgono in aree flagellate dall’instabilità, dove operano organizzazioni terroristiche con ambizioni nucleari.
A ogni nuovo progetto le possibilità di una falla nella sicurezza aumentano. E il rischio che qualcuno usi il combustibile per produrre una bomba atomica non è l’unico incubo nucleare che dobbiamo fronteggiare. Le scorie radioattive potrebbero essere usate per realizzare una bomba “sporca”, con impatti devastanti. E forse il rischio maggiore per la sicurezza è quello di chi si gingilla con programmi nucleari a porte chiuse.
Robert Gallucci, l’esperto di armi nucleari, una volta mi ha detto che un catastrofico evento terroristico nucleare, considerando il costante incremento dei rischi, è “quasi certo”. Un evento del genere avrebbe vaste ripercussioni globali, negli ambiti più vari, dalle libertà civili al commercio. 4. Tensioni per l’acqua -
Oggi sono un miliardo e cento milioni gli esseri umani che hanno difficoltà ad accedere all’acqua pulita, e le stime suggeriscono che nel giro di vent’anni i due terzi della popolazione terrestre vivranno in regioni sottoposte a stress idrico. È una banalità ormai dire che l’acqua diventerà “il nuovo petrolio”, sia per il valore che acquisirà sia per i conflitti che provocherà.

Per ironia della sorte, la caccia alle energie alternative per sostituire il petrolio potrebbe aggravare enormemente il problema dell’acqua. Alcuni biocombustibili richiedono grandi quantità d’acqua, anche i più efficienti, quelli ricavati dalla canna da zucchero. Anche le varie tecnologie considerate essenziali per un impiego “pulito” del carbone sono avide di acqua, e le macchine elettriche ibride aumentano il consumo idrico perché sono alimentate ad elettricità e la maggior parte delle centrali elettriche usa l’acqua come liquido di raffreddamento.

Molti Paesi potrebbero cominciare ad affrontare il problema elaborando schemi per far pagare per l’uso dell’acqua, il modo migliore per gestire il problema. 
 5. Il grande gioco del litio -
C’è un enorme entusiasmo intorno all’auto elettrica poiché le consentiranno una maggiore indipendenza dal petrolio e potrebbero contribuire enormemente a ridurre le emissioni di anidride carbonica. Ma l’inconveniente più serio dell’auto elettrica è la batteria.
Si stanno prendendo in considerazione molte soluzioni, tra cui le batterie “ad aria”, che producono elettricità tramite una reazione diretta del litio con l’ossigeno. Per il momento, però, l’opzione più probabile è la batteria agli ioni di litio, il metodo usato per le macchine fotografiche, i computer e i cellulari. Tutto questo significa che probabilmente il litio, negli anni immediatamente a venire, diventerà una delle materie prime più importanti. Si dà il caso che circa i tre quarti delle riserve di litio conosciute siano concentrate nel cono meridionale dell’America Latina, per essere precisi nel deserto di Atacama, diviso fra due paesi, il Cile e la Bolivia. Una

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cosa che queste due nazioni hanno in comune è un’animosità storica, cementata dalla guerra del Pacifico. La Cina e la Russia, che detengono anche loro riserve importanti, inevitabilmente finirebbero per approfittare di un conflitto in America Latina, che avrebbe anche l’effetto di dare una spinta alle batterie ricavate da materie prime meno efficienti, oppure di incoraggiare altre tecnologie che usano sostanze diverse, con i loro lati negativi. E in ogni caso la possibilità di una corsa al litio nella regione ci ricorda che emergerà una domanda di quelle materie prime su cui tali tecnologie sono basate.

Arrivava dopo la sequenza di frane della Calabria e dopo la grande alluvione di Firenze, Venezia e Trento che aveva fatto vedere ancora una volta la fragilità del nostro territorio. Il mondo intero scopriva, in quella lontana primavera, l’”ecologia”, la parola magica che prometteva, ricordando le ineludibili leggi della natura, un mondo più pulito e meno violento, in cui le singole persone e l’intera comunità mondiale, nei paesi capitalisti, in quelli comunisti e in quelli del terzo mondo, poteva sperare di cancellare almeno alcuni degli errori delle scelte economiche del passato.

Quelli illustrati sono solo pochi, piccoli squarci effimeri sui possibili scenari futuri, ma molte ramificazioni geopolitiche del passaggio all’energia verde sono già ora più che presenti. In India, parte del mondo delle imprese è sempre più in ansia vedendo cinesi e americani che si riuniscono in segreto e nemmeno tanto per cercare faticosamente di arrivare a un accordo sui cambiamenti climatici. Il Brasile ha idee molto diverse sulla direzione che dovrebbero prendere questi colloqui, perché vuole vedersi riconosciuto il ruolo di maggiore assorbitore di emissioni. Anche la Russia ha una sua posizione specifica, quella di un fornitore di energia, e da quelle parti, come negli altri Paesi dal clima freddo, il riscaldamento globale potrebbe far crescere i proventi del turismo, potenziare la produzione agricola e produrre altri benefici economici.
Se aggiungiamo le tensioni legate alla diversità di idee riguardo al protezionismo verde, alla forma delle istituzioni internazionali rilevanti e alla concorrenza per le risorse, è abbastanza evidente che questo conflittuale dialogo sul clima trasformerà sempre di più il pianeta. E nessuno sa quali tecnologie nuove emergeranno dal dibattito teorico attualmente in corso.

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Naturalmente anche allora c’erano i volonterosi portavoce degli inquinatori, grandi e piccoli, che negavano i pericoli ambientali; d’altra parte la compagnia petrolifera di stato, l’ENI, aveva fatto fare uno studio in cui dimostrava che la prevenzione dei guasti ambientali sarebbe costata, anche solo in termini di soldi, meno di quanto il paese avrebbe dovuto spendere se si fosse continuato con frane, alluvioni, inquinamenti, congestione urbana. In quel 1970 c’erano anche governanti che vollero vederci chiaro; l’allora presidente del Senato Fanfani convocò una serie di audizioni, durate tre mesi, di studiosi e senatori di tutti i gruppi, sui “Problemi dell’ecologia”; nel 1971 fu approvata all’unanimità (cosa anche allora non comune) una mozione che elencava le azioni che sarebbe stato necessario intraprendere per avere un ambiente migliore. Il governo del tempo nel 1973 predispose e pubblicò la prima relazione sullo stato dell’ambiente, meritevole di essere letta ancora oggi.

Earth Day: quarant’anni dopo Sono passati quarant’anni da quel 22 aprile del 1970 che era stato dichiarato in tutto il mondo “Giornata della Terra” (Earth Day), la prima “giornata” delle tante che sono poi seguite nel nome ”della Terra”, “dell’ambiente”, “dell’ecologia”. Quante speranze e quante delusioni in questi quarant’anni.

Si può ben dire che da quella lontana “Giornata della Terra” si sia messa in moto, per alcuni anni, una politica di revisione delle leggi esistenti, di nuove leggi in difesa delle acque, dell’aria, di modifica dei cicli produttivi, di identificazione e eliminazione dalle merci di molte sostanze dannose. Nei decenni passati da allora sono nati e morti partiti verdi, associazioni ambientaliste, sono state scritte miliardi di parole, si sono tenute diecine di conferenze “ecologiche”, si sono moltiplicate le cattedre universitarie. Ma, purtroppo, è diminuita l’indignazione per le violenze all’ambiente, sono quasi scomparse le speranze. Più o meno a partire dal 1990 sono aumentate, a parole, le dichiarazioni di amore ecologico, ma nello stesso tempo l’abusivismo e i condoni edilizi hanno soffocato gli spazi urbani, la divinizzazione dell’automobile e dei consumi ha convinto la maggior parte delle persone che il successo economico deve mettere in secondo o terzo piano la difesa dell’aria e delle acque.

La primavera del 1970 arrivava portata dal vento dei grandi movimenti di contestazione ambientali: contro le esplosioni atomiche nell’atmosfera, che stavano avvelenando con atomi radioattivi le acque e il corpo di tutti i viventi, umani compresi; contro i pesticidi clorurati persistenti, denunciati dal libro di Rachel Carson “Primavera silenziosa”; contro il piombo tetraetile, il “miracoloso” additivo per benzina che permetteva alle automobili di correre rombando e che lasciava uscire dai tubi di scappamento il velenoso piombo in forma volatile, respirato da tutti gli abitanti delle città; contro il “miracoloso” catalizzatore mercurio che le industrie chimiche scaricavano, velenoso, nell’aria e nelle acque; contro il petrolio sversato dalle petroliere in tutti i mari e oceani.

La privatizzazione delle coste e delle spiagge, dei terreni soggetti a usi pubblici, una dissennata compiacenza verso il turismo di assalto, ha portato all’erosione delle spiagge e alla distruzione di vaste estensioni di boschi; l’abbandono dell’agricoltura delle zone collinari e montuose ha reso più frequenti le frane e le alluvioni, i cui danni si stanno facendo più

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tratto dall’articolo di David J. Rothkopf “La green economy? Non è la valle dell’Eden”, domenica 30 agosto 2009

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gravi perché le presenze umane si sono insediate nei fondovalle, lungo il corso o addirittura “dentro” il corso dei fiumi e dei torrenti e delle lame, proprio nelle zone in cui ogni pioggia più intensa spazza via strade e case e vite umane. L’abbandono di molte attività industriali ha lasciato vasti terreni contaminati con i rifiuti spesso nocivi che percolano nelle acque sotterranee e aspettano da anni le promesse “bonifiche”. Ben orchestrate operazioni pubblicitarie negano le responsabilità umane per i guasti ambientali e mascherano di “verde” e di “biologico” mode consumistiche, dai deodoranti ai divani, dalla benzina alle minicar. Quarant’anni di “ecologia” a parole non sono riusciti ad evitare che in molte zone d’Italia (per non parlare dei problemi planetari) manchi l’acqua, che molte grandi città del Nord abbiano un’aria così inquinata da costringere gli amministratori a vietare la circolazione, almeno per alcune ore domenicali alla settimana. Grandi città, a cominciare da quelle pugliesi, adornano i tetti con graziosi pannelli fotovoltaici, pagati con incentivi pubblici, ma sversano ancora parte delle fogne nel terreno o nel mare. Si susseguono affollate tavole rotonde sulla migliore raccolta differenziata, ma i sacchi dei rifiuti, nel Sud finiscono nei campi e nelle discariche spesso gestite dalla criminalità organizzata, e nel Nord finiscono negli inceneritori inquinanti che si moltiplicano perché i contributi statali assicurano un alto prezzo per l’elettricità che essi producono spargendo fumi nocivi nei polmoni degli abitanti vicini. Alcune buone leggi, come quella sulla difesa del suolo, sono state abrogate, altre sono state attenuate nei vincoli necessari. Che ambiente fa, che ambiente farà domani? L’Italia possiede incredibili ricchezze ambientali e culturali che potrebbero farne una guida per tutti i paesi industriali e arretrati, se ritrovassimo la carica di speranza e di volontà politica, la forza di indignazione, che attraversò il paese quarant’anni fa? Ci riusciremo? 71

Il verde è di moda. Sostenibilità ambientale, riduzione dei consumi, riduzione delle emissioni: sono tutti temi su cui l’attenzione delle persone è molto più alta rispetto a qualche anno fa. La “febbre” per il verde ha ormai contaggiato moltissime persone. L’importanta del tema della sosteniblità è tenuta in alta considerazione dai pubblicitari che sanno bene che ormai sono la maggioranza i consumatori che stanno attenti ai messaggi che contengono riferimenti ambientali, che denotano attenzione da parte delle aziende alla natura e alla sostenibilità. La responsabilità ambientale è diventato un fattore di marketing determinante, nessuna grande azienda si presenterebbe ai clienti senza credenziali verdi. 72 Tutta questa politica ha però un forte rischio, peraltro evidenziato da numerosi casi: che l’immagine verde sia solo di facciata, che la pubblicità serva a dare una bella lavata a ciò che tanto pulito in realtà non è. Questo fenomeno è il greenwashing, che indica proprio come tante aziende sfruttino le tematiche ambientali solo per darsi uníimmagine ben rivendibile con lo scopo di deviare l’attenzione dagli impatti negativi in realtà prodotti. Uno degli esempi più clamorosi degli ultimi mesi è stato quello della pubblicità della Renault Twingo, spacciatasi per auto ecologica con tanto di foglie verdi che uscivano dal tubo di scappamento nonostante in termini di emissioni sia una delle peggiori del suo segmento.

Il greenwashing è in sostanza un’appropriazione ingiustificata di virtù ambientaliste da parte di aziende e industrie con lo scopo di creare un’immagine

Proprio per denunciare il fenomeno è nato il sito web statunitense Greenwashing.net, mentre alcuni esempi di politiche di Greenwash da parte di grandi aziende europee sono elencati su Sourcewatch. Anche in Italia non manca qualche esempio. Uno dei lavaggi verdi che ha fatto notizia è quello di Eni della scorsa estate. L’idea di non far portare la cravatta in ufficio avrebbe permesso di alzare di un grado la temperatura di tutti i condizionatori e avrebbe permesso così una mancata emissione di circa 140 tonnellate di anidride carbonica. Questi numeri, che ci sembrano impressionanti in realtà i numeri corrispondono alle emissioni annuali prodotte da soli 15-20 italiani. Questo modo di pubblicizzarsi, non solo inganna i consumatori – che vorrebbero scegliere beni concepiti con logiche diverse – inducendoli a comprare i prodotti di aziende di cui non condividono l’operato, ma induce anche confusione e (di conseguenza) sfiducia nei produttori che, invece, hanno fatto un’opera effettiva di ripensamento del modo di produrre un cambiamento nelle logiche che è più che mai necessario.

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Greenwashing Greenwashing è un termine inglese composto dalle parole green (verde) e to wash (lavare, pulire) e potrebbe essere tradotto come “lavare col verde” oppure “ammantarsi di verde”. Indica l’ingiustificata appropriazione di virtù ambientaliste da parte di aziende, industrie, entità politiche o organizzazioni finalizzata alla creazione di un’immagine positiva di proprie attività (o prodotti). Inoltre questa veste può essere utilizzata per distogliere l’attenzione da proprie responsabilità nei confronti di impatti ambientali negativi.

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positiva di sé e dei propri prodotti, o per distogliere l’attenzione da proprie responsabilità nei confronti dell’ambiente, l’equivalente di una truffa verde, dove si vende qualcosa come amico dell’ambiente quando in realtà non lo è.

tratto dall’art. di Giorgio Nebbia, La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 20 aprile 2010

Giacomo Magatti, www.yeslife.it/Greenwash, articolo del 26 Marzo 2009

parte 2 La sostenibilità La storia di The Natural Step pag.136

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episodi di contestazione, soprattutto degli inquinamenti, e processi e condanne di inquinatori (4)

medioevo

1866

1864 studi di G.P. Marsh "Man and nature" sugli effetti dell'azione umana nel modificare l'ambiente e la natura (3)

Ernst Haeckel inventa il termine ecologia (1)

1900

USA Primi parchi protetti (2)

1905

Questo schema riassume e visualizza le fasi che la storia dell’ecologia ha percorso dividendole per tipologia e per periodo. Le fasi prese in considerazione sono 13. Di seguito l’elenco-leggenda. Ad ogni colore corrisponde un numero e quindi uno dei 13 periodi:

1910

28/05/1892 San Francisco (CA) Sierra Club la più antica e grande organizzazione ambientale degli USA (5)

(1) Storia dell’ecologia (2) Storia della conservazione della natura (3) storia dell’ambiente (4) storia della contestazione ecologica (5) storia delle associazioni ambientaliste (6) storia del dibattito sui limiti della Terra (7) storia delle lotte operaie per la salute e l’ambiente di lavoro

Il concetto di "limite" inizia ad essere presente negli studi economici (6)

(8) storia dell’economia ecologica e diritto ambientale

Già in questo secolo, l’aumento della produzione spinge a inventare processi per riciclare e rendere più efficiente lo smaltimento delle scorie o per recuperare energia dai fumi e dal calore (9)

1905 New York Audubon Society (5)

(9) storia delle tecniche ecologiche (10) storia dell’ecologia dei padroni (11) le chiese e l’ambiente; un etica ambientale (12) storia dei rapporti fra ambienti e governo La dimensione delle sfere colorate non è da ricondursi a una scala di importanza: come si fa a decidere se un aspetto o un avvenimento è più importante o meno di un altro?

1915 1920 1925 1930 1935 1940

1923 Prima cattedra di Agraria in Italia (1)

anni d’oro della ricerca (1)

1945 1950 1955 1960 1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005 2010

Italia 13 cattedre di agraria (1)

Consiglio Nazionale delle Ricerche: punto di ascolto delle proteste ecologiche (2)

Il Bulletin of the Atomic Scientists, denuncia i pericoli delle armi nucleari. Ha sempre dedicato alcuni fisici molto spazio ai organizzano movimenti di protesta, problemi ambientali (4) contro le le esplosioni 1962 delle bombe atomiche la biologa americana e gli effetti sulla Rachel Carson, con i suoi salute e sulla vita scritti anche di grande della radioattività divulgazione ha dato vita seguita a tali al movimento di protesta esperimenti (4) contro l'uso dei pesticidi clorurati persistenti e, quindi, alla contestazione ecologica in senso moderno (4) la contestazione ecologica, ha coinvolto milioni di persone, in tutti i paesi, soprattutto in quelli industriali più esposti a inquiname (4)

1951 Italia Nostra (5)

1948 Pro Natura (5)

11/09/1961 Svizzera WWF (5) Il primo 1970 WWF Italia “Earth Day” (5) (5) 1978 Italia Amici della Terra

15/09/1971 Vancouver Greenpeace (5) 1980 Legambiente, erede di movimenti anti nucleare

attenzione e cultura "operaia" per il miglioramento delle condizioni e della sicurezza nell'ambiente di lavoro e per i rapporti fra le nocività dentro la fabbrica e quelle che si estendevano all'esterno della fabbrica (7) Si mette in discussione la validità del "prodotto interno lordo" come indicatore dello sviluppo economico e del benessere, mettendo in evidenza il rapporto 1972 diretto fra PIL, il Club di Roma produzione di merci e pubblica il libro produzione di rifiuti e di "I limiti alla inquinamento crescita" 1980 (8) (6) USA un secondo libro accusato di essere apocalittico, "Global 2000" (6)

ARAR agenzia istituita dopo la Liberazione per la vendita e il ricupero dei residuati bellici (9)

La contestazione ecologica inizia a denunciare che la vera origine delle offese alla natura e all’ambiente era da ricercare nella maniera capitalistica della produzione industriale che impone un’espansione di merci (10)

1966 convegno fra storici della tecnica e storici dell'ambientepresso la Fondazione Micheletti di Brescia (9) prima crisi petrolifera, il governo degli USA riesamina gli archivi prelevati nella Germania nazista sulla produzione di benzina sintetica dal carbone (9)

A livello istituzionale la chiesa cattolica dalla fine degli anni sessanta, cominciò ad essere molto attenta ai problemi ambientali (11)

Inizia a formarsi un’opinione pubblica ma dal 1980 le imprese hanno dominato i mezzi di comunicazione mettendo a tacere le notizie di guasti, incidenti, contaminazioni... (10)

1968 Esplosione dell’attenzione per l’ambiente. Si 1972 moltiplicano le Stoccolma 1974 conferenze delle Conferenza 1976 Bucarest Nazioni unite sui sull’”ambienteConferenza sulla Vancouver 1977 problemi umano” popolazione” Conferenza Nairobi ambientali (12) sull’habitat (12) Conferenza sulla (12) (12) desertificazione 1984 (12) Cairo Conferenza sulla Conferenza di Seul popolazione su “Giustizia, pace e (12) 1992 salvaguardia del Rio de Janeiro Creato” Conferenza su diventa poi una 1996 1997 “ambiente e campagna Istambul Kyoto sviluppo” internazionale Conferenza Trattato sul (12) (11) sull’habitat riscaldamento (12) globale (12) 2009 Copenhagen Conferenza sui problemi ambientali (12)

1977 Mar del Plata Conferenza sull’acqua (12)


parte 2

la decrescita

2.3

la decrescita

Decrescita, il contesto storico e sociale C’è un mito che, nell’ultimo secolo, ha fondato l’immaginario sociale e che, ancora oggi, costituisce il sottofondo comune delle ideologie politiche moderne: è il mito della crescita. Questa credenza, cui è connessa l’idea di uno sviluppo illimitato, ha portato con sé le parole d’ordine della massimizzazione della produzione, dei consumi e dei profitti, all’interno del mercato globale. Questo sistema di pensiero si fonda, e al tempo stesso riproduce, una rappresentazione dell’essere umano come un soggetto privo di legami, individualista, razionale, utilitarista, orientato a massimizzare i propri interessi e ad accrescere la propria ricchezza come potere monetario, generico, universale; un soggetto casualmente inserito in un ambiente concepito come “mondo esterno” da sfruttare e piegare ai propri fini, in una crescita incessante del proprio potere di disporre delle cose e degli altri esseri viventi. Si tratta di una visione del mondo che produce effetti concreti sui comportamenti individuali, con conseguenze disastrose sugli equilibri ecologici, sociali e politici. La scelta delle società occidentali di puntare unilateralmente sull’accumulazione economica, sulla crescita della produttività e dei consumi, ha prodotto in Occidente, per tutta una fase storica, una maggiore ricchezza materiale. Tuttavia l’unilateralità di questo approccio ha finito col dissolvere i legami sociali e minacciare il collasso degli ecosistemi. Inoltre il costo di questi traguardi economici è stato pagato non solo dalle classi lavoratrici e dai soggetti considerati non produttivi, ma anche e soprattutto dai Paesi e dalle popolazioni del resto del globo, costrette ad adattarsi e a modificare i propri sistemi sociali e produttivi secondo le esigenze economiche e politiche occidentali. Allo stesso tempo la crescita dei redditi è stata possibile attraverso uno sfruttamento sconsiderato dei sistemi ecologici. Evidenze scientifiche non più ignorabili (caos climatico, picco del petrolio, perdita di biodiversità) mostrano come l’attuale modello di sviluppo sia, già oggi, insostenibile per la biosfera. Gli effetti negativi si fanno sentire anche sul piano sociale. Questo modello di sviluppo, fondato sulla crescita, negli ultimi decenni ha prodotto un aumento del

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tempo di lavoro, del precariato e dello stress e, insieme, ha via via eroso e consumato il tempo libero, il tempo delle relazioni, il tempo per se stessi. A livello politico, il consumo di risorse globali si sta traducendo in un aumento dei conflitti locali e delle guerre per il controllo delle risorse e, dunque, in una restrizione degli spazi di democrazia reale nel mondo. Ma l’effetto più preoccupante di questo sistema è la sua capacità di suscitare una forma di adattamento: l’inquinamento, i mutamenti climatici, le guerre per le risorse stanno diventando un paesaggio consueto a cui ci si abitua passivamente, senza modificare né i comportamenti personali né gli assetti di fondo della società. Ad ogni modo, questa breve fase di ricchezza e creazione di benessere sta volgendo al termine. Dalla metà degli Settanta la crescita del Prodotto Interno Lordo (PIL) non solamente si è ridotta nei Paesi più avanzati, ma sopratutto non si accompagna ad alcun aumento del benessere individuale. Continuare oggi a coltivare l’idolatria del PIL significa non voler aprire gli occhi sull’assurdità di un’idea di ricchezza che non fa i conti con i costi ecologici e sociali dello sviluppo.

parte 3 Studio preliminare Scenari della transizione pag.229

Di fronte alla percezione dei limiti sociali ed ecologici dello sviluppo, del degrado indotto dalla mercificazione della vita, della crescente conflittualità internazionale attorno alle risorse naturali si rende necessario imboccare sentieri davvero alternativi, mettendo in discussione il mito della crescita: oggi occorre rivalutare la ricchezza ed il modello di benessere occidentali, ridimensionarli nella “giusta misura”. In termini generali si tratta di riequilibrare l’ossessione della produzione con la consapevolezza delle necessità di riproduzione, di rigenerazione, di cura delle persone, delle relazioni, dei contesti, dell’ambiente. In quest’ottica, si pone il concetto politico della “decrescita”. Decrescita è un termine coniato da Nicholas Georgescu-Roegen, fondatore della Bioeconomia. Indica un sistema economico basato su principi ecologici, in contrapposizione con quelli che regolano i sistemi vincolati alla crescita economica intesa come accrescimento costante di uno solo degli indicatori economici possibili, il Prodotto Interno Lordo (PIL). Ciò non è sostenibile per l’ecosistema della terra. L’aggettivazione sostenibile allude alla proposta di organizzarsi collettivamente in modo che la diminuzione della produzione di beni non costituisca riduzione dei livelli di civiltà. La decrescita è un concetto politico, secondo il quale la crescita economica - intesa come accrescimento costante di uno solo degli indicatori economici possibili, il Prodotto Interno Lordo (PIL) - non porta ad un aumento delle probabilità di sopravvivenza degli organismi conosciuti. Questa idea è in completo contrasto con il senso comune politico corrente, che pone l’aumento del livello di vita rappresentato dall’aumento del PIL come obiettivo di ogni società moderna.
L’aggettivazione sostenibile allude

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parte 2

la decrescita

alla proposta di organizzarsi collettivamente in modo che la diminuzione della produzione di beni non costituisca riduzione dei livelli di civiltà. L’assunto principale è che le risorse naturali sono limitate e quindi non si può immaginare un sistema votato ad una crescita infinita. Il miglioramento delle condizioni di vita deve quindi essere ottenuto senza aumentare il consumo ma attraverso altre strade. Proprio per la costruzione di queste vie sono impegnati numerosi intellettuali, al seguito dei quali si sono formati movimenti spesso non coordinati fra loro, ma con l’unico fine di cambiare il paradigma dominante della necessità di aumentare i consumi per dare benessere alla popolazione. Un esempio di questi gruppi sono i gruppi d’acquisto solidale (GAS), i sistemi di scambio non monetario o gli ecovillaggi. Il principale esponente di questa corrente è Serge Latouche. I principi La teorizzazione della Decrescita si basa su quattro presupposti: - Il funzionamento del sistema economico attuale dipende essenzialmente da risorse non rinnovabili. Così com’è, non è quindi perpetuabile. I sostenitori della Decrescita partono dall’idea che le riserve di materie prime sono limitate, particolarmente per quanto riguarda le fonti di energia, e ne deducono che questa limitatezza contraddice il principio della crescita illimitata del PIL, e che, anzi, la crescita così praticata genera dissipazione di energia e crescente dispersione di materia. Alcuni sostenitori della teoria, mutuando dalla seconda legge della termodinamica il concetto di entropia, ritengono che la crescita del PIL comporti una diminuzione dell’energia utilizzabile disponibile, e della complessità degli ecosistemi presenti sulla Terra, assimilano la specie umana ad una forza geologica entropizzante. - Non v’è alcuna prova della possibilità di separare la crescita economica dalla crescita del suo impatto ecologico. - La ricchezza prodotta dai sistemi economici non consiste soltanto in beni e servizi: esistono altre forme di ricchezza sociale, come la salute degli ecosistemi, la qualità della giustizia, le buone relazioni tra i componenti di una società, il grado di uguaglianza, il carattere democratico delle istituzioni, e così via. La crescita della ricchezza materiale, misurata esclusivamente secondo indicatori monetari può avvenire a danno di queste altre forme di ricchezza. - Le società attuali, drogate da consumi materiali considerati futili (telefoni cellulari, viaggi aerei, uso costante e non selettivo dell’auto ecc.) non percepiscono, in generale, lo scadimento di ricchezze più essenziali come la qualità della vita, e sottovalutano le reazioni degli esclusi, come la violenza nella periferie o il risentimento contro gli occidentali nei paesi esclusi dallo sviluppo economico di tipo occidentale. La teoria della decrescita sostenibile non implica evidentemente il perseguimento della decrescita in sé e per sé: si pone invece come mezzo per la ricerca di una qualità di vita migliore, sostenendo che il PIL consente solo una misura parziale della ricchezza e che, se si intende ristabilire tutta la varietà della ricchezza possibile, allora è urgente smettere di utilizzare il PIL come unica bussola.

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Il miglioramento delle condizioni di vita deve quindi essere ottenuto senza aumentare il consumo ma attraverso altre strade. Proprio per la costruzione di queste vie sono impegnati numerosi intellettuali, al seguito dei quali si sono formati movimenti spesso non coordinati fra loro, ma con l’unico fine di cambiare il paradigma dominante della necessità di aumentare i consumi per dare benessere alla popolazione. Al di là dell’adesione o meno ai movimenti organizzati, ciascuno dovrebbe operare una serie di cambiamenti sottili nel proprio modo di pensare, di essere e relazionarsi con gli altri e l’ambiente, affinché il miglioramento delle condizioni di vita non resti solo un’astratta utopia. Noi, come gruppo di designer, possiamo intervenire a partire da dove ci troviamo, dal nostro territorio, dai luoghi che abitiamo, mettendo in moto, con la nostra creatività, processi virtuosi. Il progetto in fase di sviluppo, quello relativo alla diffusione della conoscenza dell’impronta ecologica, si inserisce nella più ampia tematica della Decrescita perché, nella sua modestia, intende portare la cittadinanza milanese a vedere le città, il territorio, i paesaggi, le comunità umane in modo differente. La formula IPAT È possibile rappresentare i fattori della pressione esercitata dall’uomo sull’ambiente in un concetto semplificato, la cosiddetta formula IPAT, nota anche come equazione di Ehrlich. Secondo questa formula, l’impatto ambientale (I) è determinato dalla dimensione della popolazione (P), dal livello di abbondanza/ ricchezza (A) e dalle tecnologie adottate (T). La formula è: I = f (P, A, T) La quantità di beni consumati pro capite (A) è il risultato dell’incredibile dinamica di crescita, che ha portato ad una fortissima accumulazione di prodotti a partire dalla Rivoluzione Industriale. Il progresso della tecnologia, che ha caratterizzato la produzione di beni (T), si è sostanzialmente orientato verso l’aumento della produttività del lavoro, senza alcun approccio razionale nei confronti dell’uso delle risorse naturali e dei ricettori di rifiuti. Per invertire questa tendenza si può agire in termini di aumento di produttività delle risorse. Ma anche se T (tecnologia) venisse migliorato progressivamente, l’aumento di A (livello di abbondanza/ricchezza) può facilmente superare qualsiasi aumento di efficienza. Se, per esempio, l’efficienza media del carburante auto aumenta da 12 km/l a 24 km/l mentre le auto in circolazione raddoppiano nello stesso periodo, l’impatto ambientale (I) resta invariato. Per rendere possibile lo sviluppo sostenibile è necessario intervenire innovativamente anche nei consumi. Il termine “tecnologia” include, in questo contesto, non solo gli aspetti tecnici, ma più in generale il livello di conoscenza e di organizzazione della società, nonché la complessiva “intensità di consumo delle risorse ambientali”. L’azione reciproca di strutture organizzative mutate, di una aumentata conoscenza

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la decrescita

parte 3 Studio preliminare Sviluppo sostenibile e sostenibilità ambientale pag.228

e di differenti modelli di produzione può quindi influenzare la quantità di consumo “A” attraverso i cambiamenti tecnologici “T” espressi dalla società. Anche se la formula IPAT può essere uno strumento di base utile per il calcolo dell’impatto ambientale, restano alcuni problemi. Prima di tutto la sua sinteticità. Specialmente nella formulazione originale (I = P.A.T) i rapporti tra popolazione, livelli di consumo e tecnologia sono fortemente semplificati. Anche la più precisa variazione I = f(P, A, T) lascia in ombra i rapporti complessi fra le singoli componenti. I fattori P, A e T non sono indipendenti tra di loro, ma si influenzano a vicenda, spesso moltiplicando reciprocamente gli effetti e rendendo più evidente la non linearità del sistema. Altro problema: la formula implica che tutti gli elementi siano misurabili, cosa oggi possibile soltanto per la popolazione attuale, sulla quale disponiamo di stime quasi accurate. Le previsioni sul futuro sono invece notevolmente complesse. I livelli di consumo sono particolarmente difficili da misurare e il fattore tecnologia non è suscettibile di alcuna valida quantificazione. Questo, ovviamente, è un problema fondamentale per ogni teoria economica che voglia tener conto del progresso tecnologico. Nonostante tutto, questa formula resta uno strumento utile per mettere in luce relazioni generali. È utile comunque ribadire che non vi è un’unica spiegazione per le alterazioni ambientali: molte ragioni diverse concorrono a formare un complesso di processi naturali e socio-economici che si sovrappongono e che nel complesso hanno condotto alla situazione in cui ci troviamo oggi.73 Dichiarazione sulla decrescita

Noi, partecipanti alla Conferenza sulla Decrescita Economica per la Sostenibilità Ecologica e l’Equità Sociale, tenutasi a Parigi il 18 e 19 aprile 2008, dichiariamo che:

1. La crescita economica [indicata dal PIL reale] rappresenta l’incremento della produzione, del consumo e degli investimenti allo scopo di ottenere un surplus economico, conducendo inevitabilmente ad un maggior uso di materia, energia e territorio. 2. Nonostante i miglioramenti in termini di efficienza ecologica della produzione e del consumo di beni e servizi, la crescita economica globale ha portato ad un maggior utilizzo di risorse naturali e ha aumentato gli sprechi e le emissioni. 3. La crescita economica globale non è riuscita a ridurre sostanzialmente la povertà, a causa dello scambio ineguale nel commercio e nei mercati finanziari, che ha aggravato le disuguaglianze fra le nazioni. 4. Come dimostrano riconosciuti principi della fisica e dell’ecologia, c’è un

limite non superabile nella scala della produzione e del consumo globali, un limite cui le economie nazionali possono attenersi così da non imporre costi ambientali e sociali al resto del mondo o alle future generazioni. 5. Le più avanzate ricerche scientifiche disponibili mostrano che l’economia globale è cresciuta oltre i limiti ecologicamente sostenibili, e insieme ad essa molte economie nazionali, in particolare quelle dei paesi più ricchi. 6. Crescenti evidenze mostrano inoltre come la crescita globale nella produzione e nel consumo sia socialmente insostenibile e in-economica [nel senso che il suoi costi risultano maggiori dei suoi benefici]. 7. Le nazioni più ricche, usando più della loro legittima parte di risorse ambientali globali, stanno nei fatti riducendo lo spazio ambientale disponibile per le nazioni più povere, e imponendo su di esse impatti ambientali negativi. 8. Se non rispondiamo a questa situazione riportando l’attività economica globale nei limiti della capacità dei nostri ecosistemi e ridistribuendo globalmente la ricchezza e i redditi, così che siano adeguate ai bisogni di tutti i paesi, il risultato sarà un processo di involontario e incontrollato declino o collasso economico, con un impatto sociale potenzialmente molto grave, soprattutto per i più svantaggiati. Chiediamo perciò un generale cambio di paradigma, che sostituisca alla ricerca della crescita economica illimitata l’idea di una «giusta dimensione» (right-sizing) dell’economia globale e di quelle nazionali. 1. A livello globale, raggiungere una «giusta dimensione» significa ridurre l’impronta ecologica globale [inclusa quella del carbone] a livelli sostenibili. 2. Nei paesi in cui l’impronta pro-capite è maggiore di quella globalmente sostenibile, la «giusta dimensione » richiede di tornare entro un’impronta sostenibile in un lasso ragionevole breve di tempo. 3. Nei paesi in cui permangono condizioni di grave indigenza «giusta dimensione» implica che si consenta, al più presto possibile e in modo sostenibile, un aumento dei consumi dei più poveri così che essi possano condurre una vita dignitosa, e questo deve avvenire attraverso processi di riduzione della povertà che devono essere decisi localmente e non secondo politiche di sviluppo imposte dall’esterno. 4. La «giusta dimensione» richiederà che in alcuni parti del mondo ci sia un incremento dell’attività economica, ma la ridistribuzione del reddito e della ricchezza - sia a livello nazionale sia internazionale - resta la parte essenziale di questo processo. Questo cambio di paradigma comporta la decrescita per le parti ricche del mondo. 1. Il processo con cui la «giusta dimensione» può essere raggiunta nei paesi più ricchi, e nell’intera economia globale, è la decrescita. 2. Definiamo «decrescita» una transizione volontaria verso una società equa, partecipativa ed ecologicamente sostenibile.

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Friedrich Hinterberger, Fred Luks, Marcus Stewen, Economia, ecologia, politica. Rendere sostenibile il mercato attraverso la riduzione delle materie, 1999 fonte web: http://www.edizioniambiente.it/eda/catalogo/risorse/32/

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la decrescita

3. Gli obiettivi della decrescita sono quelli di garantire i bisogni fondamentali dell’uomo e consentire un’alta qualità di vita, riportando nel contempo l’impatto ecologico dell’attività economica globale a un livello sostenibile, equamente distribuito fra le nazioni. Ciò non potrà essere ottenuto attraverso una recessione economica passivamente subita. 4. La decrescita richiede una trasformazione del sistema economico globale e delle politiche promosse e attuate a livello nazionale, così da permettere che il processo di riduzione e poi di definitiva estirpazione della miseria prosegua mentre l’economia globale e le economie nazionali non sostenibili decrescono. 5. Una volta raggiunta la «giusta dimensione» tramite il processo di decrescita, l’obiettivo dovrebbe essere quello di mantenere un’ «economia di stato stazionario» con un livello di consumi relativamente stabile, o appena fluttuante. 6. In generale, il processo di decrescita è caratterizzato da: - un’attenzione alla qualità della vita piuttosto che alla quantità dei consumi; - il soddisfacimento per tutti dei bisogni fondamentali; - un cambiamento sociale basato su un ampio articolarsi di azioni e politiche sia individuali che collettive; - una sostanziale riduzione della dipendenza di ciascuno dall’attività economica, con un aumento del tempo libero, del lavoro volontario, della convivialità, del senso della comunità, del benessere individuale e collettivo; - una maggiore attenzione all’auto-riflessione, all’equilibrio, alla creatività, alla tolleranza, alla diversità, al senso di cittadinanza, alla generosità e al non-materialismo; - il rispetto dei principi di equità, democrazia partecipativa, rispetto dei diritti umani e delle differenze culturali. 7. Il cammino verso la decrescita richiede di impegnarsi subito nello sforzo di diffondere l’idea di decrescita nel dibattito pubblico e parlamentare e nelle istituzioni economiche; lo sviluppo di politiche e strumenti per l’attuazione pratica della decrescita; lo sviluppo nuovi indicatori non monetari [inclusi indicatori del benessere soggettivo] per identificare, misurare e confrontare i benefici e i costi dell’attività economica, allo scopo di verificare quali cambiamenti nell’attività economica contribuiscono a raggiungere, o mettono a repentaglio, il conseguimento degli obiettivi sociali ed ambientali desiderati.74

Manifesto del Doposviluppo La corrente di pensiero che si riferisce alla decrescita ha conservato fino a oggi un carattere quasi confidenziale. Il movimento mette al centro della sua analisi la critica radicale della nozione di sviluppo che, nonostante le evoluzioni formali conosciute, resta il punto di rottura decisivo in seno al movimento di critica al capitalismo e della globalizzazione. Ci sono da un lato quelli che vogliono uscire dallo sviluppo e dall’economicismo e, dall’altro, quelli che militano per un problematico “altro” sviluppo (o una non meno problematica “altra” globalizzazione). A partire da questa critica, la corrente procede a una vera e propria “decostruzione” del pensiero economico. Sono pertanto rimesse in discussione le nozioni di crescita, povertà, bisogno, aiuto ecc. Le associazioni e i membri della presente rete si riconoscono in tale impresa. Rimettere radicalmente in questione il concetto di sviluppo è fare della sovversione cognitiva.

Rompere l’immaginario dello sviluppo e della globalizzazione Di fronte alla globalizzazione, che non è altro che il trionfo planetario del mercato, bisogna concepire e volere una società nella quale i valori economici non siano più centrali (o unici). L’economia dev’essere rimessa al suo posto come semplice mezzo della vita umana e non come fine ultimo. Bisogna rinunciare a questa folle corsa verso un consumo sempre maggiore. Ciò non è solo necessario per evitare la distruzione definitiva delle condizioni di vita sulla Terra ma anche e soprattutto per fare uscire l’umanità dalla miseria psichica e morale. Si tratta di una vera decolonizzazione del nostro immaginario e di una diseconomicizzazione delle menti indispensabili per cambiare davvero il mondo prima che il cambiamento del mondo ce lo imponga nel dolore. Bisogna cominciare con il vedere le cose in altro modo perché possano diventare altre, perché sia possibile concepire soluzioni veramente originali e innovatrici. Si tratta di mettere al centro della vita umana altri significati e altre ragioni d’essere che l’espansione della produzione e del consumo.

parte 2 Impronta ecologica Manifesto del doposviluppo pag.194

parte 3 Studio preliminare Un’analisi sociologica per introdurre il marketing tribale pag.234

La attuale globalizzazione ci mostra quel che lo sviluppo è stato e che non abbiamo mai voluto vedere. Conviene dunque distinguere lo sviluppo come mito dallo sviluppo come realtà storica. Lo schema che segue riassume sinteticamente le differenze alla luce dei fatti. Il doposviluppo è al contempo postcapitalismo e postmodernità.

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Questa dichiarazione è il frutto di un workshop intitolato «Verso una Dichiarazione sulla Decrescita», che si è svolto nel corso della Conferenza sulla Decrescita Economica per la Sostenibilità Ecologica e l’Equità Sociale, a Parigi il 18 e 19 aprile 2008, conferenza alla quale hanno partecipato oltre 100 ricercatori e scienziati provenienti da diversi ambiti disciplinari e paesi. L’obiettivo del workshop era produrre una dichiarazione che riflettesse non solo i punti di vista dei partecipanti alla conferenza, ma articolasse una loro visione condivisa sul movimento della Decrescita. Al termine del workshop è stato elaborato un testo basato su quanto emerso dalla discussione, testo che è poi stato rivisto e concordato in un dibattito via mail aperto a tutti i partecipanti al workshop stesso.

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parte 2

la decrescita

25. Schema che mette in luce le differenze e le affinità tra le due concezioni di sviluppo. Quella mitica non corrisponde affatto ai valori di cui è stato pregnato lo sviluppo della società occidentale

+

Oltre lo sviluppo Parlare di doposviluppo non è parlare della situazione di coloro che attualmente sono esclusi o sono in procinto di diventarlo, di tutti coloro, dunque, per i quali il progresso è un’ingiuria e una ingiustizia, e che sono indubbiamente i più numerosi sulla faccia della Terra. Il doposviluppo si delinea già tra noi e si annuncia nella diversità. Il doposviluppo, in effetti, è necessariamente plurale. Si tratta della ricerca di modalità di espansione collettiva nelle quali non sarebbe privilegiato un benessere materiale distruttore dell’ambiente e del legame sociale. L’obiettivo della buona vita si declina in molti modi a seconda dei contesti. In altre parole, si tratta di ricostruire nuove culture. Questo obiettivo può essere chiamato l’humran (crescita/rigoglio) come in Ibn Khaldûn, swadeshisarvo-daya (miglioramento delle condizioni sociali di tutti) come in Gandhi, o bamtaare (stare bene assieme) come dicono i toucouleurs, o in altro modo. L’importante è esprimere la rottura con l’impresa di distruzione che si perpetua sotto il nome di sviluppo. Per gli esclusi, per i naufraghi dello sviluppo, può trattarsi soltanto di una sorta di sintesi tra la tradizione perduta e la modernità inaccessibile.

parte 2 Il marketing La transizione dal marketing tradizionale al marketing sostenibile pag.94

parte 3 Studio preliminare Un’analisi sociologica per introdurre il marketing tribale pag.234

I nuovi aspetti dello sviluppo Per tentare di scongiurare magicamente gli effetti negativi dello sviluppo, siamo entrati nell’era dello sviluppo aggettivato. Si è assistito alla nascita di nuovi sviluppi autocentranti, endogeni, partecipativi, comunitari, integrati, autentici, autonomi e popolari, equi… senza parlare dello sviluppo locale, del microsviluppo, dell’endosviluppo, dell’etnosviluppo! Affiancando un aggettivo al concetto di sviluppo, non si tratta veramente di rimettere in discussione l’accumulazione capitalistica; tutt’al più si pensa di aggiungere un risvolto sociale o una componente ecologica alla crescita economica come un tempo si è potuto aggiungerle una dimensione culturale. Lo sviluppo durevole, sostenibile o sopportabile (sustainable), portato alla ribalta alla Conferenza di Rio del giugno 1992, è un tale “fai da te” concettuale, che cambia le parole invece di cambiare le cose, una mostruosità verbale. Ma nello stesso tempo, con il suo successo universale, attesta la dominazione della ideologia dello sviluppo. L’ideologia dello sviluppo manifesta la logica economica in tutto il suo rigore. Non c’è posto in questo paradigma per il rispetto della natura reclamato dagli ecologisti né per il rispetto dell’uomo reclamato dagli umanisti. Lo sviluppo realmente esistente appare allora nella sua verità. E lo sviluppo alternativo come un miraggio.

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parte 2

lo sviluppo sostenibile

2.4

lo sviluppo sostenibile

parte 3 Studio preliminare Il tema dell’Expo pag.218

Il dibattito, come si è percepito dai capitoli precedenti, è acceso e tutt’altro che concluso. I due principali filoni di pensiero, tralasciando quelli più fondamentalisti che inneggiano l’animalismo e l’estinzione della razza umana pur di preservare il pianeta Terra, sono tre: - il primo si pone in una posizione di indifferenza alle questioni ecologiche, la caratteristica di questo modo di pensare che ciò che si fa non comporta conseguenze gravi o comunque istantanee. Si lascia, quindi, che siano altri e non nella stessa sfera temporale, a provvedere ai disastri ambientali. Rincorre solo l’interesse economico; - la seconda posizione è quella della decrescita, che prevede di convertire il sistema attuale in uno che annulli la crescita economica; - la terza posizione si pone nel mezzo delle due. Prevede di convertire le industrie con tecnologie ecologiche e più rispettose dell’ambiente. Sponsorizza un modus vivendi che si realizza tramite il contunuo sviluppo della società e dell’economia, con uno sguardo sostenibile. L’idea che si cercherà di portare avanti in questa tesi è relativa ad una quarta posizione. Questa prevede sì uno sviluppo ma che non sia soltanto sostenibile. Piuttosto che preveda che al primo posto ci sia la natura, il rispetto per la Terra e per le sue risorse per l’uomo e per il suo potenziale. Auspica che l’uomo comprenda che per raggiungere il profitto sta distruggendo il pianeta e questo non fa altro che rendere la sua vita non sostenibile a livello fisico e psichico. Ci sono altre cose molto più importanti del denaro. Si dovrebbe rieducare il cittadino ai valori, si dovrebbe ridefinire una scala di priorità. Ma, costringere l’individuo contemporaneo a tornare sui suoi passi, a lasciare tutte le comodità conquistate nel corso di secoli di scoperte, a rinunciare agli agi, è cosa improponibile. Piuttosto si dovrebbe fare in modo che, tramite gli strumenti della persuasione e della retorica, si convinca che questo mondo è ormai invivibile e che dipende anche da se stesso il futuro suo e di tutti gli abitanti del globo.

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In questo capitolo, dunque, ci occuperemo inizialmente di definire l’idea di sviluppo sostenibile che metta al primo posto l’ambiente. La posizione che si assume, dunque (come si vede bene nel grafico) non è statica. È da considerarsi come un cammino, una strada da seguire da ora in avanti. Si parte della concezione propria della posizione centrale, per giungere alla decrescita. Questo perché un blocco improvviso della crescita porterebbe al collasso l’intero sistema. La decrescita dovrebbe essere organizzata non soltanto per preservare l’ambiente ma anche per ripristinare il minimo di giustizia sociale senza la quale il pianeta è condannato all’esplosione. Sopravvivenza sociale e sopravvivenza biologica sembrano dunque strettamente legate. Dunque si tratta di “organizzare” una società diversa, una società della decrescita. Questo è l’intento della tesi: convertire la vita dell’uomo di oggi da “schiavo” della ricchezza, della continua corsa al profitto a uomo consapevole del danno che arreca alla natura e quindi a se stesso, e in un secondo step a prevenire e ridurre il suo “carico” biologico. Organizzare la decrescita significa, in altre parole, rinunciare all’immaginario economico, vale a dire alla credenza che di più è uguale a meglio. Il bene e la felicità possono realizzarsi con costi minori. Riscoprire la vera ricchezza nel fiorire di rapporti sociali conviviali in un mondo sano può ottenersi con serenità nella frugalità, nella sobrietà e addirittura con una certa austerità nel consumo materiale. La decrescita non è la crescita negativa. Si sa che il semplice rallentamento della crescita sprofonda le nostre società nel disordine con riferimento alla disoccupazione e all’abbandono dei programmi sociali, culturali e ambientali che assicurano un minimo di qualità della vita. Si può immaginare quale catastrofe sarebbe un tasso di crescita negativa! Allo stesso modo non c’è cosa peggiore di una società lavoristica senza lavoro e, peggio ancora, di una società della crescita senza crescita. La decrescita è dunque auspicabile soltanto in una “società di decrescita”. Ciò presuppone tutt’altra organizzazione in cui il tempo libero è valorizzato al posto del lavoro, dove le relazioni sociali prevalgono sulla produzione e sul consumo dei prodotti inutili o nocivi. La riduzione drastica del tempo dedicato al lavoro, imposta per assicurare a tutti un impiego soddisfacente, è una condizione preliminare. Ispirandosi alla carta su “consumi e stili di vita” proposta al Forum delle ONG di Rio, è possibile sintetizzare il tutto in un programma di sei “R”: rivalutare, ristrutturare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare. Questi sono i sei obiettivi interdipendenti un circolo virtuoso di decrescita conviviale e sostenibile. Li vedremo qualche paragrafo più avanti.

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parte 2

lo sviluppo sostenibile

26. Schema delle quattro posizioni che si possono assumere relativamente allo sviluppo futuro

Sviluppo sostenibile Sempre più spesso leggiamo articoli di giornale o commenti dei politici sull’Italia che non vuole crescere in cui i cittadini, ignoranti o male informati, sono visti come un ostacolo allo sviluppo economico del paese. Prendiamo lo spunto per porre a tutti una domanda: di quale sviluppo parliamo? La storia economica mondiale ci ha insegnato diversi paradigmi dello sviluppo. Per semplificare distinguiamo lo sviluppo tradizionale e lo sviluppo sostenibile. Lo sviluppo tradizionale si caratterizza per il rapporto di correlazione inversa con l’ambiente naturale. Ha accompagnato, razionalmente, la storia dell’uomo fin dagli albori, quando a popolare il pianeta erano poche migliaia di uomini circondati da boschi e da pericoli di ogni tipo. Fin dalle prime tribù l’uomo ha dovuto modificare l’ambiente circostante per creare uno spazio adeguato in cui vivere. Questo paradigma è durato migliaia di anni mostrando i primi segni di crisi soltanto nella seconda metà del novecento con l’emergere dei gravi fenomeni di inquinamento globale e di scarsità delle risorse (es. petrolio). Negli anni ‘80 ha trovato una rapida diffusione nel mondo accademico la teoria dell’entropia in base alla quale in un sistema chiuso come la Terra l’energia utilizzata non potrà mai essere recuperata completamente. Questa teoria reintroduce il concetto scientifico di limite in ottica globale. Il mondo sconosciuto e vasto del romantico Far West è stato colonizzato al 100% e viene sostituito con quello più realistico della città globale o, se preferite, della Teraa come navicella spaziale in cui le risorse non sono infinite bensì scarse e le conseguenze ambientali sono un pericoloso feed back per l’esistenza stessa dell’uomo. Una sorta di grande vasca per pesci. 26. Schemi dello sviluppo sostenibile, alla confluenza di tre preoccupazioni

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lo sviluppo sostenibile

Come si può vedere dal grafico lo sviluppo tradizionale ha man mano ridotto il capitale naturale trasformandolo in sviluppo economico. Questo processo può essere attenuato dalle innovazioni tecnologiche che spostano verso destra la curva senza però risolvere il problema alla base della scarsità. La risposta razionale può arrivare soltanto dall’introduzione di un nuovo paradigma di sviluppo conosciuto come sviluppo sostenibile. Non si tratta di una negazione della crescita, come molti credono, bensì della crescita economica rispettosa dei limiti ambientali. Questa nuova visione dello sviluppo è diventata una vera e propria necessità storica dell’umanità. Così come il piccolo mondo antico non era in grado di gestire i complessi rapporti internazionali di quello moderno, allo stesso modo il vecchio modo di concepire lo sviluppo come antagonista dell’ambiente non è in grado di risolvere problemi come l’effeto serra o il buco dell’ozono ed è destinato ad essere sostituito con il paradigma della sostenibilità in cui la tutela dell’ambiente è in correlazione diretta con la crescita economica. Negli articoli che seguono, sono proprio evidenti le relazioni che intercorrono tra le tre “E” (ecologia, economia e equità sociale). Lo sviluppo sostenibile secondo la legge italiana Il concetto di sviluppo sostenibile in Italia, alla luce del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, in materia “ambientale” 75 con le modifiche apportate dal D.lgs 16 gennaio 2008, n. 4 76, è così definito: Art. 3-quater (Principio dello sviluppo sostenibile) 1 - Ogni attività umana giuridicamente rilevante ai sensi del presente codice deve conformarsi al principio dello sviluppo sostenibile, al fine di garantire all’uomo che il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni attuali non possa compromettere la qualità della vita e le possibilità delle generazioni future. 2 - Anche l’attività della pubblica amministrazione deve essere finalizzata a consentire la migliore attuazione possibile del principio dello sviluppo sostenibile, per cui nell’ambito della scelta comparativa di interessi pubblici e privati connotata da discrezionalità gli interessi alla tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale devono essere oggetto di prioritaria considerazione. 3 - Data la complessità delle relazioni e delle interferenze tra natura e attività umane, il principio dello sviluppo sostenibile deve consentire di individuare un equilibrato rapporto, nell’ambito delle risorse ereditate, tra quelle da risparmiare e quelle da trasmettere, affinché nell’ambito delle dinamiche della produzione e del consumo si inserisca altresì il

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Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152 Decreto Legislativo 16 gennaio 2008, n. 4

principio di solidarietà per salvaguardare e per migliorare la qualità dell’ambiente anche futuro. 4 - La risoluzione delle questioni che involgono aspetti ambientali deve essere cercata e trovata nella prospettiva di garanzia dello sviluppo sostenibile, in modo da salvaguardare il corretto funzionamento e l’evoluzione degli ecosistemi naturali dalle modificazioni negative che possono essere prodotte dalle attività umane. Sviluppo sostenibile e Legalità La mancanza di regole in un sistema di società civile o la difficoltà ad applicarle e farle rispettare può generare comportamenti illeciti, che spesso tendono ad attivare meccanismi di sviluppo non orientati al bene comune ma a tornaconti economici e di potere personali. I crimini ambientali sono una delle aree di maggiore profitto nell’ambito della criminalità organizzata: in Italia il rapporto Ecomafia 2009 di Legambiente ha messo in evidenza come il 20% circa del fatturato mafioso faccia riferimento a delitti commessi nell’ambito ambientale. Se è vero che i crimini sono commessi da organizzazioni criminali è parimenti vero che tali crimini trovano la ragione d’essere come risposta ad esigenze di un committente che spesso opera secondo attività legalmente autorizzate. La Crisi dei rifiuti in Campania nel 2009, e più recentemente il caso dei relitti navali affondati nel Tirreno imbottiti di sostanze nocive mettono in evidenza la forte correlazione tra attività economica e rispetto delle regole: i rifiuti tossici smaltiti illegalmente hanno avuto origine da attività regolarmente autorizzate. Tale circostanza, rendendo sempre più centrale l’etica nelle scelte di chi produce, sottolinea quanto le azioni dell’individuo ed il rispetto di regole condivise siano irrinunciabili per garantire gli equilibri ecologici e la sostenibilità dell’operato economico di una società civile. Nel Luglio 2009 il governo nazionale ha avviato un programma di sensibilizzazione rivolto alle scuole attraverso la sottoscrizione di una carta d intenti tra il Ministero dell’Ambiente ed il Ministero della Pubblica Istruzione attraverso la realizzazione del programma “Scuola Ambiente Legalità”; il programma pone l’accento esattamente sulla correlazione tra questi due temi.

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dei processi ambientali, attuato dall’Agenzia delle Nazioni Unite sull’Ambiente (UNEP), in collaborazione con altri enti, è stato pubblicato un manuale di formazione rivolto a lavoratori ed associazioni sindacali. Partendo da un’analisi delle potenziali conseguenze dei cambiamenti climatici, oltre che delle misure di mitigazione e di adattamento, sull’occupazione, il rapporto affronta il tema di come i sindacati possano contribuire a limitare gli effetti occupazionali negativi legati al cambiamento climatico. L’entità di tali effetti non dipende solo da fattori fisici (i paesi e le regioni tropicali e sub-tropicali, insieme a quelle vicino ai poli saranno i primi ad essere colpiti dal riscaldamento globale), ma anche da alcuni fattori socio-economici (primo fra tutti il peso che le attività più sensibili, in particolare l’agricoltura, hanno nel sistema economico locale). Fra tutti, è infatti il settore agricolo ad essere maggiormente a rischio. Prendendo il caso delle sempre più frequenti precipitazioni pesanti si prevede un impatto fortemente negativo sull’occupazione agricola, soprattutto per quanto riguarda il lavoro stagionale. Un esempio fra tutti, quando nel 2005 l’uragano Katrina ha distrutto New Orleans, si è registrata una perdita di circa 40.000 posti di lavoro. 77

Cambiamento climatico e occupazione Capire come la società e l’economia sono influenzate dall’ecologia Inevitabilmente un’alterazione delle condizioni climatiche ha un impatto sull’attività economica e produttiva, e di conseguenza sull’occupazione. Mentre esistono, in letteratura, numerosi contributi sull’impatto del clima su determinati settori di attività economica, non è altrettanto sviluppato il tema dell’impatto diretto sul mercato del lavoro. Due sono i principali problemi metodologici che ne rendono difficile la valutazione. L’occupazione, complessiva e a livello settoriale, dipende da una serie di variabili economiche rilevanti, cosa che rende complicato isolare l’impatto provocato esclusivamente dai cambiamenti climatici. Il secondo ostacolo è sintetizzabile invece nella grande incertezza sulle direzioni di sviluppo dell’economia mondiale e della società. Questo richiede metodologie di previsione in grado di minimizzare il margine di errore. Un contributo significativo sulla relazione tra cambiamenti climatici e occupazione è stato pubblicato nel 2007 da un consorzio guidato dalla Confederazione Europea dei Sindacati (CES) e dalla Social Development Agency (SDA). Nello studio vengono distinti due diversi tipi di effetti: - un impatto indiretto sul lavoro attraverso variazioni nel costo dei beni, - un impatto diretto derivante dai cambiamenti della produttività. Lo studio, utilizza i risultati di una serie di interviste condotte fra le parti interessate. Utilizzando un approccio settoriale, vengono individuati quei settori economici maggiormente sensibili ai cambiamenti climatici, ovvero l’agricoltura, la silvicoltura, la pesca, il turismo, il settore finanziario ed assicurativo, la sanità, le infrastrutture ed il settore energetico. Nel caso specifico del settore dell’energia, che secondo i dati del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP), contribuisce per circa il 75,8% delle emissioni globali di gas a effetto serra, le condizioni climatiche influiscono notevolmente sulle scelte produttive e di consumo dell’energia (basti pensare alla minore domanda di energia per il riscaldamento in inverno ed alla maggiore domanda per l’aria condizionata in estate, oltre alle mutate condizioni e alle potenzialità di produzione di energia elettrica) che possono implicare cambiamenti significativa della forza lavoro richiesta. La conclusione principale è che tali cambiamenti, nell’attività economica e nei trend occupazionali, saranno maggiormente negativi in quei paesi che si trovano ad una bassa latitudine. In caso di un aumento degli attuali livelli di riscaldamento globale, inoltre, le conseguenze possono essere ancora più dannose. I risultati forniti dallo studio del CES sono confermati anche da altre indagini più recenti. Nel 2008, nel quadro del progetto Rafforzamento della partecipazione sindacale a livello internazionale nell’ambito

Lo scenario del cambiameno. Il programma delle 8 R La diffusione dei principi su cui si basa lo sviluppo sostenibile ha avuto un’accelerazione negli anni più recenti, quando: • si sono potuti verificare gli effetti sul clima e sull’impoverimento delle risorse naturali da un utilizzo incontrollato delle tecnologie e delle risorse; • è emersa l’esigenza si assicurare il rispetto dei diritti umani nei Paesi in via di Sviluppo; • la crisi del 2008, che ha colpito l’economia mondiale con circa due milioni di disoccupati, ha dimostrato quali possono essere gli effetti che i comportamenti contrari all’etica degli affari possono avere sull’economia globalizzata. La “società della decrescita” presuppone, come primo passo, la drastica diminuzione degli effetti negativi della crescita e, come secondo passo, l’attivazione dei circoli virtuosi legati alla decrescita: ridurre il saccheggio della biosfera non può che condurci ad un miglior modo di vivere. Questo processo comporta otto obiettivi interdipendenti, le 8 R: rivalutare, ricontestualizzare, ristrutturare, rilocalizzare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare. Tutte insieme possono portare, nel tempo, ad una decrescita serena, conviviale e pacifica. - Rivalutare. Rivedere i valori in cui crediamo e in base ai quali organizziamo la nostra vita, cambiando quelli che devono esser cambiati. L’altruismo dovrà

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Dossier ADAPT Osservatorio Green jobs, in collaborazione con il Centro Studi Internazionali e Comparati Marco Biagi

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prevalere sull’egoismo, la cooperazione sulla concorrenza, il piacere del tempo libero sull’ossessione del lavoro, la cura della vita sociale sul consumo illimitato, il locale sul globale, il bello sull’efficiente, il ragionevole sul razionale. Questa rivalutazione deve poter superare l’immaginario in cui viviamo, i cui valori sono sistemici, sono cioè suscitati e stimolati dal sistema, che a loro volta contribuiscono a rafforzare. - Ricontestualizzare. Modificare il contesto concettuale ed emozionale di una situazione, o il punto di vista secondo cui essa è vissuta, così da mutarne completamente il senso. Questo cambiamento si impone, ad esempio, per i concetti di ricchezza e di povertà e ancor più urgentemente per scarsità e abbondanza, la “diabolica coppia” fondatrice dell’immaginario economico. L’economia attuale, infatti, trasforma l’abbondanza naturale in scarsità, creando artificialmente mancanza e bisogno, attraverso l’appropriazione della natura e la sua mercificazione. - Ristrutturare. Adattare in funzione del cambiamento dei valori le strutture economico-produttive, i modelli di consumo, i rapporti sociali, gli stili di vita, così da orientarli verso una società di decr scita. Quanto più questa ristrutturazione sarà radicale, tanto più il carattere sistemico dei valori dominanti verrà sradicato. - Rilocalizzare. Consumare essenzialmente prodotti locali, prodotti da aziende sostenute dall’economia locale. Di conseguenza, ogni decisione di natura economica va presa su scala locale, per bisogni locali. Inoltre, se le idee devono ignorare le frontiere, i movimenti di merci e capitali devono invece essere ridotti al minimo, evitando i costi legati ai trasporti (infrastrutture, ma anche inquinamento, effetto serra e cambiamento climatico). - Ridistribuire. Garantire a tutti gli abitanti del pianeta l’accesso alle risorse naturali e ad un’equa distribuzione della ricchezza, assicurando un lavoro soddisfacente e condizioni di vita dignitose per tutti. Predare meno piuttosto che “dare di più”. - Ridurre. Sia l’impatto sulla biosfera dei nostri modi di produrre e consumare che gli orari di lavoro. Il consumo di risorse va ridotto sino a tornare ad un’impronta ecologica pari ad un pianeta. La potenza energetica necessaria ad un tenore di vita decoroso (riscaldamento, igiene personale, illuminazione, trasporti, produzione dei beni materiali fondamentali) equivale circa a quella richiesta da un piccolo radiatore acceso di continuo (1 kw). Oggi il Nord America consuma dodici volte tanto, l’Europa occidentale cinque, mentre un terzo dell’umanità resta ben sotto questa soglia. Questo consumo eccessivo va ridotto per assicurare a tutti condizioni di vita eque e dignitose. - Riutilizzare. Riparare le apparecchiature e i beni d’uso anziché gettarli in una discarica, superando così l’ossessione, funzionale alla società dei consumi, dell’obsolescenza degli oggetti e la continua “tensione al nuovo”. - Riciclare. Recuperare tutti gli scarti non decomponibili derivanti dalle nostre attività. 78

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Serge Latouche (da una proposta di Osvaldo Pieroni al Forum delle ONG di Rio)

Scenari possibili L’ecosostenibilità è l’attività umana che regola la propria pratica secondo assunti ecologisti nel quadro dello sviluppo sostenibile. Il rinnovamento delle risorse è al centro del discorso ecosostenibile, ed è visto come capacità intrinseca del mondo di trasformarsi in maniera ciclica, capacità che va difesa per non modificare i delicati equilibri terrestri. È eco-sostenibile ciò che porta ad agire l’uomo in modo che il consumo di risorse sia tale che la generazione successiva riceva la stessa quantità di risorse che noi abbiamo ricevuto dalla generazione precedente.

Rapporto sui limiti dello sviluppo Nel 1972 fu pubblicato il Rapporto sui limiti dello sviluppo (traduzione errata di Rapporto sui limiti della crescita), commissionato al MIT dal Club di Roma. Tra i vari autori che collaborarono, spicca il nome di Donella Meadows che ne fu l’autrice principale. Il rapporto predice le conseguenze che la continua crescita può recare all’ecosistema terrestre e alla stessa sopravvivenza della specie umana. Sintetizzando le conclusioni a cui è arrivata Donella Meadows: - Se l’attuale tasso di crescita della popolazione, dell’industrializzazione, dell’inquinamento, della produzione di cibo e dello sfruttamento delle risorse continuerà inalterato, i limiti dello sviluppo su questo pianeta saranno raggiunti in un momento imprecisato entro i prossimi cento anni. Il risultato più probabile sarà un declino improvviso ed incontrollabile della popolazione e della capacità industriale. - È possibile modificare i tassi di sviluppo e giungere ad una condizione di stabilità ecologica ed economica, sostenibile anche nel lontano futuro. Lo stato di equilibrio globale dovrebbe essere progettato in modo che le necessità di ciascuna persona sulla terra siano soddisfatte, e ciascuno abbia uguali opportunità di realizzare il proprio potenziale umano. Nel 1992 è stata pubblicato un primo aggiornamento del Rapporto, col titolo Beyond the Limits (oltre i limiti), nel quale si sosteneva che erano già stati superati i limiti della “capacità di carico” del pianeta. Un secondo aggiornamento, dal titolo Limits to Growth: The 30-Year Update è stato pubblicato il 1º giugno 2004 dalla Chelsea Green Publishing Company. In questa versione, Donella Meadows, Jorgen Randers e Dennis Meadows hanno aggiornato e integrato la versione originale, spostando l’accento dall’esaurimento delle risorse alla degradazione dell’ambiente. Nel 2008 Graham Turner, del Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation (CSIRO) Australiano, ha pubblicato una ricerca intitolata «Un paragone tra i I limiti dello sviluppo e 30 anni di dati reali» 10 in cui ha confrontato i dati degli ultimi 30 anni con le previsioni effettuate nel 1972, concludendo che i mutamenti nella produzione industriale e agricola, nella popolazione e nell’inquinamento effettivamente avvenuti sono coerenti con le previsioni del 1972 di un collasso economico nel XXI secolo.

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Limits to Growth: the 30-years update Il recente aggiornamento del Rapporto si giova di due concetti affermatisi solo dopo la sua prima edizione: l’esigenza di uno sviluppo sostenibile (affermata per la prima volta nel Rapporto Brundtland del 1987) e la misurazione dell’impatto dell’uomo sulla Terra mediante l’impronta ecologica (tecnica introdotta da Mathis Wackernagel e altri nel 1996); si apre, in effetti, sottolineando che l’impronta ecologica ha iniziato a superare intorno al 1980 la capacità di carico della Terra e la supera attualmente del 20%. Come nelle edizioni precedenti, si usa l’approccio della Teoria dei sistemi; in particolare, si considerano gli andamenti di fenomeni soggetti a cicli di retroazione che li amplificano (retroazione positiva) o li smorzano (retroazione negativa). Ad esempio, la popolazione cresce per effetto di nuove nascite ma diminuisce se la mortalità supera la natalità; i beni strumentali crescono per nuovi investimenti ma diminuiscono per logoramento ed obsolescenza. Si ribadisce l’assunto fondamentale: la Terra non è infinita né come serbatoio di risorse (terra coltivabile, acqua dolce, petrolio, gas naturale, carbone, minerali, metalli, ecc.), né come discarica di rifiuti. La crescita della popolazione e della produzione industriale comporta sia il consumo delle risorse, sia l’inquinamento. Il modello World3 viene usato per simulare il possibile andamento di popolazione, produzione industriale ed altre variabili mediante equazioni non lineari e cicli di retroazione. Nel Rapporto vengono proposti 11 scenari diversi, definiti dagli autori tutti “ottimistici” in quanto: - il mondo viene considerato omogeneo, senza distinzioni né tra aree geografiche né tra regioni ricche e regioni povere; - non si considerano limiti “sociali” quali guerre, scioperi, lotte per il potere, conflitti etnici, corruzione, uso di droghe, criminalità, terrorismo. 79 Scenario 0: Input e output infiniti Viene usato solo per mostrare che, se si assume che le risorse necessarie alla produzione industriale ed il conseguente inquinamento diminuiranno sempre più, che la produttività della terra aumenterà indefinitamente, che lo spazio sottratto all’agricoltura dagli insediamenti abitativi diminuirà progressivamente, allora non ci sono limiti allo sviluppo. Le ipotesi vengono peraltro considerate irrealistiche, soprattutto perché, pur ammettendo che la tecnologia sia in grado di evolvere al punto da offrire soluzioni efficaci ed economiche a problemi quali l’inquinamento, è comunque normalmente necessario che un problema venga percepito perché se ne cerchi, e poi si trovi, una soluzione, e l’esperienza anche recente mostra che: - la percezione di un problema e la condivisione della necessità di una soluzione richiedono tempo (nell’ordine di decenni) e si scontrano con resistenze di vario tipo; - il problema può richiedere tempi di soluzione molto lunghi, anche quando sia stato pienamente riconosciuto e si siano poste in atto efficaci contromisure. Gli autori propongono l’esempio dell’assottigliamento dello strato di ozono e della comparsa del buco dell’ozono causati dai clorofluorocarburi.

I clorofluorocarburi vennero introdotti nel 1928. Solo nel 1974 si scoprì che potevano danneggiare lo strato di ozono. Nel 1978 venne vietato negli Stati Uniti l’uso dei CFC nelle bombolette spray, ma continuò il loro utilizzo in altri paesi e in altri settori industriali. Il buco dell’ozono venne scoperto nel 1984, il primo protocollo internazionale per la progressiva eliminazione dei CFC venne firmato nel 1987, ma risultò troppo poco incisivo e venne modificato più volte. La messa al bando dei CFC ha dato buoni risultati (sembra che il buco dell’ozono si stia restringendo), anche per l’introduzione di sostituti meno dannosi, ma occorrerà ancora un secolo perché i CFC presenti nella stratosfera degradino. Scenario 1: Crisi delle risorse non rinnovabili Si assume un andamento analogo a quello registrato nel XX secolo. Si osserva un graduale progresso che viene però bruscamente interrotto, nella prima metà del XXI secolo, dal costo sempre crescente delle risorse non rinnovabili (combustibili e giacimenti d’acqua fossili, minerali) e della necessità di dedicare crescenti energie allo sfruttamento di risorse sempre più scarse e sempre meno accessibili. Scenario 2: Crisi da inquinamento Si modifica lo scenario 1 ipotizzando che le risorse non rinnovabili non ancora scoperte siano il doppio, in modo da consentire un loro sfruttamento prolungato. Si ha anche in questo caso un progresso bruscamente interrotto nella prima metà del XXI secolo, ma questa volta per effetto dell’inquinamento, soprattutto per l’impatto dell’inquinamento sulla fertilità della terra (fertilizzanti, pesticidi). Scenario 3: Crisi alimentare Si modifica lo scenario 2 ipotizzando che il progresso tecnologico consenta di ridurre progressivamente l’inquinamento. Si ha ancora una brusca inversione di tendenza, anche se con qualche decennio di ritardo, in quanto la popolazione cresce comunque più rapidamente della produzione agricola. Ciò accade sia perché la tecnologia affronta con ritardo le varie forme di inquinamento (si veda il caso dell’ozono), sia perché gli insediamenti abitativi sottraggono terreno all’agricoltura. Scenario 4: Crisi da erosione Si modifica lo scenario 3 aggiungendo un impiego della tecnologia anche per sostenere la fertilità della terra. Si ha però anche in questo caso un esito simile a quello degli scenari precedenti (ma nella seconda metà del secolo XXI), in quanto il crescente sfruttamento della terra provoca un collasso nella produttività agricola per erosione. Scenario 5: Crisi multipla Si modifica lo scenario 4 aggiungendo interventi per proteggere la terra dall’erosione, ma si ottiene comunque un collasso per effetto di più crisi: scarsità di risorse naturali e di cibo, costi crescenti.

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Graham Turner, A comparison of The Limits to Growth with 30 years of reality, Global Environmental Change, vol. 18, n. 3, Agosto 2008, pp. 397-411.

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Scenario 6: Crisi da costi Si modifica lo scenario 5 aggiungendo tecnologie per l’economizzazione delle risorse naturali. Si ritarda il collasso, che però incombe comunque per i costi crescenti degli interventi finalizzati a sostenere la produzione agricola e per contrastare l’inquinamento, l’erosione e la scarsità delle risorse naturali. Scenario 7: Programmazione familiare Si ritorna allo scenario 1 per esaminare gli effetti di possibili misure atte ad evitare gli esiti degli scenari precedenti, iniziando con l’assumere che tutte le coppie del mondo decidano di avere in media due figli in modo da ridurre l’impatto di una crescita esponenziale della popolazione. Ciò consente di garantire migliori condizioni di vita, ma si ha comunque un’inversione di tendenza, come nello scenario 2, a causa del crescente inquinamento. Scenario 8: Moderazione degli stili di vita Si modifica lo scenario 7 aggiungendo l’ipotesi che tutti, nel mondo, si attestino su un livello di consumi poco superiore a quello medio dell’anno 2000 (da notare che si tratta di un’ipotesi non solo di “moderazione”, ma anche di perequazione). Si ottengono così favorevoli condizioni per circa un trentennio, ma si perviene poi comunque ad un collasso a causa di un’impronta ecologica troppo elevata. Scenario 9: Utilizzo più efficiente delle risorse naturali Si modifica lo scenario 8 aggiungendo, come nello scenario 6, tecnologie per l’economizzazione delle risorse naturali. L’effetto è tuttavia nettamente migliore, grazie alla minore pressione demografica ed alla moderazione nei consumi, al punto che si delinea una situazione sostenibile prima della metà del XXI secolo. Si tratta, secondo gli autori, di uno scenario concretamente perseguibile ed anche desiderabile, nonostante la sostenibilità venga raggiunta solo dopo un andamento oscillante, non indolore, della produzione agricola e della disponibilità di beni e servizi. parte 2 Impronta ecologica Impronta ecologica: lìimpatto pro capite sull’ambiente pag.194

Scenario 10: Tempestività Lo scenario 10 è in tutto analogo allo scenario 9 con una sola differenza: si ipotizza che le azioni lì intraprese (programmazione familiare, moderazione degli stili di vita, utilizzo più efficiente delle risorse) siano state poste in essere già nel 1982. L’effetto è ancora migliore, in quanto si raggiunge una situazione sostenibile già all’inizio del XXI secolo e con minori oscillazioni.

La “rivoluzione sostenibile”

ecapire che gli effetti negativi dei limiti dello sviluppo rischiano di diventare tanto più pesanti quanto più tardi si agirà. Vi sono stati due precedenti: - la rivoluzione agricola, che vide i nomadi del mesolitico insediarsi e inventare l’agricoltura e l’allevamento del bestiame, dando vita al neolitico; - la rivoluzione industriale, che risolse i timori di Thomas Malthus sulla sovrappopolazione grazie ad un enorme sviluppo della produttività. Bisogna quindi attuare una rivoluzione sostenibile: di lunga durata come le precedenti, in grado di dare nuove risposte al problema millenario della vita umana sulla Terra. Tuttavia, la rivoluzione sostenibile dovrà essere accompagnata ben più delle precedenti, dalla consapevolezza della sua necessità e degli obiettivi di massima da raggiungere. Gli autori rifiutano l’obiezione secondo la quale la tecnologia ed i meccanismi automatici del mercato sono sufficienti ad evitare il collasso del sistema. Per esempio: la pesca e lo sfruttamento sempre più intenso di una risorsa naturale di per sé rinnovabile ha condotto al depauperamento della fauna ittica, al punto che il prodotto della pesca comincia a diminuire. 80 La tecnologia ha reso la pesca sempre più aggressiva (sonar, individuazione di branchi tramite satelliti, ecc.), il mercato ha reagito alla scarsità aumentando il prezzo, trasformando così un alimento per poveri in un alimento per ricchi. In generale sarebbe possibile ipotizzare un esito analogo su più ampia scala (consumi crescenti da parte dei “ricchi”, a prezzi elevati per effetto della scarsità delle risorse, impoverimento della maggioranza), che però non sarebbe sostenibile. Una società sostenibile, deve anche essere una società solidale e con diseguaglianze contenute: ricchezze eccessive inducono comunque un consumo sostenuto delle risorse naturali ed un crescente inquinamento, mentre una povertà diffusa esporrebbe il pianeta al peso insostenibile di una crescita esponenziale della popolazione.

L’impatto del Rapporto Pubblicato negli anni della grande crisi petrolifera e dell’unica crisi dei mercati cerealicoli della seconda metà del secolo i due rapporti realizzati dal MIT per il Club di Roma produssero immensa attenzione, ma l’essenza del messaggio, la previsione che dopo l’anno 2000 l’umanità si sarebbe scontrata con la rarefazione delle risorse naturali fu sostanzialmente rigettata dalla cultura economica internazionale, compresi illustri premi Nobel quale l’economista Amartya Sen, assolutamente convinti che lo sviluppo tecnologico avrebbe sopperito ad ogni rarefazione di risorsa. Solo pochi analisti degli equilibri tra disponibilità ed impiego di risorse naturali avrebbero continuato nei decenni successivi ad ispirare il proprio lavoro di indagine e prospezione al teorema del MIT: si può ricordare negli Stati Uniti Lester Brown e in Italia Antonio Saltini.

In sintesi, si deve accettare l’idea della finitezza della Terra, quindi è necessario intraprendere più azioni coordinate per gestire tale finitezza,

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FAO, The State of World Fisheries and Aquaculture, 2004

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parte 2

l’impronta ecologica

2.5

l’impronta ecologica

Questa grande sconosciuta I fattori che contribuiscono ad “appesantire” il pianeta, come abbiamo visto sono molti e complessi e tutti sono in relazione gli uni con gli altri. L’inquinamento e il malessere della Terra deriva da diversi fattori e spesso, per capire l’entità di danno o di misure precauzionali è necessario avere dei dati più analitici. Questa esigenza ha messo nella condizione di doversi porre alcune domande: Come fare una fotografia dello stato di salute dell’ambiente in cui viviamo? Come valutare la sostenibilità di azioni personali (stili di vita) e di interventi pubblici? Gli studiosi hanno individuato una serie di indicatori che traducono in numeri la “salute” di un dato territorio, ad esempio la qualità delle acque fluviali, l’accessibilità di parchi per i cittadini, la produzione e il tipo di smaltimento dei rifiuti. Questi parametri descrivono in maniera analitica il territorio (ovvero considerano singolarmente i diversi aspetti e le diverse componenti del territorio). È stato poi elaborato un indicatore che rappresenta complessivamente, con un unico dato, l’impatto ambientale: l’impronta ecologica. L’impronta ecologica è definita come misura della superficie di territorio produttivo necessario per produrre beni e servizi e per smaltire i rifiuti di una persona o insieme di persone.

è in continua e sostanziale evoluzione, sin dalla sua ideazione nel 1990 da parte di un gruppo di ricercatori dell’Università canadese della British Columbia, guidati da Mathis Wackernagel e Wiliam Rees. Inoltre vengono spesso utiizzati metodi semplificati per il calcolo o approssimazioni quando non sono facilmente reperibili tutti i dati. Di questi limiti bisogna tener conto nella valutazione dell’impronta ecologica. L’impronta ecologica è data dalla somma di sei differenti componenti: - la superficie di terra coltivata necessaria per produrre gli alimenti, - l’area di pascolo necessaria per produrre i prodotti animali, - la superficie di foresta necessaria per produrre legname e carta, - la superficie marina necessaria per produrre pesci e frutti di mare, - la superficie di terra necessaria per ospitare infrastrutture edilizie, - la superficie forestale necessaria per assorbire le emissioni di anidride carbonica risultanti dal consumo energetico dell’individuo considerato. Essa viene misurata in “unità di superficie”, equivalente ad un ettaro della produttività media del pianeta.

parte 3 Il progetto Impronta ecologica pag.284

27. Schema riassuntivo dei 6 componenti diversi della operazione per calcolare l’impronta ecologica di una persona

Detta altrimenti: è un termine con cui si indica il determinato “peso” che oguno di noi ha sulla Terra; è un metodo di misurazione che indica quanto territorio biologicamente produttivo viene utilizzato da un individuo, una famiglia, una città, una regione, un paese o dall’intera umanità per produrre le risorse che consuma e per assorbire i rifiuti che genera.
L’impronta ecologica ha il vantaggio di riunire in un unico indicatore diversi fattori che determinano un impatto sull’ambiente. Di contro è meno analitica dell’insieme degli indicatori che vengono normalmente utilizzati. Gli indicatori sono utilizzati non solo per fotografare la situazione, ma anche per seguirne l’evoluzione, per valutare punti critici e punti di forza, come parametro per il confronto con altre realtà. Come tutti gli indicatori però la confrontabilità dell’impronta ecologica calcolata per diverse realtà e per anni diversi dipende fortemente dalla disponibilità dei dati e dalla metodologia di calcolo; quest’ultima

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parte 2

l’impronta ecologica

Appare evidente che l’impronta ecologica dipende fortemente dalle abitudini personali: dalla frequenza e dalla modalità degli spostamenti, da beni di consumo acquistati/dismessi, dalla qualità e dalla quantità degli alimenti - oltre che dalla loro provenienza più o meno locale -, dal riscaldamento e dal condizionamento estivo nelle abitazioni e dagli altri usi energetici, ecc. L’impronta ecologica di una città o provincia o altri Enti Locali dipende, oltre che dall’insieme delle abitudini/ consumi dei suoi abitanti, dalle scelte di gestione del territorio e delle risorse perseguite. Calcolare l’attuale valore dell’impronta ecologica e confrontarlo con il valore ottenibile in virtù di differenti interventi permette di valutarne l’efficacia ed è quindi uno strumento di supporto alla pianificazione. Se l’impronta ecologica è la “misura” della superficie terrestre che ciascuno utilizza, la capacità di carico quantifica (nella medesima “unità di superficie”) la capacità del territorio di fornire risorse ed energia e di assorbire rifiuti. Una volta determinate Impronta Ecologia e Biocapacità è possibile verificare se il territorio realmente disponibile per l’area in esame riesce a soddisfare le esigenze della popolazione che lo occupa. La differenza tra biocapacità e Impronta Ecologica viene definita deficit ecologico quando le differenza risulta negativa e biocapacità residua quando tale differenza è positiva. Per i paesi industrializzati come l’Italia si parla esclusivamente di deficit ecologico e questo significa che essi necessitano di più spazio rispetto a quello a loro disposizione; al contrario molti paesi in via di sviluppo hanno un’impronta inferiore alla loro biocapacità e quindi dispongono di una biocapacità residua. Con i limiti indicati sopra per un calcolo solo approssimativo, possiamo confrontare l’impronta ecologica della Comunità Montana, mediamente di 4,6 ha/ab., con quella (ricavata con le medesime approssimazioni e relativamente al 2001) della Provincia di Pavia (8,7 ha/ab.) e della Regione Lombardia (6,69 ha/ab.): quasi il 50% in meno rispetto alla provincia e 30% in meno rispetto alla media regionale. Tante sono le possibilità che ciascuno personalmente ha e che abbiamo insieme per ridurre la nostra impronta ecologica. Quelli che seguono sono solo alcuni esempi: Cittadini - Acquisti e consumi consapevoli: ridurre gli sprechi; preferire prodotti di stagione e di produzione locale; scegliere prodotti confezionati senza sprechi e etichettati Ecolabel; controllare l’etichetta energetica di lampadine ed elettrodomestici - Ridurre drasticamente l’utilizzo dell’autovettura privilegiando il mezzo pubblico e la bicicletta - Adottare sistemi di risparmio energetico nella propria abitazione e opportuni accorgimenti nell’utilizzo degli elettrodomestici - Scegliere vacanze rispettose dell’ambiente e degli abitanti. Rispettare sempre piante e animali - Ricordare sempre che le risorse della Terra non sono illimitate e che non c’è una “Terra di scorta”

Amministrazioni - Adottare strumenti di pianificazione edilizia “a basso impatto ambientale”, incentivare l’occupazione di edifici vuoti - Promuovere il trasporto pubblico, incentivare l’uso di mezzi di trasporto ecologicamente sostenibili e l’intermodalità (anche per il trasporto merci) - Promuovere l’utilizzo di fonti rinnovabili e del risparmio energetico in edilizia (a partire dalle strutture pubbliche) - Aumentare e curare gli spazi verdi (piantare alberi). Attivare iniziative per far conoscere ai cittadini e promuovere comportamenti sostenibili (educazione nelle scuole) - Ricordare, più dei cittadini, che le risorse della Terra non sono illimitate e che non c’è una “Terra di scorta”.

Cambiamenti climatici in numeri O il mondo entro il 2050 ridurrà in modo drastico la sua attuale capacità di inquinare il Pianeta, e in particolare l’attuale emissione nell’atmosfera di biossido di carbonio, oppure andrà incontro a catastrofi epocali: questa la conclusione dell’annuale Rapporto del Worldwatch Institute, che ogni anno raccoglie gli interventi di 47 tra i principali studiosi al mondo sui cambiamenti climatici. Secondo il rapporto, intitolato ‘2009 - Lo stato del mondo - Verso un mondo piu’ caldo’, la situazione negli ultimi anni è ulteriormente peggiorata, ed è assolutamente necessario arrivare a un nuovo modello di sviluppo basato su produzione e consumo di energia eco-sostenibile. Oggi, la concentrazione di CO2 nell’atmosfera è di 385 parti per milione (ppm). Secondo il consenso degli scienziati, non bisogna superare le 450 ppm se vogliamo evitare che la temperatura media cresca di oltre due gradi dall’era preindustriale (è già salita di 0,7). Ma c’è chi dice che i due gradi sono già inevitabili e che dovremmo puntare a 350 ppm. L’Unione Europea s’è data un obiettivo di medio termine, il 2020, per avere il 20% di rinnovabili, un 20% di efficienza in più e un 20% di emissioni in meno. Ma intanto ci sono Stati membri, come l’Irlanda, che giurano di puntare al 40% di rinnovabili entro 12 anni. Obama, gettando il cuore oltre i suoi due possibili mandati presidenziali, proclama un taglio delle emissioni dell’80% entro il 2050.

Peccato che si tratti di un bersaglio in movimento. Secondo le stime dell’Agenzia internazionale per l’energia, a metà secolo il mondo avrà bisogno di 14,3 milioni di tonnellate di petrolio o equivalenti, contro gli attuali 11,7. Tanaka stesso, il guardiano degli interessi petroliferi dell’Occidente, chiede ai Governi di buttarsi sulle rinnovabili, in nome della sicurezza climatica ed energetica. Ma col prezzo del barile precipitato a 40 dollari, sono rallentati anche gli investimenti sulle nuove energie.
Ma l’ottimismo del fare sembra avere la meglio sul pessimismo del non-fare. 81

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Marco Magrini, “La speranza della green economy per il 2009”, Il Sole 24 ore

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parte 2

l’impronta ecologica

Impronta ecologica: l’impatto pro capite sull’ambiente parte 3 Studio preliminare Sviluppo sostenibile e sostenibilità ambientale pag.228

parte 2 La decrescita Manifesto del doposviluppo pag.173

parte 2 Lo sviluppo sostenibile Limits to Growth: the 30-years update pag.188

parte 3 Il progetto Premessa pag.278

27. Schema dell’impronta ecologica e biocapacità nel tempo (in milioni di ettari terrestri) “Humanity ecological foodprint and biocapacity through time”. 82

Il nostro Pianeta può sostenere un numero minore o maggiore di persone, a seconda se i loro consumi, e quindi il loro impatto sull’ambiente, siano minori o maggiori.

Si evince bene dal grafico, che la nostra impronta ecologica è aumentata moltissimo anno dopo anno.

Mathis Wackernagel, oggi direttore dell’Ecological Footprint Network, il centro più autorevole e riconosciuto a livello internazionale.
Il metodo dell’impronta ecologica consente di attribuire, sulla base dei dati statistici di ogni paese e delle organizzazioni internazionali, un’impronta ecologica di un certo numero di ettari globali pro capite come consumo di territorio biologicamente produttivo. Il WWF utilizza dal 2000 il metodo di calcolo dell’impronta ecologica nel suo rapporto biennale Living Planet Report, commissionando a Wackernagel e al suo team il calcolo dell’impronta ecologica di tutti i paesi del mondo. Secondo i calcoli più recenti l’impronta ecologica dell’umanità è di 2,2 ettari globali pro capite, mentre quella dell’Italia è di 4,2 ettari. L’Italia ha un’impronta ecologica (sui dati 2005) di 4.2 ettari globali pro capite con una biocapacità di 1 ettaro globale pro capite, dimostrando quindi un deficit ecologico di 3.1 ettaro globale pro capite. Nella classifica mondiale è al 29° posto, ma in coda rispetto al resto dei paesi europei. E’ evidente che anche il nostro paese necessita di avviarsi rapidamente su una strada di sostenibilità del proprio sviluppo integrando le politiche economiche con quelle ambientali. Solo tenendo in conto la natura saremo in grado di fornire il giusto valore al nostro “benessere” e di procedere a politiche energetiche, dei trasporti, di uso del territorio capaci di rispettare il nostro straordinario Bel Paese, facendo fruttare al massimo i suoi elementi di qualità.
I paesi con oltre un milione di abitanti con l’impronta ecologica più vasta calcolata su un ettaro globale a persona, sono gli Emirati Arabi Uniti, gli Stati Uniti d’America, la Finlandia, il Canada, il Kuwait, l’Australia, l’Estonia, la Svezia, la Nuova Zelanda e la Norvegia. La Cina si pone a metà nella classifica mondiale, al 69° posto, ma la sua crescita economica e il rapido sviluppo economico che la caratterizza giocheranno un ruolo chiave nell’uso sostenibile delle risorse del pianeta nel futuro. Se tutti gli esseri umani avessero un’impronta ecologica pari a quella degli abitanti dei paesi “sviluppati” non basterebbe l’attuale pianeta per sostenerla: nel 2050 ce ne vorrebbero due di pianeti, se continuerà l’attuale ritmo di consumo di acqua, suolo fertile, risorse forestali, specie animali tra cui le risorse ittiche.
Soprattutto nei paesi ricchi, quindi, devono ridurre il peso sull’ambiente e sulle risorse del Pianeta, così da ridurre l’impronta ecologica.

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edizione 2009, Global Footprint network Advocacing the Science of Sustainability

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parte 2

l’impronta ecologica

Calcolo dell’impronta ecologica personale Quella che segue è un tabella per un calcolo semplificato dell’impronta ecologica personale, che, benché non completo, fornisce un’utile indicazione. Questo schema è utilizzabile per calcolare una parte rilevante, ma non tutta, della propria impronta ecologica. 28. Tabella per un primo calcolo dell’Impronta ecologica personale. 83

L’impronta ecologica misura l’area biologicamente produttiva di mare e di terra necessaria per rigenerare le risorse consumate da una popolazione umana e per assorbire i rifiuti corrispondenti. Semplificando molto, ci da un’indicazione circa la domanda dell’uomo sulle risorse del globo terracqueo. Risorse che sono misurate sulla base della biocapacità di una determinata area geografica, sia essa una provincia o l’intero pianeta. Per rendere meglio l’idea, possono essere utili alcuni esempi che traducono l’impronta ecologica (che si misura in ettari o in metri quadrati) rispetto a consumi e stili di vita quotidiani: per ottenere 1 kg di carne bovina al giorno per un anno, occorrono 140 mq di terra; produrre 1 kg di pane al giorno per un anno necessita di 10 mq di terra; spostarsi tutti i giorni di 5 km comporta un fabbisogno annuale di 122 mq se pedaliamo, di 303 mq se utilizziamo l’autobus, di oltre 1500 mq se siamo automobilisti. E’ evidente, pertanto, che la terra ci serve e che dovremmo tenercela stretta, preservarla e aumentare, laddove possibile, la sua capacità di dare vita. E invece, anziché togliere cemento, come consiglierebbe di fare il buon senso, continuiamo ad aggiungerne. Ed in Italia lo facciamo molto velocemente e voracemente, diminuendo così la biocapacità del nostro paese, e aumentandone la dipendenza rispetto ad altre aree del pianeta. Ci stiamo mangiando il futuro dei nostri figli. Allegramente... 84

Una sola terra non ci basta L’umanità vive del suo capitale naturale e, com’è ormai abbondantemente riconosciuto dalla comunità scientifica, consumiamo circa due pianeti: in altre parole per continuare a vivere in questo modo abbiamo bisogno di due volte le risorse della terra. Il 20% della popolazione mondiale, i paesi ricchi, consuma l’80% delle risorse e al restante 80% ne resta solo il 20%. Ma chi è oggi un ricco? Grosso modo chi possiede un’automobile.Se tutto il mondo consumasse come noi, i ricchi, avremmo bisogno di 8 pianeti. E nel 2050? È prevista una crescita del 65% della popolazione mondiale, quindi allora occorreranno 12 pianeti. E se a questo aggiungiamo una crescita media del 2% fino al 2050 (un’ipotesi non particolarmente azzardata) ci vorranno 30 pianeti. Trenta pianeti? Sarà difficile trovarli, e a quel punto saremo davvero nei guai.

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“L’impronta ecologica: un indicatore per valutare il nostro peso sulla terra”, www.retelilliput.org La tabella di calc,olo dell’Impronta ecologica è stata ricavata dal lavoro di S. Camerini del Politecnico di Milano e del Nodo di Lodi di Lilliput. Le fonti per i coefficienti sono: “Calcola l’impronta ecologica del tuo contesto locale” – Foglio di calcolo sviluppato dal centro di ricerche “Best Foot Forward” per il progetto Indicatori Comuni Europei, Household Ecological Footprint Calculator di M. Wackernagel et al.

84 Domenico Finiguerra, sindaco di Cassinetta di Lugagnano, “Terra, un bene comune da preservare”, Milano

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parte 2

milano

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milano

Nuovo piano per la citta’ “La città è una struttura complessa, un organismo unitario, un corpo vivente soggetto a continue evoluzioni e trasformazioni che ne costituiscono la vita, in costante relazione con le azioni umane, individuali e collettive che in essa si svolgono.” Giuseppe De Finetti

parte 3 Copy strategy Obiettivi della tesi pag.256

Per leggere e analizzare i processi urbani di un’area metropolitana come quella milanese è necessario utilizzare diversi e talvolta complessi strumenti di indagine, che impegnano differenti discipline e specificità: la geografia, la sociologia, la storia, l’economia, la statistica, l’archeologia, l’architettura, l’ingegneria. Le discipline sopra richiamate hanno fatto emergere criticità e potenzialità del territorio e costituiscono il quadro conoscitivo di partenza della città e del nostro lavoro. A partire da ciò, da un punto di vista prettamente urbanistico, si è indagata l’area milanese a diverse scale di riferimento e in rapporto a differenti punti di vista e temi: differenti caratteristiche morfologiche, diverse velocità di spostamento, diversi modi di abitare, tipi di connessioni tra centralità urbane e grandi sistemi ambientali,etc.. Tutto ciò ha restituito una lettura inedita della città, tutt’altro che unitaria e circoscrivibile in semplici modelli: una realtà complessa, costituita da parti eterogenee, caratterizzata da diverse tipologie e morfologie, vissuta e attraversata differentemente a seconda dei luoghi. Milano possiede oggi un’identità complessa, in continua evoluzione, che attende, però, ancora di capire quale sarà il suo ruolo nel mondo, di comprendere la sua forma contemporanea e di definire la sua immagine futura. La complessità di Milano si manifesta attraverso le molteplicità di parti che ne costituiscono e ne descrivono l’essenza. Una città fatta di città, identità e potenzialità: dalla Milano dei territori, a quella delle

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diverse componenti sociali; da quella meneghina, a quella transnazionale e multiculturale; da quella operaia, a quella creativa; da quella veloce, a quella lenta. Anime differenti, in definitiva, che se catturate attraverso uno sguardo d’insieme, concorrono a definire un’identità molteplice, polifonica, introversa, generosa, ma anche pericolosamente frammentaria. L’amminiastrazione comunale vuola rinnovare la città applicando una strategia connessa ad una visione di potenziamento delle sinergie di tutte le eccellenze e delle potenzialità correlate alla vita del capoluogo lombardo. Il punto di partenza è costituito dalla messa in rete di tutte le più importanti risorse presenti nel territorio di Milano, da quelle economiche, creative, sociali, culturali, a quelle più di natura urbana. Il nuovo Piano intende in questo modo attivare una strategia di sistema. Per questo, l’Amministrazione di Milano, ha dettato un “programma” connesso a 15 obiettivi riferiti a tre politiche principali: 1. La città attrattiva. 2. La città vivibile. 3. La città efficiente. Verso una citta’ aperta e sostenibile Il nuovo progetto della città di Milano, alla base del Piano di Governo del Territorio, ha come obiettivo strategico principale quello di potenziare e mettere in rete le ricchezze economiche, sociali, spaziali, ambientali e culturali della città con il più vasto territorio metropolitano: porre a sistema, quindi, le risorse di Milano in termini di “sostenibilità”. Il PGT legge il territorio milanese e la città di Milano come un sistema di pieni e vuoti ed esplora, nella specificità degli stessi, le opportunità intrinseche, non sempre evidenti, di diventare occasioni progettuali, a tutte le scale, per produrre innovazione e modernità e, soprattutto, qualità urbana. Il PGT intende riconquistare questi aspetti attraverso la proposizione del concetto di città pubblica e attraverso una metodologia progettuale basata sulla sottrazione, introducendo strumenti di riqualificazione e di sostituzione, ponendo i cosiddetti “vuoti” in condizione di svolgere una funzione strutturante, ecologica, ambientale, sostenibile, per valorizzare al meglio i “pieni” dell’urbanizzato. Del resto, nella storia della città europea, lo spazio aperto pubblico, che comprende verde, servizi e mobilità -sia lenta/veloce, sia individuale/collettivaha da sempre rappresentato la struttura qualitativa portante ed invariante delle città. È convinzione, pertanto, che solamente potenziando e riqualificando il disegno complessivo della città pubblica, l’area milanese potrà essere restituita ai suoi abitanti, ai suoi cittadini. È nella struttura collettiva di una città che si fonda per antonomasia il principio di una vita per eccellenza sostenibile.

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milano

La città, malgrado l’intensa attività edilizia degli ultimi decenni, non è cresciuta per numero di abitanti, ha di fatto mantenuto un sostanziale equilibrio demografico, ma ha cambiato il rapporto con il suo territorio. Milano ha infatti visto aumentare notevolmente il flusso pendolare in entrata e in uscita; tale aumento ha determinato la congestione delle vie di comunicazione e di traffico della città che, dal canto suo, non è stata in grado di rispondere in modo soddisfacente all’incessante richiesta di modernizzazione da parte dei suoi cittadini in termini di qualità dell’ambiente ed efficienza funzionale, sicurezza e capacità attrattiva. In definitiva la nostra città continua ad esprimere un’esigenza di trasformazione e di riqualificazione fisica e funzionale ed una consistente domanda di adeguamento complessivo agli standard di modernità europei, soprattutto in termini di qualità dei servizi. Milano, infatti, registra un continuo mutamento a livello di processi sociali in essere. Si modificano i modelli di vita, aumenta la domanda di servizi, varia la domanda dell’abitare e del lavorare, si ampliano le attività economiche, cresce il ruolo polarizzante ed attrattivo della città in chiave internazionale. È da questo quadro che si evince una necessità irrinunciabile di regia pubblica, capace di guidare i processi di sviluppo e di trasformazione. Se è dimostrato che non si pianifica esclusivamente per produrre crescita, è vero anche che non si può pianificare senza regolare la risposta a fabbisogni reali anche di naturale crescita e necessità di modernizzazione. Milano oggi ha quindi l’opportunità di immaginare il suo futuro in modo finalmente sostenibile ma, soprattutto, ha la straordinaria occasione, nel quadro di una forte domanda di modernizzazione e riqualificazione, di stipulare un grande “patto trasversale pubblico-privato” per affrontare e risolvere concretamente le criticità peculiari dell’urbanistica milanese e della regione urbana e, soprattutto, della qualità.

Il verde cittadino Con città vivibile si intende promuovere Milano città agricola, connettere i sistemi ambientali esistenti a nuovi grandi parchi urbani fruibili, ripristinare la funzione ambientale dei corsi d’acqua e dei canali, completare la riqualificazione del territorio contaminato o dismesso, supportare a livello urbanistico, edilizio e logistico la politica di efficienza energetica “20-20 by 2020” dell’Unione Europea. Analizzando il tessuto urbano di Milano si nota che la città, nonostante disponga di molti spazi aperti articolati nelle svariate tipologie, non dispone di una struttura permeabile e continua di spazi aperti. E ciò soprattutto se si pensa alla connessione verso l’esterno con i grandi sistemi ambientali territoriali. Per conquistare e promuovere questa consapevolezza del patrimonio verde è

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necessario mettere a sistema gli spazi aperti e renderli attraversabili, percepibili, affinché diventino parte della vita quotidiana della città. L’obiettivo strategico, per quanto attiene questo tema, è trasformare Milano in una città permeabile per eccellenza. La strategia del sistema ambientale diventa così strumento in grado di gestire e mettere in relazione tutte le azioni di riqualificazione urbana presenti e future che modificheranno il territorio milanese in modo sostanziale, definendo le linee guida per lo sviluppo delle aree in trasformazione in un quadro di rinascita dello spazio

Le “parti” e le “voci” della città Se lo sviluppo di Milano, sino ad oggi, lo si poteva leggere in maniera unidirezionale, vale a dire dal centro verso l’esterno, oggi appare fondamentale un punto di vista biunivoco; dal territorio esterno verso la città e viceversa. Per ognuna delle diverse parti di città sono evidenti differenti caratteri urbani da un punto di vista tipo-morfologico, cioè sono riconoscibili molteplici strutture urbane caratterizzanti la specificità dei luoghi. Tale lettura evidenzia un’identità molteplice della struttura urbana che appare come uno straordinario caleidoscopio denso di spunti di criticità e opportunità. Tale complessità la si può mettere in relazione con la necessità di sottolineare sempre di più, quale antidoto alla genericità9 della città e in particolare della periferia, le identità e le specificità dei quartieri e delle diverse zone di cui il tessuto urbano è costituito. 85 L’urbanistica verso una politica energetica innovativa L’integrazione degli obiettivi di sostenibilità energetica nella pianificazione territoriale ed urbanistica non trova, almeno in Italia, esperienze consolidate in termini di grande scala. Molto più ricco risulta essere il quadro a livello di singoli progetti, anche alla scala urbana, riguardanti quindi porzioni di città, quartieri, isolati. Numerose sono le basi teoriche e le prassi applicative nella progettazione urbana ed edilizia incentrate sul contenimento dei consumi energetici del sistema insediativo (dal controllo della radiazione solare e dell’esposizione al vento alla progettazione delle aree verdi; dai temi dell’integrazione tra esigenze di comfort e requisiti ambientali, all’autosufficienza energetica dell’organismo edilizio). E’ possibile individuare almeno tre tipi di approcci teorico-metodologici al tema dell’integrazione del fattore “energia” nella pianificazione territoriale ed urbana: - gli approcci che considerano l’impatto energetico, in termini di consumi e di effetti ambientali indiretti, come fattore prioritario nella scelta di alternative allocative di beni e risorse; - gli approcci rivolti al controllo della forma urbana e dei costi da questa indotti, tra cui quello energetico; - gli approcci tesi alla integrazione tra urbanistica ed ecologia introducendo la

85 R. Koolhaas, Junkspace. Per un ripensamento radicale dello spazio urbano, a cura di Gabriele Mastrigli, Quodlibet, Macerata 2006

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variabile ecologica nel piano (standard urbanistici ecologici, progettazione del sistema del verde e controllo del microclima) sino agli approcci, poco sviluppati in Italia, del rapporto fra scelte insediative e microclima urbano e comfort al suolo.

02_Parco delle Cave, Moodboard di flora e fauna dei parchi milanesi

Il progetto “Nove Parchi per Milano” La proposta dei Nove parchi per Milano è nata con l’obiettivo di coordinare l’Amministrazione nell’avvio di un processo di riqualificazione della città attraverso progetti che interessavano le zone periferiche collocate nella corona urbana e “organizzando la sostanza edilizia attorno a nuovi parchi”. All’interno di un programma complessivo di riorganizzazione urbana, il progetto ha proposto la riqualificazione economica e ambientale di alcune aree caratterizzate da fenomeni di dismissione industriale. La scelta di riqualificazione di alcune aree appartenenti a una strategia complessiva mirava a proporre da un lato una visione del futuro della città mediante simulazioni progettuali, dall’altro, una scelta metodologica diversa dagli strumenti dell’urbanistica tradizionale ricorrendo a una “urbanistica delle responsabilità”, che privilegia i principi rispetto alle normative, i progetti rispetto ai piani e ricerca la più alta qualità possibile a partire da una serie di ambiti strategici scelti all’interno della città e nella convinzione che da essi potesse prendere concretamente l’avvio un vero e proprio programma complessivo di riorganizzazione urbana. A partire dalle nove aree prescelte, il progetto ha disegnato un’armatura complessa di tracciati, spazi aperti e tessuti edilizi come nuovo criterio d’ordine all’interno della città. Il tema del parco è stato proposto come spazio aperto pubblico avente caratteri di centralità e capacità attrattiva, che si costruisce non per sottrazione, ma con la creazione del tessuto urbano attorno ad esso. Le proposte sono state elaborate assumendo due principi essenziali: il parco urbano come elemento fondativo del nuovo insediamento, come motore delle operazioni successive e delle diverse fasi di realizzazione; l’implementazione progettuale affidata non a una normativa urbanistica attuativa, ma alla gestione di un responsabile d’area, in grado di gestire la compatibilità tra le proposte progettuali presentate e il quadro complessivo. I nove ambiti territoriali di intervento individuati sono: l’area Marelli-Naviglio della Martesana; l’area Macerati-Parco Lambro; l’area Porta Vittoria-largo Marinai d’Italia; l’area Porta Romana-Om; l’area Porta Genova-Naviglio Grande; l’area Baggio-piazza d’Armi; l’area San Siro-Ippodromo; l’area BovisaQuarto Oggiaro. La nona area, assunta a matrice dell’intero progetto è quella del Parco Sempione-Ferrovie Nord e le tre promenades (tracciati di riqualificazione e collegamento a scala urbana) quelle di Garibaldi-Bovisa, Marelli-Certosa, Romana-Naviglio grande.

FOTO PARCO o MILANO

Il progetto Nove parchi, se si esclude l’esposizione organizzata al Palazzo della Triennale, non ha poi avuto alcun esito effettivo di approvazione istituzionale, scomparendo dall’agenda pubblica nell’anno successivo alla sua pubblicazione.

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progetto

parte 3 //////////////////////////////////////////////////////////////////////

progetto

introduzione

Quando si parla di sostenibilità si pensa alla vita dell’uomo in relazione con altri uomini in agglomerati e villaggi. Il villaggio di oggi è la città. Milano è una città complessa, mutevole e dalle caratteristiche uniche. Nonostante non sia grande come le super metropoli europee e modiali (New York, Londra, Parigi, Tokyio, ecc), Milano non detiene un’identità. Sembrerebbe una città senz’anima! In realtà di anime ne ha più di una, ne ha molteplici e sfaccettate, a volte contrastanti a volte complementari. I cittadini di Milano non sono i milanesi. Quelli ci sono ma corrispondono, in percentuale, ad una piccola parte. Sono comunque milanesi di importazione da una o più generazioni. Le anime di Milano sono parecchie, forse troppe. Ogni abitante ne possiede più di una e non necessariamente queste maschere, che vivono all’interno di una stessa persona, sono compatibili tra loro. Questo produce contraddizioni, ma soprattutto “confusione”. Quando bisogna realizzare un progetto molto spesso ci è stato detto e puntualizzato che perché il progetto risulti forte deve essere coerente e “univoco”: deve avere un elemento forte e caratterizzante. Non può averne di più perché altrimenti uno prevarrebbe sull’altro e il messaggio sarebbe inefficace e sbagliato. Milano è così: multiculturale, colorata e grigia, tradizionale e trasgressiva, gotica e contemporanea. Per renderla anche sostenibile è necessaria un’operazione di scrematura ma, attenzione, non semplificazione. O anche un operazione di scelta e individuazione della caratteristica comune a più abitanti possibili. Una sorta di minimo comune multiplo. Molto importante è la scelta di come comunicare questa nuova identità nella quale gli abitanti devono sentirsi parte e dalla quale devono essere “esportati” agli altri (italiani, europei). Quindi, nel processo di “riqualifica” dell’identità serve che si comunichi qualcosa. Ora, spesso si sente parlare di città sostenibile, ma questo è associato all’architettura, ai prodotti, all’arredamento, alle industrie e solo alla fine allo stile di vita. Nessuna menzione per la comunicazione. Non si capisce se è il mondo della comunicazione a snobbare il concetto di città sostenibile o viceversa. Probabilmente è una questione di convenienza: è facile sponsorizzare un nuovo servizio “sostenibile” o un nuovo prodotto amico dell’ambiente ma comunicare, inculcare e promuovere nuovi modi per vivere, questo senz’altro è un compito ben più complesso. Questa tesi si pone come obiettivo iniziare a parlare, a far discutere della cosa. È solo l’inizio, si spera, di una serie di iniziative per migliorare la vita di tutti.

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parte 3

studio preliminare

è il buon senso, l’altruismo e l’amore per gli altri (neanche per i propri cari). Ma l’anima del commercio è il profitto, il tornaconto personale. Questo fa sì che tutto il sistema sia marcio. Ma non per questo bisogna rassegnarsi e lasciare agli altri il compito di risolvere la questione, perché questo atteggiamento, chi più, chi meno, lo hanno tutti gli uomini.

3.1

studio preliminare

parte 1 La pubblicità I reparti e le figure pag.45

Brief Il comune di Milano, in vista del’EXPO 2015 si sta impegnando nella riqualificazione di molte aree della città e nel miglioramento di tutti i servizi offerti ai cittadini. Ma l’impegno va oltre, il Sindaco Letizia Moratti e gli assessori voglio anche promuovere nuovi stili di vita. Milano è una città difficile da comprendere per chi non la vive appieno. E anche i milanesi stessi non riescono a stare dietro tutti i velocissimi cambiamenti che trasformano continuamente il volto della città. Per questo motivo, risulta un luogo con un’identità debole, che mal si vende come città attraente, in particolar modo all’estero. Inoltre, proprio in vista della Fiera Universale, che nelle ultime edizioni mette al centro del dibattito l’inquinamento della Terra e auspica al miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti di tutto il pianeta, con particolare riguardo a quelli del terzo mondo, si vuole rendere Milano una città più “sostenibile”. Essere sostenibile per il capoluogo lombardo vuol dire ridurre le emissioni di CO2, dovute all’intenso traffico automobilistico - Milano è infatti “rinomata” per lo smog - aumentare le superfici verdi fruibili da tutti, e promuovere la solidarietà verso le persone più povere o in difficoltà. Milano, ad oggi, non è affatto sostenibile. Prendiamo il significato letterale del termine: vivere in città è sempre più spesso faticoso. Si può dire che non sono sostenibili: - la quantità di lavoro (di una parte della cittadinanza); - i ritmi (troppo stressanti) - i costi di affitti e altro - il traffico - ... La lista potrebbe continuare per molto ancora, ma quello che preme sottolineare è che probabilmente è la struttura della società che compone la città che rende la vita un inferno. D’altra parte ormai si dev’essere capito che ciò che muove il mondo non

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L’amministrazione comunale vuole integrare i progetti già avviati, con una comunicazione integrata che comunichi proprio questo: un altra Milano è possibile ma tutti devono collaborare. 1. Il primo punto è proprio questo: non il verde, non l’ecologia, ma la “pertecipazione”. Uno degli obiettivi è quello di creare una comunità più attiva, di rendere i cittadini interessati alla vita della città. Esiste lo Urban Center, un luogo pubblico accessibile, dove tutti possono dire la loro ma ha molti limiti, primo fra tutti: in quanti sanno dell’esistenza di un posto del genere? 2. La seconda richiesta è quella di modificare alcune abitudini sbagliate dello stile di vita di molte persone. Di informare i cittadini, di istruirli, renderli consapevoli e di modificare atteggiamenti insostenibili. Si suggerisce, per ottenere questi risultati, di evitare la comunicazione diretta per la quale molti hanno, di norma, un senso di rifiuto. 3. Promuovere le attività che il comune si sta già impegnando di portare avanti (nuovi parchi, bikeMi, car sharing, PINC) e realizzare una campagna che non entri in conflitto con la comunicazione comunale già esistente. Come dichiarato sul Piano Gestione del Territorio, l’amministrazione sta muovendosi per far diventare Milano: a. La città attrattiva. b. La città vivibile. c. La città efficiente. 4. Realizzare un Piano di azione! Più che una strategia di marketing o una campagna pubblicitaria qui si tratta di un piano per cambiare qualcosa. Per modificare la cosa più difficile: la mentalità delle persone. Abitudini più che radicate nella loro vita. 5. Realizzare un modello che possa essere replicato anche in altre città o paesi, con le giuste modifiche. Fare del Piano di azione (e di Milano) degli esempi da ammirare ed esportare in Italia e in Europa.

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Le diverse Milano Uno degli obiettivi del progetto è, come detto, evidenziare una identità ben precisa della città meneghina. Questo compito così complesso non può essere svolto senza prima affrontare un viaggio di ispezione nelle mille anime della città. Bisogna fare un viaggio tra gli abitanti, nei luoghi più conosciuti e di periferia. Analizzeremo più avanti il target del progetto e i personas sui quali si organizza il piano marketing, ma adesso proviamo a indagare i volti della città per definire delle categorie e sfatare, o confermare, i luoghi comuni che popolano l’aurea intorno a Milano.

03. Moodboard delle anime di Milano. Ognuna di esse è riconosciuta e apprezzata e fa di Milano una città dalle mille sfumature

Possiamo individuare tre gruppi per classificare Milano: 1. i mondi di Milano (a fianco) a. moda b. design c. lavoro d. arte/mostre e. sport f. by night (Milano da bere) g. happy hours h. concerti/teatro/cinema 2. gli aggettivi di Milano a. grigia b. nebbiosa c. fredda (clima e abitanti) d. inquinata e. individualista f. lavoratrice (stakanovista) 3. abitanti e di passaggio a. milanesi b. studenti fuori sede c. immigrati irregolari d. stranieri regolari e. italiani provenienti da altre regioni (per lavoro) f. turisti.

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Progetti realizzati a Milano Milano in questi anni sta cercando di riqualificarsi a livello ambientale. Da un po’ di tempo l’amministrazione comunale e provinciale si sta impegnando per rendere Milano una città più sostenibile. In realtà questo impegno sembra avere una doppia faccia. Da una parte si comunica, si promuovono stili di vita più sostenibili, dall’altra invece si continuano le vecchie, solite politiche che fanno dell’interesse economico l’unico scopo. Questa ambivalenza è ben visibile se si tiene conto dell’impegno perpetuato, di costruire nuovi edifici a scopo abitativo per ovviare all’emergenza case che, sostiene il comune, c’è in città. In realtà questa emergenza non esiste. Come dimostrano i dati, ad un incremento di costruzioni non corrisponde affatto ad un aumento della popolazione. I cittadini rimangono gli stessi mentre le case sono di più: è un po’ come dire che siamo circondati da cemento. A questo scopo si ritiene opportuno, far presente l’esperienza di un giovane sindaco e del suo paese della provincia. Qui si applica la politica denominata “crescita 0” per sottolineare il fatto che la crescita delle costruzioni è nulla. Sono andata a intervistare il sindaco Domenico Finiguerra nel suo comune, Cassinetta di Lugagnano e mi ha raccontato un po’ la sua storia. Inizialmente non è stato facile far capire a tutti l’importanza di applicare questa strategia ma, soprattutto, non è stato facile far quadrare i conti comunali: il comune ha a disposizione il terreno che vende o affitta per ricavare del denaro da destinare alla spesa pubblica. Se un comune non trae profitto dalle vendite/affitti del terreno perde una cospicua parte del guadagno. I cittadini di Cassinetta però, non si sono fatti intimidire dalle difficoltà e hanno appoggiato in pieno le scelte del loro sindaco. Di seguito si propone il testo dell’intervista realizzata con il sindaco, a proposito della sua scelta di “crescita 0”.

L’illogica allegria per i beni comuni Cassinetta di Lugagnano è un piccolo comune del parco del Ticino dove una particolarità rende la bellezza di questo borgo ancora più esatta e limpida. Che poi la politica, che spesso umilia il nostro paese, qui ha deciso di fare un passo indietro, di tornare tra la gente e di pensare al bene comune. L’amministrazione comunale e i suoi cittadini hanno deciso di dire basta alla cementificazione del territorio, bravi! Il primo comune d’Italia dove l’urbanizzazione è a crescita zero. La gente ha parlato, si è confrontata, ha valutato tutti gli aspetti di una decisione così complessa e poi ha sentenziato: a Cassinetta di Lugagnano non si costruisce più! Abbiamo deciso di fermare il consumo di territorio perché abbiamo

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ritenuto doveroso nel confronto delle prossime generazioni porre un freno. Sarà anche una scelta obbligatoria fra cinquant’anni perchè in provincia di Milano, almeno, se si va avanti così, nel volgere di quaranta/ cinquant’anni appunto, il territorio sarà esaurito quindi la crescita 0 sarà dettata dal fatto reale di non avere più terreno da consumare. Abbiamo deciso di fare questa scelta proprio per questo motivo: lasciar respirare la terra. Abbiamo davvero capito che questa scelta progressivamente con il passare del tempo ha avuto ricadute su tutta l’azione dell’amministrazione comunale, perché non avere gli oneri di urbanizzazione ha obbligato tutti (sindaco, assessori, uffici tecnici) a ricercare fonti in giro per l’Italia, la Lombardia e la provincia. E quindi ha ingegnato gli amministratori e ha anche ispirato nuovi modelli di amministrazione in senso stretto: sobrietà, risparmio energetico. Davvero a partire dal territorio ne sono discese tutta una serie di azioni positive che spesso, appunto, un amministratore avendo terreno da lottizzare e da monetizzare non vede. E quindi si siede, fa affidamento sugli oneri di urbanizzazione, costruisce per pareggiare il bilancio. Noi abbiamo deciso di dire stop a questo circolo vizioso e abbiamo, anche quest’anno per la seconda volta consecutiva, pareggiato il bilancio senza applicazioni di oneri di urbanizzazione. È un percorso lungo che però avrà i suoi frutti nei prossimi anni, ma già oggi sono sotto gli occhi di tutti: il fatto di poter godere ancora della terra è già un fatto positivo. Domenico Finiguerra (sindaco di Cassinetta di Lugagnano)

“Benchè i piedi dell’uomo non occupino che un piccolo spazio sulla terra, è grazie a tutto lo spazio che non occupano che l’uomo può camminare sulla terra immensa” Zhuang-Zi

Il turismo qui a Cassinetta di Lugagnano è cresciuto ancora di più. La maggior parte della gente, non ne sa nulla della grande svolta, ma la domenica a Cassinetta di Lugagnano ci si va perché è un posto sereno, dove la vita sembra a misura d’uomo e poi la gente e i turisti si dicono tra di loro: Hai visto, non costruiscono mai una casa nuova, forse non si rendono conto di quanti soldi farebbero. E invece a Cassinetta di Lugagnano è bello passeggiare nel parco del Ticino e sentirsi fuori dal tempo, fa venire voglia di sdraiarsi sulla riva del suo fiume e di aspettare la sera con il cuore calmo. Che poi, a pensarci bene, il fatto di continuare a costruire, viene sempre motivato da buone intenzioni: facciamo il centro commerciale per i posti di lavoro, il polo logistico creerà sviluppo e occupazione non si può stare fermi, bisogna crescere, crescere, crescere, bisogna essere competitivi, l’economia non può rallentare, costi quel che costi. Che poi però, non è raro, che il consumo del suolo diventi addirittura spreco. E alla fine si hanno centinaia di capannoni vuoti, decine di migliaia di casa sfitte, sprechi in ogni luogo, sprechi che non hanno nessun beneficio:

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né sull’occupazione, né sulla qualità della vita dei cittadini, ma che al contrario (e paradossalmente) produce brillanti effetti sul PIL. Benessere che ufficialmente ci si ostina a misurare solo con un vecchio indicatore: prodotto interno lordo. Che poi, è un concetto completamente superato e inadatto ai nostri tempi. Addirittura questo, già lo diceva, nel 1968 Bob Kennedy:

04. Alcuni scorci di Cassinetta di Lugagnano (MI)

“Non troveremo mai un fine per la nazione, né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Down Jones, né i successi del paese sulla base del prodotto interno lordo: il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine settimana. Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa e le prigioni per coloro che cercano di forzarle, comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di Napan, missili e testate nucleari, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari. Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia, la solidità dei valori familiari o l’intelligenza del nostro dibattere. Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani.”

Sono passati più di quarant’anni e ancora abbiamo il PIL e sembra che ancora non stia cambiando nulla, ma siccome oggi per me, è una buona giornata, iniziata bene, voglio pensare al sindaco di Cassinetta di Lugagnano che appartiene a quella moltitudine di persone responsabili e civili, che si danno da fare ogni giorno per cambiare il mondo e renderlo più sostenibile. E questa moltitudine di persone è davvero inarrestabile. Paul Hawken ci ha fatto pure un libro: “Nella mia visione, noi siamo parte di un movimento, che è più grande, più profondo e più esteso di quanto noi stessi sappiamo o siamo in grado di sapere. Una conoscenza condivisa sta sorgendo spontaneamente da diversi settori economici: culture regioni e comunità. Sta crescendo e si sta diffondendo in tutto il mondo senza eccezioni. Ha molte radici ma quelle iniziali provengono dalle culture indigene, dai movimenti ambientalisti e per la giustizia sociale. Questo è fondamentalmente un movimento per i diritti civili ed umani: è un movimento democratico. Questo è il mondo che verrà. Sono le ideologie che hanno governato: il capitalismo, il socialismo, il comunismo. Le ideologie vi hanno raccontato che la salvezza si trovava nell’affermazione di un solo modello. Ma noi sappiamo dove si trova la salvezza. Lo sappiamo in quanto biologi e come organizzatori delle comunità lo sappiamo dall’ecologia: la salvezza si trova nella diversità. Tocca a noi decidere come saremo, chi saremo. Questo è ciò che vuol dire ricostruire, questa è la capacità di risposta che ha a che fare con la possibiltà e le soluzioni: l’umanità sa cosa deve fare.” 86

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Paul Hawken, Blessed Unrest libro di Paul

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BikeMI

07. Manifesti della campagna promozionale del servizio BikeMI

BikeMi è il nuovo servizio di Bike Sharing della città di Milano, facile, pratico ed ecologico. Nato per favorire la mobilità dei cittadini, BikeMi non è un semplice servizio di noleggio bici, ma un vero e proprio sistema di trasporto pubblico da utilizzare per i brevi spostamenti (al massimo 2 ore) insieme ai tradizionali mezzi di trasporto ATM. Questo è solo l’inizio di un grande progetto, che vedrà il progressivo aumento delle postazioni BikeMi, posizionate in prossimità dei principali punti strategici di Milano: dalle stazioni ferroviarie alle università, dagli ospedali ai luoghi di interesse turistico, dalle fermate della metropolitana ai centri amministrativi, commerciali e ai parcheggi. Chi si abbona deve solo pensare a prendere la bici, arrivare a destinazione e restituirla nella stazione più vicina. BikeMi è la risposta più adeguata ad una città che chiede meno traffico, meno code, meno inquinamento. Ma non è tutto, con il Bike Sharing puoi unire l’utile al dilettevole: BikeMi ti permette infatti di fare movimento sfruttando i brevi spostamenti e ti aiuta a mantenerti in forma e a combattere lo stress.

05. Immagine della campagna di promozione del servizio “BikeMI”

06. Le bandierine rosse indicano i punti in cui è disponibile il servizio di BikeMI

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Car Sharing Il servizio di Car sharing si può definire come un autonoleggio self service sotto casa. Si può usufruire delle auto del parco macchine, prenoti via internet o telefono e si paga solo per il tempo e la distanza che si percorre. In Europa, attualmente, le persone associate ad un servizio di Car Sharing sono 100.000 e 4.000 i veicoli disponibili in oltre 600 città di Austria, Francia, Germania, Olanda, Svizzera e Scandinavia. Il trend annuo di crescita degli associati è del 50% all’anno. In Italia la rete nazionale ICS (Iniziativa Car Sharing) è la struttura di coordinamento delle realtà locali del Car Sharing, promossa e sostenuta dal Ministero dell’Ambiente e del Territorio. L’utilizzo del servizio car sharing non è solo un vantaggio per l’utente, è un grande vantaggio per l’ambiente. Ogni auto in cs sostituisce 5 auto private Car Sharing vuol dire meno auto(im)mobili in sosta sulla strada, liberando spazio prezioso nelle nostre città. In città l’utente del Car Sharing usa l’auto solo quando conviene, aumentando l’utilizzo di trasporto pubblico, bici, piedi. Car Sharing vuol dire meno auto, meno emissioni, più qualità della vita. 87

08. Manifesti della campagna per promuovere il servizio Car Sharing a Milano

EXPO Milano 2015 L’Expo dedicata alla Sicurezza e qualità alimentare intende essere un volano per l’economia del territorio e rappresentare al meglio le eccellenze nel settore dell’alimentazione del’Italia e di Milano. L’alta qualità della tradizione alimentare italiana è nota e apprezzata in tutto il mondo. Il cibo italiano è amato perchè è sano e genuino, in quanto il piacere, la qualità, il gusto alimentare, le cucine ed i prodotti regionali, la biodiversità e la salute di uomini e animali fanno parte della cultura italiana del saper vivere. Il comparto italiano del cibo, secondo nel Paese per dimensione, conta 36mila aziende artigianali e medie, mezzo milione di addetti, 100miliardi di euro di fatturato annuo. Questo fattore di eccellenza dell’Italia è frutto di secoli di affinamento delle competenze degli agricoltori, dei metodi produttivi, delle pratiche agricole e zootecniche, oltre che delle scelte dellíindustria alimentare e del sistema commerciale di distribuzione.

Perchè Milano Il 31 marzo 2008 il BIE - Bureau International des Exposition (attualmente vi aderiscono 98 Stati) - ha designato Milano quale sede per l’Esposizione Universale del 2015. Già sede dell’Esposizione Internazionale nel 1906 con il tema dei Trasporti, Milano sarà dunque l’organizzatrice dell’evento. Milano con l’Expo del 2015 vuole mettersi al servizio della crescita del Paese, vuole essere la prima ambasciatrice dell’Italia nel mondo. Milano e il suo territorio sono il candidato ideale, in Italia e nel mondo, per l’Expo 2015 perchè: - sono al centro di un’area con quasi 10 milioni di abitanti, come Londra o Parigi; - producono il 10% del PIL nazionale, un livello pari a Bruxelles o Madrid; - hanno un reddito pro-capite che è quasi il doppio di quello nazionale e un tasso di disoccupazione che è la metà di quello italiano; - registrano il 40% dei nuovi brevetti d’innovazione, la produzione annuale di Boston; - vendono annualmente 10milioni di biglietti per spettacoli di arte, musica, cinema, in linea, a pari abitanti, con Berlino, Amsterdam, Barcellona; - sono la sede di 650 show-room di moda, in competizione con Parigi e New York; - sono la capitale italiana del volontariato e del terzo settore.

Milano, metropoli-nodo mondiale Vista in termini Europei, l’intera area metropolitana milanese è paragonabile a quella di Londra o di Parigi. La cosiddetta Città Regione di Milano conta infatti circa 9.3 milioni di abitanti. Situata nel cuore della pianura della Lombardia, regione più abitata e sviluppata, Milano è la principale città del nord Italia. Milano e la Lombardia possono quindi contare su un bacino demografico e su un posizionamento assolutamente centrale, elementi preferenziali per l’assegnazione

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www.carsharing.net

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parte 3

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dell’Expo, vista la tradizionale importanza del flusso di visitatori locali nell’assicurare il successo dell’Esposizione.

Il tema dell’Expo: Feeding the Planet, Energy for Life

parte 2 Lo sviluppo sostenibile Lo sviluppo sostenibile pag.176

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Il tema proposto per l’Expo è Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita, e vuole includere tutto ciò che riguarda l’alimentazione, dal problema della mancanza di cibo per alcune zone del mondo, a quello dell’educazione alimentare, fino alle tematiche legate agli OGM. All’Expo del 2015 saranno dunque di scena i grandi problemi dello sviluppo sostenibile: l’Esposizione sarà uno straordinario evento universale che darà visibilità alla tradizione, alla creatività e all’innovazione nel settore dell’alimentazione, raccogliendo tematiche già sviluppate dalle precedenti edizioni di questa manifestazione e riproponendole alla luce dei nuovi scenari globali al centro dei quali c’è il tema del diritto ad una alimentazione sana, sicura e sufficiente per tutto il pianeta. Grande importanza verrà data anche al valore del cibo come espressione di una cultura e veicolo di socializzazione, oltre che ai temi legati alle attività produttive agricole, alla ristorazione e ai centri di ricerca. Ecco alcuni dei temi di lavoro e di dibattito: 1. Rafforzare la qualità e la sicurezza dell’alimentazione, vale a dire la sicurezza di avere cibo a sufficienza per vivere e la certezza di consumare cibo sano e acqua potabile; 2. Assicurare un’alimentazione sana e di qualità a tutti gli esseri umani per eliminare la fame, la sete, la mortalità infantile e la malnutrizione che colpiscono oggi 850 milioni di persone sul Pianeta, debellando carestie e pandemie; 3. Prevenire le nuovi grandi malattie sociali della nostra epoca, dall’obesità alle patologie cardiovascolari, dai tumori alle epidemie più diffuse, valorizzando le pratiche che permet¬tono la soluzione di queste malattie; 4. Innovare con la ricerca, la tecnologia e l’impresa l’intera filiera alimentare, per migliora¬re le caratteristiche nutritive dei prodotti, la loro conservazione e distribuzione; 5. Educare ad una corretta alimentazione per favorire nuovi stili di vita in particolare per i bambini, gli adolescenti, i diversamente abili e gli anziani; 6. Valorizzare la conoscenza delle tradizioni alimentari come elementi culturali e etnici. L’alimentazione è l’energia vitale del Pianeta necessaria per uno sviluppo sostenibile basato su un corretto e costante nutrimento del corpo, sul rispetto delle pratiche fondamentali di vita di ogni essere umano, sulla salute. La genuinità e la diffusione di prodotti agro-alimentari è innanzi tutto una necessità sociale, oltre a rappresentare un importante valore economico.

Centrale è il ruolo del territorio, in quanto la qualità e la genuinità del cibo vanno di pari passo con la tradizione consolidata nelle attività di coltivazione e di allevamento dei popoli e delle comunità locali, frutto d’esperienze millenarie sulle quali oggi si innestano forti innovazioni scientifiche e tecnologiche. All’Expo in mostra la frontiera della scienza e della tecnologia: - preservare la bio-diversità, rispettare l’ambiente in quanto eco-sistema dell’agricoltura, tutelare la qualità e la sicurezza del cibo, educare alla nutrizione per la salute e il benessere della Persona; - individuare strumenti migliori di controllo e di innovazione, a partire dalle biotecnologie che non rappresentano una minaccia per l’ambiente e la salute, per garantire la disponibilità di cibo nutriente e sano e di acqua potabile e per l’irrigazione; - assicurare nuove fonti alimentari nelle aree del mondo dove l’agricoltura non è sviluppata o è minacciata dalla desertificazione dei terreni e delle foreste, delle siccità e dalle carestie, dall’impoverimento ittico dei fiumi e dei mari.

Milano, ambasciatrice dell’Italia nel mondo Data inizio progetto: 1 aprile 2008. Data prevista fine lavori: 31 dicembre 2014. Nella location scelta per ospitare l’Expo, 1,7 milioni di metri quadri adiacenti alla nuova Fiera di Rho-Pero, oltre a nuovi padiglioni, sorgeranno una torre di 200 metri (simbolo dell’Esposizione) e una nuova fermata della TAV, per un investimento di 1,4 miliardi di euro. Durante i sei mesi di Esposizione (1 maggio - 31 ottobre 2015) sono previsti 160.000 visitatori al giorno, per un totale di 29 milioni di presenze provenienti da tutti i Paesi del mondo. La gestione dell’evento è stata affidata alla So.Ge, società di gestione partecipata da Comune di Milano, Provincia di Milano, Regione Lombardia e Ministero dell’Economia. Affianca la So.Ge il Coem, un comitato di indirizzo presieduto dal commissario straordinario per l’Expo 2015, nonchè sindaco della città di Milano, Letizia Moratti. La tutela del territorio agricolo e il recupero del patrimonio storico e artistico devono essere le priorità per i prossimi sette anni. Il Comune di Milano ha l’occasione di trasformare l’Expo in una grandissima opportunità di rilancio in chiave sostenibile di tutto il territorio regionale. FAI, Italia Nostra e WWF Italia, riunite nell’Osservatorio Expo in occasione dell’assegnazione a Milano dell’Expo 2015 il 31 marzo 2008, ricordano agli organizzatori i temi cruciali che andranno affrontati in campo ambientale: il freno al consumo dei suoli, la valorizzazione dell’agricoltura e della rete idrica esistente, il recupero e riqualificazione del patrimonio artistico e architettonico presente nel nord Milano.

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Come cambierà Milano in vista dell’Expo Il Sito sarebbe collegato alla città da due ideali percorsi di 20 km, uno d’acqua e uno di terra: La via d’acqua e La via di terra. Il primo prevede la riqualificazione di tratti di naviglio per poter collegare attraverso canali il centro città alla Expo, partendo dalla darsena cittadina e passando per il Parco delle Cave. Il percorso di terra invece collegherà tutti i luoghi d’interesse di Milano, partendo dalla darsena e attraversando il Parco delle Basiliche, la zona Garibaldi-Repubblica (con il progetto di Milano Porta Nuova della Città della Moda e il parco Biblioteca degli Alberi), il Cimitero Monumentale di Milano, il Castello Sforzesco e il Parco Sempione, l’area della vecchia fiera col progetto CityLife e la zona di San Siro fino ad arrivare al sito della Expo. Sul polo di Fieramilanocity, ceduto dalla Fiera di Milano sorgerà il progetto CityLife. In zona Garibaldi-Repubblica sorgerà un nuovo quartiere: “La città della moda”. Nell’area dismessa dell’Alfa Romeo ci saranno: negozi, servizi, case ed un parco. L’area sarà connessa alle Ferrovie Nord. Inoltre, al Portello sorgerà il “Jewellery Center”, il centro dei gioielli. A Porta Vittoria, nell’area dismessa delle Ferrovie dello Stato, sorgerà la “Biblioteca Europea di informazione e Cultura”. A Rogoredo-Santa Giulia verrà costruita una nuova area residenziale di 1,2 kmq, di cui 34 ettari adibiti a parco. Verrà chiamata “Cittadella della giustizia”. In Bicocca nascerà, sui luoghi dell’ex Manifattura Tabacchi, la “Città del cinema” legata all’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Sarà la Cinecittà milanese. In Bovisa nascerà un nuovo polo tecnologico legato al Politecnico di Milano. In zona Porta Romana sorgeranno un grande complesso alberghiero e un nuovo centro direzionale, confinanti con il Museo di Arte Moderna promosso dalla Fondazione Prada. Nella zona di Rho-Pero potrebbe essere costruito uno stadio da 60.000 posti all’inglese per il Calcio, di proprietà dell’Inter.

Le infrastrutture Per quanto riguarda la viabilità e i trasporti, l’area che sarebbe dedicata ai padiglioni è attualmente collegata dalla linea 1 (rossa) della metropolitana milanese al centro cittadino, dalla rete autostradale tramite la A4 TorinoTrieste e dalla A8/A9 Milano-Como-Laghi. Per quanto riguarda i collegamenti aeroportuali, il sito si trova approssimativamente a 30 km dall’aeroporto di Malpensa, ad altrettanti dall’aeroporto di Linate e a circa 60 km dall’aeroporto Orio al Serio di Bergamo. Per la data della Expo saranno pronti i collegamenti tramite alta velocità ferroviaria presso l’ingresso est della fiera. I miglioramenti dei trasporti locali saranno: Linea 1 fino a Monza Bettola, Linea 2 ad Assago e Vimercate,

Linea 3 della Metropolitana di Milano fino a Paullo (o Peschiera) e Comasina, Nuova Linea 4 da Lorenteggio a Linate Aeroporto Linea 5 Monza-Axum (tratta Garibaldi-Bignami già in costruzione). Costruzione di sei nuovi scali ferroviari (Rho Fiera, Canottieri, Tibaldi, Zama, Forlanini, Dergano) e completo restauro dello scalo di Porta Romana. Connessione delle linee FerrovieNord con la nuova area espositiva. Riqualificazione tranvia Milano-Desio con potenziamento per Paderno Dugnano e prolungamento a Seregno. Saranno costruite la Tangenziale Est Esterna e la Pedemontana. Verranno costruiti 8 percorsi ciclabili che dal centro andranno verso la periferia per un totale di 120 km.

L’immagine della Expo La presentazione di logo, mascotte e inno della Expo 2015 è stata pianificata per il 2010. Questi elementi distintivi verranno scelti grazie a un concorso nazionale e saranno svelati durante uno show da svolgersi in Italia in contemporanea con la chiusura della Expo 2010 di Shanghai. La campagna pubblicitaria per la candidatura milanese si è fondata sul motto Io Expo, e Tu?, motto che ha avuto l’intento di sottolineare il coinvolgimento di tutti i cittadini sia nella partecipazione alla manifestazione, che nell’attuazione delle finalità della Expo stessa riguardanti il cibo e l’alimentazione.

I numeri dell’Expo Secondo le previsioni, ci saranno oltre 20 miliardi di euro d’investimento in infrastrutture. Di questi 4,2 miliardi di euro saranno diretti, i rimanenti 14 indiretti. Nel periodo 2010-2015 verranno creati 70.000 posti di lavoro. Nei 6 mesi dell’Expo arriveranno 29 milioni di turisti, per una media giornaliera di 160.000 visitatori al giorno. Ci saranno 120 paesi espositori. Nell’arco dei 6 mesi dell’Expo ci saranno 7.000 eventi. Per la loro realizzazione saranno richiesti 892 milioni di euro. E’ previsto un aumento del fatturato del mondo imprenditoriale milanese di 44 miliardi di euro, pari ad un incremento del 10%. Verranno creati 11 kmq di spazio verde. 88

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WCM_ GLOBAL_ CONTEXT= /wps /wcm /connect /contentlibrary /In+Comune/ In+Comune/ Strategia+di+Sviluppo/ Grandi+Progetti/ Expo+2015_ Strategie+di+sviluppo_ Grandi+Progetti

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Milano citta’ verde (?) Con più di 19 milioni di mq di spazi verdi, che corrisponde a quasi 16 mq per ogni cittadino, nel quadro europeo Milano si inserisce in una buona media. In particolare sono 2.531.824 i mq riservati ai parchi e ai giardini. Ciò nonostante nell’immaginario collettivo non risulta proprio una città verde. Se ne ha avuta prova anche durante le indagini sul territorio svolte durante la preparazione del progetto di tesi: la maggior parte degli intervistati, milanesi e non, hanno espresso giudizi negativi rispetto al verde della città ed alla sua ecosostenibilità. Questa sensazione collettiva ha una precisa causa; oggi, infatti, il verde della città è formato da aree discontinue, non connesse tra loro e spesso non di facile accessibilità: l’immagine complessiva è quella di una assenza di tessuto verde disegnato, conseguenza di una mancata pianificazione strategica. In vista dell’Expo del 2015, il cui tema è esplicitato dallo slogan “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”, il Comune di Milano sta adottando provvedimenti per cambiare il volto della città e renderla così agli occhi del mondo esemplare rispetto agli obiettivi da lei stessa proposti per l’Esposizione Universale. L’obiettivo del Comune di Milano è ambizioso: progettare il territorio milanese in modo da migliorare la qualità degli spazi pubblici. Palazzo Marino intende trasformare Milano in una metropoli più vivibile. Il nuovo Piano del Verde sarà in grado di fornire le condizioni per una rinascita delle aree urbane in grado da fungere da polmone verde e per una nuova immagine della città: entro il 2015 una Milano più sana e vitale. Per fare ciò, il progetto prevede di ricreare condizioni diffuse di naturalità, connettendo gli spazi aperti urbani con i grandi parchi dell’area metropolitana e salvaguardando e riqualificando le residue aree agricole. In questo modo il verde avrà un’importanza prioritaria per trattenere le polveri sottili, assorbire il CO2, produrre ossigeno e rinfrescare l’ambiente. I modelli da seguire sono New York e Francoforte. Lo sviluppo urbano e gli spazi verdi da destinare alla città sono stati i temi discussi, nel 2008 all’Ottagono della Galleria Vittorio Emanuele; “Con il nuovo Piano ci sarà un’invasione di verde” ha detto l’assessore Maurizio Cadeo in quell’occasione. Le premesse sono buone visto che Milano è al centro di un territorio che possiede uno straordinario potenziale ambientale. Il Piano - ha spiegato l’assessore Cadeo - ha lo scopo di mettere a sistema il verde di Milano ed è uno strumento che cresce insieme all’organizzazione e all’evoluzione della città, concepito per indicare la strada al più vasto Piano del Governo del Territorio. La strategia per il nuovo sistema verde a Milano prevede in tutto otto obiettivi. I principali interventi sono la realizzazione di una cintura verde intorno alla città e di otto raggi verdi che collegano la periferia al centro, oltre a incrementare la biodiversità in città, avvicinare il verde ai cittadini, raddoppiare le aree gioco per i bambini, garantire la sicurezza nei parchi e nei giardini, ristabilire un rapporto armonico tra il verde e il blu per una “Milano città d’acque”. Tutto questo sarà un sistema capace di connettere tra loro, in un “unicum” aree verdi, esistenti e di progetto, naturalistiche esterne, viali alberati, percorsi pedonali e ciclabili, sponde di canali e parterre verdi. Attraverso le sue funzioni ecologiche,

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paesaggistico - architettoniche e psicologiche, quindi, sarà in grado di fornire le condizioni per una rinascita dello spazio pubblico, fondamento essenziale per una nuova immagine della città. In questo piano rientra la sfida ambiziosa dei ‘500.000 alberi’ che aiuteranno a rendere fruibili tante aree verdi ora inutilizzate. Perché, come ha affermato giustamente l’assessore, “gli alberi sono un fatto di civiltà”. Con il progetto “Città Verde” l’auspicio del Comune è quello che il verde diventi città, ovviamente non nel senso di costruire e cementificare sul verde, ma di renderlo fruibile dai cittadini che ora hanno a disposizione oltre 30 mq per abitante, ma ne possono usufruire solo di 12,7. Da tutto ciò si deduce quindi che il verde urbano milanese è strettamente legato alla funzione e al suo rapporto con gli abitanti della città. Inoltre andrà sicuramente a contribuire alla riqualifica del territorio in cui è impegnato il Comune su più ampia scala e potrebbe godere, proprio grazie all’interesse dell’amministrazione per l’ambiente, di visibilità e di credibilità, in cambio di quel verde in più che verrà restituito ai cittadini. Di seguito si propone una tabella sul verde di Milano. In essa si è ritenuto fondamentale rapportare i dati relativi alle aree verdi esistenti con la superficie totale della città e i suoi abitanti. Il rapporto tra il verde esistente totale e gli abitanti residenti, 37 mq/abitante, risulta avere una buona media in quanto comprende tutti gli spazi verdi della città, anche quelli non gestiti dal Comune e non fruibili, come per esempio gli spazi agricoli. 29. Tabella di sintesi dei dati numerici circa le aree verdi di Milano 89

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www.comune.milano.it, articolo pubblicato il 03/03/2008

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parte 3

studio preliminare

Risultati della ricerca sul campo Prima di affrontare un progetto così impegnativo, si è deciso di ricorrere a interviste e questionari per conoscere il pensiero e il grado di conoscenza di questi temi, dei cittadini Milanesi. Si è proceduto intervistando in vari punti della città: in centro, in zona Porta Genova e nei vari parchi di Milano (in particolare Parco Sempione e Giardini di Porta Venezia). Le questioni che preme conoscere sono quelle riguardanti: - Milano come città verde; - la conoscenza del termine Impronta Ecologica; - l’idea di comunità attiva.

Quesiti Abbiamo chiesto agli intervistati se Milano può essere considerata una città verde, hanno risposto così:

33. Schema che mette in mostra come Milano non sia percepita come città verde

Dati Anagrafici Il campione di intervistati è di 168 persone. Di questi: 30, 31, 32. Grafici si sintesi sui dati anagrafici degli intervistati

34. Abbiamo chiesto se fossero interessati a costutuire una comunità, un gruppo per discutere di tematiche ambientali e per valutare nuovi atteggiamenti più sostenibili e sani Questo schema dimostra che i cittadini di Milano sono disposti a creare una comunità, manca solo chi dà il via a questa iniziativa

35. Alla domanda: “Conosce il significato della parola Impronta Ecologica?” moltissimi intervistati ci hanno risposto di no. Alcuni hanno un pò titubato ma non hanno saputo spiegare il singnificato del termine. I numeri sono questi:

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parte 3

studio preliminare

parte 1 Il marketing Prima classificazione del marketing pag.104

Cosa vuol dire progettare la sostenibilita’ Per procedere alla realizzazione del piano marketing è necessario avere alcuni strumenti importanti per capire come muoversi e orientarsi durante la progettazione. L’aspetto ecologico della sostenibilità è molto discusso in ambito di design del prodotto e dei servizi, molto meno nel campo della comunicazione. Tuttavia, molti spunti utili per il design industriale possono essere riapplicati in ambiti diversi. Il metodo a volte, può essere lo stesso. Molto spesso non basta realizzare gli oggetti con materiali riciclati (per esempio), ma per essere davvero sostenibili è necessaria un’operazione di re-design. Come scrive Carlo Vezzoli nel suo libro ‘Design per la sostenibilità ambientale‘ Ecodesign: è una progettazione (design) orientata da criteri ecologici. Essa si presenta come l’espressione sintetica di un vasto complesso di attività progettuali tendenti ad affrontare i temi posti dalla questione ambientale a partire dal punto più a monte, cioè da ridisegno dei prodotti stessi. La sua indeterminazione nasce proprio dal portare in se i campi semantici vasti, articolati, e a loro volta non privi di indeterminazione, (ecologia e design). Ecodesign è un’attitudine progettuale che concepisce gli aspetti considerando anche il loro impato ambientale. 90

parte 1 La pubblicità La suggestione del suono e della musica pag.64

La consapevolezza del problema ambientale e le attività che ne sono derivate, ha seguito un percorso da valle a monte: dalla cura dell’inquinamento all’intervento dei processi produttivi che generano tale inquinamento, alla riprogettazione dei prodotti e/o servizi che rendono necessari tali processi. Infine, la consapevolezza del problema ambientale ha portato, alla discussione e al riorentamento dei comportamenti sociali. Va da sé che questa progressione ha comportato una trasforamazione nella natura delle variabili in gioco: se i primi due gradini (quello degli interventi a valle e delle tecnologie pulite) mette in campo questioni principalmente tecniche, in quelli successivi (prodotti a basso impatto ambientale e consumi sostenibili) si amplia progressivamente il ruolo della dimensione progettuale e delle questioni sociali e culturali. Promuovere consumi e comportamenti sostenibili può richiedere nuovi prodotti ma può anche comportare di indirizzare le scelte verso nuovi sistemi di prodotti e servizi (che congiuntamente soddisfano una certa domanda di benessere) che, per essere accettati, richiedono un cambiamento nella cultura e nei comportamenti degli utilizzatori.

tecnicamente possibile con l’ambientalmente necessario, tende a svilupparne nuove proposte socialmente e culturalmente apprezzabili. Il design sostenibile può comportare diverse attività e livelli di intervento: - il redesign ambientale dell’esistente - la progettazione di nuovi prodotti o servizi - la progettazione di nuovi sistemi di prodotti e servizi - la proposta di nuovi scenari corrispondenti a stili di vita sostenibili. - Redesign ambientale dell’esistente: si tratta di migliorare l’efficienza globale del prodotto in termini di scelta dei materiali e risorse energetiche a basso impatto ambientale. Il suo limite nel fatto che richiede di forzare delle soluzioni a basso impatto ambientale all’interno di sistemi pensati e sviluppati all’origine al di fuori di qualsiasi preoccupazione ambientale. - Progettazione di nuovi prodotti o servizi: considerando come data la domanda di prestazioni, si tratta di individuare nuovi prodotti e servizi ambientalmente più favorevoli di quelli attualmente offerti. È un approccio che tiene conto delle possibili implicazioni ambientali sin dalle fasi di progetto. Per riferirsi a questo approccio è stata introdotta l’espressione Life Cycle Design, traducibile in italiano con “progettazione del ciclo di vita dei prodotti” - Progettazione di nuovi sistemi di prodotti e servizi. Considerando la domanda di soddisfazione come potenzialmente varibile, si tratta di offrire un modo diverso (e più sostenibile) per ottenere dei risultati che possano essere socialmente apprezzati e che risultino, allo stesso tempo, radicalmente più favorevoli per l’ambiente. - Proposta di nuovi scenari corrispondenti a «stili di vita sostenibili». Si rtratta di sviluppare delle attività sul piano culturale tendenti a promuovere nuovi criteri di qualità e, in prospettiva, a modificare la struttura stessa della domanda di risultati. In questo caso non si tratta tanto di applicare specifiche nuove possibilità tecnologiche o produttive, quanto di promuovere nuovi criteri di qualità che siano allo stesso tempo sostenibili per l’ambiente, accettabili socialmente e attraenti culturalmente. È unl livello di attività progettuale che può esplicarsi in diverse forme sganciate da una relazione diretta con la produzione (articoli, libri, conferenze, mostre). Proporsi di sviluppare il design per la sostenibilità ambientale significa dunque promuovere la capacità del sistema produttivo, di rispondere alla domanda sociale di benessere usando una quantità di risorse ambientali drasticamente inferiore di quella attualmente necessaria.

parte 3 Copy strategy Problemi pag.256

All’interno di questo quadro generale di riferimento, il ruolo del disegno industriale può essere sintetizzato come l’attività che, connettendo il

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Carlo Vezzoli, Design per la sostenibilità ambientale

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parte 3

studio preliminare

parte 2 La sostenibilità Il rapporto Brundtland pag.133

parte 2 Impronta ecologica Impronta ecologica: l’impatto pro-capite sull’ambiente pag.194

parte 2 La decrescita La formula IPAT pag.170

Sviluppo sostenibile e sostenibilita’ ambientale L’idea che lo sviluppo odierno stia facendo più danni che altro, ha portato a rivalutare il concetto, tanto acclamato di sviluppo, arrivando a valutare i suoi stessi limiti e a pensarne altre forme. Anche se ormai è largamente inquinata (nel senso che il suo significato iniziale è stato svuotato dall’uso e dall’abuso che ne viene fatto), l’espressione “sviluppo sostenibile” risulta ancora insostituibile. E pertanto, ciò che ci pare vada fatto, è un’operazione di ‘disinquinamento semantico’: sforzarsi di usare questo termine solo nei modi e nei termini più corretti e, di pari passo, criticare aspramente gli impieghi fuorvianti. Le condizioni per la sostenibilità ambientale: Con l’espressione sostenibilità ambientale, ci si riferisce alle condizioni sistematiche per cui, al livello planetario e al livello regionale, le attività umane non disturbino i cicli naturali su cui si basano più di quanto la resilienza del pianeta lo permetta e, allo stesso tempo, non impoveriscano il capitale naturale che verrà trasmesso alle generazioni future. A queste due prescrizioni fondate su considerazioni di carattere prevalentemente fisico se ne aggiunge una terza di carattere etico: il principio di equità per cui si afferma che ogni persona ha diritto allo stesso spazio ambientale cioè alla stessa disponibilità di risorse naturali globali.

Mettendo in conto gli incrementi demografici previsti e ipotizzando, come è giusto, una crescita della domanda di benessere nei paesi oggi più svantaggiati, emerge per il terzo parametro, cioè l’eco-efficienza del sistema tecnico, un risultato impressionante: le condizioni di sostenibilità sono raggiungibili solo aumentandola di almeno 10 volte. In altre parole; possiamo considerare sostenibili solo quei sistemi produttivi e di consumo il cui impiego di risorse ambientali per unità di servizio reso sia almeno del 90% inferiore a quello attualmente riscontrabile nelle società industriali mature.

La resilienza di un ecosistema è la sua capacità di subire un’azione di disturbo senza uscire irreversibilmente dalla condizione di equilibrio. Questo concetto introduce l’idea che il sistema naturale sul quale si fonda l’attività umana abbia dei limiti di resilienza, appunto, oltrepassati i quali iniziano degli irreversibili fenomeni di degrado. Il capitale naturale è l’insieme delle risorse non rinnovabili e delle capacità sistemiche dell’ambiente di rispodurre le risorse rinnovabili. Ma il termine si riferisce anche alla ricchezza genetica, cioè alla varietà delle specie viventi sul pianeta. Lo spazio ambientale è il quantitativo di energia: acqua, territorio, materie prime che può essere usato in modo sostenibile. È indicato anche con l’espressione “impronta ecologica” (ecological foot print) e indica di quanto ambiente una persona, una nazione, un continente dispongono per vivere, per produrre e consumare senza superare i limiti della sostenibilità.

In pratica si tratta di realizzare dei sistemi industriali che emulino i cicli naturali, integrando tra loro i processi produttivi e di consumo fino a chiudere il cerchio della produzione, avvicinandosi il più possibile al risultato di portare a zero gli imput e gli output tra sistema tecnologico e sistema naturale. Bisogna mettere in atto un processo di de-materializzazione della domanda sociale di benessere. Con questa espressione intendiamo una drastica riduzione del numero dei prodotti e dei servizi richiesti per raggiungere un benessere socialmente accettabile. E quindi una parallela riduzione del flusso complessivo di materia e di energia che attraversa il sistema. Operativamente ciò può essere ottenuto riducendo in assoluto la domanda di prodotti e servizi e/o aumentando l’intelligenza del sistema e riducendo il flusso di materia e di energia al suo funzionamento.

Sappiamo che l’impatto sull’ambiente delle attività umane dipende da 3 variabili fondamentali: la popolazione, la domanda di benessere e l’ecoefficienza delle tecnologie, cioè il mood con cui il metabolismo del sistema produttivo è in grado di trasformare risorse ambientali nel benessere richiesto. 91

È evidente che il sistema produttivo e di consumo di questa società sostenibile sarà profondamente diverso da quello che fino ad oggi abbiamo conosciuto tanto che nessuna parziale modifica, nessuna innovazione incrementale delle tecnologie in uso, nessuna operazione di re-design dell’esistente, può portare a raggiungerlo. Nei prossimi decenni dovremmo essere capaci di passare da una società in cui il benessere e la salute economica sono misurati in termini di crescita della produzione e dei consumi materiali a una società in cui si sia capaci di vivere meglio consumando (molto) meno e di sviluppare l’economia riducendo la produzione di prodotti materiali.

Senari della transizione La sostenibilità ambientale è raggiungibile senza fenomeni traumatici solo se, nella transizione si possono prospettare, e successivamente praticare, condizioni di vita che i soggetti e le comunità possano percepire come più elevate di quelle in cui attualmente si trovano a vivere. E questa la precondizione necessaria per catalizzare l’energie necessarie a una transizione “per scelta”: nessuno sceglierà mai liberamente di andare in una direzione il cui punto di arrivo sia percepito come peggiore del punto di partenza.

parte 2 La decrescita Decrescita, il contesto storico e sociale pag.167

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La relazione può essere espressa con la formula IPAT: Impatto: popolazione x agiatezza x tecnologia. Usata in diversi studi ambientali, essa permette di valutare la relazione tra le diverse variabili in gioco e, in particolare, tra la disponibilità di beni e servizi (agiatezza) e l’eco-efficienza del sistema tecnologico (tecnologia)

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parte 3

studio preliminare

Sono possibili due strategie: quella dell’efficienza (fare radicalmente meglio) e quella della sufficienza (fare radicalmente meno). - La prima dichiara che sia possibile mantenere le attuali aspettative di benessere riducendo contemporaneamente i consumi di risorse. Questo obiettivo è ipotizzabile tramite una combinazione di soluzioni che portino ad una fortissima de-materializzazione dei processi produttivi e all’applicazione rigorosa dei principi dell’ecologia industriale. 92 Se l’obiettivo è quello di ottenere modesre riduzioni nei consumi di risorse, questa proposta è praticabile. Ma non lo è più se vogliamo prendere sul serio il tema della sostenibilità. Considerando fissa la domanda di prodotti e servizi, cioè non modificando i criteri di qualità socialmente adottati, non c’è infatti alcuna possibile trasformazione del sistema produttivo che porti a ridurre i consumi di risorse ambientali nella dimensione richiesta. In altre parole, non esiste una tecnologia-miracolo, un’ipertecnologia, che permetta di rispondere alla domanda sociale di benessere, così come oggi si propone, usando solo una minima parte delle risorse ambientali attualmente impiegate. - La seconda soluzione si fonda sulla convinzione che sia necessario e possibile attuare un cambiamento culturale tale che alla riduzione della disponibilità di prodotti corrisponda un aumento del benessere percepito. Si tratta dunque di una discontinuità culturale nel quadro di una sostanziale continuità tecnologica. Questo modo di vedere si avvicina a ciò che propongono alcuni gruppi ecologisti: non consumate, essi dicono. La rinuncia al consumo è non solo l’unica vera soluzione al problema, ma pè anche la strada per raggiungere un autentico benessere. Indubbiamente questa proposta è degna di grande rispetto: chi, in base a una libera scelta etica e culturale, riduce drasticamente la propria domanda di prodotti materiali, porta un efficace contributo alla sostenibilità ambientale. Il problema si pone quando, confrontandosi con la vastità e l’urgenza del problema, si pretende di estendere questa strategia all’intera umanità e di farlo in tempi rapidi. In questo quadro, la profondità e l’estensione della discontinuità culturale richiesta è tale da impedire di pensare che ciò possa avvenire liberamente nei tempi e nei modi necessari. E il rischio è quello di cadere nel fondamentalismo ecologico, cioè di passare dal campo delle libere scelte a quello delle imposizioni legittimate da ciò che qualcuno ha stabilito essere la verità. 93

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La tematica dell’eco-efficienza è stata introdotta nel dibattito internazionale dal WBCSD (World Business Council for Substainable Development) già nel 1993 Carlo Vezzoli, Design per la sosyenibilità ambientale, 2007

Ssostenibilita’ cognitiva degli artefatti

L’accezione economica, sociale ed ecologica di design sostenibile Ancora strettamente collegato al concetto di sostenibilità ecologica, la definizione di “design sostenibile” fa riferimento alla filosofia di progettare oggetti fisici, alla costruzione di ambiente e servizi che si sposino con i principi di sostenibilità economica, sociale e ecologica. L’obiettivo del design sostenibile è quello di eliminare completamente impatti ambientali negativi attraverso un design capace e sensibile. Secondo questa definizione, manifestazioni di design sostenibile richiedono risorse rinnovabili, un impatto minimo sull’ambiente e un identificarsi delle persone con l’ambiente circostante. Applicazioni di questa filosofia spaziano dal microcosmo dei piccoli oggetti di uso giornaliero al macrocosmo rappresentato da palazzi, città e la superficie fisica della terra. Si tratta di una filosofia applicabile al campo dell’architettura, architettura del paesaggio, urban design, pianificazione del tessuto urbano, ingegneria, graphic design, industrial design, interior design e design della moda. Il design sostenibile è più in generale una reazione alle crisi ambientali globali, alla rapida crescita dell’attività economica e della popolazione umana, all’esaurimento delle risorse naturali, ai danni all’ecosistema e alla crescente perdita di biodiversità. Di seguito un elenco di princìpi e linee guida per un design sostenibile, comuni alle varie discipline di applicazione: - Uso di materiali a basso impatto: materiali non tossici, prodotti in maniera sostenibile o materiali riciclati che richiedono poca energia per essere prodotti; - Efficienza energetica: usare processi di lavorazione e creare prodotti che richiedono meno energia; - Qualità e durevolezza: prodotti durevoli e maggiormente funzionanti che dovranno essere rimpiazzati meno frequentemente; - Design per il riuso e il riciclo: i prodotti, processi e sistemi dovrebbero essere progettati per funzionare in un’afterlife (prodotti riciclati); - Biomimetismo: Riprogettare sistemi industriali su linee biologiche abilitando il riuso costante di materiali in continui cicli chiusi; - Sostituzione di servizio: cambiare la modalità di consumo da possesso personale di prodotti alla fornitura di servizi che mettono a disposizione funzioni simili, es: da un’automobile privata a un servizio di carsharing; - Rinnovabilità: i materiali dovrebbero provenire dalle vicinanze (locali o bioregionali), risorse rinnovabili gestite in maniera sostenibile che possono essere composte (o allevate in bestiame) quando la loro utilità è stata esaurita; - Edifici ‘sani’: il design di edifici sostenibili ha lo scopo di creare palazzi che non sono dannosi per i loro abitanti né per l’ambiente circostante. Un’enfasi importante va posta sulla qualità degli ambienti interni, specialmente su la qualità dell’aria negli interni.

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parte 3

studio preliminare

Sustainable Interaction design Stegall sostiene che “il ruolo del designer nello sviluppo di una società sostenibile non è semplicemente quello di creare ‘prodotti sostenibili’, quanto piuttosto di immaginare prodotti, processi e servizi che incoraggiano un diffuso atteggiamento sostenibile. Eli Blevis, ha presentato in un suo articolo la prospettiva secondo la quale la sostenibilità debba essere un elemento di centrale importanza anche per l’interaction design (ossia il design sistemi, prodotti e servizi tecnologici e interattivi), tanto che si può iniziare a parlare di un Sustainable Interaction Design (SID). L’attività di interaction design viene definita da Blevis come l’atto di scelta tra opzioni informative rispetto alle modalità future di essere e comportarci. Blevis propone diversi aspetti per la strutturazione di un programma di ricerca e di una metodologia appropriata a questo modo di pensare e fare interaction design, che l’autore considera “necessario per il futuro di tutti”. L’obiettivo del SID è quello di suggerire modi attraverso i quali gli aspetti legati alla sostenibilità possano essere integrati ai metodi esistenti di design o a nuovi metodi di design in modo da rendere l’interaction design sostenibile. Nella ricerca di Blevis il focus è principalmente legato alla sostenibilità ambientale -con aspetti relativi anche alla salute pubblica, l’uguaglianza e la giustizia sociale, così come altre condizioni e scelte relative all’umanità, la biosfera, l’uso di risorse-, alle modalità attraverso le quali le tecnologie interattive possano essere usate per promuovere comportamenti più sostenibili e a come la sostenibilità possa essere applicata come lente critica per progettare nuovi sistemi interattivi. I temi di questa prospettiva sulla sostenibilità sono perciò lo smaltimento, il recupero, il riciclaggio, la fabbricazione per il riuso, l’acquisizione di longevità d’uso dei sistemi e prodotti interattivi, la condivisione per un utilizzo massimo, la ricerca di utilizzi alternativi.

Una metodologia sempre più centrata sulla dimensione emotiva ed esperienziale dell’utente Porre l’esperienza estetica al centro della teorizzazione sull’HCI non riguarda solo il modo in cui viene analizzata e valutata l’interazione delle persone con la tecnologia; influenza piuttosto il modo in cui ci approcciamo al design e alla creazione di artefatti digitali. Questa concezione di design porta a un’ulteriore riflessione sulle metodologie e gli strumenti di design. Un prima considerazione fa riferimento al ruolo degli utenti lungo l’intero processo di design. La partecipazione degli utenti alle sessioni di progettazione -l’approccio participatory del design- permette di comprendere meglio e porre il focus su come un artefatto viene a far parte dalla vita di qualcuno, come un individuo formula aspettative rispetto ad esso, come le sue attività cambiano per adattarsi alla tecnologia e come egli cambia la tecnologia per assimilarla al suo mondo. Se la chiave per la buona usabilità ingegneristica è la valutazione, la chiave per un buon design di interazione estetica è capire come l’utente genera senso dall’artefatto e dalla sua interazione con esso, a livello emotivo, sensuale e intellettivo. L’enfasi è posta sul significato personale e unico che si genera nell’uso e interazione con un artefatto,

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nell’esperienza di interazione. Secondo Rullo però, non sempre gli utenti sono in grado rendere espliciti i latenti, ma fondamentali, bisogni che influenzano la loro esperienza in un particolare contesto. Questo implica che una prospettiva che è esclusivamente focalizzata sul coinvolgimento dell’utente non permette una completa comprensione e quindi una effettiva rappresentazione di tutte le variabili che giocano un ruolo specifico. Strategie di design complementari dovrebbero essere identificate per raccogliere effettivamente i bisogni particolari degli utenti e per trasformarli in accurati requisiti progettuali, sperimentando così nuove modalità di partecipazione ed espressione degli utenti. Tutto ciò fornisce un framework filosofico che mira a non ridurre né a vincolare la cognizione, l’emozione e il coinvolgimento; piuttosto, esso incoraggia ad esplorare il reciproco influenzarsi di queste dimensioni tra di loro e a considerare il concetto di estetica dell’interazione come una categoria ontologica da inserire nel processo di design e come elemento di valutazione della sostenibilità cognitiva degli artefatti interattivi.

Linee guida per una sostenibilità cognitiva degli artefatti Poste le premesse per una rivisitazione metodologica dei processi di design e delineato il framework per l’inglobamento del concetto di “sostenibilità cognitiva” nelle attività di progettazione e valutazione degli artefatti, strumenti e sistemi interattivi, vorremmo ora delineare alcune euristiche -o linee guida- che riteniamo essere utili per ripensare la progettazione dell’interazione in termini di sostenibilità cognitiva. Tali linee guida non hanno la presunzione di rappresentare dei vincoli rigidi di progettazione e valutazione di artefatti, piuttosto di definire con maggior precisione il dominio e il contesto progettuale, aprendolo alla considerazione di una maggiore quantità di variabili interagenti nei processi di interazione con complessi sistemi computazionali di tecnologia digitale - Pensa all’utente non come un entità fissa ma come un processo mosso da desideri di autorealizzazione. Ogni utente è un uomo. Inizia il processori design con una sua rappresentazione archetipica definendo i suoi obiettivi futuri. Ricorda che i suoi “task” quotidiani sono uno strumento per raggiungerli. - Pensa all’interazione sempre per gruppi mai per individui: considera l’interazione nella sua forma triadica e sociale, mossa da aspettative, desideri, emozioni, sentimenti, sensazioni proiettate verso qualcuno o qualcosa. - Apri lo spazio dell’interazione ad un dialogo tra utente e sistema: abilita l’emergere di nuovi comportamenti, lascia l’utente libero di porsi da solo i suoi vincoli, crea uno spazio di libertà per le capacità espressive dell’utente - Integra il mezzo e il fine dell’interazione, il significato e il movimento. Pensa che la tecnologia dovrebbe avere le reazioni di un uomo: nascondi la computazione e crea atti di interazione fluidi, come una carezza, dove lo strumento di mediazione diventa un tutt’uno con il significato dell’interazione.

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studio preliminare

Un’analisi sociologica per introdurre il marketing tribale “Una strategia di marketing volta a creare comunità intorno a un prodotto o a un servizio” (Wall Street Journal, 1°gennaio 2000)

Questa definizione, anche se non è impropria, non tiene conto di tutte le sfumature del concetto. Il nome deriva dal termine tribù e si inserisce in una prospettiva mediterranea del management che intenderebbe temperare gli eccessi dell’approccio nordamericano alla gestione delle imprese e delle risorse umane. Il significato della parola tribù, coniata nel 1988 da Michel Maffesoli, sociologo della Sorbona, può essere capito solo se collocato nel più vasto ambito dell’ipotesi postmoderna da cui trae la sua origine.

parte 2 Ecologia Ecologia e ambientalismo pag.144

parte 2 Decrescita Rompere l’immaginario dello sviluppo e della globalizzazione pag.173

parte 2 Decrescita Oltre lo sviluppo pag.175

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In sintesi, possiamo dire che, secondo un certo tipo di sociologia postmoderna, stiamo vivendo una trasformazione epocale, altrettanto profonda di quella che portò dal Medio Evo al Rinascimento. Il progetto moderno che ha dominato e guidato le nostre società occidentali dal Rinascimento in poi sarebbe fondato sostanzialmente sul concetto dell’affrancamento individuale dal peso dei vincoli di sangue e dalle superstizioni tipiche del Medio Evo: soltanto la liberazione da questo tipo di retaggi sarebbe stato in grado di rendere l’uomo capace di scegliere autonomamente a chi legarsi e in cosa credere. Il campo della libertà individuale si è così esteso da risultare, oggi, pressoché illimitato. Non è più circoscritto all’economia, alla politica o al sapere, ma ha inglobato il costume e la vita quotidiana nella sua interezza. Il progetto moderno aveva una parola chiave, progresso, e per corollario la fiducia nella liberazione promessa dal progresso medesimo. In nome di tale valore intrinsecamente positivo della modernità, i nostri padri e i nostri nonni hanno subito il radicale mutamento del loro ambiente naturale e della loro vita quotidiana, convinti che tutto ciò rappresentasse la strada maestra per giungere ad un radioso futuro di individui liberi e quindi felici. È proprio nel declino di questa parola chiave della modernità che si insinua l’ipotesi postmoderna. Per i fautori della sociologia postmoderna “la freccia del progresso”, nella nostra immaginazione, è ormai spuntata, e saranno sempre più numerosi quelli di noi che smetteranno di credere in un fulgente avvenire. […] noi non crediamo più nel radioso futuro ma il progresso comunque va avanti, né si possono fermare le nuove scoperte biotecnologiche o nucleari. Il progresso non ha più una ragione precisa: corre per forza di inerzia. La ricerca del progresso sociale continuo, attraverso il processo dell’affrancamento individuale, è naufragata silenziosamente negli anni

Ottanta ed è svanita dall’immaginario degli occidentali, che hanno perso fiducia nel mito dello sviluppo. Il passaggio al nuovo millennio ha visto sgretolarsi, se non proprio crollare, un’insieme di sistemi e utopie che costituivano punti di riferimento per l’individuo: il lavoro, la politica, la famiglia, la religione. Nel corso della graduale liberazione dell’individuo, avvenuta per tappe successive (libera scelta del coniuge, emancipazione femminile, conquista del tempo libero, rivoluzione sessuale ecc.), mentre le coercizioni esterne cadevano una dopo l’altra, il tema della libertà, strettamente legato a quello del progresso, ha perduto la sua energia e non rappresenta più un’ideologia positiva: si è trasformato. Al contrario, in una fonte di inquietudine e sradicamento. Una società postmoderna andrebbe quindi costruendosi sulle rovine della fiducia nella libertà e nel progresso – ed è postmoderna proprio in tal senso. Il mito del progresso non è più il non plus ultra. Esso deve essere sfumato, integrato, corretto, quando non venga decisamente rinnegato. Crediamo sempre meno che si possano cambiare il mondo e la vita mediante il progresso, e dall’altra parte sentiamo il bisogno – se siamo ancora in tempo – di “salvare il mondo” o quel che ne rimane, di “salvare la vita” che il progresso, ormai impazzito, sta uccidendo. A un immaginario moderno, fatto di sradicamento individuale, opporremmo quindi un immaginario postmoderno costruito da tentativi di “ri-radicamento”, rappresentati per esempio dalla ricerca ecologica o dai movimenti no global. Si tratta di tentativi, perché è fuori discussione (tranne che per alcuni movimenti settari) il ritorno a un mondo premoderno, in ci saremmo ormai incapaci di vivere. Se accettiamo l’ipotesi postmoderna, nell’immaginario delle nostre società occidentali, e di conseguenza nei valori che lo sostengono si starebbe verificando un ribaltamento dal “progresso” al “regresso”, o quanto meno un riequilibrio dei valori di progresso attraverso i valori di regresso, che porrebbe ogni individuo in bilico fra questi due tipi di immaginario.

36. L’individuo in bilico fra due tipi di immaginario

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studio preliminare

In quale misura tale stato di tensione sarebbe postmoderno e non, invece, “classico” di un contrasto fra tradizione e modernità? Secondo i fautori del postmoderno, noi stiamo vivendo una situazione unica. Per la prima volta, infatti, alla fine del XX secolo, siamo riusciti davvero a realizzare la condizione di uomini liberi, e possiamo viverla; per questo alcuni hanno descritto la nostra epoca come l’era dell’individualismo. Il futuro moderno e globale non è più un sogno, ma una realtà. Eppure tutto ciò non è poi così entusiasmante come ci ha fatto credere per tanti anni il processo di liberazione. Perfino il progresso diventa “datato”, “tradizionale”. A far sognare, oggi, è quel mondo perduto che viene idealizzato. Il fascino del passato e della vicinanza sembra prevalere sempre più sull’attrattiva di un futuro fastoso in un pianeta interamente collegato online. Si verifica dunque un’inversione di polarità: “tradizionali”, oggi, sono la modernità e il progresso, così come “moderni” sono la tradizione e il regresso. Tutto ciò che non esiste o non esiste più, costituisce l’oggetto di una ricerca di tipo idealistico. Si spiegherebbe così il ritorno di concetti premoderni e arcaici, con la nozione di “tribù” in primo piano, in perfetto accordo con i più recenti sviluppi tecnologici, come per esempio Internet.

La nozione di “tribù” si inserisce nell’ambito di un consumismo che è diventato il motore della costruzione identitaria dell’individuo occidentale, sostituendo in tale ruolo la produzione e il lavoro. Mentre filosofi, poeti e moralisti di un tempo si chiedevano se l’uomo lavori per vivere o viva per lavorare, il dilemma contemporaneo potrebbe essere: si deve consumare per vivere o vivere per consumare? In altre parole, possiamo ancora separare la nostra esistenza dall’idea del consumo? Poiché mancano i riferimenti tradizionali, infatti, che sono stati distrutti dal fenomeno della liberalizzazione e dal suo corollario, l’urbanizzazione, l’individuo si rivolge ai prodotti e ai servizi, cioè al sistema dei consumi, per forgiarsi una nuova identità. Dopo il crollo dei vecchi sistemi, sono in molti coloro che attribuiscono al consumismo un ruolo centrale nella loro costruzione identitaria. Quando tutto va male, quando tutto si sfalda, quando non ci si sente più riconosciuti, quando il lavoro non sembra più centrale nella propria esistenza, il paracadute sociale è il consumismo. Oggi ciò che riesce ad accumunare gli individui è dunque il fatto di consumare la stessa cosa, tutti insieme, nello stesso momento. Il sistema dei consumi diventa in tal modo centrale nell’esistenza individuale. I prodotti rappresentano veri e propri ibridi sociali, “quasi oggetti” e “quasi soggetti” che sostituiscono progressivamente l’altro (l’umano) nel processo della costruzione identitaria. Ma attenzione: non si tratta più semplicemente di consumo generico, di segni e simboli da adottare con superficialità, destinati a far da completamento ad una identità mal differenziata. Si tratta invece del consumo di momenti intensi, vissuti insieme con altri, che, produce un emozione in grado di coadiuvare la costruzione, lo sviluppo o il consolidamento dell’identità incerta dei nostri contemporanei. Così si fa progressivamente strada, nel marketing, l’idea del vissuto quotidiano, che tenta di definire i momenti in cui

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l’interazione tra prodotti, servizi e altri clienti riesce a rassicurare nella ricerca di una identità propria senza, tuttavia, necessariamente alienare. L’interesse per tutto ciò che concerne il vissuto quotidiano del consumatore è probabilmente uno dei mutamenti più notevoli che si sono verificati nel marketing durante l’ultimo decennio. È come se, all’improvviso, si fosse colto il valore di un’esigenza: capire il consumo dal di dentro, rispettando la prospettiva del consumatore in qualità di soggetto sociale unico, piuttosto che applicando (o imponendogli?) strategie elaborate in vitro e destinate a dar conto di comportamenti che si vogliono universali, di consumatori medi (che hanno però soltanto una realtà teorica). Tale approccio porta il ricercatore a penetrare all’interno dei fenomeni che studia. Si possono comprendere le situazioni solo mediante lo studio del vissuto quotidiano, anziché manipolando variabili sperimentali. Questo sistema di studio dei consumi fa parte della corrente di ricerca sul comportamento del consumatore che si definisce “interpretativa” ed è focalizzata sul vissuto quotidiano dei consumatori allo scopo di osservarlo e interpretarlo mediante i molteplici sguardi indicati dai vari metodi e teorie. Il fine sarebbe di superare una lettura lineare del soggetto consumatore, per arrivare a una comprensione dei consumi nella loro complessità. Per quanto ci riguarda, e in un’ottima mediterranea o latina, possiamo dire che il consumismo attuale, invece di gettarsi in una corsa sfrenata verso la personalizzazione e l’innovazione, come indurrebbero a fare la maggior parte degli approcci di tipo anglosassone, dà luogo a una sorta di “ri-radicamento” postmoderno, attraverso la ricerca di comunità e legami sociali (invece dell’individualismo e della personalizzazione), oltre che di radici (invece dell’innovazione sfrenata). Mentre il marketing americano risponde essenzialmente ad una richiesta di individualizzazione e personalizzazione da parte dei consumatori attuali, l’approccio mediterraneo vede soprattutto individui sempre più isolati che cercano di ristabilire un legame sociale, arcaico e comunitario in seno a raggruppamenti che hanno l’aspetto di tribù. Tutte le normali passioni condivise con altri appassionati rivelano individui alla ricerca – reale o virtuale – di comunità emozionali. Questo atteggiamento supera l’ambito strettamente adolescenziale per comprendere gruppi di ogni età, come mostrano associazioni di vario tipo: dai circoli genealogici ai club di degustazione vini, ai fanatici della Ducati, solo per fare qualche esempio. Forse è meglio allora immaginare un marketing tribale che non cercherà tanto di stabilire un legame personale con il cliente, quanto di mantenere il legame fra i clienti stessi, aiutandoli a condividere le loro passioni grazie, per esempio, ad un design conviviale del negozio, grazie a un prodotto o un servizio che abbia valore di legame, cioè che esprima la capacità di costruire, sviluppare o perpetuare il rapporto con la clientela già acquisita. Mentre il marketing americano cerca di offrire al consumatore proposte sempre più allettanti, con perfezionamenti tecnologici e innovazioni di vario tipo, l’approccio mediterraneo tende a dissimulare i cambiamenti e le innovazioni tecnologiche per non accentuare il senso di sradicamento dell’uomo contemporaneo. Pone l’accento, al contrario, proprio sull’arcaismo o l’autenticità del suo prodotto, del suo servizio, del

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parte 3

studio preliminare

suo marchio, del suo punto di vendita, mediante il recupero di dettagli significativi che richiamano un’altra epoca, puntando sulla nostalgia di un passato, più ancora che vissuto, vagheggiato. Pensiamo all’Alfa Romeo 156, oppure a un modello ancor più caricaturale quello del Nuovo Maggiolino Wolkswagen, chiarissimi esempi della tendenza al design di gusto rétro. Si tratta di sviluppare una prassi retro-marketing tribale che non cerchi tanto di produrre innovazioni “di rottura”, quanto di perfezionare prodotti e servizi mantenendo il legame con il passato e con il territorio, cioè conservando la capacità di costruire, sviluppare o mantenere il legame con persone o situazioni del passato. Il marketing americano ha sempre basato la sua strategia sul concetto di fidelizzazione cercando di istaurare rapporti one to one tra azienda e consumatore. Il cliente deve essere allevato, accompagnato e perché questo sia possibile è necessario conoscerlo alla perfezione, conoscere l’ambiente in cui vive e le sue abitudini. Altri approcci, di stampo anglosassone, fondano le strategie su questo biunivoco rapporto: il marketing relazionale e interattivo. Al centro c’è l’idea di CRM (customer relationship management) che punta sul fatto che un cliente fidelizzato difficilmente abbandona un’azienda per andare a cercarne altre. Questo rapporto così stretto ha però delle controindicazioni: il cliente potrebbe sentire violata la sua privacy o la relazione potrebbe sembrargli squilibrata o addirittura potrebbe nutrire il sospetto di essere manipolato. Per capire bene il marketing tribale è necessario fare un excursus storico: si parte dal Rinascimento ovvero dalla nascita della modernità che ha portato grandi cambiamenti nella società, cambiamenti che si ripercuotono ancora oggi nella vita degli uomini. Nell’epoca dei Lumi, la modernità prometteva la libertà dall’ignoranza e dalla irrazionalità, per questo la tradizione era un valore da abbandonare per far posto al progresso. Il legame sociale diventa quindi impedimento che intralcia il cammino dell’individuo verso la libertà. L’intimità, l’emozione, la vicinanza delle relazioni tradizionali hanno lasciato il posto all’impersonalità, alla razionalità, alla trasparenza delle relazioni moderne, fondate sull’economia e sull’utilitarismo. Per realizzare la propria liberazione, il moderno ha sviluppato un’economia di mercato che ben presto si è dimostrata l’agente disgregatore delle vecchie comunità, il più forte che si potesse trovare. INTERESSI ECONOMICI disgreganti Chi prima pensava al bene della comunità, adesso pensa solo al proprio. E più ci si arricchisce, più si diventa avari, indipendenti, slegati, soli. La postmodernità può essere definita come un periodo di dissoluzione sociale ampiamente generalizzata e di esasperato individualismo.

37. Le metamorfosi del legame sociale

Tutte queste modalità di legame e di consumo possono essere sperimentate da un unico soggetto nel corso di una sola giornata. Per queste ragioni Michel Maffesoli ha introdotto la nozione di “tribù”: perché non è un concetto definito e reificato, bensì è un’immagine provvisoria, qualcosa di mutevole e trasformabile. Una tribù postmoderna (o neotribù) è un insieme di individui non necessariamente omogeneo (in termini di caratteristiche sociali obiettive), ma interrelato da un’unica soggettività, una pulsione affettiva o un ethos in comune. Tali individui possono svolgere azioni collettive intensamente vissute, benché effimere. Si tratta quindi di qualcosa di più rispetto a una semplice aggregazione di individui: un gruppo fondato sull’interdipendenza dei suoi membri uniti da emozioni e passioni condivise. La nozione di tribù è inscindibile a vari concetti: - arcaismo e rinascita dell’elemento selvaggio nelle nostre società; - perdita di identità da parte del soggetto in una collettività di impronta comunitaria; - costituzione di gruppi di individui che non sono uniti da una scelta razionale di tipo moderno (contratto sociale) ma piuttosto da una specie di antiscelta emotiva che ricorda la non-razionalità di tempi premoderni e dei gruppi etnici; - forte ritualizzazione di tali raggruppamenti (codici, gerghi, modi di vestire). Questo livello “microsociale”.

di

osservazione

della

società

si

può

parte 3 Il progetto Fase 0: Teaser pag.294

definire

Oggi coesistono quattro modelli di legame sociale: le comunità tradizionali, le aggregazioni moderne, individualismo postmoderno e le tribù postmoderne.

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parte 3

studio preliminare

38. La scala di osservazione è a livello microsociale

Se è evidente la differenza tra sottocultura di consumo, simile alla setta, e comunità di marchio, molto più aperta, non è così immediato il collocamento delle neotribù (o costellazioni neotribali). La definizione di tribù non comporta divisioni fra passione estrema e semplice ammirazione per un marchio al contrario, la tribù può formarsi attorno a un prodotto, un marchio, una pratica o una passione. Internet, oltre che favorire gli scambi di informazioni internazionali anzi interplanetari dando una spinta propulsiva alla formazione del villaggio globale, ha consentito la formazione di un nuovo spazio, ristretto, localizzato, intimo, in accordo con il desiderio di comunità: quello delle neotribù telematiche. 39. Tre concetti interconnessi che illustrano la socialità postmoderna

Per capire ancor meglio cosa è una tribù e utile sapere cosa non lo è: ogni microgruppo che si fonda su un legame sociale di tipo “origine” o “carattere obiettivo comune” non è considerato una tribù. Si possono riassumere quattro caratteristiche per definire una tribù o una non tribù: - ogni microgruppo che si fonda principalmente su legami sociali di tipo “origine” o “carattere obiettivo comune” non è considerato una tribù: non è sufficiente avere origini comuni o professioni uguali, perché ci sia tribù è necessario essere legati da emozioni condivise. - la seconda deriva dalla prima e riguarda il motivo primario dell’aggregazione: se è di tipo utilitaristico (e non emozionale) non si può parlare di neotribù. - la terza caratteristica riguarda la struttura del gruppo: i membri delle tribù non amano avere regolamentazioni troppo rigide o gerarchie definite. - una quarta caratterizzazione si riferisce all’esistenza di interrelazioni fra un buon numero di membri del microgruppo tribale. Nel marketing oltre al concetto di “ tribù” vi sono altre recenti categorie proposte per definire il livello microsociale: - le sottoculture di consumo (subcultures of consumption), utilizzate per descrivere i consumatori uniti da una passione smisurata (le moto Harley Davidson o i film di Star Trek; - le comunità di marchio (brand communities), proposte per descrivere i consumatori uniti dalla fedeltà ad alcuni marchi (Mac, Saab, ecc).

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Nel caso in cui il mondo tribale e quello commerciale si intrecciano è “il legame conta più della merce”. 94 Il valore di legame di un prodotto o di un servizio corrisponde al valore del prodotto stesso nella costruzione o nel potenziamento dei legami fra gli individui.

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Bernard Cova, Merketing non convenzionale, 2000

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parte 3

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parte 3 Studio preliminare Il marketing tribale pag.246

parte 3 Copy strategy Debrief pag.254

parte 3 Il progetto Bisogni pag.281

Il marketing tribale Il marketing tribale si fonda sulla relazione stabilita tra un fenomeno di ritorno della comunità e i mutamenti del consumo. Alla sua radice c’è una visione comunitaria della vita quotidiana dei consumatori. In tale visione, il prodotto non rende liberi né isolati, ma al contrario è un vettore di comunicazione; come il totem per le tribù primitive, funge da polo di attrazione per quelle postmoderne. Dalla metà dei primi anni Novanta si sono visti i primi tentativi nell’ambito del marketing tribale secondo due diversi approcci: i casi in cui l’azienda non ha fatto altro che cavalcare l’onda tribale inserendo della “com’unitarietà” nell’immagine di marchio e di prodotto, e i casi in cui l’integrazione del processo tribale si è spinta fino al reclutamento di appassionati nel personale d’impresa. Le tribù non sono considerate come gli abituali segmenti di consumatori ma come un sottoinsieme poco definito: normalmente lo scopo è quello di tentare di creare o sviluppare tribù nate intorno a prodotti o luoghi o servizi che hanno valore di legame. Il marketing tribale si sforza di sostenere questi legami poiché le passioni che formano questi legami portano beneficio al freddo mondo del commercio. Lo schema di seguito include nozioni d’aspetto sociologico accanto a concetti di sapore economico. Il marketing tribale può così contribuire nelle operazioni marketing a largo consumo, su tre livelli: - nella diversificazione del prodotto/servizio evidenziando il valore di legame o il significato di aggregazione che il prodotto rappresenta; - nella ricerca di fidelizzazione di clienti, sviluppando fiducia basata sul senso di appartenenza a una comunità (fidelity cards);

- nella creazione d’immagine, rivestendo l’azienda e il marchio della denominazione di “impresa solidale”. 1. La prima cosa da fare per creare un’operazione di marketing tribale è individuare i raggruppamenti: - circoscriverli e indicarne i confini; - identificarne le caratteristiche peculiari. Sono operazioni molto difficili da compiere. Tuttavia, le tribù lasciano delle tracce che possono essere individuate e che permettono di comprenderle in maniera approfondita. - tracce nel tempo: la tribù nasce, si evolve e può anche scomparire, ma le logiche sotterranee che la regolano rimangono nel tempo - tracce nello spazio: la tribù esiste materialmente, si riunisce in spazi associativi, esistono sedi di culto, luoghi della memoria. Questi luoghi fanno comprendere bene i meccanismi e le caratteristiche della tribù. La seconda cosa da fare per individuare una tribù è la ricerca di indizi, di frammenti e anche di elementi fugaci: - ricerca di tipo documentario su quotidiani, libri, chat, blog, forum…; - interviste semiguidate o guidate dai membri della tribù nei luoghi tribali (soli o in gruppo); - osservazione partecipativa o non degli spazi in cui si raduna la tribù con attenzione particolare ai riti. Una volta raccolti questi indizi, potranno essere inseriti nel seguente schema, più metaforico che scientifico: 41. Il quadrifoglio di una tribù

40. La doppia estensione del marketing tribale

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parte 3

studio preliminare

2. Dopo aver individuato la tribù e capito profondamente le caratteristiche, il marketing deve offrire legami, ovvero, deve offrire spunti per far si che i membri della tribù si riuniscano e “facciano dei rituali” attorno al loro prodotto. Non basta offrire merci, ma esperienze grazie alle quali si formi o si rafforzi il legame tribale. I rituali possono essere basati su cinque elementi: - le cose (oggetti di culto) - gli abiti (costumi rituali) - gli spazi (i luoghi del culto e/o luoghi della memoria) - le parole (formule magiche) - le immagini (idoli e icone).

42. I diversi ruoli dei membri di una tribù

43. Due livelli di marketing tribale

Il marketing tribale non si limita ad atti puntuali e opportunistici ma richiede un mutamento radicale nel modo di affrontare i consumatori e i loro gusti. Nello stesso tempo i consumatori appartenenti a quella tribù, modificano i loro comportamenti e i loro rituali in base allo stile e alla passione che muove la tribù stessa. Ecco perché questo sembra essere l’approccio migliore e più indicato per comunicare e affrontare temi di natura etica e sociale: perché favorisce un cambiamento radicale proprio nei modi di comportamento. Riassumiamo gli step da compiere per utilizzare al meglio gli strumenti del marketing tribale nel seguente elenco:

44. Il marketing tribale in 10 tappe

3. L’imperativo del marketing tribale diventa: “fate leva sui vostri clienti!” Si deve intentare una rivoluzione nei rapporti tra consumatori e produttore: non basta scoprire le tribù e farle affacciare sulla scena pubblica, bisogna anche scoprire e mettere a frutto le loro competenze. Gli inglesi chiamano questo atteggiamento authority of the consumer (sovranità del consumatore).

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parte 3 Studio preliminare Marketing tribale pag.242

studio preliminare

Esistono altri tipi di approcci per sfuggire al modello dominante di marketing. Oltre all’approccio tribale, che analizza le tribù di consumatori, cioè di gruppi di individui eterogenei ma legati da passioni o emozioni comuni e punta alla creazione del valore di legame già presente in un marchio o in un prodotto, esistono: - retromarketing tribale fa leva sulla ricerca nostalgica di autenticità dei consumatori, che vorrebbero riprodurre circostanze del passato nel mondo di oggi. Punta alla creazione del valore di legame “al passato” di un marchio o prodotto. - geomarketing: prevede lo studio e l‘analisi della domanda formulata dai consumatori locali per adattare l’offerta e proporre un mix di prodotti per aree geografiche omogenee e dotate di esigenze simili; - marketing relazionale: punta a costruire e mantenere relazioni di lunga durata fra l’impresa e i clienti. L’analisi si focalizza sui singoli individui e tenta di soddisfare le esigenze personali; - marketing in rete: cerca di costruire, sviluppare e mantenere un rapporto di relazione all’interno di una rete di attori, commerciali e non, in grado di collegare il mercato ai clienti. Non possono esserci transazioni vantaggiose se non si è creata questa relazione; - marketing esperienziale: si basa sulla tendenza dei consumatori ad acquistare prodotti o servizi non tanto per le loro caratteristiche ma per le esperienze emozionali legate all’atto di acquisto e di fruizione; - cronomarketing: nasce per rispondere al fenomeno del nomadismo dei consumatori, che si spostano con sempre maggiore frequenza. Assume la gestione del tempo come criterio prioritario per comprenderne i bisogni; - marketing sensoriale: utilizza i fattori sensoriali (musica, odori, sensazioni tattili e gustative) nei prodotti o nei punti vendita per suscitare delle reazioni di gradimento nei consumatori; - knowledge marketing: cerca di spingere i consumatori a svolgere un ruolo attivo nei loro processi di acquisto e di fruizione. I clienti modificano in base ai propri bisogni e alla propria sensibilità l’offerta di prodotti e servizi fatta dall’azienda; - marketing etico: è caratterizzato dallo sforzo di collegare le strategie dell’azienda a obiettivi etici proficui per la collettività. Si basa sul principio che un atteggiamento di questo tipo produca effetti benefici anche sull’azienda.

Il marketing mediterraneo Da qualche tempo l’idea di un “pensiero del Sud”, mediterraneo e latino si sta opponendo alla cultura dominante, nordica, continentale o anglosassone. Questo pensiero è concepito come un punto di vista dal quale guardare il mondo con occhi diversi. Per “pensiero mediterraneo” non si intende definire una corrente basata su distinzioni geografiche o anti globalizzazione. Lo stile di vita mediterraneo non si piega alla logica comune e all’ordine mondiale ma si basa su un sistema di valori diversi, ha diverse priorità. Nel mondo mediterraneo il commercio e lo scambio di merci sono stati il nucleo della società, ma il denaro non è mai stato il primo valore. L’approccio mediterraneo al mondo, come quello del Club de Marseille (1994), appare come una risorsa della modernità. I valori nordici dominanti, produttivismo, attivismo, animosità, vengono relativizzati attraverso i valori del Sud orientati più al piacere, alla gioia di vivere, all’accettazione tragica dell’esistente. Mentre i primi si possono associare alla brutalità del concetto, i valori del Sud esprimono la dolcezza della metafora. Sia ben chiaro che il concetto di Sud non è legato a una parte precisa dell’emisfero, ma a tutti quei luoghi nei quali i problemi sociali vengono affrontati anche con maggior rispetto. A livelli di marketing, l’approccio mediterraneo segna la rottura con il modello anglosassone dominante. Questo movimento, sostenuto soprattutto da esperti marketing francesi e italiani, mette in risalto il lato comunitario ed emozionale (non utilitaristico) del mercato e dei consumatori. In particolare la scuola mediterranea ha una posizione molto meno aggressiva nei confronti del consumatore: cerca di accompagnarlo più che di bombardarlo. Questo approccio viene detto “carezzevole”. Non si tratta di voler dare più potere al consumatore, anche perché i consumatori non richiedono questo, chiedono invece che l’azienda sia meno imperiosa, chiedono di potersi riappropriare della propria vita quotidiana senza dover essere sottomessi ai ricatti commerciali. Questa posizione moderata nei confronti del consumatore produce una strategia più comprensiva e meno utilitaristica: richiede una riflessione più profonda dei rapporti e delle relazioni tra impresa e clienti studiandola da una prospettiva socialmente più interessata ai vari aspetti, non solo quelli commerciali. Questo nuovo approccio viene espresso con il termine socienting proposto all’inizio degli anni Novanta per sostituire la parola “marketing”. Il marketing mediterraneo è: “Un approccio, insito nel processo di differenziazione nella disciplina marketing, che promuove un’identità mediterranea e cerca di generare un sentimento di comunità, di appartenenza, di autenticità.” 95 Secondo Bernard Cova, autore de “marketing tribale” ed esponente del marketing mediterraneo, emerge nel comportamento dei consumatori un interesse marcato per i legami e le identità sociali generati dai prodotti di consumo, piuttosto che

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parte 1 Persuasione Le richieste che vincolano pag.84

parte 1 La persuasione Le richieste che vincolano pag.86

parte 1 La persuasione Un pò di storia pag.69

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per i prodotti stessi. Ciò determina una propensione fra i consumatori a riunirsi in tribù e a creare comunità sociali intorno al prodotto, che ai fini del mercato esercitano un’influenza ben maggiore delle più raffinate strategie di marketing. Si va quindi affermando nella disciplina una nuova tendenza che sostiene una strategia volta a creare comunità intorno a un prodotto o a un servizio, e si propone come alternativa mediterranea al pensiero dominante “classico” di stampo americano. Quest’ultimo, infatti obbedisce essenzialmente a una richiesta di individualizzazione e personalizzazione dei consumatori, la corrente mediterranea, invece, si misura soprattutto con il bisogno da parte dei consumatori di ristabilire un legame sociale arcaico e comunitario in seno a raggruppamenti che hanno l’aspetto di tribù, intese come comunità emozionali in cui si condividono passioni comuni. La strategia da seguire secondo questo nuovo approccio non è tanto stabilire un legame personale con il cliente (marketing one to one), quanto mantenere il legame fra i clienti stessi aiutandoli a condividere le loro passioni, creare un valore di legame nel marchio o nel prodotto, fare leva sul bisogno di autenticità dei consumatori, puntare sull’attenzione ai gesti quotidiani e ai dettagli, celebrare riti intorno al prodotto. Il marketing mediterraneo si distacca, quindi, dal marketing associato alle strategie persuasive e ad un atteggiamento aggressivo ed ipercompetitivo delle aziende nei confronti del mercato e, connota la disciplina con valenze più umane e positive. In effetti l’obiettivo principale del marketing mediterraneo è proprio quello di riportare l’attenzione su un modo nuovo di fare marketing e comunicazione nella società postmoderna, un modo che si propone di creare valore non esclusivamente per le aziende che lo applicano ma anche per la società nel suo complesso. Questo “marketing” è stato definito “mediterraneo” perché fonda il suo metodo, le proprie strategie e tattiche sui valori tipici della mediterraneità. Tale categoria non include, in maniera banale, quanti geograficamente appartengono all’area mediterranea, ma piuttosto fa riferimento a tutti i soggetti – persone e imprese – che aderiscono, in maniera consapevole o inconsapevole, ai valori fondativi del cosiddetto Pensiero Meridiano, concetto portato in auge dal sociologo italiano Franco Cassano. Proprio l’adesione a questo set di valori, tra cui l’apertura alla diversità, il pluralismo delle voci, il rispetto dell’‘altro’, l’accoglimento della tradizione, la connettività, sarebbe quindi l’unica discriminante tra il ‘pensare’ mediterraneo e non. Ai principi della produttività, dell’attivismo, della competitività, della razionalità, dell’assolutismo, dominanti nell’orientamento di marketing di matrice anglosassone, il nuovo approccio sostituisce la riscoperta di valori umanistici antichi, fondati sulla consapevolezza che l’azienda è inserita in un sistema di relazioni sociali di cui non può non tener

conto. Valori antichi ma non per questo poco attuali. Gli ultimi anni hanno visto infatti riaffiorare e via via reimporsi nella società, principi che da sempre sono considerati fon¬danti l’identità delle genti del Mediterraneo: tra questi rinveniamo il senso di comunità, di appartenenza, di autenticità; il vissuto del tempo con i suoi rallentamenti funzionali e generatori di idee, lo spazio e il rispetto per forma di vita ‘altre’, il relativismo, la tradizione, l’immaginazione, l’emotività.

Strategie In termini operativi il marketing mediterraneo si traduce in strategie e tattiche meno aggressive nei confronti del consumatore, volte ad accompagnarlo nel processo di scambio piuttosto che a bombardarlo in maniera massiccia e personalizzata. Comporta il superamento di una visione individualistica ed isolata del consumatore per aprire le porte ad una lettura del consumo all’interno di un reticolo dinamico di relazioni. 96 Si tratta, in sostanza, di moderare quegli eccessi cui troppo spesso è giunto il marketing management tradizionalmente inteso, restituendo all’individuo consumatore la libertà di non essere continuamente oggetto di ricerche, previsioni, controllo da parte dell’impresa. Inoltre, questo nuovo approccio al marketing potrebbe più di altri riuscire a cogliere le nuove opportunità che derivano da un possibile rallentamento dei consumi di una società in recessione e dal cambiamento delle scelte di acquisto di beni da parte delle persone.

Può il marketing promuovere la sostenibilità? Questa domanda potrebbe risultare banale, ovvia o addirittura impertinente. In realtà, se ci si pensa bene, pone due termini, normalmente considerati contraddittori, sullo stesso livello. ‘Marketing’ e ‘sostenibilità’ (sociale, ecologica ed economica) non solo sono posti su uno stesso piano, ma, facendo un parallelismo con la teoria dei vettori, sono orientati nello stesso “verso”, cooperano per raggiungere un obiettivo comune. È possibile? Può esistere una strategia di marketing volta alla promozione di un benessere costruito sull’equità e sull’ecologia? Dobbiamo distinguere almeno due fasi dello sviluppo del marketing: negli anni ’60 si sviluppa questa nuova strategia incentrata non più sulla vendita del prodotto, ma bensì sulla comprensione dei bisogni dei consumatori. Negli ultimi anni, queste strategie si sono evolute e perfezionate creando nuovi modi di comunicare. Senza entrare nel dettaglio di tutte le tipologie di marketing e degli strumenti che utilizzano, si può dire che negli ultimi tempi si sta assistendo ad una metamorfosi del marketing. Iniziamo con il dire, dunque, che se per marketing si intende una pura strategia per vendere e per incrementare il consumo dei beni materiali non di prima necessità, il marketing non può essere collegato al concetto di sostenibilità

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ambientale, sociale e economica. Se pensiamo al marketing come uno strumento per creare bisogni inesistenti, per accrescere i mercati delle aziende a scapito di paesi sottosviluppati e dei deboli, non vi è sostenibilità nel marketing. Dagli anni ‘80 circa, il marketing è divenuto strumento per comunicare anche la sostenibilità. Abbiamo assistito ad un aumento esponenziale delle così dette pubblicità progresso, degli spot sociali, della comunicazione aziendale volta tutta a elogiare e mettere in evidenza la bravura e l’attenzione per i temi della sostenibilità. Ma è davvero così? Come può un’azienda che produce oggetti e che ha tutto e solo l’interesse a vendere il maggior numero di essi, a dichiararsi sostenibile? Non si parla di green washing, ovvero di utilizzare la nomea di azienda ecologica e sostenibile anche quando di sostenibile non c’è niente. Si parla di aziende veramente attente agli standard di produzione ecologici, attente alle minoranze e agli ultimi del mondo. Ma se il bisogno primario di queste industrie rimane quello di vendere di più e non il giusto, di rosicchiare fette di mercato agli altri e non specializzarsi in prodotti veramente innovativi, come si può dire che la strategia di comunicazione adottata, se pur brillante che sia, possa essere sostenibile? E qui si sta parlando solo di aziende produttrici di beni e/o servizi. Pensiamo anche alle amministrazioni governative. Anche loro speculano spacciandosi per irreprensibili, comunicano la sostenibilità e producono cemento e inquinamento. Questa è una generalizzazione e una provocazione perché il quesito rimane aperto. Oggi siamo in un’epoca mediana dove il 50% circa della comunicazione è volta alla promozione di prodotti e/o servizi e il restante 50% comunica la sostenibilità ambientale e sociale. Del primo 50% almeno il 25% utilizza le tematiche della sostenibilità per promuovere i propri prodotti. Arriverà l’epoca in cui la totalità delle strategie di comunicazione parlerà di ecologia, equità sociale ed economica? Probabilmente se giungerà questa era, non ci sarà più bisogno di comunicare la sostenibilità poiché sarà un’idea, o meglio, un valore insito in tutti gli uomini. 97

Il mondo è in crisi: e se a salvarlo fossero i brand? Può un brand migliorare il mondo? Una domanda che può sembrare banale, ma non lo è affatto. Come facevamo notare nel nostro post sui political brand, infatti, le aziende sono cambiate e non sono più productoriented. Lo spostamento verso un’ottica consumer-oriented ha fatto si che nascesse fra i brand la necessità di portare avanti iniziative che fossero percepite dal consumatore come utili per se e non (solo) per l’azienda. In questa corrente si inquadrano quelle che potremmo definire campagne “world-oriented”. Si tratta di campagne che, partendo da un brand che se ne fa promotore, puntano su argomenti largamente condivisi per dare visibilità al marchio attraverso iniziative benefiche, pacifiste o umanitarie. Una delle campagne più in vista in questo momento è quella lanciata da Wired e che mira a far vincere a Internet il Premio Nobel per la Pace. Un’iniziativa che sta riscontrando grandissima popolarità in rete perché fa sentire chiunque parte integrante di un ruolo positivo del Web. Attraverso questa iniziativa, Wired conferma il proprio ruolo di Ambasciatore Digitale, facendosi portavoce di un’istanza che difficilmente avrebbe avuto tale visibilità se partita dal basso. Altre campagne, invece, puntano sul green marketing per dare il loro apporto ad un mondo migliore. È il caso di Come Suona il Caos, campagna realizzata da Ninjalab per TIM che punta sul riciclo di oggetti comuni e rifiuti per dare vita a strumenti musicali. Con il tema dei rifiuti più che mai in primo piano l’idea di coniugare riciclo e musica è stata vincente specialmente presso il pubblico young, target dell’iniziativa, stimolato ad avvicinarsi alla politica del riuso in chiave ludica e non fine a se stessa. Anche le iniziative a sfondo sociale stanno decisamente prendendo piede fra i brand, specialmente rispetto a tematiche che riguardano lo stesso ambito d’attività dei marchi. Un esempio lampante è la campagna Heineken KnowTheSign, che invita a bere responsabilmente e ad essere consapevoli delle conseguenze dell’assunzione di alcol. Agendo in questo modo, Heineken lancia un messaggio importante: la vostra salute – e la vostra vita – valgono più del nostro profitto. Anche MTV ha dato vita ad una campagna sociale, ma di tipo leggermente diverso rispetto ad Heineken. Stiamo parlando di MTV Exit, campagna multimediale promossa da MTV Europe Foundation per sensibilizzare contro il traffico umano volto alla prostituzione e al lavoro schiavista. In questo caso il tema non è direttamente collegato all’attività del brand, ma ciò fa si che l’iniziativa volta a migliorare una situazione critica. A volte tutte queste istanze vengono riunite in un’unica campagna, che potremmo definire “macro-sociale” e che punta in effetti a migliorare il

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B. Cova, A. Giordano, M. Pallera, Marketing non Convenzionale, Viral, Guerrilla, Tribal e 10 principi fondamentali del marketing postmoderno, Il Sole 24 Ore,

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mondo in generale, attraverso iniziative che abbracciano diversi settori. Una delle campagne migliori di questo genere è Pepsi Refresh Project. Un grande progetto digitale forte di budget di 20 milioni di dollari da investire in idee che dovrebbero “rinfrescare” il mondo in cui viviamo in svariati ambiti, dalla salute all’arte, dalla cultura al cibo fino alla salvaguardia del pianeta e all’educazione. Una campagna simile negli intenti si è vista anche in Italia pochi mesi fa grazie a Ferrarelle. A dire il vero più che di una vera e propria campagna si tratta di uno spot, un filmato che invita ad amare se stessi, vedendo “il bicchiere sempre mezzo pieno”. L’idea semplice e poetica, sviluppata attraverso immagini in bianco e nero, è partita dall’azienda ed è stata realizzata dall’agenzia romana Walk In. In questo caso dunque più che di fronte ad un progetto concreto siamo in presenza di un invito a rendere il mondo migliore partendo dalle singole persone e da un approccio ottimista e positivo. Più o meno nella stessa direzione va anche la campagna che ha da poco lanciato Intesa San Paolo. Attraverso tre storie di italiani che di fronte alle difficoltà non si fermano, ma rilanciano i propri sogni spesso mettendo in gioco parti importanti della propria vita, Intesa San Paolo suggerisce che la buona riuscita dei progetti dipende molto dall’ottimismo e la fiducia che vi ripone chi ci lavora. Ovviamente è nutrita la schiera di chi critica questo approccio, sostenendo che si tratta di operazioni che si nascondono dietro fini apparentemente benefici per promuovere i brand in maniera subdola, facendo in qualche modo leva su valori che non dovrebbero essere utilizzati a fini commerciali. Un punto di vista certamente degno di rispetto, ma che non prende in considerazione il rovescio della medaglia: se tutti i brand fanno comunicazione spendendo spesso cifre ingenti in queste attività, perché criticare quelli che per farlo danno vita a progetti che hanno un impatto sulle nostre vite, migliorandole? Per fermarci ad un singolo esempio, se Pepsi spende 20 milioni di dollari per la sua nuova campagna, perché attaccarla quando quei soldi sarebbero potuti finire in una sponsorizzazione di un evento come il Super Bowl, attraverso cui avrebbero fatto bene solo al brand? Forse abbiamo una visione ottimistica e poco complottista, ma anche a noi Ninja piace vedere il bicchiere mezzo pieno. Quindi pollice decisamente in su per le aziende che seguono questo tipo di strategie, nella speranza di poter presto dire “ebbene si: i brand possono davvero migliorare il mondo!” 98

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Articolo di Kemestry per Green Marketing, Home Page, Marketing Trends, Social Trends, 15 marzo 2010, www.ninjamarketing.it


parte 3

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coinvolti tutti nella transizione verso la sostenibilità. Non è solo chi governa che si deve far carico del cambiamento di rotta. Un’azione amministrativa che però non trova riscontro nella cittadinanza è un’azione vana, il cui effetto si perderà nel tempo. Sarà un palliativo di breve durata. Può avere qualche effetto iniziale, apprezzabile come iniziativa ma inutile perché non mantenuta.

3.2

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parte 3 Studio preliminare Il marketing tribale pag.242

Debrief La prima cosa da fare prima ancora di pensare alla strategia, è estrapolare dal brief le richieste principali esplicitate, e leggere tra le righe ciò che il cliente non dice ma che pensa, e che serve per orientarci non tanto sul cosa ma sul “come” realizzare il lavoro. Il primo punto del brief mette in risalto come un progetto che prevede una comunicazione talmente forte da riuscire a modificare le abitudini dei cittadini, non possa essere realizzato senza dei progetti di supporto. Il lavoro principale, che sarà quello di promuovere stili di vita sostenibili, prevede dunque la realizzazione di micro-progetti satelliti che gli ruoteranno attorno in tutte le fasi. Progetti senza i quali non sarà possibile scalfire la dura cervice dei milanesi. - Prima di tutto, come spiegato bene nel capitolo del marketing tribale, l’uomo dopo un periodo di isolamento dagli altri uomini (illuminismo) per innalzarsi a essere razionale e abbandonale l’esistenza sentimentale, riscopre il valore di comunità, di cooperazione. Questi valori stanno alla base della parte che predecerà il progetto vero e proprio. Una sorta di “recupero del debito” sociale. Oggi infatti l’uomo tende a frequentare altri uomini per sentirsi autorealizzato, per il suo bisogno di appartenenza a qualcosa, fondamentalmente per egoismo. Le relazioni che ci legano l’un l’altro sono malate, instabili, di convenienza. Tuttavia questa convenienza è già un punto di partenza per il “preprogetto” perché permette di vedere l’altro come un qualcuno indispensabile. Siamo indispensabili gli uni agli altri, o meglio ancora, i nostri comportamenti (corretti) sono indispensabili alla vita di tutti. Questo uno dei punti che si approfondirà più avanti nella trattazione, perché non solo l’uomo pensa che le sue azioni siano rimediabili e soprattutto senza peso, ma pensa anche di essere solo, di essere l’unico. - A questo punto si può partire con i contenuti più specificamente progettuali. L’amministrazione comunale di Milano chiede che siano

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- Ecco perché il Comune fa specifica richiesta di non dimenticare i progetti che sono già in atto. Anzi questo dev’essere un contributo per dare visibilità a tutta l’azione “verde” dell’amministrazione. Deve essere un completamento e non un’alternativa. Questo lo si può fare solo informando. E non con una banale o intimorita o troppo aggressiva comunicazione. Ma mirata e simpatica, che faccia vedere i reali benefici di questo cambio di rotta. Nessuno è disposto a modificare la propria vita per stare peggio. - Come si fa a convincere qualcuno a cambiare atteggiamento? Come abbiamo visto nel capitolo sulla persuasione, uno dei metodi migliori è l’autopersuasione. Questo comporta però un coinvolgimento forte dell’utente. Non solo astratto, ma propriamente fisico. Infatti tutto il Piano marketing che si va a sviluppare è incentrato sull’interazione tra utente e informazione. Non dev’essere informazione lontana, distaccata, ma si deve fare in modo che l’utente stesso diventi comunicazione. Si deve informare “sulla pelle” del cittadino. Questo richiede uno sforzo particolarmente impegnativo. Inoltre tutto ciò non può essere richiesto in un tempo troppo breve. Il cmbiamento deve avvenire in maniera graduale per poter essere definitivo e sicuramente interiorizzato. - Milano ospiterà l’EXPO nel 2015, quale migliore campo d’azione potevano offrire? Perché per quanto questo comporti difficoltà, sicuramente donerà alla città una visibilità assoluta nel panorama italiano. Inoltre, visti anche i temi affrontati dall Fiera, e dalle ultime tendenze “verdi” (Milano è attentissima alle tendenze) è un panorama particolare nel quale operare. E ecco anche perché Milano vuole e deve fare da esempio a tutte le altre. Obiettivi della tesi La metatesi si è appena conclusa. Adesso inizia la tesi vera e propria, quella progettuale. I capitoli passati hanno affrontato molti temi che spaziano dalle teorie della persuasione alle molteplici strategie marketing. Ora è il momento di metterle in atto, fare le scelte giuste e appropriate per comunicare la sostenibilità sociale e in particolar modo la sostenibilità ambientale. Il principale obiettivo della tesi è questo: creare un modello utile e unitario per comunicare questi temi, difficili, complessi e soprattutto inflazionati, nel comune di Milano sull’asse ente-cittadino.

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parte 3

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parte 1 Il marketing L’influenza dei mass media e l’effetto terza persona pag.113

parte 2 Milano Nuovo piano per la città pag.198

parte 3 Studio preliminare Cosa vuol dire progettare la sostenibilità pag.226

parte 1 Il marketing Bisogni, desideri e domande: definizione pag.102

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Ci sono altri obiettivi più inerenti al progetto di tesi, si elencano per punti: - creare un modello che può essere esportato, adattandolo, in atre città, per altre realtà italiane e non; - far comprendere, davvero, ai cittadini milanesi la situazione ambientale reale del nostro pianeta e della nostra città, con un linguaggio chiaro; - dare degli strumenti per poter contribuire a rendere Milano più vivibile e la vita in città più sostenibile; - utilizzare un linguaggio semplice che, attraverso l’uso di numerosi esempi, renda la comprensione più diretta e chiara; - rendere finalmente comprensibili anche quegli aspetti che di norma sono attorniati da un alone di non chiarezza causa la burocrazia e la scarsa comunicazione tipica del rapporto tra enti pubblici e cittadini. - realizzare una campagna di comunicazione che sia non solo utile e chiara ma soprattutto bella, specificamente in contrasto con le pubblicità progresso che incentrano tutta la creatività sui contenuti trascurando l’aspetto estetico e stilistico rendendo così, la comunicazione poco attraente. Problemi Se la vediamo alla Munari, dobbiamo prima di tutto scovare il problema ma questo è un problema. O meglio è un problema di questa tesi perché l’argomento che tratta è sfaccettato e complesso e si districa in zone di confine di molte discipline diverse. Facciamo un punto dei problemi e già da questo potrà restringere il campo. Il problema chiave, senza il quale questa tesi non avrebbe motivo di esistere, è quello che riguarda il malessere generale del nostro pianeta dovuto, come detto, all’azione distruttrice e egoistica dell’uomo e causato dallo sfruttamento senza freni da parte delle società passate, delle risorse della Terra. Questo primo macro problema non può essere risolto in breve tempo né da singoli individui e non è l’obiettivo primario della tesi. Ma, se lo prendessimo come finalità a lungo termine, e se ci riproponessimo di iniziare, almeno, a pensare a qualche soluzione vedremo da esso sorgere moltissimi problemi che, a diversi livelli, possiamo, ciascuno di noi, contribuire a risolvere o attenuare. Inoltre, a livello pratico, ci sarebbero talmente tante operazioni da compiere, la maggior parte delle quali non alla nostra portata, che anche questo problema dev’essere ulteriormente smembrato. Il nostro problema potrebbe essere quello di comunicare l’esistenza di un problema. Ma questo, per quel che riguarda l’argomento sostenibilità ambientale, dovrebbe poter essere dato per scontato e già risolto. Quindi, presa come punto fermo la conoscenza dell’esistenza di un

problema ambientale dalla maggior parte degli individui (italiani e milanesi), diventa nostro compito (intendo dei progettisti della comunicazione) diffondere informazioni chiare, precise, non fuorvianti e dirette su tale problema e sulle strade che portano alla risoluzione. Il nostro è quindi un problema di linguaggio e di strategia. Andando nel dettaglio: la Terra è al limite del suo sfruttamento, non si può continuare con questo ritmo altrimenti rischia un collasso. Ci sono moltissime questioni da risolvere, alcune ad ampio raggio (energie rinnovabili, meno emissioni, etc), altre alla portata dei singoli individui (ridurre i consumi, assumere atteggiamenti sostenibili, …). Molte di queste persone sanno dell’esistenza di un problema ambientale ma non ne conoscono entità e caratteristiche; di conseguenza non sono messe nella condizione di intervenire. Altri utenti sono molto più informati, distinguono tra problematiche diverse, conoscono le azioni da mettere in campo per arginarle ma non lo fanno perché convinte che i loro sforzi sono inutili e vanificati da almeno due elementi: tutti gli altri individui che, non assumendo atteggiamenti sostenibili, rendono vacuo il loro impegno; gli altri attori della filiera o amministrazioni, che non solo non premiano i cittadini modello, ma, a detta di molti, fanno delle richieste che poi non rispettano. Inoltre, il fatto di cambiare atteggiamenti spingendosi verso il vivere sostenibile richiede uno sforzo mentale, fisico e emotivo che non tutti sono disposti a fare, soprattutto per soluzioni che non sembrano soluzioni reali. La sostenibilità richiede un prezzo da pagare troppo elevato per molti che, abituati a vivere nelle comodità e negli agi più sfrenati, non se la sentono di intraprenderla. Questo non è corretto. Comunicare questo può essere il nostro problema. Diciamo che, quindi, la meta-tesi si ripromette di risolvere il problema del linguaggi, del tono di voce, degli strumenti da utilizzare per veicolare il messaggio, mentre il progetto di tesi si interroga su cosa comunicare. Chiaramente queste due voci vanno di pari passo perché se non c’è messaggio non c’è comunicazione ma anche se manca il contesto comune o il linguaggio (canale) comune la comunicazione diventa solo rumore e non informazione. Bisogni Nella prima parte della tesi un capitolo intero è stato dedicato alla nozione di bisogno e si sono definiti i meccanismi che innestano, nella mente del consumatore, il desiderio di acquistare o usufruire di un determinato bene o servizio. Inoltre è stato definito il marketing non come una strategia che crea bisogni, ma che mette in luce i desideri già esistenti, ma latenti dell’utenza. Questo può essere definito come uno degli obiettivi chiave del progetto di tesi.

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parte 3

parte 1 Il marketing La gerarchia dei bisogni di Maslow pag.105

parte 1 Il marketing Prima classificazione dei bisogni pag.103

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Ciò che vuole essere comunicato non è pura e semplice informazione. Non si vuole persuadere a cambiare atteggiamento per il bene collettivo, bene al quale ormai nessuno più crede e che nessuno sembrerebbe avere a cuore. Non è una questione di sacrifici o perdita di comodità. Tutto ciò che si comunica con la strategia, non è altro che un bisogno. Approfondiamo meglio questo progetto: bisogno da che punto di vista? Dal punto di vista della Terra? È necessario che ci diamo tutti una regolata perché il nostro pianeta ha ‘bisogno’ di riprendersi dallo sfruttamento eccessivo? Dobbiamo rispettare i bisogni che manifesta la nostra città? Ebbene no, è esattamente il contrario. Il bisogno è il nostro solo che non lo sappiamo ancora. Gli utenti, non tutti o per lo meno non coloro ai quali è rivolta la comunicazione, in fondo hanno già dentro di loro un bisogno, una esigenza forte, ma non capiscono bene di cosa si tratta. Il bisogno del quale si sta parlando è fondamentale ed è quello che ci permette di distinguerci dagli animali, è il bisogno di una vita più sana, più regolare, più verde, più sociale, insomma, più sostenibile. Uno dei compiti che ci si è prefissati è quello di svegliare le coscienze, di scuoterle dal torpore in cui risiedono, di spingerle all’azione. È necessario che l’uomo capisca che quello di avere una vita più sostenibile e vivibile al livello ambientale è un diritto che gli spetta. Scuotiamoci affinché i nostri diritti siano difesi. Purtroppo oggi l’umanità, è presa da se stessa, dal profitto, dalla ricchezza, dalla voglia di apparire e appartenere ad una determinata “casta”. Ecco perché molti dei diritti più importanti vengono abbandonati, messi in secondo piano, per far posto ad altre problematiche di tipo, sostanzialmente, sociale. Tutto ruota intorno a se stessi, anzi, ancor peggio, tutto ruota intorno a ciò che vorremmo essere, e a coloro a cui vorremmo somigliare. L’umanità è alienata dal mondo reale e, ne sono un esempio Second Life, tutte le Chat e i social network, vive nella dimensione del 2.0. Vive in un mondo digitale. Il mondo fisico è solo un contenitore nel quale muoversi per raggiungere l’altro.

parte 1 Il marketing Il marketing crea bisogni o esaudisce desideri? pag.104

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Se facciamo riferimento alla piramide di Maslow, l’uomo di oggi occidentale e benestante, non ha più bisogno di procacciarsi le soluzioni ai bisogni primari, ma tende a colmare le mancanze, dovute anche al poco carattere e alla totale inconsistenza dei suoi valori, che si trovano ai piani alti della piramide, ovvero quelle di autostima e stima degli altri. Il marketing moderno e contemporaneo ha puntato moltissimo su questo aspetto, in particolar modo nelle strategie di riqualifica, nascita o riposizionamento di un brand.

Oggi si propone di guardare ai bisogni più immediati, più materiali. Come possiamo passare a desiderare l’effetto degli altri quando ancora non ci conosciamo bene? Pensiamo di conoscerci e di aver superato la fase dei bisogni primari, ma forse non è così. È molto probabile che man mano che si va avanti, tutti i gradini dei bisogni, se pur un tempo scalati, devono essere costantemente rivisti e rivalutati. Con il passare del tempo si sgretolano e hanno bisogno di una ristrutturazione. Forse è vero che la soglia dei bisogni fisici si era superata in precedenza, ma ogni tanto ci si deve tornare. È necessario fare, per così dire, dei corsi di aggiornamento. Sembrerebbe un paradosso: comunicare la sostenibilità per persuadere che questa è la via della redenzione quando in realtà questo è un bisogno che tutti hanno ma che nessuno si accorge di avere, o meglio nessuno ricollega a questo argomento. La nostra vita è fatta, giorno dopo giorno, di impegni, lavoro, incidenti di percorso, attese, imprevisti, quando va bene! A meno chè non viviamo tra le colline, in paesaggi fiabeschi nei quali i ruscelletti scorrono placidi e i tappeti verdi d’erba accolgono calmi ovini come soffici nuvole bianche, la nostra vita Ë grigia. I colori sono spariti. Probabilmente gli unici colori che ricoprono le nostre città sono quelli, comunque ingrigiti, delle affissioni pubblicitarie. Anche la moda sembrerebbe essersi adeguata all’opachezza, al buio, alla tristezza, alla noia affaccendata. Non possiamo continuare a negarlo, abbiamo tutti “bisogno” di qualcos’altro, di staccare, di pace, di un pò di riposo. Questo discorso vale a livello generale per tutti gli uomini, tranne coloro che corrispondono al profilo indicato poche righe più in alto. Il discorso, perché sia valido per i milanesi o coloro che vivono Milano, dev’essere amplificato. Il livello di stress che si vive in città può essere veramente alto. In questa città, a maggior ragione, vale il discorso dei bisogni di evasione. Se prendiamo in considerazione la piramide di Maslow, si può notare come l’uomo che abita un ambiente “civile” tende ad aver superato il terzo livello: i bisogni fisici, di sicurezza sono stati accantonati e superati per avanzare su per la piramide. I crucci dell’uomo contemporaneo sono quelli posti in alto, bisogni di stima degli altri, con particolare riferimento all’importanza che l’apparire “sociale” ha assunto da qualche decennio a questa parte; di autorealizzazione, culturale e psichica.

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parte 3

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Se i desideri sfuggono al controllo e si rifiuta la naturale legge del limite So cos’è il denaro, ma cosa può farsi valore, cosa può arricchirmi? Il progresso del mondo è economico e tecnologico: e sghignazza di fronte a queste sentimentali domande. L’umanista raduna in sé valori finiti come il suo corpo. Legge Sofocle in greco e Kant in tedesco, riesce a distinguere un quadro falso e un racconto plagiato: ma sono qualità doppiamente limitate, perché moriranno con lui. Cresce all’infinito la pianta dell’economia. Formalmente, i suoi valori continuano ad accumularsi. Hong Kong sfila quale modello vincente della nuova ricchezza che, in pochi decenni, sconfigge la povertà. Ma come il mondo sta perdendo l’acqua che tutti avevano gratuitamente, così Hong Kong nell’ultimo mezzo secolo ha perso il 37% della luce del sole e ora neanche il più ricco dei suoi cittadini può riaverla. Ogni decennio la psicopatologia definisce nuove sindromi. C’è il pericolo che debba aggiungerne all’infinito, perché i desideri stanno sfuggendo al nostro controllo. Vogliamo all’infinito e vogliamo l’infinito. Forse è un effetto collaterale della scomparsa della divinità. La divinità è stata una onnipresenza così radicale in ogni espressione umana, che inconsciamente cerchiamo di farla rinascere dentro di noi, desiderando e mimando la infinitudine divina. L’Università del Surrey ha condotto uno studio psicologico comparato di criminali, casi psichiatrici ed executives ai più alti livelli del mondo economico. Secondo i risultati, i disordini caratteriali dell’ultimo gruppo non si distinguono da quelli dei due precedenti, sono semplicemente presenti diverse accentuazioni quantitative. Basta pensare che 25 anni fa un executive americano guadagnava in media 40 volte più del suo salariato medio ed oggi 475 volte di più. E questo non è che il dato più visibile. Quello più sostanziale sta nel fatto che oggi gli alti ruoli vengono remunerati con consistenti partecipazioni azionarie. Valendosi della loro posizione, i top executives hanno la possibilità di gonfiarne artificialmente il valore e venderle per tempo agli ingenui. Ai redditi moltiplicati affiancano, così, la capacità di moltiplicare il capitale, anche senza produrre altro che la convinzione che esso valga di più. Sono maestri dell’economia o dell’avidità? Si va verso una presentificazione del domani, una accelerazione e un appiattimento del tempo dovuta al desiderio di avere subito. Le imprese economiche dovrebbero nascere con un programma di produzione di certi prodotti. Ma oggi, vendere il prodotto è diventato meno interessante. Costringe ad aspettare tempi che indispongono l’economia speculative.

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Quello che si vende, e il valore che se ne ricava, è un programma di produzione. Poi, sempre più, l’illusione di un programma. Si illude, e ci si illude, di disporre adesso di una soddisfazione, di monetizzare un valore che, se tutto andrà bene, sarà disponibile solo nel futuro. Universalizzando nel quotidiano questa distorsione psicologica, la bulimia corrisponde all’ingoiare nel presente consumi alimentari futuri. Una barretta di cioccolato è piacevole. L’atteggiamento rivolto all’accumulo e alla presentificazione del tempo futuro, chiede di ripetere subito quel piacere. Si inghiotte una seconda barretta. Inevitabilmente, il piacere è un po’ minore. Non si accetta questa legge naturale del limite, si cerca di rifarsi mangiandone subito una terza. Il piacere diminuisce ancora. Il consumatore deve quindi consumare altro cioccolato. Cade definitivamente nel circolo vizioso. Non sappiamo più volere. Non sappiamo più desiderare. L’uomo - soprattutto l’uomo che occupa posti di potere economico e che i mezzi di comunicazione ci offrono a modello - soffre della sindrome di Icaro. Una sindrome che i manuali di psicopatologia non descrivono perché riguarda noi tutti. Il rischio è che, come Icaro, l’uomo nuovo che vuole troppo, l’uomo il cui desiderio è entrato in metastasi, si fermi solo quando gli si staccheranno le ali. Il Brasile combatte con successo la fame. Ma, per la prima volta, i dati del Brasile indicano che il numero degli individui seriamente sovrappeso od obesi supera il numero dei sottonutriti. L’uscita dalla fame dipende in buona misura dal progresso economico, quindi è abbastanza prevedibile. L’eccesso di fame in chi è già ipernutrito, invece, è legato a fattori psicologici e culturali, ben difficili da prevedere e da controllare. Adoriamo un dio-sviluppo, senza fine e senza fini. I dibattiti sulle terrificanti implicazioni di un culto inghirlandato di razionalità economica e tecnologica, ma nel fondo profondamente irrazionale, a loro volta tendono a limitarsi agli aspetti economici e tecnologici. Quando parleremo dell’origine di tutto questo, dell’uomo che ha perso il controllo dei propri desideri? Quando e come è iniziato il culto di questo dio che divora i suoi devoti fedeli? I Greci - radice di quel pensiero occidentale che la globalizzazione rende universale - erano terrorizzati dalla fame di infinito che si nasconde nell’uomo. La chiamavano hybris e avevano come unico comandamento la condanna dell’hybris, la nemesis. Eppure, coi loro successi culturali e militari, proprio i Greci insuperbirono e, gradualmente, rovesciarono la proibizione dell’arroganza nell’adorazione dell’arroganza. In un certo senso, la storia dell’Occidente è la storia di questa follia, e degli sforzi per continuare a reprimere il senso di colpa e di disagio psichico che comporta. In questo senso, i nostri studi sui disastrosi potenziali dello

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parte 3

sviluppo infinito non sono solo espressione delle moderne capacità di far calcoli previsionali, ma anche del sopravvivere, nel nostro inconscio collettivo, dell’antichissimo mito secondo cui volere troppo era sgradito agli dei, portava sfortuna e preparava sciagure. Ma allora, se è vero che nessuna cultura può negare completamente le proprie origini e disobbedire alle proprie eredità culturali, siamo finalmente di fronte a una buona notizia. Oscuramente, ci sentiamo ancora in colpa per l’assurdità del nostro volere infinito. Le nevrosi che esprimono molto del nostro disagio sono “sane”. La critica allo sviluppo senza limiti ha dalla sua non solo recenti cifre e ragionamenti, che potrebbero lasciar freddi, ma profonde, antichissime emozioni, che chiedono giustizia. Giustizia per la terra maltrattata, ma anche per gli antichi miti che insegnavano l’importanza dei limiti e sono stati arrogantemente calpestati. 99

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Luigi Zoja, Storia dell’arroganza. Psicologia e limiti dello sviluppo, Moretti & Vitali, 2010


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Concept 45. Il concept del progetto

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Target

parte 1 La persuasione La pubblicità per la prevenzione pag.77

La comunicazione della sostenibilità, sociale ed ambientale, dovrebbe essere rivolta a tutti, indiscriminatamente, adulti e bambini, uomini, donne, stranieri, ricchi (soprattutto) e indigenti. Ciascuno deve sentirsi in dovere, o meglio, dovrebbe avere il piacere di rispettare un pò di più l’ambiente che lo circonda, sia esso caratterizzato dalla natura o da altri uomini. Rispettare l’ambiente, corrisponde a rispettare gli altri. Ma questo argomento potrebbe non essere abbastanza forte e convincente. Se però si pensa che tutte le nostre azioni ricadono sul nostro pianeta e che, quindi, piano piano si riducono le sue risorse, questo può far riflettere sul fatto che ogni nostra azione ricade sulla nostra stessa vita. Spesso le conseguenze dello sfruttamento e dell’inquinamento non sono visibili e percepibili immediatamente, e questo fa si che si sottovaluti moltissimo il peso che ciascun essere ha nel contribuire all’affaticamento della Terra.

parte 2 La sostenibilità Il rapporto Brundtland pag.133

Un argomento forse più convincente può essere quello di dimostrare che un domani, le generazioni future dovranno fare i conti con i danni che ogni giorno, noi, arrechiamo al nostro pianeta: anche se non ne abbiamo la percezione fisica immediata, questi si manifesteranno potentemente fra qualche anno. A quel punto dovranno vedersela i figli delle generazioni presenti, ai quali stiamo preparando un mondo terribile sperando che, almeno loro, siano migliori di noi e riescano a risolvere i danni provocati da noi, a ripristinare o almeno, contenere la distruzione che stiamo, effettivamente, portando avanti con la nostra vita senza freni. A chi vorremmo augurare una simile sciagura? Non Ë il genere di augurio che si vuole riservare a chi rispettiamo, tanto meno a chi amiamo. Per cui, rispetto della Terra non vuol dire solo rispetto della natura in senso lato. Non rispettare il ciclo naturale delle cose, il pianeta, gli animali, corrisponde a avere in disprezzo l’intera umanità per cui pure se stessi e i propri cari. Tutto questo da cosa è causato? Io individuo 3 ragioni chiave: 1. Prima di tutto alla cattiva informazione. Come si accennava nel capitolo in cui si ricerca il problema da risolvere, uno dei punti da risolvere è distribuire l’informazione e in maniera efficace e capillare all’interno della città e fra i suoi abitanti. 2. Secondo: pigrizia. Nessuno ha voglia di rinunciare a nulla. Figuriamoci quando invece si chiede di compiere un’azione. L’uomo, se non è motivato non impara, non cambia, non opera, non insegna. Questi punti li riprenderemo più avanti.

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3. Il secondo punto ci riconduce direttamente al terzo: perché l’uomo non è motivato? Perché pensa che la sua opera non serva a nulla. Stranamente, in queste occasioni l’individuo diventa conscio della sua condizione: se in tutte le azioni della sua vita è concentrato su se stesso e sul suo piccolo mondo, quando si tratta di contribuire per il bene dell’umanità inizia a sentirsi piccolo e inutile. Posizione di convenienza. Il progetto di tesi tende a coinvolgere tutti del discorso sostenibilità. Uno degli obiettivi di questa argomentazione è, come dichiarato nell’abstract, creare un modello di comunicazione efficace per la città di Milano che poi, tramite le dovute variazioni, possa essere esportato e declinato per molte altre città. Da questo assunto è possibile ricavare il primo macro-target: la comunità cittadina. La comunicazione dovrà essere rivolta ad una comunità che sia o meno unita, coordinata, omogenea, partecipativa alla vita della comunità o individualista. Questa scelta, di comunicare ad ampio raggio, è dettata dall’obiettivo di rendere, laddove mancano ancora i presupposti, il cittadino consapevole del fatto di appartenere ad una comunità. Soprattutto negli ultimi decenni, si sta facendo avanti una spersonalizzazione della città e dei suoi luoghi e, in particolar modo a Milano e nelle grandi città, gli individui restano delle entità isolate, che non cooperano tra di loro o se lo fanno, non è certo per rendere più vivibile la vita di tutti. Questo egoismo che permea i giorni nostri, si traduce in isolamento e disinteresse per la vita della comunità intera: ognuno guarda a se stesso e, pur di arrivare a godere di un certo benessere, non guarda in faccia il proprio prossimo, che sia suo concittadino o vicino di casa. Come si è visto nel capitolo sul marketing tribale, perché più persone collaborino è necessario che abbiano dei valori comuni in cui credono, uno scopo, una meta dove arrivare dopo il cammino insieme. Obiettivo è proprio dare il via a questo cammino, svegliare le coscienze e far partire questa “marcia” a favore della sostenibilità. Quindi, il target della meta tesi è il cittadino. L’individuo inserito all’interno di un contesto urbano. Entrando un po’ più nello specifico, il target del progetto è l’insieme, variegato e eterogeneo, dei cittadini di Milano, milanesi e non, di coloro che abitano, lavorano, visitano la città meneghina. Grazie alla capillarità e alla distribuzione massiccia dei dispositivi che erogano il messaggio, il coinvolgimento di tutte le categorie sociali. Si elencano tutti coloro che sono raggiungibili dal messaggio: - Uomini e donne; - Tutte le età (anche i bambini anche se il progetto non è specifico per loro); - Tutte le fasce sociali

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parte 3

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I momenti in cui si eroga il messaggio: - Giorno fino a sera; - Notte durante speciali eventi; - Mentre si passeggia, si va al lavoro/scuola, ci si sposta, si fa shopping, … - In diverse zone della città, sempre punti focali e di affluenza. Questo target così amplio, che poi andremo a delineare meglio sviluppando dei personas ad hoc e degli scenari, non prevede una particolare attenzione per i più piccoli per molti motivi. Uno di questi è che per i bambini esistono già moltissime iniziative, curate dalla scuola, dal ministero dell’istruzione, dal comune stesso, dai musei e da moltissimi enti. Dalla scuola i bambini ricevono molte indicazioni per assumere comportamenti sostenibili. Ma, e questo è il motivo principale, il grande sforzo della scuola, non può essere vanificato da atteggiamenti di irresponsabilità ambientale dei genitori. Proprio per questo, se volessimo identificare meglio il target, potremmo dire che sono i ragazzi e gli adulti a ricoprire principalmente il ruolo di utenti tipo della comunicazione.

contesti femminili

46. Nella pagina di lato si rappresentano tre schemi per individuare le differenze, nella scelta del target da raggiungere, tra le campagne tradizionali e il nuovo Piano. La selezione in beige tratteggiato rappresenta il target delle campagne tradizionali; La selezione azzurra è il nuovo obiettivo da colpire.

elites

raffinate

delfini

colleghe

commesse

arrivati

ccontesti ont sttii giovanili ggiovani iovanili massaie

impegnati liceali

donne adulte/non anziane istruzione media casalinghe

appartate +

organizzatori

appartate -

appartate sole

marginalità socio-culturali

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donne mezza età/anziane istruzione bassa casalinghe

uomini/donne giovani/adulti istruzione media lavoratori

esecutori

accorti

spettatori uomini/donne mezza età istruzione bassa casalinghe-pensionati

contesti maschili

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parte 3

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Personas 1. MAMMA APPRENSIVA Giulia è la giovane mamma di Luca (1 anno). Ha 34 anni e ama fare con il suo piccolo lunghe passeggiate. Per questo divertimento sceglie accuratamente le destinazioni e i percorsi da fare. Predilige i parchi di Milano, in particolare quelli della zona centro-ovest che sono anche quelli più vicini alla sua abitazione. Per il suo bambino vuole le cose migliori e più buone ed è per questo che si affida esclusivamente al negozio di Marilù che vende solo prodotti provenienti da coltivazioni biologiche. Con il marito da anni condivide la passione per i viaggi che non incidono troppo sull’ambiente prediligendo mete vicine e mezzi di trasporto a basso impatto. Vivono a Milano ma sentono questa città troppo inquinata. Vorrebbero per questo trasferirsi in periferia dove si può respirare un po’ di aria senza troppo smog. La loro casa ideale sarebbe una villetta completamente autonoma dal punto di vista energetico, con pannelli solari e soluzioni ecologiche e nella quale poter fare il compostaggio. Nel loro appartamento a Milano, per quanto possono, mettono già in pratica le buone abitudini sostenibili: hanno inserito un termostato attraverso il quale regolare la temperatura del riscaldamento e effettuano la raccolta differenziata da anni. Giulia dichiara che se a Milano ci fosse meno inquinamento non avrebbe il chiodo fisso della campagna.

Giulio e Caterina sono una coppia di giovanili anziani. Lui 69 lei 64 anni sono ancora arzilli e hanno voglia di fare ancora molte esperienze. Quando non si dedicano ai meravigliosi nipoti, con i quali adorano andare al parco nell’area riservata ai più piccoli, giocano a bocce nel circolo del quartiere e fanno lunghe passeggiate sui Navigli, dove abitano. Hanno una casa piccola ma con un grande tavolo per accogliere non solo i nove nipoti ma anche amici e conoscenti che radunano per far feste e cene. Caterina è una grandissima cuoca e con l’aiuto di Giulio prepara una pizza che tutti, nessuno escluso, ritengono sia squisita. Giulio possiede un pezzo di terreno poco fuori Milano e lì si diletta nell’orto. Tutti gli ortaggi che mangiano derivano dal suo orto. Da qualche anno però si è accorto che la qualità dei suoi frutti è un poco peggiorata a causa dell’inquinamento che sta ormai raggiungendo anche la periferia. Nonostante il fatto che di sostenibilità se ne parla da anni, è pur vero che solo nell’ultimissimo periodo il dibattito si è riacceso. Questo ha lasciato un po’ fuori i nonni che spesso non capiscono il problema e non hanno gli strumenti adatti a comprendere l’entità del danno e le possibili azioni per circoscriverlo.

Sxenario 1

Scenario 2

Giulia si accinge a fare una delle sue solite passeggiate. Oggi deve anche fare una commissione per cui prima di recarsi al parco con il piccolo Luca, prende la metro per andare nell’ufficio che le serve. Scende a Moscova e mentre ci accinge a uscire sente dei rumori. Inizialmente pensa che il passeggino di Luca si sia inceppato ma poi capisce che è proprio lei la fonte del rumore. Sente come dei passi ma oggi non ha messo i tacchi. Tra lo stupore delle altre persone che passano di lì si guarda intorno pensando ad uno scherzo ma poi la sua attenzione viene catturata da un monitor. Inizia la visione del video che è in esso proiettato e capisce tutto. I suoi passi sono troppo pesanti per il nostro pianeta, anzi ancor prima per la sua città. Finita la visione guarda il figlio divertito e decide di passare ancora una volta sopra quel magico tappeto invisibile. Luca è entusiasta. In mente sua Giulia pensa che quello è un buon metodo per attirare l’attenzione e comunicare così importanti informazioni. E poi si sente arricchita perché per quanto sia già sensibilizzata su questi argomenti, non conosceva l’accezione esatta di impronta ecologica e capisce che può fare ancora molto di più per rendere il futuro di suo figlio più sostenibile.

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2. NONNI SPRINT

Usciti per raggiungere il circolo delle bocce, Giulio e Caterina si imbattono in un’istallazione del tappeto “passi” in una zona molto frequentata del Naviglio Grande. Dapprima non ci fanno caso ma Caterina dopo qualche passo si ferma perché è insospettita dal rumore. Si guardano i piedi ma non vedono nulla di anomalo. Continuano per qualche passo ma si bloccano di nuovo. Alla loro sinistra inizia a lampeggiare qualcosa. Incuriositi si avvicinano e scoprono uno schermo. Subito inizia la video proiezione. Restano a guardarla per tutta la sua durata e alla fine si sentono stranamente vogliosi di fare qualcosa. Contenti perché il linguaggio usato era a loro accessibile e le soluzioni paventate attuabili anche da loro. Arrivano al circolo e raccontano dell’accaduto ai loro amici. Anche altri si erano imbattuti nell’istallazione e subito si accende un dibattito. L’argomento della serata è presto detto.

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parte 3

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3.. LE AMICHE DI SHOPPING

4. NEW ENTRY

Serena, Simona e Claudia sono tre giovani studentesse di liceo. Hanno 15 e 16 anni e fin da piccole abitano nello stesso quartiere. Dopo anni di giochi insieme sono ancora ottime amiche. Alla loro età sono interessate soprattutto ai nuovi cantanti, alle tendenze del momento e ai primi amori, per i quali a volte litigano. Spesso le tre amiche del cuore si ritrovano in casa per studiare insieme o per chiacchierare della scuola e dei sogni che hanno per il loro futuro. Claudia, anche detta “la mua” vorrebbe diventare una velina e fidanzarsi con un calciatore. La passione che accomuna più di tutte le tre teenager è però lo shopping. Escono spesso il sabato pomeriggio e vanno in centro per provare tutti i vestiti più strani. Alla loro età hanno altri pensieri per la testa e non pensano minimamente all’ambiente e la natura. Adorano stare all’aperto ma pensano che questi siano problemi da adulti e lasciano la responsabilità ai genitori o insegnanti. Tuttavia conoscono bene, molto meglio di molti adulti, le problematiche ambientali poiché a scuola se ne parla spesso e l’argomento è più volte ripreso dagli insegnati di italiano, filosofia e di scienze. Loro si limitano a fare la raccolta differenziata perché non conoscono il grande potenziale preventivo che ciascuno può mettere in campo per la Terra.

Antonio è un giovane di 23 anni. Laureato in Ingegneria all’università Mediterranea, decide di voler continuare la carriera accademica al Nord, dove iniziare ad ambientarsi poiché ha in programma di rimanere a Milano per il post laurea e l’attività lavorativa. È un giovane molto ben educato che non cerca a Milano avventure e vita scapestrata, tutt’al più tra un esame e l’altro si aspetta di divertirsi con gli amici che spera di conoscere presto, e passare molte serate in compagnia. Dei problemi ambientali e sociali ha una sua visione, tipica della mentalità del sud: i problemi da lui sono un po’ diversi perché lo smog non si sente e la natura è rigogliosa. Per quanto riguarda la sostenibilità ambientale è molto prevenuto perché la situazione del Mezzogiorno è poco rassicurante e anzi, preoccupante. Questa nuova crisi ha messo in ginocchio ancor più famiglie e molti si trovano in difficoltà serie. Antonio non sa che proprio le mafie speculano tantissimo sull’ambiente e la natura creando discariche abusive, facendo sparire navi piene di sostanze tossiche e costruendo con materiali pericolosi e per nulla ecologici, tanto da essere chiamate ecomafie. Inoltre ha una visione molto astratta della politica, pensa ancora, ma probabilmente lo spera solo in cuor suo, che gli uomini chiamati a governare lo facciano senza scopi secondari ed economici ma per amore dell’Italia e del bene comune.

Sscenario 3

Come quasi tutti i sabati pomeriggio le tre amiche sono in centro in giro per negozi. C’è una boutique in particolare dove non sono mai entrate un pò per vergogna un pò con la scusa che è particolarmente costoso. Quel luogo però le ha sempre affascinate e ogni tanto vanno ad affacciarsi o a vedere anche solo la vetrina sempre diversa e che richiama atmosfere esotiche di tempi ormai lontani. Oggi pensano che è da un po’ che non si recano al “loro” negozio, decidono quindi che è la giornata giusta per una visita. Sulla strada, una delle più strette e caratteristiche di Milano, iniziano a sentire dei rumori. Tutte stridulanti iniziano a chiedersi da dove può venire quel rumore così simile a passi. Si rendono conto ad essere loro a causarlo: quando sono ferme il rumore cessa improvvisamente. Non fanno in tempo a chiedersi cosa possa essere che subito vengono attirate da una lucetta che lampeggia là dove non c’è altro che un muro. Finito il video le ragazze si guardano stupite: sono rimaste impressionate da ciò che hanno visto e ognuna in cuor loro, senza rivelarlo alle altre, è sollevata dal fatto che ognuno di noi ha un peso così forte sulla città, sia in negativo che in positivo. Altra cosa che hanno appreso è il collegamento tra sostenibilità ambientale e sociale. Questo video è destinato a rimanere impresso nella loro testa per parecchio, quindi, magari non subito, a cambiare i loro atteggiamenti.

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Scenario 4

Da qualche giorno è a Milano e la città non ha ancora finito di stupirlo. Questi primi giorni sono serviti per annientare i residui dei pregiudizi che molti, non conoscendo la città, appioppano a Milano descrivendola come triste, grigia e chiusa. Antonio ha potuto constatare che non è affatto così e si aspetta ormai di tutto. Camminando per raggiungere l’università per consegnare la documentazione per l’iscrizione, si imbatte nell’istallazione “tappeto passi”. Proprio di fianco alla strada c’è un cantiere, Antonio pensa che i rumori provengano da li. Ma non ci mette molto per capire che è proprio lui a causare questi misteriosi rumori. Assomigliano a dei passi. Inizia il video proiettato sulla parete accanto a lui. Rimane ancora una volta incantato. Ecco Milano lo ha sorpreso nuovamente. È contentissimo di quello che ha visto: ha messo il giusto ordine nella confusione che aveva in mente riguardo l’argomento della sostenibilità e dell’ecologia.

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parte 3

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5. I NOVELLI

6. L’INTEGRATO

Matteo e Ilenia (30 e 28 anni) si sono sposati da pochi mesi. La loro convivenza da marito e moglie va a gonfie vele. Per i primi tempi hanno deciso di vivere a Milano. Originari del Veneto, si sono trasferiti anni fa nella città meneghina nella quale si sono sempre trovati bene. Tuttavia appena possono, e vista anche la vicinanza del loro paese di origine, scappano nella loro terra. Del veneto gli manca il mare (vivevano in una città costiera) in quanto grande distesa d’acqua dalla quale trovare pace e ispirazione. Sono infatti giornalista lei e architetto lui. Milano d’altra parte, offre loro la possibilità di lavorare e vivere in un ambiente più internazionale ed europeo. Abitano in zona San Siro in un piccolo appartamento. Presto per loro potrebbe essere troppo stretto e sognano infatti di andare a vivere un pò fuori città. Matteo ha già in mente il progetto per la sua casa. La loro zona ideale sarebbe nelle vicinanze del Parco Agricolo Sud, nei paesini tra Magenta e Abbiategrasso. Inizialmente pensavano di acquistare un costruire una villetta poi, tramite un amico, sono venuti a conoscenza dell’operato di un giovane sindaco che, a scapito dell’economia del suo paese, opera la politica della crescita 0. Costruire quindi non sembra più una buona idea. Hanno adocchiato un vecchio rudere e da quel giorno il loro pensiero è lì. Matteo si è già informato su come ristrutturarlo e come renderlo energicamente autonomo.

Husman è di origini indiane. Vive a Milano da quasi 15 anni, dapprima solo ma da qualche anno con tutta la sua famiglia: la moglie e i due figli di 13 e 4 anni. All’inizio della sua permanenza in Italia ha incontrato qualche difficoltà. Ha vissuto in diverse città, prima Roma, poi in alcune cittadine del Piemonte e infine è approdato a Milano. È la città che preferisce in assoluto. Gestisce un piccolo punto ristoro in zona Lambrate insieme alla moglie. I figli sono completamente integrati anche perché la più piccola è nata in Italia. Anche se si trova bene in città, inizia ad essere stanco del clima milanese, troppo dissimile al suo vecchio modo di vivere indiano: non c’è vita comune, non ci sono interessi comuni da raggiungere, ognuno lavora, opera e gestisce la propria vita in autonomia e indifferenza nei confronti di tutti gli altri. Tra vicini non ci si conosce, anche a causa de ricambio continuo a cui è soggetta Milano. Negli ultimi anni poi, la situazione è ulteriormente peggiorata: troppo smog, troppo inquinamento e pochissimo verde. Nelle giornate estive e durante il week end è solito andare, insieme ad altre famiglie al parco dell’idroscalo dove passa un pò di tempo in compagnia e nell’illusione di un pò di verde. A Milano sta bene, per adesso, ma il suo sogno è quello di tornare nella sua terra d’origine che non ha mai dimenticato e che ancora anela.

Scenario 5

Mentre ritornano a casa un pomeriggio, decidono di fare un salto al Parco delle Cave che si trova lungo il loro percorso. All’ingresso del parco vi è una strana struttura. Non capendo cosa sia continuano a camminare. Qualche metro più avanti i loro passi si sono fatti pesanti. Si bloccano di colpo e iniziano a scherzare. Si danno la colpa l’un l’altra per questo rumore ma, sempre scherzando proseguono. Subito appare, sulla parete alla loro sinistra, un pallino rosso. Rimangono a guardare e subito parte il video. Finito il video corrono al parco per godere di un po’ di sano verde.

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Scenario 6

In una ancora calda domenica di settembre, Husman dopo le insistenze dei suoi figli che vogliono giocare con gli amici, si reca al parco Forlanini. Oggi non aveva molta voglia, era stanco e aveva delle faccende da sbrigare in casa ma ha ceduto alle moine dei bambini. All’ingresso del parco c’è una sospetta folla radunatasi intorno a qualcosa che ancora Husman non riconosce. Vede tanti bambini che saltellano entusiasti e genitori e adulti che discutono li intorno. Si avvicina e per terra nota un “finto” tappeto che emana strani suoni e luci. Ad ascoltare meglio i suoni riproducono i passi e i salti delle persone che ci camminano su amplificandoli, rendendoli simili a passi di elefanti o animali pesanti. Anche i suoi figli scappano a giocare, e anche lui non resiste alla tentazione. La cosa che lo lascia più impressionato è il video che viene riprodotto nell’istallazione. Husman è convinto che iniziative di questo genere siano le uniche che possono riuscire a cambiare un po’ le cose, anche se è anche rassegnato al fatto che l’uomo non cambierà mai, particolarmente l’uomo occidentale che ha sempre messo al primo posto il suo profitto e interesse personale.

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parte 3

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7. L’IMPEGNATA Letizia ha 32 anni. È una giovane e attraente avvocatessa. È intraprendente e sfacciata. Le vince tutte. Ha una brillante carriera, per quanto ancora sia giovanissima. È la classica persona che vuole il meglio dalla vita così come pretende il massimo da se stessa. Di origini sarde, è arrivata a Milano parecchi anni fa per frequentare la Bocconi. Brillante studentessa, ha rimesso poi tutte le sue energie anche nel lavoro. Stacanovista di natura, non si risparmia, anzi fa sempre quel qualcosa in più che la fa risultare un gradino più in alto rispetto agli altri. Lavora fin troppo, molto spesso esce dall’ufficio tardissimo, anche a mezzanotte. La sua abitazione è in pieno centro, piccola ma dotata di ogni comfort. Purtroppo pero, per la vita che conduce, non riesce a mantenerla in pieno ordine e non fa assolutamente caso a raccolta differenziata, sprechi di energia e di gas. Mangia prodotti confezionati, le poche sere in cui rimane in casa. Esce quasi tutte le sere con i suoi amici, ne ha tantissimi grazie ai suoi contatti di lavoro. Va al cinema, a teatro, a qualche vernissage, insomma non perde occasione per fare vita sociale. Milano è dunque per lei la città, italiana, perfetta in cui vivere. Molto spesso viaggia, anche solo per il week end. Con questo sistema ha girato molte capitali europee. Ha una bella macchina e non si fa problemi ad usarla anche in città. È la classica ragazza moderna e metropolitana.

47. Il grafico mostra il grado di apertura o chiusura al cambiamento sia di opinione che di comportamento. Risulta che i più disposti a qualche sacrificio sono i giovani adulti perché hanno acquisito un grado di maturazione e istruzione tale da far comprendere l’importanza della vita e del benessere per tutti. I meno disposti a cambiare sono coloro che non hanno intenzione di perdere tutti gli agi conquistati o coloro che, anziani o stranieri, non conoscono i pericoli della loro condotta. I giovanissimi (adolescenti)di oggi, per l’alto tasso di ribellione e di assuefazione alle “tribù” difficilmente sono interessati a questi discorsi. Diverso il caso dei bambini oggi, che fra qualche anno prenderanno il posto dei teenagers, perché loro, sin da piccolissimi, sono stati abituati, o sarebbero dovuti essere stati istruiti, a scuola soprattutto, a comportamenti sostenibili. Per loro, se l’insegnamento è stato efficace, certi atteggiamenti non avranno più bisogno di essere messi in discussione perché ormai acquisiti e fatti propri.

Scenario 7

Una mattina Letizia ha molta fretta. È tornata da una settimana dalle ferie estive e giusto la scorsa notte ha rivisto gli amici. Per questo, tra un drink e l’altro, è rientrata veramente tardi. Di conseguenza questa mattina è un po’ stravolta. Mentre va a lavoro percorre la stradina abituale. Sarà la stanchezza o saranno i drink di troppo, Letizia sente che i suoi passi sono appesantiti. Inizialmente pensa sia solo colpa delle poche ore di sonno. Continua per la sua strada ma si rende conto che quel rumore proviene dalla strada. Il video la rapisce subito. Alla fine della visione è stranita. Ha appena assistito a un video che l’ha scossa. Non aveva mai pensato minimamente a questi risvolti della vita di ogni uomo. Ha sempre vissuto nella più totale ignoranza. Non conosceva il significato del termine “impronta ecologica” e non avrebbe mai pensato che tutte le sue azioni hanno delle conseguenze così importanti sulla vita di tutti gli altri abitanti del pianeta.

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3.3

il progetto

parte 2 Impronta ecologica L’impronta ecologica pag.194

Premessa Il concetto di ecodesign è applicabile a ogni diverso ambito dell’attività progettuale in quanto è possibile individuare un’insieme di questioni collegate o collegabili al tema dell’ambiente. In realtà siamo in un epoca in cui l’ambiente e la natura vengono “preservati”, o almeno così è dichiarato, grazie a prodotti sostenibili, energie pulite, campagne sociali di enti privati, mobili e arredamento ecologici, macchine a consumo ridotto, ecc. Tutti si impegnano, aziende, enti, amministrazioni, tutti tranne i cittadini. Questo non perché non sono interessati a questi temi, ma perché non li conoscono, non sono informati. Ci sono svariate fiere sul design sostenibile, tutte incentrate su prodotti. Numerose campagne pubblicitarie, di prodotti. Ma una buona campagna integrata, a parte qualche sporadico ma apprezzabile esempio delle grandi organizzazioni internazionali in difesa dell’ambiente, che parte dalle amministrazioni e rivolta ai cittadini non esiste ancora. Il comune si impegna a comunicare i suoi intenti, le sue attività, i suoi progetti. Ma non comunica il fatto che questi progetti hanno valore solo quando e solo se vengono appoggiati dagli atteggiamenti di tutta la cittadinanza.

sviluppo sostenibile, che si fonda proprio su questi aspetti, necessita prima di tutto di una presa di coscienza del cittadino che deve orientare il proprio vivere quotidiano verso comportamenti sostenibili nel tempo e fortemente orientati al rispetto delle regole. Bisogna promuovere quindi nuovi stili di vita anche perché, se tutti i cittadini del mondo vivessero come un europeo, avremmo bisogno di 2,6 pianeti per avere sufficienti risorse per tutti. Dobbiamo agire in concreto per promuove modelli di vita sostenibili. La sfida da cogliere è “vivere bene entro i limiti ecologici di un solo Pianeta”. Secondo i calcoli dell’impronta ecologica (Living Planet Report) la domanda ha superato l’offerta: cioè molti paesi, tra cui l’Europa, sono in debito ecologico, cioè consumano più di quanto i loro ecosistemi siano in grado di produrre. Dobbiamo agire in concreto per promuove modelli di vita sostenibili. Ciascuno di noi può fare moltissimo, nelle scelte quotidiane.
Tutto ciò ha a che fare con la sfera del comportamento: vivere ogni giorno rispettando la natura è un obiettivo tangibile che tutti noi possiamo perseguire, ma i comportamenti corretti non si improvvisano. Le iniziative di informazione e sensibilizzazione sono rivolte a tutti i cittadini e mirano a sviluppare capacità di valutazione, desiderio di partecipazione, senso di responsabilità.
Capire quanto pesano i nostri comportamenti è il primo passo per migliorarli: per questo forniamo strumenti di misurazione della nostra “impronta”, proprio per diffondere consapevolezza e spingere il maggio numero di persone ad adottare stili di vita sostenibili, perché la natura è la nostra assicurazione sulla vita. 48. Elenchi delle parole chiave del progetto. Sono divisi nelle categorie “contenuti” e “metodi progettuali”.

Per evitare che questo accada, perché se continuiamo così c’è questo rischio, converrebbe muoversi prima, creare una comunità ecologica, cercare di creare un love-mark, un brand per il quale la Terra, l’ecologia, l’ambientalismo assumano un valore comune e condiviso da tutti. Creare una “tribù” della Terra, con dei valori importanti, come fosse un brand vero e proprio. Un comportamento responsabile si traduce nel rispetto di un sistema di regole condiviso che orienta l’individuo verso comportamenti critici e razionali su molti aspetti del quotidiano: la gestione dei rifiuti, il rispetto di norme e principi del “vivere comune”, la tutela dell’ambiente, la salvaguardia e l’uso razionale delle risorse di un territorio, ecc. Lo

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Campagne passate

parte 1 La pubblicità Le fasi della comunicazione pubblicitaria pag.54

parte 1 La persuasione L’appello alla paura pag.78

In allegato alla tesi c’è un libretto che contiene molte delle più interessanti campagne sociali e ambientali realizzate fino a questo momento. Sono pubblicità vecchie e nuove, che hanno utilizzato tutti i mezzi, quelli tradizionali e quelli più innovativi del marketing non convenzionale. Sono campagne molto belle, ben riuscite e qualche volta efficaci. Ma efficaci a cosa? Siamo sicuri che con un semplice manifesto, un video, uno spot o una campagna di guerrilla si possa riuscire a modificare atteggiamenti? Difficile, anche solo per il fatto che sono campagne molto concentrate temporalmente, brevi e fugaci. Una volta passata non tutte lasciano il segno. Quali sono i punti di debolezza e in cosa si possono migliorare? Le risposte che si danno qui a queste domande saranno alcuni dei punti fondamentali sui quali baseremo il progetto di tesi e le scelte progettuali. 1. Fugacità. Troppo veloci e striminzite, anche sul piano territoriale. Una campagna può essere bella, piacevole, chiara, evocativa... ma lo scopo principale, e anche il più difficile da raggiungere, è che soddisfi gli obiettivi prefissati 2. Fini a se stesse. Ci si lamenta molto, ultimamente, del fatto che le pubblicità siano brutte, scordinate, poco originali. Questo fa sì che l’immagine che si restituisce al cittadino/utente, sia distorta dalla realtà. 3. Troppo dirette/ violente. Di fronte a queste campagne l’utente non può far altro che girarsi dall’altra parte. La paura, le minacce e il patetico non sono più elementi che possono attirare l’attenzione, tanto meno mantenerla e persuadere. 4. Divertenti, poco mirate. Sono quelle campagne che attirano l’attenzione di numerose persone, di tutti. Le campagne poco mirate hanno la “fortuna” di arrivare a molti ma lo svantaggio di non colpire nessuno in particolare. Novita’ apportate Partendo proprio dai punti elencati per descrivere le campagne sociali esistenti, si analizzeranno i nodi in comune e i molti più punti di distacco e diversificazione con il nuovo piano che si sta pian piano delineando.

Bisogni parte 3 Il progetto Come persuadere? pag.282

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Il capito dei bisogni, qualche pagina fa, descrive bene lo stato in cui versa l’umanità e in particolare il cittadino milanese. I bisogni primari sembrano essere ormai stati superati ma, si sta assistendo, pian piano, ad un cammino a ritroso o meglio, alla volontà di un ritorno alla tradizione, al passato, per riprendere in mano quegli elementi che con il passare degli

anni, con la continua ed estenuante corsa allo sviluppo a tutti i costi, con il mutamento della società, conseguenza di diversi elementi, per citarne:s lo sviluppo tecnologico che con le innovazioni tecniche ha permesso una produzione più veloce e diffusa, e un innalzamento del consumo, della voglia di avere. Questa “innaturale” evoluzione ha modificato i desideri degli uomini, ha modificato il modo di relazionarsi con gli altri, e i suoi bisogni. Ma oggi, il progresso e l’idea di sviluppo sono in declino e ormai spogliati di tutto il loro fascino. Perfino il progresso diventa “datato”, “tradizionale”. A far sognare, oggi, è quel mondo perduto che viene idealizzato. Il fascino del passato e della vicinanza sembra prevalere sempre più sull’attrattiva di un futuro fastoso in un pianeta interamente collegato online. Si verifica dunque un’inversione di polarità: “tradizionali”, oggi, sono la modernità e il progresso, così come “moderni” sono la tradizione e il regresso. Tutto ciò che non esiste o non esiste più, costituisce l’oggetto di una ricerca di tipo idealistico. Per questo, il bisogno di oggi è un ritorno al passato senza abbandonare però la consapevolezza di quello che siamo oggi, senza dimenticare che la bramosia di denaro e ricchezza non può portare a nulla di buono, ma solo a distruggere le relazioni sociali.

parte 3 Studio preliminare Il marketing tribale pag.242

Marketing tribale Dopo aver analizzato i bisogni e aver deciso cosa comunicare, il problema si sposta sulla scelta del metodo più indicato per raggiungere il target stabilito. I valori persi durante la corsa allo sviluppo sono stati in particolare quelli relazionali, che coinvolgono la sfera affettiva. Abbiamo perso i contatti con gli altri e, particolarmente a Milano, città ostica e difficile, dove mantenere o creare relazioni con gli altri è sempre più complicato. Il lavoro prima di tutto ci prende troppo tempo, quasi tutto il giorno; la diffidenza, l’individualismo, la paura del prossimo, soprattutto quando è straniero. Per questo motivo si affida la campagna di sensibilizzazione al marketing tribale per tutta la prima fase che chiameremo teaser. Per questa fase ‘0’, sono previsti degli espedienti che riescano a formare una coscienza collettiva della città di Milano e dei suoi abitanti. Vista la complessità della rete di relazioni da intrecciare, è necessario iniziare a formare delle piccole unità comunitarie, che definiamo e corrispondono ai quartieri della città. Poi si procede e si creano delle zone più grandi, che hanno in comune delle problematiche da risolvere. Il terzo step è quello di unificare tutte le zone e quartieri e creare la nuova Milano. Che vive di relazioni tra uomini, tra quartieri e tra zone. Un centro aperto all’altro. Prima di tutto quindi bisogna identificare le tribù, nel nostro caso le tribù vanno “formate”, create laddove non esistono ancora.

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parte 3

il progetto

Come persuadere? Dopo la fase ‘0’, inizia la comunicazione vera e propria, fatta di diversi momenti, nei quali si informa e si “dialoga” con il cittadino su diversi argomenti e diversi aspetti dell’impronta ecologica. Ma come fare per comunicare questo tipo di messaggio e per persuadere a modificare atteggiamento? Ricordiamo che gli atteggiamenti sono valutazioni positive o negative composti da: - elementi cognitivi, ossia convinzioni, credenze, pregiudizi e conoscenze sulla facilità di alcuni studi, la prestigiosità di alcune carriere, ecc. - elementi emotivi, anch’essi basati su pregiudizi e stereotipi, come l’interesse verso un settore, o anche la noia o la fatica evocate da determinate professioni - elementi conativi, cioè volontà di azione, modi di intervenire, comportamenti in cui si affronta preferibilmente un situazione o un argomento. parte 1 La persuasione Un pò di storia pag.68

Un atteggiamento favorevole o sfavorevole si forma con la soddisfazione di un bisogno. La stabilità di un atteggiamento dipende da: 1. Multilateralità, ossia da quanti elementi, di natura cognitiva, emotiva e comportamentale, compongono l’atteggiamento. 2. Coerenza tra elementi cognitivi, emotivi e comportamentali, se cioè sono tutti positivi o tutti negativi, a meno che non abbiano subìto un effetto artificiosamente omogeneizzante. Infatti, ogni elemento discorde rischia di venir forzatamente conformato alla tonalità generale. Un utile esercizio per valutare l’intensità degli atteggiamenti è quello di enumerane tutte le componenti che lo compongono, contarle e valutare quanto sono coerenti tra loro. Enumerando anche le note negative.

parte 3 Il progetto Bisogni pag.280

3. Interconnessione, ossia quanto sono interconnessi o isolati i vari elementi dell’atteggiamento. Un eccesso di interconnessione è dannoso perché crea un’ideologia, ossia un sistema di credenze molto resistente al cambiamento, anche quando esposto a informazioni contrarie. 4. Numero dei bisogni soddisfatti e relativa priorità. Un atteggiamento è stabile se soddisfa numerosi bisogni e se tali bisogni sono gerarchicamente importanti per la persona. Questo è uno dei problemi principali della possibilità di fallimento nella comunicazione perché si deve far capire che il bisogno di benessere e di relazionarsi con gli altri vengono prima di tutti gli altri “finti” bisogni. Si deve comunicare bene che se sentiamo il bisogno di una vita migliore, questo potrà essere soddisfatto reagendo positivamente alla campagna di persuasione che stiamo mettendo in atto. Dobbiamo mostrare agli

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utenti, come riuscire a vivere un pochino meglio, creando delle scale di valori che contrastano con le loro attuali. Per riuscire a far cambiare atteggiamenti si deve dare la possibilità di: - possedere informazioni aggiuntive; - cambiare le motivazioni del comportamento; - capire che quelli passati erano determinati da una moda passeggera o soddisfacevano pochi bisogni e non prioritari. A questo punto dobbiamo fare in modo che il cambiamento sia cogruente: - Congruente se si accresce la valenza, per cui un atteggiamento positivo diventa più positivo: gli atteggiamenti hanno la spontanea tendenza a intensificarsi. - Incongruente se c’è una conversione da positivo a negativo. Questa è una circostanza molto più rara, in genere dovuta ad atteggiamenti motivati da mode. E’ più facile farsi un’opinione che cambiarla. Per cambiarla occorre indebolire le resistenza che la mente oppone per difendere la sua stabilità. Cambiare opinione significa rompere un equilibrio, cadere nel caos e dover faticosamente ricreare un nuovo equilibrio. Una volta creata un’opinione, la mente si affezione ad essa e cerca in tutti i modi di preservarla.

parte 1 La persuasione La struttura del messaggio pag.86

Non basta quindi incrementare la quantità di informazioni su un dato argomento per cambiare opinione su quell’argomento, perché la mente non è permeabile a tutte le informazioni, non è predisposta a riceverle tutte indistintamente. Seleziona solo quelle che confermano l’opinione che già si possedeva su un argomento e non si fa condizionare da quelle contrarie. E’ più facile quindi cambiare opinione in senso congruente che incongruente: quando si ha un’opinione positiva su un argomento, aumentando le informazioni su quell’argomento, l’opinione tende a rafforzarsi e a diventare più positiva, oppure, se negativa, tende a diventare più negativa. Spesso ci si irrigidisce su una posizione, ci si fissa su una scelta che si vuole effettuare, ma che spesso non è realistica, non è libera perché frutto di condizionamento o mode transitorie, e sarebbe opportuno cambiarla, ma la mente tenderà a preservarla, quindi anche se ci si espone a informazioni che ne discutono l’attendibilità, che evidenziano come sia inopportuna, la mente si irrigidisce ulteriormente, si oppone cercando argomentazioni a proprio sostegno. È più facile che si compia una scelta ottimale, che si agisca con equilibrio, se si parte da una posizione di neutralità piuttosto che da una posizione già molto marcata, sia in senso negativo che positivo. In sintesi, la quantità delle informazioni non è sufficiente a cambiare

parte 1 La persuasione Comunicare o persuadere? pag.70

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parte 3

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atteggiamento, le informazioni sono filtrate emotivamente e si tende a coglierne gli elementi più suggestivi o quelli in linea con atteggiamenti pre-esistenti. parte 1 La persuasione L’appello alla paura pag.79

parte 1 La persuasione La fonte pag.73

49. Manifesto Virtual Water. Con una grafica semplice e intuitiva comunica il nostro consumo di acqua quando mangiamo cibi o facciamo altre attività. Per ogni attività umana c’è un consumo di terra e di acqua.

La comunicazione in atto mira a scuotere prima il percorso periferico, colpendo il cittadino per attirare la sua attenzione. Questa fase è la fase ‘0’, il teaser della comunicazione vera e propria. Nelle fasi successive invece, quando l’attenzione è già catalizzata sull’argomento, si tenderà a colpire il sistema centrale, e quindi a fare in modo che l’opinione cambi in manira definitiva e “congruente”. Quando un altro tenta di spiegare razionalmente a noi stessi l’inopportunità di un atteggiamento, può scatenare atteggiamenti rigidi e difensivi. Ciò tende a scatenare una rabbiosa difensiva che porterà ad irritazione e difesa della propria legittimità. Cambia inoltre la sensibilità verso le fonti di informazione: persone più colte tendono ad attribuire più credibilità a quelle scritte, lette su giornali o siti di settore, mentre quelle meno colte tendono a reperirle e ad affidarsi a quelle televisive. Si è più sensibili anche verso informazioni che la persona cerca attivamente piuttosto quelle passivamente ricevute. Verso le informazioni in entrata, la persona effettua una comparazione per misurarne la conformità alle aspettative e alle convinzioni del suo gruppo e la loro eventuale approvazione. Visualizza come reagirebbero genitori, colleghi, amici alla sua scelta, o altre figure di riferimento.

Impronta ecologica

parte 2 L’impronta ecologica Questa grande sconosciuta pag.191

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Ecco il perché della scelta di comunicare in particolare, l’aspetto dell’impronta ecologica: non molti sanno cos’è e questo è un vantaggio perché ci permette di comunicare a persone che non hanno radicata nella loro mente, un’idea su questo contenuto. Questo facilita di molto il compito: non c’è nessuna idea da cambiare. In realtà atteggiamenti da modificare ce ne sono parecchi però si ha così uno strumento forte perché si può formare una conoscenza di questo contenuto, totalmente da zero e in maniera non discontinua. Con i diversi momenti del piano marketing, dedicati a comunicare cose diverse e con modalità diverse, si può creare un’idea completa e a tutto tondo della questione. L’idea di comunicare l’impronta ecologica è un pretesto per far capire quanti atteggiamenti sbagliati si assumono tutti i giorni a discapito nostro e di tutti gli altri cittadini. L’informazione circa questo tema dovrà avvenire in maniera ironica, senza allarmismi inutili o appelli alla paura. Questi strumenti servono a catturare l’attenzione per brevissimo tempo, non riescono però a modificare atteggiamenti a lungo termine: una volta finita la comunicazione, non ce se ne ricorda più. Di seguito riportiamo un’immagine che fa capire come si può comunicare in maniera semplice e diretta l’idea di impronta ecologica.

50. Grafico: Impronta ecologica per zone, 2005

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parte 3

il progetto

Marketing mediterraneo Dopo la fase ‘0’ arrivano i successivi momenti della lunga campagna di sensibilizzazione circa la sostenibilità sociale a ambientale. Come è stato decretato nei paragrafi precedenti, l’obiettivo principale del Piano è quello di accompagnare i progetti dell’amministrazione comunale di Milano con una comunicazione che sensibilizzi sui temi della sostenibilità sociale e ambientale. Il modo migliore per affrontare il faccia a faccia con l’utente è sembrato quello che si discosta dal classico marketing. Molti elementi sono stati acquisiti dal marketing non convenzionale, in particolar modo, per queste fasi successive al teaser, il marketing mediterraneo che ben si presta alla comunicazione sociale. Questo perché l’uomo post-moderno ha delle necessità diverse. Il marketing mediterraneo non è aggressivo, non si erge al di sopra degli utenti ai quali si rivolge. Ma il dialogo, e non monologo, si svolge tra due parti, anzi ascoltando e tenendo ben in considerazione ciò che l’uomo ha da dire. La comunicazione sarà mirata per essere adatta all’orecchio e all’occhio che la deve ascoltare e vedere, a chi la vivrà. Come scrive Margherita Pillan in uno dei suoi scritti, per progettare oggetti, edifici o città é sempre necessario comprendere gli uomini destinatari di quei progetti ed, insieme, cogliere il contesto in tutte le sue sfumature: tecnologiche, economiche, fisiche e culturali. Soltanto da un progetto in grado di integrare virtuosamente tutti questi aspetti può nascere un intervento capace di garantire, nel tempo, Qualità. 100

parte 1 Il marketing Il marketing nella storia e nella società pag.91

parte 1 La persuasione Un pò di storia pag.68 parte 1 La persuasione Le richieste che vincolano pag.86

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100

Pillan, Sancassani, Il bit e la tartaruga, Apogeo, 2004

41. Schemi riassuntivi dei vari tipi di marketing che saranno utilizzati come strumenti strategici, per sviluppare il progetto

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parte 3

parte 1 La persuasione Un pò di storia pag.69

parte 1 La persuasione La struttura del messaggio pag.73

il progetto

Le fasi del Piano L’obiettivo principe del progetto ricopre una gamma di tante situazioni troppo complesse perché si risolvano con una mandata. Convertire la vita di un uomo è difficilissimo, figuriamoci modificare le abitudini, intrise di relazioni sociali, di un’intera città anzi metropoli come Milano. Questo però diventa possibile, non facile attenzione!, se si riesce a comunicare bene il fatto che l’inversione di marcia alla quale si aspira, non è solo un atto dovuto alle nuove generazioni o, troppo genericamente, al nostro pianeta; questo è auspicabile per la nostra stessa vita, per quello di ciascun abitante. Le condizioni per raggiungere uno stato di vita “sostenibile” devono essere conquistate piano piano. Come si è visto un improvviso blocco dell’economia e della produzione crea solo un collasso difficilmente recuperabile. Per la complessità del messaggio da veicolare si è deciso di ripartire il piano marketing in quattro parti diverse. Questa soluzione è stata scelta proprio perché non c’è in gioco la semplice comunicazione di qualche evento o iniziativa ecologica, non bisogna pubblicizzare un nuovo servizio del comune o di enti privati, ma si tratta di colmare quel vuoto conoscitivo che, la scarsa e a volte faziosa informazione, lascia nei cittadini. Queste quattro parti (più una iniziale) corrispondono non solo a diverse tipologie di comunicazione (diversi supporti, diversi metodi, diverse strategie) ma anche a quattro tempi diversi. Tempi fisici perché si lascia il giusto spazio al fruitore della comunicazione per percepire, interiorizzare e agire successivamente di conseguenza. Queste fasi sono: 0. Teaser 1. Informare 2. Proporre soluzioni 3. Chiamare all’azione 4. Rendere partecipi dei risultati.

0. Teaser (fase di azzeramento) Questa è la primissima fase del progetto. È necessaria per iniziare a far incuriosire, ad attirare l’attenzione su questi argomenti. In questo tempo, che precede il vero Piano marketing si deve comunicare bene il fatto che la campagna che seguirà non sarà noiosa, formale e opprimente. Non sarà la solita comunicazione che mette paura, che deve a tutti i costi convincere con la forza, ma proprio grazie alla strategia del marketing mediterraneo, sarà ironica e istruirà o informerà in maniera sottile, gentile. Non vuole solo mettere in guardia dai pericoli della nostra condotta, ma anche dare soluzioni. È inutile impaurire, immettere nell’uomo angoscia

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e disperazione. Bisogna piuttosto far vedere che una strada diversa è possibile e anche, tutto sommato, facile da percorrere. Che comporterà qualche sacrificio, ma che ne vale la pena, alla fine dei conti.

1. Informare Intorno alle questioni ambientali c’è sempre molta disinformazione. Questa situazione a volte è aggravata dalla cattiva informazione, che può far più danni che una placida ignoranza. I cittadini di Milano, stando alle risposte date al questionario, considerano la loro città poco verde e sostenibile. Effettivamente i ritmi di Milano, la sua posizione geofisica e la conformazione stessa della società non possono considerarsi sostenibili. La vita di Milano, più che quella di altre città italiane, è legata strettamente all’economia. Da questo punto di vista è molto stimolante fare un progetto proprio in questo ambiente ricco di contrasti ma anche di potenzialità. Gli elementi in gioco sono tanti, complessi a volte contraddittori. Le persone che compongono la società sono raggruppate in tribù molto profilate ma allo stesso tempo ne frequentano, o hanno a che fare con più di una. Questo aspetto emerge chiaramente leggendo i profili descritti nel capitolo dei personas. In questa prima fase tutti i cittadini di Milano verranno informati. Sarà comunicato loro lo stato di salute nella città e gli sarà spiegato il concetto di impronta ecologica. Le numerose postazioni saranno collocate in punti strategici: stazioni della metropolitana, luoghi di grande affluenza e anche nelle periferie. Le istallazioni hanno in sé anche un aspetto ludico che permette di “fare direttamente esperienza” per fare in modo che il messaggio sia più chiaro, percepito e memorizzato. Le informazioni riguarderanno l’impronta ecologica e in particolare verteranno su questi argomenti: - milano, numeri - progetti del comune - cos’è l’impronta - esempi: - mobilità e trasporti - alimentazione - acquisti - verde cittadino - cemento (urbanizzazione) - rifiuti - acqua - riciclo - minori consumi

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parte 3

il progetto

2. Proporre soluzioni

52. Piano di azione, suddivisione temporale.

La seconda fase del progetto prevede uno sviluppo dell’informare, ovvero prevede di dare all’utente gli strumenti per iniziare a mettere in atto il cambiamento. Tutto questo è veicolato tramite un messaggio semplice che spinga al pensiero e che faccia davvero capire agli abitanti di Milano che per poter avere una vita più sana e migliore devono rimboccarsi le maniche e iniziare dal loro piccolo. In questa fase si distribuiranno per Milano delle istallazioni che serviranno per permettere a tutti di calcolare la propria impronta ecologica. Tramite questeistallazioni, si raccoglieranno i dati in un database che andrà a formare prima una main-list del sito/social network che nascerà per accorpare idee, consigli sulla propria esperienza.

3. Chiamare all’azione Questa probabilmente è la fase più complessa di tutto il progetto poiché è il banco di prova nel quale si misura la riuscita o meno della campagna di sensibilizzazione. A questo punto, i cittadini informati del problema e delle possibili risoluzioni sono pronti a recepire le indicazioni per stravolgere la loro vita in meglio rendendola più sostenibile.

4. Rendere partecipi dei risultati

parte 1 La persuasione Il paradosso dell’argomentare pag.81

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Questa fase del lavoro è molto delicata ma fondamentale. Da recenti studi è emerso che molti utenti non credono in ciò che le pubblicità, particolarmente quelle a sfondo sociale e ambientalista, sia ingannevoli. Sono portati a pensare che le istituzioni, gli enti e tutti gli attori coinvolti non continuino e portano a termine il lavoro e le fatiche iniziate da loro stessi. Esempio lampante è quello associato alla raccolta differenziata. Il cittadino ligio al dovere, fa la raccolta differenziando i vari materiali ma se non riceve un feedback è propenso a pensare che una volta raccolti i rifiuti vengano gettati tutti insieme nuovamente. È molto importante invece farlo partecipe della filiera che sta dopo, la filiera che è messa in moto dai suoi gesti e dalle sue azioni. Anche questa fase, quindi, è molto incentrata sull’informazione ma può anche servire come call to action poiché può portare il cittadino sospettoso, a convincersi che effettivamente le soluzioni adottate e suggerite non sono fini a se stesse ma fanno parte di un più ampio sistema che lavora per far si che il contributo di tutti sia valido.

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parte 3

il progetto

53. Mappa delle postazioni a Milano delle istallazioni e degli eventi del Piano di Azione

55. Proposta di Concept Visivo per il Piano di Azione

punti di azione

Malpensa RHO Fiera Milano

Sondrio

Piazza Firenze Loreto Caiazzo

Centrale FS

Gioia

SOSTENIBILE

P.ta Garibaldi

Lima Repubblica Mosco va Cascina Gobba

Lampugnano

Turati Porta Venezia

Amendola Fiera Lanza Palestro Buonarroti Montenapoleone Cadorna FNM Pagano Wagner

Piazza del Tricolore

Cairoli Conciliazione Piazzale Baracca

De Angeli

San Babila

Cordusio Duomo

Linate

Piazza Cinque Giornate

Sant’Ambrogio Missori

Sant’Agostino

Crocetta

Porta Ticinese Porta Genova FS

Porta Ludovica Porta Romana

Famagosta

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parte 3

parte 3 Studio preliminare Un’analisi sociologica per introdurre il marketing tribale pag.239

il progetto

La fase ‘0’: Teaser Obiettivo principe, come da brief, è quello di rendere i cittadini più attivi e dare loro la possibilità di sentirsi partecipi della vita della città. Inoltre, anche il marketing tribale e mediterraneo ci ricordano questo. Avvertono che è essenziale individuare una determinata categoria, una tribù ma quello che si vuole fare qui va oltre perché non si limita a cercarli e catalogarle, ma tenta di “creare” quasi ex novo, un gruppo attento a queste tematiche, che fa da leader e diffonda la buona notizia. Per far questo e per creare una identità forte e riconoscibile, si è pensato di dividere Milano in quartieri, non zone, ma piccoli agglomerati. Il comune, nel documento PGT, divide Milano in 4 macrozone: centro storico, area ovest (san siro, etc), l’area sud (che comprende anche zona romana) e infine la zona nord. Queste suddivisioni sono assolutamente insufficienti a causa del flusso migratorio. Per questo motivo si è deciso di iniziare a creare delle micro-zone che chiamiamo quartieri.

Criteri di individuazione dei NIL I Nuclei di Identità Locale non sono delineati come unità amministrative dai confini rigidi ma corrispondono ad ambienti dai confini variabili, in grado di modificarsi, sovrapporsi, sconfinare l’uno nell’altro. Non si è proceduto pertanto nella ricerca di un confine geometrico che potesse identificare i nuclei e distinguere gli uni dagli altri ma si è utilizzato piuttosto un criterio inverso, quello dell’individuazione di un sistema di centralità locali che rendessero riconoscibili e nominabili i differenti quartieri dell’area metropolitana. L’identità di un ambiente urbano o di un quartiere, come è noto, è determinata del sistema di relazioni che lo caratterizza, e queste, a loro volta, trovano la loro naturale collocazione negli spazi pubblici e collettivi. E’ per questo che i criteri di identificazione delle centralità sul territorio sono connessi all’individuazione dei luoghi urbani ad alta frequentazione pedonale. Il processo di identificazione commissionato dal Comune di Milano e coadiuvato dal lavoro condotto da Urb&com sulle concentrazioni commerciali di negozi al dettaglio della città è stato un utile strumento di lettura e verifica degli ambienti urbani maggiormente frequentati della città. La presenza di concentrazioni commerciali locali diviene infatti un indice di alta frequentazione pedonale che segnala a sua volta la presenza di un tessuto edilizio poroso, aperto cioè su strada e ad esempio disponibile ad accogliere funzioni e attività collettive all’interno delle proprietà private. Alle concentrazioni locali di commercio come criterio identificativo della centralità si è associata anche un’analisi prettamente morfologica, che ha messo in evidenza i sotto sistemi urbani che si sovrappongono, talvolta si affiancano, interrompono e arricchiscono lo storico impianto radiocentrico della città.

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Questa lettura se da un lato si è dimostrata un’ulteriore verifica del lavoro di Urb&com, poiché si è potuta constatare una sovrapposizione tra le emergenze morfologiche nel tessuto urbano e le concentrazioni commerciali locali33, dall’altro è servita a mappare sistemi di centralità potenziali, forme urbane da progettare e attraverso le quali è possibile costruire nuovi sistemi spaziali di qualità e vitalità urbana.

Suddivisioni in zone 1. Quartieri. Questi quartieri avranno ciascuno una forte identità e ruoteranno attorno a piazze, strade e punti di ritrovo. Queste piccole zone non dovranno mai essere chiuse in se stesse, ma anche il punto centrale (piazza o altro) dovranno essere il punto di partenza e di ricongiungimento con il resto della città. Non esisteranno confini, se non quelli naturali creati dai rapporti umani. In questo modo ogni quartiere avrà una forte identità e, come tale, si confronterà con tutti gli altri della città. Saranno aperti a tutti, pronti ad accogliere chiunque passi da lì. In breve, piccoli quartieri non chiusi in se stessi ma aperti alla città e agli abitanti delle zone limitrofe e di tutta la città. 2. Zone. Sono più grandi dei quartieri e ne inglobano diversi al loro interno. Sono le zone di Milano già idealmente create in passato. 3. Macro-zone. Sono maxiraggruppamenti di quartieri. Sono 4, le stesse designate nel Piano di Governo del Territorio di Milano: - centro storico. Città consolidata - zona Est. Città lineare est del Lambro - zona Sud. Parco Sud - zona Ovest. Città trasversale Nord Milano - zona Nord. Foglia della Brianza

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parte 3

il progetto

55. Mappa di Milano con le suddivisioni dei quartieri

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56. Divisioni in macro zone di Milano

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parte 3

il progetto

Tappeto “passi” Abbiamo detto che la prima parte della comunicazione deve colpire l’attenzione e iniziare e porre dei quesiti, a inculcare degli interrogativi nei cittadini. Il modo migliore per farlo è quello di fargli vivere l’esperienza direttamente, di far vivere sulla propria pelle qualcosa che possa poi mettere curiosità. Come anticipato nella prima parte della tesi, nel capitolo del marketing, il modo migliore per far ricordare qualcosa a qualcuno è quella di fargliela vivere in prima persona. Questo è uno dei principi del marketing esperienziale e polisensoriale. parte 1 Il marketing Guerrilla marketing pag.124

Bisogna realizzare, dunque, qualcosa che catturi l’attenzione, che sia “gentile” e che coinvolga il cittadino in prima persona. Ricapitolando i punti chiave proposti fin’ora (impronta ecologica, sostenibilità, localizzazione della città, cittadini, peso dell’uomo sull’ambiente), si è arrivati a pensare ad una istallazione che riunisca in se stessa tutti gli elementi fin qui elencati. Questa idea si è trasformata nell’istallazione di un tappeto invisibile che risponde alle stimolazioni del peso delle persone che passano sopra. Il tappeto invisibile si può sincronizzare ai passi creando diversi effetti: musiche, rumori, stimolazioni visive, etc. Si è scelto quindi di associare i passi delle persone che ci camminano su, con quelle di passi più pesanti, per sottolineare il fatto che il nostro peso sulla Terra, e sulla città in particolare, è troppo pesante. Che noi pesiamo più di quel che dovremmo. In media, noi italiani consumiamo 2,6 volte in più di quello che la Terra può supportare. Ogni cittadino ha richieste che Milano non riesce a soddisfare, ma solo perché siamo noi che pretendiamo troppo. Per esempio ci sono più macchine di quelle che potrebbero circolare e questo causa molti danni, non sono inquinamento e smog, ma anche difficoltà a trovare parcheggi liberi, traffico intenso e quindi anche stress. E questo è solo un esempio. Si potrebbero citare: consumo del suolo (che a Milano è un vero business), uso spropositato di energia (luce, gas), consumo di acqua, etc. Invece che far generare musica o rumori sconnessi, si è deciso di collegare il passo dei passanti al rumore più amplificato dei loro stessi passi. Questo per far capire che il nostro “passo” sulla Terra è troppo pesante. Lo si paragona a quello dei dinosauri, esseri sicuramente più grandi di noi e che quindi hanno bisogno di maggiori risorse. L’associazione al dinosauro è voluta perché il dinosauro è visto come un predatore, un animale che cattura, depreda, fa razzie di qualunque cosa. Nell’immagine figurata che si vuole lasciare al cittadino, c’è quella del

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57. Studio grafico e realizzazione di “Saulo”, il dinosauro che accompagna tutta la prima fase della comunicazione

dinosauro-uomo, che depreda la Terra, e la città di Milano in questo caso, di tutte le risorse disponibili, senza pensare nè agli altri nè alla propria sopravvivenza. L’immagine del dinosauro, che comparirà in un video di fianco all’istallazione, è molto grafica e simpatica. Vuole smorzare il messaggio che si sta dando. Il messaggio che accompagna l’istallazione del “tappeto passi” è chiaro, sottile ma esplicito. Anche se non è esplicito a cosa faccia riferimento. È un vero e proprio teaser, che mette in campo alcuni elementi ma ne cela altri. La frase: “Non fare il dinosauro. Loro si sono estinti”, riprende le considerazioni fatte nel capitolo relativo alla persuasione: - questa comunicazione non è commerciale, ma “sociale”, per questo si parla di dissuasione, perché dissuade dal fare qualcosa di sbagliato, che comporterà dei danni; - per questo, è più efficace far presente una perdita (se non fai... allora...) piuttosto che un possibile guadagno. Siamo più sensibili e quindi più motivati a evitare le perdite eispetto al conseguimento di un guadagno.

parte 1 Il marketing Psicologia di marketing e tecniche di marketing nei nuovi media pag.111 parte 1 Il marketing Linguaggi sinestetici pag.115 parte 1 La persuasione L’appello alla paura pag.79

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parte 3

il progetto

58. Storyboard del video animazione “Saulo”, proiettato sul muro durante l’istallazione del Tappeto “Passi”

Tappeto sonoro Il principio di funzionamento consiste essenzialmente nel produrre il cambiamento di stato di un segnale elettrico nel momento in cui sulla superficie del sensore del “tappeto sensibile” viene esercitata una forza superiore ad una prestabilita intensità. Il peso di una o più persone, sempre che questo superi una soglia preordinata, determina la chiusura del contatto posto all’interno del sensore: la chiusura del circuito che fa capo a detto contatto viene elaborata dal dispositivo di controllo che provvede un feedback predefinito. Esistono diverse applicazioni di tali tappeti: una delle più importanti è legata alla sicurezza. in questo caso il tappeto segnala l’intrusione. Ma il tappeto può diventare anche un player musicale: dalla versione radio che cambia stazione camminandoci sopra, alla postazione multimediale per ascoltare musica da sdraiati.

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ringraziamenti

Grazie a tutti coloro che mi hanno aiutato nella realizzazione di questo progetto, nel corso di questi anni di studio e nell’intero cammino della mia vita. Grazie ai miei genitori per avermi sempre sostenuto con il loro amore incondizionato che è stato la mia forza nei momenti di sconforto e difficoltà. Vi sono veramente grata per il dono della vita e per i tanti insegnamenti che terrò sempre presenti, per avermi fatto conoscere un Cammino di Fede che mi sta dando una vita nuova. Grazie Antonio, Simona e Claudia, fratellini miei, perché, anche se non siamo nella stessa città, riuscite a farmi sempre sentire parte della famiglia, colmando col vostro affetto la distanza che ci separa. Grazie cari nonni, la vostra saggezza mi ha sempre accompagnata e mi guida ancora oggi, in tutte le scelte che devo affrontare. Grazie a tutti voi zii e cugini, il vostro affetto è stato un sostegno sempre. Grazie a tutti i docenti che nel corso dei miei studi mi hanno trasmesso il loro sapere. Un ringraziamento speciale alla Professoressa Marisa Galbiati per avermi guidata nella realizzazione di questo progetto e verso la conclusione del mio percorso universitario, con la Sua professionalità e il suo sapere. Un pensiero a tutti i miei colleghi di corso, prima fra tutti la Susy, mia compagna nello studio e amica nella vita. Grazie Roberta, non sò cosa avrei fatto senza di te in questi mesi di studio. Grazie ai miei fantastici colleghi: Adam, Andrea, Andreea, Anouck - la sua interpretazione è degna di nota -, Elia, Fabio - consulente tecnico e aiuto fondamentale per la realizzazione di questo progetto -, Federico e Laura... e i ‘ragazzi’ della Tech. Non posso non ringraziare Franco, il mio Capo preferito. Grazie a tutti i miei amici e tutte le persone che ho conosciuto in questi anni. Simone, grazie mille. Grazie perché mi hai dato la possibilità di conoscere una splendida persona e innamorarmi di te. Grazie per il tuo sostegno in questo periodo così impegnativo. Questo traguardo è solo il primo di moltissimi che spero di raggiungere insieme a te.

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