S&H Magazine n. 277 • Ottobre 2019

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MR. ALFRED Un maggiordomo

virtuale per il turista di ALESSANDRO LIGAS

«Buongiorno, potrebbe indicarmi la strada per il Bastione?»

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uesta è una delle tipiche frasi che si sentono rivolgere i gestori delle attività ricettive, a Cagliari, dai turisti che si vogliono addentrare alla scoperta dei suoi monumenti. Ma non solo. “È possibile prenotare la navetta per andare in aeroporto?” come anche “Vorremmo pranzare che ristorante ci consiglia?” oppure “Saremmo interessati a fare il giro della città, quale tour ci indica?”. Tutte informazioni che i gestori delle strutture extralberghiere offrono ai vacanzieri e che da oggi potranno essere reperibili grazie ad un nuovo strumento al passo con la vocazione digitale dell’isola: Mr. Alfred (alfredtrip.com), il digital concierge a disposizione per il turista. L’applicazione è stata inventata da un gestore di un’attività ricettiva di via Roma a Cagliari, Marco Galletta, che per il suo sviluppo ha coinvolto circa

centosettanta aziende che operano nel settore extralberghiero tra bed and breakfast, affittacamere e case vacanza che tutt’oggi stanno sperimentando l’app. “L’idea è nata circa tre anni fa – spiega il fondatore di Mr. Alfred – ed è emersa da un gruppo WhatsApp di strutture extralberghiere cagliaritane che ha messo in evidenza una esigenza che quotidianamente riscontriamo: tutti i giorni cerchiamo di dare consigli ai nostri ospiti dando loro indicazioni per impiegare bene il tempo da trascorrere in città. Da qui abbiamo voluto integrare il nostro lavoro con un’app”. Un maggiordomo virtuale che non sostituisce il servizio di accoglienza, “come strutture ricettive – sottolinea Marco Galletta – è importante avere sempre un rapporto coi nostri ospiti”, ma che lo completa. Grazie all’applicazione gli ospiti possono consultare la mappa digitale della città, prenotare i ristoranti, tour, ma anche servizi dedicati alla persona come parrucchieri, spa, massaggi o an-

che lettini e ombrelloni in spiaggia ed inoltre c’è una chat con la quale è possibile dialogare con la struttura. Tutto a portata di smartphone. Il nome dell’applicazione arriva dal mondo dei fumetti. “Alfred è il maggiordomo di Batman – prosegue il fondatore – e ci siamo ispirati a lui nel dare il nome all’applicazione. Un maître attento, capace, sempre sollecito e disponibile, ma soprattutto affidabile a tal punto che potrebbe anche essere una sorta di genitore alternativo come appunto lo è stato quello dei fumetti della DC”. Il funzionamento è molto semplice. Una volta scaricata l’applicazione ci si deve registrare e inserire il codice della struttura per poi poter procedere a prenotare i servizi. Ad oggi sono circa un centinaio le

attività convenzionate ed è stato sviluppato anche un meccanismo attraverso il quale il gestore dell’attività ricettiva può ricavare un benefit economico da ogni prenotazione. “Ma l’obiettivo principale non è quello – chiarisce Galletta -, per noi è importante offrire ai clienti un servizio al passo con i tempi”. A breve l’idea varcherà i confini regionali per andare in Lombardia dove l’app ha suscitato l’interesse di diverse strutture ricettive.


S&H MAGAZINE Anno XXIV - N. 277 / Ottobre 2019 EDIZIONE CAGLIARI+SASSARI

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Direttore Responsabile MARCO CAU

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Ufficio Grafico GIUSEPPINA MEDDE Hanno collaborato a questo numero: DIEGO BONO, DANIELE DETTORI, FRANCA FALCHI, HELEL FIORI, ERIKA GALLIZZI, ALESSANDRO LIGAS, ALBA MARINI, GIUSEPPE MASSAIU, MANUELA PIERRO, MARCO SCARAMELLA Redazione Sassari, Via Oriani, 5/a - tel. 079.267.50.50 Cagliari, tel. 393.81.38.38.2 mail: redazione@shmag.it

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editoria.pubblicità.grafica grafica

Editore ESSEACCA S.r.l.s., Via Oriani, 5/a - Sassari Per la pubblicità: tel. 335.722.60.54

Stampa Tipografia TAS S.r.l. - Sassari Social & Web

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Un maggiordomo virtuale per il turista

05 Tom Spanu

L’arte delle pipe

06 Retabli di Sardegna

L’arte pittorica al servizio della liturgia

08 Raimond Handball Sassari

Rossoblù in rodaggio: la squadra di coach Passino cerca continuità

10 Il cesto sardo

L'antica arte dell’intreccio

12 Tra le stanze dell’arte

La Pinacoteca Nazionale di Sassari, una meraviglia da scoprire

14 Trame di fili

Cento anni fa nasceva Maria Lai

16 I Magnifici 3

Viaggio nel cinema: la storia d’Italia (e degli italiani) in tre memorabili film

18 Tetsuo: Cane di ferro La disabilità raccontata a fumetti

20 La luna del pomeriggio Lo spettacolo teatrale che guarda oltre la consuetudine

issuu.com/esseacca Registro Stampa: Tribunale di Sassari n. 324/96. ROC: 28798. © 2019. Tutti i diritti sono riservati. È vietato riprodurre disegni, foto e testi parzialmente e totalmente contenuti in questo numero del giornale.

22 Cube Controls Il motorsport made in Sardinia

25 Dinamo Sassari Partenza sprint: vinta la Supercoppa e le prime due gare del campionato di Serie A

26 HITWEETS 28 Progetto Ottobre in Poesia Il Festival e il Premio che si fa poesia

29 Il dentista risponde Come faccio ad avere un sorriso da star?

30 Dillo a foto tue

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in Copertina

MARIA LAI

© Archivio Maria Lai, by SIAE 2019. Foto Courtesy Archivio Maria Lai


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di MARCO SCARAMELLA

«La fine di una buona fumata è sempre un po’ triste. È in qualche modo come perdere un buon amico che ha tempo di sedersi e ascoltarti.»

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n questo proverbio proveniente dalla saggezza zen, c’è tutta la filosofia che esiste dietro al rituale della pipa. Un elogio alla lentezza, alla riflessione e alla concertazione. Un atto costituito da movimenti lenti e precisi, ripetuti ad ogni preparazione, e che si manifestano nella calma con cui ci si gode ogni boccata. Ma questa lentezza è una caratteristica fondamentale anche della lavorazione di ogni esemplare di pipa. Lo sapeva bene Tom Spanu,

artista/artigiano produttore di pipe, scomparso nel 2015 e che aveva il suo laboratorio a Sassari. Grazie alla sua arte, e a qualche segreto del mestiere, i suoi esemplari sono conosciuti e richiesti in tutto il mondo. Frequentando per quindici anni la bottega di un artigiano di Varese, si appassiona immediatamente a questo lavoro, fino a dedicargli tutta la sua vita. Nel 1979, dopo aver scoperto che le radiche migliori provenivano dalla Sardegna, Tom decide di tornare a casa e di fondare un proprio laboratorio, per mettere in pratica l’eccezionale abilità acquisita in quegli anni. Uno dei punti di forza dei suoi prodotti sta nel fatto che si tratta di pezzi unici. Le pipe prodotte da Tom

sono lavorate interamente a mano, nel rispetto della tradizione. A meno di richieste particolari da parte dei clienti, infatti, la sua mano era guidata dai disegni del legno per tirare fuori esemplari unici nel loro genere, incastrati nel ciocco originale. Altro tratto distintivo delle sue pipe, è il materiale utilizzato. La radica di erica sarda, che lo ha fatto tornare sull’isola, è considerata la più pregiata al mondo, perché si tratta di un legno duro che resiste molto bene al calore del tizzone ardente. Per questi motivi le pipe di Tom sono rinomate in tutto il mondo. In particolar modo quelle realizzate in radica di erica e rivestite in sughero, hanno riscosso grosso successo in campo internazio-

nale. Questo tipo di pipa risulta essere relativamente leggera, ed il rivestimento in sughero dona una sensazione particolare al tatto, oltre che dare un impatto estetico davvero accattivante. Alcune delle creazioni di Tom, sono esposte a Gavirate, al Museo italiano della pipa. Altri esemplari invece sono comparsi su importanti riviste internazionali di settore. Dopo la sua scomparsa, la tradizione di famiglia è passata nelle mani del figlio di Tom, Massimiliano a cui è stata trasmessa la tecnica per portare avanti l’eredità paterna. Per poter ammirare gli innumerevoli e bellissimi esemplari e per ulteriori informazioni, visitate la pagina Facebook tom spanu pipe.


Retablo di Bonaria, Michele Cavaro. Pinacoteca Nazionale di Cagliari

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Viaggio tra i retabli di Sardegna di ALBA MARINI

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rte al servizio della liturgia, arte educativa e funzionale, arte ricca e per certi versi arcaica. Siamo nella via dei retabli, tra quelle pale d’altare un po’ quadri e un po’ sculture, un po’ d’oro e un po’ di legno, diffusesi sull’isola con la dominazione catalano-aragonese. Il termine retaule, retablo in spagnolo, trae probabilmente la sua origine dalla locuzione latina e(tro)tabulum altaris (tavola dorsale dell’altare). Il significato del termine, che rimanda a una tavola posta dietro l’altare delle chiese cristiane, non ci dice di fatto cosa sia un retablo. Cerchiamo quindi di risolvere questo dubbio. Un retablo non è altro che una pala d’altare composta da più scompartimenti, uniti tra loro da cerniere o

cornici in una struttura complessa, talvolta con sportelli richiudibili. Si tratta di un’arte ricca, complessa, fortemente scenografica, caratterizzata dall’uso elaborato di molteplici materiali che si combinano tra loro. L’esordio del retablo nel mondo dell’arte liturgica è pratico. Nel X secolo, infatti, si assistette a un cambiamento nella messa: i sacerdoti iniziarono a celebrarla di fronte all’altare ma con le spalle rivolte ai fedeli. Così nacque l’esigenza di porre dietro l’altare uno scenario dipinto con al centro un tabernacolo e alcuni sportelli dove deporre gli oggetti usati per la celebrazione. Se inizialmente i retabli erano piccoli e facili da trasportare, in seguito arrivarono ad occupare l’intera parete. Questo avvenne perché la struttura a scomparti ben si prestava agli intenti divulgativi della Chiesa ed era adatta a


raccontare “storie”, proprio come avviene oggi nelle moderne vignette. L’aumento della dimensione fece sì che tutti i partecipanti alla messa potessero vedere il retablo con facilità. La parte centrale nata per ospitare il tabernacolo mutò spesso la sua funzione, accogliendo statue lignee della Madonna o icone di Santi. Perché l’intento educativo? Per illustrare alle masse scene della vita dei santi, di Cristo o della Vergine poteva essere utile sfruttare l’immediatezza e la potenza dell’immagine. La struttura del retablo permetteva infatti di ordinare delle immagini in sequenza veicolando un significato religioso. La parte alta del retablo chiamata Cimasa era spesso dedicata alla Crocifissione. I cosiddetti polvaroli – cornici che proteggevano i dipinti dalla polvere – ospitavano teorie di santi, mentre nello scomparto centrale faceva la sua comparsa la figura principale a cui il retablo era stato dedicato, dipinta su tela o tavola oppure scolpita a tutto tondo e inserita in una nicchia. Molto importante anche la parte di sotto del retablo, detta predella, dedicata alla trattazione di scene di vita dei Santi. Con quali materiali sono fatti i retabli? Il legno di castagno, pero, rovere o noce è il materiale primario della struttura. Gli inserti sono spesso protetti in cornici dorate, scolpite o dipinte. Le ante, che venivano aperte generalmente nei giorni di festa, accolgono raffigurazioni di miracoli a mezzo rilievo. I retabli arrivarono in Sardegna nel XV secolo nella sua versione definitiva di grande apparato decorativo ed educativo. I primi retabli furono opera di artisti catalani come Joan Figuera e Joan Mates e li troviamo esposti alla Pinacoteca di Cagliari. Successivamente si formarono delle vere e proprie scuole d’arte sarde dove si esercitava l’arte del retablo. La più famosa fu quella di Stampace, dove iniziò la sua attività in bottega la famiglia Cavaro. Grazie a questi artisti, che ope-

rarono a Cagliari per alcune generazioni, l’arte del retablo si fece più tipicamente sarda, integrando le influenze locali a quelle iberiche. Gli unici retabli conservati integralmente e attribuiti a Pietro Cavaro, il capostipite della scuola stampacina, sono il Retablo dei Consiglieri, esposto al Comune di Cagliari, il Retablo del Santo Cristo di Oristano e quello di Villamar. Del figlio Michele, invece, si conservano solo frammenti, come la pala della Madonna della Neve per San Francesco di Stampace. Molti artisti sardi dediti alla creazione dei retabli vivono nel mistero, senza un nome, identificati solo dalla zona in cui esercitavano. Tra questi il Maestro di Ozieri, da molti identificato con il nome di Andrea Sanna e autore del Retablo di Nostra Signora di Loreto esposto nella Cattedrale dell’Immacolata di Ozieri, e il Maestro di Olzai, autore del Retablo della Pestilenza conservato nella Chiesa di Santa Barbara a Olzai. Ma il vero mistero rimane l’identità di colui che rappresentò l’eccellenza in quest’ambito in Sardegna. Si tratta del Maestro di Castelsardo, autore del Retablo di Tuili (5 metri e mezzo di altezza per tre metri e mezzo di larghezza) commissionato nel 1489 dai signori del paese, i Santa Cruz. Il prezioso polittico – altro nome con cui è indicato il retablo – è custodito nella Chiesa di San Pietro a Tuili. Recenti studi e ricostruzioni hanno anche dimostrato che, molto probabilmente, il Maestro di Castelsardo fu anche autore del più grande retablo della Sardegna. L’opera, di fatto perduta poiché ne rimangono solo pochi frammenti, doveva avere un’altezza di ben sette metri e una larghezza di cinque. Dopo questo viaggio alternativo nell’arte sarda non resta che andare a caccia dei numerosi retabli sparsi nelle chiese della Sardegna, scoprire le storie dei santi raccontate attraverso immagini scolpite proprio come nel XV secolo. Anche l’arte sacra è, d’altronde, parte integrante della nostra memoria storica, culturale e artistica.

Retablo di Nostra Signora di Loreto (crocifissione)

Retablo di San Pietro di Tuili (Arcangelo Michele)

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RAIMOND HANDBALL SASSARI IN RODAGGIO LA SQUADRA DI COACH PASSINO, NEOPROMOSSA IN A1, CERCA CONTINUITÀ di ERIKA GALLIZZI foto CLAUDIO ATZORI

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l campionato di Serie A1 della pallamano maschile è iniziato e ha visto, ai nastri di partenza, la Raimond Handball Sassari. La squadra allenata da coach Luigi Passino, neopromossa nella massima categoria, ha iniziato con ambizione il proprio cammino. Un primo mese che ha fruttato tre punti in classifica, conseguenza di due risultati utili colti nelle prime quattro giornate, una vittoria ed un pareggio rispettivamente a domicilio della Banca Popolare di Fondi (26-25) nella gara di esordio e sul campo della Metelli Cologne (28-28 “acciuffato” in extremis) al terzo turno. Due sconfitte, invece, sono arrivate nel primo match casalingo, col forte Con-

versano (25-30) e nella quarta giornata sul parquet altoatesino dell’Alperia Merano (25-28). Le gare sono state caratterizzate da alti e bassi, cosa peraltro abbastanza normale in avvio di campionato, per una squadra piuttosto rinnovata, che ha anche necessità di prendere confidenza col nuovo torneo, dopo il salto di categoria. Il team rossoblù deve trovare il proprio equilibrio e la propria reale identità, limando in primis i cali di concentrazione, mostrando maggiore continuità per quanto riguarda l’aggressività in fase difensiva e un po’ più di precisione in attacco. E, come ha avuto modo di dire il direttore sportivo Andrea Giordo, “non devono mai mancare la cattiveria agonistica e la voglia di vincere”. In fatto di atteggiamento, si

GIOCA D’ANTICIPO

sarebbe potuto fare di meglio nel match in casa del Cologne, in cui i sassaresi sono apparsi remissivi e poco “affamati” e, per il risultato, è rimasto un po’ di amaro in bocca in occasione della sconfitta col Merano, nella quale troppe palle perse e l’imprecisione al tiro non hanno consentito alla Raimond, che pur in giornata no è riuscita a risalire da passivi un po’ pesanti trovando un momentaneo vantaggio in avvio di ripresa e poi riavvicinandosi a una sola rete di distanza a 10’ dalla fine, di portare punti alla propria classifica, contro un avversario tutto sommato alla portata. Ma la stagione è appena iniziata e Stabellini e compagni avranno modo di correggere le sbavature e aggiungere un po’ di freddezza in più. Inoltre, il campionato si sta dimostrando molto livellato, per cui,

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Da sinistra: Giovanni Nardin, Matteo Bomboi e Francesco Masia

se è vero che basta una distrazione per ritrovarsi invischiati nelle zone caldissime della classifica, il discorso vale anche se si guardano e “mirano” i gradini immediatamente più alti della graduatoria. Il mese di ottobre vedrà la Raimond impegnata in sole due gare di campionato, importanti per allontanarsi dalla parte bassa della classifica: col fanalino di coda Sparer Eppan, altra neopromossa che fino a questo momento ha raggranellato un solo punto pareggiando col Fondi, poi sul campo del Trieste (realtà più titolata di sempre con 17 scudetti vinti e quest’anno festeggia i 50 anni di storia), attualmente a quota 2 punti in virtù della vittoria col Metelli Cologne. Sia l’Eppan che Trieste hanno mosso la propria classifica nella quarta giornata.

Il coach Luigi Passino


Foto Elisabetta Messina

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L'ANTICA ARTE DELL’INTRECCIO di MANUELA PIERRO

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’arte dell’intreccio è l’acquisizione tecnica forse più antica e più diffusa al mondo ed è, nella sua apparente semplicità, una delle massime espressioni della capacità manuale dell’uomo. Come tutte le abilità artigianali sviluppatesi agli albori della civiltà, anche l’intreccio è nato dall’evoluzione, perché l’uomo si è trovato spesso a dover creare degli strumenti che potessero migliorare o semplificare la propria qualità di vita. Così, con la sua innata curiosità, l’essere umano ha carpito e imitato i segreti di madre natura e, grazie alla sua intelligenza superiore, li ha perfezionati fino a farli diventare una vera e propria arte. In Sardegna l’arte dell’intreccio si è dif-

fusa fin dalla preistoria soprattutto grazie alla cospicua reperibilità dei materiali e le tecniche di lavorazione si sono affinate nel corso dei secoli per renderla piacevole alla vista, oltre che più funzionale possibile. Oltre all’utilità infatti, i cestini avevano anche uno scopo decorativo: nell’ambiente agro pastorale spesso le case erano sprovviste di mobili o suppellettili e queste realizzazioni diventarono complesse e con rifiniture di pregio, proprio per sopperire a questa mancanza. Queste piccole opere d’arte venivano esposte su ripiani oppure alle pareti e molte case odierne, particolarmente fedeli alla tradizione, ne fanno ancora bella mostra. In Sardegna il cesto sardo è generalmente di tre tipi: sa corbula, sa cani­ stedda e sa pischedda.

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uo RE N La Corbula è il ce© IS stino d’arredo e di utilità domestica per eccellenza: la sua forma conica a campana rovesciata lo rende indispensabile per l’uso quotidiano e talvolta può essere completato da un coperchio decorato. I materiali con cui si realizza sono vari e tutti donati dalla natura: la paglia di grano, l’asfodelo, il giunco o la rafia ottenuta dalla palma nana. La tecnica utilizzata per l’intreccio è detta “a crescita continua” in quanto procede a spirali e ogni giro viene ancorato a quello precedente grazie a un oggetto appuntito


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che funge da ago e ferma i punti. Le custodi più esperte sono senza dubbio le donne sarde, che non si limitano alla creazione e all’abbellimento dei cestini con dischi di stoffa, ma che preparano i materiali di utilizzo in modo preciso e minuzioso. Le piante, ad esempio, devono essere raccolte in particolari periodi dell’anno, in armonico accordo con la natura e le fasi lunari in quanto possono essere facilmente deperite dall’aggressiva incursione di muffe o micro animali. Successivamente, le piante devono essere divise, ridotte a strisce e fatte essiccare al sole per un determinato periodo sia per mantenere inalterato l’aspetto naturale e il colore del cesto, sia per preservarne la resistenza negli anni. Generalmente questa tipologia di cesto si divide per dimensione e può essere crobi manna, utile per la conservazione del pane; cro­ bedda, di medie dimensioni, può contenere frutta, verdure e dolci; crobededda, più piccola e usata come cestino da tavola per il pane a fette e per le uova. Già nelle antiche comunità pastorali e artigianali sarde, la corbula era uno degli elementi fondamentali e immancabili del corredo definito “strexu de fenu”, ossia stoviglie di fieno, che le spose portavano in dote in occasione delle loro nozze. La Canistedda è invece un cesto largo dai bordi bassi che può variare di dimensione in base all’utilizzo: principalmente si adopera come contenitore

per le spianate o per il pane carasau in quanto, soprattutto se provvista di coperchio, ne garantisce la fragranza e la conservazione per lunghi periodi. Le donne però, con il loro adorabile modo di arrangiarsi, lo hanno utilizzato spesso, e continuano a farlo ancora oggi, per modellare e imprimere decori negli gnocchetti, i macca­ rones de punzu, che vengono pigiati sul fondo del cestino finché non assumono il classico motivo decorativo che li distingue. In questo caso le tecniche di intreccio sono più complesse perché le materie prime naturali si alternano a inserimenti colorati di rafia e di broccato, spesso graziosi ciuffi variopinti adornano il coperchio e la trama si fa più ardita, con ricami complessi e di grande impatto visivo. La Pischedda, invece, è il cestino da lavoro e trasporto per antonomasia. Essendo infatti l’unico cestino sardo con il manico, si presta per la raccolta e il

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trasporto di frutta, funghi, finocchietto selvatico o altri alimenti. La tradizione collocherebbe l’origine del cestino sardo al periodo nuragico ma il suo sviluppo più significativo è avvenuto solo successivamente, quando i modelli divenato.com n a i g i t r a a © sardegn nero particolarmente resistenti. Molti modelli antichissimi di cestini sono custoditi al Museo dell’intreccio mediterraneo di Castelsardo, vero tempio e custode di manufatti molto preziosi. L’arte della cestineria è diffusa su tutta l’isola e le tecniche di intreccio sono fondamentalmente uguali, cambiano invece il materiale di utilizzo e il tipo di decoro. Nelle zone limitrofe al mare o agli stagni (San Vero Milis, Sinnai, Castelsardo) i materiali più utilizzati sono il giunco, la paglia o la palma nana. Essendo zone perlopiù turistiche, i cestini sono ricchi di decori e applicazioni (nel Campidano, per esempio, si usano elementi aggiuntivi di lana, cotone e tessuti pregiati). Nelle zone collinari, l’asfodelo resta il materiale più utilizzato. Qui la tradizione è maggiormente ancorata al passato tanto che i colori restano più naturali. Ed ecco un’altra forma di ricchezza, un’altra eccellenza sarda, che regala alla nostra splendida isola un altro importante riconoscimento a livello com internazionale. ato. igian

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TRA LE STANZE DELL’ARTE LA PINACOTECA NAZIONALE DI SASSARI, UNA MERAVIGLIA DA SCOPRIRE di DANIELE DETTORI

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el bicentenario della nascita di Giovanni Antonio Sanna – imprenditore, politico e mecenate sassarese dell’Ottocento – accendiamo i riflettori su una realtà importante della nostra città: la Pinacoteca Nazionale di Sassari. Sita in Piazza Santa Caterina nei locali del vecchio Canopoleno, la struttura raccoglie i quadri donati alla città da Sanna e ospita periodicamente incontri a carattere culturale e artistico di grande richiamo. Per l’occasione abbiamo incontrato la Dott.ssa Giannina Granara, che dirige la Pinacoteca ed è molto attiva sul fronte della ricerca e della valorizzazione del patrimonio pittorico e scultoreo ivi custodito.

«Ho sentito da subito la necessità di mettere in risalto la figura di Sanna», ci racconta mentre visitiamo l’accogliente sala che espone il dipinto e il busto del ricco sassarese, «quasi come se fosse lui a guidare la mia attività fra queste mura. Il suo lascito è stato così ingente che studiarlo e valorizzarlo è doveroso. Inoltre la mia prima esperienza lavorativa, quando avevo solo 21 anni, è stata proprio al Museo Sanna, a lui intitolato in via Roma.» Apprendiamo poi che la stanza racchiude anche opere dedicate o appartenute ad altri donatori. «Ad Antonio Canopolo, per esempio, che sappiamo essere stato il fondatore del Canopoleno dopo aver acquistato il convitto dai frati gesuiti. Ma non soltanto: nella sala, che si propone come una

Sopra: Lionello Spada, “Anima dannata” (XVII secolo). A destra: “Adorazione dei pastori” (XVII secolo, collezione Zely Bertolio).

sorta di Wunderkammer, sono presenti diverse opere, oggetti da collezionismo come bronzi da tavolo o il dipinto a olio di Lionello Spada su carapace di tartaruga. Ci tengo a ricordare anche una bellissima ceroplastica di Gaetano Zumbo, che è un autore del Settecento il quale, nei momenti di delizia, si dedicava a creare scenette riferite al periodo della peste.» Una delle attività portate avanti dalla Pinacoteca consiste nello studio, nell’analisi e nel restauro delle opere che conserva ed espone. In questo senso non sono mancate le sorprese anche per gli addetti ai lavori. «Partendo dalle schede di catalogo a nostra disposizione, vediamo che di molti dipinti non si conoscono ancora né l’autore, né il significato di alcuni contenuti pur associandoli, in determinate situazioni, a precise scuole pittoriche. È stato il caso, per esempio, di un bellissimo dipinto, un’ope-


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ra molto grande a olio: L’adorazione dei pastori, donato da una discendente dello stesso Sanna. Studiare il quadro ha portato a incredibili scoop: siamo risaliti all’identità dell’uomo rappresentato in un dettaglio; quindi abbiamo ricostruito tutta la storia, arrivando a scoprire il committente dell’opera e siamo arrivati ad appurare che esistono diverse copie di questo dipinto, tutte facenti capo all’originale, purtroppo andato perduto, che era addirittura di Raffaello. È stato importante, in questo senso, il ritrovamento recentissimo a un’asta di Monaco, da parte del nucleo Carabinieri di Venezia che si occupa della tutela del patrimonio culturale, di due dipinti, uno dei quali è l’esatta copia di quello che abbiamo noi.» Quella di indagine è un’attività molto interessante sotto diversi aspetti. «Dopo l’analisi delle fonti d’archivio custodite dalla Soprintendenza iniziano, in parallelo tra loro, altri studi riferiti alla tipologia del dipinto, alle figure, al tema, al ductus pittorico (il tipo di pennellata). Ma al tutto devono accompagnarsi conoscenza e intuizione verso la scoperta di particolari, anche piccolissimi, che guidano nella ricerca. Dopo il lavoro di confronto tra i vari elementi si tirano le somme. L’arte è bella perché ci riserva delle sorprese continue e questo ci induce ancora di più a proseguire nella ricerca. Anche se non sempre ci troviamo di fronte a opere di alta scuola, scoprirne i segreti è importante, oltre che per il dipinto in sé anche per la storia di Sassari. Qui in Pinacoteca abbiamo lavori che ci portano indietro nei secoli e ci parlano di personaggi pilastro della cultura sarda. Posso

citare il Conte Graneri, al quale abbiamo scoperto risalire la proprietà di un dipinto molto curioso, ma sono davvero tante le cose che si imparano facendo una passeggiata tra le stanze.» Non soltanto dipinti, però, ma anche iniziative collaterali che abbracciano svariati campi del sapere. «Faccio l’esempio de L’astronomo del Guercino, dal quale abbiamo preso spunto per una serie di conferenze bellissime con il professor Cabizza, dove si è parlato delle congiunzioni astrali al tempo della nascita di Gesù e di altre curiosità relative all’astronomia e alla pittura collegata. Ma non solo: abbiamo avuto bellissimi concerti e la didattica con le scuole, che ha portato ottimi risultati. Quest’anno, anche grazie al fatto di poter contare su qualche unità di personale in più, speriamo di poter ripetere l’esperimento attivando dei veri e propri laboratori. Per esempio per quanto riguarda l’incisione, quella del laboratorio è un’idea alla quale tengo molto, sviluppata su appuntamenti fissi e alla presenza di artisti che possano lavorare realmente e dare dimostrazioni su quest’arte che, con i pittori sardi del Novecento, ha prodotto risultati veramente notevoli.» Da qui l’importanza di visitare la Pinacoteca: «Una bellissima frase di Seneca recita: “Si crede molto facilmente a ciò che si desidera”. A me è capitato più volte con il mio lavoro, e i risultati mi hanno ripagato. Il nostro scopo è quello di rendere la Pinacoteca un luogo bello, dove si possa fruire del bello e coltivare pensieri, scambi di idee, cultura e convivialità proprio come un appuntamento fisso con gli amici».


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La Stazione dell'Arte | Foto Arasolè, courtesy Fondazione Stazione dell'arte. Sotto Marcello Maloberti, CUORE MIO, 2019 | Foto T-Space Studio, courtesy Marcello Maloberti Studio, Fondazione Stazione dell'Arte, Fondazione di Sardegna

di ALBA MARINI

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’intreccio di un filo che racconta la vita e un telaio, una macchina che come un cervello comanda e attorciglia: questa è l’arte matura di Maria Lai, artista sarda nata nell’ogliastrina Ulassai. Lo scorso 27 settembre avrebbe compiuto 100 anni. La piccola Maria viene al mondo quando esso è ancora dominato da uomini. Le donne non hanno il diritto di voto, per loro è più difficile studiare e vincere i pregiudizi per costruirsi una carriera. La futura artista, di salute cagionevole, trascorre la sua infanzia tra Ulassai e Gairo, paesino in cui passa gli inverni per sfuggire ai malanni di stagione. In parziale isolamento, accolta nella casa gairese dagli zii, scopre il suo talento per il disegno. Giunta a Cagliari per frequentare le scuole superiori, conosce il poeta Salvatore Cambosu, suo maestro di italiano, che diventerà l’amico di una vita. Cambosu

si accorge per primo delle sue potenzialità artistiche e la guida in un viaggio alla scoperta del senso delle parole che culminerà materialmente nei racconti sottesi dei suoi Telai. La giovane prosegue gli studi all’Accademia delle Belle Arti di Venezia, faticando per farsi accettare come artista donna. Dopo la guerra, tornata in Sardegna, espone i suoi disegni a Cagliari e a Roma. I riconoscimenti non tardano ad arrivare, ma la Lai si ritira per 10 anni dalla scena artistica. Non sono anni infruttuosi. Nelle sue radici, tra le sue montagne verdi, nello spirito tradizionale della sua isola, ritrova l’estro e, immergendosi più concretamente nella dimensione e sensibilità femminile, sperimenta nuovi materiali e tecniche per dare vita alle sue poesie tattili. Giocavo con grande serietà, a un certo punto i miei gio­ chi li hanno chiamati arte. Negli anni ’70 l’artista ritrova la forza di giocare, di ricongiungere il genio alla fantasia ed è così che i Pani

e i Telai vedono la luce, consacrandola al successo. La panificazione e la tessitura sono lavori tipicamente al femminile che scandiscono il passare del tempo tra le donne dell’isola, facendo da ponte tra il pubblico e il privato, tra la quotidianità e l’euforia delle feste. I Pani della Lai sono capaci di raccontare. La farina, il lievito, il sale si impastano per dare voce e corpo a una storia come quella del “Pupo di pane”. Si tratta di un’opera attraverso cui Maria Lai fa vivere le leggende sarde di “Miele amaro” di Cambosu, ricreando un bambino di pane con il cordone ombelicale ben visibile. Qui il pane non è solo un alimento, ma è essenza, cibo primario, è il sacrificio di una madre, il frutto di una terra. Miele amaro, infatti, narra il gesto estremo di Maria Pietra che, impastando il pane con le sue lacrime, spera di far risorgere il suo defunto figlio consegnandosi alla morte. I famosi Telai narrano storie in fili, cuciono i ricordi ai sogni, mostrando segmenti

del mondo agropastorale sardo, dalle “storie dei nonni” ai miti delle fate. L’arte della tela di Maria Lai si arricchisce con gli anni di libri cuciti, fantasiose scritture illeggibili e geografie di stoffe. Tra gli interventi ambientali spicca il progetto “Legarsi alla montagna”: una vera e propria performance, drammatizzata nel


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Maria Lai - Invito a tavola, 2004 (detail) | Foto Arasolè, courtesy Fondazione Stazione dell'arte

1981. La Lai decide di trarre ispirazione da una leggenda locale e legare con un filo azzurro tutte le case della cittadina una all’altra e poi le case alla montagna. Dove non c’era affetto il nastro passava dritto. L’amicizia era invece sancita con un nodo e l’amore con un fiocco. Nel 2017 il video di “Legarsi alla montagna” è stato ospitato nel Padiglione dello Spazio Comune, della Biennale di Venezia, dove sono riuniti gli artisti che lavorano sulla comunità e sul concetto di collettività. Nel 1993, dopo costanti cambi di dimora tra la penisola e la Sardegna, Maria Lai si trasferisce a Cardedu, nuova frazione della sua Gairo. Qui era nata simbolicamente l’artista e qui vi

morì nel 2013. Non a caso il nome Gairo (di derivazione greca) significa “terra che scorre”: un destino di una donna scolpito nel nome del suo paese. I suoi fili scorrono leggeri sulle tele, tra le case, tra i parchi e tra i musei. Un vero e proprio ponte tra le cose: tra la tradizione e il presente, tra la natura e l’uomo, tra la realtà e la fantasia. A mantenere vivo il ricordo dell’arte di Maria Lai ci pensano l’Archivio Maria Lai, nato nel 2016, e i musei e le mostre a lei dedicate. Proprio in occasione del centenario, il Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma dedica una mostra a Maria Lai intitolata “Tenendo per mano il sole”. Le opere, per lo più inedite, saranno esposte al MAXXI fino al 12 gennaio 2020. Una nota particolare va al Museo La Stazione dell’Arte di Ulassai, che rappresenta il punto d’arrivo di un progetto artistico che – iniziato con “Legarsi alla montagna” - ha alla base il concetto di relazione, ma anche quelli di sensibilità, tradizione e linguaggio globale. Ulassai da simbolo dell’isolamento della Sardegna barbaricina è diventato un luogo di ritrovo di voci diverse, il cui centro animatore è proprio il museo. Alla Stazione dell’arte ad oggi non staziona soltanto il travolgente “treno” Maria Lai, ma sullo stesso binario si incontrano svariate arti moderne, comprese il teatro e la musica.

Veduta dell'allestimento Tenendo per mano l'ombra | Foto Arasolè, courtesy Fondazione Stazione dell'arte

Veduta allestimento Maria Lai - Pane quotidiano | Foto Arasolè, courtesy Fondazione Stazione dell'arte Tutte le opere di Maria Lai sono attualmente coperte dal © Archivio Maria Lai, by SIAE


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I Magnifici 3 Viaggio nel cinema: la storia d’Italia in tre memorabili film di DANIELE DETTORI

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hi meglio delle cineprese e dei loro maestri (davanti e dietro l’obiettivo) hanno saputo raccontare l’Italia e i cambiamenti che, dal secondo dopoguerra ad oggi, l’hanno attraversata e accompagnata negli anni? Ecco perché abbiamo pensato di ripercorrere, come sempre in base tre, alcuni tra i lavori più significativi degli ultimi decenni. Sarà un viaggio in tutta la penisola attraverso personaggi e luoghi che ne hanno fatto la storia mediatica, culturale e politica e che, ancora oggi, esercitano un’influenza dalla quale sembra impossibile affrancarsi. Cominciamo proprio dagli anni ruggenti del Bel Paese, quelli di una ripresa economica tanto sognata quanto dirompente che, nel 1960, contribuisce a dare alla luce La Dolce Vita, il capolavoro di Federico Fellini diventato pietra miliare della storia del cinema mondiale. Am-

bientato nella Roma bene, senza però disdegnare occhiate ad ambienti meno altolocati, racconta la storia di un paparazzo che, spinto un po’ dal lavoro e un po’ dai suoi amori più o meno forti e proibiti, attraversa lo star-system della capitale fatto di ricchi, intellettuali, ballerine e prostitute. In tre ore di durata, il film è capace di rendere – e al contempo anticipare – le inquietudini dell’uomo medio destinate a esplodere, da lì a qualche decennio, nelle tragedie dei nostri giorni. La paura e la precarietà dell’esistenza sono raccontate per simboli, con il volto di Marcello Mastroianni e l’iconica scena nella Fontana di Trevi in compagnia di Anita Ekberg, diventati parte dell’immaginario collettivo. Per altri versi anche un’altra figura è entrata nell’immaginario collettivo italiano: lo sfigato, vessato e bistrattato ragionier Ugo Fantozzi. Intanto precisiamo che Paolo Villaggio è stato autore dei libri, prima che interprete del film. E, se la capitale fa da sfondo alle pellicole, è l’operosa Genova a ospitare il nostro sulla carta stampata. L’Italia industrializzata degli anni Settanta genera quindi benessere e mostri, questa volta di comicità. Villaggio voleva soprattutto fare satira su una società tanto consumistica

quanto meccanica nelle sue azioni, a scapito di coloro che, deboli di carattere e di economia, accettavano di farsi ingurgitare dalla bestia di turno: ora l’azienda, ora il direttore, ora i colleghi, ora la famiglia, ora chiunque altro del proprio entourage. Quella di Fantozzi è diventata una vera e propria saga che, nel corso di svariate pellicole, ha visto il personaggio impegnato nelle più improbabili avventure “all’italiana”, con l’indimenticabile auto Bianchina, la figlia bruttissima e le piste da sci di Courmayeur, dove il ragioniere tenta un’avventura con la signora Silvani – suo sogno proibito – purtroppo con i soliti, disastrosi risultati. E arriviamo al 2008, anno nel quale il regista napoletano Paolo Sorrentino dà alle sale Il Divo – La spettacolare vita di Giulio Andreotti. Il film racconta, in chiave romanzata, la storia politica di un personaggio di spicco come fu Andreotti e della corte che intorno a lui gravitava nell’Italia della cosiddetta Prima Repubblica. Un film forte sotto alcuni aspetti ma estremamente godibile che vede “il Divo” affrontare alcune situazioni note a livello mediatico e altre ricostruite sulla base di inchieste e congetture che hanno realmente interessato Andreotti.



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di DIEGO BONO

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el 1989 il maestro del cinema giapponese Tsukamoto diede vita al capolavoro Tetsuo: l’uomo di ferro, un film che si mostra come un horror

fantascientifico, in realtà una grande metafora della disabilità motoria. È traendo ispirazione da questo titolo che il fumettista cagliaritano Francesco Frongia (già autore di Giotto, nonché fondatore dell’associazione Mammaiuto e insegnante alla Scuola Internazionale di Comics di Firenze) realizza un fumetto delicato, dolce e toccante, che riesce a emozionare e far riflettere: Tetsuo: Cane di ferro (Edizioni Mammaiuto). Francesco ci illustra con uno tratto graffiante le difficoltà della convivenza con il suo amato bassotto attraverso episodi di vita quotidiana. Tetsuo non è però un cane come tutti gli altri: a causa di un doppio intervento il cucciolo ha perso l’utilizzo delle

zampe posteriori; gli amorevoli padroni, così, affronteranno una travagliata routine composta di corse da veterinari, centri di recupero, cure ed abitudini fuori dal comune, per offrire all’ignaro e noncurante Tetsuo un’esistenza del tutto simile a quella degli altri cani, sostenendo con indulgenza ogni suo bisogno. Per comprendere meglio l’origine di questa commovente, ma divertente opera, ho posto qualche domanda proprio all’autore. Ciao Francesco, la potenza di quest’opera risiede nel fatto che, attraverso le pagine, Tetsuo riesce ad entrare immediatamente in casa nostra, ma ci puoi raccontare la sua storia? Tetsuo è stato il mio cane e un’ernia gli ha provocato handicap motori: insomma, un cane a due zampe. Ho pensato che prima della sua partenza sarebbe stato un bel commiato raccontare a fumetti la disabilità in genere e la diversità, con un punto di vista a 1,50 metri dal suolo (comprendendo il passeggino). La realtà supera sempre di gran lunga l’immaginazione.


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Ciò che ho amato di Tetsuo è che sembra non importargli della propria condizione. Pensi che la disabilità sia più percepita dall’esterno rispetto a chi ne soffre? Tetsuo era un cane, e in quanto tale non parlava e a volte non è chiarissimo

cosa pensasse, ma piuttosto erano umanissime le reazioni che scatenava “il cane nel passeggino”: dall’orrore all’eccessiva adulazione; la sua condizione di cane con handicap, insomma, ha fornito molti spunti per indagare in maniera, spero giocosa, cosa sia il diverso e il non conforme. Seguire un cane con questi problemi ha portato difficoltà anche nei rapporti personali? Diciamo che anche i padroni dei cani handicappati hanno una mobilità ridotta. Per molti anni con la mia compagna non siamo andati insieme al cinema, ai concerti o al museo, si entrava uno alla volta, e pace! Tutto ciò stanca fisicamente. Tirando le somme sì, ha un impatto nel quotidiano importante, ma vuoi mettere le infinite situazioni surreali che abbiamo vissuto con un cane a rotelle e l’opportunità per conoscere meglio se stessi.


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La luna del pomeriggio: Lo spettacolo teatrale che guarda oltre la consuetudine di HELEL FIORI

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iceva Umberto Eco: “Chi non legge, a settant’anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge, avrà vissuto cinquemila anni.” È facile pensare che per chi scrive sia la stessa cosa, con racconti di vite intrecciate a volte ben lontane dalla propria; ma c’è anche chi scrive di sé, e di sé soltanto, ché la vita è già abbastanza complessa da sembrare un libro e quando ben raccontata difatti lo diviene. È successo nella casa di reclusione ad alta sicurezza “Paolo Pittalis” di Nuchis (OT) grazie al laboratorio di scrittura creativa tenuto per il sesto anno dal giornalista ed editore sassarese Giovanni Gelsomino, che ha guidato i detenuti nel dare struttura letteraria formale alle emozioni figlie della loro parentesi di vita, per raccogliere poi le testimonianze nel volume La luna del pomeriggio (edito da “Il carcere con le ali”) dando spazio a tematiche importanti di cui non si parla spesso come il primo arresto, il trasferimento da un istituto a un altro, i rapporti mogliemarito e padre-figlio.

E proprio a un rapporto padre-figlio dobbiamo la trasposizione teatrale del libro: Simone Gelsomino infatti, laureando all’Accademia delle Belle Arti di Urbino e da tempo impegnato nell’ambito scenico, coadiuvato da Luisanna Cuccuru sceglie di portare l’attenzione su quei frammenti testuali, utilizzando dunque alcuni vissuti per parlare di ciò che è invece comune a tutti noi. La complessità dell’universo carcerario è difatti molto più ampia di quello che normalmente si pensa: oltre agli ospiti, e ovviamente il personale in struttura, vengono coinvolte famiglie, professionisti, e talvolta, come ora, artisti. Tale realtà diventa allora un mezzo per allargare la visione e riflettere sulle limitazioni che la vita (o la società?) ci impone, obbligandoci a fare i conti con le difficoltà ad esprimere il proprio vero io e inseguirne la realizzazione. Dice Simone: “Nella vita tutti hanno ragione e di conseguenza nessuno ha ragione, e Luca Ronconi diceva: fare teatro per me si­ gnifica sostenere che la verità non esiste da nessuna parte.” Lo spettacolo si snoda quindi attraverso diciotto scene indipendenti, blocchi chiusi le-

gati solo in profondità da fili sottilissimi in una narrazione sine tempore, senza tempo, che pone l’accento su eccessi talvolta grotteschi e surreali dei discorsi e delle situazioni presentate. I numerosi attori che fisicamente danno voce agli intenti della produzione arrivano da percorsi artistici diversi, dai 7 in valigia fino ad arrivare a Carlo Valle, passando per Paco Mustela ed altri professionisti slegati da compagnie, così da assicurare allo spettacolo un buon background esperienziale. A sostegno dell’aspetto sociale del progetto, per quattro martedì di settembre a Sassari si è potuto partecipare a I Cir­ cuiti de La luna del pomerig­ gio, incontri nati dalla precisa esigenza dei curatori di approfondire con esperti le tematiche più complesse lasciate sospese per esigenze narrative: dott. Donato Posadinu, primario di psichiatria di Sassari; dott. Gregorio Salis, psicologo del SERD di Sassari; Padre Salvatore Morittu, fondatore dell’associazione Mon­ do X che nelle sedi di Sassari e Cagliari si occupa di risolvere dipendenze comportamentali o da sostanze psicotrope; prof. Mario Dossoni, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Sassari e Barbara Tetti, Presidente del MOS. Il progetto non ha coinvolto solo la realtà sassarese: per la sua realizzazione sono state richiamate anche maestranze artistiche dallo Stivale (costumisti da Lazio e Abruzzo, fon-

dali dalla Scuola di Scenografia di Urbino, musiche originali registrate al Conservatorio di Como) mettendo in moto interessanti collaborazioni. Realizzare il progetto non è stato facile, ci spiega Simone:


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“La difficoltà è arrivata nel momento in cui si è deciso di slegarsi dalla figura del carcerato per aprirsi a una realtà nella quale entrassero famiglia, amici, passato e presente senza troppa distinzione - presentando scene quasi sempre

dall’apparenza onirica - e riproporre situazioni normali (vedi incontri familiari) in modo del tutto anormale; momenti dove non si dice quello che si pensa davvero, perché in carcere anche la parola è prigioniera e lo è an-

che il pensiero. Alla fine è uno spettacolo su noi stessi, dove il carcerato è usato come metafora: ognuno di noi vive in prigioni, auto-create o imposte dalla società; la prigione fisica, come struttura, non è l’unico carcere.”

Sul perché abbiano deciso di portare in scena questo spettacolo ci risponde Luisanna: “Per noi è un’urgenza espressiva in un periodo storico che necessita di avvicinare il pubblico a una realtà avvertita come diversa. L’educazione alla diversità è difficile e controversa, perché implica il confronto e il dialogo con persone, luoghi e circostanze che paiono troppo lontane per essere comprese. È un’educazione che parte da noi stessi, un’autoeducazione, che vuole abbracciare il maggior numero di persone. Per avere consenso è molto più facile cavalcare l’onda del sentimento di diffidenza verso la diversità. Per questo è importante remare in direzione opposta, riflettere, ascoltare, capire. L’obiettivo è proprio questo: mettere nelle condizioni favorevoli al confronto. Avere la possibilità di farlo ci fa sentire estremamente grati.” La Prima ufficiale sarà il 24 ottobre al Teatro Verdi di Sassari con anteprima per universitari il 23 e matinée per le scuole superiori il 24. Seguendoli sulla pagina Facebook @lalunadelpomeriggio si possono vedere foto della costruzione dello spettacolo ed avere maggiori informazioni per il botteghino. L’alternativa di vita, la salvezza e il riscatto vero e proprio, sono forniti dalla cultura, chiosa Simone. E questa, ci pare una verità incontrovertibile.


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CUBE CONTROLS IL MOTORSPORT MADE IN SARDINIA di MARCO SCARAMELLA

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vete mai sentito parlare degli esports? Si tratta di videogames giocati a livello professionistico. Negli ultimi anni gli e-sports stanno vivendo una crescita esponenziale in tutto il mondo, tanto che vengono organizzati tornei e competizioni, e si pensa anche di inserirli come disciplina olimpica. Una fascia di questo mercato è quella del motorsport, simulazioni altamente realistiche di una macchina da corsa su pista o rally. In Sardegna è nata una start up, con tutte le carte in regola per inserirsi prepotentemente in questo mercato. Stiamo parlando di Cube Controls, fondata da

Fabio Sotgiu e Massimo Cubeddu, che sono reduci dalla SimRacing Expo 2019. È una fiera sul mondo del motorsport, che si è svolta all’interno del circuito del Nürburgring, in Germania, in concomitanza con le gare della Porsche Cup 2019, dove i prodotti di Cube Controls hanno suscitato molta curiosità e interesse. Partecipando a fiere e convention in giro per il mondo, ad esempio Las Vegas, Londra, Lisbona e Germania, Fabio e Massimo hanno avuto l’occasione

di farsi conoscere da un pubblico più ampio, prendere contatti con aziende come Logitech, e hanno potuto aggiungere alla squadra un terzo socio, Roberto Sassu, che si occupa della parte software del progetto. Il team al completo si divide tra l’Italia, dove si cura la parte produttiva, e l’Inghilterra, dove ha sede l’ufficio marketing. Nello specifico, Cube Controls, si occupa di progettare e produrre delle periferiche di gioco che replichino in tutto e per tutto, quelli che sono i volanti di una vera Formula 1 o di una GT car. L’utilizzo di materiali avanzati e un’elettronica sofisticata, molto simile a quella di una Formula 1, uniti allo studio dell’ergonomia e ad un design accattivante, sono i punti di forza dei device di Cube Controls. Inoltre, questi volanti vengono riconosciuti da ogni pc come una semplice periferica di gioco, grazie al sistema plug and play.


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Sono disponibili due linee di volanti: il Formula ed il GT, che a loro volta si dividono in ulteriori tipologie, che si differenziano nei materiali e nel design. La qualità di questo ambizioso progetto, si deduce anche dalle prestigiose collaborazioni con importanti piloti come Nestor “Bebu” Girolami, pilota argentino WTCR della Honda Factory, il pilota brasiliano Augusto Farfus e il pilota britannico di Formula 1 Lando Norris.

I ragazzi di Cube Controls, stanno anche lavorando a dei nuovi device per completare la gamma, e anche ad una pedaliera, con la speranza futura di entrare nel mercato del motorsport reale, grazie ad importanti partnership con prestigiosi marchi come Bosch, Brembo, Momo e Sparco. Per rimanere aggiornati su tutte le novità che riguardano questo progetto, potete visitare la pagina Facebook o il sito cubecontrols.com.

Nestor Girolami

Fabio Sotgiu (al centro)


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BASKET: PARTENZA SPRINT DELLA DINAMO SASSARI VINTA LA SUPERCOPPA E LE PRIME DUE GARE DEL CAMPIONATO DI SERIE A di ERIKA GALLIZZI

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a stagione della Dinamo Banco di Sardegna Sassari non poteva iniziare meglio. Memori della clamorosa striscia vincente dello scorso anno, i biancoblù versione 2019/2020 sembra non vogliano essere da meno e si sono presentati in campo, per gli impegni ufficiali, pronti ad infilare un filotto di quattro vittorie consecutive. E le prime due hanno portato in casa Dinamo un trofeo, la Supercoppa, seconda della storia del club del presidente Stefano Sardara. I ragazzi di coach Gianmarco Pozzecco hanno prima eliminato la Cremona di coach Meo Sacchetti e Travis Diener in semifinale, poi si è assistito ad un “remake” della finale scudetto di qualche mese fa, con Venezia, ma stavolta è stata la Dinamo ad alzare la coppa al cielo. Non è stato semplice e sono stati necessari due tempi supplementari, uno in semifinale e uno in finale, ma il marchio di fabbrica di coach Pozzecco è ormai il carattere e, allo stesso tempo, la serenità e fiducia che riesce a trasmettere ai suoi giocatori, anche nei momenti più difficili delle partite. Un motivatore, che ai suoi atleti, nello spogliatoio, prima di iniziare il match che avrebbe poi consegnato alla sua squadra il trofeo, ha ricordato proprio i successi della passata stagione e quella finale persa. Da una parte ha stimolato il senso di rivalsa in chi la delusione del-

l’anno scorso l’ha vissuta, dall’altra ha pungolato i nuovi a non essere da meno rispetto ai loro “predecessori”. E non si può certo dire che i biancoblù non abbiamo messo in campo cuore e grinta. Sull’onda dell’entusiasmo è poi iniziato il campionato con due partite, per la verità, agevoli sulla carta. E tali si sono dimostrate anche in campo. Prima sul parquet del Varese (74-52), poi in casa con Pesaro (99-79), la Dinamo non ha sottovalutato gli avversari e si è mostrata sufficientemente cinica, vincendo entrambe le gare in modo piuttosto netto. Quattro uomini in doppia cifra alla prima giornata (Pierre, Gentile, Vitali ed Evans) e ben sei nella seconda (Evans, Gentile, McLean, Vitali, Jerrells e Pierre). Insomma, l’avvio è buono e fa ben sperare, nonostante l’improvvisa partenza di Polonara abbia tolto un po’ di equilibrio al roster, in termini di ruoli. Ora, però, gli impegni si intensificheranno, perché partirà anche la Fiba Basketball Champions League. Dal 16 ottobre inizia l’avventura. Per quanto riguarda l’esordio europeo stagionale si attendono ancora i risultati delle qualificazioni per conoscere l’avversaria, poi il Banco volerà sul campo del Turk Telekom e ospiterà il Filou Oostende. Ma anche in campionato si giocheranno gare maggiormente probanti: a Trento, con Trieste e a Cantù. Alla quinta giornata la Dinamo riposerà, in virtù del numero dispari delle squadre partecipanti.


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Progetto Ottobre in Poesia Il Festival e il Premio che si fa poesia

di FRANCA FALCHI

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iamo in ritardo per un vero cambiamento, per una trasformazione? Siamo ancora in tempo? TRANSlate - Leggere, tradurre o tradire il Mondo è il filo conduttore del Festival Ottobre in Poesia che dal 18 ottobre animerà piazze, teatri, biblioteche, centri storici, luoghi istituzionali e scuole di Sassari, Tissi, Tempio e Chiaramonti. Sotto alla direzione artistica di Leonardo Onida, presentazioni di libri, reading poetico musicali, laboratori, seminari su cinema e scrittura poetica, riporteranno la Poesia nel vissuto cittadino dove, metterà gambe, andando incontro a tutti coloro che avranno qualcosa da chiederLe, anche in silenzio, con sguardi di curiosità esistenziale o semplice stupore. Perché il Progetto Ottobre in Poesia, associazione culturale ideatrice del Festival, crede che il valore e il senso della cultura risiedano nell’incontro. Non semplici eventi come uno dei tanti festival poetici e letterari, ma un’idea poetica del mondo,

caratterizzata dalla condivisione, dalla contaminazione tra espressioni artistiche, dal superamento dei confini geografici, mentali, concettuali. Il POP è una realtà da 13 anni nell’ambito letterario e culturale in Sardegna, con importanti collaborazioni con operatori, enti e festival in Italia e nel mondo. Il festival, storicamente il primo di Sassari e uno dei più prestigiosi d’Italia, si svolge ogni anno nella 2° o 3° settimana di ottobre a partire dal 2007 ed è divenuto in pochi anni uno dei più importanti d’Italia con sostenitori e collaboratori come: Alda Merini, Jack Hirschman, Giuseppe Serpillo, Alessandro Bergonzoni, Cristina Donà, Claudio Cojaniz e tanti altri. Sin dalla 1ª edizione ne è parte integrante anche il Premio Letterario Internazionale Città di Sassari, unico in Italia, che a una giuria tecnica affianca una giuria scuole composta da oltre 4000 studenti di istituti superiori della Sardegna. Una delle caratteristiche di tutto il progetto poetico è stata fin dall’inizio l’apertura

e il lavoro di coinvolgimento attivo di soggetti solitamente lontani dalla poesia o abituati a leggerla lavorandoci solo per ragioni scolastiche. I ragazzi valutano, in maniera autonoma e con passione, le opere dei finalisti indicati dalla Giuria principale, decretando così il loro vincitore, esprimendo motivazioni dettagliate anche per segnalazioni o premi speciali della critica. Negli anni, i risultati sono stati straordinari, dimostrando che la poesia nelle mani dei giovani non solo è sensata, ma produce consapevolezza, passione, curiosità. Dal 2010 il premio include anche una sezione narrativa, diventando così uno dei più completi e importanti della Sardegna. Il POP è responsabile inoltre del Cantiere Poetico che da marzo a giugno, in un calendario d’incontri mensile, attraversa poeticamente le tre stagioni che precedono il Festival; di rassegne letterarie, produzioni teatrali e musicali; di pubblicazioni di volumi antologici con poesie e racconti vincitori del Premio. Dal febbraio 2019 è anche Ludo Edizioni che vanta già numerosi titoli nel suo catalogo.

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Il dentista risponde

Il Dott. Giuseppe Massaiu è un professionista di riferimento e opinion leader in tema di Odontoiatria Naturale e Biologica, insegna in corsi frontali e on-line argomenti clinici ed extra-clinici legati al mondo della Odontoiatria e della Medicina Naturale, Posturale e Olistica oltre che del Management e del Marketing Odontoiatrico.

Curiosità sul mondo odontoiatrico

uesto argomento è la naturale evoluzione di altri due temi che abbiamo già affrontato in questa rubrica, che sono l’ortodonzia e lo sbiancamento dei denti. Entrambi servono a migliorare l’estetica della nostra bocca – anche se l’ortodonzia gioca, in aggiunta, un importantissimo ruolo nelle riabilitazioni legate alla corretta masticazione – ma, da sole, talvolta non bastano nell’ottica di ottenere il sorriso che si è sempre desiderato. La prima disciplina, infatti, punta al riallineamento dei denti, ma non può risolvere altri problemi come quando ci si ritrova con dei denti più piccoli rispetto agli altri. La seconda, invece, più che “sbiancare” tende a “schiarire” i denti, riportandoli al loro colore naturale che, nella stragrande maggioranza dei casi, non è quel bianco smagliante che vediamo in tanti attori della televisione o del cinema. E allora che cosa ci rimane da fare? Semplice, la soluzione ultima in questi casi sono le faccette dentali. Queste ultime sono delle sottili lamine in ceramica o porcellana dello spessore inferiore al millimetro, che vengono applicate al di sopra dei denti per modifi-

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COME FACCIO AD AVERE UN SORRISO DA STAR? sempre che il lavoro sia svolto a regola d’arte da un dentista specializzato. Le faccette sono consigliabili talvolta anche in ottica funzionale, in quanto possono aiutare nel rispristino di forma e funzione per denti abrasi, cariati, scheggiati o rovinati da vecchie otturazioni, magari in amalgama, che li hanno indeboliti o scuriti. Come ho avuto modo di spiegare in un altro articolo dedicato al Dental Smile Design, la procedura può es-

carne la forma, il colore, la lunghezza o la posizione secondo i desideri del paziente e i suggerimenti del dottore. Queste faccette estetiche vengono cementate sopra i denti naturali o le protesi, dopo che questi vengono preparati con un’indolore operazione di limatura. La colla utilizzata nel processo è totalmente invisibile, resistente e durevole nel tempo, tanto da garantire un risultato perfettamente armonico e naturale,

sere arricchita dal mock-up, ovvero un sistema che permette di avere una vera e propria anteprima del risultato finale mediante l’utilizzo di programmi digitali all’avanguardia. Questa permette al dottore e al paziente di confrontarsi sull’intervento da compiere, in modo da fornire quel risultato personalizzato che è fondamentale nei trattamenti estetici. I materiali più comuni per le faccette dentali sono la ceramica e la porcellana, anche se è possibile trovare soluzioni più economiche – che, se fatte con perizia, risultano altrettanto belle – in composito. La durata delle prime è garantita fino a dieci anni, mentre le ultime di regola un po’ meno, anche se possono essere riparate con facilità. Ad ultimo, un consiglio: le faccette seguono la vita della bocca come ogni suo elemento naturale. L’averle, quindi, non esime la persona dall’adottare con loro le stesse buone abitudini di igiene orale che sono la prima linea di difesa dei nostri denti. Ogni mese il Dott. Massaiu risponderà ad uno di voi. Inviate le vostre domande a: dott.massaiu@shmag.it. www.studiomassaiu.it

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