S&H Magazine n. 275 • Agosto 2019

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TESORI DI SARDEGNA SAS PANADAS di MANUELA PIERRO

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no dei simboli indiscussi della gastronomia sarda è sa panada, custode di una tradizione pastorale antichissima e, molto probabilmente, anche dell’arte di arrangiarsi tipica delle donne sarde. Si tratta di uno scrigno in pasta violata, un impasto senza lievito fatto di semola di grano duro, acqua e strutto, che racchiude un ripieno che varia di zona in zona. Le versioni più famose sono quelle

dei comuni di Assemini, Oschiri e Cuglieri. Ad Assemini, la panada è prevalentemente di carne di agnello o di anguille e ha la grandezza di una torta salata; a Cuglieri, invece, al misto di carne ovina e suina si aggiungono carciofi, fave, piselli oppure funghi, olive e pomodori secchi; quella di Oschiri, infine, è di carne suina e spezie. Oltre a queste più famose, ne esistono alcune ripiene di patate e carciofi, verdure miste (melanzane, zucchine e

peperoni) e zucchine e gamberetti, tutte ricette tramandate da generazione in generazione e adattate alla cultura e al periodo storico. Le prime testimonianze relative a questa specialità risalirebbero alla civiltà nuragica ma è solo dai primi anni del 1400 che ha assunto le fattezze della moderna panada e ha conquistato l’etimo “Panada”, in concomitanza con l’invasione spagnola. Gli spagnoli ne modificarono forma e contenuto in base al proprio gusto, sostituendo il

ripieno con vari tipi di pesci e legumi e, ancora oggi, nella cucina tipica spagnola esistono parecchie varianti di “empanadas” dalla forma a mezzaluna. Questi cambiamenti però non piacquero al fiero popolo sardo, per cui ben presto si tornò all’antica ricetta de sa panada antiga, aggiungendo una sorta di ricamo sulla pasta (sa considura, ovvero la cucitura) quasi per suggellarne l’origine e la paternità. Questo ricamo la impreziosiva talmente da renderla un piatto da consumare in giorni di festa o da offrire in dono a persone di un certo riguardo. Un’altra diceria tramandata da sempre in Sardegna, forse più romantica, associa l’origine di questo piatto a un’improvvisa intuizione femminile. Un giorno, un gruppo di pescatori si recò allo stagno di Santa Gilla e pescò delle anguille. Non avendo dei tegami per poterle cuocere sul posto, la moglie di uno dei pescatori costruì una pentola con della pasta di pane al cui interno pose le anguille. Sigillò bene i bordi e la mise a cucinare accanto al fuoco. Il risultato fu talmente positivo che la pratica si espanse a macchia d’olio e divenne di uso comune, oltre che di infinite varianti. A ogni modo, che sia della grandezza di una torta salata o in versione street food, altrimenti detta panadina e a prescindere da quale sia il suo gustoso ripieno, sa pa­ nada compie sempre il miracolo: unisce le persone intorno a un tavolo e le rende felici.


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S&H MAGAZINE Anno XXIV - N. 275 / Agosto 2019 EDIZIONE SASSARI+CAGLIARI

Direttore Responsabile MARCO CAU Ufficio Grafico GIUSEPPINA MEDDE Hanno collaborato a questo numero: DIEGO BONO, DANIELE DETTORI, FRANCA FALCHI, HELEL FIORI, NIKE GAGLIARDI, ALBA MARINI, GIUSEPPE MASSAIU, MANUELA PIERRO, MARCO SCARAMELLA

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Redazione Sassari, Via Oriani, 5/a - tel. 079.267.50.50 Cagliari, tel. 393.81.38.38.2 mail: redazione@shmag.it

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Editore ESSEACCA S.r.l.s., Via Oriani, 5/a - Sassari Per la pubblicità: tel. 335.722.60.54

Stampa Tipografia TAS S.r.l. - Sassari

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18 03 Tesori di Sardegna Sas Panadas

05 Cagliari en marche! Madame Parapluie e Macchia a spasso nel tempo

06 Sardegna Gluten Free La cucina sarda che ha a cuore i celiaci

08 Oltre i confini tra generi 22:22 Free Radiohead di Paolo Angeli

10 Quando la Cannabis parla sardo L’isola è l’ambiente perfetto per coltivare una delle piante più discusse

12 Leonardo. L’ombra della congiura Il nuovo fumetto in ricordo del genio italiano

14 Quando il ferro… vola Roberto Ziranu, un moderno alchimista

16 I Magnifici 3 Eccellenze italiane per gli sport estremi

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issuu.com/esseacca Registro Stampa: Tribunale di Sassari n. 324/96. ROC: 28798. © 2019. Tutti i diritti sono riservati. È vietato riprodurre disegni, foto e testi parzialmente e totalmente contenuti in questo numero del giornale.

Il cabaret dentro ad un gioco di prestigio

20 Dolphin Watching Ammirando i delfini nuotare nel mare della Sardegna

22 SALVINI – DI MAIO Una biographic novel... Anzi, due!

24 Farmasinara Cosmetici che raccontano la nostra isola

26 HITWEETS 29 Il dentista risponde Quanti denti abbiamo e che funzioni hanno?

30 Dillo a foto tue

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in Copertina

QUANDO LA CANNABIS PARLA SARDO Foto stock.adobe.com | Parilov


Cagliari en marche!

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MADAME PARAPLUIE E MACCHIA A SPASSO NEL TEMPO

di ALBA MARINI

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’era una volta la Cagliari che non c’è più. Come raccontare ciò che non è più visibile, come tramandare la storia del capoluogo sardo in modo che giovani e meno giovani, turisti e locali ne rimangano affascinati? Ci ha pensato l’Associazione culturale La Pleiade, tutta al femminile, attraverso una miniserie d’animazione. Tre cortometraggi realizzati con estremo rigore storico raccontano le peripezie della “signora con l’ombrellino”, Madame Parapluie, e il suo fedele cane Macchia, che viaggiano nel tempo alla scoperta delle fasi storiche della città di Cagliari. Il primo cortometraggio racconta l’epoca dello smuramento. Il viaggio comincia il

19 maggio 1854, quando il fotografo e pittore francese Edouard Delessert, accompagnato dal suo assistente e dalle rispettive mogli, durante una passeggiata, si trova davanti alla Porta del Molo, unico ingresso della città murata per chi arriva dal porto. Da qui iniziano le avventure di Madame Parapluie, al continuo inseguimento del suo cagnolino Macchia e del tempo che scorre all’improvviso. Viaggiando di anno in anno, la città di Cagliari cambierà il suo aspetto con l’abbattimento delle mura, la nascita di via Roma, la costruzione del Municipio e le varie trasformazioni avviate dal sindaco Ottone Bacaredda, che renderà di fatto Casteddu una “Città en marche”, più moderna e borghese. Nel secondo film si assiste al-

l’affermazione della borghesia cagliaritana, che subisce il fascino della Belle Époque, mentre il popolo versa in condizioni miserande e insorge con i moti del 1906. Il terzo film “Storie di approdi” è invece incentrato sulla storia del porto. In ogni episodio la protagonista è accompagnata nel suo viaggio da personaggi illustri della città: l’imprenditore locale Don Michele Carboni e il Professor Romagnino. L’intento è quello di raccontare la storia locale in modo da renderla fruibile ad un pubblico più ampio possibile. L’idea originaria del team di storiche della Pleiade è quella di un museo della città interattivo, realizzato in sinergia con le attività commerciali e culturali. Idea che in parte si è già realizzata: i commercianti sono stati entusiasti di acco-

gliere nelle loro vetrine le immagini di “Cagliari en marche” in occasione di alcune edizioni della manifestazione culturale Monumenti aperti. La ricerca storica è a cura di Graziella Capelli, Maria Tore, Rosangela Russo, Bruna Pitzolu e Nuncia Rita Russo. La direzione artistica del progetto è di Emanuela Russo, la regia di Massimo Gasole (Illador Films), il grande lavoro di ricerca e selezione delle immagini storiche di Giorgio Russo, mentre Roberto Lai ha curato le attività di marketing e comunicazione. Tutto il lavoro è dedicato alla memoria di Giuseppe Serri, docente di storia e anima dell’Associazione La Pleiade. In attesa dei nuovi episodi è possibile guardare i corti su vimeo.com/illadorfilms.


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Sardegna Gluten free

la cucina sarda che ha a cuore i

celiaci di ALBA MARINI

«Tutta la storia umana attesta che la felicità dell’uomo, peccatore affamato, da quando Eva mangiò il pomo, dipende molto dal pranzo» (Lord Byron)

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regola sarda, malloreddus alla campidanese, culurgiones ogliastrini, sabadas. Queste sono solo alcune delle pietanze tipiche della cucina sarda e in comune non hanno solo la provenienza. Infatti, moltissimi primi e diversi dolci sardi contengono il glutine, un complesso proteico tanto temuto dai celiaci e presente in svariati cereali, come il frumento, la segale, l’orzo, il farro, il triticale e il kamut. Cos’è la celiachia? Proviamo a fare chiarezza. Si tratta di un’infiammazione cronica dell’intestino tenue causata dall’ingestione di glutine in soggetti intolleranti e geneticamente predisposti. La malattia celiaca colpisce circa l’1% della popolazione mondiale. Le donne celiache sono il doppio degli uomini. Nonostante il numero dei celiaci diagnosticati sia in aumento, moltissime persone affette da celiachia non sono a conoscenza del loro stato. I sintomi della celiachia sono generici ed estremamente variabili ed è proprio per questo motivo che, molto spesso, vengono sottostimati. Il quadro clinico va dalla diarrea al dimagrimento fino a sintomi extra intestinali come l’anemia, le ulcere del cavo orale, l’osteoporosi e i dolori articolari.

Attualmente la celiachia non è curabile. L’unica terapia disponibile è una dieta gluten free da rispettare per tutta la vita. Ma questo vuol dire che i celiaci devono rinunciare ai piaceri della cucina per sempre? Assolutamente no. La celiachia non deve essere vissuta come un disagio e in Sardegna sappiamo bene quanto i primi piatti e i dolci siano un piacere sacrosanto per il palato oltre a rappresentare uno dei pilastri della nostra tradizione. Per questo motivo svariati ristoranti, aziende e punti vendita si stanno attrezzando per far sentire i celiaci a casa, proponendo pasta, farine, dolci e piatti tradizionali e non senza glutine. La fregola sarda è sicuramente uno dei piatti più famosi della cucina sarda. La sua versione più conosciuta è quella di mare, realizzata con le arselle o con le vongole, ma ne esiste anche una versione di terra, cucinata con la salsiccia. È difficile dire di no a una pietanza così succulenta. La buona notizia è che neanche i celiaci dovranno rinunciarci: infatti, la fregula è acquistabile anche nella sua versione gluten free e molti ristoranti la preparano nella sua variante per celiaci. Ma la fregola non è l’unico prodotto che, pur contenendo glutine nella sua forma classica, è disponibile anche senza glutine. Ad essere diventati gluten free sono i malloreddus, i culurgiones, le sebadas, i savoiardi e persino i papassini e le pardulas. Grazie al web, godersi una cena in coppia o in compagnia con la certezza di trovare piatti adatti alla propria dieta per celiaci non è più un problema. Ol-


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Malloreddus di mais (Il Girasole, Oristano)

Pardulina gluten e lactose free (Man.Gia., Cagliari)

Culurgiones gluten free (Man.Gia., Cagliari)

Ravioli gluten free (Coccolandia, Cagliari)

tretutto, bisogna ammettere che – dopo una fase iniziale di incertezza – i ristoratori sono diventati sempre più attenti alle restrizioni alimentari dei propri clienti. Utilizzare i motori di ricerca online, comunque, è un’ottima soluzione se si vuole scegliere con cura un posto dove mangiare dell’ottimo cibo gluten free in Sardegna. Un valido aiuto viene dal portale Tripadvisor, dove è possibile scovare i migliori ristoranti sardi, tenendo d’occhio le recensioni dei clienti e le foto dei menù. I celiaci possono utilizzare al meglio questo strumento selezionando il filtro “Opzioni senza glutine”, presente nella colonna laterale a sinistra sotto la dicitura “Restrizioni alimentari”. In questo modo si troveranno davanti tutte le alternative con cucina gluten free. Istituzione del gluten free a Cagliari è il Ristorante Pizzeria Man.Gia., in via Mameli 196, che propone piatti tradizionali (come la fregola ai frutti di mare), ma anche pizze e altre pietanze rivisitati in versione senza glutine. L’intento con il quale il locale è nato nel 2011 è quello di far sentire i celiaci (ma anche i loro amici e parenti) a casa, allontanando la paura di una qualsivoglia contaminazione. Anche il fritto misto, infarinato con una speciale fa-

rina di riso, in questo contesto non deve affatto spaventare. I prodotti senza glutine, naturalmente, non per forza si devono consumare al ristorante. Ogni celiaco ha il diritto di cucinare a casa propria un primo piatto della nostra tradizione o un dolce prelibato senza incorrere in rischi per la propria salute. Con questa nobile missione nasceva sedici anni fa a Gavoi lo stabilimento L’isola della Salute, primo laboratorio del senza glutine aperto in Sardegna. I prodotti, senza conservanti e olio di palma e fatti con materie prime a km 0, sono distribuiti in tutta la Sardegna e sono anche acquistabili online. Sulla scia dell’Isola della salute sono nati svariati laboratori artigiani che propongono malloreddus, ravioli e fregola senza glutine: La Pasta Gluten Free Il Girasole a Oristano, Coccolandia a Cagliari. In queste botteghe le specialità della cucina sarda sono preparate con miscele differenti da quella tradizionale, ma il risultato (a prova di celiaco!) non è deludente. Al posto della classica farina di frumento si usano la farina di riso, la farina di mais, la farina FARMO (fatta con amido di frumento deglutinato), la farina di grano saraceno e quella di amaranto.


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Oltre i confini tra generi

Foto Nanni Angeli

22:22 Free Radiohead di Paolo Angeli

di NIKE GAGLIARDI

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egno distintivo e marchio di fabbrica della musica di Paolo Angeli, classe 1970, chitarrista, compositore ed etnomusicologo originario di Palau, è la sua chitarra sarda preparata a 18 corde, strumento-orchestra che abbraccia un vasto range di timbriche grazie alla sua natura ibrida: un mix di chitarra baritono e violoncello che, dotato di eliche a passo variabile, martelletti e pedaliere, funziona anche come strumento a percussione. Suonata con tutto il corpo, la chitarra di Angeli, le cui corde vengono tanto pizzicate quanto fatte vibrare attraverso un archetto, è stata di volta in volta utilizzata dal suo proprietario per violare i confini tra generi, oltrepassando i limiti dalla musica tradizionale per varcare le soglie dell’improvvisazione jazzistica fino ad approdare al post rock e al pop d’avanguardia. Non sorprenderà dunque che il nostro abbia portato in studio di registrazione un lavoro ispirato alla musica di una grande band britannica la cui cifra è

sempre stata quella della sperimentazione e della ricerca: stiamo naturalmente parlando dei Radiohead. E quest’ultima fatica di Angeli è chiara nel definire il proprio omaggio sin dal titolo: l’album, uscito nel gennaio 2019 per la ReR MEGACORP, porta il nome di 22:22 Free Radiohead. Ma chi si aspettasse una semplice rivisitazione, per quanto intelligente, per quanto articolata, delle canzoni del gruppo inglese, rimarrebbe deluso: il disco di Angeli infatti non solo accetta la sfida di misurarsi col rock e l’elettronica d’oltremanica ma rilancia la posta in gioco, usando ogni brano come fonte d’ispirazione, come quadro da decostruire fino ad anatomizzarlo in gocce di colore per dar vita a paesaggi sonori inaspettati, in cui può fiorire un’improvvisazione di gusto flamenco o spirare un vento proveniente dai deserti nordafricani oppure, ancora, prender vita un canto tradizionale sardo a s’andira. Atmosfere che poi virano sapientemente verso malinconie noise e post rock (come nel caso della splendida Icaro).

Nell’album, eccezionalmente ricco sia per esplorazione di possibilità sonore e suggestioni compositive sia per quantità di materiali raccolti e registrati, confluiscono sedici brani più sei bonus track. Affianco alle composizioni firmate da Yorke, fratelli Greenwood, Selway e O’Brien (tra cui la bellissima – sia nella sua versione originale sia nell’essere divenuta ispirazione e atmosfera per lo strumentale di Angeli – Airbag) trovano spazio i pezzi composti da Angeli più alcune rielaborazioni di brani tradizionali (Andira e Notti d’ea): il risultato finale è quello di un mosaico di straordinaria coerenza espressiva in cui ogni cellula musicale, viaggiando attraverso tradizioni diverse, s’incastra perfettamente restando fedele al mood che regala la propria peculiare impronta a questo lavoro. E se certo non si tratta di un disco per tutti, chiunque coltivi una genuina curiosità per la musica e per la sua capacità di varcare i limiti tra generi, ne sarà inevitabilmente (e irreversibilmente) conquistato.


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L’isola è l’ambiente perfetto per coltivare una delle piante più discusse di DANIELE DETTORI

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n queste pagine affrontiamo un argomento troppo spesso ammantato di pregiudizio, sul quale si arriva a conclusioni talvolta affrettate e sovente tirate da poca conoscenza. Piero Manzanares, Presidente dell’Associazione Culturale Sardinia Cannabis, ci aiuta a capire meglio una tra le piante più discusse del momento, raccontandoci proprietà, impieghi e possibilità di lavoro offerti dalla canapa. «L’Associazione nasce con l’intento di informare», esordisce. «La maggior parte delle persone non conosce esat-

tamente la pianta: già guardando la foglia pensano si tratti di droga quando, in realtà, la foglia è per lo più un fatto di immagine e non contiene neppure il principio attivo.» L’idea di Piero per una coltivazione normata della canapa in Sardegna nasce qualche tempo fa, quando ancora una legge specifica non c’era. «Il procedimento consisteva nel fare un’autodenuncia alle forze dell’ordine e iniziare a coltivare, per uso industriale, una delle tipologie iscritte al catalogo europeo: c’è infatti un catalogo che comprende tante varietà, più di 60, ma il numero cambia di anno in

anno tra nuovi inserimenti e cancellazioni. Io ho coltivato quella denominata Futura 75: è una varietà che cresce bene nel nostro clima. L’ho fatto insieme con un amico che aveva un’impresa agricola.» Da qui all’allargamento dell’attività il passo è stato breve. «Abbiamo coinvolto agricoltori un po’ in tutta l’isola e abbiamo seguito un corso alla Business Summer School di Rumundu, a Porto Conte. Il corso è stato fondamentale per entrare in un’ottica di impresa e capire come prende corpo una filiera produttiva. Come Associazione abbiamo deciso di coltivare e far coltivare ai nostri soci solo determinate qualità di canapa. Abbiamo raccolto i semi, che vengono spremuti e dai quali si ottiene l’olio. Dallo scarto di questa spremitura, quindi dal seme macinato che si chiama pa­ nello, si procede con un’ulteriore ma-


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cinatura e si ottiene la farina, anch’essa classificabile secondo diverse granulometrie. Successivamente abbiamo portato la farina a un pastificio che potesse rappresentare al meglio i nostri ideali. Nell’adesivo e nel nostro logo c’è scritto 100% Made in Sardi­ nia. Questo perché vorremmo che venissero utilizzati esclusivamente prodotti sardi. Canapa sarda, quindi, ma anche gli altri ingredienti complementari. Per fare cosa? Per esempio, al Pastificio Tanda&Spada abbiamo fatto fare i malloreddus. E abbiamo già stipulato un accordo con questo pastificio per una produzione prossima su più larga scala.» Dicevamo di un catalogo europeo. In questo senso, infatti, una regolamentazione si è resa necessaria per distinguere le piante sulla base della loro “pericolosità”. «Quella che noi coltiviamo è la Cannabis Sativa L. dove la “L” sta per Linneo, lo scopritore, e non per “Light” come si crede di solito. Bene, questa specie comprende sia le piante con un alto dosaggio di THC che quelle con dosaggio più basso. Il THC (delta-9-tetraidrocannabinolo) è proprio il principio attivo cannabinoide al centro di tutte le discussioni. Nelle piante considerate illegali la sua percentuale si aggira fra 5 e il 7%. Per

legge non può invece sforare lo 0,6%. Le nostre piante ne contengono uno 0,2%. In questo senso la legge è comunque soggetta a modifiche sulla base di diverse spinte. Ricordiamo che, in Italia, le principali leggi di riferimento sono la 309/90 e la 242/2016.» Non possiamo esimerci, a questo punto, dal chiedere a Piero come sia nato questo suo interesse verso una materia tanto spinosa e, soprattutto, verso una pianta legalmente controversa. «Io ne faccio uso perché possiedo un certificato terapeutico che me lo consente. Conosco, inoltre, le difficoltà che i pazienti incontrano nel reperirla. Ne ho avuto un’ulteriore prova con il caso di mio padre, che è morto quest’anno. Aveva un glioblastoma multiforme al cervello: un tumore maligno del quale non si conoscono ancora né le cause, né le cure. L’aspettativa di vita è di sei mesi, massimo un anno. E nel suo caso soltanto se si fosse sottoposto a un intervento senza alcuna garanzia, altrimenti gli sarebbero rimasti pochi giorni. Dopo l’intervento, al quale sopravvisse, mio padre soffriva di crisi epilettiche per le quali i rimedi

canonici prevedevano l’uso di Valium, un potente sedativo. Io già sapevo che la cannabis somministrata per le crisi epilettiche aveva successo e così, contattando una coppia di ricercatori italiani che vive e lavora a New York e una dottoressa che lavora a Madrid ho avuto un incoraggiamento su questa strada. In molti casi, ferma restando la chemio, gli esseri umani trattati con la cannabis per quella patologia mostravano un’aspettativa di vita superiore. A mio padre davo i biscotti fatti con burro di cannabis e l’olio per uso farmaceutico, che si somministra prendendo qualche goccia sotto la lingua. Non ha più avuto crisi epilettiche e neppure postumi da chemio come dermatite, sanguinamento gengivale, nausea, ecc. Dopo l’intervento è sopravvissuto per due anni e un mese. Così ho compreso anche la possibile utilità sociale di un’attività come questa. Certo non è garantito che tutti traggano beneficio, però vengo contattato da diverse persone tra le quali ricordo un signore colpito dal Parkinson che – mi ha detto – quando la assume sotto forma di tisana e la vaporizza smette di tremare.» In questo senso, l’ultimo pensiero di Piero è rivolto ai proibizionisti. «La mancanza di informazione e le strumentalizzazioni sono l’aspetto veramente dannoso. Noi vogliamo colmare questo gap».


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di DIEGO BONO

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inquecento anni fa moriva uno dei personaggi più importanti, geniali, celebri della storia italiana: scienziato, pittore, anatomista, inventore, ingegnere, padre dell’Italia di oggi e figlio per eccellenza del Rinascimento, uomo di mondo ed eroe dell’intelletto, il suo nome è Leonardo Da Vinci. Per celebrare la figura dell’eroe toscano il fumettista sassarese Antonio Lucchi, assieme allo sceneggiatore Giuseppe De Nardo, ha prestato le sue abili matite all’illustre casa Sergio Bonelli Editore (“Dylan Dog”, “Tex”, “Zagor”) per dare vita ad un fumetto storico coinvolgente e intrigante, che terrà incollati con il fiato sospeso i lettori di ogni età sino all’ultima pagina. Leonardo – l’ombra della congiura è una storia di intrighi e potere, uno spaccato dell’intricata situazione geopolitica dell’Italia quattrocentesca divisa tra signorie, corti e principati immersi in un costante conflitto che culmina con la famosa “congiura dei Pazzi” e la caduta di Giuliano de’ Medici. Lorenzo de’ Medici è ora intento a vendicare il fratello in ogni modo, scatenando una violenta repressione contro chiunque sia sospettato di aver congiurato contro la famiglia fiorentina. A farne le spese, però, è Jacopo, amico di Leonardo Da Vinci, perseguitato dalla follia del “Magnifico” e costretto ad abbandonare Firenze in favore del ducato di Milano in cerca di un porto sicuro, una serenità che però non arriverà mai, concludendosi, anni dopo, in una sanguinosa tragedia. Solamente il genio di Leonardo potrà far luce su questa intricata vicenda, comprendere i segreti nascosti dietro le mura delle corti rinascimentali e scoprire cosa c’è di vero e di falso nella vita di Jacopo, tra i navigli, le stranezze e le piazze del capoluogo lombardo.

Leonardo. L’ombra della congiura Il nuovo fumetto in ricordo del genio italiano Per sciogliere i nodi e raccontare al meglio questo brillante thriller ho posto qualche domanda proprio all’illustratore, grafico, e fotografo sassarese Antonio Lucchi. Ciao Antonio, che effetto ti ha fatto disegnare Leonardo, considerato il più grande genio di sempre e probabilmente il primo a studiare sistematicamente la proporzione dei corpi? Quando la Bonelli mi chiese se fossi interessato a lavorare su questo progetto ne fui totalmente entusiasta; entusiasmo che durò il tempo di rendermi conto che stavo per mettere le mani su uno dei più grandi geni dell’umanità, lì subentrò l’ansia. Dici bene, Leonardo sezionava i cadaveri, mosso dalla sua

incontenibile curiosità, allo scopo di carpire i più piccoli dettagli anatomici che gli permisero poi di regalarci i suoi meravigliosi disegni che tutt’oggi noi disegnatori studiamo. C’è qualche opera in particolare del maestro che ami e che magari hai dovuto riprodurre per questo libro? “La vergine delle rocce” è senz’altro la mia preferita. Per rispetto al maestro non ho ridisegnato le opere, ho lasciato che i lettori potessero godere degli originali, fatta eccezione per “L’ultima cena”, che, come tutti sappiamo non si è conservata bene. Ho dovuto restaurarla digitalmente recuperandone i dettagli e i colori da una copia molto fedele eseguita da un suo discepolo.


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Cosa ti ha colpito della sceneggiatura di Giuseppe De Nardo? Dalla sinossi si intuisce che non si tratta di una semplice operazione biografica. È esattamente questo che mi ha affascinato. Per la prima volta ho lavorato senza avere la sceneggiatura completa a disposizione, ho quindi scoperto mano a mano l’evolversi della storia e devo dire che sfruttare i talenti di Leonardo all’interno del genere thriller, quasi come fosse una puntata di CSI, l’ho trovata davvero un’intuizione intelligente Ti sei occupato anche della colorazione. Che tipo di atmosfera avete voluto trasmettere con i colori? Mi sembra molto “pittorico” come lavoro. Esattamente, l’idea è proprio quella di un fumetto dipinto ed è per questo particolare stile che sono stato scelto dalla Bonelli. A livello di colori ho cercato di rispettare la palette cromatica dei quadri di Leonardo. Alcune parti della storia invece, i flashback, ho pensato di realizzarli come fossero bozzetti a sanguigna su pergamena. Che tipo di attività di ricerca e documentazione hai svolto per prepararti? Quali sono state le maggiori difficoltà? Ho utilizzato molto il videogioco Assassin’s Creed con protagonista Ezio Auditore, lo sceneggiato Rai con Phi-

lippe Leroy e una valanga di altre fonti recuperate su internet, tra cui anche un salvifico documento sulla storia dell’ex refettorio di S. Maria a Milano. Le difficoltà maggiori sono state quelle di dare un viso al Leonardo giovane, in quanto la documentazione a riguardo è scarsa e successivamente ricostruire le città di Firenze e soprattutto Milano come erano all’epoca. Quanto avete impiegato tra scrittura, disegno e stesura? È stato difficoltoso? È stata dura perché il tempo era poco e non si tratta solo di disegnare ma anche di fare ricerca e di entrare in confidenza con la storia e i personaggi. Sei autore anche de “L’inquisitore”, una passione, quindi, per i fumetti storici, ma hai in mente altri progetti di genere (e non)? A me piace disegnare di tutto, sono partito con l’horror (mia grande passione) per poi affrontare il noir di Rusty Dogs, e lo slice of life di Davvero, prima di approdare allo storico con tinte horror/sovrannaturali di Adam Wild. Forse la mia dimensione preferita è proprio questa, l’avventura storica dove la componente fantastica però è ben presente. Ora, dopo la parentesi leonardesca, son già tornato a lavorare al seguito de L’inquisitore e vi assicuro che ne vedrete delle belle.


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ROBERTO ZIRANU, UN MODERNO ALCHIMISTA di HELEL FIORI

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mmaginiamo di poter cambiare radicalmente le qualità della materia. Immaginiamo sia possibile ricombinare gli elementi a nostro piacimento, trasmutare i metalli vili in oro. Simili credenze oggi sono solo fantasie magiche ma finché non arrivò la scienza moderna nel XVIII secolo, erano largamente accettate. Nell’epoca in cui gli alchimisti la fecero da padrone, la ricerca di trasformare il piombo in oro non fu solo un fallimentare tentativo di arricchimento: fu soprattutto un tentativo di carpire il segreto aureo dell’incorruttibilità per raggiungere la perfezione dell’anima.

In questa epoca moderna dove invece l’alchimia è ormai sparita, la ricerca dell’andare oltre al materiale è appannaggio degli artisti. Quanto è vero che non tutte le arti hanno una linea diretta con la realtà immanente, tanto è vero che chi manipola la materia piegandola al proprio volere è ancora visto come una sorta di medium in grado di accedere ad altri mondi. A questo si pensa, quando si osserva l’opera di Roberto

Ziranu, di Orani, che ormai prossimo ai cinquant’anni è in grado di ottenere dal ferro non semplici oggetti, ma nuclei di senso, concetti immateriali fatti di materia. Definirlo “fabbro” sarebbe riduttivo benché la radice familiare sia proprio quella. Nato nella bottega del padre Silverio, appena ventenne insegue la sua visione della forgiatura, trova il coraggio di aprire una bottega propria e la caparbietà per farsi un nome e lasciare il segno, ottenendo la stima di molte persone e dei media che pubbli-

cizzano i suoi complementi d’arredo lavorati esclusivamente a mano. L’attività canonica da fabbro quindi non gli basta: Roberto ha qualcosa da dire che non può essere taciuto. Approdato a Nuoro trentacinquenne, padre con tutta la famiglia al seguito, appronta un’ampia e luminosa bottega che gli consente di dare respiro alle sue visioni: dopo studio e ricerca, non solo diviene un eccellente forgiatore, ma scopre una vera e propria identità nascosta nel ferro. Brunitura, incisione, fiammatura: Roberto scopre che utilizzando sapientemente la fiamma sull’oggetto è in grado di ottenere ogni colorazione possibile. Abbiamo allora la linea di quadri fiammati “Riflessi di Luce”, complementi d’arredo, sculture (il suo “Corpetto Femminile” verrà premiato alla Biennale Internazionale d’arte di Roma del 2018), ma è su alcune opere in particolare che questa tecnica esprime tutto il suo potenziale. Meravigliose “Le Vele”, ideate nel 2008 per incoraggiare gli sfortunati dell’alluvione di Capoterra, poi ufficializzate alla sua prima personale “Quando il metallo…” all’EXMA di Cagliari (2011) e ancora riconfermate nel 2017 per il 50° anniversario della Costa Smeralda tramite lo Yacht Club di Porto Cervo. Anche Piazzetta Darsena a Cagliari


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ne ospita una: scultura di tre metri dedicata al velista cagliaritano campione del mondo Andrea Mura per la sua duplice vittoria dell’OSTAR (attraversata transatlantica in solitaria). Pensate alle sensazioni che richiama il ferro e ora invece a quelle di una vela gonfiata dal vento che solca i mari. Sono quasi agli antipodi, ma nelle opere di Ziranu coabitano senza negarsi. La materia rispecchia la sua tempra: stabile e senza fronzoli, netta, senza sbavature, ma al contempo leggera, ariosa, difficile da contenere, spinta perpetua che lo porta a solcare i mari della creatività. Con questa volontà di scoperta si è ora avventurato nella creazione di altri “nuclei di senso”: le farfalle. Una simbologia che tutti conosciamo ma su cui è

bene riflettere; se da bruco a farfalla si perde la resistenza in cambio di una libertà caduca, da ferro grezzo a opera d’arte si guadagna senso, concetto, significato. La farfalla come emblema della metamorfosi ci riporta di nuovo all’alchimista, a chi vuole innalzare la propria coscienza trascendendo la corporeità per emanciparsi da essa. Appena conclusa la mostra “Anima ferrosa” presso il Museo Archeologico di Olbia che le ha portate al mondo insieme a circa sessanta opere, ad ottobre conquisteranno Assisi: farfalle, vele, piatti iridati dalle sfumature che incantano. Abbiamo voluto raggiungerlo per approfondire alcuni aspetti. Roberto, stare davanti alle tue opere quasi ipnotizza. Qual è il tuo rapporto con loro? Creare è sicuramente la cosa più bella che ad un uomo possa capitare, ogni volta è un’emozione nuova, ogni volta è un racconto diverso, è vivere bene con se stessi. Guardare una propria opera è come guardare i propri figli: sei orgoglioso di quello che hai fatto, quell’opera rappresenta te stesso, e ne sei fiero. Da dove arrivano? Ognuna ha una

storia; il proprio stato d’animo può essere impresso in un’opera, il tuo viaggio può essere raccontato con un’opera... Molte nascono prendendo ispirazione dalla mia terra, dalle nostre tradizioni, dalla nostra cultura... altre sono semplicemente frutto della mia immaginazione, del piacere di creare... Vele che solcano mari, piatti che illuminano le sale, quadri che raffigurano

città immaginarie, farfalle che vivono all’infinito. Riguardo i tuoi estimatori, cosa puoi dirci? Fa piacere pensare che queste persone comprino qualcosa da te e poi se ne prendano cura, questo è il bello dell’arte. Quello che più mi fa piacere è che loro attraverso una mia opera riescono a sentire gioia e provare piacere. Grazie Roberto! Ricordiamo a chi volesse informazioni sulle prossime mostre di tenere d’occhio Instagram, Facebook oppure robertoziranu.com dove è possibile visionare le opere, oltre che ovviamente su Instagram. Inoltre potremo presto leggere una sua biografia. Attendiamo con piacere! Foto sardegnartigianato.com


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16 S&H MAGAZINE

I Magnifici 3 Viaggio fra gli sport estremi: i tre poli di eccellenza in Italia di DANIELE DETTORI

I

l nostro viaggiare in base 3 – come piacerebbe dire a un matematico – ci conduce questo mese alla scoperta di nuove località legate da un filo conduttore molto particolare: gli sport estremi. Con le ferie alle porte, tutti gli appassionati e i curiosi troveranno di seguito qualche buon consiglio per organizzare al meglio le proprie vacanze senza rinunciare alla giusta dose di emozioni forti. Cominciamo con il Veneto, dove il territorio frastagliato che alterna vette scoscese a valli di poderosa bellezza, offre ampi spazi verticali per chi ama il brivido delle altezze. Più precisamente siamo in provincia di Vicenza, nella vallata che separa i piccoli comuni di Enego e Foza uniti, tuttavia, da quella striscia artificiale che è il ponte Valgàdena, operativo dal 1990. Questo viadotto stradale è sorretto da due

imponenti piloni e gode di una particolarità che gli vale la nostra citazione: l’arcata centrale rappresenta il punto più alto di tutta Italia dal quale è possibile praticare il bungee jumping. Gli ardimentosi che si gettano nel vuoto dai suoi 175 metri di altezza sono parecchi e non è difficile trovare testimonianza delle loro gesta anche sul web, tra video e foto che immortalano il salto con l’elastico. Naturalmente è vietato improvvisarsi e l’organizzazione della performance deve essere e viene supervisionata da professionisti che curano ogni dettaglio. Il viaggio continua verso sud, varcando i confini territoriali della regione Marche dove alcune guide turistiche appaiono concordi nell’indicare questo spicchio della penisola affacciato sul Mare Adriatico come un angolo di paradiso per gli amanti del paracadutismo. L’esperienza, con una discesa alla velocità di circa 180 km orari da un’altezza di 4000 metri tra la terra e il mare, comprende un istruttore che accompagnerà in tandem il paracadutista e si preannuncia indimenticabile anche per le immagini che vengono realizzate e rese disponibili come ricordo. Da non sottovalutare, inoltre, il fatto di ammirare dall’alto le bellezze artistiche locali

come i bellissimi monumenti medioevali e contemporanei di Urbino, Gradara, Pesaro e Ancona. Come? Siete tra i fortunati che possono godere di un paio di settimane di ferie? Ma allora dovete approfittare per un giro completo del nostro Paese, attraversandolo proprio tutto fino all’estremo sud. Con aereo o traghetto è possibile raggiungere facilmente la bellissima isola delle arance e dei limoni e gustare un altro momento di pura adrenalina. La Sicilia, infatti, offre un’attrazione molto caratteristica: il volo col parapendio con rincorsa dall’Etna. Per la verità, sull’isola esiste più di una location dove praticare quest’esperienza, le cui altezze variano tra i 500 e gli 800 metri: quella dell’Etna, tuttavia, appare la più suggestiva perché ci si ritrova a librarsi sul vulcano più alto, ancora attivo, dalle nostre parti. Peraltro si è accompagnati, come naturale, da un istruttore che provvederà a pilotare il parapendio e che, con il suo team, seguirà le condizioni atmosferiche fino a poco prima del decollo. Il volo può avere una durata compresa tra i 15 e i 20 minuti e permette di vedere dall’alto Catania e un ampio tratto della costa sicula.


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Zamu

Il cabaret dentro ad un gioco di prestigio di MARCO SCARAMELLA

La magia, l’illusionismo, la prestibirigiritazione…” così introduceva i suoi numeri di illusionismo cabarettistico Raul Cremona, uno dei più celebri comici ed illusionisti nel recente panorama dello spettacolo italiano. Infatti, dopo la costante presenza di maghi ed illusionisti nella tv italiana degli anni ’80, è nata un po’ la tendenza di proporre un illusionismo in chiave comica che si prendesse meno sul serio. Due esempi sono, appunto, Raul Cremona ed il Mago Forrest, due presenze fisse in molte edizioni di Zelig con Claudio Bisio. Ma senza andare troppo lontano, anche in Sardegna qualcuno è rimasto affascinato dai misteri dell’illusionismo e ha deciso di inserirlo nell’ironico contesto del cabaret! Stiamo parlando di Samuele Zucca, alias Zamu. Illusionista, musicista, conduttore/spalla di altri cabarettisti, ed autore per altri comici ed illusionisti. Recentemente si dedica anche alla stand-up comedy, genere che sta iniziando a farsi apprezzare sempre di più anche in Italia. Il prossimo inverno potremo, infatti, assistere alle sue serate nei panni di stand-up comedian, in giro per l’Italia. Abbiamo fatto una bella chiacchierata con Samuele per conoscere meglio il suo lato magico. La sua passione per la magia inizia da

bambino, ma è costretto ad abbandonarla per via della difficoltà nel reperire libri e manuali su cui studiare. Verso i 18 anni, grazie all’arrivo di internet, Samuele ha la possibilità di vedere gli spettacoli dei più famosi illusionisti come Copperfield, ordinare libri e partecipare a spettacoli e convention di magia. “Da qui ho capito che avrei voluto fare questo per tutta la vita” – ci racconta Samuele. In un ambito in cui è necessario migliorarsi costantemente, Samuele non ha mai smesso di studiare l’illusionismo. Ma non solo, tendenzialmente i due macro ingredienti che possiamo trovare negli spettacoli di Zamu, sono magia e comicità. Altri elementi che rendono i suoi spettacoli caratteristici ed efficaci sono l’assenza delle classiche attrezzature da mago (casse colorate, conigli, fiori…) ed un impatto molto poco formale. I suoi spettacoli ed i suoi numeri sono, infatti, un mix di illusionismo ed ironia, fatti di battute e stratagemmi studiati per coinvolgere il pubblico in prima persona. Grazie allo studio di diverse discipline come il teatro, il cabaret, l’illusionismo, il mentalismo e la musica, Zamu riesce a proporre una forma di intrattenimento variegata e completa. Ma le esperienze di Samuele non si limitano all’illusionismo e al cabaret. Intorno al 2010, ha collaborato, infatti, con Sardegna 1 e Gennaro Longobardi,


Foto Davide Guala

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presentando, inoltre, l’unica puntata di Per la strada in cui era assente lo storico conduttore. Nel 2012 collabora con il celebre duo comico Cossu&Zara in una trasmissione su Videolina, per poi condurre una trasmissione tutta sua sempre su Videolina e ancora con Cossu&Zara come direttori artistici. Nel 2016, approda in Rai nel programma di Caterina Balivo, Detto Fatto. Recentemente collabora con Sardegna 1 in una trasmissione comica insieme al cabarettista e socio Thomas. Come autore scrive anche testi per alcuni comici di La Pola. Nel corso della sua carriera, Zamu riesce ad ottenere anche degli importanti riconoscimenti. Nel 2010 viene intervistato da L’Uomo Vogue e segnalato come uno dei giovani illusionisti più promettenti d’Italia. Nel 2011 si classifica al secondo posto durante il prestigioso Festival Magico Internazionale tenutosi ad Abano Terme, ed è l’unico italiano premiato in tutta la competizione. Quali sono i modelli a cui ti sei ispirato? Ci sono degli illusionisti che mi hanno ispirato e che stimo molto, ad esempio Tony Binarelli, con cui ho anche collaborato e che faceva parte della triade degli illusionisti televisivi negli anni ’80, insieme a Silvan e Alexander. Ammiro tantissimo il Mago Forrest, ha un impatto comico molto forte tanto che mette in secondo piano l‘aspetto illusionistico. Il mio stile è diametralmente opposto perché illusionismo e comicità si dividono la scena al 50%. Insomma, allo spettatore risulta ben chiaro che io sia un illusionista a tutti gli effetti. Poi c’è David Stone, comico, illusionista e scrittore francese, e potrei fare tanti altri nomi che non vi direbbero niente, perché si tratta di personaggi non famosi.

Come nascono i tuoi numeri? I miei numeri nascono in maniera molto, molto lenta. Normalmente quando ho in mente un nuovo numero ci vogliono mesi prima che questo veda la luce in uno spettacolo di prova. Poi, di lì a qualche mese, se funziona, diventa un numero rodato ed entra a far parte definitivamente dello spettacolo. Col passare del tempo, sviluppo numeri sempre più complessi, elaborati e curati dal punto di vista psicologico e tecnico. Gli stessi numeri che facevo agli inizi, sono cambiati completamente col passare tempo. Com’è essere un illusionista in Sardegna? Percorrere questa strada, da professionista, in Sardegna è un percorso che offre delle possibilità che paradossalmente non offrono altre regioni italiane. La Sardegna è ricca di feste in piazza e sagre di paese, e lavorare in questi contesti ti permette di fare tanta gavetta, se hai la fortuna e la bravura di riuscire ad importi sul giudizio del pubblico. Ringraziamo Samuele per la chiacchierata, e vi ricordiamo che per rimanere sempre aggiornati sulle date dei suoi spettacoli potete mettere un bel like sulla sua pagina Facebook, e seguirlo anche su YouTube ed Instagram.


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di ALBA MARINI

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usetto allungato, occhi rotondi e vispi, simpatico e socievole, curioso e intelligente, intento in mille acrobazie: questa è l’immagine classica che tutti noi abbiamo del delfino, il mammifero marino appartenente all’ordine dei cetacei più famoso del mondo sommerso. Amati da adulti e bambini, spesso “prigionieri” di parchi acquatici e delfinari, i delfini sono assidui frequentatori delle coste della Sardegna e, quando vengono segnalati gli avvistamenti, turisti e locali accorrono sul posto per vederli saltare in lontananza.

Se immaginiamo un delfino ci viene alla mente la specie con il “naso a bottiglia”, ossia quella dei Tursiopi, sicuramente la più celebre. Ma esistono varie specie di delfini. In particolare, a far visita alle coste sarde sono sì i Tursiopi, ma anche le Stenelle striate, distinguibili per le particolari strisce laterali presenti sul corpo. I delfini prediligono le acque limpide e pulite. Quale miglior mare di quello sardo dove volteggiare con le loro eleganti acrobazie? Gli avvistamenti di delfini appartenenti a entrambe le specie sono frequenti, in particolare, nella costa settentrionale della Sardegna nelle zone di

Golfo Aranci e di Alghero, area famosa per ospitare la splendida Area marina protetta di Capo Caccia e Isola Piana. Altre località a nord dove vedere Stenelle e Tursiopi sono Stintino, l’Arcipelago della Maddalena e la Costa Smeralda, con in testa i tratti di mare di Olbia e Porto Cervo. Nel sud della Sardegna, invece, sono i mari di Costa Rei e Villasimius ad essere i più frequentati da questi intelligentissimi cetacei. Non è raro, oltretutto, che i delfini facciano qualche comparsa nelle acque del cagliaritano: il punto perfetto dove ammirarli da lontano, in questo caso, è il Porto di Cagliari. Addirittura, una coppia di delfini era diventata celebre gli


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Progetto Natura Alghero (foto 1 e 2). Il Golfo dei delfini Golfo Aranci (foto 3)

anni scorsi per frequentare assiduamente l’area portuale, soffermandosi spesso davanti al Molo Dogana. Vedere i delfini a distanza, dalle spiagge o dai porti, non è l’unica opzione per ammirare questi cetacei straordinari in Sardegna. Diversi tour operator organizzano escursioni all’insegna del dolphin watching, garantendo ai partecipanti la possibilità di avvicinarsi ancora di più (mantenendo comunque una distanza ritenuta sicura e non invasiva per gli animali) e guardare i delfini nuotare e sal-

tare immersi nel loro habitat naturale. Nelle acque turchesi di Golfo Aranci, una lingua di terra a pochi chilometri da Olbia e che si affaccia con discrezione sul mar Tirreno, gli avvistamenti di delfini sono particolarmente frequenti. Non a caso questa zona è stata scelta da svariati tour operator per far partire le escursioni in barca per chi desidera approcciarsi al dolphin watching. Progetto molto interessante è Il Golfo dei delfini, promosso dalle associazioni Worldrise e Friend of the Sea, nato con

l’intento di valorizzare le risorse naturali nell’ottica di un turismo sostenibile in Sardegna. Gli operatori turistici che si occupano di guidare i tour alla scoperta del mondo dei delfini di Golfo Aranci (Sarda Service Marine e il Centro immersioni Figarolo) sono costantemente coinvolti in corsi di formazione atti a favorire il passaggio del dolphin watching da attività turistica ad attività eco-turistica. Tra le regole imposte alle imbarcazioni spiccano il rispetto della distanza di sicurezza di almeno 60 metri e del limite di velocità che non deve superare i 5 nodi e i divieti di cibare e nuotare con gli animali. L’intento dei tour è quello di educare e sensibilizzare: il mare è per i delfini l’equivalente della nostra casa fatta di mattoni e dobbiamo sentirci ospiti privilegiati nel mondo marino. Il rispetto della dimora altrui, insomma, viene prima del nostro intrattenimento. Altra escursione da non perdere è quella con il Progetto Natura, a largo di Alghero. Il progetto è gestito da un team di biologi marini, guide ambientali e Marine Mammal Observers con oltre 15 anni di esperienza. Grazie alla presenza a bordo di alcuni studiosi della specie le probabilità di avvistamento superano l’80%. Gli esperti, oltretutto, cercano di raccontare il mondo “segreto” dei delfini ai partecipanti, ricorrendo anche all’uso di registrazioni subacquee per spiegare il loro

modo di comunicare. In questo modo forniscono ai partecipanti al tour un’esperienza che non è solo basata su osservazione e divertimento, ma anche un arricchimento del proprio bagaglio di conoscenze legato al mare. Gli incontri ravvicinati con i delfini non sono rari neanche durante le gite in barca autonome. In questo caso è importante sapere come approcciarsi all’animale senza spaventarlo e mantenendo la giusta distanza. Evitare rumori e schiamazzi, non dare da mangiare ai delfini e prediligere un’osservazione discreta sono le regole base per godere appieno della magia di questo incontro fortunato, senza far sì che per i delfini diventi un incubo. Non è raro, peraltro, incontrare esemplari femmina con piccolo al seguito: in questo caso il silenzio è ancor più raccomandabile. Amanti del mare, degli animali, delle acrobazie, del turismo “pulito” a rapporto: il dolphin watching è una magnifica avventura da vivere con la giusta consapevolezza. La lontananza dagli esemplari che è necessario mantenere per non disturbare i delfini non deve generare rammarico, nemmeno tra i bambini. Anche i più piccoli, se educati correttamente al rispetto delle regole di “buona convivenza” tra umani e cetacei, saranno felici di vivere il loro sogno mettendo al primo posto l’amore per questi animali straordinari.


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UNA BIOGRAPHIC NOVEL... ANZI, DUE! di HELEL FIORI

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on è mai facile avvicinarsi alla politica da adulti. Questo perché la politica non è solo fazioni, populismo, o tantomeno votare quello che vota mio padre o il mio amico. La politica, presa seriamente, è storia, narrazione, scrittura del futuro. Capirci qualcosa spesso è difficile, ci sembra di essere bersagliati da migliaia di informazioni che si intrecciano e si accavallano confuse: politica estera, economia, politica interna, cadute di Governo, politici che cambiano partiti e partiti che cambiano nome. Per chi non ha il tempo di

riprendere in mano un libro di storia contemporanea e rifare tutto il cammino dalla Destra Storica ad oggi (attività che potrebbe inaspettatamente divertire) può essere interessante dedicarsi alla lettura di una snella biografia illustrata dei due volti più importanti del panorama politico attuale, Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Un libro a fumetti organizzato in formato flip book, ovvero un reversibile volume unico sfogliabile da entrambi i lati: a copertina verde il racconto della gavetta di Salvini, dalla scomparsa del suo Pu­ pazZorro fino al diventare l’inarrestabile trascinatore Segretario della Lega per

poi accedere a Palazzo Chigi; con copertina gialla la crescita di Di Maio e il passaggio da politico liceale di Pomigliano a Vice Presidente del Consiglio dei Ministri a cavallo del M5S. Più tutto quello che c’è stato in mezzo: Mani Pulite, Di Pietro, Berlusconi, Beppe Grillo, Bossi, Cossiga. Onnipresenti sui media mentre i nostri due muovevano i primi passi fuori dai rispettivi nidi. Il racconto sfoggia un’eccellente accuratezza cronistica che evita di trasformarsi in editoriale malcelato: testi, disegni, e infografiche strutturano infatti una narrazione giornalistica di piacevole fruizione, e solo ogni tanto i fumetti solleti-


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cano il lato satirico del lettore lasciando trasparire da lontano l’opinione degli autori. Avete letto bene; forse per bilanciare le forze in campo, a generare questa doppia biographic novel sono state due giovani menti brillanti: Giuseppe Angelo Fiori, talento sassarese classe 1983, laureato in lettere alla Sapienza di Roma, giornalista e autore satirico per L’Unità e per Il Male di Vauro e Vincino, con un ritmo avvincente ci tiene incollati per 220 pagine guidandoci nella storia politica italiana degli ultimi quarant’anni. A dare forma alle parole e talvolta smorzare la serietà degli argomenti le vignette di Dario Campagna, trentacinquenne palermitano, giornalista pubblicista che tra le collaborazioni vanta Greenpeace, WWF, CGIL, La Stampa, Il Foglio, Il Male, e che si ispira ai lavori del giornalista statunitense Ted Rall (vignettista satirico dallo stile abbastanza minimalista). L’accuratezza dei testi trova il giusto contraltare nelle illustrazioni di Campagna, che addirittura ripropongono fedelmente l’abbigliamento che i personaggi indossavano durante i momenti rappresentati. I due insieme non sono solo precisi, sono esplosivi: conosciutisi sotto l’ala tutt’altro che malefica de Il Male ufficializzano la loro collaborazione editoriale nel 2014 con Il Coinquilino di Merda – Manuale di non sopravvivenza (ed. Mondadori, conseguenza cartacea dell’omonima pagina Facebook creata da Fiori nel 2012 diventata un faro dai 750mila like nella nebbia del “coinquilinaggio” col motto “Il Coinquilino di Mer­ da: se non ce l’hai, sei tu”, e di cui Campagna ha curato le illustrazioni), sono riusciti a trasformare il rischioso taglio biografico in una lettura tutt’altro che passiva che ben funziona anche con chi di politica in realtà se ne intende, perché si torna indietro nei ricordi, si riempiono

lacune mnemoniche, si riflette e si comprende mentre si ride e ci si arrabbia, ridefinendo i limiti delle proprie idee. “Penso che ci troviamo in un momento storico nel quale la partecipazione è fondamentale. – dice Giuseppe. – Indignarsi, condividere e manifestare non basta più. Bisogna mettere il proprio corpo e la propria testa al servizio dei valori in cui crediamo. Io ho una formazione da giornalista e da autore satirico, e con Dario si parlava sempre di fare un nuovo progetto. Questo libro è nato così.” Quindi questo volume invita al riattivare la propria coscienza politica, il proprio pensiero critico, la preziosa capacità di discernimento: “Per me ogni gesto che facciamo ha un significato politico. Anche la scelta di gettare una sigaretta per terra o metterla in un cestino ha un significato politico. Per me la politica è tutto.” continua Giuseppe. Ed è sotto questa ottica che i due giornalisti hanno analizzato le vite dei due leader: “La nostra idea di fondo era dimostrare che questa unione, che soprattutto all’inizio è sembrata così strana, in realtà nasconde una lunga storia comune, un lungo processo di avvicinamento e affinità. L’idea di dare la forma del flip book nasce anche da questo. La storia parallela di due movimenti che parte da lontano, e che si avvicina sempre di più, fino a (spoiler) la firma del contratto di Governo.” Il loro è un libro che cerca di essere imparziale, quindi, ma destinato a chi sceglie giorno per giorno di non esserlo. La casa editrice è BeccoGiallo, piccola trevigiana/padovana di tutto rispetto, specializzata in fumetto biografico e d’inchiesta che deve il suo nome al foglio satirico antifascista “Il Becco Giallo” degli anni Venti. Il volume è disponibile in tutte le librerie italiane e sul web, mentre per seguire gli autori reindirizziamo alle pagine personali o ai siti dariocampagna.blogspot.com e cargocollective.com/gafiori.


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FARMASINARA Cosmetici che raccontano la nostra isola Q

di FRANCA FALCHI

uando l’amore per il proprio lavoro, la tenacia e un briciolo di incoscienza incontrano un’area protetta, un sogno si può trasformare in realtà. Il visionario è il professor Giorgio Pintore, docente di Farmacognosia al Dipartimento di Chimica e Farmacia dell’Università di Sassari, l’area è il Parco Nazionale dell’Asinara e la magia che ne deriva è Farmasinara, marchio commerciale di sostanze naturali di Sardegna, spin off innovativa e unica nel suo genere. Un progetto sposato con entusiasmo dalla dirigenza del Parco nel 2012 e portato

avanti negli anni con naturalezza, passo dopo passo. Inizialmente la ricerca applicata, con tesi mirate alla maggior conoscenza delle essenze medicinali, in quel territorio preservato da un isolamento di oltre un secolo tra Colonia Penale e Stazione Sanitaria Marittima che, se da una parte ha contribuito a preservare un contesto naturalistico unico, dall’altra ne ha impedito uno studio approfondito ed esaustivo. Dallo studio alla produzione il passo è stato breve, le proprietà salutistiche delle piante autoctone quali lavanda, elicriso, mirto, calendula e rosmarino, sono state sperimentate nella loro efficacia e applicabilità nei prodotti cosmetici.

È nata così l’Officina Cosmetica con una filiera interamente svolta nell’isola, dalla lavorazione delle piante sino l’estratto, dalla formulazione cosmetica al riempimento, etichettatura e confezionamento. Quaranta metri quadri nella località della Reale, la stessa che ha dato il nome al primo sapone prodotto e a un olio massaggi tutt’ora utilizzato dalla Dinamo Basket, hanno coronato ciò che dovrebbe essere l’aspirazione di ogni farmacista. In pochi anni i cinque prodotti iniziali, in minime quantità, sono diventati una linea di cosmetici, antinfiammatori e decontratturanti, e la spin off una vera e propria impresa, con cinque dipen-

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Il prof. Giorgio Pintore (destra) con Juri Masoni, responsabile marketing

denti, due consulenti e due agenti commerciali, una fitta distribuzione e diversi punti vendita oltre allo shopping online. L’azienda è ora autosostenibile, non ha più finanziamenti pubblici, e investe gli eventuali profitti in ricerca e macchinari, ma è soprattutto eco compatibile

nel rispetto della natura e dell’ambiente, con un basso impatto inquinante e un alto livello tecnologico, secondo i dettami del Parco. Le materie prime utilizzate sono le essenze ricavate dal lavoro di pulizia dei sentieri e di sfalcio dei prati dell’isola, oltre che la posidonia e i residui di lavorazione di prodotti naturali quali i ricci di mare, facendo rivivere in ogni formulazione il ricordo dei profumi caratteristici dell’Asinara. Le finalità del progetto si completano col laboratorio didattico attraverso il quale si svolgono stage formativi per laureandi e laureati, percorsi di alternanza scuola lavoro, progetti educativi e di sensibilizzazione ambientale per scuole e visitatori sia per ciò che concerne la fase produttiva che le specificità delle varie essenze spontanee del Parco, che come occasione di conoscenza per un uso consapevole dei prodotti naturali e una migliore qualità della vita.


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Il dentista risponde

Il Dott. Giuseppe Massaiu è un professionista di riferimento e opinion leader in tema di Odontoiatria Naturale e Biologica, insegna in corsi frontali e on-line argomenti clinici ed extra-clinici legati al mondo della Odontoiatria e della Medicina Naturale, Posturale e Olistica oltre che del Management e del Marketing Odontoiatrico.

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QUANTI DENTI ABBIAMO E QUALI FUNZIONI HANNO?

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o già avuto modo di parlare di dentizione in questo nostro appuntamento mensile. Abbiamo visto la differenza tra denti da latte, denti definitivi e abbiamo anche dedicato qualche considerazione sui tanto temuti denti del giudizio. Ma quanti sono, alla fine, i nostri denti? Ancora, svolgono tutti lo stesso ruolo oppure

hanno finalità differenti? Vediamolo insieme. Abbiamo per primi i denti da latte, che in tutto sono 20 e sono divisi equamente tra arcata superiore e inferiore, spuntano nei primi anni di vita, e di solito si cambiano entro i tredici anni. Compaiono verso i sei anni i primi denti permanenti, e man mano tutti gli altri, che ci ac-

compagneranno per tutto il resto della vita. I denti permanenti sono 32 in totale, anche se i 4 denti del giudizio potrebbero rimanere inclusi o venire estratti precocemente se creano fastidi. Tale cifra va suddivisa in: 8 incisivi, 4 canini, 8 premolari e 12 molari, che includono i 4 del giudizio. Senza scendere troppo nel tecnico, i primi 8 sono i denti frontali. In un tempo oramai lontanissimo, in cui non conoscevamo le posate o la cottura degli alimenti, servivano (come dice il loro nome) ad “incidere” il cibo. Ora come ora la loro funzione principale è estetica, in quanto sono la prima parte del nostro sorriso che mostriamo agli altri. Ai lati destro e sinistro degli incisivi compaiono i canini. Negli animali predatori questi sono i denti più temuti. Lunghi e affilati, servono ad affondare e a strappare il cibo, oltre che ad essere snudati per intimorire l’avversario. Nell’uomo moderno questa funzione offensiva è ormai stata sostituita, al massimo,

da suggestioni vampiresche. Ad ultimo, più numerosi di tutti, abbiamo molari e premolari. Pari e simmetrici tra i due lati di mascella e mandibola, hanno una importante funzione nella corretta masticazione. La loro funzione principale è fare da mola, esattamente come le presse di un frantoio fanno con le olive. Non servono ad incidere o strappare il cibo, ma piuttosto a triturarlo e sminuzzarlo in pezzi più piccoli in modo da formare il bolo alimentare da mandare giù con facilità. Ultima nota di costume: i denti del giudizio, per quanto molari, possono presentarsi con forme atipiche rispetto ai loro “fratelli”, in quanto sono denti di riserva. Sempre più spesso, però, questo fatto non viene neanche rilevato in quanto rimangono inclusi tutta la vita, senza mai spuntar fuori. Ogni mese il Dott. Massaiu risponderà ad uno di voi. Inviate le vostre domande a: dott.massaiu@shmag.it. www.studiomassaiu.it

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