S&H Magazine n. 280 • Gennaio 2020

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Gli angeli custodi dei malati oncologici Dall’associazione di volontariato Gli Angeli di Roberto nascono le Lady Pink di ALBA MARINI

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ono guerriere in rosa, donne dai 18 ai 60 anni che non si fanno so­ praffare dal dolore e, anzi, aiutano quotidianamente donne, uomini e bambini che da soli non riescono a gestire i problemi legati a un crudele nemico: il cancro. Sono le Lady Pink, le coraggiose vo­ lontarie di una nuova asso­ ciazione al femminile che ha

sede e opera a Cagliari e nei comuni limitrofi. A capo dell’idea Maria Bo­ naria Carboni, presidente dell’associazione di volonta­ riato Gli Angeli di Roberto. Il cancro è una malattia debili­ tante, così come lo sono le sue cure. È per questo che il gruppo di volontarie con la “maglietta rosa” ha deciso di dare un supporto alle persone che da sole non ce la fanno, andando nelle case dei malati

oncologici per pulire, riordi­ nare, cucinare, fare la spesa con un solo ed unico guada­ gno: aiutare il prossimo. Le Lady Pink sono nate per caso. “Io e le volontarie degli Angeli di Roberto stavamo a casa e d’improvviso ci è ve­ nuto in mente: Cosa possiamo fare ancora per gli altri?” ci ha rivelato la Presidente degli Angeli di Roberto e ideatrice delle Lady Pink. Maria Bonaria Carboni è, infatti, affetta da tumore al seno. Come pa­ ziente oncologica è ben con­ scia di tutte le problematiche legate all’avere un tumore e, nonostante la chemio e le cure debilitanti, non ha mai interrotto la sua attività di vo­ lontariato. L’obiettivo ora è reclutare quante più volon­ tarie possibili, pronte a de­

dicare due ore giornaliere (mattina o sera) ad aiutare i malati di cancro. Le Lady Pink sono a diposizione sia per aiutare gli adulti affetti da tu­ more, che i genitori di bambini e ragazzi affetti da questa ma­ lattia. Si tratta di un servizio a 360° e completamente gra­ tuito: dalle più banali com­ missioni a un aiuto ospeda­ liero durante l’ora del pasto; dall’andare a prendere i bam­ bini a scuola al pulire la casa. Sono circa 10mila i nuovi casi di tumore (5.200 uomini e 4.800 donne) stimati in Sar­ degna nel 2018, trecento in più rispetto al 2017. Purtrop­ po, complice la scarsa ade­ sione ai programmi di scree­ ning, la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi sull’isola è inferiore rispetto alla media nazionale: 60% fra le donne contro il 63% nel resto d’Italia il e 49% fra gli uomini contro il 54% della penisola. Basti pensare che, solo il 34,6% dei cittadini sardi ha eseguito il test per la ricerca del sangue occulto nelle feci per la dia­ gnosi precoce del cancro al colon e solo il 52,6% delle donne ha effettuato la mam­ mografia nell’ambito di pro­ grammi organizzati. Le Lady Pink cercano volon­ tarie, delle eroine del quoti­ diano che possano mettere a disposizione solamente due ore della loro giornata per far del bene a chi è in difficoltà. Se ti vuoi unire a loro o se, al contrario, sei tu ad aver biso­ gno del loro aiuto puoi con­ tattare il numero 3770402687. L’associazione ha sede in via Doberdò 31 a Cagliari ed è presente anche su Facebook: Lady Pink warrios.


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S&H MAGAZINE Anno XXV - N. 280 / Gennaio 2020 EDIZIONE CAGLIARI+SASSARI

Direttore Responsabile MARCO CAU Ufficio Grafico GIUSEPPINA MEDDE Hanno collaborato a questo numero: DANIELE DETTORI, FRANCA FALCHI, HELEL FIORI, ERIKA GALLIZZI, ALESSANDRO LIGAS, ALBA MARINI, GIUSEPPE MASSAIU, MANUELA PIERRO

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Redazione Sassari, Via Oriani, 5/a - tel. 079.267.50.50 Cagliari, tel. 393.81.38.38.2 mail: redazione@shmag.it

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Editore ESSEACCA S.r.l.s., Via Oriani, 5/a - Sassari Per la pubblicità: tel. 335.722.60.54

Stampa Tipografia TAS S.r.l. - Sassari

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03 Lady Pink

Gli angeli custodi dei malati oncologici

05 Scusorgius

Scuola di Magia e Stregoneria

06 Bearded Villains

I barbuti dal cuore d’oro

08 Dago è giunto in Sardegna La nostra isola in fumetto

10 Calangianus

La suggestiva perla gallurese

12 Gianni Tetti

Una penna che squarcia il velo

14 Il Maestro Leonardo Sini L'arte di dirigere un'orchestra

16 I Magnifici 3

Viaggio nell’architettura italiana

18 Dire sì in Sardegna

Sposarsi tra paesaggi mozzafiato, clima perfetto e ottima cucina

20 Awake for Days Chi non si arrende trova l’America

22 Student’s Got Talent Sardegna L’arte entra nelle scuole per combattere il bullismo

Registro Stampa: Tribunale di Sassari n. 324/96. ROC: 28798. © 2019. Tutti i diritti sono riservati. È vietato riprodurre disegni, foto e testi parzialmente e totalmente contenuti in questo numero del giornale.

24 Raimond Handball Sassari I rossoblù scaldano i motori per il ritorno in campo

25 Dinamo Sassari I biancoblù iniziano il nuovo anno al 2° posto

26 HITWEETS 28 Protezione Civile La cabina di regia delle emergenze

29 Il dentista risponde Quali alimenti possono rendere i denti scuri, e quali aiutano a schiarirli

30 Dillo a foto tue

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in Copertina

LEONARDO SINI Foto di Laila Pozzo


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Scusorgius La Scuola di Magia e Stregoneria del Nord Sardegna di FRANCA FALCHI

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ompaiono all’improvviso tra i vi­ coli del Centro storico di Sassari, li senti arrivare dal fruscio dei mantelli svolazzanti e dalle fresche risa dei bambini al loro seguito. Corrono sul ciottolato raggiungendo le varie tappe della caccia al tesoro, tra le botteghe antiche e suggestive, risolvono enigmi, scovano ingredienti segreti e formule magiche con cui preparare pozioni po­ derose. Sono i maghi e le streghe di Scusorgius, scuola di Magia e Stregoneria del Nord Sardegna, un progetto del­ l’Associazione Culturale e di Promozione Sociale Il Colombre. Nata dall’idea della saga di Harry Potter,

la scuola è stata magistralmente adattata alle tradizioni del territorio sardo ad ini­ ziare dal nome che significa “tesoro” da cercare e da scoprire. Con un format originale e indipendente da quello della Rowling si prefigge l’obiettivo di far ri­ scoprire la città contaminandone la storia con un racconto fantastico. È un vero e proprio gioco di ruolo in costume dove i personaggi interpretano la loro missione: ognuno ha una sua specialità, dalla difesa dalle arti oscure alla divinazione, dalle erbe magiche agli amuleti e talismani, dalla trasfigurazione alle pozioni, dagli animali fantastici alla storia della magia sarda e ognuno ha una sua identità alla quale attenersi rigorosamente. Gli stessi allievi debbono rispettare il ruolo per poterne far parte, superando la selezione con prove d’ingresso rac­ chiuse nella caccia al tesoro, dimostrando doti di ingegno, disciplina e onestà. Ac­ cade talvolta di dover affrontare trasferte extraurbane, ma perlopiù lo scenario è Sassari. I luoghi della città diventano così il teatro di intrecci tra realtà, leggende e fantasia, si scopre la storia del Palazzo di Città che nell’orologio custodisce l’ingresso della scuola, quella di San Donato e del

folletto dalle sette berrette, l’Inquisizione Spagnola in Piazza Tola e i fantasmi di Piazza Rosario. Anche i negozi del Centro diventano parte attiva del gioco. La scuola è suddivisa in caste “Zenie” con caratteristiche ben precise, rappre­ sentate ciascuna da un animale fantastico secondo la tradizione sarda: Iskultone, l’incrocio tra drago e serpente il cui sguardo o soffio può uccidere; Caddos Birdes, i cavallini verdi che portano una fortuna smisurata; Stria, la civetta o barbagianni detentori di notizie; Erchitu, il bue presagio di morte. Scusorgius è una storia in continua evo­ luzione, i personaggi mutano nel tempo, evento dopo evento, alcuni scompaiono, altri sopraggiungono in una narrazione transmediale che dai social continua nella realtà: lettere che arrivano, oggetti che spariscono, indizi da cercare, e eventi paralleli fatti di arti figurative. Il pubblico, sia bambini che adulti, è chiamato ad essere protagonista attivo del gioco secondo uno storytelling adat­ tato all’evento. Il 2020 riserva importanti cambiamenti, qualcosa è già nell’aria, un personaggio importante dovrà la­ sciare la scuola ed eventi fantastici si scateneranno.


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BEARDED VILLAINS I BAR B U TI DAL C U OR E D’ORO

di DANIELE DETTORI

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Costantino, un amico molto sensibile e presente nel sociale, a portarci a conoscenza di questa realtà che, già da qualche anno, sta raccogliendo consensi e attivisti in giro per il mondo. Una realtà che unisce uomini di buona volontà, ciascuno con il proprio vissuto e i propri sogni ma tutti legati da un comune denominatore: la barba. «Dev’essere di almeno quattro cm», precisa Simone Griva, il Co­ Commander del Charter sardo. Ma andiamo con ordine. «Per diventare un Bearded Villain non è richiesto altro requisito. Abbiamo BV di diciannove anni così come ultrasessantenni; ci uniscono la voglia di compiere buone azioni e aiutare il prossimo. Il nostro obiettivo è unire uomini barbuti di tutte le culture, razze, credo e orientamento sessuale in una fratellanza dedicata alla lealtà,

all’onore e al rispetto di tutte le persone, facendo di carità e gentilezza due nostri capisaldi.» Rimaniamo subito colpiti dal fatto che, sfogliando le gallerie fotografiche in compagnia di Simone, emergono omoni dal fisico massiccio, spesso tatuati e con un look poco rassicurante. «È vero, questo stereotipo del “cattivo” è difficile da abbattere. Del resto, come in ogni realtà, anche tra noi ci sono persone dal temperamento più o meno sanguigno. Siamo quasi tutti lavoratori, padri di famiglia, ed è bellissimo vedere queste persone impegnate nelle nostre attività, magari mentre donano un uovo di Pasqua a un bambino malato.» Sì, perché quando c’è da portare un sorriso o un aiuto concreto, i BV si spendono in prima persona. «Quella delle uova di Pasqua è stata un’iniziativa che abbiamo realizzato per i bambini dell’Ospedale

Microcitemico di Cagliari. Ma abbiamo collaborato anche con l’Associazione Cuore di Maglia e con i suoi volontari che realizzano vestitini e, appunto, lavori a maglia da donare ai bambini nati prematuri per tenerli al caldo. In occasione del nostro meeting natalizio a Sassari, il 14 e 15 dicembre, abbiamo poi sostenuto una raccolta di viveri e vestiario per la struttura Caritas parrocchiale di Nostra Signora del Latte Dolce: un’occasione per aiutare più di sessanta famiglie. E i progetti sono ancora tanti.» Cerchiamo di capire meglio, allora, com’è strutturata questa barbuta realtà. «Nasce tutto nel 2014 a Los Angeles, da un’idea di Fredrick Von Knox. In poco tempo si è diffusa in diverse parti del mondo perché condivide valori universali. In Italia ci sono già due Chapter, o Capitoli: uno che comprende le Regioni del nord fino alla Toscana, l’altro dalla Toscana in giù al quale apparteniamo anche noi


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sardi. Nel 2018, per le nostre attività, abbiamo ottenuto un riconoscimento che ci permette di essere considerati come un loro Charter, cioè un Satellite. Un primo passo verso una possibile indipendenza. Ad ogni modo, spesso le nazioni hanno diversi Capitoli anche in base all’estensione. L’America ne ha tantissimi. Qui in Europa posso citare Inghilterra, Francia, Germania, ma ci sono gruppi anche in Sud Africa, Asia, Iran...» Se chiunque, potenzialmente, può diventare un BV (certo, barba permettendo), all’atto pratico esiste una piccola selezione che consente, per così dire, di saggiare la tempra dell’aspirante. «Abbiamo degli Scout che si occupano di questo: individuano le persone e cercano di capire quali siano le loro inclinazioni, se siano affidabili e così via. Di solito i simpatizzanti cominciano con l’avvicinarsi a noi tramite i social, magari dopo un evento o un incontro con qualcuno che conoscono. Cercano informazioni, condividono o mettono like. A quel punto intervengono i nostri Scout e, se l’interesse è serio, si diventa BV.» E i BV hanno anche un’organizzazione interna che consente loro di dividersi i ruoli e gestire al meglio tutte le incombenze. «Si inizia come Supporter quando, appunto, si simpatizza verso la nostra attività anche supportandoci. Poi si diventa Hopeful, cioè una speranza per il gruppo, e da lì si “sale di grado” come Villain, Member, Loyal. Se si partecipa a un alto numero di meeting si guadagna una Élite. Al vertice abbiamo il Commander (il nostro è Alessio Di Benedetto) e il suo

vice, il Co­Commander. Ufficialmente, l’ingresso nel gruppo avviene con il passaggio da Supporter a Hopeful attraverso l’”alzabandiera”: si riceve una Patch, ossia una toppa da applicare al gilet. Se ne riceve poi una in occasione di ciascun meeting o quando si supportano le nostre iniziative. Naturalmente, più se ne hanno più si guadagna di status.» Tutte le attività dei BV sono finanziate in primis dai fratelli, come loro stessi si definiscono, e con l’aiuto di quei simpatizzanti che hanno piacere a contribuire. «Ci capita anche di cercare qualche sponsor, a seconda di che evento dobbiamo fare, perché per realizzare alcune iniziative c’è bisogno di liquidità. Per l’evento a Cagliari, oltre alle nostre quote c’è stata una grossa donazione da parte di un fratello marocchino, Said. Grazie a lui siamo riusciti a raggiungere l’obiettivo prefissato.» Vogliamo chiudere la chiacchierata con Simone dandovi qualche numero che meglio aiuti a comprendere la realtà dei BV; una realtà in continuo divenire. «A livello mondiale siamo circa quattromila; in Italia siamo poco meno di duecento, ripartiti per un’ottantina al nord e novantanove al sud compresi noi sardi. Qui sull’isola siamo poco meno di trenta, la gran parte concentrati su Cagliari. Contiamo di crescere, naturalmente, e aiutare sempre il maggior numero di persone possibile». I BV sono presenti sui principali social, tra cui Instagram: Pagina: @beardedvillains_sardinia Commander: @alliccu_bv Co­Commander: @simo_bearded


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Dago è giunto in Sardegna La nostra isola in fumetto, tra paesaggi e tradizione e il guerrigliero Su ‘Entu di ALBA MARINI

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l 14 dicembre 2019 è usci­ to “Lungo le strade della morte”, un episodio am­ bientato in Sardegna del fa­ moso fumetto Dago. La storia, scritta e disegnata dagli ar­ gentini Nestor Barron e Sergio Ibanez, è stata pubblicata sul numero 277 del mensile de­ dicato al personaggio. Dago è un personaggio itine­ rante. Parte da Venezia, viene rapito dai pirati, e si muove in tutti i luoghi del Mediter­ raneo, in nord Africa, in Spa­ gna, ma non solo, arrivando persino in America. Nell’ultima storia sbarca per la pri­ ma volta in Sardegna. Il lavoro degli autori ar­ gentini Barron e Ibanez è stato meticoloso: il ruolo dell’isola in questo episodio del fumetto è sostanzialmente quello di ambientazione non solo “fisica” ma soprattut­ to storica. Per questo mo­ tivo si è reso necessario uno studio approfondito della storia della Sardegna spagnola, ma anche della lingua, dei paesaggi e delle tradizioni culturali dell’isola. Nelle tavole fanno la loro comparsa i mamuthones, ma anche i nostri simboli ar­

chitettonici per eccellenza, i nuraghi. Sono presenti anche vere e proprie citazioni “in limba” che rendono il tutto più verosimile. Protagonisti assoluti anche i paesaggi: dalle splendide coste sarde alle campagne, fino ai colori e ai costumi più autentici della Sardegna interna, quella della Barbagia. Se la Sardegna è lo sfondo di quest’avventura di Dago, il personaggio cardine è un ri­ voluzionario, un guerrigliero (ovviamente inventato) che si oppone a Carlo V e agli spagnoli. Si tratta di

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Su ‘Entu (tradotto “il vento”). La storia è ambientata nel corso del 1500. Siamo nel­ l’epoca del re di Spagna e im­ peratore Carlo V che, ricor­ diamo, approdò a Cagliari nel 1535 per la spedizione di Al­ geri. La storia di Dago am­ bientata in Sardegna spianerà la strada a progetti futuri. In­ fatti, l’Editoriale Aurea, l’edi­ tore di Dago, ha lanciato una nuova linea definita “a tra­ zione italiana” e realizzata da un team di autori italiani come Paolo Emilio Petrillo, Silvia Marino, Vincenzo Mercoglia­

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no, Edym e Yildrim Orer e il sassarese Gianluca Piredda. Proprio Piredda ha dichiarato, in un’intervista apparsa sullo scorso numero di S&H, di es­ sere alle prese con nuove av­ venture di Dago ispirate a fatti realmente accaduti in Italia. Che sia previsto un nuo­ vo episodio ambientato sul­ l’isola? Nato in Argentina dal creatore Robin Wood nel 1980, Dago è dal 1983 una delle colonne portanti del settimanale Lan­ ciostory e anche uno dei per­ sonaggi di fumetti più amati nel Belpaese. Nel corso della sua “vita” fumettistica ha vi­ sitato svariati paesi e ha in­ contrato i grandi personaggi del mondo dell’epoca, da Bar­ barossa a Michelangelo, da Anna Bolena al Gran Visir Ibrahim. Per sapere cosa gli è accaduto in Sardegna non resta che leggere la storia.

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LA SUGGESTIVA PERLA GALLURESE

di MANUELA PIERRO

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ra gli enormi massi di granito e i lussureggianti boschi del Limbara, sorge un piccolo paese di circa quattromila anime di origini antichissime e misteriose, Calangianus. Grazie a numerosi reperti archeologici rinvenuti nelle grotte di Monti Biancu, si è potuta datare la presenza dell’uomo nuragico nel territorio di Calangianus già nel 2000 a.C.: basta recarsi nel complesso archeologico di Monti di Deu per ritornare magicamente all’età del bronzo grazie al fascino del Nuraghe Agnu, della Fonte Sacra di Li Paladini e delle Tombe dei Giganti di Pascaredda. Secondo alcune informazioni, Calangianus alla sua origine si trovava però a oltre cinquanta chilometri dalla sua attuale collocazione, nei pressi della foce del fiume Liscia. I suoi

CALANGIANUS

abitanti, stanchi di essere attaccati continuamente dai pirati e dalle incessanti epidemie che ne derivavano, iniziarono ad allontanarsi dalla costa. Ma la prima notizia ufficiale e documentata su Calangianus, che era conosciuta anticamente con il nome di Calangiani, risale però al 1162, citata nientemeno che in una bolla papale di Alessandro III. Si trattava di una città fortificata definita oppidum e non urbe, in quanto mancava l’essenziale pomerio, ossia il confine sacro. Anche l’origine del suo nome ha destato enorme curiosità negli studiosi e, nel corso degli anni, si sono fatte numerose supposizioni che non hanno ancora trovato certezza: secondo alcuni la forma “Calangianus” deriverebbe dal logudorese caragna (pianta, probabilmente carota) e, quindi, la traduzione sarebbe “luogo

delle caragne”; secondo altri l’origine sarebbe latina e derivante da calangius, ossia abitanti di un fondo. Questa seconda versione sembra essere confermata anche dalla presenza di numerosi resti romani, tra cui strade, antiche fonderie per la lavorazione del ferro, rovine architettoniche, anfore e, addirittura, il busto femminile di Demetra, divinità romana della terra e dell’agricoltura ritrovato a Monti di Deu. Oltre a questo affascinante mantello di storia e mistero, Calangianus ha assunto nei secoli una propria identità economica sfruttando tutte le risorse che Madre Natura ha fornito e con orgoglio ha imposto la propria tradizione culturale. Nel 1979, infatti, è entrata a far parte dei 100 comuni più ricchi e industrializzati d’Italia grazie alla produzione del sughero, registrando nel corso degli

anni una notevole crescita produttiva. Grazie alle sue indiscusse qualità isolanti, al fatto che la sua estrazione non reca danni né agli alberi da cui viene prelevato né all’ecosistema, verso il quale negli ultimi anni si è sviluppata una grande attenzione, il sughero è altamente richiesto sia per la produzione di tappi, sia dalle industrie edili che calzaturiere. Gli operai specializzati nella decortica, detti anche estrattori, devono imparare le leggi che impone la natura, oltre alle conoscenze tecniche indispensabili per ottenere delle porzioni di sughero perfette, dette plance, e per non danneggiare la pianta: deve infatti crearsi un profondo equilibrio tra forza e sensibilità. Come per sugellare questo matrimonio felice e fecondo tra calangianesi e sugherete, nel cuore del paese,


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all’interno della splendida e suggestiva cornice dell’ex convento settecentesco dei Frati Francescani, sorge il Museo del Sughero, che racconta l’identità, la storia e la cultura di un paese attraverso macchinari, manufatti e fotografie del passato che si fondono in modo sapiente con il presente attraverso la sala multimediale che descrive gli attuali processi lavorativi del sughero. Oltre al segno distintivo dell’economia, Calangianus ha fortificato nei secoli le sue tradizioni e il folclore con grande tenacia e questo fortissimo senso di appartenenza esplode nel periodo più profano e ludico dell’anno, durante il Carnevale dove tra le strade del paese lastricate di granito si riuniscono le maschere tradizionali. Le maschere di Calangianus si dividono in Li Mascari Brutti e Li Mascari in Linzolu. Tra le prime, essenzialmente definite “brutti” in quanto si tratta sempre di figure negative, sono famosissime: Lu Traicogghju che rappresenta un essere animalesco,

selvatico e demoniaco vestito di pelliccia, campanacci e con una maschera di sughero, che trascina tra suoni inquietanti e passi lenti una grossa pelle (cogghju) di toro (trau). Il suo ruolo è quello di tormentare la vita degli umani. Non meno conosciuta La Reula, una sorta di processione formata da un gruppo di minimo cinque elementi che vestono con un lungo lenzuolo bianco legato in vita da una corda e il viso reso scuro dal carbone che rappresentano le anime in pena che vagano fino al crepuscolo allo scopo di espiare la propria colpa. Secondo la superstizione popolare questa processione non può essere interrotta se non se ne vogliono pagare terribili conseguenze. Altra figura tradizionale è La Filugnana, ossia la filatrice, che personifica l’unione delle tre sorelle della vita: la nascita, la crescita e la morte. La filugnana avanza con grande solennità avvolta in un pesante mantello nero, con il viso coperto e porta tra le mani un fuso e le forbici: il filo di lana rappresenta la vita di

Lu Traicogghju e La Reula (dietro). Sotto Li Mascari in Linzolu

ciascuno e, quando viene tagliato, è simbolo della vita che si spezza. Decisamente più ludiche sono Li Mascari in Linzolu, che rappresentano l’evoluzione della maschera gallurese per eccellenza, il Domino, e che hanno lo scopo di stemperare l’aria tetra lasciata dalle anime malvagie.

Dopo questo breve ma intenso viaggio tra i monti del Limbara possiamo senza dubbio concludere che nessun paese, come Calangianus, riesce a unire in modo tanto sapiente quanto magico la concretezza dell’economia con il magnetismo imperscrutabile delle tradizioni popolari.


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GIANNI TETTI: UNA PENNA CHE SQUARCIA IL VELO di HELEL FIORI foto GIAMPIERO BAZZU

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’è un momento nella vita dei ra­ gazzini che segna il passaggio tra l’infanzia e l’età adulta: quan­ do si va in un posto proibito a far qualcosa che non si dovrebbe fare, come fumare di nascosto insieme all’amico più grande; quando si sta lì, in penombra nascosti da tutti, quell’amico inizia a raccontarti storie da grandi che svelano com’è che va davvero il mondo, aprendo finalmente la porta della cantina e illu­ minando tutti i mostri che gli adulti han­ no sempre detto non esistere. La sensazione che si ha davanti all’opera di Gianni Tetti è la stessa: scrittore sas­ sarese classe 1980, è capace di narrare l’ineluttabile desolazione umana di per­ sonaggi dalle emozioni rassegate, che in una società marcescente agiscono in maniere più o meno feroci; caustico e

dalla sincerità spietata, ti ipnotizza con uno stile asciutto, tagliente, autentico, che ti inchioda dentro il corpo e ti svela che quei mostri esistono e non sono poi così diversi da noi. I cani là fuori (2009), Mette Pioggia (2014), Grande Nudo (2016), sono i titoli che compongono la “Trilogia del Vento” in cui ci consegna personaggi in balìa della propria emotività umana, costretti a fare i conti col binomio giusto/sbagliato che potremmo scoprire essere interpre­ tabile e soggettivo, piuttosto che un fisso valore qualitativo. La Trilogia consacra la passione per la scrittura che Tetti coltiva fin dall’infanzia e culmina con la candidatura al Premio Strega: “Grande Nudo è arrivato in fretta, la scrittura è stata liberatoria, la storia ce l’avevo chiara in mente, e le emozioni le vivevo fisica­ mente, mentre le descrivevo. E il modo in cui ne sono venuto a conoscenza è degno di un film. Ero a fare una presen­

tazione del libro, ricordo come se fosse oggi, la biblioteca di Ossi era piena, la presentazione era stata piacevole, e prima di lasciare spazio alle domande del pubblico, Emiliano Longobardi (libraio e scrittore sassarese, nda) prende il te­ lefono e inizia a riprendermi, “devo farti un’ultima domanda” dice il mio amico, alzandosi in piedi. Non capivo, continuavo a guardare il telefono che ondeggiava davanti a me, mentre Emiliano mi chiede: “il tuo editore vuole sapere cosa si prova ad essere candidato per il Premio Strega?” dopo qualche secondo di silenzio, in cui davvero non riuscivo a capire cosa stesse succedendo, un enorme applauso mi ha investito, e allora ci sono arrivato. Mi sono coperto il volto e ho iniziato a pian­ gere, davanti a tutti, come un bambino. Se ci penso mi emoziono ancora adesso.” La sua attività è costellata di soddisfazioni: nel 2007 instaura una fertile collabora­ zione col regista sassarese Bonifacio


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Angius, e con l’apporto di Stefano Deffe­ nu prendono forma SaGràscia (2011), eccellente esordio del regista che fa vi­ brare le corde del realismo magico, e Perfidia (2014), racconto crudo ed emo­ tivamente spiazzante, premiato dalla Giuria dei giovani al Locarno Film Festival dove si candida anche al Pardo d’oro; nel 2018 esce Ovunque Proteggimi (terza collaborazione con Angius) che convince critica e pubblico piazzandosi al secondo posto ai box office e sfiorando il Nastro D’Argento 2019 per il miglior soggetto, in cui due solitudini ai margini emotivi tentano di ammarare su un’isola di serenità instabile; sempre nel 2018, insieme al regista Paolo Pisanu vince l’ambito Premio Franco Solinas per la sceneggiatura di Tutti i cani muoiono soli (con protagonista Rudi, personaggio che ammette essergli entrato sotto pelle e che vedremo prossimamente sullo schermo), stesso premio vinto da giganti come Sorrentino, Garrone, Virzì, e che considerava inavvicinabile, e che invece rivince l’anno dopo con la regista co­ lombiana Sara Arango Ochoa (ormai di casa in Sardegna) nella categoria che promuove le collaborazioni Italia – Spa­ gna, con il soggetto Regno Animale, una commovente storia potente e feroce voluta dalla Ochoa e ambientata in Co­ lombia, che parla dell’amore viscerale di una madre per sua figlia e della tre­ menda tematica del traffico d’organi. Docente, scrittore, sceneggiatore, la sua è una sincera vocazione al racconto, senza velleità né tanto meno toni da

professorone (fortunati i suoi corsisti di Sceneggiatura Applicata all’Università di Cagliari). Esortato, ci spiega: “Nel caso della scrittura cinematografica ci sono diverse situazioni di produzione da tenere in conto, ma rispetto alla tv l’aspetto creativo è preponderante: si finisce di scrivere quando la sceneggiatura è finita, non secondo scadenze preordinate. Nei due casi c’è un continuo scambio, uno scontro a volte, una staffetta creativa. Quando le cose vanno bene si instaurano dinamiche creative che mi piacciono molto, e rendono il lavoro davvero pia­ cevole. Scrivere un libro invece è un atto intimo, personale, quasi incomprensibile a volte. Le storie che diventano miei libri sono ossessioni che mi girano in testa per anni, fino a che non mi decido a metterle per iscritto. Di solito, quando sono del tutto dentro a un romanzo, resto spaesato anche quando non scrivo, non faccio altro che pensare alla mia storia, e riemergo pian piano quando magari il romanzo è già in libreria.” Restando in attesa del quarto titolo a cui sta attualmente lavorando, possiamo ritrovare gli altri in cartaceo, ebook o audiolibro su Storytel, mentre per avere informazioni sulle sue performance (tra le tante, quelle legate al collettivo Scrittori da Palco del circuito Sulla Terra Leggeri, festival letterario non convenzionale), è presente su Facebook (@mettepioggia), Twitter e Instagram. Natale è appena passato: sarà il caso di recuperare i regali non fatti?


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di DANIELE DETTORI foto LAILA POZZO

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a bacchetta vibra sullo spartito. Pochi istanti di silenzio e nella sala cominciano a diffondersi le note dei vari strumenti. È con questa immagine che vogliamo iniziare la no­ stra intervista al Maestro Leonardo Sini, nato a Sassari nel 1990, cresciuto a Ploaghe e da qui partito alla volta di una brillante carriera internazionale come direttore d’orchestra. Con lui scopriremo anche la trasversalità della musica, la possibilità di tracciare un parallelo tra orchestra e società con un aneddoto finale che ne illustra gli effetti pratici. «Dirigere le orchestre è un lavoro che

dà grandi soddisfazioni ma che richiede altrettanti sacrifici», spiega per tele­ fono, dove lo raggiungiamo mentre è nel nord Italia impegnato con La Son‐ nambula di Vincenzo Bellini. «Si viaggia molto spesso, si fa una vita da nomade e si convive, quindi, con un senso di instabilità. Per questo, quando ho un momento libero, mi piace tornare a Ploaghe, riprendere le energie e ri­ trovare quella tranquillità che può darti il paese in cui sei cresciuto, dove incontri i familiari e gli amici di lunga data.» È proprio a Ploaghe che il giovanissimo Leonardo si avvicina al mondo della musica. «Suonavo la tromba nella banda musicale del paese che, so­ prattutto in estate, anima le feste.

Per circa quattro anni ho suonato an­ che il pianoforte, poi ho deciso di continuare gli studi istituzionali con la tromba e ho conseguito il diploma al Conservatorio Luigi Canepa di Sas­ sari. Dopodiché mi sono traferito a Londra per seguire un master di per­ fezionamento alla Royal Academy dove ho iniziato anche a studiare di­ rezione d’orchestra. Londra è stata un grande trampolino, mi ha permesso di fare tantissime esperienze. Succes­ sivamente ho condotto studi specifici in Olanda – ad Amsterdam e a L’Aia – con un master in direzione d’orchestra molto selettivo ma che offre la possi­ bilità di collaborare con tante realtà professionali, sia in Olanda che in di­ versi Paesi europei. Per uno studente


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apprendere sul campo il mestiere di direttore d’orchestra, quindi anche come assistente del direttore princi­ pale, è qualcosa di molto prezioso.» Leonardo parte per Londra nel 2013 proprio alla ricerca di queste possi­ bilità. «Volevo mettermi in gioco fino in fondo e per farlo era necessario uscire dall’abituale comfort zone. D’al­ tra parte volevo anche confrontarmi con i miei coetanei al di fuori del pa­ norama musicale più familiare. Ecco perché, al termine degli studi, ho scelto con attenzione alcuni concorsi ai quali partecipare: tra questi la Maestro Solti International Conduc­ ting Competition, che prevedeva una prova preselettiva con oltre 160 can­ didati e tre prove effettive con tre di­ verse orchestre. Ho vinto il primo premio, grazie al quale ho avuto visi­ bilità internazionale e ho potuto suo­ nare in Ungheria – all’Opera di Bu­ dapest – e in diversi altri Stati.» Già, ma cosa fa esattamente il di­ rettore di un’orchestra? «Quei movi­ menti che il direttore compie durante l’esecuzione sono una maniera molto basilare per tenere il tempo e una coesione sempre costante tra i musi­ cisti coinvolti. Oltre a questo, il di­ rettore è quella figura che dà un senso e un’interpretazione, ovvero trae dalla partitura un messaggio, chiaramente filtrato dalla propria sen­ sibilità musicale, e lo trasmette al pubblico che lo ascolta. È una sorta di guida che, dalla partitura, riesce a raccontare una storia agli spettatori. Per farlo occorre uno studio che inizia molto tempo prima del concerto e delle prove con l’orchestra: uno studio a tu per tu con la partitura e un lavoro di ricerca. Si tratta, inoltre, di un lavoro in continuo divenire. Per questo, anche quando tutte le prove sono concluse e il concerto è stato fatto, il secondo non sarà mai identico al primo e così via.»

«Una difficoltà che può presentarsi al direttore», continua, «è quella di trovare la giusta sintonia con l’or­ chestra, tanto più quando se ne in­ contrano diverse nel corso dei mesi. Ciascuna ha infatti sue dinamiche preesistenti e funziona un po’ come una società nella quale si cerca di in­ serirsi dal punto di vista umano e, in questo caso, musicale.» Tra i compositori che predilige ci sono il russo Tchaikovsky (qui tra­ slitterato all’anglosassone, ndr) e l’au­ striaco Mozart, le cui opere considera affascinanti perché semplici ma allo stesso tempo ricche di sfaccettature. Un’opera che invece non ha mai di­ retto e di cui sogna, un giorno, di poter fare esperienza è l’Aida di Giu­ seppe Verdi. Quando chiediamo se ci sia un aned­ doto particolare nel suo vissuto da direttore, Leonardo ci pensa un po’ su, poi risponde: «Nel dirigere le or­ chestre ungheresi rimango sempre molto sorpreso e colpito dalla rea­ zione del pubblico: dalla maniera, cioè, che ha di applaudire. Noi siamo abituati a sentire applausi tradizionali, più o meno fragorosi, dopo un con­ certo. Anche in Ungheria, al termine del concerto, iniziano a battere le mani ma a un certo punto il suono si sincronizza in maniera perfetta. Ap­ plaudono, quindi, tutti allo stesso tempo e, nel giro di qualche secondo, il battito di mani accelera sempre di più e a ritmo. Un’intera sala tiene il tempo battendo le mani sempre più velocemente fino ad arrivare a un momento in cui questo tempo è tal­ mente veloce che si dimezza e, a quel punto, tutto si rimischia. È sor­ prendente la capacità che ha il pub­ blico ungherese di coordinarsi. Non so come facciano.» Poi sorride: «Quanto meno si intendono».

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Albarubescens. CC BY-SA 4.0

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I Magnifici 3

Viaggio nell’architettura italiana contemporanea di DANIELE DETTORI

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hi non ha mai sentito parlare delle sette meraviglie del mondo antico? E magari, in anni più re­ centi, anche delle nuove sette meraviglie (sì, perché a partire dal 2000 e fino al 2007 la votazione globale ha interessato un gran numero di costruzioni e manufatti tra i quali si è arrivati a eleggere le nuove meraviglie del pianeta). Ebbene, qui vo­ gliamo proporvi un breve tour fra le opere architettoniche italiane più ac­ clamate per firma e profilo, naturalmente alla nostra maniera: in chiave tre. Con­ sapevoli di essere lontani dall’esaurire l’elenco e anche dello spazio tiranno a disposizione, cominciamo subito! La Fiera di Milano è oggi uno tra gli spazi espositivi più apprezzati in Europa sia per la struttura che la costituisce, sia per il bacino di presenze che è capace di calamitare. Si divide in due poli prin­

cipali: quello urbano – Fieramilanocity –, ultimo baluardo della Fiera Campio­ naria dei primi del Novecento; e quello extraurbano, Fieramilano, che sorge presso il Comune di Rho su un terreno che, fino al 1993, ha ospitato una grande raffineria. Realizzato dallo Studio Fuksas, quest’ultimo polo si caratterizza per la vastissima estensione (sono, in totale, circa due milioni di mq suddivisi in più aree) e per le sue forme morbide, fles­ suose e trasparenti. La struttura è un gioiello architettonico che richiama ide­ almente una vela, simbolo dei viaggi commerciali su scala globale, e che in­ tegra forme astratte come “il vulcano”, così chiamato per la particolare forma che il vetro assume in prossimità del Centro Servizi. Il Centro Congressi citta­ dino è progettato dall’architetto Mario Bellini. Di Renzo Piano è invece la penna che ha firmato l’Auditorium Parco della Mu­ sica a Roma. Inaugurata nel 2002, la struttura è nata per dotare la Capitale di un polo culturale espressamente (ma non unicamente) orientato verso eventi a carattere musicale. Sorge sul quartiere Parioli e ingloba al suo interno i resti perimetrali di un’antica villa emersa du­ rante i lavori di costruzione. Ciò ha por­

tato a un modifica del progetto originario, sfociata poi nell’allestimento di un piccolo museo ospitante i resti dell’edificio rin­ venuto. Visto dall’alto, l’Auditorium ri­ corda tre scarabei stilizzati che si fron­ teggiano (uno per ciascuna delle sale), con un ampio anfiteatro al centro. Anche Piano ha collaborato con altri architetti per realizzare questo complesso: il te­ desco Reinhold e l’italiano Zagari. Ci spostiamo infine a Ravello, in provincia di Salerno, dove il compianto architetto brasiliano Oscar Niemeyer (è scomparso nel 2012 a 105 anni) ha realizzato l’Au­ ditorium oggi proprio a lui intitolato. Si tratta di una sala dal numero di posti contenuto, solo poche centinaia, ma che si inserisce nel paesaggio con la sua grande, bianca struttura curvilinea affac­ ciata sulla costiera amalfitana che evoca il guscio di un mollusco. Inaugurato, tra gli altri, alla presenza di Lucio Dalla, negli anni è stato oggetto di apprezzamenti e critiche dagli strascichi giudiziari. In col­ laborazione con uno studio di architettura locale, Niemeyer, che non prendeva l’ae­ reo, ha realizzato il progetto unicamente sulla base di foto e studi dei luoghi ap­ positamente fornitigli. Comprende sala, parcheggio e punto ristoro.



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DIRE SÌ IN SARDEGNA

SPOSARSI TRA PAESAGGI MOZZAFIATO, CLIMA PERFETTO E OTTIMA CUCINA di ALBA MARINI

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ire sì è uno dei momenti più romantici della vita. Che lo si faccia in due o davanti a pa­ renti e amici, che lo si faccia in chiesa o in comune, che si indossi l’abito bianco o rosso, oppure lo smoking, il matri­ monio rimane uno degli eventi a cui si riservano maggiori cure. Più che ai di­ ciottesimi, più che alle feste di pensio­ namento. Dato il suo significato di unione di due anime che (general­ mente) avviene una sola volta nella vita, l’organizzazione del matrimonio comincia mesi prima ­ se non anche un anno – del fatidico giorno scelto. Partiamo appunto dalla data. Perché dire sì in Sardegna? Complice il deside­ rio di esotismo e la corsa al “singo­ lare”, moltissimi sardi scelgono di sposarsi all’estero, magari ai Tropici, al

caldo, sulla spiaggia. Ma c’è davvero così tanta differenza tra le location e il clima offerto dalla nostra isola e quello delle mete straniere più gettonate, da Zanzibar alla Polinesia? Forse no. Nei mesi caldi per eccellenza come luglio e agosto, le temperature in Sardegna su­ perano i 30 gradi. Se un matrimonio al mattino o al primo pomeriggio sembra arduo da organizzare con una tale afa, i tramonti e le notti calde ma venti­ late d’estate potrebbero essere la so­ luzione ideale per vivere al meglio questo giorno, per gli sposi e gli invi­ tati. Ancor più gettonati ­ anche da chi, al contrario, giunge in Sardegna per sposarsi ­ sono i mesi caldi ma miti, come maggio, giugno e soprattutto settembre. In questi periodi dell’anno il clima si mitiga, scaldandosi in maggio dopo i mesi invernali e raffreddandosi leggermente verso settembre, quando i colori della magica isola iniziano a

mutare in calde nuance autunnali. Ed è proprio per l’estrema varietà di co­ lori che la Sardegna è il luogo ideale per dire sì, sia per i sardi doc sia per quelli d’adozione, ma anche per chi viene da molto più lontano. Dopo la scelta della data del matrimonio, su­ bito dopo viene la scelta della location. Spesso non è facile mettere d’accordo gli sposi. C’è chi desidera un matrimo­ nio “bucolico”, a contatto con l’aria pu­ lita di campagna, chi ama invece la brezza marina e i più scenografici ma­ trimoni in spiaggia. La Sardegna accon­ tenta tutti: le sue cartoline balneari sono sicuramente le più famose, ma anche le piccole e nascoste chiesette di campagna, gli scenari montani e pede­ montani della Barbagia e svariati agri­ turismi immersi nel verde della natura così come i grandi hotel possono riser­ vare fantastiche sorprese.


Foto Cagliari wedding destination

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Tra le location predilette dagli sposi per il loro matrimonio in Sardegna ci sono le spiagge di Villasimius, la più “in” Olbia con tutta la Costa Smeralda, da Porto Cervo a Porto Rotondo fino ad Arzachena, ma anche Cagliari, la pittoresca Castelsardo e la costa orien­ tale dell’isola. Originalissima per i de­ gustatori di vino ma non solo potrebbe essere l’idea di sposarsi in una tenuta vinicola. In un contesto simile sarà pos­ sibile anche fare dei fantastici scatti, le viti che si intervallano alle piante più tipiche della macchia mediterranea: gli ulivi. Nel caso in cui si opti per scelte particolari (ma anche per spiagge pub­ bliche e non associate a un albergo per esempio) per quanto riguarda la loca­ tion, potrebbe essere utile rivolgersi a una wedding planner. In questo modo non ci si dovrà preoccupare di aggiun­ gere stress allo stress informandosi per ottenere tutte le autorizzazioni. Le location più esclusive? Vanno dal Forte Village a Santa Margherita di Pula alle Due Lune Resort a San Teo­ doro, dal Convento San Giuseppe di Cagliari (gettonatissimo per tutti i tipi di ricevimento) all’elegantissimo Co­ lonna Pevero Hotel di Porto Cervo. Tra le chiese più belle e più romantiche dove dire sì, le Chiese di Sant’Anna,

San Michele, San Domenico a Cagliari, la Chiesa di San Francesco ad Alghero e Stella Maris ad Arzachena. Ma i motivi per dire sì in Sardegna non sono certo finiti. Per ultima (ma non ultima in quanto a importanza) viene la scelta del ristorante e del menù. La cucina sarda è varia quanto i paesaggi dell’isola. Mare e terra si fondono in pietanze tipiche e rivisitazioni capaci di accontentare i palati più difficili. Dai “classici” spaghetti con le arselle tipici delle coste, ai piatti più caserecci come l’agnello in umido, il porchetto arrosto e chi più ne ha più ne metta. E che dire dei dolci? I dolci sardi, dalle pardule ai dolci alle mandorle, sono spesso distri­ buiti alla fine della grande abbuffata post­matrimoniale. Insomma, sposarsi potendo cambiare scenografia in pochi chilometri, dalla chiesetta di campagna per la celebra­ zione al ricevimento sul mare, dagli hotel a bordo piscina agli agriturismi e le vigne, è già un punto a favore per il romanticismo nella nostra isola. Ma non è finita qui: buon vino e buon cibo (oltre che vario) e clima perfetto ren­ dono la Sardegna il luogo ideale per dire sì e iniziare il proprio “e vissero fe­ lici e contenti”.


Foto Deiana-Reus

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AWAKE FOR DAYS CHI NON SI ARRENDE TROVA L’AMERICA di HELEL FIORI

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i dice che di sardi sia pieno il mondo, e che a qualsiasi concerto si vada ci sarà sempre una ban­ diera dei quattro mori che sventola in mezzo alla folla. Ma stavolta no: i sardi stanno sul palco, e gli States da sotto danno il benvenuto. È quello che è successo agli Awake for Days, band alter‐ native metal tutta nuorese appena rientrata da una tour­ née americana di oltre qua­ ranta date: scelti come sup­ porto principale del Broken Human Tour dei Cold (affer­ mato gruppo post grunge made in USA con due dischi d’oro nelle tasche), Luk4s, Nin9, N1q e Mik3 hanno pas­

sato un autunno da sogno e hanno accettato di condivi­ dere la storia con noi. A me­ moria non si trovano gruppi metal italiani che vantino la stessa esperienza: fatta ec­ cezione per i milanesi Lacuna Coil di Cristina Scabbia, band alternative in attività dal ’94 (#15 picco massimo della Bil­ lboard Chart, noti per la cover di Enjoy the Silence dei De­ peche), dobbiamo tornare in­ dietro fino agli anni Settanta con la PFM ed altre band prog per ricordare lunghi tour pro­ mozionali oltreoceano. Da al­ lora nel panorama italiano sono sì germogliati talenti, ma sono rimasti abbastanza celati o non sono riusciti a generare importanti scene al proprio seguito.

Gli Awake for Days nascono nel 2013 con Luca Fadda alla voce e Nino Demurtas alla chitarra, intenzionati ad in­ traprendere seriamente la carriera musicale ed incidere il loro primo LP. Coadiuvati dal prezioso produttore Eddy Cavazza, che affina le loro ca­ pacità di songwriting, danno alla luce Magnificent Disor­ der, un album duro perfetta­ mente metalcore che conqui­ sta discreti consensi del ge­ nere pur lasciando già intra­ vedere potenziali tessiture più morbide, e che con l’en­ trata di Nicola Piredda al bas­ so e Michele Dedòla alla bat­ teria porteranno la band verso sonorità più vicine a Linkin Park e Breaking Benjamin. “Questi sette anni insieme hanno fatto sì che la band acquisisse una personalità for­

te e decisa, dando vita ad un sound più maturo, nato da una consapevolezza musicale decisamente più concreta. C’è stato un cambio dettato dalla nostra naturale evoluzione, e penso sia stato un bene ab­ bracciarlo, perché ha permes­ so di esprimerci al massimo ottenendo un risultato deci­ samente appagante” chiarisce il cantante. La virata sull’al‐ ternative/nu metal si rivela essere una strada fortunata che attraverso i social con­ quista la fiducia di Shawn Ba­ rusch della Music Gallery In­ ternational (MGI, società ame­ ricana di management per ar­ tisti rock metal e alternative) che in un anno li prepara alla promozione a stellestrisce dell’album Multiverse di pros­ sima pubblicazione.


Foto Deiana Reus

Foto Gina Russoniello

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N1q (basso), Luk4s (voce) e Mik3 (batteria)

Per le spese logistiche e di viaggio, gli Awake utilizzano la macchina del crowdfunding già ampiamente utilizzata da­ gli artisti esteri ma ancora non ben rodata in Italia, che ha comunque permesso loro di affrontare tre mesi in balia del dollaro e ha trasformato i fan in veri e propri supporter del sogno. Il sostegno e la fi­ ducia sono gli elementi che caratterizzano il rapporto tra i musicisti e i loro follower: dai primi singoli rilasciati in­ fatti, “With You” e “Break Your Chains”, emergono te‐ matiche legate alla depres‐ sione, alla paura di non far‐ cela, alla solitudine, e in ge‐ nerale a tutte quelle condizioni di disagio che a volte portano al tracollo. Principalmente i temi affrontati nel disco si ri‐

feriscono a questo, e una gran parte sono esperienze perso‐ nali dirette o indirette: vo‐ gliamo che la nostra musica aiuti le persone in difficoltà a trovare la luce in fondo al tunnel, ci spiega Michele. La fortuna di suonare in locali come lo Scout Bar di Houston (tana dei Pantera), l’Exit/In di Nashville (seconda casa di Johnny Cash e palco calcato da giganti come Ramones, Talking Heads, Red Hot) o ad­ dirittura il Viper Room di Hol­ lywood (ex locale di Johnny Depp, tristemente legato alla scomparsa dell’attore River Phoenix) permette loro di av­ vicinarsi a pubblico e critica statunitensi e ricevere ampi consensi per tematiche e sound, tanto da vedersi de­ dicate copertine di genere e

spazi radiofonici (epico il video in cui la band entra in un market e sente un proprio pezzo alla radio). La fan base dei Cold inoltre è diventata presenza fissa su Facebook e Instagram (@awakefordaysofficial) con­ fermando il benvenuto iniziale ricevuto, di cui Nicola ci rac­ conta un emblematico aned­ doto: “Una piccola, enorme meraviglia è successa a Lan­ caster, Pennsylvania, dopo circa una settimana di tour. Mentre il pubblico richiedeva l’enne­ simo bis (già il fatto di chiedere il bis ad una opening band mai sentita prima è una cosa stupenda e commovente, che succede veramente di rado) una voce si è alzata dal fondo della sala e ci ha urlato ‘wel­

come to America!’. Tutti hanno applaudito e noi abbiamo ca­ pito che eravamo atterrati su un altro pianeta. Bellissimo!”. I consensi ricevuti hanno aiu­ tato i ragazzi a resistere ai ritmi serrati e hanno convertito la fatica in maturazione per­ sonale e professionale. Così, in attesa di annunciare la nuo­ va line­up (Demurtas è stato sostituito da Gustavo Kölndor­ fer per la fine del tour, ma ora deve essere annunciato un nuovo misterioso chitarrista), gli AFD sono prossimi ad ulti­ mare Multiverse e già scalpi­ tano per un nuovo tour che li riporti all’estero, magari di nuovo in Europa da cui man­ cano da qualche anno. Restiamo sintonizzati e gli au­ guriamo in bocca al lupo!


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STUDENT’S GOT TALENT SARDEGNA UN BULLO DA PALCOSCENICO L’ARTE ENTRA NELLE SCUOLE PER COMBATTERE IL BULLISMO di FRANCA FALCHI

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tudent’s Got Talent Sardegna è lo show che si pone l’obiettivo di contrastare una tra le piaghe so­ ciali più dilaganti dei nostri tempi. Il bullismo è infatti un fenomeno in cre­ scita e, secondo il Report 2015 del­ l’Istat, sono oltre la metà dei giovanissimi tra gli 11 e i 17 anni ad aver subito episodi offensivi, non ri­ spettosi o violenti da parte di altri ra­ gazzi nei dodici mesi precedenti; il 19,8% dei quali è una vittima assidua, mentre solo il 9,1% ha cadenza setti­ manale. I più colpiti sono tra gli 11 e i 13 anni (22,5%), o adolescenti tra i 14 e i 17 anni (17,9%); tra questi più fem­ mine (20,9%) che maschi (16%).

Secondo la Convenzione dei diritti del fanciullo già dal 1989, il bullismo è una violazione dei diritti umani in quanto i bambini e le bambine hanno il diritto all’educazione e a crescere in un am­ biente sereno e sicuro. É dunque una problematica di tipo sociale che inve­ ste il gruppo nella sua complessità. I ruoli sono ben definiti: da una parte c’è il bullo che attua comportamenti violenti fisici e/o psicologici e dall’altra la vittima che subisce tali atteggia­ menti. Ciò che permette la definizione di bullismo è l’intenzionalità del com­ portamento aggressivo, la sistemati­ cità delle azioni sino ad essere persecutorie e l’asimmetria di potere tra vittima e persecutore. Il Cyberbullismo è quello messo in atto

con mezzi elettronici nei quali il bullo mantiene l’anonimato ottenendo vasto pubblico e ampia diffusione, e tiene al tempo stesso il controllo della sua vit­ tima. Questa, al contrario, quasi mai ha la possibilità di conoscere il suo ag­ gressore. Avviene così che diffama­ zione, prese in giro e ricatti trovino spazio attraverso la messa in circola­ zione di immagini che diventano virali e fuori controllo, e la vittima si ritrova sempre più indifesa. Se il bullismo può essere circoscritto a un’aula o a un gruppetto, il cyberbulli­ smo invece può contare su una platea sconfinata e aumentare in modo espo­ nenziale le sofferenze delle vittime. In entrambi i casi si tratta sicuramente del dramma della solitudine, la vittima


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si isola andando incontro a problemi di socialità fatti di ansia e di depressione che spesso si trascinano sino all’età adulta influenzando anche la scelta di atti estremi. Il fenomeno è spesso legato all’auto­ stima e all’immagine che si ha di sé. Il senso di inadeguatezza conduce alla vittimizzazione, soprattutto per l’inca­ pacità nell’affrontare il bullo. Questi in­ vece appaiono caratterizzati da alta autostima ma spesso usano la prepo­ tenza per sopperire alle loro mancanze. Da tempo ci si muove nell’ottica della prevenzione, spesso a partire proprio dalle scuole che assumono il ruolo di osservatorio per le misure di contrasto e di aiuto sia verso le vittime che verso i bulli, perché essere bulli può essere il riflesso di comportamenti violenti su­ biti e può portare a disturbi antisociali. Dal 2016 a Sassari, una delle iniziative di contrasto al bullismo è quella messa in opera da Roberto Manca con l’Asso­ ciazione Music & Movie, con la mani­ festazione Student’s Got Talent Sardegna – un bullo da palcoscenico. Sin dalla sua prima edizione sono stati coinvolti gli studenti di tutte le scuole secondarie sarde di primo e secondo grado, invitandoli a portare sul palco le loro forme d’arte con il semplice mes­ saggio “è troppo semplice e banale far gruppetto prendendo di mira il singolo, mentre il vero coraggio e la determina‐ zione stanno in chi affronta il nostro palcoscenico”, palcoscenico che nella serata finale ha un pubblico di 1400 persone, con pubblico che ti “giudica” come nella vita. L’arte è una delle espressioni più auten­ tiche e originali, è un mezzo di comuni­ cazione capace di esprimere anche problemi, sentimenti, emozioni e con­ flitti permettendo ai ragazzi di speri­ mentare autostima e fiducia rendendosi

consapevoli del “sono capace di”. Pro­ prio per questo la manifestazione è aperta a tutti, senza selezioni né limita­ zioni, se non in termini di tempo. Oltre 130 artisti tra ballerini, cantanti, attori e musicisti si sono avvicendati in questi anni sul palco del Teatro Comu­ nale di Sassari, interpretando compo­ sizioni letterarie, brani musicali e coreografie. I performers, divisi in due squadre, vengono affidati alla sapiente guida dei coach che stabiliscono l’or­ dine di entrata tramite un democratico sorteggio, e l’intera kermesse è arric­ chita da interventi e testimonianze ine­ renti al bullismo oltre che le esibizioni di special guest quali i vincitori delle precedenti edizioni. È uno spettacolo interamente dedi­ cato alla correttezza, alla non prevari­ cazione e al miglioramento di sé stessi nell’ottica del lavoro di squadra e del­ l’aiuto reciproco, tanto che diversi tra i partecipanti hanno creato una piccola cellula fortemente legata. Questa edizione sarà per la prima volta strutturata in due semifinali, Centro Nord e Centro Sud, che determine­ ranno l’accesso alla finalissima del 6 febbraio. Condurrà Roberto Manca coadiuvato dai coach Fabio Loi e Mar­ cella Mancini, dalla giuria di esperti nelle varie arti, e dalla prof.ssa Patrizi e l’Istituto Comprensivo di Ittiri che in­ terverranno sul tema del bullismo. Ospiti d’eccezione saranno i genitori di due ragazzi vittime di bullismo con l’in­ tento che ciò che ha tolto ai loro ra­ gazzi la voglia di vivere possa essere fermato, anche con manifestazioni come questa. L’arte e la condivisione contribuiscono al dialogo e all’empatia, l’invito è dun­ que quello ad una sempre maggior partecipazione delle scuole sia come performance che come pubblico.


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Riccardo Stabellini

Allan Pereira

LA RAIMOND SASSARI SCALDA I MOTORI PER IL RITORNO IN CAMPO Il lungo stop del campionato non ha scalfito l’entusiasmo dell’ambiente, che punta a nuove soddisfazioni di ERIKA GALLIZZI foto CLAUDIO ATZORI

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ungo stop del campionato per la Raimond Handball Sassari che è ora pronta a riprendere il proprio cammino. Un cammino entusiasmante, con alcune vittorie “di peso” che restano lì, incastonate come luminosi e preziosi diamanti in questa prima stagione in Serie A. E un sesto posto in classifica che lascia intendere che dalle parti del PalaSantoru mica si scherza e pazienza se la gara di qualificazione alla Final8 di Coppa Italia, in casa del Pressano, non ha “detto bene” alla formazione di coach Passino. È terminato l’anno solare 2019 e, come sempre in questi casi, si fanno i primi bilanci. Quello della Raimond è più che buono: “Bilancio molto positivo – dichiara il direttore sportivo Andrea Giordo – Abbiamo avuto un normale periodo di

rodaggio iniziale, condito dall’assenza di Pereira per questioni burocratiche (per l’ottenimento del passaporto ita­ liano, ndr), in cui abbiamo raccolto meno di quanto fosse nelle nostre possibilità, ma ora va decisamente meglio e gli ultimi risultati lo dimostrano appieno”. Ma la Raimond cosa ha avuto e dimo­ strato, in più o in meno, rispetto a ciò che la società stessa si aspettava? “Co­ struire una squadra quasi completamente nuova – dice Giordo – inserendo nove giocatori, non è facile ed è sempre un terno al lotto, per tanti aspetti. Noi ab­ biamo avuto la fortuna di trovare ragazzi che si sono subito integrati tra loro e soprattutto con l’ambiente, che li ha ac­ colti in modo entusiastico. Siamo dove pensavamo di poter stare, ma ripeto, era tutt’altro che scontato. Diciamo che battere squadre come Bolzano, Pressano e Cassano una dietro l’altra rappresenta una grande soddisfazione per la nostra

società, perché ci fa capire che stiamo andando nella giusta direzione”. La buona prima parte della stagione e i positivi risultati, non hanno comunque cambiato gli obiettivi fissati dalla diri­ genza: “I nostri obiettivi passano per una crescita costante e graduale della società, che vuole diventare un modello nel panorama nazionale. Dal punto di vista prettamente sportivo – prosegue il direttore sportivo sassarese – gli obiet­ tivi invece non cambiano di una virgola. Vogliamo conquistare i playoff e giocar­ cela con tutti, come abbiamo fatto fino ad oggi. Questo gruppo sta bene insieme e vuole arrivare alle partite decisive con la faccia tosta mostrata fino a questo momento della stagione. Se mi si chie­ desse un pronostico, non mentirei as­ solutamente dicendo che non ho davvero idea di come potrà finire questo cam­ pionato”. Dopo gli impegni della Nazionale nelle qualificazioni ai Mondiali di Egitto 2021, con i rossoblù Stabellini e Pereira pro­ tagonisti (Delogu e Guggino, invece, hanno preso parte alla prestigiosa Spar­ kassen Cup con l’Under18, in Germania, a fine dicembre), la Raimond ospiterà la Banca Popolare di Fondi, mentre chiu­ derà poi il mese di gennaio sul campo del Conversano.


Foto Luigi Canu

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Marco Spissu

LA DINAMO SASSARI INIZIA IL NUOVO ANNO AL 2° POSTO UN 2019 ENTUSIASMANTE E ORA SI PENSA ANCHE ALLA COPPA ITALIA di ERIKA GALLIZZI

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hiuso il 2019 con il piede ben premuto sull’acceleratore, la Di­ namo Banco di Sardegna Sassari ha iniziato il nuovo anno tenendo sempre innestate marce alte. Secondo posto in campionato e la Champions League di nuovo alle porte, dopo lo stop per le fe­ stività. Ma non è possibile non soffermarsi un attimo sull’anno biancoblù/biancoverde appena salutato. Tra campionato (scorso e in corso), Coppa Italia e Fiba Europe Cup della passata stagione, Supercoppa (messa in bacheca) e Fiba Basketball Champions League di questa, nell’anno solare 2019 la Dinamo ha disputato un totale di 72 partite, portando a casa ben 56 vittorie (più un altro risultato utile, un pareggio, nella scorsa Europe Cup, poi vinta). Circa il 78% di successi, dunque… Un risultato straordinario. E se si torna indietro di qualche stagione, quelle dell’immediato post­scudetto, l’impresa assume un valore ancor più eccezionale, perché significa tante cose, una su tutte il rinnovato entusiasmo dell’ambiente, una nuova coesione tra pubblico e squadra, una serenità di cui si sentiva la necessità. E, se è vero che i risultati aiutano tanto in tutte queste cose e le rendono molto più semplici e addirittura naturali, c’è anche da dire, o meglio sottolineare, che è proprio una questione di “aria”, mentalità e approccio diversi e che se così non fosse stato, forse non sarebbero nemmeno arrivate

le tante vittorie e le classifiche “sorri­ denti”. Ciò ha in primis un artefice: Gian­ marco Pozzecco. Il “pazzo Poz” si è ab­ battuto sulla Sassari della palla a spicchi come un uragano, rivoltandola come un calzino, scuotendola, ridandole umanità e facendola divertire. Il 2020 è arrivato con il secondo posto nella Serie A messo “in saccoccia”. Non è arrivata, invece, una “scivolata” della Virtus Bologna, che avrebbe regalato ai biancoblù la soddisfazione del primato. Poco male, “il titolo di Campione d’in­ verno non porta bene”, scrivono i tifosi sui social, ricordando con sarcasmo il gennaio 2014, quando Brindisi chiuse il girone di andata al primo posto, battendo proprio la Dinamo all’ultima giornata e festeggiando come se avesse vinto lo Scudetto, per poi uscire dai giochi ai quarti di finale playoff, proprio per mano del Banco, con un secco 0­3. Sette vittorie consecutive in campionato più due nelle ultime due giornate di Champions League disputate, questo il bottino della “Poz band”. La striscia totale è di otto successi di fila, perché proprio quando la Dinamo aveva iniziato ad inanellarla (con la gara vinta con Bre­ scia l’1° dicembre), è arrivato lo stop, in coppa, col Manresa. Poi, però, è stato percorso netto. La seconda piazza significa incontrare la settima classificata, Happy Casa Brin­ disi, nei quarti di finale della Final Eight 2020 di Coppa Italia, che si disputerà a Pesaro dal 13 al 16 febbraio.


#cinguettii tecnologici a cura di Marco Cau

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LA CABINA DI REGIA DELLE EMERGENZE: LA SALA OPERATIVA DELLA PROTEZIONE CIVILE Come funziona il sistema di coordinamento della prevenzione delle varie ipotesi di rischio e come ci si deve comportare in caso di pericolo. di ALESSANDRO LIGAS

L

a Sardegna ha un territorio vasto e ricco bellezze naturali con una antica storia. Ma nello stesso tem­ po è anche un territorio fragile dove esistono pericoli e dei fattori di rischio che possono essere messi in evidenza anche con una pioggia più intensa del normale o con l’attività umana. La cro­ naca di questi ultimi anni ha registrato diversi eventi calamitosi che hanno com­ portato l’intervento coordinato di più enti o amministrazioni. Ma come fun­ ziona questo sistema di coordinamento? Abbiamo intervistato il dottor Stefano Campesi e l’ingegnere Mauro Merella direttori rispettivamente del Servizio

programmazione e del Servizio pianifi­ cazione e gestione delle emergenze della Protezione Civile della Sardegna, che in breve ci hanno spiegato come funziona l’apparato. “La Protezione Civile è un sistema com­ plesso – spiega Stefano Campesi –, for­ mato da competenze ed attività di diverse entità, sia pubbliche sia private, che in maniera coordinata e sinergica si attivano per tutelare la vita, l’integrità fisica, i beni, gli insediamenti, gli animali e l’am­ biente dai danni o pericoli di danni. Il sistema regionale di protezione civile è diviso in 4 macroaree: allertamento, co­ mando e controllo, salvaguardia del ter­ ritorio e strutture operative”.

“Tutte le operazioni di protezione civile hanno il loro cuore nella Sala Operativa Regionale Integrata, detta anche SORI – prosegue Mauro Merella – attiva h24, sia nei giorni feriali che in quelli festivi, con una dotazione tecnologica di ultima generazione, che ha il compito di ricevere e gestire le richieste di intervento e di garantire la diffusione delle informazioni alle strutture operative. Un videowall con 8 display ad alta risoluzione e 18 postazioni rendono la sala altamente funzionale. Da qui, a seconda della emer­ genza, vengono allertate tutte le com­ ponenti e le strutture operative di modo che possano essere operative nel più breve tempo possibile. La sala operativa è abbinata anche da una sala radio che se dovesse crollare tutta la rete di co­ municazione è l’unica in grado di mettersi in contatto con le strutture sul campo. La sala SORI è integrata, durante i mesi estivi, con la Sala Operativa Unificata Permanente, SOUP, che assicura il co­ ordinamento delle proprie strutture an­ tincendio con quelle statali”. “La gestione delle operazioni varia a se­ conda dell’emergenza e della sua di­ mensione – prosegue l’ingegnere –. Ab­ biamo diversi modelli di intervento e tutti hanno il loro punto di partenza da un’attività quotidiana di previsione a cui seguono diverse fasi operative: atten­ zione, preallarme e allarme. Ognuna di queste è suddivisa in base alla dimen­ sione: comunale, intercomunale (eventi che comportano l’intervento coordinato di più enti o amministrazioni), nazionale. Ogni modello ha a sua volta un’articola­ zione della cabina di regia diversa che può essere in capo al comune, ad una unione di comuni o alla prefettura. Il braccio operativo del nostro sistema è dato dai volontari, 195 associazioni, circa 3000 persone, che sono i primi ad intervenire in una situazione di rischio con estrema celerità”. In caso di pericolo e per tenersi sem­ pre aggiornati è utile consultare le indicazioni riportate nel sito internet sardegnaambiente.it/protezionecivile.

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Il dentista risponde

Il Dott. Giuseppe Massaiu è un professionista di riferi­ mento e opinion leader in tema di Odontoiatria Naturale e Biologica, insegna in corsi frontali e on­line argomenti clinici ed extra­clinici legati al mondo della Odontoiatria e della Medicina Naturale, Posturale e Olistica oltre che del Management e del Marketing Odontoiatrico.

Curiosità sul mondo odontoiatrico

stock.adobe.com | Asier

U

no degli aspetti del mondo odontoiatrico che rimane tra i più delicati da spiegare ai pazienti è la colorazione dei loro denti. Per questo motivo oggi par­ leremo dei cibi che ci aiutano a mantenere chiara la pig­ mentazione dei denti e quali, invece, tendono a scurirla. Piccola premessa: il colore naturale dei nostri denti è dovuto alla dentina, quel tes­ suto osseo che si trova sotto lo smalto, nella parte più in­ terna del dente. Il suo colore, come accade con i capelli, gli occhi e la pelle, è determinato dalla genetica della singola persona. Ma dobbiamo anche sapere che le abitudini com­ portamentali e l’ambiente possono, nel tempo, cambiare la pigmentazione originale. Tra queste, le più importanti sono il fumo, alcuni medicinali e soprattutto il cibo. Quali sono, allora, i cibi che “macchiano o scuriscono” i denti? Primi tra tutti, abbiamo quelli con un alto PH acido come l’aceto, la salsa di pomodoro, le bevande gassate e/o ener­ getiche. I cibi contenenti coloranti, o quelli a pigmentazione natu­ rale scura come il caffè e il tè nero, il vino rosso, i mirtilli e buona parte dei frutti rossi,

Quali alimenti possono rendere i denti scuri, e quali aiutano a schiarirli le barbabietole, i carciofi, il curry e la salsa di soia, le li­ quirizie e, ovviamente il cioc­ colato. Abbiamo infine i carboidrati raffinati come il pane bianco e i cracker, che tendono ad ingiallire i denti favorendo la formazione della carie.

Queste considerazioni non vogliono dire che dobbiamo eliminarli tutti in maniera ra­ dicale, bensì stare attenti a non farne un consumo ec­ cessivo e, al contempo, questo sì, essenziale, lavare bene i denti una volta finito di man­ giare. Un altro trucchetto è il

bere tanta acqua. Questa, in­ fatti, abbassa il livello di acidità all’interno della bocca, pre­ servando smalto e dentina, e in parte “lava” i denti del­ l’eccesso di pigmento. Parlando, invece, di cibi che aiutano a tenere puliti e sani i denti, abbiamo: Cibi crudi e croccanti come sedano, carote, broccoli, mele, pere, noci, mandorle e piccoli semi. L’ananas, in tale classi­ fica risulta al top, in quanto contiene un enzima – detto bromelina – che è un deter­ gente naturale per i denti. Ancora, per quanto a prima vista appaiono come un frutto rosso, abbiamo le fragole. Que­ ste contengono un astringente naturale che aiuta a rimuovere le macchie dai denti. Anche gli oli essenziali con­ tenuti nella salvia e nella menta favoriscono lo sbian­ camento dei denti, e la ruvi­ dità delle foglie svolge un’azio­ ne di pulizia sullo smalto. Insomma, come puoi ben no­ tare una buona consapevo­ lezza nella tua alimentazione sarà di grande supporto per curare l’estetica del tuo sorriso, al netto che la sua salute ge­ nerale andrà sempre vagliata da un esperto odontoiatra. Ogni mese il Dott. Massaiu risponderà ad uno di voi. In­ viate le vostre domande a: dott.massaiu@shmag.it. www.studiomassaiu.it

I

Impronta digitale in 3D Interventi in sedazione cosciente Implantologia avanzata a carico immediato Cura precoce della malocclusione nel bambino Ortodonzia invisibile con mascherine trasparenti Sassari | Via Alghero 22 Nuoro | Via Corsica, 15 079 273825 | 339 7209756 Informazione sanitaria a carattere informativo non promozionale e non suggestivo secondo il comma 282 della legge 248 del 04/08/2006 - Direttore Sanitario Andrea Massaiu Odontoiatra, Iscr. Albo Odontoiatri di Sassari n° 623


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