Conoscenza di sé, meditazione, contemplazione

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di un suo diritto inalienabile, sentirsi individuo, delimitato e circoscritto; lì arranca. É buffa questa cosa, perché non pongo l'accento sul fatto che l'uomo non sa relazionarsi all'altro, non sa amare; sto dicendo che non sa fino in fondo proclamarsi individuo. Non nel fatto che non sa condividere, non sa scambiare, non sa donarsi: il problema dell'uomo è che non sa dire “io” o, quando lo dice, non ci crede. Non sa dire “io” pienamente, liberamente, fluidamente, sfacciatamente, non lo sa dire. G: Perché c'è la censura.. R: L'uomo ha dovuto trovare un modo, una modulazione, nel dire “io”, per non sopraffare l'altro; tanti uomini che vivono assieme nella natura, se ciascuno avesse gridato il proprio io senza tenere conto dell'io dell'altro, a clavate sulla testa sarebbe finita! Ha dovuto trovare un modo e ha posto tutti i paletti della morale, fino a che, ad un certo punto, questo impianto diventa una prigione, un soffocamento di sé. Guarda dove siamo arrivati con il nostro ragionamento: l'uomo durante il suo percorso, ad un certo punto, non può che affrancarsi dalla morale perché altrimenti non fa l'ultimo passo, l'ultimo salto. Significa che l'uomo diventa senza morale? Non direi, è più complicato. Stiamo dicendo che una mente che si forma e si struttura, ha bisogno evidentemente di regole, e non è che ogni volta uno può sperimentare tutto quanto da capo; c'è il genitore che ti dice: “Non toccare il fuoco, perché scotta”, non abbiamo bisogno di riprovare l'esperienza diretta, impariamo anche in un altro modo; però ad un certo punto la persona deve affrancarsi da questo impianto condizionante. Questo significa che l'uomo al culmine del suo inspiro sente che il legame morale gli sta stretto, ma tu hai idea di quante implicazioni porta con sé questo stato interiore? 24


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