Dove risiede il mio essere, Ciot e Lev

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Catia Belacchi

DOVE RISIEDE IL MIO ESSERE Racconti metaforici sui temi del cammino spirituale

IL SENTIERO CONTEMPLATIVO


Indice: PREFAZIONE MELISSA 11 Il senso della vita CIOT E LEV 27 L’importanza dell’altro da sé IL VECCHIO LUPO 43 Il perché della sofferenza MUSCHIO E SETA 63 Da innamoramento ad amore PIANTINA 83 Il sentire di coscienza


CIOT E LEV L’importanza dell’altro da sé Si chiamava Ciot. Viveva nel fondo sassoso di un fiume dove ai periodi di piena della stagione del disgelo seguivano periodi di magra della canicola estiva. Questa caratteristica del fiume rendeva la vita di Ciot assai varia e a lui piaceva. Poteva permettersi numerose e spericolate escursioni nei fondali quando l’acqua impetuosa lo faceva rotolare trasportandolo in altri siti, oppure godersi la vita tranquilla dei periodi estivi quando, fermo nello stesso posto, aveva tempo di guardarsi intorno e ammirare il contorno diseguale delle sponde, il riflesso del sole sull’acqua, l’ombra degli uccelli in volo e ascoltare il suono delicato della corrente. Più di tutto, però, Ciot amava osservare la varietà dei pesci che scivolavano furtivi per nascondersi tra gli anfratti.


A volte i pesci scendevano sul fondo a strappare ciuffi di alghe o a cercarsi qualche larva prelibata. Succedeva così che qualche pesciolino lo sfiorasse. Ciot amava molto quel tocco delicato dei pesci: percepiva allora sensazioni a volte forti, a volte delicate, che gli davano la certezza di esistere. Sempre più spesso, vedendo i pesci spostarsi liberamente nell’acqua e gli uccelli volare liberi nel cielo, pensava che tutti avevano avuto una sorte più fortunata della sua, costretto a spostarsi solamente quando lo decideva l’acqua e a conoscere solo gli esseri che si trovavano nelle sue vicinanze. Comunque Ciot nel fiume non era solo, insieme a lui vivevano ciottoli di tutti i tipi. Ce n’era di grandi e di piccoli, di lunghi e di tondi, di ruvidi e spigolosi e di lisci e sinuosi. A Ciot la loro compagnia era, per lo più, gradevole: in fondo era con loro che faceva le sue esperienze. Spesso, però, emergevano aspetti meno amabili del carattere di ciascuno: la cocciutaggine di


uno, la superficialità di un altro, l’insensibilità di un altro ancora; allora, ritenendosi più evoluto, pontificava su questo e su quello o si chiudeva in una rabbia sorda ogni volta che credeva di non essere capito. Le cose peggioravano quando, portati dalla corrente, arrivavano altri sassi da poco separatisi dalla montagna. Erano grossolani, spigolosi, impulsivi, quasi per niente smussati dall’acqua e dal tempo. Ti venivano addosso di peso schiacciandoti, lasciandoti abrasioni, ammaccature, lividi con i loro spigoli taglienti. Per Ciot era un vero incubo. Del resto lui si percepiva come un ciottolo di bell’aspetto, educato, rispettoso degli altri; a dire il vero anche lui aveva ancora delle spigolosità ma in confronto a quegli zoticoni si sentiva davvero superiore. Un sasso, in particolare, gli sembrava davvero difficile da tollerare: parlava sempre a voce alta, si vantava delle sue imprese, pretendeva di avere sempre ragione e, per


dimostrare che lui era il più forte, soffiava alzando grossi nuvoloni di limo che a Ciot irritavano gli occhi e lo facevano starnutire. Un giorno, preso il coraggio a due mani, Ciot gli chiese se poteva evitare di urlare e di intorbidire l’acqua perché gli urli lo frastornavano e il fango gli irritava gli occhi e la gola. Per tutta risposta gli fu detto di non farla tanto lunga e di pensare ai fatti suoi. Ciot lasciò perdere perché capì che a insistere avrebbe solo peggiorato le cose; quel sasso, infatti, era grande e grosso e invece di usare il buon senso avrebbe usato i muscoli. Maturò però la convinzione di subire un torto e che i prepotenti l’avevano sempre vinta. Un giorno, durante un periodo di piena, Ciot e alcuni suoi compagni vennero sospinti molto più a valle finché l’acqua non li lasciò in un punto pianeggiante del fondale, Ciot un po’ più isolato degli altri. Questa nuova sistemazione gli piacque:


poteva starsene tranquillo e, quando avesse voluto un po’ di compagnia, l’avrebbe trovata nei pesci o nelle piantine acquatiche e nelle larve che ospitavano. Era infatti ancora amareggiato dalla discussione avuta col sasso grossolano e la sua rabbia non era svanita. Cambiare compagnia sicuramente lo avrebbe aiutato. Incominciò a guardarsi intorno: era finito in un angolo riparato dove crescevano cespugli di elodea e la sponda era ricoperta di alghe. Sul fondo erano sparsi dei ciottoli, ma la sua attenzione venne attratta da un sasso molto particolare: era così smussato e levigato da risultare quasi trasparente. Più che dall’aspetto, però, Ciot venne impressionato dall’autorevolezza e dalla mitezza che emanavano dal suo portamento. “Mi sembri piuttosto imbronciato” sentì dire da una voce armoniosa.


Ciot non capì subito; si girò e vide che a parlare era stato il ciottolo levigato che gli ammiccava. “Dici a me?” chiese incerto. “Sì, a te; non vedo altri bronci qui intorno! A proposito, per tutti sono Lev” aggiunse il nuovo vicino. “Io Ciot” rispose il giovane sasso. “Cosa c’è che non va?” proseguì Lev. “Vuoi sapere se sono arrabbiato?” rispose Ciot non osando dire a quel sasso così particolare di farsi i fatti suoi. “Sì, lo sono. Non sopporto i sassi prepotenti, superficiali e fanfaroni e ultimamente ne ho incontrati parecchi; uno in particolare mi ha fatto uscire dai gangheri. Prima mi sono offeso, poi arrabbiato e poi ancora arrabbiato per essermi arrabbiato. Ancora non mi è passata; anche se cerco di distrarmi, la rabbia è lì che cova.” “Ti succede perché sei ancora giovane e impulsivo” riprese Lev. “Dimmi, che aspetto aveva quel sasso?”


“Era tozzo, ruvido e spigoloso, con parti taglienti.” “E’ come pensavo” proseguì Lev. “E’ un ciottolo nato da poco, non ha ancora esperienza della vita. Vede solo se stesso e pensa che gli altri siano come lui e abbiano i suoi stessi bisogni.” “Nato da poco?” esclamò Ciot sbalordito. “Perché i sassi nascono? Io non ricordo di averlo fatto! Poi che differenza c’è tra essere ruvidi o smussati?” “Beh! di differenza ce n’è tanta, ma andiamo per ordine. Anche i sassi nascono ma tutti ne perdono la memoria. Dove inizia questo fiume c’è una montagna. La montagna è forte, possente, ma anche lei viene levigata dall’azione del vento, del gelo, della pioggia. La pioggia scava e dilava, il gelo pesa e frantuma, il vento scuote e corrode; a poco a poco, parti più o meno grandi della roccia si sgretolano e si staccano dalla montagna, così nascono i sassi. Appena nati sono molto informi, tozzi, spigolosi, poi succede


che l’acqua che scende dalla montagna li conduce prima al torrente poi al fiume dove proseguono il loro percorso nella vita.” “Anche a me è successo questo? Voglio dire, anch’io sono nato in questo modo?” chiese Ciot perplesso ma incuriosito. “Succede a tutti i sassi, ma al momento della nascita sono così inconsapevoli che non se lo ricordano.” “E nel fiume cosa avviene?” incalzò Ciot sempre più interessato. “Nel fiume si vive, semplicemente” rispose Lev. “Dici bene tu, ma io non so cosa significa.” “Significa che trascorri le tue giornate, impari a distinguere il giorno dalla notte, lo scorrere delle stagioni; impari a riconoscere gli esseri che vivono intorno a te, impari a stare in mezzo agli altri sassi e a capire il loro comportamento, ma la cosa più importante è che impari a conoscere te stesso.”


“Alcune delle cose che hai detto le ho imparate, ma non credo di aver imparato a capire i miei simili e riguardo a me, più ci penso più non mi piace essere sasso. A volte desidererei essere un pesce o un uccello che sono liberi di andare, non un sasso che deve aspettare che l’acqua lo trasporti” rispose malinconico Ciot. “Ognuno deve vivere secondo quella che è la sua natura” proseguì Lev. “Tu vivi da sasso, un uccello vive da uccello, un pesce da pesce. Se passi il tempo a rammaricarti della tua natura sprechi l’opportunità di vivere pienamente la tua unicità, così non vivi né da sasso, né da uccello, né da pesce.” “Uhm, se lo dici tu! Io credevo che fosse giusto o almeno logico voler diventare qualcos’altro, cercare di cambiare la propria natura per diventare più importante, migliore insomma!” rispose Ciot, confuso. “Quando nasciamo con una certa natura, non ci è dato di cambiarla nel corso della nostra vita, non possiamo farlo né con un


atto di volontà, né con una magia: da sasso non puoi trasformarti in pesce. Puoi però affinare la tua natura di sasso” spiegò pazientemente Lev. “Credo di essere un po’ confuso” continuò Ciot. “Che differenza c’è tra cambiare e affinare?” “Se sei nato sasso rimani sasso ma puoi trasformarti da sasso inconsapevole a sasso consapevole. Questo è il compito che ciascun essere ha nella vita.” “E come si diventa consapevoli?” “Conoscendo se stessi” spiegò Lev. “Stai scherzando? Vorresti dire che io non mi conosco?” “Forse in superficie sì. Se ti conoscessi davvero, però, non continueresti a coltivare la tua rabbia, la osserveresti poi la lasceresti andare; non daresti importanza al giudizio che gli altri danno su di te, come se quello ti desse identità. Se imparerai a osservare la tua rabbia, le tue aspettative, l’importanza


che dai al giudizio degli altri, ti accorgerai che a poco a poco queste cose non ti faranno più così male e finiranno per scomparire.” “Quello che dici fatico a capirlo” rispose sconsolato Ciot. “Ricordi che mi hai chiesto cosa c’entra essere un sasso ruvido o un sasso levigato?” riprese Lev. “Un sasso che è ancora ruvido ha scarsa conoscenza di sé, non capisce il perché dei propri comportamenti, non sa spiegarsi le proprie reazioni, agisce in modo istintivo e tende a soddisfare solo i suoi bisogni. Man mano che ci si urta, un sasso entra in contatto con un altro sasso, i suoi spigoli cozzano contro gli spigoli dell’altro: ci si colpisce, ci si strofina, si ruzzola. Lì per lì ci si fa male e ciascuno incolpa l’altro del male ricevuto senza riflettere che sono state le sue asperità a farlo cozzare contro le asperità dell’altro. Questi scontri hanno il pregio di far emergere la nostra


parte emotiva così impariamo a conoscere ciò che ci spinge ad agire e a riconoscere le nostre emozioni, vale a dire le risposte alle azioni degli altri su di noi. Col passare del tempo ci si accorge che dove il contatto aveva provocato dolore si è sviluppata una superficie liscia, levigata. Via via ciascun sasso aumenta la propria superficie levigata e diminuisce quella ruvida.” “Vedo che ho ancora molte parti ruvide da farmi levigare, allora!” osservò Ciot guardandosi addosso. “Beh,” disse Lev “una parte del lavoro l’hai fatta! Sei un sasso giovane, il cammino è lungo.” “Tu sei allora molto vecchio! Sei così levigato che sembri trasparente!” “Già, ma ricordo quando ero giovane come te e scalciavo ogni volta che qualche sasso mi metteva in crisi! Poi ho capito che questi mi venivano portati dall’acqua proprio per aiutarmi a lavorare le mie asperità; erano i


collaboratori che mi servivano in quel momento per acquisire consapevolezza. Anche l’acqua poi fa la sua parte: col semplice scorrere ci modella e aiuta la nostra trasformazione.” “Vuoi dire allora che rispetto alla mia rabbia di prima, non dovevo puntare il dito contro il sasso con cui ho litigato ma dovevo osservare la mia reazione?” “Proprio così” disse Lev. “Non immedesimarti nelle tue reazioni ma impara a osservarle come se tu fossi uno spettatore, così toglierai loro la forza di farti male e col tempo imparerai ad accoglierle con leggerezza.” “Proverò a fare come dici” disse Ciot, “ma posso chiederti aiuto se non ci riesco?” “Certamente che puoi, ti aiuterò come posso.” “Dimmi un’altra cosa” disse Ciot. “Quando si è arrivati ad essere levigati come te, cosa succede?”


“L’acqua del fiume continua a smussare, la materia diventa sottilissima finché ad un certo punto si frantuma e diventa una cosa sola col fiume.” “Così semplicemente?” chiese Ciot “Così semplicemente” rispose Lev.


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