Poi finito il tumulto settembrino tutto quello spazio si riempie di tavoli con bianche tovaglie batista, che rasentano il cotto messo di spina. E’ la gioia settembrina! I Guglielmini la esternano su quelle tavole imbandite di insaccati, micconi di pasta dura e mazzi di ingenui e gialli topinambur. Uscendo dal cortile hai di fronte una struttura meno datata, la facciata e grigia di cemento e oltre ad uno stretto ingresso, una piccola ribalta si affaccia, si sporge sull’aia. Alle spalle si aprono i locali destinati all’imbottigliamento. Una giostra accompagna le bottiglie come petulanti liceali in gita a Sant’Appollinare in Classe e ricevuto il vino, giungono alla tappatura, dall’alto vermiglie, verdi, e azzurre capsule, come cappelli, cadono sui colli ed infine l’etichetta, poi in gruppi di dodici si acquietano in bianche scatole. Il pavimento è in clinker rosso. Le pareti sono occupate da recipienti in acciaio e l’odore è di collina. Di collina? Già! La collina ha il suo odore e chi la lavora se lo porta nelle mani, nei calzoni e nei capelli. Chi se ne andato da contadino può cavarsi la pelle ma non lo perde, è piantato nell’anima. Lui si gira di scatto quando incrocia un sudore come il suo. Può essere anche di mare. I pescatori seminano a spaglio reti immense e arano i flutti e la luna è sempre quella, illumina i germogli del tarassaco che, con tanto aceto, sono buoni con le uova cotte e allo stesso modo illumina i calamari avvinghiati a esche come subdole lucciole. Meschine borse d’acqua salata che 68