Modellazione BIM architettonica per l'interoperabilità

POLITECNICO DI MILANO

Scuola Master F.lli Pesenti Master in BIM MANAGER

Modellazione BIM architettonica per l'interoperabilità.

Progetto studio di una casa unifamiliare prefabbricata in legno.

Allievo

Relatore: Ing. Arch. Paola Ronca

Enzo Pasqua

Ing. Alessandro Zichi

Mat.885916

a.a. 2017/2018

Modellazione BIM architettonica per l'interoperabilità. Progetto studio di una casa unifamiliare prefabbricata in legno.

Tesi di Laurea Master II Livello in BIM manager Enzo Pasqua Mat. 885916

INDICE INTRODUZIONE ...................................................................................................................................... 5 1

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FONDAMENTI DEL BIM ................................................................................................................. 6 1.1

IL BIM COME METODOLOGIA ............................................................................................... 6

1.2

MODEL USES, BIM USES E LE DIMENSIONI DEL BIM ........................................................ 9

1.3

I DOCUMENTI CONTRATTUALI ALLA BASE DEL PROCESSO.......................................... 15

1.4

RUOLI PROFESSIONALI ALL’INTERNO DEL PROCESSO BIM.......................................... 26

INTEROPERABILITA’ E OPEN STANDARDS ............................................................................ 29 2.1

GLI STANDARD..................................................................................................................... 29

2.2

I CONCETTI DI MVD E IFD ................................................................................................... 31

2.3

I SISTEMI DI CLASSIFICAZIONE ......................................................................................... 32

2.4

L’IDEA DI MODELLO FEDERATO. ....................................................................................... 39

IL BIM NEL QUADRO NORMATIVO NAZIONALE ...................................................................... 42 3.1

DIRETTIVA 2014/24/UE ........................................................................................................ 42

3.2

Dlgs 50/2016 .......................................................................................................................... 42

3.3

IL DECRETO BIM DM 560/2017 ............................................................................................ 44

PIANIFICAZIONE DI UNA COMMESSA BIM............................................................................... 48 4.1

IL PROGETTO E IL SUO CICLO DI VITA ............................................................................. 48

4.2

I FLUSSI INFORMATIVI NEI PROCESSI DIGITALIZZATI .................................................... 50

LOD............................................................................................................................................... 54 5.1

CLASSIFICAZIONE SECONDO LE SPECIFICHE USA ........................................................ 55

5.2

CLASSIFICAZIONE LOD SECONDO LE SPECIFICHE UK .................................................. 59

5.3

CLASSIFICAZIONE LOD SECONDO LE SPECIFICHE ITALIANE ....................................... 65 2

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PROCEDURE DI GESTIONE DEI FLUSSI INFORMATIVI........................................................... 73

7

BIM NELLA PRATICA PROGETTUALE ...................................................................................... 88

8

9

7.1

COME IL BIM PUO’ MIGLIORARE IL LAVORO DI TUTTI I GIORNI ..................................... 88

7.2

STRUTTURA OPERA E GESTIONE DEI LIVELLI ................................................................ 91

7.3

GESTIONE DEI PIANI ........................................................................................................... 93

7.4

STRUTTURA E UTILIZZO DEI LAYER ................................................................................. 97

7.5

STILI LINEA E STILI AREA ................................................................................................ 100

7.6

UTILIZZO DI OGGETTI “SMART”........................................................................................ 102

7.7

GESTIONE DELL’INFORMAZIONE ALL’INTERNO DELL’AUTHORING ............................ 108

7.8

LA PALETTE OGGETTI PER IL WORKFLOW DI AUTHORING ......................................... 113

7.9

ESPORTAZIONI ALLPLAN IN UN WORKFLOW OPENBIM ............................................... 115

7.10

IMPORTAZIONE IN ALLPLAN IN AMBIENTE OPENBIM E COLLISION CHECK .............. 122

CASO STUDIO ........................................................................................................................... 127 8.1

INTRODUZIONE .................................................................................................................. 127

8.2

PIANIFICAZIONE DELLA STRUTTURA OPERA E WBS DI PROGETTO .......................... 127

8.3

IMPOSTAZIONE DEI LAYER, STILI DI LINE A E STILI AREA. .......................................... 131

8.4

ANALISI LOTTO E CONCEPT LOD 100. ............................................................................ 136

8.5

PROGETTO DI FATTIBILITA’ TECNICO-ECONOMICA A LOD 200 ................................... 138

8.6

FASE DI CONTROLLO E PRODUZIONE DI REPORT ....................................................... 148

8.7

SELEZIONE DELL’OFFERTA E IMPLEMENTAZIONE DEL MODELLO A LOD 300 .......... 170

8.8

ANALISI DEL MATERIALE STRUTTURALE E IMPLEMENTAZIONE A LOD 350 .............. 181

8.9

ESPORTAZIONE IFC E STRUTTURAZIONE MODELLO INTEROPERABILE ................... 228

8.10

ESPORTAZIONE PER VIRTUAL REALITY ......................................................................... 233

NORMATIVA DI RIFERIMENTO E GLOSSARIO....................................................................... 242 3

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9.1

NORMATIVA DI RIFERIMENTO.......................................................................................... 242

9.2

DEFINIZIONI E ACRONIMI ................................................................................................. 244

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA ................................................................................................ 248 10.1

BIBILIOGRAFIA ................................................................................................................... 248

10.2

SITOGRAFIA ....................................................................................................................... 249

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INTRODUZIONE Quando si parla di digitalizzazione del settore delle costruzioni 1 bisogna per forza scontrarsi con il mondo BIM e tutto ciò che ad esso gira attorno. Il concetto di BIM può essere considerato una rivoluzione non solo a livello di metodologia di lavoro e digitalizzazione dei processi all'interno dello studio di progettazione, ma anche a livello di normativa e legislazione, sia nazionale che comunitaria e internazionale.

Il DM 560/2017 (cosiddetto "Decreto BIM" o "Decreto Baratono"), a tal proposito, entrato in vigore dal 28 Gennaio 2018, introduce ad esempio l'uso del Building Information Modelling all'interno degli appalti pubblici, scandendo le scadenze logistiche per l'adozione completa del metodo in riferimento all'art. 23 del Dlgs 50/2016 2(Codice dei Contratti Pubblici).

Tramite la comparazione tra normative già esistenti in ambito internazionale (BS PAS 1192, NBIMS – US, Bim Forum) e la normativa italiana vigente (UNI 11337:2017) vengono definiti e specificati termini base per la comprensione del concetto di BIM applicato alla progettazione quali model use, BEP (pGI), Open Standards, Interoperabilità, CDE, LOD, EIR (CI), acronimi e termini indispensabili per la corretta programmazione dei modelli informativi.

Questa trattazione si prefigge l’obiettivo di analizzare l’influenza che il flusso di lavoro BIM può avere all’interno di uno studio medio-piccolo di progettazione attraverso l’uso di tool di authoring specifici, mantenendosi coerenti con la parte normativa e gli aspetti teorici riguardanti il metodo.

Per fare ciò è stato scelto un caso studio reale, del quale viene descritto lo sviluppo partendo dalla fase di fattibilità tecnico-economica, fino ad arrivare ad un dettaglio di livello esecutivo.

Durante lo sviluppo progettuale si è cercato di coniugare le esigenze pratiche a quelle metodologiche, creando un connubio virtuoso tra esperienza pregressa ed evoluzione digitale dei processi, tenendo conto della scala dell’intervento e delle risorse esistenti interne allo studio.

Ne è derivato un interessante progetto pilota esemplificativo di come non per forza l’approccio BIM debba esclusivo di grandi realtà ma possa diventare in futuro uno “standard” anche per studi e interventi di natura minore, ma non per questo meno importanti all’interno del ciclo della filiera edilizia.

1 2

Più volte indicata anche con il termine Edilizia 4.0.

Articolo che recepisce la direttiva europea 2014/24/UE (art.22 comma 4) sugli appalti pubblici.

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1 FONDAMENTI DEL BIM 1.1 IL BIM COME METODOLOGIA Bisogna prima di tutto chiarire che con l’acronimo BIM si indentifica in primo luogo un metodo operativo che permette, attraverso la simulazione digitale dell'opera, la progettazione secondo standard di qualità e sostenibilità.

Il NIBS 3 implementa tale definizione coniando il termine BIM3 (o BIM cubed), che ben identifica i tre significati che possono essere contenuti all’interno dell’acronimo: -

Building Information Modelling: ovvero la creazione di dati informativi a livello digitale da utilizzare per la progettazione, costruzione e gestione di un edificio durante tutto il suo ciclo di vita. Tali dati sono posti in condivisione con tutti gli stakeholders dell'opera e accessibili in contemporanea, attraverso l'utilizzo interoperabile di tools\softwares dedicati.

-

Building Information Model: ovvero il modello che è copia simulata digitale dell'opera reale realizzata\da realizzare, nonché contenitore di parte delle informazioni (geometriche e non).

Per definizione questo modello deve essere: •

Parametrico: ovvero organizzato in funzione di uno o più parametri.

•

Misurabile: ovvero essere scaricabile e caricabile in ogni sua parte affinché possa essere analizzabile.

•

Globale: ovvero essere esplicativo di tutte le discipline coinvolte per la creazione in opera in modo tale che siano tra loro in relazione

-

Building Information Management: ovvero la gestione, la pianificazione e il controllo dei dati derivanti dal database digitale affinché possa essere agevolmente sfruttato durante tutto il ciclo di vita dell'edificio (poiché fedele all'asset reale, il cosiddetto “as-built”)

L'uso del BIM presuppone che alla base ci sia una pianificazione a livello progettuale di tipo integrato, dove tutti gli users interessati devono collaborare e scambiarsi informazioni fin dalle prime fasi di impostazione del progetto.

I processi tradizionali legati all'accumulo di dati slegati fra loro lasciano spazio ad un approccio iterativo in cui al centro dell'attenzione viene messo il modello-database, contenitore di informazioni in costante

National Institute of Building Science, associazione non-profit americana che è legata alla sperimentazione e alla ricerca nel settore edilizio, creatrice degli standard in ambito BIM per il mercato americano i NBIMS-US.

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aggiornamento, contemplando le modifiche e le ottimizzazioni proposte durante il processo di collaborazione tra gli utenti coinvolti.

I soggetti coinvolti collaborano in sinergia attraverso un processo complesso e interdisciplinare che caratterizza il concetto di progetto 4.

Figura 1.1 - Schematizzazione del processo di progettazione tradizionale

Termine progetto utilizzato con l’accezione inglese, non limitato alla sola attività di progettazione (desing), ma esteso a tutti i vari processi che entrano in gioco (nel nostro caso l’intero ciclo di vita del costruito).

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Figura 1.2 - Schematizzazione del processo di progettazione integrata

Le informazioni trattate in un processo BIM in quanto tali possono essere di 3 tipologie differenti: 1. Grafiche: 2D-3D relative al modello geometrico.

2. Non-grafiche: relative alle caratteristiche di un processo o di un prodotto\oggetto facente parte del modello (non geometriche).

3. Documentali: tutte quelle informazioni cartacee o digitali anche non relative a processi informatizzati.

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Figura 1.3 - Esempio di rappresentazione grafica (sinistra) a cui è legata la parte informativa non grafica (destra) di un modello di ascensore.

Il viewer utilizzato fa parte della piattaforma BIMPLUS di Nemetschek.

1.2 MODEL USES, BIM USES E LE DIMENSIONI DEL BIM I model uses e i BIM uses definiscono le tipologie di attività e di interazione tra i vari software di BIM authoring e il modello-database BIM ai fini della creazione dei deliverables richiesti (chiamati modelbased deliverables).

I deliverables non sono altro che il risultato di operazioni ed analisi applicate al modello stesso (clashdetection, controllo costi-tempi ecc..).

In sostanza gli uses sono delle sottocategorie delle cosiddette dimensioni BIM (attualmente ne sono considerate 7).

Prendendo l’esempio del computo metrico estimativo, esso si può definire come un model-based deliverable ascrivibile alla quinta dimensione del BIM, all'interno della quale ci possono essere infiniti model-uses legati alle volontà del progettista\user del software.

Le dimensioni5 finora introdotte possono essere così identificate: 1. 3D Modellazione: "simulazione grafica dell'opera o dei suoi elementi in funzione dello spazio" (UNI 11337-1:2017) attraverso l'uso di software di BIM authoring (a seconda delle discipline) di natura parametrica. Tra i BIM uses annoverabili in questa dimensione si possono considerare

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Tralasciamo l’approfondimento delle prime due dimensioni essendo legate al mero disegno bidimensionale in ambito CAD.

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indispensabili la clash detection e il code-checking\validation.Con il termine clash-detection si intende il procedimento di controllo delle "possibili interferenze geometriche tra oggetti, modelli ed elaborati rispetto ad altri" (11337) (sia all'interno della stessa disciplina che tra discipline diverse).L'analisi effettuata dal software riporta i risultati delle collisioni (opportunamente scremate identificando i range di tolleranza) e l'operatore addetto alla particolare porzione di modello problematica può modificarne la geometria e la posizione in maniera precisa. Per quanto riguarda invece il code-checking , o "analisi delle incoerenze informative" per citare la UNI 11337, si parla di una verifica a livello informativo\normativo delle incongruenze all'interno del modello, che possono andare dalla banale analisi del RAI (secondo i criteri dell'RLI 6) degli spazi dell'edificio al rispetto della normativa antincendio con analisi della lunghezza delle vie di fuga. Il code-validation contempla un processo di analisi affinché si sia sicuri non ci siano state delle perdite informative durante il percorso di progettazione, fungendo da strumento di controllo con ciò che era stato dichiarato in fase di offerta per la gestione informativa (oGI)7. Uno dei casi più frequenti è quello relativo alla conversione del modello in formato neutro IFC per la collaborazione tra diversi user di progetto.

Tutti questi processi di project review all'interno delle fasi progettuali vengono applicati costantemente in modo tale da raggiungere sempre il grado di approvazione del modello stesso (indispensabile per il coordinamento e la condivisione di informazioni tra modelli di discipline differenti). Solitamente questo tipo di operazioni sono compito del BIM manager, il quale ha il ruolo anche di contattare, nel limite del possibile, tramite file BCF (BIM collaboration format) i responsabili delle clash affinché vengano sistemate e il modello aggiornato.

Convenzionalmente all’interno della terza dimensione vengono definiti 3 model uses fondamentali legati alle discipline progettuali principali: a. Modello architettonico: cioè tutti i dati e gli attributi che definiscono e definiscono l’involucro edilizio e i componenti architettonici interni dell’opera.

6 7

Regolamento Locale d’Igiene.

Documento fondamentale all’interno del flusso BIM descritto in dettaglio nei capitoli successivi.

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b. Modello strutturale: l’insieme dei dati e degli attributi che definiscono gli elementi strutturali sia a livello geometrico che fisico-analitico (ad esempio informazioni utili per il BIM to FEM8) c. Modello MEP: acronimo di Mechanical, Electrical, Plumbing identifica la parte di modellazione in ambito impiantistico sia a livello geometrico che informativo.

Figura 1.4 - Progetto dell'Ospedale Felix Platter di Basilea. Si nota l'implementazione a livello di modello delle tre discipline principali.

2. 4D Stima e gestione tempi: "simulazione dell'opera o dei suoi elementi in funzione del tempo, oltre che dello spazio" (UNI 11336-1:2017). Deve essere impostata alla base una gerarchia definita dalla WBS (work breakdown structure) ovvero la scomposizione dell'opera in tutte le sue fasi di esecuzione. Attraverso l'analisi della WBS si definiscono le unità base di tale struttura dette work packages dai quali si possono ricavare responsabilità, tempi e costi. La successione cronologica dei vari work packages porta alla creazione del cronoprogramma (allegato del progetto esecutivo nel caso di lavori pubblici). Il diagramma più utilizzato per la programmazione nel settore delle costruzioni è quello di Gannt, ovvero un diagramma a barre di lunghezza variabile in base alla stima dei tempi della singola lavorazione.

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Operazione di interoperabilità tra software di authoring e software di calcolo strutturale.

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Figura 1.5 - Esempio di diagramma di Gannt prodotto a partire da un modello BIM attraverso il software Vision CPM di STR

3. 5D Stima e gestione dei costi: "simulazione dell'opera o dei suoi elementi in funzione della moneta, oltre che del tempo e dello spazio" (UNI 11337-1:2017), tramite il collegamento dei vari modelli disciplinari e dei loro elementi base (work packages) alle voci di elenco prezzi ricavate dai prezziari. Il modello creato con software di authoring può essere condiviso e analizzato con altri software per la gestione e la stima del quantity take-off, cioè l'estrazione dei dati e delle quantità degli elementi componenti il modello stesso.

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Figura 1.6 - Esempio di calcolo di confronto attraverso operazioni di quantity take-off partendo da un modello BIM. Il software considerato è Vision CPM di STR.

4. 6D gestione del costruito (Facility Management): "simulazione dell'opera o dei suoi elementi in funzione dell'uso, gestione, manutenzione ed eventuale dismissione, oltre che dello spazio" (UNI 11337-1:2017). Questo approccio comporta: a. Rivoluzione in ambito manutentivo con il passaggio da una manutenzione in caso di necessità ad una manutenzione programmata evitando i successivi costi di nonmanutenzione (più alti rispetto ad una manutenzione continuativa e pensata). b. Controllo pieno sul consumo energetico da parte dell'immobile. c. Valutazione affidabile e aggiornabile del patrimonio immobiliare con storico dei relativi costi sostenuti nel corso del tempo.

Diventa un approccio indispensabile per i FM coinvolti nella gestione dell'opera durante il suo ciclo di vita (basti pensare all'uso di formati open come IFC e COBie estraibili da modelli BIM).

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Figura 1.7 - Esempio di management degli asset interni al modello. La catalogazione avviene tramite l'uso dello standard COBie per il facility management e l’uso del software Solibri di Nemetschek.

5. 7D sostenibilità 9: "simulazione dell'opera o dei suoi elementi in funzione della sostenibilità dell'intervento oltre che dello spazio, del tempo e dei costi di produzione" (UNI 11337), contemplando nel concetto di sostenibilità 3 grandi fattori: a. Ambientale, cioè l'impatto che ha la costruzione nei confronti dell'ambiente in cui è inserito (ad esempio in termini di consumo energetico e sfruttamento del suolo). b. Economico, cioè se l'investimento tende a non gravare sulle risorse economiche di una comunità. c. Sociale, cioè che considera i vantaggi che l'opera può portare nei confronti della comunità (utilizzo di materiali riciclabili ad esempio, utilizzo di un sistema di riuso delle acque ecc.)

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Solitamente la dimensione 7 viene presa in considerazione, a livello temporale, prima della 4 e della 5 secondo un

procedimento di design optioneering (faccio delle scelte progettuali che successivamente vado a controllare a livello economico e di costi, così nel caso non funzionino posso tornare indietro e modificare ciò che non va).

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Il bilanciamento tra questi fattori porta alla creazione di un'opera sostenibile e il BIM può aiutare il progettista nel fare riflessioni su questi aspetti tramite le informazioni che vengono inserite all'interno del modello-database.

Tipicamente la settima dimensione viene identificata con l'analisi energetica quando in realtà essa comprende molti più model uses (Analisi FEM, Space Programming, Site Utilization Planning, Building System Analysis ecc.).

Figura 1.8 - Esempio di analisi in campo FEM attraverso il softwar SCIA engineering di Nemetschek.

1.3 I DOCUMENTI CONTRATTUALI ALLA BASE DEL PROCESSO La documentazione, sia con valenza contrattuale che con valenza meramente organizzativa e coordinativa, è sicuramente una delle parti fondamentali per il corretto approccio alla metodologia BIM. Attraverso i documenti infatti ogni stakeholder è portato ad attenersi a delle linee guida per impostare nel modo migliore il proprio workflow, ancora prima di iniziare concretamente la fase progettuale (fase di programmazione preliminare).

Di seguito vengono esplicitati i documenti fondamentali costituenti una commessa con approccio BIM. 1. BEP, acronimo di BIM EXECUTION PLAN, è un documento con valore contrattuale stilato da parte dei progettisti che intervengono attraverso una filosofia BIM. Descrive in maniera esaustiva le modalità esecutive con cui verrà sviluppata una commessa BIM (chiarificandone i rischi e le opportunità connesse).

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Un BEP completo contiene al suo interno tutta la definizione esaustiva di tutti i BIM uses del modello e la pianificazione del processo progettuale e del trattamento dei dati lungo tutto il ciclo di vita dell'opera.

Il BEP viene sviluppato in maniera approfondita sia dalla normativa inglese (BS-PAS) che da quella statunitense (NBIMS-US) e a livello di normativa italiana viene caratterizzato dai documenti oGI (offerta di gestione informativa) e pGI (piano di gestione informativa), descritti all'interno della UNI 11337.

Per quanto riguarda l’impostazione americana di tale documento sicuramente il riferimento principe è il BEP posposto da NBIMS-US 10, all’interno del quale vendono ripresi i concetti descritti della guida per la stesura del BEP della Pennsylvania State University, secondo la quale tale documento deve essere redatto dopo una serie di meeting tra committenza e team progettuale (per PennState si parla di 4 incontri sufficienti).

Durante questi meeting vengono pianificate le fasi di progettazione e gli obiettivi da raggiungere, in modo tale da creare un documento che andrà continuamente aggiornato e compilato, nel corso del tempo, dalle varie parti coinvolte attraverso le informazioni caratteristiche del progetto.

•

Meeting 1 - Definizione degli obiettivi da raggiungere attraverso la pianificazione dei model uses con creazione della mappa di processo di livello 1 (BIM overview process map). Durante questa fase vengono associate le responsabilità alle varie fasi di processo.

National BIM Standard – United States; linee guida sul BIM elaborate per il mercato americano da parte del National Institute od Building Science (NIBS), facente parte della builidingSMARTalliance.

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Figura 1.9 - BIM overview process map. Mappa di Livello 1.

•

Meeting 2 - Definizione delle mappe di processo di livello 2 (Project Specific BIM Use Process Map), dove vengono descritti in maniera definita i ruoli all'interno dei singoli BIM uses, identificandone attività, milestones e responsabili. Vengono inoltre decisi i metodi di interscambio dati (information exchange), chiarificati singolarmente per ogni singolo model use.

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Figura 1.10 - Esempio di mappatura di un BIM use, in questo caso "Modellazione 4D". Mappa di Livello 2.

•

Meeting 3 - Ultimo incontro pianificatorio, relativo alle infrastrutture di tool per la realizzazione della commessa: piattaforme hardware e software in dotazione al team progettuale e definizione degli standard comuni (sistemi di coordinate, standard BIM e CAD). Da questo meeting (che avviene solo tra i vari BIM managers) esce una bozza di BEP.

•

Meeting 4 - Comporta la revisione della bozza BEP, la pianificazione dei processi di controllo e monitoraggio del rispetto del BEP in fase di esecuzione e impostazione dello schema contrattuale da proporre agli user che ne accettano l'adozione.

Il BEP diventa a tutti gli effetti un documento contrattuale tra stazione appaltante e società private, il quale deve essere aggiornato ad ogni milestone definita, accompagnando l'opera in tutto il suo ciclo di vita. Ovviamente ad ogni modifica all'interno dell'organigramma o ad ogni variazione in corso d'opera il BEP deve essere modificato e attualizzato.

Per quanto riguarda l’approccio inglese invece il riferimento è quello dato dalla normativa PAS 1192.

All’interno di PAS 1192 (in particolare la 1192-2:2013) vengono impostati e identificati i documenti significativi per la partecipazione ad una gara BIM. 18

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Si tratta di una struttura maggiormente gerarchizzata rispetto a quella proposta da NIBS (PennState propone un unico documento sotto il nome di BIM Project Execution Plan). La normativa britannica prevede infatti una serie di documenti diversi a seconda delle varie fasi di BIM plan: 2. EIR (Employer's information requirements): definisce i requisiti a livello informativo da parte della committenza impostandosi come documento di riferimento per la stesura degli altri (nella normativa italiana è rappresentato dal CI capitolato informativo.

Si concentra sulle modalità e i tempi di consegna delle informazioni progettuali (sotto forma di deliverables e modello informativo), facendo riferimento esplicito agli standard richiesti.

Tale documento è strutturato in più parti e sezioni: una sezione preliminare che illustra le caratteristiche del progetto a cui seguono una sezione gestionale, una tecnica e una commerciale.

La sezione gestionale a sua volta contiene una serie di prodotti informativi corollari: a. IDP Information Delivery Plan, attraverso il quale vengono espressi i contenuti informativi minimi richiesti nelle fasi di progettazione, esecuzione e gestione dell'opera. b. Information Exchange, che impone i contenuti, la metodologia e i tempi di scambio informazioni tra stazione appaltante e eventuale appaltatore. c. LOD (Levels of model Detail), definizione del grado di dettaglio geometrico degli elementi componenti l'opera a seconda della milestones previste. d. LOI (Levels of model Information), definizione del grado di dettaglio informativo degli elementi componenti l'opera a seconda delle milestones previste. e. Struttura informativa della committenza, cioè la suddivisione dei compiti, dei ruoli e delle responsabilità all'interno dell'organico della committenza f.

CDE (Common Data Environment), definisce le caratteristiche minime che deve avere l'ambiente di condivisione, a livello di sicurezza e condivisione dei dati.

g. Sicurezza dati, impone gli standard necessari per evitare la fuoriuscita di informazioni di progetto attraverso protocolli di lavoro (in particolare evidenziati nella PAS 1192-5:2015). h. Model uses, riferito agli usi richiesti al modello BIM da parte della committenza, in modo tale che la società affidataria possa impostare una proposta generale (mappe di livello 1) e le relative proposta singole nel dettaglio a seconda del numero e della tipologia degli uses (mappe di livello 2).

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i.

Gestione dei modelli informativi, pianificazione della suddivisione dei modelli in base alle discipline e se necessario in funzione della posizione, zona o area.

j.

Quality Assurance, richiesta di specificazione delle metodologie per il raggiungimento di standard qualitativi tali da permettere di ottenere un AIM (Asset Information Model) fruibile durante il ciclo di vita dell'opera.

k. Nomenclature, convenzioni e classificazioni vengono specificate all'interno dell'EIR (Omniclass US o Uniclass UK) affinché sia possibile, tramite una struttura di metadati e tag ad esempio, ricondursi velocemente ai contenuti oggetto di interesse (si parla di nomenclature alfanumeriche standardizzate).

In riferimento alla sezione tecnica vengono specificati i seguenti contenuti affinché non ci siano discrepanze con le dotazioni informatiche della stazione appaltante: a) Piattaforme software, specificando quelle in dote alla committenza. b) Infrastruttura hardware, specificandone eventuali limitazioni (ex. Dimensione massima ammissibile dei file per l'archiviazione). c) Formati di scambio dati, neutrali o proprietari che devono corrispondere con quelli proposti a livello di Information Exchange. d) Sistemi di coordinate e unità di misura, indicando l'origine di riferimento del progetto comune a tutti gli stakeholder.

Per quanto riguarda la sezione commerciale, questa si identifica come uno spazio all'interno del quale i potenziali appaltatori espongono la propria situazione riguardo a: a) Competenze in ambito BIM, con riferimento alle esperienze lavorative e al grado di formazione b) Risorse professionali, matrici di riferimento dei soggetti coinvolti identificative del ruolo e del CV di ognuno. c) Criteri di assegnazione dei punteggi, esplicazione della suddivisione del punteggio per la valutazione dei BEP pre-contract dei partecipanti alla gara.

3. BEP pre-contract: è il documento stilato dalla singola impresa partecipante alla gara, in risposta alle richieste del BEP. Vengono riprese le varie voci contenute nell'EIR, implementate con documentazione ulteriore di dettaglio.

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Il documento di implementazione più rilevante è il PIP 11 (Project Implementation Plan), in cui la società mandataria partecipante alla gara specifica le capacità e le referenze dei singoli soggetti costituenti il team di progetto. Viene posto all'inizio del fascicolo relativo al BEP. Questo è composto da 4 sezioni come l'EIR: 1. Supplier BIM assessment form: dove vengono descritte e dimostrate le competenze in ambito BIM delle singole aziende attraverso: •

BIM gateway questions: ovvero una serie di domande volte a dimostrare il grado di competenza in materia.

•

BIM analysis: schema in cui vengono proposte eventuali ottimizzazioni nel trattamento dati durante il workflow.

•

BIM project experience: report di minimo 3 progetti BIM eseguiti in passato.

•

BIM capability questionnaire: serie di domande necessarie per capire il livello di formazione professionale ed eventualmente identificare la necessità di supporto.

2. Supplier IT technology assessment form: in cui, tramite apposite tabelle, viene identificato lo stato delle infrastrutture tecnologiche delle varie aziende mandanti interessate al progetto.

3. Supplier resource assessment form: Identifica i ruoli all'interno delle singole società componenti il team di progetto, indicando anche il grado di competenza dei soggetti.

4. Supply Chain Capability Summary form (SCCS): scheda di sintesi con l'elenco di tutte le aziende mandanti all'interno del team di progetto, impostato dalla società mandataria in base alla documentazione pervenutagli dagli altri soggetti interessati.

Il BEP pre-contract selezionato diventa un documento integrante a livello contrattuale a tutti gli effetti e dovrà essere dettagliato e implementato nella fase documentale successiva.

1. BEP post-contract: è il documento stilato all'acquisizione della commessa e che riprende i concetti sintetizzati nel pre-contract del soggetto aggiudicatario.

E' considerabile come un aggiornamento e un implementazione andando sempre più nel dettaglio del BEP pre-contract. La presenza del solo PIP in fase esecutiva non basta più e bisogna aggiungere ed allegare ulteriori documenti lungo tutto il percorso progettuale e il ciclo di vita dell'opera.

Il template con riferimento al BEP pre-contract ed in particolare al PIP è proposto dal CPIx, Construction Project Information, organizzazione a capo dei protocolli stilati per la best practice nel campo della progettazione (UK).

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La PAS 1192-2:2013 elenca le caratteristiche minime richieste a livello informativo di tale documento, suddividendole in macro-argomenti: a) Data management 12: •

Definizione della matrice delle responsaiblità (RACI).

•

Elenco delle milestones principali per ogni fase progettuale.

•

Definizione dei workflow di consegna dei modelli informativi (PIM, Project Information Model).

•

Definizione delle strategie operative per l'esecuzione dei rilievi in situ.

•

Definizione dei criteri di valutazione delle varie fasi di costruzione del modello informativo (PIM) e i relativi LOD 13.

b) Planning and Documentation: •

Revisione del PIP.

•

Definizione dei workflow per il coordinamento delle informazioni.

•

Verificare la matrice RACI.

•

Impostare il TIDP, Task Information Delivery Plan, dove vengono definite le varie milestones di scambio dati e le varie responsabilità per ogni società facenti parte del team di progetto.

•

Impostare il MIDP 14, Master Information Delivery Plan, dove vengono definite tutte le informazioni da consegnare (modello informativo, BIM deliverables e documenti), impostando le milestones e le metodologie di condivisione del dato (viene redatto combinando i vari TIDP provenienti dal team di progetto).

c) Standard method and procedure: •

Definire l'eventuale suddivisione del modello in zone (ZBS - Zone Breakdown Structure), qualora fosse necessario per snellire i workflow (modelli con estensione notevole).

Spesso vengono utilizzate come riferimento di base per i template e gli standard di progetto le schede proposte dal CIC, Construction Industry Council.

13 Per quanto riguarda la normativa UK viene si considera come riferimento la suddivisione delle fasi di progetto in 7 step. Si va da 1 a 6 (PIM) fino ad arrivare al modello as-built (AIM) corrispondente ad un livello 7.

14 Documento che detta tutte le tempistiche di progetto, contenente le milestones identificate nel cronoprogramma, l’elenco dei formati di scambio, degli elaborati e la parte documentale.

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•

Scelta dell'origine di progetto, orientando e georeferenziando correttamente il PIM.

•

Definire le convenzioni della nomenclatura file (aggiornamento di quello già impostato nel BEP pre-contract).

•

Definire le convenzioni di nomenclatura layer (ove necessario).

•

Definire le tolleranze geometriche per la clash-detection.

•

Definire tutti i template per i modelli informativi e i deliverables.

•

Definire in maniera univoca gli elementi componenti del PIM

d) Soluzioni per l'IT: •

Aggiornare l'elenco software del team di lavoro (rispetto al BEP pre-contract).

•

Aggiornare il formato di scambio dati.

•

Aggiornare la metodologia di gestione dei dati (CDE)

A fine stesure del BEP post-contract la normativa inglese prevede l'introduzione di un periodo di test delle scelte impostate nel documento, chiamato mobilization (serve per capire se l'impostazione funziona ancora prima che il processo di design inizi). Vengono collaudate le infrastrutture informatiche, tra cui il CDE, il quale viene testato dal PDM (Project Delivery Manager) attraverso una serie di prove download\upload\sincronizzazione dei vari dati, controllo di accesso filtrato al CDE stesso ecc.

La fase di mobilization permette anche, qualora ce ne fosse il caso, di introdurre corsi formativi per il personale tecnico in modo tale da avere una base solita di conoscenza prima di partire.

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Figura 1.11 - Descrizione dell'information delivery-cycle proposto da PAS 1192:2. Vengono identificati i vari flussi informativi durante tutti i livelli di progettazione.

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Figura 1.12 - Descrizione delle relazioni di interconnessione tra le varie tipologie di documenti legati al BEP per PAS 1192.

Ultima normativa, che tiene conto della creazione di documentazione apposita per commesse di natura BIM, è quella italiana: UNI 11337-1:2017.

All’interno del testo della norma non si parla mai esplicitamente di BEP (non usano la terminologia UK) seppur si prenda spunto largamente dalla struttura inglese per quanto riguarda l'information delivery cycle.

Nella norma italiana l'EIR viene tradotto con il termine Capitolato Informativo CI, mentre la parte relativa all'execution plan si divide in offerta di Gestione Informativa oGI (BEP pre-contract) e piano di Gestione Informativa pGI (BEP post-contract).

Sta per essere scelto inoltre un sistema di classificazione che possa essere competitivo con Omniclass e Uniclass.

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1.4 RUOLI PROFESSIONALI ALL’INTERNO DEL PROCESSO BIM In riferimento alla parte documentale un altro aspetto fondamentale è sicuramente legato al chiarimento dei dubbi, legittimi, sul “chi fa cosa” all’interno di un processo così complesso e che per funzionare ha bisogno di un perfetto coordinamento delle parti.

A tal proposito, sebbene siano state introdotte nella parte 7 della normativa italiana non ancora però ufficializzata, può tornar utile l’analisi degli esempi esteri in cui i vari ruoli vengono descritti esplicitamente.

In tal senso possiamo prendere come riferimento concreto le BIM guides di Singapore e New York, poiché tra quelle che si soffermano maggiormente su tale tematica.

Definiamo quindi le seguenti figure professionali: •

BIM Manager: possiede le competenze necessarie per pianificare,gestire e verificare i flussi di lavoro della metodologia funzionando da intermediario tra committenza e work group. Deve possedere elevate capacità di project management, conoscere la normativa in ambito BIM ed essere in grado di capire i workflow tra i vari software\tool utilizzati, padroneggiando i meccanismi di interoperabilità tra i dati. E’ importante non considerarlo un progettista perché non entra nei meccanismi di ingegnerizzazione del progetto.

Il BIM manager deve: o Elaborare il BEP. o Crea la Overview process map di livello 1 (BIM uses e obiettivi facendo riferimento al tipo di information exchange). o Imposta le riunioni periodiche per vedere l'avanzamento lavori e aggiornare il BEP. o Gestisce il CDE impostando privilegi d'accesso e garantendo l'integrità delle informazion condivise. o E' responsabile del modelling quality control in modo di verificare la qualità dei dati dando l'eventuale nulla osta alla condivisione con la committenza. o E' responsabile della consegna dei BIM deliverables all'interno delle tempistiche dettate dalle milestone di processo (illustrate nel BEP con il MIDP). o Coordina con una reportistica ad hoc le eventuali problematiche subentrate durante il processo di progettazione. o Verifica la coerenza dei dati estratti dai modelli informativi in funzione alla struttura dei BIM uses desiderati.

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o Se serve, coordina le attività di informazione e formazione del team progettuale Generalmente è una figura selezionata dalla stazione appaltante affinché vengano rispettati i termini di qualità imposti a contratto (una sorta di RUP con conoscenze BIM).

E' buona norma comunque avere a livello di gruppo di lavoro un'ulteriore figura manageriale che faccia punto di riferimento per la committenza.

•

BIM Coordinator: è una figura che si distingue a seconda della fase in cui viene inserito.

Si parla infatti di: a) BIM coordinator di progetto: coordina tutta la fase di progettazione in campo BIM per disciplina (ogni disciplina ha il suo BC). E' il ruolo di intermediazione tra BM e i modellatori (lavora sul PIM). Il BIM coordinator di progetto deve: o Controllare la correttezza della modellazione e dei deliverables estrapolati dai modelli informativi. o Redige le mappe di dettaglio di livello 2, definendo i BIM uses per le singole discipline. o Coordina i modellatori nella stesura dei dati grafici e non grafici per programmare tempi e costi. o Assicura il modelling quality control, affinché il modello informativo sia integro e non ridondante b) BIM coordinator per l'esecuzione: coordina la fase di passaggio tra PIM e AIM affinché il modello sia fruibile per il facility management (as-built). In sede di cantiere aggiorna costantemente il modello perché corrisponda con ciò che è effettivamente stato realizzato. Il BIM coordinator per l'esecuzione deve: o Coordinare la modellazione da parte di tutte le società di progettazione afffinché diventi as-built. o Esaminare i documenti di gara. o Revisionare i modelli informativi e i BIM deliverables estratti. o Definisce le modifiche\implementazioni da apportare perché il modello sia fruibile durante il ciclo di vita dell'opera. o Garantisce il modelling quality control in fase di programmazione dell'AIM

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E' necessario avere un BIM coordinator per ogni azienda appaltatrice che deve interfacciarsi con i BIM manager della commessa.

Implicitamente vengono comunque richiamate anche le figure alla base della gerarchia: •

Model author/BIM specialist/BIM modeller: è una figura identificata all'interno del BEP e corrisponde al creatore del modello informativo a livello di PIM. Deve conoscere in maniera adeguata i flussi di lavoro di una metodologia BIM. Il BIM specialist deve: o Programmare un modello informativo o parti di esso. o Rispondere della corretta esecuzione dei vari model uses per il modello informativo di sua competenza. o Eseguire le procedure descritte nel modelling quality control eseguendo operazioni di clash detection e model\code checking per quanto riguarda la disciplina di riferimento.

•

Model user: tutti i soggetti autorizzati ad accedere al progetto per la creazione di specifiche parti di modello (ad esempio gli infissi) o semplicemente per trattare le informazioni contenute nel modello stesso (analisi, stima dei costi ecc.). Deve avere le stesse capacità dei BIM specialists ma non ha nessun tipo di responsabilità sui modelli.

Figura 1.13 - Struttura gerarchica dei ruoli in un workflow progettuale BIM.

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2 INTEROPERABILITA’ E OPEN STANDARDS 2.1 GLI STANDARD Poiché il BIM è prima di tutto cooperazione e sincronizzazione tra gli stakeholders, l’aspetto dell’interoperabilità ha sicuramente un ruolo fondamentale. Il variegato panorama di software dedicati alle più disparate attività riconducibili ad un flusso di lavoro BIM ha fatto sì che nascesse l'esigenza di una comunicazione svincolata dalla natura delle singole piattaforme. Questa è la base per il concetto di Open standard, ovvero la ricerca in campo digitale nella creazione di un linguaggio comune a più piattaforme, svincolato però da qualsiasi software house e che comunque non comporti ridondanza o perdita di informazioni: si parla di formato neutro.

IFC 15 (Industry Foundation Classes) e COBie (Construction Operation Building information exchange) risultano essere gli standard più utilizzati in tal senso e sono protocolli obbligatori quando si parla di commesse pubbliche 16(necessità da parte delle stazioni appaltanti di non essere obbligate all'acquisto di un software ma poter godere del patrimonio informativo tramite uno svariato numero di proposte spesso gratuite).

I software che permettono di produrre e comunicare con queste tipologie di standard fanno parte della cosiddetta rete dell'OpenBIM (i software sono dotati di una determinata certificazione che ne garantisce la qualità di utilizzo secondo tali standard).

Si può pensare a tali standard come l'evoluzione di un processo di adeguamento già avvenuto in altre tipologie di linguaggi in edilizia ai fini della collaborazione (le convenzioni di disegno o la scelta di utilizzare tavole cartacee per la descrizione di un progetto).

Parlando di codifica IFC, quest' ultima è stata ed è tuttora sviluppata da un'associazione non-profit chiamata buildingSMART (Prima IAI), con l'intento di condividere le informazioni prodotte da un modello informativo durante tutto il ciclo di vita di un'opera, grazie a una collaborazione neutra a livello di datasharing tra discipline e software differenti.

Tramite IFC si possono descrivere le caratteristiche di un organismo edilizio, tramite set di proprietà grafiche e non grafiche (metadati) associabili ai vari elementi componenti il modello.

15 16

Formato dati che rispetta i criteri dello standard ISO 10303 (STEP), STandard for Exchange of Product.

Introduzione del concetto di interoperabilità attraverso il Dlgs 50/2016, Decreto dei contratti pubblici.

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I software di authoring traducono in maniera semiautomatica ciò che è stato modellato nell'ambiente tipico della piattaforma in notazione EXPRESS-G (linguaggio alla base di IFC).

Il processo di traduzione in IFC è un processo di astrazione degli oggetti "reali" modellati in classi di appartenenza specifiche, definibili in base ad una serie di funzionalità comuni.

IFC traduce il modello in una struttura composta da entità-relazione, disposte secondo gerarchie ereditarie 17, la cui combinazione porta alla definizione dell'oggetto stesso.

L'impostazione di IFC in EXPRESS-G è basata sull'utilizzo di strutture semplici definiti in schemi e sottoschemi per classificare e descrivere l'oggetto.

L'astrazione (ABS) è l'entità che si vuole descrivere (ad esempio il concetto di "PERSONA"), alla quale possono essere legate delle relazioni con delle sotto entità ("MASCHIO", "FEMMINA"). Gli attributi delle sotto-entità identificano il ruolo che esse hanno rispetto all'ABS (root) o radice (ad esempio l'attributo "padre" per la sotto-entità "MASCHIO" e l'attributo "madre" per la sotto-entità "FEMMINA").

La sequenza della gerarchia informativa segue lo schema: Root>object definition>object>product>building element>"oggetto" Prendendo come esempio la descrizione di un oggetto "muro" abbiamo: Il livello base IfcRoot ai quali sono associati i metadati principali per la referenziazione dell'oggetto: •

IfcGloballyUniqueId: numero che identifica univocamente l'oggetto.

•

IfcOwnerhistory: che specifica il soggetto proprietario dell'entità (organizzazione,software utilizzato).

•

IfcText: nome.

•

IfcLabel: descrizione. 18

I livelli gerarchici successivi sono: •

IfcObjectDefinition.

•

IfcObject

Che aggiungono informazioni tecniche e descrittive all'oggetto (materiali, composizione fisico meccanica dei singoli strati di parete) A questi seguono:

Il concetto di ereditarietà è ripreso direttamente dall’informatica in cui un’entità è ereditaria di un’altra se prende le caratteristiche\informazioni di una già esistente aggiungendone di nuove.

18 ifcText e ifcLabel sono due parametri opzionali.

17

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•

IfcProduct: che specifica le coordinate spaziali dell'oggetto (IfcObjectPlacement) e le caratteristiche di rappresentazione (IfcRepresentation).

•

IfcElement: rappresenta le relazioni che intercorrono con le altre entità (ad esempio connessioni tra muro-solaio, connessioni muro-muro ecc).

Parlando di standard COBie invece, si prende in considerazione un formato interoperabile di scambio per informazioni utili a livello di Facilty Management.

In sostanza si tratta di un foglio di calcolo elettronico che ben si sposa quindi con la struttura informativa proveniente dai software di BIM authoring, basati su XML. Il COBie cerca quindi di far collaborare i dati provenienti dalla parte progettuale con quelli ascrivibili ai vari produttori, includendo costi e voci di capitolato.

Essendo uno standard diffuso nei paesi anglosassoni (la sua origine parte da esigenze nate all'interno di strutture militari americane), viene ben descritto a livello normativo dalla PAS 1192-4:2014, che imposta le metodologie di approccio per il passaggio dei dati dalla fase di PIM a quella di AIM, rendendoli utilizzabili in maniera appropriata dal facility manager.

2.2 I CONCETTI DI MVD E IFD L'importanza dell'uso di formati interoperabili non sta tanto nella possibilità di automatizzare le procedure di scambio informazioni (con conseguente scambio di dati ridondanti e non utili magari nella fase di processo presa in considerazione), bensì nell'indirizzare lo scambio stesso verso l'eliminazione di quei processi di ri-modellazione del dato (con conseguente diminuzione dei potenziali errori ed incongruenze).

Spesso e volentieri le problematiche a livello di condivisione tramite file IFC sono infatti dovute a problemi di processo a livello di IT o all'errata modellazione da parte degli users (non posso disegnare una finestra come un IfcDoor, identificativo di una porta, e poi pretendere che il software di analisi energetica me la tratti come una finestra, con tutte le caratteristiche tipiche dell'oggetto).

Ci si aspetta, in maniera ingenua, che esista un comando IFC import, IFC export che consenta il completo trasferimento tra un software all'altro, quando non è questo il concetto alla base dell'interoperabilità.

Considerando un PIM complesso infatti è necessario strutturare delle regole per definire le modalità di trasferimento dati IFC, che possono variare a seconda del singolo progetto preso in esame.

Il modello viene suddiviso e raggruppato secondo i criteri della condivisione solo di ciò che realmente è utile. Tali "raggruppamenti" di elementi vengono chiamate MVD Model View Definitions.

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L'utilizzo di tale suddivisione permette di snellire il lavoro e ridurre i possibili errori e incongruenze di modellazione, filtrando inoltre le informazioni geometriche e non che si desiderano trasferire.

Le principali tipologie di MVD riconosciute da buildingSMART sono la coordination view 2.0 (IFC 2x3), reference view 1.0 e design transfer view 1.0 (IFC4).

La strutturazione delle varie MVD deriva all'IDM Information Delivery Manual, ovvero uno standard ISO 29481 che definisce i requisiti dei vari processi di information exchange che avvengono durante la condivisione dei dati (quali dati scambiare e quando trasferirli).

Altro concetto da tener ben presente nel campo dell’interoperabilità è l’International Framework for Dictionaries (IFD), ovvero una struttura informatica di base formata da una libreria di codici che permette agli sviluppatori di impostare in maniera omogenea determinate entità a livello dei vari software di BIM authoring. In questo modo i software stessi riescono a riconoscere determinati oggetti secondo la loro natura (muro, porta, finestra), indipendentemente dalla lingua di provenienza (un progettista può scegliere oggetti di produttori esteri senza che il software abbia problemi a riconoscerne la natura e gli attributi).

Ogni oggetto basato su IFD ha poi il proprio GUID Globally Unique Identifier (32 caratteri alfanumerici) in modo tale che, nel trasferimento tramite IFC ad esempio, i software riescano a riconoscere l'oggetto in questione e possano ricondurre ad esso eventuali modifiche apportate in un secondo tempo (alcuni software ad esempio si basano sul GUID per l'aggiornamento dati).

In sintesi, l'interoperabilità a livello di IFC è basata su una serie di specifiche: •

IFC che è il formato di scambio delle informazioni.

•

IFD Library che traduce in tutte le lingue tutto il set di attributi delle singole entità.

•

IDM/MVD ovvero le specifiche che ci permettono di filtrare ciò che vogliamo scambiare e quando scambiarlo.

2.3 I SISTEMI DI CLASSIFICAZIONE Nascono dall'esigenza, dato il grado di collaborazione tra gli stakeholder, di creare un linguaggio comune e comprensibile durante i processi di scambio dati, non solo a livello di software ma anche a livello di interpretabilità del dato da parte degli user.

Occorre per qualsiasi livello collaborativo, e in particolare all'interno di un workflow BIM, individuare una linea comune a livello di nomenclatura degli elementi.

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Il sistema concettuale che sta alla base delle metodologie di classificazione è il sistema decimale Dewey (XIX secolo), nato dall'esigenza pratica di un bibliotecario statunitense di ordinare e catalogare i vari volumi.

Tale metodo è basato sulla numerazione progressiva degli elementi suddividendoli in 10 grandi classi, utilizzando cifre numeriche (0-9).

A tali classi sono poi legate altre sottoclassi espandibili in maniera potenzialmente illimitata.

Come nel caso di una biblioteca anche a livello di modello-database BIM devo poter riuscire a risalire all'informazione che mi serve in maniera abbastanza agevole e comprensibile a tutti i soggetti coinvolti (indipendentemente dalla nazionalità e dalla lingua).

La normativa a livello internazionale per quanto riguarda la classificazione segue le direttive ISO 120062:2015 e ISO-EN 1206-3:2016, che definiscono i criteri utili alla produzione di tabelle gerarchiche di base per l'impostazione del sistema di classificazione.

Dato che tali esigenze non trovano applicazione solo nell'ambito BIM, sono state modificate delle strutture preesistenti in modo che potessero funzionare anche in tale ambito (ad esempio MasterFormat, per le lavorazioni e UniFormat II per gli elementi, entrambe di matrice americana).

I due principali sistemi di catalogazione a livello mondiale sono: 1. OmniClass Table (USA): è un'evoluzione dei due sistemi MasterFormat e UniFormat II, utilizzati per catalogare gli elementi da costruzione e le relative lavorazioni.

MasterFormat cataloga i vari prodotti delle lavorazioni, mentre UniFormat definisce i vari elementi all'interno dell'opera.

La proposta OmniClass, sviluppata da CSI (Construction Specification Institute) combina le due classificazioni per ottenerne una più ampia e dettagliata, composta da 15 tabelle gerarchiche ognuna delle quali identifica una caratteristica particolare.

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Figura 2.1 - Le 15 tabelle gerarchiche proposte da OmniClass.

Le tabelle a loro volta vengono suddivise gerarchicamente aggiungendo coppie di valori numerici alla sequenza base e andando a costituire fino a 7 livelli.

Volendo indicare una porta in legno a soffietto ad esempio otterremmo: 23-17-00-00 Openings, Passages, and Protection Products, seleziono la scheda relativa (23) e la sottoscheda con le aperture (23-17).

23-17-11-00 Doors, seleziono la voce relativa alle porte.

23-17-11-15 Wood Doors, poi quella relativa alle porte in legno 23-17-11-15-31 Overhead Wood Doors, quella relativa alle porte scorrevoli 23-17-11-15-31-11 Roller Shutter Overhead Wood Doors, infine quella relativa alle porte scorrevoli in maniera orizzontale.

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Figura 2.2 - Esempio di gerarchizzazione interna alle varie tabelle. Si può vedere la successione a cascata per arrivare al codice voluto riguardante la porta a soffietto.

2. Uniclass 2015 (Europa): è il metodo di classificazione proposto in UK ed è utilizzato spesso anche dai paesi comunitari tra cui anche l'Italia (esempio degli Ospedali Galliera di Genova).

Fa parte del progetto BIM Toolkit, piattaforma online per la gestione dei progetti (in ambito pubblico) per il raggiungimento del BIM level 2 sviluppata da NBS (National Building Specification), ente inglese per la gestione degli standard a livello edilizio.

Uniclass, come Omniclass, propone una struttura di classificazione a tabelle gerarchiche utilizzando una nomenclatura basata sulle coppie.

Le tabelle di base sono 7, partendo da quella più generica, la complexes table, fino ad arrivare ad entità sempre più specifiche che ereditano le codifiche dai livelli superiori.

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Figura 2.3 - I due macro-gruppi di tabelle in cui è suddivisa la classificazione UniClass 2015.

Le tabelle sono suddivise in 2 macro-gruppi: Quello che parte dalla tabella dei complessi (complexes), che descrive l'opera in maniera generica associando a cascata altre tabelle (activities, entities, spaces-location) Quello che parte dalla tabella delle entità (entities), che descrive l'opera nel dettaglio considerando a cascata tutte le altre tabelle (elements/functions, system, products).

Prendiamo l'esempio di una casa privata. Andando a considerare la tabella dei Co-complexes troviamo la categoria di partenza con il codice Co_45 identificativo dei residential complexes. Il livello successivo risulta essere quello del codice Co_45_10 ovvero quello dei living complexes (della stessa categoria fanno parte hotel e ostelli ad esempio).

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Tra tutte le tipologie di living complexes andiamo a selezionare le residenze private (residential properties) selezionando il codice Co_45_10_74 (codice identificativo del nostro PIM).

Figura 2.4 - Rappresentazione della tabella Co-Complexes con riferimento al gruppo dei complessi residenziali.

La tabella successiva è quella delle En-entities, che dettaglia i concetti espressi nella selezione all'interno di quella de complexes. Il legame con la tabella precedente è infatti dato dalla coppia di numeri che specifica il primo livello, essendo essa corrispondente a quella scelta tra i complexes possibili.

Nel nostro caso quindi si avrà un codice di riferimento En_45 (Residential entities), relativo alle entità di carattere residenziale. Andando poi più nello specifico si indicheranno gli edifici residenziali (En_45_10 Residential buildings) e successivamente il fatto che si tratti di una casa privata (En_45_10_39 Houses). L'ultima codifica risulta essere identificativo del singolo edificio modellato.

Figura 2.5 - Specificazione del codice relativo alle case.

La terza tabella è quella delle Ac-activities, che suddivide l'edificio nelle varie zone in base alle funzioni relative. Come è successo precedentemente la prima coppia di numeri viene ereditata dalla tabella principale.

Nel nostro caso quindi si avrà Ac_45 (Residential activities) e successivamente Ac_45_10 (Residential activities).

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Per identificare la parte esterna di giardino (Attività di giardinaggio) sceglieremo il codice Ac_45_10_33 (Gardening). Oppure si può identificare la zona notte con il codice Ac_45_10_79 (sleeping).

Figura 2.6 - Codifiche relative agli spazi suddivisi secondo le tipologie di attività a cui sono legati.

Una zonizzazione più approfondita può essere ottenuta usando la tabella SL-spaces/locations.

Si considererà quindi il codice SL_45 (Residential spaces) e successivamente il livello SL_45_10 (Living Spaces). Prendendo in considerazione la zona notte precedentemente descritta si può dettagliare ulteriormente i singoli spazi descrivendo le varie camere ad esempio (SL_45_10_09 Bedrooms).

Queste 4 tabelle identificano il gruppo di descrizione generico. Dalla tabella En-entities partono a cascata i restanti livelli descrittivi sempre più approfonditi (si arriverà a descrivere il singolo oggetto all'interno del PIM). L'inizio di una generazione gerarchica successiva comporta la perdità dell'"ereditarietà" della coppia di numeri identificativa in tutte le categorie successive (verrà ripresa la coppia di numeri selezionata all'interno del primo livello del secondo gruppo).

La prima categoria considerata è quella degli EF-elements/functions, che identifica i raggruppamenti degli elementi principali (fondazioni, impianti, murature ecc..).

Ad esempio se vogliamo indicare un particolare pavimento all'interno della stanza precedentemente categorizzata otterremo: EF_30 (roofs,floor and paving elements) e EF_30_20 (floors), perché si tratta di pavimento.

Figura 2.7 - Categorizzazione all'inteno degli spazi degli elementi architettonici che li compongono.

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Nella progressione del livello di dettaglio si arriva poi alla tabella dei Ss-systems, in cui vengono ripresi gli elementi considerati nella categoria precedente (con le relative coppie di numeri).

Per quanto riguarda la pavimentazione infatti si avrà: Ss-30_20 (flooring and decking systems).

Per identificare una pavimentazione a parquet ad esempio avremo Ss-30_20_95 (wood strip and board fine flooring system) e per descrivere che questo sarà un pavimento in legno galleggiante si specificherà il codice Ss-30_20_95_95 (wood floating floor system).

A questi vengono associati un codice NBS (per identificare l'elemento) e un codice NRM (New Rules of Measurament).

Figura 2.8 - Rappresentazione della tabella SS-System che cataloga i sistemi caratteristici dei vari spazi.

L'ultima categoria è quella dei Pr-product, che identifica i prodotti da costruzione (è la tabella con maggior numero di righe, circa 7000). Poiché molti prodotti risultano essere legati a più sistemi in questo caso il codice non è più legato a quello della tabella precedente.

Ad esempio, se vogliamo considerare la singola asse di legno componente il pavimento a parquet considereremo il codice Pr_25_71_97_87 (timber floor boards).

Il grosso vantaggio di Uniclass è quello di avere una struttura gerarchica legata tra le varie tabelle e al contempo una possibilità illimitata di espansione delle voci, disposte con estrema chiarezza e facili da consultare. Partendo da un prodotto infatti è possibile risalire a ritroso senza troppi problemi all'entità iniziale di riferimento e viceversa.

2.4 L’IDEA DI MODELLO FEDERATO. Il concetto di modello federato, espresso all'interno delle normative (anche la 11337 ne fa riferimento con definizioni analoghe come "modello aggregato" o "modello multidisciplinare"), deriva dalla differenza intrinseca tra il termine "aggregazione" e "integrazione".

L'aggregazione infatti presuppone una commistione di più elementi che, seppur coniugati in gruppo univoco, mantengono le loro caratteristiche rimanendo, eventualmente, facilmente separabili (cosa che 39

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nell'integrazione non avviene, poiché si ottiene un'unica entità in cui tutte le caratteristiche sono uniformate).

Per poter gestire un modello federato c'è bisogno di una piattaforma (o un software) che permetta la fruizione di tale modello da parte di tutti gli stakeholder. Tale ambiente può essere considerato il Common Data Environment, ovvero una sorta di "evoluzione" delle piattaforme server online impostata per la gestione di una commessa BIM (con all'interno viewer e tool appositi per la gestione del modello federato).

Tutto il processo di creazione del modello federato nasce dalla condivisione di un PIM, impostato da tutti gli operatori coinvolti, in evoluzione al quale tutti tengono fede e che viene continuamente sincronizzato con la situazione step by step gestita tramite i software di authoring.

In tal modo ogni utente è responsabile della parte prodotta con l'authoring che, seppure congiunta ad altre per formare il modello federato, rimane concettualmente e informativamente separata\separabile (e quindi riconducibile facilmente all'autore stesso).

Il modello federato "finale" potrebbe essere una commistione di più "federazioni" con gradi gerarchici differenti. Ad esempio, il PIM totale può essere composto da un modello federato architettonico, uno strutturale e uno impiantistico. A sua volta quello MEP, ad esempio può essere al contempo un modello federato composto da tre sotto-discipline: modello elettrico, modello idraulico, modello meccanico.

Oppure il modello architettonico potrebbe essere diviso in sotto-modelli federati per le varie zone in cui è stato scomposto il progetto (progetti complessi).

Inoltre, la creazione del modello federato permette di snellire a livello di peso in megabyte il modello totale (poiché le singole discipline vengono ridotte alle sole parti informativa e geometrica non modificabili).

Una volta che il modello federato è stato accettato secondo gli standard (anche a livello di range di dimensioni prestabilite all'interno del BEP) richiesti da normativa, questo può essere digitalizzato in un modello unico che integra tutte le parti (ovviamente sempre sotto forma di file non proprietario IFC) e tutte le informazioni di progetto, rimanendo in dotazione alla committenza per l'uso durante tutto il restante ciclo di vita.

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Figura 2.9 - Schematizzazione gerarchica del modello un federato tipo.

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3 IL BIM NEL QUADRO NORMATIVO NAZIONALE 3.1 DIRETTIVA 2014/24/UE Un ruolo fondamentale a livello normativo per l’adozione della metodologia in tutti gli stati membri è la Direttiva 2014/24/UE. Tale direttiva nasce con l'obiettivo di modernizzare l'approccio agli appalti pubblici da parte degli stati membri e abroga la precedente direttiva 2004/18/CE. Nell'articolo 22, "Regole applicabili alle comunicazioni" viene fatta esplicito riferimento a come questa "rivoluzione" sia legata anche all'ambito comunicativo e di scambio dati.

Citando l'articolo comma 4 si legge: "Per gli appalti pubblici di lavori e concorsi di progettazione, gli Stati membri possono richiedere l'uso di strumenti elettronici specifici, quali gli strumenti di simulazione elettronica per le informazioni edilizie o strumenti analoghi". 19 Tale direttiva è stata recepita dalla legislatura italiana attraverso il Dlgs 50/2016 noto anche come codice dei contratti pubblici, che abroga il precedente Dlgs 163/2006.

3.2 Dlgs 50/2016 La normativa nazionale riprende gli indirizzi proposti dalla direttiva UE, precisando le richieste in termini di standard di qualità degli strumenti di simulazione elettronica.

Nell'articolo 23 intitolato "Livelli della progettazione per gli appalti, per le concessioni lavori nonché per i servizi", in particolare, viene fatto riferimento esplicito a quali caratteristiche devono avere tali strumenti (comma 1 e 13): "1. La progettazione in materia di lavori pubblici si articola, secondo tre livelli di successivi approfondimenti tecnici, in progetto di fattibilità tecnica ed economica, progetto definitivo e progetto esecutivo ed è intesa ad assicurare: a) il soddisfacimento dei fabbisogni della collettività; b) la qualità architettonica e tecnico funzionale e di relazione nel contesto dell’opera;

In realtà il testo originale non omette, come nella traduzione italiana, il riferimento alla parte informativa, fondamentale per i processi e i ragionamenti in ambito BIM ("for public works contract and design contest, Member States may require the use of specific electronic tools, such as of building information electronic modeling tools or similar")

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c) la conformità alle norme ambientali, urbanistiche e di tutela dei beni culturali e paesaggistici, nonché il rispetto di quanto previsto dalla normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza; d) un limitato consumo del suolo; e) il rispetto dei vincoli idro-geologici, sismici e forestali nonché degli altri vincoli esistenti; f) il risparmio e l'efficientamento ed il recupero energetico nella realizzazione e nella successiva vita dell'opera nonché la valutazione del ciclo di vita e della manutenibilità delle opere; g) la compatibilità con le preesistenze archeologiche; h) la razionalizzazione delle attività di progettazione e delle connesse verifiche attraverso il progressivo uso di metodi e strumenti elettronici specifici quali quelli di modellazione per l’edilizia e le infrastrutture; i) la compatibilità geologica, geomorfologica, idrogeologica dell'opera; l) accessibilità e adattabilità secondo quanto previsto dalle disposizioni vigenti in materia di barriere architettoniche."

"13. Le stazioni appaltanti possono richiedere per le nuove opere nonché per interventi di recupero, riqualificazione o varianti, prioritariamente per i lavori complessi, l’uso dei metodi e strumenti elettronici specifici di cui al comma 1, lettera h). Tali strumenti utilizzano piattaforme interoperabili a mezzo di formati aperti non proprietari, al fine di non limitare la concorrenza tra i fornitori di tecnologie e il coinvolgimento di specifiche progettualità tra i progettisti. L’uso dei metodi e strumenti elettronici può essere richiesto soltanto dalle stazioni appaltanti dotate di personale adeguatamente formato. Con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti da adottare entro il 31 luglio 2016, anche avvalendosi di una Commissione appositamente istituita presso il medesimo Ministero, senza oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica sono definiti le modalità e i tempi di progressiva introduzione dell'obbligatorietà dei suddetti metodi presso le stazioni appaltanti, le amministrazioni concedenti e gli operatori economici, valutata in relazione alla tipologia delle opere da affidare e della strategia di digitalizzazione delle amministrazioni pubbliche e del settore delle costruzioni. L'utilizzo di tali metodologie costituisce parametro di valutazione dei requisiti premianti di cui all’articolo 38."

Analizzando questi due commi ci si rende conto della forte impronta data dalla direttiva comunitaria in materia, andando ulteriormente ad indicare in maniera più specifica l'utilizzo e la natura dei tools.

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La frase "utilizzo di piattaforme interoperabili a mezzo di formati aperti non proprietari" dichiara esplicitamente l'utilizzo di file IFC per lo scambio dati, poiché internazionalmente considerato come file standard di comunicazione.

Per quanto riguarda l'approccio delle stazioni appaltanti a tale processo il Dlgs propone nell'articolo 31, comma 9, la formazione di personale specifico con eventuale nomina di un RUP a supporto: "9. La stazione appaltante, allo scopo di migliorare la qualità della progettazione e della programmazione complessiva, può, nell’ambito della propria autonomia organizzativa e nel rispetto dei limiti previsti dalla vigente normativa, istituire una struttura stabile a supporto dei RUP, anche alle dirette dipendenze del vertice della pubblica amministrazione di riferimento. Con la medesima finalità, nell’ambito della formazione obbligatoria, organizza attività formativa specifica per tutti i dipendenti che hanno i requisiti di inquadramento idonei al conferimento dell’incarico di RUP, anche in materia di metodi e strumenti elettronici specifici quali quelli di modellazione per l’edilizia e le infrastrutture."

L'iter per la progressiva introduzione dell'obbligatorietà del metodo BIM è poi passato attraverso l'evoluzione normativa seguente: •

DM 242/2016: viene costituita la commissione atta ad individuare i tempi di introduzione e i termini di obbligatorietà.

•

DM 297/2016: la commissione viene integrata con un rappresentante dei professionisti per l'area tecnico-scientifica.

•

Giugno-Luglio 2017: fase di consultazione pubblica online sulla bozza proposta del decreto attuativo.

•

DM 560/2017: adozione del decreto per la digitalizzazione negli appalti pubblici (Decreto BIM)20.

3.3 IL DECRETO BIM DM 560/2017 Proviamo ad analizzare gli articoli presenti all’interno del decreto.

•

L'articolo 1 si riferisce all'articolo 23 del Dlgs 50/2016, analizzando le finalità del DM ovvero i tempi di introduzione progressiva, l'obbligatorietà dell'uso di metodi e strumenti elettronici specifici per la fase di progettazione, costruzione e gestione delle opere e relative verifiche.

•

L'articolo 2 prende in considerazione le definizioni di ACDat e pGI. Il primo viene descritto come "ambiente digitale di raccolta organizzata e condivisione di dati relativi ad un'opera e strutturati

20

Consultabile e scaricabile dall’indirizzo http://mit.gov.it/normativa/decreto-ministeriale-numero-560-del-01122017

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in informazioni relative a modelli ed elaborati digitali prevalentemente riconducibili ad essi, basato su un'infrastruttura informatica la cui condivisione è regolata da precisi sistemi di sicurezza per l'accesso, di tracciabilità e successione storica delle variazioni apportate ai contenuti informativi, di conservazione nel tempo e relativa accessibilità del patrimonio informativo contenuto di definizione delle responsabilità nell'elaborazione dei contenuti informativi e di tutela della proprietà intellettuale", mentre il secondo come "il documento redatto dal candidato o dall'appaltatore ovvero dal concessionario al momento dell'offerta e dell'esecuzione del contratto che, in risposta ai requisiti informativi del capitolato, struttura temporalmente e sistematicamente i flussi informativi nella catena di fornitura dell'appaltatore o del concessionario, ne illustra le interazioni con i processi informativi e decisionali di quest'ultimo all'interno dell'ambiente di condivisione dati, descrive la configurazione organizzativa e strumentale degli operatori, precisa le responsabilità degli attori coinvolti 21."

Ulteriore definizione, in linea con i concetti espressi dall'articolo 3 comma 1 lettera 00) 22 del Dlgs 50/2016, definisce i lavori complessi "i lavori caratterizzati da elevato contenuto tecnologico o da una significativa interconnessione degli aspetti architettonici, strutturali e tecnologici, ovvero da rilevanti difficoltà realizzative dal punto di vista impiantistico-tecnologico ed in ogni caso tutti quei lavori per i quali si richieda un elevato livello di conoscenza finalizzata principalmente a mitigare il rischio di allungamento dei tempi contrattuali o il superamento dei costi previsti, oltre che alla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori coinvolti, rendendo disponibili informazioni attendibili ed utili anche per la fase di esercizio ed in generale per l'intero ciclo di vita dell'opera. Rientrano nei lavori complessi, altresì, quelli determinati da esigenze particolarmente accentuate di coordinamento e di collaborazione tra discipline eterogenee, la cui integrazione in termini collaborativi è ritenuta fondamentale;" dischiarando indirettamente lo stretto legame con la metodologia BIM e la progettazione integrata.

•

Nell'articolo 3 si fa riferimento ad alcuni adempimenti preliminari che la stazione appaltante deve concludere per poter procedere all'adozione di una metodologia BIM.

Va specificato che il pGI definito nel DM non è differenziato come in UNI 11337:2017 in oGI (offerta simile al BEP precontract) e pGI(piano al BEP post-contract).

22 "oo) «lavori complessi», i lavori che superano la soglia di 15 milioni di euro e sono caratterizzati da particolare complessità in relazione alla tipologia delle opere, all’utilizzo di materiali e componenti innovativi, alla esecuzione in luoghi che presentano difficoltà logistiche o particolari problematiche geotecniche, idrauliche, geologiche e ambientali;" 21

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Si parla di: a) Piano di formazione per il personale in relazione ai metodi e strumenti elettronici specifici, affinché possa essere idoneo a livello di gestione informativa e di verifica di tali metodi. b) Piano di investimento in piattaforme software e hardware, in modo tale da adeguare le strutture ICT esistenti. c) Un documento amministrativo che espliciti ruoli e responsabilità, nonché un piano di gestione e controllo dei dati.

Viene fatto poi riferimento alle scadenze, esplicitate nell'articolo 6 del DM, relative ai tempi di acquisizione e introduzione obbligatoria del metodo e degli strumenti (non precludendo, in linea con il Dlgs 50/2016, la possibilità di supporto esterno tramite outsourcing e consulenze).

•

L'articolo 4 parla di interoperabilità, riprendendo i concetti espressi nell'articolo 23 comma 13 del Dlgs 50/2016. Si fa riferimento alla gestione di dati provenienti da formati file non proprietari e interoperabili, identificando l'Ambiente di Condivisione Dati come il "playground" di scambio delle informazioni tra gli stakeholders.

•

L'articolo 5 fa riferimento all' utilizzo facoltativo da parte delle stazioni appaltanti delle metodologie proposte da tale decreto anche in anticipo rispetto alle date fissate di obbligatorietà (art. 6).

•

L'articolo 6, come già anticipato precedentemente, introduce l'elenco dei passaggi di adozione del metodo.

Si ha dunque una road-map costituita da una serie di date: 1. Lavori complessi di importo pari o superiore ai 100 milioni di euro dal 1 Gennaio 2019.

2. Lavori complessi di importo pari o superiore ai 50 milioni di euro dal 1 Gennaio 2020.

3. Lavori complessi di importo pari o superiore ai 15 milioni di euro dal 1 Gennaio 2021.

4. Per le opere di importo pari o superiore alla soglia di cui l'articolo 35 del codice dei contratti pubblici dal 1 Gennaio 2022 23.

5. Per le opere di importo pari o superiore a 1 milione di euro dal 1 Gennaio 2023.

6. Per tutte le opere dal 1 Gennaio 2025

•

L'articolo 7, con riferimento ai documenti di supporto al processo informativo (capitolato). In particolare sancisce la responsabilità da parte della stazione appaltante del capitolato

23 Fa riferimento alle soglie di rilevanza a livello comunitario. Le soglie di questo articolo sono periodicamente aggiornate.

Attualmente il valore soglia è di 5.548.000 euro per gli appalti pubblici di lavori e concessioni.

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informativo, ossia il documento all'interno del quale vengono espletate le richieste dal punto di vista di gestione dell'informazione e dei flussi di lavoro dal punto di vista della committenza. Una degli oneri obbligatori della committenza, ad esempio, è quello di disporre il patrimonio informativo dell'esistente da poter divulgare in parallelo alla stesura del capitolato affinché i partecipanti al bando abbiano una base digitalizzata definita.

Oltre al capitolato informativo viene definito anche il pGI, ovvero la "risposta" da parte dei concorrenti alla gara rispetto alle richieste della stazione appaltante.

•

L'articolo 8 introduce l'istituzione di una Commissione ad hoc per supportare gli operatori e monitorare le dinamiche evolutive del processo di adozione.

•

L'articolo 9 definisce l'entrata in vigore del decreto. Si riferisce quindi a tutte le opere la cui progettazione è stata attivata successivamente alla data di entrata in vigore (1 Gennaio 2018), lasciando libertà alle stazioni appaltanti nel caso di definizione di varianti relative ad opere con bandi di gara antecedenti tale data.

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4 PIANIFICAZIONE DI UNA COMMESSA BIM 4.1 IL PROGETTO E IL SUO CICLO DI VITA Si tratta di una rivoluzione sia in campo strumentale che metodologica nel passaggio dalla progettazione tradizionale a quella integrata.

La reingegnerizzazione dei flussi di lavoro e dei processi organizzativi permette di introdurre un approccio iterativo contrapposto a quello lineare tradizionale, causa di continua perdita di informazioni durante lo scambio dati tra i vari interlocutori delle discipline coinvolte.

Il modello-opera diviene contenitore di informazioni in continuo aggiornamento che gli stakeholder possono sfruttare come asset durante tutto il ciclo di vita dell'oggetto, collaborando in maniera coordinata e sinergica e cercando di minimizzare le problematiche scaturite dalla complessità e dalla natura multidisciplinare di un progetto 24.

Tale progetto, strutturato in fasi che ne descrivono il particolare life-cycle, può essere definito attraverso: - Fase di programmazione - Fase di progettazione - Fase di costruzione - Fase di manutenzione - Fase di abbattimento\riconversione Tra le quali solitamente esiste una sequenzialità gerarchica secondo la quale per dare inizio alla fase successiva deve essere terminata quella precedente.

All'interno di ogni fase però si hanno dei processi tipici di gestione delle attività, definite da concetti di project management: - Avvio, che autorizza il progetto o una singola fase - Pianificazione, che identifica la serie di azioni da intraprendere per raggiungere un obiettivo - Esecuzione, ovvero l'attuazione concreta delle singole attività pianificate - Monitoraggio, ossia il controllo delle attività che si susseguono durante tutto il processo - Chiusura, ovvero il completamento del progetto o di una singola fase Questi processi di project management avvengono in maniera ciclica durante tutti gli step del ciclo di vita dell'opera.

24

Inteso con l'accezione inglese project.

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Figura 4.1 - Interazioni tra le fasi del ciclo di vita di un'opera e i processi di project management.

Essendo il progetto un'attività con caratteristiche di unicità risulta difficile (se non impossibile) comunque pianificare ogni singola fase a priori. 25 Nonostante ciò la fase di pianificazione è fondamentale perché rappresenta una grossa fetta di criticità all'interno della natura del progetto stesso (è la cartina tornasole tra il successo o meno del progetto stesso).

A tal proposito viene graficamente in aiuto, per comprendere le problematiche relative ad un'insufficiente o addirittura assente pianificazione, la famosa curva di MacLeamy.

25

Ricavato dalla definizione di “progetto” proposta dal PMI (Project Management Institute)

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Figura 4.2 - Curva di MacLeamy.

Dalla curva si può intuire l'estremo vantaggio a livello di costi e tempo dati dalla pianificazione spostando gli sforzi alle fasi iniziali di progetto.

Da non sottovalutare è la capacità di influenzare la riuscita o meno del progetto da parte degli stakeholder con il passare del tempo (curva azzurra), in concomitanza all'analisi sul costo che un cambiamento effettuato durante le varie fasi del progetto può avere sullo stesso (curva rossa).

Tutti questi ragionamenti a livello di PM risultano fondamentali quindi in un processo BIM fatto di priorità e milestones che indirizzano il team di lavoro verso degli obiettivi precisi, riducendo al minimo lo spreco di tempo e denaro durante il life-cycle dell'opera.

Al contempo però bisogna confrontare questi vantaggi in termini di pianificazione con l'effettivo investimento economico (software e hardware), affinché la propria struttura sia predisposta per poter "sopportare" un flusso informativo di tale portata.

4.2 I FLUSSI INFORMATIVI NEI PROCESSI DIGITALIZZATI La gestione delle informazioni a livello di processo BIM può avvenire attraverso l'uso di elaborati e\o modelli informativi.

La differenza tra elaborato e modello informativo è descritta all'interno della norma UNI 11337.

Con elaborato si intende "il veicolo di rappresentazione e di contrattualizzazione di un prodotto o un processo del settore delle costruzioni attraverso contenuti informativi di natura grafica, documentale

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(alfanumerica), multimediale", il quale può essere non digitale, copie digitali di elaborati non digitali o copie di elaborati digitali.

Con modello informativo si intende "il veicolo di simulazione e di contrattualizzazione di un prodotto risultante od un processo del settore delle costruzioni attraverso contenuti informativi di natura grafica, documentale (alfanumerica), multimediale", il quale necessita sempre di apparecchiature elettroniche.

In base alla metodologia di trasferimento\condivisione dati i processi BIM acquistano un particolare livello di maturità.

Per UNI 11337-1 si distinguono 5 principali livelli di maturità informativa digitale: - Livello 0, non digitale - Livello 1, base - Livello 2, elementare - Livello 3, avanzato - Livello 4, ottimale Questi livelli differiscono da quelli concepiti da PAS 1192-2:2013 in cui il livello 0 coincide con quello 1 italiano (non si considerano situazioni non digitali).

A livello 0 lo scambio dati avviene tramite elaborati non digitali solitamente su supporto cartaceo, eventualmente ricavati da modelli informativi digitali.

Figura 4.3 - Collaborazione Level 0.

A livello 1 il trasferimento dati avviene anche attraverso l'uso di elaborati digitali, anche se la prevalenza a livello contrattuale è quella di usare elaborati non digitali su supporto cartaceo.

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Figura 4.4 - Maturità Level 1.

A livello 2 lo scambio informativo avviene attraverso l'uso di modelli informativi e, dove necessario, con elaborati digitali e non digitali di supporto (ad esempio il computo metrico).

Figura 4.5 - Maturità Level 2.

A livello 3 le informazioni sono contenute all'interno del modello informativo in modo tale che possano essere estrapolate mantenendo la coerenza tra il modello e gli elaborati.

SI introduce il concetto di LOI e gli elaborati non digitali non fanno più parte del materiale valido a livello contrattuale.

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Figura 4.6 - Maturità Level 3.

Il livello 4 (corrispondente al level 3 delle PAS 1192-2) rappresenta lo scambio informazioni totalmente assimilato da processi BIM, con una continua condivisione del dato durante tutto il ciclo di vita dell'opera.

Tutto ciò che è "dato" fa parte del modello informativo e gli elaborati, qualsiasi sia la loro natura, non prendono più parte al processo contrattuale.

Figura 4.7 - Maturità Level 4.

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5 LOD Con l'acronimo LOD si intende il livello di sviluppo degli elementi digitali, categorizzato a seconda della natura della singola entità (intendendo come entità un oggetto digitale con delle caratteristiche informative discrete, ad esempio una finestra).

La definizione del LOD di un oggetto è dipendente dal grado di approfondimento dei due aspetti vincolanti lo sviluppo dello stesso: informazioni non grafiche e parte geometrica.

Per la normativa italiana si tratta del "livello di approfondimento e stabilità dei dati e delle informazioni degli oggetti digitali che compongono i modelli", in modo da coniugare la definizione inglese data da PAS (Level of model Definition) e quella proposta dalla normativa americana (Level of Development).

A livello di UNI 11337, per descrivere il complesso sviluppo informativo, di definisce il grado di LOD come commistione tra due "gruppi" di attributi presenti all'interno di un elemento: - Il LOG, ovvero il Level of Geometry - Il LOI, ovvero il Level of (model) Information

Figura 5.1 - Esempio di rappresentazione LOG (sinistra) e LOI (destra)

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Entrambi uniscono i concetti proposti dalle normative anglosassone (LOI, PAS 1192-2) e statunitense (LOG, BIM Forum LOD specification).

Il grado di sviluppo del LOD deve essere introdotto all'interno della documentazione facente parte il Capitolato Informativo, poiché si tratta di un'esigenza esplicita della committenza. Attraverso la stesura dell'oGI, prima, e del pGI, in seguito, stazione appaltante e affidatario possono decidere in maniera concordata di modificare determinate specifiche a livello di sviluppo informativo a seconda delle proprie esigenze.

All'interno della documentazione devono essere espressi in maniera esplicita, per ogni singolo elemento, gli usi degli attributi geometrici e non geometrici, dando quindi dei "limiti" di sviluppo.

Le scale di definizione permettono al committente di farsi un'idea sul grado di dettaglio che si vuole raggiungere.

5.1 CLASSIFICAZIONE SECONDO LE SPECIFICHE USA Per la classificazione americana si tiene conto delle specifiche estratte dall' AIA Document E203-2013 Building Information Modeling and Digital Data Exhibit, AIA Document G202-2013 Project Building Information Modeling Protocol Form e dalla guida ai LOD di BIM Forum Level of Development Specification 2017 Guide (organizzazione no-profit legata a buildingSMART che punta alla diffusione degli standard per l'OpenBIM).

La scala di classificazione è basata su un'implementazione di informazioni gerarchiche ereditarie, ovvero un grado più alto di LOD mantiene tutte le informazioni precedenti aggiungendone man mano di nuove.

Per lo standard americano, a differenza della normativa italiana, non esiste una distinzione tra informazioni grafiche e non grafiche, per cui il grado di sviluppo (development) descrive in maniera uniforme la situazione informativa dell'elemento (da non confondere il Development americano con la concezione di detail inglese, la quale è molto più vicina al concetto di LOG italiano).

La classificazione statunitense è basata su 6 gradi distinti, identificate da numeri progressivi dal 100 (più basso) al 500 (grado massimo).

Vengono definiti una serie di elementi digitali, a partire dalle astrazioni (entità con caratteristiche geometriche senza che abbiano un corrispettivo modello fisico reale, come i vani, le griglie orizzontali, i livelli verticali) sino ad arrivare alle componenti architettoniche.

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•

LOD 100: elementi rappresentati simbolicamente. Le informazioni sono approssimative e con valenza concettuale. L'oggetto non è definibile a livello di tipologia e materiale e la sua posizione e dimensioni non sono ancora definitive.

Figura 5.2 - Esempio di LOD 100 di una colonna generica.

•

LOD 200: Gli elementi sono ancora generici e le caratteristiche geometriche non sono ancora definitive (sezione, dimensioni, orientamento, quantità, materiale). Possono essere aggiunte qualità non grafiche all'elemento. La posizione è definita dalla griglia strutturale, che identifica i nodi in maniera preliminare.

Figura 5.3 – Esempio di LOD 200.

•

LOD 300: gli oggetti sono resi specifici in termini di forma, dimensione, quantità e orientamento.

Possono esserci informazioni non grafiche associate all'elemento. La posizione dell'elemento è referenziata rispetto all'origine del modello. La sezione dell'elemento è definita.

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Figura 5.4 - Esempio di LOD 300.

•

LOD 350: Vengono implementate le caratteristiche dell'elemento inserendo supporti e connessioni. Sono presenti tutti gli elementi strutturali e i rinforzi. Possono essere aggiunte informazioni non geometriche all'elemento.

Figura 5.5 - Esempio di LOD 350.

•

LOD 400: il dettaglio dell'elemento permette la realizzazione in cantiere e l'eventuale produzione dell'oggetto tramite macchine a controllo numerico ove necessario. Il dettaglio richiesto è quello della produzione.

Figura 5.6 - Esempio di LOD 400.

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LOD 500: Gli elementi del modello corrispondono ad una rappresentazione verificata e fedele del costruito. Compongono il cosiddetto modello as-built, usato durante la restante parte del ciclo di vita dell'opera.

Alle specifiche dei vari LOD presenti nel documento di BIM Forum viene associata una tabella chiamata Model Element Table (MET) all'interno della quale vengono descritti, elemento per elemento, gli oggetti da digitalizzare in un modello BIM. A questa tabella sono associati poi altri fogli di calcolo contenenti l'elenco degli attributi non grafici per ogni singola entità (Attributes Tables) e le relative milestones per la gestione delle scadenze (SD, DD, CD), riferendosi comunque ad un responsabile (MEA - Model Element Author).

A tutti gli elementi sono associati, scheda per scheda, i codici di classificazione Omniclass + Uniformat II.

Figura 5.7 – Estratto della MET (Model Element Table) associata agli oggetti da digitalizzare.

All'interno delle Attribute Tables vengono inoltre evidenziati gli attributi minimi necessari, baseline, e quelli opzionali, addictional, indicando anche il LOD profile di riferimento in modo tale da legarli al corretto grado di sviluppo dell'elemento.

Viene inserito anche il riferimento alle milestones introdotte nella MET.

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Figura 5.8 - Estratto delle Attribute Tables, legate al concetto di LOD americano.

5.2 CLASSIFICAZIONE LOD SECONDO LE SPECIFICHE UK L'acronimo inglese, come precedentemente anticipato, differisce dalla concezione americana poiché riferito al termine detail e non development.

Il Level of Model Detail (abbreviato in Level of Detail) si riferisce alla sola descrizione grafica dell'elemento.

Gli attributi non grafici fanno parte di un'altra categorizzazione parallela sotto l'acronimo di LOI (Level of Model Information). Il grado di complessità dell'elemento quindi dipende in questo caso da due classificazioni a struttura ereditaria.

Entrambe hanno lo stesso numero di gradi ad evoluzione crescente. Si parla di sette fasi, partendo dalla fase di concept fino alla gestione del costruito.

1. Brief: non contempla dati grafici. Può esserci un modello ereditato dallo stato di fatto prodotto in precedenza (AIM). A questo livello sono definiti i requisiti informativi minimi per la produzione del modello (ad esempio standard energetici minimi o definizione dello spazio edificabile all'interno del lotto).

2. Concept: Il modello è prodotto sotto forma di masse concettuali\volumi o come un insieme di simboli (anche 2D). Dimensioni, forma e localizzazione non sono definitive. Il 59

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livello di dettaglio è sufficiente per lo space management. Il grado di LOI è relativo ad una semplice descrizione dell'oggetto da dettagliare ai gradi successivi.

Figura 5.9 - Esempio di classificazione LOD-LOI Level 2 in base alla normativa inglese.

3. Definition: Il livello di dettaglio grafico permette una generica rappresentazione degli elementi. E' possibile una stima dei costi preliminare e le caratteristiche\informazioni associate agli oggetti permettono delle simulazioni preliminari sul modello (analisi energetiche o altre simulazioni).

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Figura 5.10 - Esempio di classificazione LOD-LOI Level 3.

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4. Design: Tutte le parti del modello sono elementi digitali tridimensionali a cui possono essere associati degli attributi. Le informazioni raggiungono una complessità tale da permettere il coordinamento tra le discipline, il computo metrico estimativo e l'esecuzione del progetto. La posizione e la forma degli oggetti sono definitive.

Figura 5.11 - Esempio di classificazione LOD-LOI Level 4.

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5. Build and commission: Il dettaglio è tale da poter sostituire qualsiasi oggetto modellato con il reale proposto dal produttore con i relativi attributi e caratteristiche tecniche. A livello informativo devono essere presenti tutte le specifiche per permettere la corretta esecuzione dell'opera in cantiere.

Figura 5.12 - Esempio di classificazione LOD-LOI Level 5.

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6. Handover and close-out: Il livello è arrivato alla rappresentazione as-built, ovvero la copia digitale del costruito. Tutte le informazioni relative agli usi necessari alla futura manutenzione sono presenti all'interno del modello informativo.

Figura 5.13 - Esempio di classificazione LOD-LOI Level 6.

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7. Operation: il progetto è verificato secondo gli standard e le richieste contenute nell'EIR e le proposte introdotte nella fase di brief. Il modello durante il ciclo di vita dell'opera può essere aggiornato e implementato (AIM). Viene mantenuto sotto forma di database, aggiornato in tempo reale, del costruito.

Per quanto riguarda la quantità e la qualità delle informazioni contenute negli elementi nei vari step, queste sono descritte all'interno della BS-8541, Library objects for architecture, engineering and construction. Shape and measurement. Code of practice.

Altro riferimento è dato dall'NBS BIM toolkit, 26un portale web che guida il professionista nei vari passaggi di una commessa BIM, attraverso la presenza di tool appositi e template.

Figura 5.14 - Homepage dell'NBS BIM Toolkit, riferimento per gli standard BIM in UK.

5.3 CLASSIFICAZIONE LOD SECONDO LE SPECIFICHE ITALIANE La classificazione dei LOD nella normativa italiana si trova all'interno della parte 4 della UNI 11337:2017.

La codifica italiana si ispira più ai British Standard piuttosto che a quella proposta da BIM Forum e AIA. Infatti, come per lo standard inglese, gli attributi vengono suddivisi in due tipologie distinte LOG (Level of Geometry) e LOI (Level of Information).

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https://toolkit.thenbs.com/

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A differenza delle PAS però UNI ha deciso di svincolare LOI da LOG e quindi dare una maggior flessibilità nell'inserimento delle informazioni non grafiche all'interno degli elementi.

La normativa italiana, in maniera innovativa, suddivide la classificazione dei LOD in base alla tipologia di intervento suddivise in quattro categorie principali: 1. Edifici e interventi di nuova costruzione.

2. Interventi di restauro.

3. Interventi territoriali e infrastrutture.

4. Cantiere La scala relativa ai singoli livelli di sviluppo è basata su una struttura alfabetica progressiva composta da 7 fasi: o A: oggetto simbolico. o B: oggetto generico. o C: oggetto definito. o D: oggetto dettagliato. o E: oggetto specifico. o F: oggetto eseguito. o G: oggetto aggiornato.

Questa classificazione può ulteriormente essere scomposta in gruppi intermedi a seconda delle esigenze della committenza. Tale suddivisione deve essere definita all'interno del Capitolato Informativo. Le classi intermedie possono essere identificate da un numero da 1 a 9 (es. LOD A.01, LOD A.02, ecc.)

1. Edifici di nuova costruzione: 

LOD A: Entità rappresentate senza vincolo di una geometria. Gli attributi informativi (ove presenti) sono di natura puramente indicativa.



LOD B: Le entità sono rappresentate da una geometria d'ingombro e gli attributi informativi sono approssimativi.



LOD C: Le entità sono rappresentate graficamente come un sistema geometrico distinto, con forma, posizione e dimensioni definitive. Gli attributi informativi sono definiti e riferiti ad una serie di entità specifiche.

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

LOD D: Le entità sono rappresentate in maniera dettagliata, comprendendo anche gli ingombri approssimati di manovra e manutenzione. La parte informativa risulta essere specifica per i singoli elementi.



LOD E: Il dettaglio geometrico delle entità prese in esame deve consentire la fabbricazione, l'assemblaggio e l'installazione dell'elemento, comprendendo gli ingombri specifici di manovra e manutenzione dell'oggetto. Gli attributi informativi sono specifici del singolo prodotto finito.



LOD F: Le entità rappresentano l'effettiva rappresentazione, verificata, di ciò che è costruito in loco (as-built). Gli attributi informativi sono quelli relativi al prodotto installato.



LOD G: Le entità rappresentano la versione digitale aggiornata del costruito (AIM), introducendo tutte le modifiche che vengono fatte man mano durante il ciclo di vita dell'opera (sia a livello geometrico che informativo).

Figura 5.15 - Classificazione LOD di UNI 11337 per gli edifici di nuova costruzione.

2. Interventi di restauro: 

LOD F: Gli elementi definiscono lo stato dell'arte dell'oggetto di intervento. Ad ogni oggetto vengono legate le informazioni riguardo al tipo di intervento.

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

LOD G: Gli elementi identificano la versione aggiornata dello stato di fatto postintervento, con tutte le indicazioni di manutenzione, riparazione e sostituzione eventuali durante il ciclo di vita.

3. Interventi territoriali e infrastrutture: 

LOD A: Le entità sono rappresentate graficamente in maniera bidimensionale.

Gli attributi informativi sono indicativi.



LOD B: Le entità sono rappresentate come un sistema geometrico elementare.

Gli attributi informativi sono approssimativi.



LOD C: Le entità sono rappresentate come sistema geometrico distinto e gli attributi informativi sono bene definiti.



LOD D: Le entità sono geometricamente dettagliate come le informazioni ad esse associate.



LOD E: Le entità sono rappresentate de un sistema tridimensionale specifico e gli attributi informativi legati al prodotto definito.



LOD F: Le entità rappresentano la virtualizzazione dello stato di fatto del costruito (as-built) e gli attributi informativi sono quelli del prodotto posato e installato.



LOD G: Le entità rappresentano la virtualizzazione aggiornata dello stato di fatto, tenendo conto di interventi di manutenzione o modifiche durante tutto il ciclo di vita dell'opera. Questo vale anche per la parte informativa.

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Figura 5.16 - Classificazione LOD secondo UNI 11337 per gli interventi territoriali e infrastrutturali.

4. Cantiere: 

LOD A: Entità raffigurate in maniera simbolica e attributi informativi indicativi.



LOD B: Entità rappresentate con un sistema geometrico d'ingombro e le informazioni legate ad esso sono approssimative.



LOD C: Entità rappresentate come sistemi geometrici distinti e gli attributi informativi definiti.



LOD D: Le entità rappresentate sono sistemi geometrici distinti che si interfacciano con altri elementi, compresi spazi di manovra e manutenzione approssimativi.



LOD E: Le entità rappresentate sono sistemi individuali specifici, atti a permettere la fabbricazione, l'assemblaggio e l'installazione dei singoli elementi. La parte informativa è dettagliata in modo tale da essere corrispondete al prodotto finito.

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Figura 5.17 - Classificazione LOD in base a UNI 11337 per gli interventi di cantiere.

Le specifiche dei LOD necessari in base alle esigenze della committenza devono essere descritte all'interno del Capitolato Informativo. Un modo per definirle in maniera chiare può essere quello di utilizzare una matrice dei LOD, in modo tale da rendersi conto dell'evoluzione del dettaglio, geometrico e informativo, che gli elementi devono sviluppare passando attraverso i vari step della progettazione.

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Figura 5.18 - Esempio di matrice di definizione sintetica dei LOD.

Un esempio di uso attivo di matrice è stato presentato nel bando per l'Ospedali Galliera di Genova, al cui EIR era associato un AIR, Asset Information Requirements, che prendeva in considerazione, non essendoci ancora un riferimento normativo italiano, le classificazioni e le suddivisioni proposte dai British Standards.

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Figura 5.19 - Matrice di definizione dei LOD secondo PAS 1192-2:2013.

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6 PROCEDURE DI GESTIONE DEI FLUSSI INFORMATIVI Il BIM, come già detto, non è legato solo agli strumenti di authoring ma è, soprattutto, processi e workflow. Il metodo collaborativo, il coordinamento e la verifica dei dati in maniera pianificata permettono la distinzione tra un progetto di successo da uno "zoppicante".

Ambito fondamentale per la collaborazione è sicuramente l'ACDat, ovvero un ambiente dove vengono condivisi tutti i dati con gli stakeholder, filtrando opportunamente il grado di accesso degli stessi in base ai ruoli.

Il corrispettivo dell'ACDat proposto dalla normativa britannica è il CDE, proposto da BS 1192:2007 e ripreso dalle PAS 1192-2:2013 e 1192-3:2014.

Analizzando le due tipologie si può riuscire a coglierne differenze e analogie.

1. Common Data Environment (CDE): nasce come concetto prima del BIM ma trova nel proceso BIM stesso la massima possibilità in termini di efficienza e sfruttamento dell'ambiente. La differenza sostanziale tra un normale cloud service di archiviazione è la gerarchizzazione degli elementi all'interno di cartelle specifiche in modo da seguire il percorso logico-temporale di progetto oltre alla possibilità di conservare modelli\elaborati interattivi. Gli accessi e le modifiche vengono registrate, come di conseguenza i caricamenti o i download di file. All'interno dell'EIR sono identificate le caratteristiche richieste del CDE e viene "eletto" il gestore di tale ambiente.

Secondo le BS la struttura del common data environment è basata su 4 sezioni significative (che corrispondono ad altrettante cartelle di archiviazione).

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Figura 6.1 - Flusso di lavoro all'interno delle sezioni del CDE. Schema derivato da PAS 1192-2:2013.

a. WIP (work in progress), racchiude le informazioni di lavoro dei singoli team a un grado di lavorazione ancora non definitivo. I dati non sono stati ancora verificati quindi sono da ritenersi non condivisibili con gli stakeholders. Ogni team di progetto può avere la sua specifica cartella di riferimento, gestita da un intermediario responsabile del caricamento delle informazioni. La nomenclatura all'interno del CDE segue delle rigide regole strutturali. Il codice identificativo ad esempio all'interno della cartella WIP è composto da 74

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una sigla del tipo VER.P01.1, VER.P01.2, VER.Pnn.n (dove VER sta per version e P sta per preliminary, quindi non adatto alla consegna), in modo tale da essere concorde con la nomenclatura della cartella successiva, quella dei file shared (REV.P01, REV.Pnn dove REV sta per revision). Al file viene poi associato un valore alfanumerico Sn (da 1 a 7), che identifica il grado di Suitability, ovvero lo stato di avanzamento del progetto (nel nostro caso della cartella WIP sarà S0 perché la fase è quella iniziale).

Figura 6.2 - Catalogazione e nomenclatura file all'interno della cartella WIP del CDE. Indicazioni secondo PAS 1192-2:2013.

b. Shared, contiene i file che hanno passato la verifica della cartella WIP, sia a livello geometrico che informativo. All'interno del BEP vengono specificate le responsabilità sul caricamento dati dei vari PIM in modo tale da non avere ridondanza di informazioni.

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Figura 6.3 - Workflow di passaggio dati dalla sezione WIP a quella di condivisione shared all'interno del CDE.

Un esempio pratico può essere quello delle colonne architettoniche, definite per dare una base a livello di ingombro e posizione all'authoring strutturale. Queste, una volta definito e verificato il PIM strutturale con all'interno la parte delle colonne, creerebbero un'informazione ridondante. In tal caso il file con la parte architettonica delle colonne verrà tolto dalla cartella di sharing e sostituito da quello strutturale per poi essere eliminato (perché non serve più).

Si possono avere in questa area del CDE dei file con S1, cioè adatti per il coordinamento tra le discipline.

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Figura 6.4 - Passaggio dove si può notare il processo di creazione di un modello strutturale di authoring attingendo dal riferimento architettonico posto nella sezione shared condivisa.

Figura 6.5 - Workflow interno al team strutturale nella propria cartella WIP.

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Figura 6.6 - Relazioni tra authoring strutturale e architettonico in modo da avere tutti i dati inseriti in maniera coerente all'interno del CDE.

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c) Published documentation, è l'area che contiene i file provenienti dallo shared e che hanno passato le verifiche approfondite per poter diventare elaborati certificati. Si parla di clash detection tra discipline e di code detection per le normative vigenti in base alla tipologia di deliverable. Gli elaborati vengono suddivisi in contractual (Cn, in sostituzione al Pn dello shared) o non contractual, specificatamente divisi in cartelle (i non contractual si trovano in una cartella non autorizzata e contengono informazioni non contrattuali che arrivano direttamente dalla cartella WIP, come ad esempio le quantità preliminari estrapolate dal modello). La codifica della suitability passa ad avere diverse sigle: Dn (variabile da 1 a 4), per gli elaborati non contrattuali, An per gli elaborati approvati e Bn per quelli parzialmente approvati.

Figura 6.7 - Passaggio dei dati alla sezione published, visibile anche alla committenza. I dati in questione devono superare dei check di approvazione.

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d) Archive, è la zona di archiviazione degli elaborati in modo tale da avere uno storico coerente riguardante il progetto. Al termine del processo di costruzione dell'opera dovrà quindi contenere una serie di elaborati:  Modelli della progettazione (AIM)  Report sul flusso informativo  Contratti  Piani di manutenzione  Operazioni di gestione del costruito

Figura 6.8 - Schema del workflow di archiviazione dati e creazione di uno storico coerente di tutte le fasi progettuali.

Ogni cartella del CDE è programmabile per gestire i permessi di accesso e uso dei file contenuti all'interno. Tutte queste caratteristiche devono essere programmate a livello di EIR e BEP. All'interno delle BS 1192:2007 e delle PAS 1192-2 viene definita in maniera esaustiva la nomenclatura delle cartelle e dei file interni alle aree del CDE, Affinché ci si possa ricondurre facilmente al deliverable interessato cercando singole stringhe di codifica.

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Figura 6.9 - Convenzioni relative alla nomenclatura per quanti riguarda i file e le cartelle all'interno del CDE.

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Figura 6.10 - Codici indicativi dei vari step di Suitability e Revision esposti nella BS 1192:2007 + A2:2016

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Figura 6.11 - Analisi esemplificativa dell'uso della nomenclatura per un progetto tipo.

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Figura 6.12 - Esempio di CDE strutturato secondo PAS. In questo caso si tratta di Trimble connect, soluzione proposta da Trimble Inc.

2. Ambiente di Condivisione Dati (ACDat), prende ispirazione dal CDE britannico ed è testualmente descritto come un "ambiente di raccolta organizzata e condivisione dei dati relativi a modelli ed elaborati digitali, riferiti ad una singola opera o ad un singolo complesso di opere" (UNI 11337-5).

Viene sottolineata all'interno della normativa italiana l'importanza della creazione di regole specifiche per l'accessibilità dell'ambiente di condivisione. A tal proposito deve essere istituita una figura che controlli e gestisca tutto l'ACDat in modo tale da poter coordinare e controllare i processi di progettazione (solitamente una figura proposta dalla committenza con valenza di Responsabile Unico.

La situazione sperata da UNI è quella della creazione di un ACDat svincolato da software privati e direttamente gestito dalla Pubblica Amministrazione (committente).

All'interno di UNI 11337 vengono descritti i concetti di verifica, approvazione, coordinamento e lavorazione.

Per quanto riguarda la fase di coordinamento, la norma suddivide gli interventi da applicare agli elaborati in 3 stadi: 

Clash detection, ovvero l'analisi delle incongruenze geometriche del PIM.

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

Model-checking e code-checking, ovvero l'analisi delle incongruenze informative e normative del PIM.



Risoluzione dei conflitti eventuali

La fase di coordinamento a seconda dell'approfondimento di suddivide in 3 macro livelli: 

Coordinamento di primo livello LC1, applicato sull'elaborato per controllare non ci siano delle ridondanze geometriche e\o informative. Tale compito è da attribuire al responsabile del modello (o altre figure specificate all'interno dell oGI).



Coordinamento di secondo livello LC2, applicato tra più elaborati di diverse discipline che abbiano passato il coordinamento di livello 1. Avvengono durante questa fase i controlli di model checking, code checking e clash detection.



Coordinamento di livello 3 LC3, è il coordinamento applicato all'analisi di elaborati non derivanti da applicativi di BIM authoring.

Per quanto riguarda la fase di verifica anch'essa è strutturata in 3 step (le fasi di verifica si differenziano dal coordinamento perché trattano aspetti procedurali e non disciplinari, analizzando i workflow): 

Verifica formale, interna V1, è la prima ad essere svolta in concomitanza con il grado LC1 di coordinamento e durante questa fase vengono analizzate le modalità di produzione degli elaborati in modo tale che risultino conformi agli standard proposti dal pGI e dal CI.



Verifica sostanziale, esterna V2, corrisponde alla fase con coordinamento LC2, serve per analizzare la coerenza del materiale prodotto fino a questo momento, verificando l'approccio durante il coordinamento di secondo livello nell'esecuzione delle attività di clash e checking (controllo dei report), la coerenza informativa nell'estrazione dei dati dal modello (e che il livello di dettaglio sia adeguato) e che siano stati rispettate le evoluzioni informative del PIM secondo le tappe proposte da pGI e CI.



Verifica formale e sostanziale, indipendente V3, è la verifica sul materiale finale prodotto, analizzandone l'interpretabilità e verificando se le informazioni di progetto rispettano o meno le attese descritte in sede di offerta. In questa fase vengono verificate le interferenze e le incoerenze (clash e checking), viene analizzato il raggiungimento del

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grado di LOD, verificate le corrispondenze con il pGI e l'esaustività dei contenuti rispetto alle richieste del CI. Al concetto di suitability anglosassone nella normativa italiana si sostituisce il concetto di approvazione. I gradi di approvazione vanno dallo 0 al 3 e sono identificati dalla codifica An. Parallelamente viene introdotta la codifica per lo stato di lavorazione, 5 fasi descritte dalla sigla Ln.

Figura 6.13 - Stadi di approvazione e di lavorazione del contenuto informativo all'interno dell'ACDat.

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Figura 6.14 - Flusso informativo di approvazione e verifica di un elaborato secondo le direttive UNI.

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7 BIM NELLA PRATICA PROGETTUALE 7.1 COME IL BIM PUO’ MIGLIORARE IL LAVORO DI TUTTI I GIORNI Parlando di BIM non si può non parlare di software e in maniera particolare i software di authoring giocano un ruolo fondamentale all'interno del processo progettuale.

Sicuramente nell'utilizzo di tutti i giorni hanno un particolare peso i ragionamenti sugli sforzi e i costi da sostenere per implementare la propria struttura interna e al contempo la sensazione di rischio dovuta al cambiamento di workflow, passando da una situazione "collaudata" ad una di incertezza.

Lo strumento di authoring a cui si farà riferimento in questa trattazione è Allplan, un software sviluppato da Nemetschek, software house tedesca conosciuta a livello internazionale.

La scelta è ricaduta su questo software grazie alla sua spiccata capacità di collaborazione in ambito openBIM e la sua facilità di interfaccia, in esportazione e importazione, con IFC, svincolandosi dal limite oggettivo delle estensioni proprietarie.

Sebbene comunque la filosofia di Allplan sia quella della progettazione olistica, come d'altronde è anche quella del flusso ottimale proposto dalla metodologia BIM, non è detto che tutte le fasi di progetto debbano essere sviluppate attraverso un uso BIM del software.

Si parla in questi casi di "little BIM" o "big BIM", dipendentemente dalle esigenze degli utenti collaboratori, i quali, magari, non hanno implementato nessun tipo ti approccio BIM alla progettazione.

Dal modello informativo si possono estrapolare infatti una serie di deliverables, svincolati dal software stesso e dall'estensione file: •

Documenti.

•

Disegni.

•

Tavole.

•

Report, liste, abachi.

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Figura 7.1 - Schematizzazione dei cosiddetti deliverables prodotti da un software di BIM authoring.

La strutturazione parametrica di Allplan nasce dall'esigenza di proporre un software che possa essere adatto ad architetti e ingegneri, con tool e oggetti specifici che digitalizzano i reali processi di progettazione e costruzione, con particolare attenzione alle fasi collaborative.

Ogni progetto ha le sue particolarità e criticità uniche 27e non può esserci una soluzione che vada bene tutte le volte che se ne inizia uno.

Per questo la fase iniziale è cruciale affinché vengano analizzate e anticipate il più possibile le problematiche, in modo tale da impostare un processo collaborativo e di coordinamento\comunicazione tale da spostare drasticamente l'ago della bilancia verso un workflow progettuale che funziona 28.

Gran parte degli elementi in Allplan, a tal proposit,o ricalcano la struttura di IFC, come pareti, pilastri, scale, stanze ecc., collegando in maniera automatica all'elemento, durante la creazione, l'attributo relativo

Caratteristica intrinseca del concetto di project anglosassone.

A tal proposito risulta fondamentale fare dei test di check per il trasferimento file tra team di collaborazione per vedere se tutto funziona in maniera agevole o meno.

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all'IFCobject (definisce la natura dell'oggetto) più appropriato. Questo permetter di mantenere una coerenza totale a livello di esportazione in formato neutro.

Qualora fosse necessario è comunque possibile personalizzare tutta la parte informativa relativa agli attributi, permettendo ai collaboratori di poter leggere facilmente tutte le informazioni legate al componente che si sta condividendo.

Una delle caratteristiche peculiari del software è sicuramente la "struttura opera" che, grazie alla natura multi-file del progetto, permette di gerarchizzare gli elementi in maniera tale da essere il più simile possibile alle impostazioni di IFC. Viene a crearsi in questa maniera una WBS 29 vera e propria in cui scomporre l'opera, in modo tale da mantenere una perfetta coerenza durante tutti gli step progettuali.

Figura 7.2 - Variabili possibili a livello di elementi e suddivisioni della struttura opera presenti all'interno di Allplan.

29

Acronimo di Work Breakdown Structure, ovvero la suddivisione in sottostrutture del progetto.

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7.2 STRUTTURA OPERA E GESTIONE DEI LIVELLI Bisogna tener bene a mente che se si vuole sviluppare un progetto BIM con Allplan c'è la necessità di utilizzare per forza la struttura opera, poiché è quella che permette di ricalcare le impostazioni dell'architettura IFC e quindi avere un'esportazione dell'informazione, geometrica e non, corretta.

Solo in questo modo infatti i file che compongono il progetto Allplan, chiamati quadri, possono essere disposti logicamente e gerarchicamente.

La struttura opera di progetto infatti è composta da una serie di sotto-livelli, chiamati livelli struttura, che suddividono gerarchicamente e spazialmente l'edificio.

Le tipologie possibili sono 3, impostabili a "cascata": •

Lotto.

•

Edificio.

•

Piano.

La suddivisione in livelli struttura della struttura opera stessa poi, non permette ad un livello "piano" di essere sovraordinato ad un livello "lotto", mentre viceversa, il livello "lotto" può includere un livello "piano".

Figura 7.3 - Sottostrutture caratteristiche della struttura opera riconosciute a livello gerarchico da IFC.

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La prima operazione da fare è quindi quella di creare una struttura opera che rispecchi l'edificio e che possa essere comprensibile a tutti i team che collaborano (come detto precedentemente alla base deve esserci una forte componente organizzativa e decisionale, coadiuvata, ove possibile, da documenti specifici contenenti standard ed esigenze di progetto).

Tramite l'utilizzo di uno wizard 30 interno al programma, o manualmente, si può definire la suddivisione concettuale dell'opera in questione, scegliendo il numero di piani di progetto (interrati e fuoriterra), lo spessore solaio e altri elementi che caratterizzano il progetto stesso.

Figura 7.4 - Wizard relativo alla creazione della struttura opera (destra). Sottostrutture riconosciute dall'architettura di IFC (sinistra).

Ogni range altimetrico definito può essere poi legato ad uno specifico livello di struttura, in modo tale che tutto ciò ad esso associato rispetti quei piani di riferimento (a pavimento e a soffitto) per essere definito nello spazio.

30

Nella versione italiana tool tradotto con il termine “assistente”.

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Figura 7.5 - Associazione dei livelli di riferimento ai singoli quadri o gruppi di quadri.

7.3 GESTIONE DEI PIANI L'impostazione data dalla struttura opera non risulta essere l'unico modo per definire i riferimenti altimetrici per i vari elementi digitali.

Esistono infatti altre 3 tipologie, oltre al manager livelli, per personalizzare i piani all'interno di Allplan, rendendo più flessibile il workflow secondo le proprie esigenze.

Si parla di livelli liberi, livelli standard e livelli tetto.

I livelli standard hanno come caratteristica principale quella di essere sempre orizzontali e paralleli fra loro (posso editare il range di altezza tra il livello. Il loro "effetto" sugli oggetti è esteso all'infinito e sono la tipologia con la priorità più bassa.

Figura 7.6 - Maschera di personalizzazione dello stile di visualizzaizione dei livelli standard all'interno del software.

Per quanto riguarda i livelli liberi invece si parla di piani customizzabili per inclinazione, distanza e geometria in pianta.

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Sono da utilizzare con cautela perché vanno ad influenzare lo spazio del quadro considerato avendo priorità maggiore rispetto ai livelli standard 31.

Figura 7.7 - Maschera di impostazione dei parametri relativi ai livelli liberi. La definizione può avvenire riferendosi ai livelli standard o utilizzando piani descritti da specifiche coordinate nello spazio.

In fine i livelli tetto, simili come natura ai livelli liberi, caratterizzati da determinati parametri, utili per definire la morfologia tipica della copertura (angolo, pendenza, quota di gronda, quote di influenza del livello ecc.).

Tali livelli possono essere collegati anche alla struttura opera tramite il manager livello in modo tale da limitare la presenza di informazioni ridondanti di progetto ed avere un aggiornamento coerente della copertura in caso di eventuali modifiche ai livelli stessi.

31

Raramente utilizzati e solo in caso di necessità estrema.

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Figura 7.8 - Parametri specifici impostabili per quanto riguarda i livelli tetto.

Figura 7.9 - Possibilità di legare il livello tetto personalizzato ai vari piani impostati all'interno della struttura opera.

Il concetto di livelli, come già anticipato, è legato a come un oggetto digitale si rapporta con lo spazio virtuale. I valori di altezza infatti sono tipici dell'oggetto in questione ma possono risentire comunque dell'ambiente circostante.

E' buona norma in tal senso andare ad editare tali parametri durante la creazione dell'entità, in modo tale da selezionare quale tipo di riferimento essa prende in considerazione tenendo per buono la presenza di una tipologia di livello applicata allo spazio 3D32.

Da tenere ben presente che solo gli oggetti creati con il modellatore tridimensionale, e quindi non parametrici, sono svincolati dall'influenza dei livelli.

32

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Figura 7.10 - Maschera standard per l'impostazione dei riferimenti d'altezza degli oggetti parametrici creati all'interno di Allplan.

Figura 7.11 - Esempio pratico dell'utilizzo di livelli liberi inuna situazione particolare a causa di rivestimenti laterali sagomati lungo le scale.

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7.4 STRUTTURA E UTILIZZO DEI LAYER

Figura 7.12 - Schematizzazione della struttura gerarchica dei layer in Allplan.

Un'altra particolarità di Allplan è quello di utilizzare i layer, solitamente tipici di un CAD bidimensionale, per poter assegnare sia una proprietà formato specifica (definendo colore, spessore, tipo di linea e rappresentazione dell'elemento), che filtrare in determinate maniere, più o meno complesse, gli elementi stessi. Questo può essere molto utile ad esempio nella gestione dei permessi di accesso al modello da parte di utenti in collaborazione, suddividendo le parti nascoste da quelle accessibili (tramite i set di stampa e i set dei privilegi di modifica).

Definendo set di stampa e set di privilegi si può specificare quindi controllare ciò che uno può vedere\modificare a seconda del proprio ruolo all’interno del team.

La creazione di una struttura layer di progetto (o anche meglio d'ufficio) può sicuramente dare un importante apporto alla qualità del workflow e della collaborazione (qualora si collaborasse con layer di CAD esterni è comunque possibile importare file .dwt come template da utilizzare a livello di progetto).

Tutti i layer sono editabili, raggruppabili e personalizzabili. Ad ognuno può essere infatti assegnato, come per i software CAD 2D, un formato predefinito ove ce ne sia l'esigenza.

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Figura 7.13 - Strutturazione in macro-gruppi (personalizzabili) dei layer nella maschera dedicata di Allplan.

Figura 7.14 - Grado di editabilità per ogni singola voce.

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Tramite l’utilizzo dei layer, quindi, ci si può spingere ulteriormente in modo ancora più approfondito nell’ambito della standardizzazione e la personalizzazione dei processi.

Si parla infatti di set di stampa e set di diritti.

I set di stampa permettono facilmente e velocemente di nascondere un gruppo di layer definito, mentre i set di diritti permettono di proteggere determinati layer (e di conseguenza entità) da cambiamenti non autorizzati. Questa opzione è sicuramente molto utile quando ci sono più user contemporaneamente che lavorano sullo stesso progetto.

In altre parole, è una maniera snella per definire le responsabilità, cosa necessaria per lavori piuttosto complessi.

Ogni layer di Allplan possiede 4 gradi di visibilità: •

Rosso: layer corrente.

•

Giallo: visibile e modificabile.

•

Grigio: visibile e bloccato.

•

Bianco: invisibile e bloccato.

Figura 7.15 - Tipologie di status dei singoli layer.

Nonostante il nome, i set di stampa possono tornare utili per molto altro oltre che per la parte meramente di plottaggio. Infatti, strutturandoli intelligentemente, si può controllare la visibilità generale dei layer con pochi click.

Allo stesso modo questi set possono tornare utili per filtrare le informazioni da passare e condividere. Ad esempio, in tal maniera, non si è obbligati a trasferire o condividere un insieme di elementi modello magari inutili per quel definito step (Allplan permette di non trasferire i layer nascosti durante la creazione di IFC ad esempio).

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Dalla creazione di un determinato set di stampa si può poi generare facilmente anche un set di diritti corrispondente (qualora la suddivisione sia stata fatta per identificare i ruoli all’interno di un team di progetto).

Figura 7.16 Personalizzazione dei set di stampa e dei set di diritti.

7.5 STILI LINEA E STILI AREA

Figura 7.17 - Struttura gerarchica degli stili linea e degli stili area.

Gestire in maniera coerente e intelligente il database, essendo direttamente legato al modello digitale, è uno degli aspetti più importanti che un team di progetto deve tenere in considerazione.

Il database deve essere sempre in costante aggiornamento e la visualizzazione del modello informativo deve implementarsi con l'aumentare del livello del dettaglio tipica della particolare fase progettuale in cui ci si trova.

Per poter soddisfare questo tipo di processo esistono in Allplan gli stili linea e gli stili area.

Questi tool permettono di visualizzare lo stesso oggetto in maniera differente a seconda della situazione, in dipendenza dalla fase di progetto o dalla scala. Usando gli stili linea e gli stili area si può gestire quindi ciò che viene visualizzato, con che formattazione e in che particolare situazione (un oggetto non avrà la 100

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stessa visualizzazione a scala 1:200 rispetto a scala 1:50 e al contempo la visualizzazione di un progetto preliminare non sarà uguale ad una fase esecutiva).

Tali impostazioni possono risultare utili anche in fase di impostazione delle tavole, poiché, partendo dallo stesso oggetto, posso creare una serie di visualizzazioni differenti a seconda delle esigenze del momento.

Anche in questo caso avere degli standard ed un'organizzazione del lavoro efficace permette dei vantaggi impagabili a livello di qualità e velocità di costruzione del modello informativo.

Figura 7.18 - Personalizzazione degli stili penna e stili disegno in funzione dei tipi disegno o della scala.

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Figura 7.19 - Possibilità di passare da uno stile di visualizzazione all'altro durante il proprio workflow a seconda delle esigenze.

Figura 7.20 - I ragionamenti applicati nello spazio di lavoro possono essere ripresi in fase di gestione layout di stampa e creazione tavole.

7.6 UTILIZZO DI OGGETTI “SMART” Uno dei grossi vantaggi dell'utilizzo di un software di authoring è la possibilità di creare degli oggetti intelligenti, che permettono di snellire i workflow ed evitare il più possibile gli errori in caso di modifica dei dati.

In Allplan ci sono una serie di smart objects: •

Macro.

•

SmartParts.

•

PythonParts.

•

OLE objects.

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Le macro sono simboli intelligenti che adattano la propria visualizzazione alla scala e al tipo di vista. Una macro è composta da una serie di fogli che possono contenere diverse informazioni, sia 2D che 3D (ad esempio le diverse rappresentazioni in pianta di un serramento a seconda della scala).

La struttura di una macro può essere veramente complessa o veramente semplice e può essere tranquillamente salvata nel database comune di studio.

Figura 7.21 - Gradi di visualizzazione della macro, 2D (A e B) e 3D (C). Si può notare come la vista in pianta possa adattarsi ad esempio alla scala presa in considerazione (A risulta meno dettagliata di B).

Uno dei vantaggi sostanziali dell'uso delle macro è il poco peso del file che andiamo ad inserire rispetto ad un normale modello tridimensionale. I simboli smart infatti lavorano tramite il concetto di "istanza". Ciò significa che, indipendentemente da quanti oggetti dello stesso tipo vengono inseriti all'interno del progetto, il peso del file verrà ridotto al singolo oggetto origine ovvero la macro stessa.

Tutte le macro possono essere facilmente modificabili e automaticamente le modifiche vengono applicate a tutte le altre istanze legate ad esse. Tutto questo può succedere all'interno del progetto senza che le modifiche vadano ad intaccare gli oggetti salvati nel database d'ufficio.

Ogni macro può essere rimpiazzata con altre in maniera automatica in modo tale da ottenere un'estrema flessibilità a livello di rappresentazione e gestione informativa.

A questi smart objects possono essere assegnati poi degli attributi (numero, prezzo, codice oggetto), in modo tale da poter essere analizzati attraverso report e legende.

Come detto in precedenza si tratta di entità composte da una parte 2D (visibile in pianta) e una 3D, entrambe settabili e parametrizzabili in modo tale da adattarsi e scalarsi in base alle esigenze.

Nella creazione di macro infatti si possono inserire, all'interno dei singoli fogli, i punti che devono avere una natura dinamica e quelli invece che devono rimanere fissi.

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Un buon esempio è quello del serramento, dove la parte vetrata deve subire un effetto di re-size in base alle dimensioni dell'apertura mentre il telaio deve mantenere la sua sezione costante indipendentemente da tali parametri.

Figura 7.22 - Schematizzazione della possibilità di inserimento di vari "fogli" di dettaglio a livello di una singola macro (in questo caso un'apertura).

Un'altra alternativa per quanto riguarda gli oggetti intelligenti in Allplan è data dalle SmartParts, ovvero un oggetto parametrico che è indipendente dalla logica del software di authoring.

Per modellare delle SmartParts serve utilizzare un editor interno ad Allplan, comune sia alla disciplina ingegneristica che a quella architettonica.

Le smartpart possono essere utilizzate in una serie infinita di ambiti: ad esempio per elementi architettonici come gli elementi di copertura o per entità di disciplina come piloni o muri di contenimento (con la loro armatura interna).

All'interno delle cartelle di default di Allplan risultano già presenti una serie di entità proposte sotto forma di smartparts.

Le smartparts, a differenza delle macr,o contengono delle funzioni si parametriche, ma legate ad uno script indipendente dal software di authoring. Possono essere quindi modificate in tempo reale e in maniera svincolata da altri oggetti o entità.

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Le modifiche applicate possono avvenire tramite modalità geometrica (utilizzando i punti di grip) o tramite un box di dialogo (compilando all'interno dell'interfaccia i vari campi richiesti dal software).

Ogni modifica fatta in maniera grafica si genera automaticamente a livello di box e viceversa.

Figura 7.23 - Visualizzazione della maschera di modifica di una smartpart. In questo caso si tratta dell'editor tipico per una finestra.

Per creare la propria smartpart 33 si deve utilizzare il sistema di script proposto all'interno di Allplan.

Accedendo infatti allo smartpart editor si può, attraverso un'interfaccia semplificata, andare a modificare o creare i parametri del singolo oggetto.

33

L’unico editor grafico in questo caso è quello relativo alla personalizzazione dei serramenti.

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Figura 7.24 - Interfaccia dello smartpart editor.

All'interno di Allplan si trovano poi dei tool ottimizzati per creare le smartpart più utilizzate in ambito architettonico. Nella stragrande maggioranza degli utilizzi infatti le smartparts coincidono con porte, finestre, lucernari, elementi oscuranti, ovvero tutte quelle entità legate alle aperture, la cui natura parametrica risulta molto comoda, poiché in caso di modifica questa verrebbe riprodotta, qualora lo si desiderasse, su tutte le smartparts uguali.

Ovviamente, come per le macro, questi oggetti intelligenti possono essere salvati nei preferiti di studio o di progetto in modo tale da poterle velocemente richiamare all'occorrenza.

Ulteriori oggetti smart sono le pythonparts. Basate sul linguaggio di programmazione python risultano in tutto e per tutto concettualmente molto simili a smartparts (queste però in linguaggio di programmazione interno di Allplan).

In questa maniera lo sviluppatore dell'oggetto non sarà costretto a produrre in ambiente Allplan per forza, essendo magari abituato a sviluppare tramite altri software.

Nel portale online 34di Allplan dedicato a questo argomento si possono trovare API che velocizzano la programmazione degli oggetti.

34

http://pythonparts.allplan.com/

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Figura 7.25 - L'interfaccia editabile relativa ad una delle pythonpart standard proposte all'interno del software.

Figura 7.26 - Homepage del portale dedicato agli sviluppatori che volessero approcciarsi alla creazione di pythonparts.

Altro importante aspetto per la collaborazione a livello progettuale in ambito BIM (e non) è la possibilità in Allplan di inserire oggetti OLE (Object Linking and Embedding) all'interno del progetto.

In questa maniera si possono importare una serie di file di riferimento che mantengono la possibilità di modifica all'interno dei software di origine.

Alcuni dei software\estensioni file che gestiscono questo tipo di tecnologia sono: •

Excel (.xls,.xlsx).

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•

Word (doc., docx.).

•

RTF (.rtf).

•

Power Point (.ppt, .pptx).

•

Immagini (.bmp, .jpg ecc.)

Ogni modifica apportata al file originario risulta poi aggiornata all'interno del software di authoring 35.

Figura 7.27 - Inserimento di una tabella prodotta in Excel e linkata direttamente in Allplan. All'aggiornarsi del file origine Excel si otterrà un aggiornamento all'interno del software.

7.7 GESTIONE DELL’INFORMAZIONE ALL’INTERNO DELL’AUTHORING Quando si lavora all'interno dell'ambiente Allplan (e anche per altri software di authoring), soprattutto in ambito BIM, è utile tenere a mente di quanto sia importante usare il tool corretto per la creazione del reale oggetto da digitalizzare.

La differenza tra linked e embedded sta nel fatto che nel primo caso il file d'origine va mantenuto, mentre nel secondo il file è incorporato all'interno della cartella di progetto.

35

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Ad esempio per creare un muro cercherò sempre di utilizzare il comando "muro", il quale mi permette di attribuire in maniera automatica determinate specifiche e caratteristiche tipiche della natura del muro stesso, sia in funzione dell'esportazione (corrispondenza con l'oggetto descritto da IFC) che per il lavoro all'interno del software. Ovviamente le maschere di modifica dei parametri saranno studiate per individuare gli elementi fondanti dell'elemento "muro" e il muro in quanto tale potrà interagire in maniera coerente con le entità ad esso collegate.

Figura 7.28 - Esempio di editabilità degli attributi relativi ad un oggetto "parete".

Figura 7.29 - All'interno di Allplan è possibile assegnare attributi personalizzati ad ogni oggetto, seguendo o meno i Psets proposti a seconda della tipologia dalla codifica buildingSMART per IFC.

Questo però non vuol dire che si sia obbligati a mantenere gli attributi standard automatici proposti dal software. Attraverso l'aggiunta di parametri e attributi tramite gli appositi tool, infatti, si possono personalizzare tutte le entità create, in modo tale che il livello di informazione non grafica, che li caratterizza, possa essere evidenziata tramite etichette, testi e deliverables in genere (tenendo presente che questi ultimi in un eventuale esportazione in IFC non verrebbero però trasferiti).

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Gli attributi standard impostati da Allplan, a seconda del grado di approfondimento informativo e dalla customizzazione del progetto, possono non bastare. In tal caso risulta utile la possibilità di modificare o creare ex-novo un attributo personalizzato.

I parametri che si possono essere inseriti riguardano: •

Nome.

•

Tipo di attributo (testo, nr. floating point, nr. intero, data).

•

Tipo di immissione (immissione, combobox, checkbox, listbox senza immissione).

•

Lunghezza testo.

•

Unità di misura.

•

Valore proposto (per impostare un elenco di valori da cui poter scegliere).

•

Valore minimo e massimo.

•

Metodo di immissione

Nonostante le possibilità di personalizzazione c'è da tenere comunque in considerazione che la lista di attributi di Allplan è basata sui requisiti minimi richiesti da buildingSMART per IFC, i cosiddetti Property Sets (Psets).

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Figura 7.30 - Interfaccia di personalizzazione attributi suddivisa per gruppi tipologici.

Un esempio specifico si potrebbe fare su un'entità particolare come il vano. Si tratta infatti di un elemento non reale, che non fa parte né delle finiture né della gerarchia spaziale. Si posiziona infatti a legame di questi due concetti.

In Allplan il tool "vano" permette di creare un'area definita di forma libera alla quale è associato un volume.

Tutti gli elementi architettonici che si trovano ad interagire con il vano vengono sottratti in modo tale da avere delle caratteristiche volumetriche corrette rispetto allo spazio in cui ci si trovano (bucature, scassi, lesene, sono tutti elementi considerati nell'interazione vano-entità reali digitalizzate).

E' da tenere in considerazione nell'esportazione IFC dei vani il fatto che questi vengono trasferiti come elementi "invisibili". Potrebbe essere necessario quindi attivare determinati filtri all'interno del viewer scelto per poter visualizzare correttamente il vano e gli eventuali strati di finitura ad esso collegato.

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Figura 7.31 - Caratteristiche 3D e 2D relative ad un vano base.

Gli attributi informativi possono essere poi associati anche al progetto in generale, in modo tale da poter essere riproposti in maniera associativa all'interno di cartigli, legende, report ecc. oppure semplicemente essere scambiate tramite IFC 36.

Figura 7.32 - Schermata di personalizzazione degli attributi relativi al progetto e che possono essere richiamati in maniera associativa all'interno di codifiche, cartigli, legende e report.

Si tenga presente che solo alcuni degli attributi sono letti dal formato IFC, ovvero le informazioni edificio, gli attributi di costruzione e gli attributi generali.

36

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7.8 LA PALETTE OGGETTI PER IL WORKFLOW DI AUTHORING La palette oggetti è un tool fondamentale per il checking delle parti che compongono il modello informativo, poiché permette una vista complessiva di tutte le entità presenti nello spazio di lavoro (la lista degli oggetti è dipendente dai quadri selezionati in quel momento).

All'interno della palette oggetti si possono vedere, ed editare, le principali proprietà degli elementi digitalizzati.

Questo tipo di approccio può aiutare a trovare errori e correggere le eventuali mancanze di informazione, aumentando la qualità di ciò che deve essere trasferito e condiviso ancora prima che i partner di progetto ricevano il materiale.

Nella parte alta della palette si possono impostare i vari criteri di suddivisione in cui raggruppare gli oggetti presenti nel workspace.

Le tipologie preimpostate sono 5: 1. Raggruppamento per struttura opera: il criterio di raggruppamento è quello della struttura opera di progetto. Gli oggetti sono suddivisi. Partendo dal livello edificio la palette oggetti elenca tutti i livelli sottostanti fino al quadro di riferimento (è una suddivisione possibile solo lavorando con la struttura opera).

2. Raggruppamento tramite quadri: nel livello di raggruppamento più alto si trovano i quadri. Si possono vedere tutti i quadri con gli elementi digitalizzati al loro interno, mostrando anche lo status del quadro stesso in quel momento (corrente, editabile, bloccato).

3. Raggruppamento per layer: in questo caso i layer si trovano come raggruppamento principale.

Lo stato di tutti i layer viene rappresentato in maniera coerente alla situazione nello spazio di lavoro (corrente, editabile, bloccato, nascosto). Gli elementi multilayer (come ad esempio le pareti a più strati) verranno inseriti nel gruppo "*varia*" posto all'inizio della lista.

4. Raggruppamento per materiale: dove il tipo di materiale caratterizzante l'elemento si trova all'inizio della gerarchia ad albero. Gli oggetti che non hanno materiale specifico, perché non definito o perché non l'hanno di propria natura come i testi, venogono inseriti nella scheda "*non definito*".

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5. Raggruppamento per opera: dove gli oggetti vengono raggruppati secondo il tipo di opera che rappresentano.

Figura 7.33 - Visualizzazione della palette oggetti in base al tipo di filtro voluto. Da sinistra a destra: layer, quadro di riferimento, materiale, tipo di opera.

Questi cinque raggruppamenti predefiniti possono essere a loro volta strutturati con sottolivelli, trai quali topologia, numero e nome quadro, layer gruppo (oggetto), tipo (di oggetto), materiale e opera, la cui sequenza definisce l'ordine a cascata del raggruppamento interno della palette 37.

Figura 7.34 - Possibilità di personalizzazione della gerarchia di visualizzazione degli oggetti all'interno della palette.

Oltre a poter selezionare i gruppi o i singoli oggetti (e conseguentemente accenderli o nasconderli a piacimento), la palette oggetti permette di zoommare sull'oggetto preso in considerazione permettendo di

La sequenza può essere facilmente disposta a proprio piacere spostando con il mouse le etichette nella parte alta della palette

37

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individuarlo facilmente all'interno del modello informativo (doppio click sull'elemento) e, qualora fosse necessario, cambiare le proprietà dell'oggetto stesso (in relazione al campo di suddivisione scelto nella parte superiore della palette) con un semplice drag and drop (o taglia-incolla) tra un gruppo elementi, o una selezione, e un altro.

Figura 7.35 - Possibilità di cambiamento delle proprietà di un elemento attraverso un drag & dorp o un taglia-incolla direttamente all'interno della palette.

Ulteriore possibilità è quella di cambiare lo status dei quadri direttamente dalla palette e in tempo reale.

Figura 7.36 -Gestione dello status dei quadri direttamente dalla palette.

7.9 ESPORTAZIONI ALLPLAN IN UN WORKFLOW OPENBIM Una volta definito in maniera corretta il modello informativo il software di authoring, in questo caso Allplan, dà la possibilità di esportare in molti modi l'informazione, geometrica e non, creata.

Una delle esportazioni fondamentali in ambito BIM è quella diretta al CDE di riferimento. Per quanto riguarda Allplan può avvenire in due modi diversi: •

Attraverso un’esportazione IFC "classica".

•

Attraverso l'uso di un CDE legato ad Allplan, BIMplus, una piattaforma interoperabile per la condivisione non proprietaria dei modelli informativi e dei documenti (ottica openBIM).

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La tipologia di esportazione ovviamente dipende dal CDE scelto dai partecipanti al progetto, in modo tale che, qualunque sia stata la scelta, ogni stakeholder possa attingere dall’ambiente di condivisione comune le informazioni utili a seconda del proprio ruolo nel team.

Esportando IFC Allplan permette di scegliere il tipo di formato desiderato (IFC 2x3 e IFC 4, sia in formato compatto che XML) e il tipo di MVD richiesta in base al BIM use.

Una volta aperto il tool si potranno selezionare i quadri che interessa esportare qualora non si volesse esportare l'intera struttura.

Figura 7.37 - Selezione dei quadri che si vogliono esportare in IFC direttamente dalla struttura opera.

Lo step successivo è quello di scegliere il formato IFC che si desidera ed entrare all'interno delle impostazioni di scambio per filtrare eventualmente solo ciò che si vuole trasferire dei quadri precedentemente selezionati 38.

Si può selezionare ad esempio la CV 2.0 come MVD o la structural Analysis View nel caso di export rispetto ad un software di analisi strutturale

38

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Figura 7.38 - Settaggi relativi ai filtri di esportazione a seconda della Model View Definition che si vuole condividere.

A chiusura della finestra di dialogo e dell'esportazione il software propone una checklist di controllo stampabile per vedere se ci sono stati eventuali errori e che tipo di elementi sono stati trasferiti.

Figura 7.39 - Finestra di dialogo relativa alla conclusione del processo di esportazione IFC.

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Saltando, per comodità descrittiva, tutti i passaggi relativi alla registrazione delle utenze sulla piattaforma CDE, è poi possibile, come alternativa all’esportazione classica IFC, fare un upload diretto a BIMplus di ciò che è stato creato all'interno dell'authoring 39.

Si può decidere il nome del nuovo progetto e il sottogruppo a cui si riferisce ciò che stiamo caricando. Nel nostro caso creeremo un gruppo identificativo della disciplina architettonica.

Figura 7.40 - Schermata di impostazione dati upload.

Anche in questo caso riceviamo una notifica riguardante la qualità dell'upload (si tiene conto che possono essere comunque caricati separatamente file IFC o .skp senza per forza dover passare dall'authoring).

Si deve tenere a mente che, a differenza dell'esportazione IFC, l'upload avviene solo sugli elementi presenti in quell'istante nel workspace

39

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Figura 7.41 - Interfaccia di BIMplus con l'elenco progetti caricati.

Uno dei tool più importanti è sicuramente la gestione dei file BCF 40 e delle task, che può avvenire in maniera biunivoca, sia direttamente sul portale in cloud, che tramite il software di authoring.

Il file BCF infatti è l'estensione neutra per la collaborazione all'interno di un processo openBIM. Idealmente tale formato può rimpiazzare la comunicazione tradizionale via mail che caratterizza solitamente il progetto (con tutte le problematiche che il sistema comporta).

IFC e BCF sono fortemente legati tra loro e interagiscono l'uno con l'altro. Mentre IFC può esser usato separatamente, BCF deve avere la propria controparte IFC per poter funzionare.

Figura 7.42 - Logo certificato del formato di scambio BCF.

40

Acronimo di BIM collaboration format.

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IFC, essendo un file a struttura STEP 41, è funzionale solo qualora ci siano presenti elementi geometrici.

Si possono descrivere fisicamente e funzionalmente proprietà, caratteristiche e valori di un'entità, ma non è utile per lo scambio di informazioni senza riferimenti spaziali, come descrizioni di processi o semplici messaggi testuali e note.

Da qui nasce la necessità di sviluppare un formato come BCF (inizialmente un progetto introdotto da Solibri e Tekla, due software di approccio openBIM e successivamente portato avanti da buildinsSMART), che permette di associare un dato che non contenga l'oggetto stesso ma sia comunque associato ad una base geometrica: IFC. In tale maniera tutti i tasks sono facilmente visualizzabili da parte degli stakeholder attraverso una qualsiasi piattaforma che gestisce IFC. All'interno di Allplan l'implementazione di BCF avviene attraverso un tool chiamato "task board" e la piattaforma open in cloud BIMplus.

La task board permette di ricevere, creare e modificare tasks e messaggi mediando a livello di BCF, cosa che può essere fatta biunivocamente anche da BIMplus, svincolandosi dall'uso forzato di un software di authoring.

Figura 7.43 – L’interfaccia taskboard di Allplan.

41 STandard for the Exchange of Product model data - "Norme per lo Scambio dei dati dei Prodotti", conosciuto anche con il codice ISO 10303.

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Per creare una task o un commento all'interno di Allpan basta semplicemente, una volta impostato l'upload del modello in cloud, selezionare l'icona per creare una nuova nota, oppure importare un file BCF esterno.

All'aggiornamento della palette sarà possibile impostare il compito desiderato con tutte le informazioni necessarie per poter avvertire chi di dovere, tra cui riferimento mail, data di scadenza, tipo di problema, persona responsabile.

Figura 7.44 - Maschera compilabile per gestione task all'interno del software di authoring.

Alla task possono essere associati commenti, allegati e hyperlinks.

Si possono salvare delle viste per identificare meglio il problema e modificare la visibilità degli elementi, in modo tale poter evidenziare solo ciò che interessa.

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Figura 7.45 - Possibilità di personalizzazione relative alla task creata.

Una volta creata la task questa può essere sincronizzata in maniera semplice con il PIM condiviso sul CDE e resa visibile a chi di dovere (può essere fatto anche il percorso inverso sopra descritto partendo tranquillamente dalla piattaforma cloud invece che dall'authoring).

Le task presenti sono organizzate per priorità e possono essere esportate esternamente sotto forma di BCF oppure di file Excel, in modo tale da risultare archiviabili e facilmente visualizzabili da tutti.

7.10 IMPORTAZIONE IN ALLPLAN IN AMBIENTE OPENBIM E COLLISION CHECK

Sebbene lavorare su un viewer (in cloud o no) permetta di visualizzare e fare dei check della situazione del modello informativo, questo non significa che non ci possa essere la necessità di reimportare i dati sull'authoring per eventuali modifiche da apportare.

Ad esempio, un file IFC può arrivare da uno studio di ingegneria esterna e c'è bisogno di integrare tale modello con l'architettonico creato da un altro team. In questo caso è utile importare il file all'interno dell'authoring, per noi Allplan, controllare il match con il modello informativo architettonico ed eventualmente applicare le modifiche necessarie.

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Il processo di importazione è molto simile a quello di esportazione: si seleziona il tool, che ha un'interfaccia simile a quello di esportazione, e di conseguenza si va a scegliere tra i settings il tipo di esportazione che si desidera effettuare.

Figura 7.46 - Interfaccia di importazione IFC.

Finita la selezione dei vari settings, verrà richiesto dove si vuole posizionare l'importazione a livello di struttura opera di Allplan (rimangono selezionabili solo i quadri vuoti) e il tutto termina con il classico report presente anche per quanto riguarda l'esportazione, utile per il check di eventuali errori o incongruenze.

Figura 7.47- Scelta dei quadri di destinazione all'interno della struttura opera prima della fase di importazione.

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Figura 7.48 - Maschera di dialogo con le informazioni relative all'importazione.

L'ultimo processo di cui si deve tener conto è l'update del modello informativo. In questo step viene fatto un check per comparare lo stadio precedente con quello modificato all'interno dell'authoring stesso (dopo queste operazioni il modello può essere comunque aggiornato ed esportato\sincronizzato) A tal proposito torna utile un tool all'interno dei Allplan, come in praticamente tutti i software di authoring evoluti, di collision check del modello tridimensionale.

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Figura 7.49 - Percorso per utilizzare il check del modello.

Dopo averlo attivato si selezionano gli elementi da controllare e si aspetta che il software elabori il tutto.

Il risultato è la creazione di una serie di box 3D, solitamente rossi, in corrispondenza delle incongruenze e delle modifiche a livello geometrico tra gli elementi. Da tenere ben presente però che il tool non corregge automaticamente i dati. Sarà l'operatore ad effettuare questa operazione in un secondo tempo.

Figura 7.50 - Risultato tipo di un collision check interno ad Allplan.

Altro modo di confrontare i dati, in modo tale da ricavare uno schema di modifiche rispetto agli aggiornamenti fatti, è usare il tool "raffronto vecchio-nuovo".

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Questo risulta molto utile quando i dati sono provenienti da un partner di progetto e contengono cambiamenti minimi. Lo strumento permette infatti di visualizzare a video tutti i cambiamenti e le variazioni, decidendone a priori il formato e i quadri di riferimento da cui attingere.

Figura 7.51 - Interfaccia del tool di confronto vecchio-nuovo.

Importante da sottolineare, infine, è la possibilità di personalizzare la visualizzazione dei cambiamenti con 3 tipologia di elementi in base al loro rapporto relazionale: •

Mancante (demolizione).

•

Aggiunto (stato di progetto).

•

Uguale (stato di fatto).

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8 CASO STUDIO 8.1 INTRODUZIONE Per rendere più chiari i passaggi e le metodologie precedentemente descritte è stato deciso di testarne l’utilizzo all’interno di un progetto pratico in via di sviluppo.

E’ subito sembrato consono, sia dal punto di vista della scala di grandezza, che dalla tipologia costruttiva, provare ad analizzare, in tal senso, i vari passaggi utili alla progettazione esecutiva di una casa monofamiliare prefabbricata in legno.

La tecnica di prefabbricazione, in questo caso proposta sotto forma di struttura a telaio in legno, si presta molto bene, infatti, alle necessità di pianificazione a monte, tipiche di un workflow in ambito BIM. All’interno di questo capitolo si è cercato di descrivere le possibili dinamiche (e problematiche) incontrate durante l’implementazione di passaggi di digitalizzazione via via sempre più articolati, partendo dal concept ed arrivando ad un grado di LOG (e LOI) che potesse essere soddisfacente dal punto di vista esecutivo, Dal modello, prodotto interamente all’interno dell’ambiente di authoring di Allplan, sono stati poi estrapolati tutti i dati necessari alla parte documentale di progetto e tutti i deliverables grafici al livello di dettaglio richiesti per la presentazione della pratica.

8.2 PIANIFICAZIONE DELLA STRUTTURA OPERA E WBS DI PROGETTO La natura multi-file di Allplan, insieme alla catalogazione dei vari file all’interno del software di authoring tramite la cosiddetta struttura opera, ha spinto ad avere una pianificazione chiara di come il progetto doveva essere suddiviso gerarchicamente sia a livello logistico-spaziale, che informativo. In tal modo è stato possibile estrarre in maniera semplice e coerente tutta la parte informativa legata ad esso.

I file, chiamati nel linguaggio di Allplan “quadri”, sono stati combinati, a seconda delle esigenze, affinché componessero una sorta di WBS semplificata, permettendo di gestire nella maniera più rapida e flessibile possibile il modello digitale.

Tramite l’interfaccia interna si sono separate la parte di modellazione pura con la parte di quadri incentrati sui deliverables. Questa strutturazione è risultata molto importante poiché la parte deliverables, essendo una rielaborazione bidimensionale del modello digitale, non viene mai esportata all’interno di file posti in condivisione in ottica interoperabile 42.

42

Ad esempio in un’esportazione in IFC la parte dedicata ai deliverables non andrà ad intaccare la struttura del modello.

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A tal proposito, prima ancora di entrare nel merito della progettazione vera e propria, si è deciso di suddividere gerarchicamente i quadri, in modo tale da aver catalogato e sotto controllo il modello in tutte le sue declinazioni e passaggi\implementazioni a livello geometrico e informativo.

La numerazione dei quadri riguardante il modello digitale, in base ai criteri scelti nella struttura opera, è stata così suddivisa: -

Dall’ 1 al 49: sono stati destinati ai riferimenti CAD del lotto preso in considerazione e a tutti gli elementi bidimensionali utili alla comprensione degli spazi massimi in pianta 43.

-

Dal 50 al 99: sono rimasti riservati ai ragionamenti, tendenzialmente volumetrici, a livello di concept 44.

43 44

-

Dal 100 al 150: sono dedicati alla gestione degli spazi esterni.

-

Dal 150 al 199: sono scelti per il piano seminterrato.

-

Dal 200 al 299: sono relativi al piano terra.

-

Dal 300 al 399: si riferiscono alla copertura.

-

Dal 400 al 499: sono relativi ai livelli tetto e ai livelli liberi vincolanti gli altri quadri.

Come ad esempio la griglia modulare di riferimento per la composizione del progetto e i limiti di confine del lotto stesso.

Per comodità definito con LOD 100.

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-

Dal 500 al 599: sono i quadri usati per la modellazione la personalizzazione di oggetti smart, profili, simboli ed elementi assistente.

Figura 8.1 - Suddivisione della struttura opera nelle varie sottostrutture e, per questioni dimostrative, sequenza dell'evoluzione dei LOD di progetto.

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Per quanto riguarda invece la strutturazione dei derivati si è deciso di suddividere, a seconda della tipologia, i vari quadri in: -

Dal 1000 al 1099: Deliverables riguardanti le viste, di prospetto e assonometriche.

-

Dal 1100 al 1199: Deliverables legati alle viste di sezione.

-

Dal 1200 al 1299: Deliverables riguardanti i report degli elementi e delle quantità di progetto.

-

Dal 1300 al 1399: Documentazione proveniente dall’esterno e xRef documentali 45.

Figura 8.2 - Schermata relativa alla parte dei deliverables suddivisa anch'essa nei vari step evolutivi dei LOD di progetto.

45

Ad esempio fogli di calcolo esterni di Excel allegati ai vari step progettuali.

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Ai quadri relativi alla struttura opera sono stati associati dei livelli di riferimento che influenzano le quote superiori ed inferiori dei vari elementi inseriti al loro interno.

Tali livelli sono legati alla decisione di suddivisione dell’edificio in verticale e, nelle situazioni più banali, corrispondono alla divisione in piani dell’opera.

Figura 8.3 - Suddivisione dei livelli dell'opera in base alle quote fissate di progetto.

8.3 IMPOSTAZIONE DEI LAYER, STILI DI LINE A E STILI AREA. Altri ragionamenti alla base del workflow, antecedenti alla creazione del modello digitale, sono stati quelli relativi alla struttura layer e alle scelte legate agli stili-area e stili-linea.

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Figura 8.4 - Screenshot di parte della struttura layer di progetto.

L’idea è stata quella di mantenere la struttura principale proposta di default da Allplan con l’aggiunta di layer customizzati a seconda delle esigenze, implementandola durante le fasi di progetto.

Nel setting degli stili linea, stili area e tipi disegno si è tenuto conto della volontà di avere una serie di visualizzazioni diversificate, a seconda delle esigenze, del medesimo elemento.

In tal senso è stata studiata una tabella che tenesse conto del numero e del colore del layer in modo tale che i vari elementi si adattassero in automatico durante il passaggio, ad esempio, da una visualizzazione in stile di presentazione ad un raffronto a colori , utilizzato per percepire la gerarchia e la funzione dei vari elementi componenti il modello.

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Figura 8.5 - Visualizzazione in stile di presentazione di elementi strutturali del modello.

Figura 8.6 - Gli stessi elementi strutturali visualizzati con uno stile per il raffronto a colori tra gli oggetti in base al layer.

Stessi ragionamenti sono stati fatti a livello di deliverables bidimensionali, dove i vari materiali sono stati impostati in modo tale da poter ottenere vari tipi di rappresentazione automatizzati. E’ stata impostata la possibilità di passare da una visualizzazione preliminare, con riempimenti monocolore, ad una dettagliata, 133

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in cui tutti gli strati sono correttamente rappresentati con retini e riempimenti caratteristici (adattabili in base alla scala).

Figura 8.7 - Elementi in pianta con stile di visulizzazione per presentazione.

Figura 8.8 - Stessi elementi in stile di visualizzazione a livello preliminare.

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Figura 8.9 - Tabella relativa al legame colore layer-materiale per automatizzare l'aspetto degli oggetti a livello di presentazione.

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8.4 ANALISI LOTTO E CONCEPT LOD 100.

Per prima cosa, in base al lotto disponibile, sono stati indicati i limiti massimi edificabili e da lì è stata impostata una griglia modulare 60cmx60cm. Questo ha permesso di avere un passo il più possibile costante, cosa molto utile per la struttura a telaio in legno.

Alla griglia sono stati assegnati dei riferimenti numerici per righe e colonne in modo da avere corrispondenza di un’origine comune di progetto posta nel punto di coordinate (0,0).

Figura 8.10 - Analisi delle dimensioni massime edificabili del lotto e posizionamento della griglia di riferimento base.

Lo step successivo è stato, in base alle esigenze del cliente, strutturare un modello volumetrico della possibile soluzione compositiva.

Tramite la modellazione, sebbene molto basica, si è comunque potuto avere un’idea compositiva più comprensibile rispetto ad un approccio meramente bidimensionale.

Ulteriore vantaggio nell’uso di uno strumento di modellazione tridimensionale è stato quello di poter aver già un’idea di massima relativa alla conformazione del terreno di riporto dato che, per esigenze geologiche, in questo caso non è stato possibile progettare ambienti interrati.

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Figura 8.11 . Viste assonometriche associative della proposta volumetrica di progetto a LOD 100.

E’ stato possibile fin da subito, pur trovandosi ad un livello di dettaglio e di sviluppo molto basso, uno studio di massima del verde, proporzionandolo in relazione all’edificio.

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8.5 PROGETTO DI FATTIBILITA’ TECNICO-ECONOMICA A LOD 200 Una volta deciso l’ingombro volumetrico di progetto e la suddivisione di massima delle zone principali di progetto, la fase successiva si è basata sulla creazione delle pareti tipo, in modo tale da poter fare delle analisi più approfondite rispetto alla metratura dei vari ambienti e alle volumetrie nette.

Partendo da un LOD 200 si sono quindi create le “famiglie” principali di pareti ipotetiche all’interno del progetto suddividendole in base allo spessore e alla tipologia.

Trattandosi ancora di un LOD basso le pareti risultano essere mono-strato a livello grafico, pur contenendo attributi che ne differenziano la tipologia e la collocazione spaziale all’interno del progetto.

Figura 8.12 - Visualizzazione in pianta delle pareti mono-strato create ad hoc e inserimento di parametri informativi minimi per ottenere dei report utili e delle etichette smart.

Le pareti tipo ricavate sono state salvate come assistente all’interno di Allplan, per permettere all’utente di attingere facilmente a quella parete con quelle determinate caratteristiche, geometriche e informative, senza dover editare da capo tutti i parametri relativi.

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Tali pareti si possono adattare allo stile di visualizzazione. Nel nostro caso si è scelto di poterle visualizzare con uno stile multicolore, utile ad identificarle rapidamente all’interno del modello e fare un check di primo livello su eventuali errori di disegno, e con una modalità di rappresentazione al “finito”.

Questi ragionamenti sono stati applicati sia in pianta, tramite appositi stili area, che in vista tridimensionale, attraverso appositi stili linea.

Figura 8.13 - Rappresentazione in pianta di stili di visualizzazione differenti degli stessi elementi parete.

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Figura 8.14 - Visualizzazione degli elementi parete a LOD 200 con finitura intonacata.

Figura 8.15 - Visualizzazione degli elementi parete a LOD 200 in visualizzazione di controllo tramite colori.

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Con lo stesso ragionamento ci si è dedicati alla creazione delle altre sottostrutture dell’edificio come solai ed elementi di copertura.

Lo step successivo alla creazione e standardizzazione degli elementi base è stato quello di studiare una struttura a livelli che, insieme alla suddivisione verticale del progetto data dalla struttura opera 46, potesse permettere la creazione di una copertura a doppia falda su piani sfalsati con una parete in comune.

Sebbene possa sembrare banale come tipologia di copertura, all’interno dell’authoring risulta non essere di così immediata creazione, a causa della presenza della parete comune ai due livelli, la quale in parte si deve adattare al manto collocato più in basso e in parte a quello corrispondente alla zona notte rialzata 47.

A tal proposito si è deciso di creare un solido ad hoc che riprendesse la morfologia dell’inclinazione voluta su un quadro slegato dalla struttura opera, per poi trasformarlo in una serie di livelli liberi.

Figura 8.16 - Creazione dei livelli liberi ricavati dalla creazione di un solido ad hoc. A destra, con il simbolo di una falda inclinata rossa, si può notare l’assegnazione del livello copertura customizzato associato ad un quadro specifico.

Le altezze degli elementi all’interno del box auto e i solai sono legati alle quote introdotte nel manager livelli della struttura opera.

47 Nel livello sottostante è collocato il box auto che deve rispettare l’altezza minima consentita.

46

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Figura 8.17 - Adattamento dei livelli custom a falda inclinata sul piano del box auto associato ai livelli standard della struttura opera.

In questa maniera gli elementi all’interno del volume colorato, visibile nelle immagini soprastanti, sono stati legati, per il parametro di altezza, alla superficie inferiore e superiore di tale solido.

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Figura 8.18 - Immagine che mostra come l'inclinazione delle pareti sottostanti al gruppo di livelli si adatti alla geometria a falda inclinata precedentemente modellata.

Figura 8.19 - Spaccato assonometrico dal quale si può percepire la problematica dovuta al cambio di livello tra le due zone giorno e notte.

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Dopo aver deciso a livello progettuale la disposizione interna, la destinazione d’uso degli ambienti e tutto ciò che concerne l’aspetto compositivo, lo step successivo è stato quello di personalizzare i serramenti interni ed esterni.

Per fare ciò si è utilizzato l’editor interno di Allplan, affinché potesse essere creato un abaco di riferimento per ogni tipologia di serramento, sia che si tratti di una porta, che di una finestra. In tal modo è stato possibile codificarli ed etichettarli correttamente.

Figura 8.20 - Screenshot della maschera per l'editor dei serramenti interno ad Allplan. Una volta creato il serramento tipo è possibile salvarlo e riutilizzarlo successivamente in modo tale da avere coerenza informativa e geometrica all'interno del PIM.

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Figura 8.21 - Pianta preliminare con indicate le posizioni e i codici di riferimento dei serramenti

Ogni serramento, essendo un oggetto intelligente, può essere legato agli elementi della stessa tipologia.

Nel nostro caso sono stati creati finestre ad anta singola, doppia, tripla, porte finestre ad anta singola e anta doppia, porte interne a battente, porte scorrevoli e il portoncino di ingresso all’abitazione.

Ai vari serramenti è stato possibile associare degli attributi informativi, utili per analizzare gli elementi attraverso report o etichette customizzabili.

Figura 8.22 - Esempio di serramento smart con parte informativa associata e coerente all'etichetta custom e automatizzata.

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Successivamente ci si è concentrati nella definizione dei vani interni, intesi come entità volumetrica, ai quali è stato possibile associare una serie di parametri informativi, estrapolabili tramite report. Questo approccio ha permesso di controllare la coerenza delle metrature\volumetrie e degli standard minimi a livello abitativo.

Ai vani possono sono state legate, inoltre, delle superfici di finitura sia a livello di pavimento, che di soffitto, che laterali, in modo da poter ottenere un computo dettagliato dei vari materiali.

Figura 8.23 - Visualizzazione dei vani esportati IFC e aperti con BIMvision, IFC reader open. Si può notare la presenza di informazioni legate alla parte geometrica.

Come per gli altri elementi anche ai vani è statao possibile associare delle informazioni per rendere smart etichette, legende e report.

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Figura 8.24 - Pianta con etichettatura smart dei vani per codice e metri quadri netti di pavimento.

Sfruttando le proprietà dei vani sono state create legende ad hoc automatizzate. In questo caso si può vedere l’esempio di una legenda creata per identificare il cambio di pavimentazione.

Figura 8.25 - Legenda automatizzata che identifica le varie tipologie di pavimentazione scelte legate ai vani.

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8.6 FASE DI CONTROLLO E PRODUZIONE DI REPORT Definito il progetto di massima con elementi mono-strato si è passati poi alla verifica e alla produzione di report che potessero dare indicazioni su: -

Check delle superfici abitabili

-

Controllo della SLP

-

Controllo delle volumetrie

-

Calcolo RAI

-

Abaco serramenti

Dai quali si è poi potuto partire per fare una previsione economica coerente su: -

Oneri urbanistici

-

Costo di costruzione

Figura 8.26 - Calcolo delle superfici automatizzato e legato ai vani. Si può notare la possibilità di raggruppare i vani sia a livello logistico che secondo criteri di abitabilità.

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Per quanto riguarda i calcoli economici ci si è serviti della possibilità di linkare, tramite OLE, all’interno di Allplan stesso un foglio prodotto con Excel. Questo ha permesso di mantenere il link sempre aggiornato e poterlo modificare direttamente all’interno dell’authoring qualora fosse stato necessario.

Figura 8.27 – OLE creato per il calcolo dei costi urbanistici e di costruzione inserito all'interno di un quadro di Allplan. Modificabile e aggiornabile in automatico.

Figura 8.28 - Esempio di report estrapolato per confrontare il volume lordo e al netto delle murature.Il report calcolato può essere salvato all’interno di Allplan o esportato in una serie di formati tra cui PDF e xls.

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Figura 8.29 - Esempio di calcolo automatizzato del RAI con check di incongruenze sotto l'1/8 in base alla tipologia dei serramenti.

In base alla definizione delle dimensioni e delle caratteristiche geometrico-informative dei serramenti è stato possibile creare un report dettagliato di tutti gli elementi scelti.

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Figura 8.30 - Estratto dell'abaco serramenti con preview grafica e aggiunta di note relative al tipo di oscurante scelto.

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Tutta questa documentazione ha permesso, insieme alle tavole di progetto e alla creazione del modello digitale, di portare la proposta progettuale ad una serie di aziende prefabbricatrici in legno, affinché potessero fare un’offerta attinente, dettagliata e plausibile.

Questo tipo di approccio ha sicuramente migliorato la collaborazione tra lo studio di progettazione e l’ufficio tecnico di riferimento durante la fase di preventivazione, evitando perdite di tempo riguardanti chiarimenti o problematiche riscontrate anche solo a livello di incongruenze geometriche.

Di seguito vengono allegati i deliverables prodotti direttamente dal modello per lo studio di fattibilità economica dell’opera a LOD 200.

Figura 8.31 - Situazione grafica del PIM a LOD 200 durante la creazione dei deliverables per la richiesta preventivi.

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8.7 SELEZIONE DELL’OFFERTA E IMPLEMENTAZIONE DEL MODELLO A LOD 300 Una volta arrivate tutte le offerte da parte dei prefabbricatori, in base alle esigenze della committenza, si sono selezionate la tipologia costruttiva 48 e l’azienda prefabbricatrice di riferimento.

Conseguentemente alla scelta della proposta è nata l’esigenza di aggiornare il modello digitale e implementarne il dettaglio sia geometrico che informativo.

Si è passati quindi da un LOD 200, legato allo studio di fattibilità tecnico-economica, ad un LOD 300, sostanzialmente corrispondente ad un dettaglio definitivo, in modo tale che gli accorgimenti presenti all’interno dell’offerta fossero considerati nella versione più aggiornata.

Il tutto è partito, come a LOD più basso, dalla creazione ad hoc di pacchetti parete e oggetti smart che potessero soddisfare il livello di dettaglio richiesto dalla fase progettuale.

Si è passati da murature mono-strato a multistrato in cui viene evidenziato l’ingombro della parte strutturale rispetto agli spessori di rivestimento.

Come per i LOD più bassi anche in questo caso le pareti si adatto agli stili di visualizzazione, al tipo di disegno e alla scala.

Figura 8.32 - Visualizzazione in pianta in stile di visualizzazione preliminare di pareti multi-strato e parte informativa relativa alla parete suddivisa nei singoli strati.

48 Erano state selezionate aziende sia con proposte di struttura a telaio, sia a struttura X-Lam. Alla fine si è optato per la struttura a telaio.

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Figura 8.33 - Confronto di stili di rappresentazione diversi degli stessi elementi. A sinistra la visualizzazione per la presentazione e a destra una visualizzazione a colori ad alto contrasto in base al materiale.

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Figura 8.34 - Visualizzazione degli elementi parete a LOD 300 con finitura materica.

Figura 8.35 - Stessi elementi in visualizzazione a colori suddivisi per materiale.

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Terminata la fase di setting delle tipologie di pareti presenti all’interno del progetto in base ai pacchetti stratigrafici proposti dal prefabbricatore, la fase di progettazione si è spostata sull’analisi dei nodi di collegamento tra gli elementi costruttivi.

Arrivati ad un LOG di questo tipo infatti si è dovuto tener conto di tutti risvolti dei vari rivestimenti e dei nodi d’incontro tra elementi orizzontali e verticali, in modo tale non ci fossero incongruenze geometriche e clash tra i vari strati.

I nodi di attacco tra la struttura in CA, box auto, e la parte prefabbricata, la parete in corrispondenza del salto di quota e la zona delle scale sono stati tra i più complessi da studiare a causa del continuo cambio di quota degli strati e della sagomatura a cui essi dovevano essere sottoposti (ad esempio per quanto riguarda i gradini della scala).

Avendo poi un nucleo strutturale ben delineato e fissato, si è tenuto in conto il posizionamento delle varie pareti in base ai fili della griglia di riferimento, in modo tale da poter modificare facilmente lo spessore dei componenti del pacchetto stratigrafico senza creare incoerenze a livello di posizione strutturale dei vari elementi.

Figura 8.36 - Maschera relativa alla customizzazione dei parametri parete tra cui è presente la possibilità di posizionare l'asse di riferimento per il posizionamento dell'elemento (viola).

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Figura 8.37 - Posizionamento delle pareti in base alla griglia modulare, fissando l'asse dell'elemento in modo da mantenere i fili strutturali coerenti.

Figura 8.38 - Vista di dettaglio in sezione piana e 3D del nodo parete-copertura.

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Per ovviare a queste problematiche in alcuni punti si sono utilizzati dei livelli personalizzati affinché gli elementi interessati fossero “influenzati” da tali restrizioni geometriche.

Un esempio su tutti è quello delle scale tra i vari piani che presentano una struttura sagomata per quanto riguarda i pannelli di cartongesso e lo strato di finitura.

Figura 8.39 - Struttura di livelli personalizzati per riuscire ad avere una corretta sagomatura degli strati lungo le scale.

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Figura 8.40 - Sezione esemplificativa dell'articolazione dei nodi tra struttura in legno, zona notte, e in calcestruzzo, box auto.

Ulteriori implementazioni, per arrivare ad un dettaglio definitivo, sono state applicate alla stratigrafia di copertura, anch’essa legata alle proposte fatte dall’azienda prefabbricatrice.

Tramite l’uso dei tool interni di Allplan si è riusciti ad abbozzare una struttura di copertura comprensiva di travetti, assiti e arcarecci associati ai vari strati di coibentazione, areazione e impermeabilizzazione.

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Figura 8.41 - Modello della copertura in legno su entrambi i livelli.

Figura 8.42 - Sezione trasversale del pacchetto copertura con etichettatura automatizzata dei vari componenti.

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Anche la parte relativa ai serramenti è stata implementata in questa fase, inserendo gli elementi legati alle scelte sugli oscuranti, il dettaglio del profilo del serramento, la parte informativa relativa alle caratteristiche di coibentazione e la documentazione inerente.

Figura 8.43 - Particolare del dettaglio in sezione e in vista 3D del nodo serramento-parete, comprensivo di oscurante e davanzale.

Figura 8.44 - Vista di dettaglio in pianta della connessione parrete-parete e dei risvolti a livello di serramento.

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Ulteriori approfondimenti sono stati effettuati poi per quanto riguarda la parte dei vani e la personalizzazione delle finiture superficiali per ogni singolo ambiente.

In questo caso sono tornate utili tutte le modellazioni dettagliate del comportamento dei vari strati di parete. E’ stato così possibile associare, tramite appositi filtri, la finitura in maniera accurata.

Figura 8.45 - Visualizzazione a colori delle varie finiture laterali differenziate in base all'ambiente di riferimento.

Sono stati studiati con la stessa finalità i controsoffitti da applicare in alcuni degli ambienti interni, tenendo conto dell’esigenza della proprietà di utilizzare un impianto di aerazione meccanica.

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Figura 8.46 - Visualizzazione dello strato di finitura e del sistema di controsoffitti interno rispetto ai vari ambienti.

Arrivati a questo livello di progettazione tutto il materiale è stato condiviso con l’azienda prefabbricatrice in modo tale da poter ricevere le indicazioni di riferimento per la parte strutturale a telaio e la copertura definitiva.

Da questo momento in poi sono stati strutturati gli accorgimenti per raggiungere un ulteriore livello di sviluppo per quanto riguarda sia la parte geometrica che quella informativa.

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8.8 ANALISI DEL MATERIALE STRUTTURALE E IMPLEMENTAZIONE A LOD 350 Recepito il materiale definitivo sulla proposta di struttura a telaio il processo progettuale si è diretto verso l’implementazione degli elementi in legno all’interno dello spessore strutturale impostato per quanto riguarda le pareti a LOD300.

All’interno dell’ingombro della struttura è stato aggiunto, nelle parti non occupate dalla parte lignea, lo strato isolante interno alla parete, comprensivo di intercapedine d’aria.

Ad ogni parete, ove possibile, sono state associate le schede tecniche del produttore, i valori di isolamento acustico e termico.

Tutti questi accorgimenti sono stati, come per tutti i workflow inerenti agli altri LOD, catalogati all’interno di pareti-tipo, in modo tale da avere un database aggiornabile e coerente con la proposta progettuale.

Figura 8.47 - Le varie pareti in visualizzazione preliminare in pianta e un esempio di parte informativa relativa alla parete divisioria in cartongesso.

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Figura

8.48

-

RImando

diretto

alla

scheda

prodotto

partendo

dal

link

all'interno

degli

Figura 8.49 - Estratto della scheda tecnica del prodotto legata ad un link interno agli attributi dell'elemento.

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attributi

della

parete.

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Figura 8.50 - Confronto di stili di rappresentazione diversi degli stessi elementi.

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Figura 8.51 -Visualizzazione degli elementi parete a LOD 350 con finitura materica

Figura 8.52 - Visualizzazione degli elementi parete a LOD 350 a colori in base al materiale\tipologia di elemento.

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Stesso ragionamento è stato impostato per quanto riguarda la parte relativa alle stratigrafie dei vari solai.

Ogni pacchetto è stato riprodotto in versione “assistente” dalla quale attingere per avere un riferimento comune.

Nella costruzione degli elementi si è tenuto, anche in questo caso, conto della configurazione “smart” adattabile ai vari print-set e stili di visualizzazione.

Partendo dal basso verso l’alto sono stati definiti il solaio del box auto, il solaio della zona giorno e il solaio interpiano tra box e zona notte.

Anche in questo caso si è dedicata attenzione alla parte informativa relativa ai vari elementi, inserendo caratteristiche fisiche della stratigrafia e, ove necessario, schede tecniche dei vari prodotti.

Figura 8.53 - Esempio di sezione adattiva della stratigrafia del solaio box con etichette automatizzate.

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Figura 8.54 - Sezione adattiva della stratigrafia di uno dei solai nella zona giorno.

Figura 8.55 - Sezione adattiva della stratigrafia di uno dei solai interpiano nella zona notte.

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Figura 8.56 - Pacchetto solaio box in visualizzazione con finitura materica.

Figura 8.57 - Pacchetto solaio box in visualizzazione a colori in base al materiale.

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Figura 8.58 - Pacchetto solai zona giorno in visualizzazione con finitura materica.

Figura 8.59 - Pacchetto solai zona giorno in visualizzazione a colori in base al materiale.

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Figura 8.60 - Pacchetto solai zona notte in visualizzazione con finitura materica.

Figura 8.61 - Pacchetto solai zona notte in visualizzazione a colori in base al materiale.

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Figura 8.62 - Oggetto smart customizzato per identificare il sistema di aerazione Iglù® a cui è stata associata la parte informativa relativa al prodotto scelto.

Una volta definite le stratigrafie verticali e orizzontali si è passato all’inserimento della struttura lignea all’interno del pacchetto murario in modo tale da poter avere l’effettiva incidenza dello strato isolante rispetto alla porzione strutturale.

Basandosi sulla proposta progettuale del prefabbricatore è stato creato un modello vero e proprio di authoring strutturale identificativo dei montanti e dei traversi costituenti il sistema a telaio.

Si è tenuto conto di schemi di riferimento per gestire i nodi solaio-parete, parete-copertura e parete-parete vincolati alle metodologie di assemblaggio degli elementi.

Alla parte “leggera” è stato aggiunto il sistema portante con trave di colmo e dormienti a chiusura dei nodi d’appoggio.

Tutti gli elementi sono stati differenziati per tipologia e layer in modo tale da poter essere riconoscibili e facilmente filtrabili 49.

49

Questa procedura torna utile a livello di condivisione IFC, perché le colorazioni indicate si mantengono in esportazione.

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Figura 8.63 - Modello dei componenti strutturali in legno in visualizzazione materica.

Figura 8.64 - Modello dei componenti strutturali in legno in visualizzazione a colori a seconda della tipologia.

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Figura 8.65 - Modello strutturale con aggiunta della parte isolante in spessore in visualizzazione materica.

Figura 8.66- Modello strutturale con aggiunta della parte isolante in spessore in visualizzazione a colori in base alla tipologia.

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Figura 8.67 - Prova di esportazione del modello strutturale in IFC. I colori si mantengono perfettamente anche all'interno del IFCreader, in questo caso BIMvision.

Una volta definita la parte in legno il passaggio successivo è stato quello di analizzare la connessione con il piano in CA. A tal proposito sono state analizzate le connessioni legno-calcestruzzo per evitare problemi di verticalità alle pareti prefabbricate.

Le connessioni studiate sono di due tipologie, come proposte dall’azienda prefabbricatrice, e contengono tutta la parte informativa necessaria per individuare univocamente il prodotto e le caratteristiche ad esso legate.

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Figura 8.68 - Studio connessione nodo legno-CA. Sezione associativa direttamente ricavata dal modello.

Figura 8.69 - Vista assonometrica 3D automatizzata del nodo in analisi.

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Figura 8.70 - Modello 3D della connessione interna legno-CA.

Figura 8.71 - Modello 3D della connessione esterna legno-CA.

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Figura 8.72 - Parte informativa legata alla connessione tipo legno-CA.

Figura 8.73 - Scheda tecnica del prodotto linkata direttamente all'interno degli attributi elemento.

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Figura 8.74 - Modello strutturale CA+Legno con relative connessioni.

Per arrivare al livello di sviluppo desiderato sono stati implementati poi gli elementi costituenti la copertura dell’edificio.

Sono stati inserite le sottostrutture in legno per il fissaggio dei pannelli isolanti, la parte in lattoneria, i singoli coppi di copertura, la linea vita, i pannelli fotovoltaici e il loro sistema di fissaggio.

Particolare cura è stata data al workflow di creazione e inserimento dei coppi che, nonostante non fosse necessario individuarli singolarmente a livello progettuale, ha permesso di indagare le possibilità d’uso del tool facciata 50interno ad Allplan, senza per questo snaturare l’identità del manto di copertura.

Tramite l’utilizzo della facciata è stato possibile randomizzare i 3 diversi elementi base scelti distribuendoli lungo le falde di copertura e andando a creare un effetto più “realistico” al manto.

Del manto di copertura e degli elementi smart legati ad esso sono stati creati una serie di assistenti in modo da avere un modello tipo di riferimento replicabile.

Tramite gli stessi passaggi possono essere creati degli elementi di facciata randomizzati e computabili senza dover utilizzare software di visual programming o plug-in esterni.

50

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Figura 8.75 - Abaco degli elementi di copertura creato come riferimento di base.

Figura 8.76 - Analisi delle connessioni parete-copertura tramite sezioni automatizzate.

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Figura 8.77 - Maschera di parametrizzazione dell'elemento facciata per la distribuzione dei coppi random.

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Figura 8.78 - Visualizzazione a colori della struttura di copertura. Si può notare la randomizzazione dei coppi in 4 diverse tipologie (3 della falda e 1 di colmo).

Figura 8.79 - Visualizzazione materica della struttura di copertura.

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Figura 8.80 - Definizione finale a LOD 350 della struttura lignea comprensiva di copertura.

Figura 8.81 - Report di analisi per la copertura randomizzata e parametrizzata suddiviso in base alla tipologia di elemento.

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Definita in maniera dettagliata la copertura è nata l’esigenza di impostare anche l’arredo da un punto di vista “smart”.

La volontà è stata quella di avere degli oggetti tridimensionali personalizzabili che si potessero adattare alle varie tipologie di visualizzazione e che non fossero troppo pesanti a livello di modello.

Allo stesso tempo dovevano essere associati ad una vista in pianta simbolica e personalizzabile e non vincolata per forza di cose alla complessità del modello tridimensionale.

Partendo da questi presupposti è stato utilizzato il tool “macro” di Allplan per customizzare gli arredi, sia che fossero modellati all’interno dell’authoring, che provenienti dalla 3D Wharehouse di Trimble Sketchup 51.

Grazie alla struttura delle macro è stato possibile anche associare degli attributi ai singoli oggetti, qualora si fosse trattato di elementi di design di determinati brand, corredandoli con schede tecniche e, se presenti, relativi prezzi di listino.

Gli elementi sono stati suddivisi in modelli principali e modelli “decorativi” in modo tale da poter adattare il livello di dettaglio alle esigenze.

Tutti gli arredi sono stati creati come “assistente” separatamente in modo tale da essere salvabili all’interno della libreria di progetto come asset di riferimento.

Tutti gli arredi, in quanto macro, sono stati associati al vano corrispondente e linkati alla superficie di pavimento correlata, affinché potessero posizionarsi in automatico nello spazio ed essere catalogabili durante eventuali fasi di analisi.

51

Utilizzando l’import diretto di file .skp in Allplan.

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Figura 8.82 - Assistente creato come riferimento per gli elementi d'arredo. Vista in pianta.

Figura 8.83 - Assistente creato come riferimento per gli elementi d'arredo. Vista 3D.

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Figura 8.84 - Maschera di modifica macro con inserimento di variabili per il comportamento smart a livello di visualizzazione 2D e 3D.

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Figura 8.85 - Modello 3D di sedia con associazione di attributi informativi specifici del tipo di prodotto.

Figura 8.86 - Vista in pianta arredata a scala 1:100.

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Figura 8.87 - Vista in pianta arredata in scala 1:50. Implementazione del dettaglio degli arredi.

Figura 8.88 - VIsta assonometrica arredo linkato alle superfici pavimento.

Per implementare il grado di dettaglio è stato scelto di studiare anche il posizionamento dei corpi luminosi all’interno della casa, personalizzandoli ambiente per ambiente.

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Per quanto riguarda i faretti incassati si sono intagliati i vari controsoffitti in corrispondenza del punto luce.

Per minimizzare il peso relativo alla parte modellata, soprattutto per quanto riguarda le luci incassate, sono state create delle macro in maniera tale da poter sfruttare le proprietà proxy delle istanze di modellazione.

Figura 8.89 - Vista esempio interna definitiva a LOD 350 della zona soggiorno e cucina.

Definiti gli interni si è deciso di aggiornare la parte esterna e aumentare il livello di sviluppo dei percorsi, della vegetazione e di introdurre l’illuminazione.

Tutti gli elementi modellati sono stati ridotti a macro e resi smart, sia per avere lo stile di disegno voluto in pianta, che per ridurre il peso del progetto stesso.

Figura 8.90 - Esempio di parametrizzazione degli elementi di una fiorirera esterna.

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Figura 8.91 - Effetto in pianta delle macro relative al verde.

Figura 8.92 - Vista 3D della sistemazione esterna.

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Figura 8.93 - Modello architettonico completo a LOD 350 in vista assonometrica di presentazione.

Una volta ricevuti i carichi derivanti dalla struttura in legno sviluppata dall’azienda prefabbricatrice si è passati al dimensionamento delle fondazioni in calcestruzzo armato.

La scelta, legata anche alle esigenze di planarità per l’appoggio delle pareti da parte del prefabbricatore, è ricaduta sull’utilizzo di una platea in calcestruzzo con vespaio areato tramite l’utilizzo di Iglu’, riducendo al minimo il problema dell’umidità di risalita.

Come descritto precedentemente gli iglù sono stati resi smart per poter contenere informazioni relative al produttore e gravare meno sul peso del modello totale.

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Sono stati in seguito creati i risvolti di coibentazione per annullare i possibili ponti termici nei nodi calcestruzzo-legno e nelle zone di pavimentazione esterna.

Figura 8.94 - Esempio di risoluzione dell'attacco a terra fondazione-parete prefabbricata.

Figura 8.95 - Sezione automatizzata in vista 3D dell'edificio.

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Definito l’attacco a terra e la fondazione nel dettaglio è stato possibile creare i vari deliverables utili per un LOD 350 direttamente dal modello in maniera automatizzata.

Tutti gli elementi grafici visibili all’interno delle tavole infatti sono legati ai vari elementi e possono cambiare dinamicamente in base alle modifiche effettuate direttamente sull’asset digitale.

Questo permette di avere un PIM sempre aggiornato e coerente sia a livello informativo che meramente grafico.

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8.9 ESPORTAZIONE IFC E STRUTTURAZIONE MODELLO INTEROPERABILE Definito in maniera univoca il modello digitale si è cercato di esplorare le possibilità di condivisione tramite sistemi di Common Data Environment legati alla piattaforma Allplan.

Figura 8.96 - Schermata iniziale di Nemetschek BIMplus.

La facilità d’uso della piattaforma e la possibilità di sincronizzazione in tempo reale dell’asset hanno reso interessante questo tipo di “esperimento” applicato attraverso test di importazioni ed esportazioni ad estensione neutra IFC. Il modello di riferimento venutosi a creare è un insieme di modelli più piccoli, date le dimensioni considerevoli del file totale, suddivisi gerarchicamente a seconda della disciplina di riferimento e della posizione spaziale dei vari elementi.

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Figura 8.97 - Visualizzazione e gestione dei singoli modelli di cui è composto il PIM.

In tal modo si è potuto ottenere un buon punto di partenza per poter analizzare lo stato definitivo del lavoro, rendendolo fruibile facilmente anche a chi non possiede e o non conosce il funzionamento di un software di BIM authoring. All’interno dell’ambiente di condivisione inoltre è stato possibile testare i tool per la collaborazione tramite file BCF, l’aggiunta e sincronizzazione di tasks con l’authoring, la possibilità di effettuare dei check e delle clash detection in maniera semplice ed intuitiva.

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Figura 8.98 - Vista del PIM all'interno del CDE scomposto secondo la struttura opera impostata all'interno di Allplan e in base ai singoli modelli caricati separatamente.

Figura 8.99 - Esempio di gestione degli stili di visualizzazione degli elementi direttamente all'interno di BIMplus per un check approfondito delle informazioni geometriche e non.

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Un altro aspetto importante della piattaforma BIMplus è stata la possibilità di gestire e modificare anche la parte informativa dei vari elementi, aggiungendo, togliendo o correggendo determinati parametri all’interno del modello digitale.

Figura 8.100 - Vista interna del modello IFC arredato ed interrogabile.

Figura 8.101 - Isolamento degli elementi vani differenziati per tipologia tramite colorazioni ad hoc.

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E’ stato possibile vedere come tali correzioni si ripercuotessero, in maniera sincronizzata, sul modello all’interno dell’authoring, permettendo di avere sempre sotto controllo lo stato di avanzamento progettuale aggiornato alle ultime modifiche effettuate in tempo reale.

Figura 8.102 - Esempio di personalizzazione dei parametri dei singoli oggetti direttamente all'interno della piattaforma cloud.

Importante è notare poi che tutte le modifiche applicate al modello, i caricamenti degli eventuali documenti e gli accessi possono essere gestiti e puntualmente segnalati dalla piattaforma in cloud, in maniera tale da aver sempre sotto controllo il flusso di responsabilità di tutte le azioni svolte sul PIM e all’interno dell’ambiente di condivisione dati.

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8.10 ESPORTAZIONE PER VIRTUAL REALITY Ultimo passaggio è stato quello di cercare un flusso di lavoro comodo che permettesse di esportare il modello digitale verso un software per Virtual Reality. La scelta è ricaduta su Twinmotion, un software di Abvent, molto performante per quanto riguarda la renderizzazione in real-time.

Non essendoci un link diretto con Allplan 52 è stato necessario esportare il PIM in formato .c4d per poter permettere a Twinmotion di importare i dati.

Figura 8.103 - Importazione del modello in Maxon Cinema4D per il check e l'ottimizzazione delle geometrie

Questo non è stato però del tutto un problema poiché, passando attraverso Cinema4D, si è avuta l’occasione di controllare il modello ed ottimizzare le geometrie, ove necessario, per renderlo il più snello possibile.

Anche in questo caso il modello per comodità è stato suddiviso in una serie di parti e importato in più trance all’interno del software di rendering real-time.

52

Cosa che esiste per altri software di authoring come ArchiCAD e Revit.

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Figura 8.104 - Imporatazione deli vari modellli in formato .c4d all'interno dell'interfaccia di Twinmotion.

Nonostante la parte informativa non potesse passare da un software all’altro 53, la parte geometrica è stata importata perfettamente da Twinmotion, il quale è riuscito anche a percepire i diversi materiali creati precedentemente nel software di authoring associandoli direttamente agli elementi d’appartenenza in automatico.

Figura 8.105 - Gestione materiali all'interno di Twinmotion.

53

L’importazione non è un file IFC, quindi tutte le informazioni vengono ovviamente perse durante il processo di conversione.

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Nonostante il peso considerevole del modello Twinmotion ha gestito egregiamente il tutto, riuscendo a restituire un effetto fotorealistico del modello in tempo reale.

Figura 8.106 - Creazione dei media di riferimento per immagini e video da esportare.

Impostato con cura tutto il modello e inseriti i vari dettagli, in particolar modo quelli relativi alla vegetazione 54, è stato poi possibile estrapolare immagini di rendering di interni ed esterni, sia in modalità notturna che diurna, e filmati molto interessanti dal punto di vista dell’impatto visivo tra cui un test sul cambiamento meteo e delle stagioni e un tour virtuale all’interno dei vari ambienti arredati dell’edificio.

54 E’ stato deciso di utilizzare gli asset interni di Twinmotion per quanto riguarda la vegetazione perché più leggeri, gestiti meglio dal programma e dinamici.

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Figura 8.107 - Setting della vista notturna esterna.

Figura 8.108 - Setting della vista nottura interna.

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Figura 8.109 - Setting della vista diurna interna.

Twinmotion ha quindi permesso di ricavare dei deliverables a livello di visual art accattivanti ed in pochissimo tempo, dando la possibilità alla committenza di “immergersi” all’interno della copia virtuale di quella che sarà la propria abitazione.

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9 NORMATIVA DI RIFERIMENTO E GLOSSARIO 9.1 NORMATIVA DI RIFERIMENTO Durante questa trattazione sicuramente hanno giocato un ruolo fondamentale i testi normativi che influenzano l'adozione e l'approccio da parte degli utenti al mondo del Building Information Modelling.

Tutte le riflessioni fatte nascono dall'interazione tra normative provenienti da paesi differenti, cercando di carpirne pregi e difetti di ognuna.

Il seguente elenco indica i principali riferimenti normativi in ambito BIM attualmente disponibili, utili per avvicinarsi il più coerentemente possibile all’argomento e capirne meglio la natura e i processi che ne stanno alla base.

•

Direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo del 26 Febbraio 2014 in materia di appalti pubblici che abroga la direttiva 2004/18/CE;

•

Dlgs 50/2016 del 18 Aprile, che recepisce la direttiva europea 2014/24/UE e riformula la struttura dei contratti pubblici;

•

UNI 11337-1:2017 "Edilizia e opere di ingegneria civile - Gestione dei processi informativi delle costruzioni. Parte 1: Modelli, elaborati e oggetti informativi per prodotti, processi";

•

UNI/TS 11337-3:2015 "Edilizia e opere di ingegneria civile - Criteri di codificazione di opere e prodotti da costruzione, attività e risorse - Parte 3: Modelli di raccolta e organizzazione e archiviazione dell'informazione tecnica per prodotti da costruzione";

•

UNI 11337-4:2017 "Edilizia e opere di ingegneria civile - Gestione digitale dei processi informativi delle costruzioni - Parte 4: Evoluzione e sviluppo informativo di modelli, elaborati ed oggetti";

•

UNI 11337-5:2017 "Edilizia e opere di ingegneria civile - Gestione digitale dei processi informativi delle costruzioni - Parte 5: Flussi informativi nei processi digitalizzati";

•

UNI/TR 11337-6:2017 "Edilizia e opere di ingegneria civile - Gestione digitale dei processi informativi delle costruzioni - Parte 6: Linea guida per la redazione del Capitolato Informativo";

•

ISO STEP 10303, Standard for Exchange of Product model data;

•

ISO 16354:2013, Guidelines for knowledge libraries and object libraries;

•

ISO 16757-1:2015, Data structures for electronic product catalogues for building services concepts, architecture and model;

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•

ISO 16757-2:2016, Data structures for electronic product catalogues for building services geometry;

•

ISO/TS 12911:2012, Framework for building information modelling (BIM) guidance;

•

ISO/DIS 19650-1, Organization of information about construction works - Information management using building information modelling - Part 1: concepts and principles;

•

ISO/DIS 19650-1, Organization of information about construction works - Information management using building information modelling - Part 2: delivery phase of assets;

•

PAS 1192-2:2013, Specification for information management for the capital/delivery phase of construction projects using building information modelling;

•

PAS 1192-3:2014, Specification fot information management for the operational phase of assets using building information modelling;

•

BS 1192-4:2014, Collaborative production of information - Part 4: Fulfilling employer's information exchange requirements using COBie - Code of practice;

•

PAS 1192-5:2015, Specification for security-minded building information modelling, digital built environments and smart asset management;

•

ISO 16739:2913, Industry Foundation Classes (IFC) for data sharing in the construction and facility management industries;

•

ISO 29481-1:2016, Building information models - Information delivery manual - Part 1: Methodology and format;

•

ISO 29481-2:2012, Building information models - Information delivery manual - Part 2: Interaction framework;

•

ISO 12006-2:2015, Building construction - Organization of information about construction works - Part 2: Framework for classification;

•

EN ISO 12006-3:2016, Building construction - Organization of information about construction works - Part 3: Framework for object-oriented information;

•

AIA Document E203-2009, Building Information Modeling and Digital Data Exhibit;

•

AIA Document G202-2013, Project Building Information Modeling Protocol Form;

•

BS 8541-3:2012, Library objects for architecture, engineering and constructrion. Shape and measurement. Code of practice.

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Figura 9.1 - Principali organizzazioni di normazione tecnica.

9.2 DEFINIZIONI E ACRONIMI •

ACDat: Ambiente di condivisione dati, spazio digitale nel quale vengono disposti e organizzati tutti gli elaborati digitali legati all'opera.

•

ACDoc: Ambiente di condivisione documenti, cioè l'archivio di raccolta delle copie degli elaborati in forma non digitale.

•

AEC: Architecture, Engineering and Construction, acronimo che indica appunto il settore delle costruzioni.

•

AIA: American Institute of Architects.

•

AIM: Asset Information Model, ovvero lo stadio del modello informativo da utilizzare durante il ciclo di vita successivo alla costruzione dell'opera (modello As-Built).

•

BCF: BIM collaboration format, è il formato non proprietario interoperabile per produrre tasks all'interno del processo progettuale, collegandole direttamente al modello informativo. Non contempla informazioni geometriche ma solo alfanumeriche.

•

BEP: BIM Execution Plan, ovvero un documento redatto dall'appaltatore che illustra le metodologie di lavoro e l'approccio del team a livello BIM. E' la risposta alle rischieste proposte nell'EIR (Employer's Information Requirements). In Italia corrisponde ai documenti di Gestione Informativa.

•

BRep: Boundary Representation, ovvero la rappresentazione di una figura solida tramite un volume chiuso dalle proprie superfici.

•

bSI: buildingSMART International, associazione no-profit impegnata nella divulgazione dell'openBIM

•

BSI: British Standard Institute, ente nazionale inglese per la normazione.

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•

CAD: Computer Aided Drawing, è un settore dell'informatica che si occupa della creazione di software atti a produrre elaborati inerenti alla progettazione.

•

CDE: Common Data Environment, ambiente digitalizzato in grado di raccogliere e catalogare gli elaborati digitali provenienti da una progettazione BIM.

•

CAPEX: Capital Expenditure, ovvero le spese necessarie per sostenere la costruzione di un bene immobile (opera edilizia).

•

CI: Capitolato informativo, documento esplicativo delle esigenze e degli standard normativi da rispettare, stilato da parte della committenza.

•

CIC: Construction Industry Council, ente rappresentativo di ricerca britannico nell'ambito delle costruzioni.

•

Clash detection: Analisi delle incongruenze geometriche all'interno del modello informativo

•

COBie: Construction Operations Building information exchange, è un formato a template aperto per lo scambio di informazioni non grafiche inerenti all'ambito del Facility Managment, cioè la gestione dell'opera dopo la sua costruzione (si tratta di un foglio di calcolo excel).

•

CSG: Construction Solid Geometry, ovvero la rappresentazione di oggetti tridimensionali tramite operazioni booleane (somma, sottrazione, intersezione) tra elementi geometrici basilari (sfera, cilindro, toro, cubo, cono).

•

CV: Coordination View, è una tipologia di Model View Definition (tra le più usate), che permette l'interscambio di geometrie e informazioni di ambito architettonico e impiantistico.

•

DXF: Drawing Exchange Format, formato di interscambio tra software CAD.

•

EIR: Employer's Information Requirements, documento redatto dalla committenza in cui sono definiti gli standard e gli obiettivi da raggiungere con la progettazione (in Italia corrisponde al Capitolato Informativo).

•

ERP: Enterprise Resource Planning, è un software per la gestione d'impresa, atto a migliorare i processi aziendali interni.

•

FM: Facility Management, ovvero la gestione e manutenzione dell'opera.

•

gbXML: Green Building XML, è un formato aperto di interscambio per tutte le operazioni e le analisi relative all'ambito energetico.

•

IAI: International Alliance for Interoperability, l'attuale buildingSMART 245

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•

ICT: Information and Communication Technology, tutto ciò che comprende la comunicazione e l'informazione attraverso strumenti tecnologici.

•

IDM: Infomation Delivery Manual, è un manuale proposto da buildingSMART per la caratterizzazione dei flussi informativi e dei processi in ambito BIM. Esiste un IDM specifico per ogni IFCsubset o MVD.

•

IFC: Industry Foundation Classes, formato file non proprietario e interoperabile su cui si basa lo scambio dati e la collaborazione in ambito openBIM. E' regolamentato da una norma ISO.

•

IFD: International Framework for Dictionaries, è un dizionario internazionale proposto da bsI per definire univocamente le entità nell'industria delle costruzioni.

•

ISO: International Organization for Standardization, organizzazione internazionale non governativa atta a proporre normative valide a livello globale.

•

IT: Information Technology.

•

ITC: Information Technology in Construction.

•

LOD: Level of Definition/Level of Development (attributi grafici e non) per quanto riguarda la normativa USA e Level of Detail per la normativa UK (attributi grafici).

•

LOI: Level of Information, indica il contenuto informativo non grafico di un'entità tipo digitale.

•

MEP: Mechanical, Electrical and Plumbing, che indica la disciplina impiantistica nell'ambito progettuale.

•

Model and code checking: Analisi delle incoerenze normative e informative all'interno degli elaborati.

•

MVD: Model View Definition, definisce il sottoinsieme del formatio IFC in modo da soddisfare lo scambio dati tra le varie dimensioni BIM e gli applicativi (ad esempio le informazioni da estrapolare per il calcolo strutturale). Talvolta si può trovare anche il termine IFC subset.

•

NBIMS-US: National BIM Standard-United States.

•

NIBS: National Institute of Building Science, organizzazione no-profit statunitense atta a risolvere i problemi in ambito costruzioni.

•

NIST: National Institute of Standards and Technology, agenzia americana per la redazione di standard.

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•

oGI: offerta per la gestione informativa, ovvero la documentazione specifica riguardante i workflow di progetto a livello collaborativo e interno, a dimostrazione del rispetto delle richieste del CI, stilato da parte del potenziale affidatario in fase di gara.

•

OpenBIM: Approccio collaborativo basato sull'interoperabilità e lo scambio dati non proprietario in ambito BIM.

•

OPEX: Operational Expenditure, sono le spese operative che si devono sostenere per la manutenzione e la gestione di un bene immobile (opera edilizia).

•

PAS: Publically Available Specification, normativa britannica di valutazione pubblica.

•

pGI: Piano di gestione informativa, documentazione relativa alla pianificazione operativa della gestione informativa in relazione a ciò che è descritto nel CI, stilata dall'appaltatore che ha vinto il bando di gara.

•

PIM: Project Information Model, corrisponde al modello digitale utilizzato durante la fase di progetto.

•

Quantity take-off: misura dettagliata dei materiali e delle attività componenti un progetto costruttivo.

•

RIBA: Royal Institute of British Architects.

•

ROI: Return of Investment, è il ritorno economico su un investimento fatto. E' l'indice di quanto un investimento è stato redditizio.

•

Stabilità del dato: dato che risulta coerente e non ridondante rispetto all'evoluzione.

•

STEP: Standard for Exchange of Product model data, è uno standard ISO (e non un formato file) per lo scambio di informazioni geometriche e non.

•

UNI: Ente Nazionale Italiano di Unificazione, ente normativo italiano.

•

XML: Extensible Markup Language, è un linguaggio di programmazione formato da una struttura puramente testuale facilmente editabile da una serie di software. La sua natura "estensibile" permette di aggiungere informazioni al suo interno a "cascata".

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10 BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA 10.1 BIBILIOGRAFIA •

AA.VV., BIM compendium, theory and practice, Allplan Gmbh - Monaco di Baviera, 2016.

•

AA.VV., BIM guidelines, NYC Department of Design+Construction - USA, 2012.

•

AA.VV., BIM handbook, A guide to Building Information Modeling for owners, managers, designers, engineers and contractors, 2nd edition, John Wiley & Sons, Inc., Hoboken (NJ) - USA, 2011.

•

AA.VV., BIM Project Execution Planning Guide, version 2.1, The computer integrated construction research program, Pennsylvania State University - USA,2011.

•

AA.VV., Guida al BIM, la rivoluzione digitale, ACCA software - Bagnoli Irpino, 2017.

•

AA.VV., LOD specification guide, BIMForum - USA, 2017.

•

AA.VV., National BIM standard - United States version 3, NIBS buildingSMART alliance - USA, 2015.

•

AA.VV., Singapore BIM guide Version 2, Building and construction authority - Sngapore, 2013.

•

AA.VV., Specification for information management for the operational phase of asset using builidng information modelling, BSI standard - UK, 2014.

•

Caputi M, Odorizzi P., Stefani M., Il Building Information Modeling - BIM, valore, gestione e soluzioni operative, Maggioli editore - Santarcangelo di Romagna, 2015.

•

Di Castri G., Project Management per l'edilizia, ingegneria economica: applicazioni e sviluppo, Dario Flaccovio Editore - Palermo, 2009.

•

Di Guida G.M., Maltese S., Re Cecconi F., Villa V., Il BIM per la gestione dei patrimoni immobiliari, linee guida, livelli di dettaglio informativo grafico (LOD) e alfanimerico (LOI), Editore Ulrico Hoepli - Milano,2017.

•

Eastman C., Lee J., Jeong Y., Automatic rule-based checking of building design, Automation in construction, Vol.18, Elsevier - USA,2009.

•

Ferrara A., Feligioni E., BIM & Project Management, guida pratica alla progettazione integrata, Dario Flaccovio Editore - Palermo, 2016.

•

Ferrara A., Feligioni E., Come redigere il Capitolato Informativo secondo la metodologia BIM, guida pratica, Dario Flaccovio Editore - Palermo,2018.

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Howell G.A., What is lean construction, Lean Construction Institute, University of California USA,1999.

•

Liebich T., IFC model Implementation guide V2.0, buildingSMART International - 2009.

•

Nissim L., BIM - Modellazione elettronica delle informazioni edili per un’edilizia sostenibile, EPC Editore - Roma, 2016.

•

Simpson W.D., New techniques in software project management, John Wiley & Sons - New York, 1987.

•

Summerell T., Tame S., Trant engineering v. Mott MacDonald: the importance of contract drafting for BIM, Construction News - UK, 2017.

10.2 SITOGRAFIA •

Biblus.acca.it

•

Bimdictionary.com

•

Cic.org.uk

•

Connect.trimble.com

•

Portal.bimplus.net

•

Toolkit.thenbs.com

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www.aia.org

•

www.allplan.com

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www.bpmn.org

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www.buildingsmart.org

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www.buildingsmart-tech.org

•

www.buildingsmartitalia.org

•

www.csresources.org

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www.designingbuildings.co.uk

•

www.galliera.it

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www.ibim.it

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www.ifma.org

•

www.mit.gov.it

•

www.thenbs.com 249