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IL CANE E GLI ANIMALI NEL DIRITTO PENALE

Nell’ambito del sistema del codicistico italiano esiste una tutela degli animali in quanto tali?

DI MADDALENA SALVADEO, AVV. DANTE LIBBRA E AVV. ROBERTA FARINA

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Per quanto riguarda il diritto penale, il primo importante passo verso una tutela piena ed effettiva dell’animale è avvenuto con l’emanazione della Legge 24 luglio 2004, n.189 ed avente ad oggetto “Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate". Tale novella ha introdotto nel codice penale il titolo IX- bis ove vengono previsti e puniti i delitti contro il sentimento degli animali; già da una prima interpretazione letterale del titolo del codice si evince che il bene giuridico tutelato dal legislatore, in prima istanza, non è la vita o l’integrità dell’animale in quanto tale ma il sentimento umano di pietà verso gli stessi. Tale visione antropocentrica, nel corso del tempo, ha lasciato spazio ad una interpretazione sempre più volta alla tutela dell’animale quale essere senziente e incentrata sulla consapevolezza dello stretto legame esistente tra uomini ed animali e del contributo che questi ultimi forniscono alla qualità della vita degli esseri umani. A riguardo, in tre diverse pronunce della Corte di Cassazione (Cass., Sez. III, sent. 8 febbraio 2019 (dep. 4 aprile 2019), n. 14734; Cass., Sez. III, sent. 14 dicembre 2018 (dep. 29 aprile 2019), n. 17691, Cass., Sez. III, sent. 15 novembre 2018 (dep. 17 aprile 2019), n. 16755) i Giudici, con riferimeno al reato ex. art. 544 ter c.p (maltrattamento di animali) hanno affermato che ad assumere rilievo giuridico non sono solamente le condotte che ledono il sentimento umano di pietà nei confronti degli animali, ma anche quelle che incidono direttamente sulla stabilità e serenità psicofisica degli animali quali esseri senzienti. Senza addentrarsi troppo nel ginepraio delle norme e delle interpretazioni dottrinali, occorre ora esaminare quali sono i reati che suscitano maggior interesse in ambito cinofilo. Il primo di essi è l’art. 544 ter c.p., il quale recita che: “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 €. La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi. La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell'animale”.

Il primo comma del summenzionato articolo mira, in modo chiaro e preciso, a punire tutti quei comportamenti che, a titolo di dolo, cagionano una lesione all’animale, lesione che non necessariamente debba essere fisica, ma anche e soprattutto psicologica e attinente alla sfera ambientale e comportamentale (Cass.46291/2003).

Il secondo comma invece punisce il c.d. doping a danno di animali consistente nel somministrare a questi ultimi farmaci o altre sostanze idonee ad alterarne prestazioni sportive e/o competitive (basti pensare ai cani da sport, ai cavalli impegnati nelle varie discipline sportive ecc.). Affinché un soggetto possa essere imputato di tale reato, non occorre una condotta necessariamente attiva, configurandosi, nel caso di specie, anche una condotta passiva (si pensi ad esempio al caso in cui un cane venga lasciato in terrazzo senza acqua o cibo). In entrambi i casi, il reato di cui all’art 544 ter è perseguibile d’ufficio, ciò significa che, una volta che l’autorità giudiziaria è venuta a conoscenza di un determinato fatto/atto, ella può procedere autonomamente a svolgere le indagini del caso. Vi è di più il reato di maltrattamento, che ad esempio si realizza anche nel caso in cui un cane venga lasciato legato ad una catena senza possibilità di interagire con il nucleo familiare (Cass.34087/2021) perché detenuto in condizioni incompatibili con le sue caratteristiche; il cane difatti, è un animale sociale e necessita costantemente della presenza umana. Ma il maltrattamento del cane è configurabile anche qualora esso sia addestrato con strumenti idonei a provocare dolori e/o sofferenze. È il caso, peraltro molto discusso, dell’utilizzabilità del collare ad impulsi elettrici. Parte della giurisprudenza (Cass. Pen. n. 10758/2021) ritiene l’utilizzo di tale strumento un vero e proprio maltrattamento poiché concretizza una forma di addestramento fondata esclusivamente su uno stimolo doloroso tale da incidere sensibilmente sull’integrità psicofisica dell’animale. Occorre tuttavia precisare che, a costituire reato, è l’effettivo utilizzo del collare sul cane e non il mero “indossare”. A parere dello scrivente, una simile interpretazione lascia tuttavia spazio a considerevoli dubbi sul versante pratico dell’applicabilità d ella norma in esame. Infatti, a tenor di traccia, andrebbe letteralmente colto in flagrante il soggetto che meccanicamente avvia il meccanismo elettrico provocando dolore al cane. Passiamo ora ad esaminare il secondo reato più interessante in ambito cinofilo è che è costituito senza dubbio dall’art 727 c.p. denominato “abbandono di animali”. La norma prevede che: "Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro. Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze". Essendo abbastanza chiaro il primo comma, occorre soffermarsi sul secondo che, ad una prima apparenza, sembra ricalcare in astratto il dettato dell’art 544 ter. A differenziare le due norme è anzitutto il c.d. elemento soggettivo del reato. Mentre per la configurabilità del 544 ter è necessario il dolo, il 727 c.p. è configurabile anche a titolo di colpa. La differenza tra dolo e colpa risiede nel c.d. elemento volitivo del reato: nel dolo, vi è la precisa e cosciente volontà di compiere un’azione criminosa, nella colpa invece l’evento lesivo si realizza per imprudenza, imperizia o negligenza ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. Passando agli esempi, nella sentenza n. 36713/2021, la Corte di Cassazione ha stabilito che sussiste il reato di abbandono di animali allorquando un cane venga lasciato per ore in macchina senza acqua o possibilità di muoversi; la sofferenza dell’animale infatti va dedotta dal contesto in cui si trova e non astrattamente. Nel caso di specie, l’abitacolo di un veicolo non è certamente un luogo idoneo alla detenzione di un cane. Ed ancora, il reato ex.727 cp si realizza anche quando il cane venga lasciato all’interno di un box chiuso ed umido, provocando gravi patologie all’animale. In conclusione, quando in giudizio sia provata la effettiva e reale sofferenza dell’animale si incorre sempre in una applicazione di pena che può anche riguardare il sequestro dell’animale in oggetto. Concludendo questa sommaria analisi, sul fronte penalistico assistiamo a un lento ma progressivo riconoscimento dell’animale quale essere senziente e constatiamo che la normativa è sicuramente più armonica e caratterizzata da un percorso evolutivo che tende all’affermazione dei diritti propri dell’animale. Anche il diritto pubblico percorre la via del riconoscimento di una tutela costituzionale dell’animale. Infatti, con la Legge Costituzionale n.1 del 2022, la quale introduce nella nostra Costituzione la tutela ambientale degli animali, è plausibile aspettarsi un nuovo assetto normativo riguardante i nostri pet e che punterà sempre più a tutelare gli animali quali indispensabili e insostituibili compagni di vita. Sul fronte, invece, prettamente privatistico si cerca con estrema difficoltà di superare l’equivalenza animale-cosa, ovvero la definizione di animale come un bene mobile, un semplice oggetto privo di soggettività giuridica. Il codice civile menziona gli animali in più occasioni e sebbene l’inquadramento dell’animale come oggetto è ormai avvertito come inadeguato, nell’impianto del codice civile gli animali sono ancora valutati esclusivamente come oggetti di proprietà e vengono quindi ricondotti nel concetto di bene mobile, così come definito dall’art. 812 cc . Questa impostazione ha chiaramente influenzato la disciplina dei mezzi di tutela prevista nel nostro ordinamento, perché l’animale non è considerato soggetto giuridico autonomo titolare di diritti, ma viene “protetto” indirettamente, mediante le azioni tradizionali che il proprietario o più genericamente il titolare di diritti reali può compiere a tutela dei beni che gli appartengono. Possiamo quindi affermare che per l’ordinamento italiano la protezione dell’animale è perseguita indirettamente attraverso il proprietario che potrà agire nel caso in cui l’animale di sua proprietà subisca un danno o, diversamente, dovrà rispondere personalmente nelle ipotesi in cui l’animale di sua proprietà provochi a terzi un danno. Per riportare qualche caso concreto in cui si applica la qualificazione dell’animale come mero oggetto, si può fare riferimento alla disciplina della compravendita di animali d’affezione che nell’ultimo decennio ha subito una crescita esponenziale e che rappresenta tra l’altro un business milionario. Poichè gli animali sono beni mobili, il rapporto tra venditore dell’animale e acquirente sarà regolato dalle norme sulla compravendita di beni mobili. Nel caso di presenza di vizi sull’animale, in mancanza di leggi speciali o usi, l’art. 1496 del codice civile rubricato “vendita di animali” prevede che alla stessa si applichino le disposizioni dettate in materia di garanzia per vizi sebbene tali norme mal si adattino alla vendita di animali -specialmente se l’acquisto riguarda animali da compagnia- in quanto non tengono evidentemente conto della necessità di salvaguardare la sopravvivenza e il benessere dell’animale in quanto essere senziente e tantomeno tendono a preservare la relazione affettiva creatasi dopo l’acquisto. Difatti il vizio presente in un animale viene disciplinato dal legislatore alla stessa stregua di un vizio riscontrato in un elettrodomestico. In tal senso risulta evidente come le regole del contratto di compravendita pensate con riferimento alle cose, agli oggetti, vanificano il riconoscimento degli animali quali esseri senzienti dotati di una propria individualità e unicità. A rendere ancora più distonica la normativa civilistica sulla compravendita di animali non si può tacere che a decorrere dall’entrata in vigore del Codice del Consumo (d.lgs n. 206/2005), la vendita di animali domestici conclusa tra un consumatore ed un professionista (allevatore con affisso/imprenditore agricolo), rientra nella disciplina dettata dagli artt. 128 e ss. del cdc, relativi alla garanzia nella vendita dei beni di consumo. A parere di chi scrive l’applicazione del Codice del Consumo a tali ipotesi di vendita rappresenta il paradosso che maggiormente esprime i contrasti della normativa esistente. Difatti, se da un lato il principio generale del rispetto del benessere degli animali in quanto esseri senzienti dotati di una propria individualità è positivizzato in numerosi testi di legge sovranazionali ed interni e dalla stessa Costituzione, dall’altro la presenza di un vizio o difetto dell’animale compravenduto ovvero una malformazione nel corso della crescita, una patologia o una non corrispondenza allo standard, determina che l’essere senziente animale perda questa connotazione e sia trattato alla stessa stregua di un bene mobile materiale sostituibile e riparabile semplicemente perché il favor legis impone che trovi applicazione la normativa di maggior tutela per il consumatore prevista dal Codice del Consumo. La realtà è che la codificazione civilistica del 1942 non tiene in alcun modo conto di come si sia evoluto il ruolo degli animali nel contesto sociale e in particolare non considera che la presenza dell’animale in un ambiente domestico determina la creazione di un legame affettivo ancora prima che giuridico con l’uomo. In tal senso occorre segnalare che il diritto applicato, in alcune circostanze con maggior frequenza, scalfisce il rigore civilistico del concetto di animale come semplice oggetto e evidenzia la tendenza da parte dei Tribunali a tener conto di aspetti non direttamente contenuti nelle disposizioni codicistiche ma frutto di esigenze culturali che inducono a considerare il diverso ruolo svolto dagli animali e la conseguente necessità di innalzare la loro tutela. Pertanto le pronunce giurisprudenziali stanno svolgendo un importante ruolo di erosione del concetto di animale -oggetto di diritto di proprietà prettamente civilistica. Si possono portare ad esempio paradigmatico le pronunzie relative alle controversie che hanno ad oggetto l’affidamento di animali in caso di separazione tra coniugi, laddove si tende a privilegiare l’applicazione del criterio della migliore collocazione per il benessere dell’animale e dell’effettivo legame affettivo instaurato con la persona piuttosto che applicare sterilmente la normativa secondo cui l’affidamento deve essere riconosciuto al soggetto che risulti proprietario dell’animale secondo le regole civilistiche. In tal modo, l’animale resta un bene dal punto di vista giuridico ma la sua particolare natura e il legame affettivo è preponderante ed è privilegiato rispetto alla proprietà e alla intestazione anagrafica. Le profonde discrepanze che sono state evidenziate nell’ambito delle norme civilistiche e i due esempi riportati, uno caratterizzato dalla metodica applicazione delle disposizioni dettate in materia di vendita di animali e l’altro orientato alla completa disapplicazione del principio della proprietà e dalla intestazione anagrafica in caso di affidamento dell’animale domestico, vogliono evidenziare quanto proprio nell’ambito della risoluzione dei conflitti di diritto privato che vedono coinvolti gli animali, l’applicazione e la interpretazione delle norme tradizionalmente offerte dall’ordinamento giuridico italiano sia spesso incoerente e non prevedibile e quanto sia necessario e indifferibile procedere a una riforma delle norme in modo da renderle più consone alla mutata percezione sociale degli animali e del rapporto che in secoli si è creato con l’uomo. Pet Legal Defence è un progetto con l’ambizioso obiettivo di diffondere e promuovere la conoscenza della normativa posta a tutela del benessere animale e di offrire un supporto professionale e altamente specializzato nella materia. Nasce dall’incontro di due giuristi, appassionati cinofili: Roberta Farina e Dante Libbra che, operando nell’ambito delle professioni legali, hanno deciso di unire la loro passione per gli animali con il loro lavoro. La loro preparazione universitaria e lavorativa, alimentata anche dalle esperienze dirette maturate nel mondo della cinofilia, si arricchisce ulteriormente dall’esperienza di Dante maturata alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo e dall’approfondimento della conoscenza degli animali d’affezione maturata da Roberta attraverso il conseguimento del Master di II livello in etologia degli animali d'affezione presso l’Università degli studi di Pisa. La conoscenza del mondo animale e dell’etologia degli animali d’affezione consente di poter applicare nel modo più adeguato al caso concreto la normativa esistente e consente di poter fornire consulenze, pareri e assistenza sia a livello stragiudiziale che giudiziale, ma anche una diffusione del panorama legislativo della tutela dei diritti animali ai professionisti del settore in occasione di convegni, corsi di formazione e stage.

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