Riconversione e ricucitura: strategie per il riuso e la rigenerazione della Zai veronese - parte 2

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FENOMENO DEL RIUSO

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FENOMENO DEL RIUSO

L’esistenza di siti industriali dismessi e abbandonati nel nostro territorio è cosa evidente a chiunque si trovi a passeggiare nelle nostre città. Formulare una proposta di intervento per queste aree significa individuare cosa dovrà seguire all’abbandono in termini di funzioni insediate, ma necessita anche una particolare attenzione all’influenza che la trasformazione assume nell’ambito specifico del contesto ed alle relazioni esistenti e potenziali, riscontrate sia alla scala urbana che alla scala dell’edificio. 276


PARCO DORA, TORINO

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FENOMENO DEL RIUSO

Graffiti su alcuni edifici dismessi, poblenou art district, Barcellona

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Il fenomeno del riuso riferito alle aree industriali è un fenomeno strettamente connesso al processo della dismissione che queste aree hanno conosciuto in seguito alla crisi della città industriale. Questa problematica esplode in Italia a partire dagli anni ‘70 del Novecento, diventando in quegli anni una delle questioni che maggiormente influenza il dibattito sulla trasformazione urbana. “La rilevanza del fenomeno della dismissione è riscontrabile in virtù dell’apertura che questa ha contribuito a creare sia in termini di trasformabilità dei contesti, sia in termini dei nuovi valori potenziali trasmessi all’azione progettuale.’ Negli anni ‘80 si sviluppa una profonda riflessione sui temi della trasformazione urbana in relazione all’identità locale, e sul legame necessario tra progetto urbano e progetto architettonico: non si riesce ad inquadrare una pratica unitaria per la trasformazione di queste aree, ma piuttosto si avvia un difficile lavoro di riconoscimento e selezione dei materiali urbani rimessi in gioco, ripercorrendo attraverso la dialettica conservazione-trasformazione, le modalità proprie della con-formazione della città stessa, piuttosto che lasciare il passo alla sua progressiva de-formazione’’. Formulare una proposta di intervento per queste aree significa quindi, da un lato, individuare cosa dovrà seguire all’abbandono in termini di funzioni insediate, ma necessita anche una particolare attenzione all’influenza che la trasformazione assume nell’ambito specifico del contesto ed alle relazioni esistenti e potenziali, riscontrate sia alla scala urbana che alla

La specificità del progetto di riuso risiede quindi nella definizione di nuove relazioni: tra preesistenza e nuova costruzione, tra contesto e area dismessa. tra memoria storica e progetto contemporaneo.

scala dell’edificio.

Il grado di riconoscibilità che tali relazioni, ancora potenziali durante la fase di dismissione, assumono nell’azione progettuale, determina l’integrazione del progetto all’interno della cultura locale. nonché l’attribuzione di un nuovo

significato e valore identitario al luogo da parte della cittadinanza.

A differenza di ieri, oggi si progetta prevalentemente sulla città esistente, piuttosto che per la sua espansione: per adeguarla a nuove esigenze di modernizzazione funzionale, e perché possa fare fronte all’insorgere di inedite domande sociali. E dunque una città che si trasforma, quella su cui si proietta il nostro lavoro, piuttosto che una città che cresce. Una città ove parti cospicue sono diventate improvvisamente obsolete - quelle appunto ove l’eredità industriale mostra tutti i suoi valori - e verso le quali si indirizzano sempre più rapidamente grandi interessi pubblici, e soprattutto privati, per i rilevanti ritorni economici che ne derivano. La presenza dell’eredità industriale è un patrimonio assai poco conosciuto, per lo più non protetto, rispetto al quale le possibilità di intervento sono aperte ad


BUONE PRATICHE DI RECUPERO

ogni prospettiva, in un arco che va dal recupero e dalla valorizzazione alla radicale eliminazione delle testimonianze. I fenomeni della trasformazione urbana stanno avvenendo infatti con una tale rapidità da non consentire sedimentazioni professionali e culturali in grado di far maturare una “cultura della valorizzazione” che riesca a interagire positivamente con le esigenze del recupero e della rifunzionalizzazione delle aree e dei manufatti obsoleti. In questa prospettiva, va chiarito fin da subito che valorizzazione non significa conservazione acritica di ogni reperto. Gli edifici dell’archeologia industriale, i manufatti e le loro ramificazioni non sono infatti intoccabili monumenti, reperti da imbalsamare per la contemplazione dei posteri. Essi, al contrario, possono essere anche utilmente ripensati, ove occorre, assumendoli come presupposti per nuove funzioni e nuove configurazioni di insieme, come strutture capaci di sostenere l’inserimento di nuovi brani di architettura, purché colta e consapevole. Con la convinzione che il risultato più interessante di ogni intervento di recupero è quello che si persegue attraverso l’accoppiamento di ciò che esiste e di ciò che è nuovo, piuttosto che con l’isolamento delle preesistenze. In questo ci assiste anzitutto la solidità delle strutture, concepite per durare e per offrire prestazioni eccezionali: macchine imponenti da far girare, materiali pesanti da movimentare, flussi di acque, energia, persone da canalizzare; poi, la

bilità di involucri spesso discontinui, nei cui interstizi è possibile inserirsi, senza lacerazioni. Partendo da queste premesse, e con la prospettiva di mettere a frutto l’esperienza di anni di osservazione critica nel campo del recupero del patrimonio industriale, vi è oggi la possibilità di formulare un primo repertorio di “buone pratiche” da seguirsi da parte di chi opera in questo settore: un’esplicitazione di “ciò che occorre saper fare” da intendersi come condizioni minimali per concepire un progetto architettonico e urbanistico attento ai valori che la cultura riconosce all’eredità industriale presente nelle trame delle nostre città. Nel libro “Progettare per il patrimonio culturale” ho trovato molto interessanti le pagine dedicate alle buone pratiche d’azione progettuale da adottare sui manufatti esistenti. Li riporto di seguito mantenendo le testuali parole utilizzate dall’autore del capitolo dedicato, Franco Mancuso. Una buona analisi delle relazioni che intercorrono fra i complessi di archeologia industriale da recuperare e i loro contesti urbanistici è certamente importante: considerare il significato di accessi, strade, percorsi, aree ed immobili contermini, reti idriche, elementi di interesse naturalistico ecc. Ogni intervento di recupero pone infatti sempre problemi di integrazione con le attività e le funzioni presenti nell’intorno delle aree sulle quali si interviene. Occorre saper valutare i diversi caratteri della mobilità (pedonale, flessibilità degli spazi, ritmati da ciclabile, automobilistica) nelle aree e al strutture ripetitive; infine, la disponi- loro esterno, con particolare riguardo per

le reti (ove esistano) dei trasporti pubblici. Stimare le potenzialità di valorizzazione di aree contermini scarsamente utilizzate, nella prospettiva di indirizzarvi gli effetti indotti dell’intervento cui si sta lavorando, è infine una componente importante di questo tipo di valutazioni. Il riuso si presta spesso ad interpretazioni ambigue e difficilmente riconducibili ad un controllo sistematico; tuttavia, come scrive Secchi (in Progetto di suolo, in Casabella n°250, 1984 ) “poiché consiste nel reintrodurre un monumento privo delle sue funzioni originarie nel circuito degli usi viventi, nello strapparlo a un destino museale, (il riuso) è forse la forma più audace e difficile della valorizzazione del patrimonio … e determina l’espansione del campo cronologico della nostra eredità storica, sollevando un problema inedito, quello del patrimonio industriale, che sfugge all’influenza dell’industria culturale”. il patrimonio industriale genera risorse che possono essere valorizzate dal recupero, dalla riscoperta, cioè da un’opera di trasformazione e progetto che espliciti i caratteri di riconoscibilità e di appartenenza alla tradizione dei luoghi, come valore culturale. Il concetto di recupero e riuso delle aree dismesse in questo modo supera una visione legata ai termini della tradizionale archeologia industriale, incline al “culto” del manufatto ed alla sua sopravvivenza e incapace di trascendere il significato del singolo edificio per istituire un rapporto più ampio e fecondo con il luogo e il resto del territorio urbano.

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BUONE PRATICHE DA APPLICARE IN UN PROGETTO DI RIUSO

I II III IV V VI VII VIII IX X

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CONSERVARE I CARATTERI ORIGINARI RIATTIVARE IL DIALOGO

SALVAGUARDARE IL CONTESTO PRESTARE ATTENZIONE AGLI SPAZI NATURALI DIFFERENZIARE L’INTERVENTO SCEGLIERE I LINGUAGGI GIUSTI

VALORIZZARE LE MACCHINE

LEGGERE I SIGNIFICATI SIMBOLICI RICOSTRUIRE I PERCORSI DAR VALORE AGLI SPAZI


BUONE PRATICHE DI RECUPERO

I: conservare i caratteri originari II: riattivare il dialogo

III: salvaguardare il contesto

E’ importante consentire che, dopo gli interventi, siano riconoscibili i caratteri originari del manufatto archeologico-industriale, siano percepibili le funzioni per le quali è stato originariamente concepito, e sia leggibile la qualità spaziale degli ambienti interni. Bisogna purtroppo riconoscere che in molte esperienze di recupero gli interventi dei progettisti sono stati assai invasivi, facendo prevalere l’impronta di chi li ha concepiti, e non consentendoci di riconoscere i caratteri originari degli edifici e dei manufatti interessati. Anche gli spazi interni sono stati spesso stravolti da operazioni dagli effetti devastanti riguardo alla leggibilità degli ambienti, da interventi intrusivi che, con suddivisioni distributive, parcellizzazioni funzionali, inserimenti impiantistici ed altro, ne hanno compromesso l’identità originaria.

Non è un fatto marginale poter interessare al progetto di recupero anche i “prolungamenti” dei manufatti nei propri intorni urbanistici e ambientali, considerando che fabbriche e infrastrutture non sono mai episodi isolati, e invece si collegano al contesto attraverso ramificazioni un tempo essenziali per il loro funzionamento (rogge, canali, percorsi ecc.), e oggi spesso ancora presenti. È anche importante saper indicare in che modo tali presenze possono essere salvaguardate, anche se non appartengono all’ambito specifico nel quale si sviluppa l’intervento.

Negli interventi di recupero, la riattivazione del dialogo con i tessuti urbanistici circostanti è un obiettivo importante, che può decretare il successo delle iniziative. Riattivare il dialogo con i tessuti urbanistici circostanti, se i recinti che un tempo isolavano i manufatti per consentir loro di espletare al meglio le proprie funzioni produttive e infrastrutturali non hanno più alcuna ragione di essere, deve essere una preoccupazione primaria di ogni progetto. L’operazione passa sia attraverso un’attenta considerazione dei caratteri prevalenti (funzionali e morfologici) di tali tessuti, e sia, contemporaneamente, attraverso una minuziosa esplorazione della consistenza e della conformazione dei recinti stessi che circoscrivono gli edifici: ciò che consente la miglior collocazione/configurazione dei varchi e degli accessi, ed il più efficace radicamento dell’intervento nel reticolo dei percorsi (pedonali e automobilistici) esistenti e dell’intorno.

Nelle immagini, da sinistra a destra: 1 ingresso degli uffici di ingegneria a Rotterdam, Studio Ector Hoogstad Architecten 2 Frøsilos Gemini Residence, MVRDV 3 Archivo Regional de la Comunidad de Madrid y Biblioteca Joaquín Leguina, Mansilla y Tunon

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FENOMENO DEL RIUSO

IV: prestare attenzione agli spazi naturali

V: differenziare l’intervento

VI: scegliere i linguaggi giusti

Le presenze naturalistiche che spesso sono visibili fra gli spazi e le maglie dei complessi archeologico-industriali abbandonati (acque, giardini, attrezzature ecc), sia coeve al loro impianto originario (giardini storici, canali ecc.) sia sviluppatesi spontaneamente dopo la dismissione, sono spesso un’opportunità da considerare attentamente all’interno del progetto. Bisogna saperne individuare il valore specifico, descrivendole attraverso i loro caratteri peculiari, specificandone la storicità in rapporto al disegno originario del complesso archeologico- industriale, o lo sviluppo successivo ai processi di dismissione; immaginandone i nuovi ruoli che possono svolgere all’interno di un disegno di recupero e di valorizzazione.

L’identità (tipologica, architettonica, strutturale ecc.) delle diverse parti di cui solitamente si compone un complesso archeologico-industriale da recuperare si rispetta solo adottando per ciascuna di loro criteri e metodi di intervento differenziati (dal restauro filologico e al ripristino, fino alla sostituzione). Bisogna quindi saper scomporre il complesso archeologico- industriale nelle diverse parti di cui è costituito, in rapporto ai processi storici di formazione/crescita/evoluzione; attribuire a ciascuna delle parti un valore specifico (dal punto di vista della storia, della qualità architettonica, delle tecnologie impiegate ecc.); dimostrare di padroneggiare strumenti progettuali di volta in volta appropriati.

Ogni progetto di recupero deve adottare linguaggi specifici e appropriati per le parti da realizzare ex novo (sostituzioni, addizioni, integrazioni ecc.), in grado di sviluppare un’eloquente dialettica con quelli delle preesistenze, senza prevalere, ma anche senza appiattirsi su camuffamenti e soluzioni mimetiche. I linguaggi architettonici e tecnologici adottati nelle migliori esperienze di recupero progressivamente documentate dalla letteratura specializzata sono spesso assai interessanti, e vanno valutati in rapporto alla loro pertinenza rispetto ai caratteri originali dei complessi (e delle loro diverse parti) interessati dal progetto.

Nelle immagini, da sinistra a destra: 1 le Grandi Officine Riparazioni (OCR) di Torino, spazi esterni; 2 intervento all’interno delle tese dell’arsenale di Venezia 3 ex Officine Reggiane, il nuovo tecnopolo a Reggio Emilia

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BUONE PRATICHE DI RECUPERO

VII: valorizzare le macchine

VIII: leggere i significati simbo-

Gli apparati produttivi e le macchine, ove esistono, sono elementi peculiari dei complessi industriali (per la produzione di energia, per le diverse lavorazioni, per la movimentazione di mezzi e persone ecc.). Saperne valorizzare la presenza integrandoli nella configurazione degli spazi che si progettano, piuttosto che eliminarli, è un atteggiamento virtuoso nella realizzazione del progetto, anche come occasione per non distruggere la memoria del lavoro che sono in grado di esprimere. Occorre innanzitutto saper valutare la loro identità; allo stesso tempo, occorre intravederne le potenzialità di integrazione in un progetto, ed immaginare il ruolo positivo che possono svolgere rispetto alla connotazione degli spazi recuperati.

La fabbrica ottocentesca non è mai anonima (come quella contemporanea): al contrario, esprime nelle sue architetture l’immagine dell’imprenditore che l’ha concepita, e l’anima operaia di chi vi ha speso la vita. E importante saper leggere, nelle testimonianze materiali e con il sussidio della ricerca storica, il significato simbolico di quei particolari elementi dei manufatti archeologico-industriali (facciate, apparati decorativi, insegne ecc.) che sono riconducibili alla figura dell’imprenditore. E, contemporaneamente, ritrovare, ove siano ancora leggibili, le testimonianze e i segni che consentano la riconoscibilità dei luoghi e delle condizioni di lavoro (la successione dei locali nel ciclo lavorativo, le condizioni igieniche e di illuminazione, la dimensione degli ambienti rispetto alle macchine ecc.). Ricomprendere tutto ciò in un progetto consapevole e non distruttivo è d’obbligo.

lici

Nelle immagini, da sinistra a destra: 1 spazi del centro polifunzionale nella Geblàsehalle (Alliforni Thyssen) con la conservazione delle macchine originali a Duisburg (Germania); 2 Officine Galtarossa, Verona

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FENOMENO DEL RIUSO

IX: ricostruire i percorsi

X: dar valore agli spazi

Il ruolo che può svolgere il disegno degli accessi e dei percorsi (orizzontali e verticali), ai fini della miglior valorizzazione di un complesso archeologico-industriale da recuperare, è molto importante: si tratta infatti di concepire la rete dei percorsi (esterni ed interni) in modo tale da valorizzare la percezione dei manufatti, degli spazi, delle visuale, degli apparati di maggior interesse e qualità architettonica, dentro e fuori dai complessi recuperati.

Elemento importante per la riuscita di un progetto di recupero è il corretto posizionamento delle diverse funzioni considerate dal programma di riuso adottato, soprattutto quando questo contempla una pluralità di attività. Occorre quindi saper collocare quelle di maggior importanza, o che consentano la più intensa frequentazione, negli spazi di più elevato valore. Bisogna per questo saper identificare la gerarchia dei valori da attribuire agli spazi e agli ambienti (interni ed esterni) di un complesso da recuperare.

Nelle immagini, da sinistra a destra: 1 percorso lungo le chiuse nella riqualificazione dell’area centrale di Tampere (Finlandia) 2 intervento all’interno delle tese dell’arsenale di Venezia

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BUONE PRATICHE DI RECUPERO

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L’edificio come contenitore da spazio vuoto a spazio necessario

Pur in continuo divenire, il rapporto tra struttura ed il suo involucro continua a costituire uno dei termini centrali per leggere e definire identità e relazioni architettoniche. Il moderno aveva individuato il principio di “autoespressione fenomenica a fondamento della progettualità, intesa come chiarezza ed evidenza della costruzione dell’oggetto” che, parallelamente alla fiducia incrollabile nel progresso tecnico scientifico, inaugurava una nuova relazione tra forma e struttura in rapporto alle moderne tecniche costruttive, distaccandosi definitivamente dalla pratica costruttiva dell’architettura antica, per affidarsi “alla rivoluzione del ferro e del cemento” al nuovo sistema strutturale dei telai e alle successive conquiste in termini “espressivi” delle conquiste tecnologiche. L’esibizione della verità strutturale e l’ideologia della trasparenza, desunta dal riferimento diretto con l’architettura industriale, diventano gli elementi em286

blematici del carattere delle architetture “moderne” (vedi Mies Van der Rohe), tutte centrate sulla perfetta coerenza tra interno ed esterno. Ancora la struttura in calcestruzzo permette di realizzare il distacco della facciata, separando segno architettonico e fisico dallo schema strutturale, qualità che saranno espresse con la facciata libera di Le Corbusier, che sancisce l’autonomia della composizione dell’ “involucro” chiudente dalla struttura di sostegno, anticipando la tendenza contemporanea a fare del rivestimento una sorta di organo complesso impegnato sul piano ecologico, visivo, materico, spaziale. Quanto descritto, rivela l’emergere di un fondamentale processo di dissoluzione dell’integrità strutturale degli edifici, ma i prodromi di questa “rivoluzione” sono collocabili già alla fine del XIX secolo, con la costruzione della Galerie des Machines nel 1855. La Galerie apre un’era in cui gli edifici vengono intesi fin dal principio per essere trasformati e modificati, sfruttando tutte le potenzialità di riproducibilità tecnica della produzione

industriale superando, inoltre, l’idea del “limite” dimensionale come già era stato dimostrato dalle grandi stazioni ferroviarie e dalle grandi strutture dell’ingegneria di fine secolo. Da questo momento in poi, ad un concetto di edificio inteso come logico, imperturbabile ed indissolubile ordine tra parti, membrature ed elementi, si sostituisce quello di un sistema edilizio integrato da sistemi secondari, modificabili, ampliabili, smontabili e, dunque, ricollocabili, inaugurando l’idea di una sostanziale temporaneità dell’oggetto architettonico. Questo edificio introduce una sorta di paradosso rispetto a quanto avveniva tradizionalmente per i grandi impianti tipologici urbani, è un edificio temporaneo, deliberatamente effimero, una realizzazione che, per quanto grandiosa, è destinata ad essere usata, smantellata e riciclata, dunque, non pensata per durare e per tramandare valori e contenuti, ma per essere demolita in breve tempo. Il grande edificio urbano diventa, dunque, un contenitore effimero di spazi e funzioni che


L’EDIFICIO COME CONTENITORE

Esposizione Internazionale, Gallerie des Machines, Parigi, 1855. Fabbrica del Grand Hornu, Belgio

cambiano in sezioni tempo molto brevi, composto da parti separate e prefabbricate, ed “aperto”,ovvero, virtualmente estendibile all’infinito. Con la Galerie del 1855 ha inizio un processo che tende a condurre alla dissoluzione dell’edificio inteso come insieme coerente, unitario, integrale e duraturo, per diventare sempre di più una somma di componenti, reti e sotto-sistemi complessi applicati indipendentemente, secondo la configurazione di un processo di combinazione e continua variazione di assetto di componenti. La Galerie des Machines è un spazio adatto a contenere e a rappresentare la potenza e la dimensione delle macchine industriali è, infatti, pensata come l’esposizione della fabbrica, introducendo, pertanto, un cambiamento fondamentale nel modo di concepire l’architettura: lo spazio interno, quasi infinito, definisce un ambiente artificiale assolutamente generico, integrabile, infinitamente adattabile a nuovi usi specifici mediante l’introduzione di sistemi, di percorsi meccanizzati, di padiglioni coperti e di enormi

macchinari, tutti a loro volta “compresi” all’interno della struttura principale. Oggi la scissione tra forma e struttura si verifica in funzione dell’involucro architettonico quale congegno comunicativo, meccanismo segnaletico, elemento immateriale che marginalizza gli aspetti tettonici, che riduce la fisicità dell’oggetto architettonico nella la sua immagine immateriale, come simulacro destinato alla realtà mediatica di un circuito globale in cui la circolazione delle informazioni omologa le cose al loro doppio virtuale. Nell’intervenire all’interno di una fabbrica dismessa, un’operazione che spesso si realizza è quella di mantenere l’involucro nei suoi caratteri tipologici, senza modificarne radicalmente l’immagine. Al contrario di ciò che avviene oggi, dove la pelle esterna è pura immagine, l’apparire dell’architettura agli occhi di chi guarda, i manufatti industriali denotano nel loro involucro la funzione che contengono. L’archetipo della fabbrica è conosciuto dai più e non viene confuso con altre tipologie architettoniche-funzionali. La modificazione che si produce median287


FENOMENO DEL RIUSO

Ex Mercati Generali di Barcellona (E.Miralles, 1999-2002)

te l’inclusione di nuove parti all’interno di un’architettura, comporta un processo trasformativo che interessa la struttura compositiva dell’edificio. Questa modalità operativa stabilisce con l’edificio una relazione forte, che può essere di mutua integrazione o di dialettica contrapposizione, comportando, in ogni caso una reinterpretazione decisiva della sua conformazione originaria. In molti casi i nuovi elementi architettonici stabiliscono nuove relazioni sia all’interno che all’esterno dell’edificio ma, più spesso, attraverso la reinterpretazione dell’involucro costruttivo che fa da tramite e da “tracciato” di riferimento per la nuova struttura compositiva dell’edificio, dunque, le bucature, le superfici e gli elementi murari diventano la “misura” e l’interfaccia con le parti di nuova costruzione. La tipologia d‘intervento dell’inclusione di nuove parti architettoniche nella struttura preesistente, è spesso integrata con la modalità operativa dello svuotamento e dell’adeguamento funzionale. Quest’ultima può essere realizzata secondo di288

versi gradi di trasformazione che vanno dal totale svuotamento delle strutture interne con la conseguente ricostruzione e riorganizzazione dell’interno e con il mantenimento del solo involucro esterno, oppure, secondo strategie d’intervento “soft” che prevedono la demolizione solo di alcune parti. Sempre nella tipologia di trasformazione per inclusione si possono annoverare i progetti d’installazioni effimere, ad esempio di carattere espositivo, realizzate all’interno o all’esterno dell’edificio. In questo caso la relazione tra edificio contenitore e progetto incluso diviene più forte e radicale, per il carattere provvisorio e “comunicativo” che questo tipo d’intervento comporta. Tali operazioni possono essere definite variazioni, adattamenti o rinnovamenti, delle strutture preesistenti e possono implicare una riconsiderazione profonda d’alcuni caratteri fondamentali dell’operatività progettuale. Una particolare variazione dell’inclusione è definita da quegli interventi che vanno ad occupare edifici di per sé “vuoti”,


L’EDIFICIO COME CONTENITORE

Headquarter Pirelli, Milano, (Gregotti 2003)

ad esempio i gasometri, il cui contenuto del progetto originario, senza soluzione è programmaticamente assente in senso di continuità; come annessione di nuove costruttivo. Alcune tipologie d’in- parti alla struttura originaria, in tutto o in tervento prevedono il manteni- parte diverse dalla connotazione compositiva preesistente; come integrazione di mento di questo “vuoto” in senso nuovi elementi direttamente nella corsimbolico, mentre in alcuni casi si tina edilizia o mediante la creazione di è proceduto alla costruzione in- una “seconda pelle” di rivestimento della terna di nuove parti architettoni- struttura originaria. che tali da valorizzare la spazialità Il progetto dell’estensione è, nella maggior parte dei casi, organizzato secondo interna senza alterarne le relazioni la logica dell’analogia formale, compositra le parti. tiva o materica con la preesistenza, spesLa tipologia di trasformazione che so attraverso la reinterpretazione delle si produce mediante l’ampliamento proporzioni originarie, acquisendo quedell’oggetto architettonico, risponde ad ste ultime come “misura” della trasforun processo progettuale che si sviluppa mazione. verso l’esterno dell’edificio, con il supe- I progetti che rientrano in questa modaramento dei suoi limiti originari. lità sono: il Museo Kuppersmuhle a DuQuesta modalità comporta, dunque, una isburg e gli ex a Wurzburg. occupazione parziale del contesto circo- L’annessione di nuovi corpi di fabbrica stante tale da modificare quest’ultimo alle strutture precedenti implica un divernonché le relazioni spaziali che sussiste- so grado di trasformazione che viene rivano tra architettura e suo intorno. solto attraverso una modalità di relazione L’estensione del manufatto può avveni- dialettica e di contrasto tra il vecchio ed re secondo le seguenti modalità: come il nuovo, realizzato mediante sostanziaestensione della struttura compositiva li differenze volumetriche, materiche e 289


Trasformare per conservare interpretazione dei luoghi industriali dismessi

Il processo della dismissione industriale ha subito negli ultimi decenni una diffusione crescente in tutto il mondo industrializzato. In Italia la crisi di alcuni comparti produttivi e il processo di decentramento e ristrutturazione del sistema industriale hanno preso avvio negli anni settanta, “liberando” piccole e grandi aree collocate in posizioni spesso semicentrali, servite da una efficace rete infrastrutturale e dunque strategiche per il futuro delle comunità. Torino, Milano, Venezia, Genova, Napoli sono fra le zone metropolitane più pesantemente investite dal fenomeno, ma quasi ogni media e piccola città di provincia ne è stata e ne è interessata. Aree e complessi di edifici fino a ieri centrali per la loro immagine e per l’importanza economica e sociale delle attività che vi si svolgevano diventano i luoghi per eccellenza della marginalità e dell’abbandono, con un cambiamento tanto repentino da essere percepito come un fattore grave di perdita e di degrado. La metafora del “vuoto” - grey area - che ricorre nella letteratura sulle aree dismes290

se sintetizza per molti versi atteggiamenti e sentimenti diffusi, specie nelle prime fasi di analisi e valutazione del fenomeno: denuncia il disorientamento prodotto da una stima delle quantità in gioco che, di contro a quel vuoto, ha messo progressivamente in luce l’enorme valore assunto da queste aree entro il contesto della città e del territorio; enfatizza il carattere di separatezza che contraddistingue i luoghi del lavoro, rappresentato simbolicamente e fisicamente materializzato dalle mura che ne circoscrivono l’ambito, che dividono o hanno diviso due sistemi di gerarchie spesso fra loro non comunicanti; offre un’interpretazione riduttiva di realtà urbane e di storie invece ricche di sedimentazioni e di memorie, spesso poco indagate e tali da potersi porre come tema fondativo di ipotesi di progetto capaci di leggere le potenzialità dei luoghi e delle architetture. Quei “vuoti”, in effetti, erano tali inizialmente soprattutto sotto il profilo conoscitivo. Dopo gli esordi inglesi (1959), verso la metà degli anni settanta si apre com’è noto anche in Italia una discus-

sione ampia e articolata sull’“archeologia industriale”, luogo di convergenza allora ancora largamente instabile e provvisorio teso ad accogliere entro un’ipotesi di lavoro interdisciplinare studi già avviati e altri di nuova formazione. Gli edifici industriali vengono riconosciuti quali depositi di memorie storiche e sociali, produttive e tecnologiche, di saperi costruttivi da riscoprire in corpore vili, ma anche quali luoghi talvolta significativi sotto il profilo architettonico e artistico, dotati di una grande carica evocativa, rappresentativa e simbolica. Una prospettiva complessa, che innesca una nuova fase di studi, con l’awio, accanto a sintesi di ampio raggio tese a evidenziare modelli e prototipi in un ambito internazionale di riferimento, delle prime campagne di censimento e di catalogazione su aree territoriali circoscritte, di affondi conoscitivi e interpretativi su realtà e casi specifici, spesso condotti privilegiando complessi edilizi di tipo tradizionale caratterizzati da precise intenzioni rappresentative o da un rapporto coinvolgente con l’ambiente e il paesaggio.


TRASFORMARE PER CONSERVARE Nella pagina seguente il progetto Hangar-Bicocca a Milano

Negli stessi anni in cui nasce e si sviluppa il dibattito sull’archeologia industriale, il riuso del patrimonio edilizio esistente, come risorsa insieme economica e culturale di grande importanza, emerge quale nuova fondamentale frontiera di lavoro della cultura del progetto. Entrato in crisi il paradigma della crescita della città1, riutilizzare l’esistente - anziché disperderne i valori - diviene obiettivo centrale nel processo di definizione del moderno organismo urbano, in un quadro di risorse scarse e in una prospettiva di razionalizzazione prima che di sviluppo. È con difficoltà tuttavia che il patrimonio da salvaguardare viene ampliato a considerare quelle categorie di edifici, fabbriche e case popolari, impianti di servizio e infrastrutture, che connotano le prime periferie urbane e che via via in relazione ai fenomeni di dismissione emergono quali pesanti interrogativi per il futuro della città e del territorio. Gli edifici industriali, in particolare, considerati da un lato nella densità di memorie storiche e di valori architettonici che spesso paiono incorporare, sembrano evidenziare da un altro

lato, abbandonati e sottoposti a un veloce degrado, la loro irrimediabile natura di “residui”, di scarti ormai inservibili. La questione della riconversione delle aree dismesse anima dunque un dibattito acceso, attraversato da interessi contrapposti, specie quando - superato l’iniziale horror vacui - essa cessa di essere colta come “problema” per iniziare ad essere percepita come “risorsa” e occasione di rilancio per molti versi irripetibile di interi comparti urbani e territoriali. Una questione che, tuttavia, sembra sin dall’inizio forzare ai loro limiti estremi categorie di giudizio consolidate, condurre entro un terreno di confronto e di scontro culture della storia, del restauro e del progetto architettonico e urbano, tutte da diversi punti di vista impegnate ad osservare il nuovo “patrimonio” edilizio, le sue quantità e qualità, a discuterne il possibile destino. A dispetto della maturazione di una consapevolezza crescente sui significati del patrimonio Veduta dei Docks di Marsiglia industriale, la logica che sin qui ha prevalso negli interventi di riconversione

delle aree di- dall° D’9ue du Lar9e smesse è quella della tabula rasa, dell’integrale cancellazione e sostituzione delle preesistenze. Le prospettive di valorizzazione economica garantite da questo tipo di interventi, la consapevolezza dei costi elevati del recupero di edifici degradati da un uso intensivo prima e dall’abbandono poi - costi per inciso difficilmente stimabili con precisione a monte delle realizzazioni -, hanno spesso la meglio su qualunque altro tipo di considerazione. Alcune recenti ricerche ricostruiscono un repertorio vasto e per molti versi preoccupante di casi di trasformazione di interi comparti ex industriali: accanto a poche positive eccezioni, gran parte delle operazioni appaiono condotte negando qualsiasi volontà di connessione con una organizzazione urbana sedimentata, cresciuta nel tempo intorno alle fabbriche. Il ruolo della memoria viene talvolta affidato, con esiti quasi parodistici, a singoli frammenti industriali, selezionati e conservati con cura per essere lasciati a soprawivere - “straniati” - in contesti291


FENOMENO DEL RIUSO

completamente mutati. L’effetto di sp esamento che questi interventi producono è molto forte. Essi denunciano la difficoltà di attribuire ad aree spesso imponenti funzioni e valori non solo fondiari. I molti progetti in corso evidenziano, com’è stato sottolineato, quanto “la sostituzione del ‘consumo al progresso’, dell’individuo alle esperienze collettive, portino a luoghi paradossalmente sempre più omologhi [...] dove la rottura dei recinti si accompagna a un grado zero dello spazio, a una sua condizione di forse ancora minore urbanità”. La realizzazione in tempi brevi di nuove consistenti porzioni di città si accompagna spesso all’adozione di soluzioni edilizie standard, senza qualità, soluzioni che, come nel caso di Torino, non hanno contribuito “né a riallacciare la forma urbana alla sua straordinaria storia industriale [...] né a definire i luoghi di nuovi possibili futuri della città”. In questo quadro la scelta del recupero rappresenta il punto di arrivo di processi spesso complessi, entro i quali è possibile leggere interpretazioni diverse della fabbrica e del suolo su cui essa insiste: la fabbrica come luogo di lavoro perduto, come terreno di valorizzazione economica, come “vuoto” da riempire di contenuti - espressi a volte a partire da vere e proprie mobilitazioni sociali -, come nuovo e controverso patrimonio. Si tratta di interpretazioni che incidono sulle scelte iniziali, e che continuano ad agire e a convivere anche oltre, sul terreno del dibattito, sul terreno del progetto e delle sue modificazioni, sul terreno del cantiere, in una complessità che se è con292

naturata a qualsiasi attività di progetto e di costruzione, in edilizia, sembra qui essere segnata da punti di discontinuità particolarmente forti. Non è un caso forse che, almeno inizialmente, gli interventi di riqualificazione concretamente avviati in Italia siano abbastanza pochi, e che spesso essi riguardino complessi di dimensioni contenute. A Venezia l’ex fabbrica della birra Dreher viene ad esempio trasformata in residenza, tramite azioni di ripristino dell’involucro murario di mattoni e di demolizione e ricostruzione dell’interno. A Milano e in Lombardia alcune fabbriche dismesse, come l’ex Moretti Tende, vengono coinvolte da operazioni di recupero leggero per ospitare piccole unità produttive fra loro consorziate, contrapponendosi in tal modo “ai processi speculativi, alla smobilitazione, alla dissoluzione di un patrimonio di cultura industriale così presente nella struttura sociale e nel tessuto edificato della città”. A Roma viene portato a compimento il recupero di una prima parte dell’ex complesso Peroni, destinata a uffici della direzione generale della Società Birra Peroni. A Torino il Comune riconosce in alcuni edifici industriali dismessi una testimonianza “onesta e vera” di un periodo dello sviluppo urbano e ne avvia la riconversione a servizi pubblici. Anche se qui, a partire dall’inizio degli anni ottanta, il dibattito sarà catalizzato dalla discussione sul futuro del Lingotto. Ma è negli anni novanta che si assiste a un forte aumento dei casi di riconversione delle aree industriali dismesse e che, accanto ai molti progetti di “ripristino partendo da zero”, iniziano a


TRASFORMARE PER CONSERVARE

essere sperimentate modalità d’intervento più innovative, fondate su un intreccio puntuale di azioni di conservazione e di costruzione ex uovo-, con un approccio “sostenibile”, semplicemente perchè parte dall’esistente e non lo distrugge in modo indiscriminato, ma se ne fa carico, lo interpreta e lo modifica per adattarlo a esigenze e usi contemporanei. I temi ricorrenti di questi interventi, anche nei casi illustrati in questa sezione del libro, nascono da un confronto con i caratteri e le identità dei luoghi industriali, con la complessità dei segni e delle stratificazioni che li contraddistinguono. II tema innanzitutto della connessione con la città di aree chiuse, separate ma strutturalmente legate al loro intorno:

aprire dei varchi nei recinti industriali costituisce, in primis, l’azione fisica necessaria per porre in comunicazione queste aree con i quartieri cresciuti nel tempo intorno ad esse. Un’azione che può es-

sere risolta tramite demolizioni estese o invece, accettando la natura introversa dei luoghi industriali, tramite “tagli” e “cuciture” puntuali. In questo secondo caso, la connessione può essere affidata piuttosto all’attrattività delle funzioni insediate nelle aree dismesse, rafforzata dal ridisegno degli spazi pubblici interni ed esterni ad esse, anche valorizzando quegli elementi di collegamento - canali, rogge, percorsi viari e ferrati - un tempo essenziali per il funzionamento delle fabbriche e spesso oggi ancora presenti. Il tema della conservazione, fisica e non solo, di una memoria industriale

non sempre pacificata, si confronta con complessi edilizi di dimensioni rilevanti, disegnati a partire da rigorosi layout ma cresciuti spesso attraverso processi di modificazione e di progressiva saturazione dello spazio disponibile all’interno dei lotti. Una condizione ricorrente che, oltre a richiedere uno sforzo di analisi e di comprensione particolarmente impegnativo, rende tutt’altro che scontata, o naturale, la scelta di che cosa conservare: “liberare” l’impianto originario dai successivi ampliamenti, quando questo sia ancora riconoscibile, accettare e utilizzare al meglio il mix di edifici esistenti, sono solo due fra le molte possibilità, da porre a confronto con committenze, budget ed esigenze di volta in volta differenti. L’inserimento di nuove destinazioni d’uso si confronta con gli assetti tipologici degli edifici, di solito fondati sull’iterazione di una identica maglia strutturale scelta, in origine, per rispondere alle esigenze del ciclo produttivo e a quelle della standardizzazione delle tecniche e dei componenti edilizi. Molto si è detto e scritto, anche in anni recenti, sulle potenzialità che i manufatti industriali possiedono quando riutilizzati per destinazioni di tipo culturale (musei, biblioteche, archivi, centri culturali): i grandi luoghi della produzione possono in questi casi continuare a vivere, pur con le necessarie modifiche, nella loro condizione spaziale di origine. Ma un vasto campionario di interventi di recupero, a livello internazionale, evidenzia come le fabbriche e i loro spazi modulari possano accogliere con successo anche altre desti-

nazioni d’uso, ad esempio scuole, uffici e residenze: “incontro” fra le esigenze di compartimentazione e suddivisione dello spazio proprie di alcune di queste destinazioni d’uso e il fascino dei grandi ambienti indivisi delle fabbriche spinge anzi i progettisti a forzare modalità di progetto sin troppo assestate, con esiti talvolta di grande interesse, come anche alcuni casi-studio di seguito illustrati paiono evidenziare. Centrale nel recupero del patrimonio industriale è infine anche il ruolo della tecnologia, intesa come discorso critico e sistematico sulle tecniche, come risorsa necessaria quindi sia sul piano dell’identificazione dell’esistente, sia sul piano del progetto di riqualificazione. Il rapporto con la materialità della fabbrica, con il suo essere il più delle volte scandita da pochi ed essenziali elementi costruttivi realizzati in stretta economia, può fornire suggerimenti decisivi per il progetto di riqualificazione e per la salvaguardia di uno dei caratteri identificativi più importanti dell’architettura industriale. Suggerimenti che, tuttavia, specie per gli edifici moderni, si scontrano spesso con problemi di adeguamento a mutate esigenze di sicurezza e di comfort, riflesse in specifiche normative, che rendono il tema ben più arduo e complesso di quanto a prima vista si potrebbe pensare. La dismissione delle aree industriali, nonché la loro trasformazione, non è una questione esclusivamente contemporanea ma accompagna città e territorio a partire dal medioevo; sono invece condizioni attuali le modalità e l’accelerazione con cui, soprattutto a fronte della costan293


FENOMENO DEL RIUSO

te evoluzione tecnologica, hanno corso i cambiamenti. A partire dagli Trenta, si è registrata la necessità di spostare gli stabilimenti verso aree più periferiche per ovviare alla congestione metropolitana. Tuttavia, è solo dagli anni Settanta che il fenomeno viene identificato nel senso più comunemente inteso dì dismissione, inizialmente in riferimento ad alcune regioni degli Stati Uniti e dell’Europa centrale e progressivamente a tutta l’Europa meridionale e mediterranea. La crisi industriale ha prodotto una moltitudine diffusa di aree dismesse e generato due fenomeni divergenti: da un lato le testimonianze fisiche dello svuotamento e dell’abbandono, nonché l’impoverimento economico-sociale a cui si lega il degrado urbano-territoriale, e dall’altro l’inaspettata presenza di una risorsa per la rivitalizzare e riqualificare il territorio stesso, nella misura in cui gli spazi in disuso hanno rappresentato una sfida per il sistema economico-sociale, uno stimolo per reinterpretare contesti critici con il coinvolgimento di nuovi soggetti, differenti forme d’uso e tecnologie all’avanguardia. In questa prospettiva l’architettura dell’industria assume un ruolo strategico e simbolico, in qualità di parte sistemica del paesaggio di cui è componente essenziale e veicolo di valori collettivi. La riqualificazione delle architetture industriali è anch’essa vettore di una duplice tematica: la prima, materiale, legata al recupero strutturale e funzionale di volumi obsoleti la cui rigenerazione restituisce qualità ai tessuti antropizzati; la seconda, teorico-culturale, è legata al 294

valore che i complessi hanno per l’eredità culturale dei luoghi, concetto che ha acquisito rilevanza soltanto in epoca recente. L’esperienza che deriva dal dibattito sulle aree industriali dismesse, avviato tra gli anni Sessanta e Ottanta, e divenuto nodale negli anni Novanta a causa dell’abbandono di cospicui comparti industriali, rivela la stringente esigenza di riconfigurare i settori in disuso all’interno di tessuti urbani congestionati. Nelle città,

quindi, offre l’occasione di rivedere, in un’ottica contemporanea, alcune porzioni, restituendo la flessibilità di interpretare, nel concreto delle necessità contingenti, gli spazi, le attività e le nuove tecnologie.

Nell’arco dell’ultimo ventennio la dismissione delle aree industriali è passata dall’essere percepita come momento di frattura a opportunità concreta di riqualificazione e sviluppo, assumendo, in alcuni casi, il ruolo di collettore di energie economiche, scopi amministrativi e sociali che determinarono il rilancio di comparti di città o interi ambiti territoriali: in breve, gli spazi post industriali diventano una reale chance di trasformazione programmata, o non programmata, del territorio, così come avevano precocemente intuito Gregotti e Cagnardi nella stesura del Piano Regolatore di Torino. Nel momento in cui la città raggiunse la fase di saturazione, prese avvio il processo di riorganizzazione industriale e decentramento degli impianti produttivi che rese improvvisamente disponibili ampie aree


TRASFORMARE PER CONSERVARE

nel centro urbano, nel luogo in cui erano insediati complessi industriali, mercati, macelli, aree ferroviarie. Alcuni di questi interventi di recupero furono utilizzati come sperimentazione, prove generali per iniziative di rilevanza nazionale: un esempio importante, per portata e significato socio-culturale, fu la riconversione dell’ex Fabbrica Lingotto FIAT, affidata alla progettazione di Renzo Piano, che trasformò lo stabilimento in polo multifunzionale di rilievo urbano. A Milano, altrettanto significativo fu il progetto dell’area Bicocca che, sotto la guida di Gregotti e Associati, e con lo slogan “un centro storico per la periferia”, assunse funzione strategica e nuova centralità all’interno del sistema metropolitano sull’asse nord-sud della città, fino ad allora occupato dagli stabilimenti Pirelli. Anche in questo caso, il progetto del nuovo polo tecnologicamente avanzato fu pensato come complesso architettonico articolato e multifunzionale con una connotazione chiara che lo identificò come parte nuova di città. Sebbene non il primo in Europa, il recupero dell’area ex Pirelli-Breda fu tra i progetti pilota per la trasformazione delle aree industriali dismesse, energetico propulsore di repliche sul territorio nazionale ed estero. Da queste esperienze ha preso spunto il progetto per Sesto San Giovanni, attualmente in corso, in cui il recupero della vastissima area occupata dall’industria siderurgica Falck sarà possibile grazie alle prescrizioni del PRG di Gregotti, che ha attribuito al recupero delle strutture storiche il doppio della volumetria consentita sull’area. A questo si è aggiunta

la progettazione esperta di Renzo Piano che ha immaginato di trasformare gli stabilimenti siderurgici dismessi in “Città della salute” dotata di stazione ferroviaria, dieci piazze, case e uffici, di cui cinque a torre, biblioteche, scuole e persino un monastero francescano: il progetto Milanosesto. Sebbene non si possa definire una procedura univoca e un modello applicativo di intervento sulle aree post-produttive, si possono tuttavia individuare principi ordinatori con cui approcciare l’argomento. Sulla questione scriveva già negli anni Novanta ancora Gregotti, mettendo in evidenza come la riqualificazione, la riconversione, il riuso delle aree industriali dismesse dovesse essere parte di un processo di trasformazione di più ampio respiro con la finalità del miglioramento qualitativo e funzionale dell’area stessa. Egli identificava alcuni passi fondamentali per la progettazione di quelle aree, regole che devono essere tenute in considerazione in fase di progetto, tra le quali, dare alla nuova realtà una precisa riconoscibilità che prenda il posto della precedente identità produttiva. Le esperienze citate rappresentano modelli di successo legati al tradizionale processo di rinnovamento e trasformazione governato dagli strumenti urbanistico-territoriali congiuntamente alla programmazione economica. I tempi e i modi dei processi amministrativi non sempre però hanno risposto in modo ottimale alla crescente necessità di recupero, anzi la pianificazione territoriale e la governance si sono rivelati in molti casi lenti e inadatti alla portata e alla celerità

delle dismissioni, lasciando intere aree di città e territorio nell’abbandono e nel degrado. Tale inadeguatezza ha aperto la strada a nuovi approcci al tema della rigenerazione, trovando terreno fertile in quelle componenti della società, attive e creative, che sono intervenute sul territorio con forme di autorganizzazione e gestione alternativa, intercettando esigenze e bisogni diffusi13. È questo il caso degli usi temporanei visti come condizione di opportunità, per le aree in attesa di trasformazione, di sostenibilità ambientale, economica e sociale ma anche come possibilità per uno sviluppo creativo della città.

Qualunque sia l’approccio al tema della rigenerazione e le strategie adottate, l’obiettivo comune è quello di restituire identità a quei brani di città snaturati nel contenuto dalla cessazione delle attività. Le esperienze di rigenerazione di contesti dismessi in Europa mettono in luce una varietà di metodologie e scenari che non possono essere ricondotti a un’unica matrice, sia per quanto riguarda gli indirizzi e le funzioni della rigenerazione, sia in merito ai paradigmi economici utilizzati e agli attori che concorrono alla riconversione delle aree.

Nella pagina accanto il progetto di Renzo Piano all’ex fabbrica del Lingotto a Torino

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FENOMENO DEL RIUSO

Il progetto di riuso come ricerca di nuove relazioni

Relazioni di scala

Il paesaggio industriale è un fenomeno urbano e territoriale che costituisce un ambiente con dei propri caratteri specifici, manifestando non solo la presenza di elementi autonomi, di iconemi, ma mostrando anche diversi gradi di relazionalità che sono il segno fisico di un preciso ordine d’uso e di appartenenza a quel territorio.

Esistono diversi tipi di relazione che possono essere individuati ed interpretati come elementi di persistenza o variabilità nel progetto di riuso, sia alla scala architettonica che urbanistica. Una modalità relazionale che concorre alla definizione di una strategia di progetto in ambito di riuso industriale riguarda le relazioni di scala. ossia il rapporto tra la grande dimensione dell’insediamento industriale e quella. generalmente più contenuta, del tessuto urbano circostante. Tali rapporti vanno letti sulla base della morfologia sedimentata nel tessuto urbano, determinata sia dalla stratificazione delle diverse attività insediate nel processo di territorializzazione. che dalla presenza di sistemi ambientali specifici. In alcuni casi può essere lo stesso edificio industriale a definire con la sua presenza una differenza dimensionale con il tessuto urbano (la Tate Modem di Londra piuttosto che la Contemporany Art Tower di Vienna). Una strategia possibile in questi casi è quella che tende a preservare il contrasto dimensionale tra elemento industriale e tessuto urbano, reinterpretando la differenza di scala come elemento di riconoscibilità all’interno dell’organismo urbano. La differenza di scala è dunque un elemento che può essere valorizzato ai fini del progetto, perché capace di instaurare relazioni con un contesto urbano esteso. permettendo di inserire l’intervento all’interno di una rete di elementi simbolici che assumono un ruolo di riferimento per l’intero contesto territoriale.

Museo della Zeche Zollverein nel bacino della Ruhr

Ma il paesaggio è anche caratterizzato dal cambiamento, dalla mutazione, dalla continua riscrittura e ri-teritorializzazione dei suoi spazi.” Operare una trasformazione sulle aree industriali dismesse comporta la necessità di guardare ai diversi tipi di relazioni che l’oggetto dismesso instaura con il proprio contesto, ai fini di selezionare quei valori, espliciti o potenziali, che questo possiede sia dal punto di vista fisico (spaziale, formale. materico) che concettuale (storico. identitario). Questa necessità, dal punto di vista della pratica progettuale, si traduce generalmente in una compresenza di diverse strategie e diversi tipi di relazioni che è possibile attivare nella trasformazione. “ bisogna sostituire ruolo, funzione e significato degli edifici per adattarli a nuove realtà abitative e produttive [...] a queste categorie si affiancano nuovi valori, quali permanenza, identità e relazioni locali che costituiscono la differenza tra uno spazio vivo ed uno atopico.” 296


COME RIUTILIZZARE IL PATRIMONIO INDUSTRIALE

L’edificio come contenitore bine diventa una sorta di piazza coperta ad uso pubblico, oppure similmente per vuoto

Tate Modern a Londra

“La separazione tra involucro e struttura è una conquista della modernità ed è resa possibile dalle nuove tecnologie del ferro e del cemento che derivano dalla rivoluzione industriale e che in seguito vengono applicate nel processo costruttivo industriale’ promosso con il movimento moderno.” L’edificio industriale è pensato come oggetto che serve a contenere i grandi macchinari per la produzione. Essendo inoltre legato ad un sistema produttivo che è in continua evoluzione questo

porta in se un carattere di temporaneità, di modificabilità, permessa dall’autonomia degli elementi costruttivi. Questa caratteristica rende gli edifici industriali particolarmente adatti a progetti di riuso, in quanto ge-

quanto accade nel Museo della Zeche Zollverein, dove alla ex sala macchine corrisponde il grande spazio centrale di distribuzione. Anche il progetto di Frosilos a Copenhagen è un esempio in cui il vuoto centrale viene mantenuto e valorizzato, diventando un spazio distributivo di grande impatto e riconosc ibilità. Una differente interpretazione del “contenitore” è invece quella data dal progetto degli ex gasometri di Vienna, dove lo spazio vuoto viene sostanzialmente riempito, permettendo l’inserimento delle nuove funzioni ed al contempo il mantenimento della conformazione volumetrica del complesso e del suo carattere di edificio industriale in rapporto alla scena urbana.

Il concetto di vuoto quindi può ricondursi a due principi o atteggiamenti fondamentali, ossia quello dell’inclusione e quello dello svuotamento.

Nel primo caso lo spazio vuoto viene sfruttato come possibilità di inserire elementi nuovi, nel secondo diventa un obbiettivo strategico dell’intervento. ll vuoto come assenza di contenuto rimane in ogni caso un materiale, per quanto grezzo. disponibile alle mutazioni secondo interpretazioni diverse, dove l’assenza assume il valore di un potenziale riempimento lasciando aperte diverse posce di adattarsi funzionalmente e sibilità di uso e funzioni ad esso legate. simbolicamente al nuovo scenario J. Nouvel parla di “edifici-oggetti, edifici-contenitore, immersi e contenenti uno di trasformazione. spazio di tipo nuovo, che sia contempoÉ il caso della centrale elettrica di Londra, raneamente tutto e niente. che significhi oggi Tate Modem, dove la grande sala tur-

neralmente questi offrono locali molto ampi e strutture facilmente modificabili o ampliabili; ma il loro potenziale non è soltanto nella capacità di contenere. Attraverso l’osservazione dei casi studio emerge infatti come spesso sia proprio il vuoto interno “programmatico” (cioè corrispondente al programma funzionale della fabbrica) un valore capa-

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FENOMENO DEL RIUSO

il meno possibile nell’espressione ed il piu possibile nelle potenzialità; uno spazio che si presterà a tutto ciò che vorremo con pochi mezzi”.

Contemporary Art-Tovver di Vienna

termico o dell’illuminazione naturale, si trova invece nel particolare rivestimento utilizzato per l’estensione degli Ex granili del Porto di Wurzburg. Un rivestimento che recupera, reinterpretandole, sia alcune logiche compositive ereditate dalla preesistenza industriale, sia la sua natura L’involucro come pelle media- materica attraverso l’uso degli stessi matica teriali lapidei. Con modalità differenti il rapporto intemo-esterno si sposta graLa separazione tra involucro e struttu- dualmente sulle superfici e sulle facciate, ra è una questione esplorata a partire aumentando il grado di relazione tra l’ogdal movimento moderno, ma è soltanto getto architettonico ed il suo contesto. a a partire dagli anni ‘80 e ‘90 che La logica del frammento: sovrap-

l’involucro architettonico eredita in modo così radicale il ruolo di rappresentazione, staccandosi dalla struttura anche a livello concettuale, trasformandosi in oggetto

posizione e stratificazione

Per quanto riguarda l’immagine del frammento questa fa riferimento al filone della cultura post-modema, dove ciascun elemento anche se decontestualizzato contiene una propria identità specifica comunicativo capace di produrre un’im- che può diventare materiale utile all’elamagine immateriale e mediatica dell’og- borazione del progetto. getto architettonico. Molti dei progetti L’edificio esistente può essere inpresi in esame adottano questa strategia basata sull’interpretazione dell’involucro tegrato, continuato, scomposto e come spazio di comunicazione. Questo ricomposto: nuove parti entrano nello principio è adottato in maniera parti- specifico palinsesto modificandone radicolarmente eclatante nel progetto della calmente il senso. Contemporary Art-Tovver di Vienna, dove Più di ogni altro tipo di intervenla grande facciata cieca delle torri in ce- to, il progetto di riuso si carattemento diventa uno -spazio pubblico” sul rizza come continuazione di uno quale proiettare le attività svolte all’interno del museo: ma è presente anche nelle stato precedente. Diventa quindi estensioni luminose della Tate Modem, plausibile la conservazione o la citazione piuttosto che nei rivestimenti scultorei di singole parti, oppure ancora è possidella Maison Folie di Wazemmes a Lite. bile considerare l’intero complesso come Un differente approccio nell’interpreta- frammento adattabile ad un nuovo conzione dell’involucro, come pelle tecno- testo (Museo d’Arte Contemporanea di Riga). logica capace di assicurare condizioni In questo approccio guadagna spazio il climatiche adeguate dal punto di vista tema della contaminazione e della

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COME RIUTILIZZARE IL PATRIMONIO INDUSTRIALE

sovrapposizione tra forme e lin- nessione ed integrazione. guaggi diversi, tema dal quale il riuso In ogni caso questo comporta un supera-

Museo Kuppersmuhle a Duisburg

dell’edificio industriale può difficilmente sottrarsi per poter operare in termini di progetto contemporaneo. L’esistente, per quanto frammentario e multiforme, è riconosciuto come valore e realtà operante, permettendo al progetto di produrre delle differenze che conferiscono il segno di una nuova identità. Frammentarietà e unicità diventano quindi termini sui quali è possibile costruire un processo progettuale che sia capace di definire il senso e l’identità specifica del luogo a partire dalla identificazione dei frammenti che possiedono un significato riconoscibile, procedendo verso una stratificazione di forme, valori e significati, capaci di relazionarsi alle nuove esigenze del progetto. La modalità della sovrapposizione, spesso integrata a notevoli demolizioni, tratta gli

elementi

mento dei limiti dell’edificio preesistente e quindi l’occupazione di una parte del contesto circostante tale da modificare le relazioni spaziali che esistevano tra l’edificio e il suo intorno. La modalità dell’estensione si attua attraverso una continuità fisica con la preesistenza. operata secondo la logica dell’analogia formale, compositiva o materica, spesso attraverso la reinterpretazione delle proporzioni originali utilizzando queste ultime come misura di riferimento. Rientrano in questa categoria i progetti del Museo Kuppersmuhle a Duisburg e gli ex Graniti di Wurzburg, dove l’estensione assume il carattere di completamento delle volumetrie esistenti nel rispetto della logica compositiva della preesistenza.

L’annessione di nuove parti alla struttura originaria implica generalmente un maggiore grado di separazione dall’edificio preesistente. Tale atteggiamento può essere

architettonici residui come parti da includere o inglobare nel nuovo progetto, che stabilisce un rapporto di tipo strumentale con la preesistenza, attraver- risolto attraverso una modalità di relaso l’attribuzione di un valore esclusi- zione dialettica e di contrasto tra vec-

chio e nuovo, realizzata mediante sostanziali differenze materiche, volumetriche e compositive tra le Strategie di ampliamento: esten- parti. Tra i casi presi in esame si riferisce a questa strategia il Riga Museum, sione, annessione, integrazione dove oltre la sovrapposizione della nuovamente memoriale.

Quello che in termini generali viene definito come intervento di ampliamento, può essere declinato nello specifico attraverso le modalità di estensione, an-

va struttura metallica amplia la spazialità originaria introducendo una nuova logica formale determinata anche dall’uso di materiali completamente diversi da quelli utilizzati nell’edificio originario.

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FENOMENO DEL RIUSO

Maison Folie a Wazemmes Nella pagina accanto: Mansilla + Tuñón Arquitectos, centro documental de la comunidad de Madrid

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Parlando di integrazione ci si riferisce invece alla trasformazione di singole parti componenti la struttura originaria. L’integrazione spesso viene realizzata sul piano della superficie muraria o con un lieve distacco rispetto ad essa, come elemento capace di evidenziare i caratteri specifici dell’edificio o di instaurare una nuova relazione compositiva che può dialogare con la preesistenza sia in termini di analogia che di contrasto. Questa strategia risulta particolarmente chiara nel progetto di Maison Folie a Wazemmes, dove il rivestimento di facciata diventa un dispositivo capace di instaurare una relazione percettiva inedita, dialogando con la preesistenza in termini di evidente contrasto. Un obiettivo generale nell’ambito del progetto di trasformazione è quello di instaurare relazioni tra “vecchi e nuovi” insediamenti, sia dal punto di vista fisico-formale che dal punto di vista funzionale e del valore simbolico-identitario attribuito al luogo. Se il tipo di intervento dipende certamente dai caratteri della preesistenza, dalla nuova destinazione d’uso, dalle caratteristiche spaziali e formali, e dal tipo di contesto in cui opera la trasformazione, esistono comunque alcuni temi ricorrenti che possono suggerire quali strategie relazionali attivare nell’ambito del progetto di riuso industriale. Dall’osservazione dei casi studio sono state dedotte alcune strategie relazionali ricorrenti nel progetto di riuso. Alcune di queste si pongono in relazione con un contesto ampio, che coinvolge interi ambiti urbani, con ricadute alla scala territoriale in quanto capaci di in-

serirsi all’interno di una rete di polarità urbane. Emerge in questi casi una

forte relazione tra la morfologia del tessuto urbano e la dimensione dell’insediamento dismesso.

Da questo punto di vista la scala dell’edificio diventa un valore strategico per l’attribuzione di un nuovo significato. Un tipo di relazione che invece riguarda più da vicino l’edificio dismesso e le sue relazioni interne è quello che vede l’edificio come contenitore. In questo caso entrano in gioco le qualità spaziali e volumetriche della preesistenza,

il valore del vuoto programmatico come memoria dell’uso industriale ed il tipo di programma funzionale

che si vuole attuare. Il tema dell’involucro invece ha una più stretta relazione con il rapporto tra interno ed esterno della struttura. Esso può essere una pelle mediatica con molo di rappresentanza, può essere utilizzato come membrana tecnologica, oppure avere entrambe queste funzioni. La logica del frammento si basa invece sulla individuazione di specifiche caratteristiche formali che si ritiene utile mantenere e valorizzare attraverso la loro identificazione, la quale spesso awiene per contrasto. Per quanto riguarda la scelta delle strategie di ampliamento (estensione, annessione, integrazione), questa si basa in parte sulle necessità dettate dal tipo di funzione che si intende inserire, ma è anche dettata dalla presenza di valori formali e dal tipo di linguaggio che si vuole utilizzare nella nuova composizione.


COME RIUTILIZZARE IL PATRIMONIO INDUSTRIALE

Il recupero dell’architettura industriale per la creazione di spazi culturali Vecchie fabbriche, mattatoi in disuso, ex palazzi della Gioventù Italiana del Littorio: il recupero dell’architettura industriale per la creazione di spazi culturali che doveva restituire alla capitale e a tutto il paese un’aura di modernità, lungi dal metterla al passo con le grandi capitali europee rischia di rimanere un’operazione di pura facciata. A Roma, nell’ex mattatoio di Testaccio si sta tentando il riuso degli stabili attraverso una politica che lo porti a divenire un “centro di produzione industriale”. IN questi termini il luogo potrebbe diventare un catalizzatore importante calcolansoprattutto visto il fatto che nella capitale mancano spazi prove e di produzione. Il progetto dovrebbe essere forte dal punto di vista identitario e potrebbero partecipare diverse strutture creando una vera e propria rete. Un lavoro necessario per mettere gli artisti in condizione di portare avanti i propri progetti.

Il riuso sociale degli spazi A fronte dei molteplici cambiamenti che stanno riguardando la città contemporanea e la sua popolazione, si assiste ad una innovazione nella sfera pubblica, ovvero ad un maggiore coinvolgimento da parte delle istituzioni di altri attori (istituzionali, privati, sociali, politici, economici,…) nella produzione dei beni pubblici. Sorgono sempre più iniziative finalizzate a

trattare le istanze collettive in maniera partecipata, secondo un meccanismo rinnovato. Si osserva che una delle condizioni di efficacia delle politiche pubbliche è il partenariato di progetto e cioè la partecipazione allargata e la ricerca di sinergia tra diversi attori non solo nell’ideazione ma anche nella realizzazione degli interventi. In questa prospettiva il recupero, che sia edilizio, architettonico o urbano, non è più tema disciplinare ma diventa la

grande occasione per ripensare la città nella sua interezza. La “città” appunto, intesa come il più completo registratore fisico su cui viene continuamente scritta e riscritta la storia di una comunità. Gli architetti devono “solo” imparare a leggerla, per condividerla con i cittadini e fare del progetto urbano un’occasione di riappropriazione collettiva del luogo. A fronte dell’incremento della richiesta di luoghi per la collettività e di innovazione per la sfera pubblica si ritiene che

gli spazi disponibili possano funzionare da magneti delle energie sociali presenti sul territorio, e dunque con-

trastare la loro dispersione e potenziare la loro capacità progettuale. Si potrebbe più semplicemente dire che, ad oggi, la vocazione più appropriata per il riuso degli spazi dismessi è spesso quella sociale per svariati motivi. In primo luogo perché, mentre la società e le sue forme organizzative si fanno sempre più complesse e articolate, gli spazi urbani realmente accessibili per la sperimentazione rappresentano una risorsa sempre 301


FENOMENO DEL RIUSO

più scarsa, della quale invece gli attori impegnati nel sociale lamentano una straordinaria necessità. Inoltre in un’ottica di sostenibilità sociale, la condivisione degli spazi tra persone e soprattutto tra progetti risulta conveniente per almeno due ragioni: non solo perché massimizza l’uso di una risorsa scarsa, ma anche perché aiuta ad esplorare possibili sinergie e interdipendenze tra i diversi attori. In secondo luogo, l’esperienza del riuso risulta rilevante perché facilita l’immaginazione e consente di risparmiare tempo e risorse: rapportarsi con uno spazio è infatti spesso una condizione vincolante per verificare la fattibilità di un’idea di progetto e per fare delle prove. Per conoscere un bene immobili bisogna leggerne le caratteristiche tipologiche e spaziali dell’edificio, individuarne i materiali costruttivi e le soluzioni tecniche che caratterizzano il manufatto contestualizzandolo ed infine individuare lo stato di conservazione dell’esistente. I linguaggi di trasformazione si muovono tra due estremi: il ‘contrasto’ con quanto esiste, che può portare anche all’eliminazione dell’immagini precedente, e la ‘continuità’ che può passare dalla mimesi, alla più complessa ricerca di un rapporto sottile tra le componenti architettoniche di quanto esiste e del nuovo. Se l’oggetto dell’intervento è riconosciuto come anonimo, amorfo, o addirittura privo di valore estetico, come accade ad esempio per molta architettura diffusa residenziale, commerciale, industriale degli anni Cinquanta e Settanta, la rimodel-

lazione dell’esistente sarà soste302

nuta dal compito di migliorarlo, si porrà meno problemi dal punto di vista del linguaggio della trasformazione. Il problema dell’intervenire sul costruito si complica quando all’oggetto del recupero, anche in assenza di un vincolo specifico di tutela, si riconosce un valore estetico culturalmente condiviso. In questo caso una strategia efficace è quella della valorizzazione della stratificazione, che si basa sul principio che all’interno di un edificio recuperato, la preesistenza e il nuovo possono convivere esprimendosi in modo parallelo. “L’elemento nuovo si identifica solo con l’addizione chiaramente distinguibile nell’insieme. Alcuni principi basilari del restauro sottendono anchegli interventi di recupero, come la riconoscibilità e la reversibilità. La riconoscibilità presuppone che il nuovo intervento deve assumere un rilievo formale autonomo. La reversibilità è un principio di salvaguardia e di comunicazione ai posteri. Recuperare un edificio significa quindi compiere un’azione trasformativa che richiede capacità di analisi e di giudizio critico. I linguaggi della trasformazione si muovono tra i due estremi del ‘contrasto’ e della ‘continuità’ con l’esistente. Il nuovo può costituire un segno impercettibile oppure cambiare la percezione dell’edificio trasformandone i volumi, i prospetti e i materiali, per adattare gli edifici alle nuove funzioni e migliorarne le prestazioni.

Sopra la pianta dell’intervento a Würzburg dei Brückner Architekten un de Ingenieure; nella pagina accanto il nuovo ingresso; nelle foto sottostanti il centro “Macao” di Bologna


COME RIUTILIZZARE IL PATRIMONIO INDUSTRIALE

La strategia della scatola nella in modo tale da inserire alcune singolari aperture laddove era strettamente necesscatola Questa strategia viene solitamente adoperata quando all’immobile viene rico-

nosciuto un valore culturalmente condiviso, per cui si evitano trasforma-

zioni morfologiche che alterino la percezione esterna dell’edificio esistente. E’ il caso di molti musei realizzati in “contenitori” storici o monumentali, in cui lo stesso immobile è elemento da esporre e conservare. In questo caso il nuovo inserto è custodito all’interno dell’edificio recuperato in un corpo strutturalmente e formalmente autonomo. In presenza di grandi volumi, come spesso accade per i manufatti industriali, la strategia della scatola nella scatola risulta particolarmente efficace, in quanto permette la realizzazione di un edificio all’interno di un altro. Un esempio significativo è il recupero del magazzino nel porto di Würzburg dei Brückner Architekten un de Ingenieure, che è stato convertito in un “magazzino per la cultura” contenete la galleria civica di arte moderna e contemporanea, che necessitava di uno spazio espositivo più ampio e adeguato, la preziosa raccolta privata di arte concreta del collezionista berlinese Peter C. Ruppert, spazi per mostre temporanee e un teatro da 200 posti. Il principio fondatore dell’intervento è stato quello di preservare, per quanto possibile, gli elementi originari dell’involucro murario e di parte della struttura di legno. La scatola storica è stata infatti restaurata

sario, per creare gli ingressi. La nuova costruzione è separata dal contenitore storico “creando una scatola di calcestruzzo armato nella scatola storica di mattoni e pietra. Il nuovo contenitore “permette di ospitare in modo adeguato gli spazi espositivi, la cui organizzazione sarebbe risultata incompatibile con la fitta rete strutturale dell’ex magazzino, senza gravare sulle murature esistenti. Lo spazio che si estende longitudinalmente tra il contenitore di calcestruzzo armato e l’involucro storico di pietra ospita i connettivi di distribuzione orizzontali e le scale lineari, che permettono di raggiungere i tre livelli fuori terra in cui si articola lo spazio espositivo e quello interrato contenente il teatro, gli spazi commerciali e di magazzino. Infine sono stati realizzati alcuni ampliamenti in vetro e pietra, aumentando la superficie dell’edificio esistente e permettere di rispondere pienamente al programma funzionale del centro culturale.

La strategia sottrattiva e additiva Quando la conservazione dell’immagine dell’esistente non è la priorità del recupero si può intervenire con un’azione trasformativa più forte, agendo per sottrazione o addizione di volume. Visti gli importanti volumi, spesso sovradimensionati per il loro futuro utilizzo,” il progettista può operare in ‘negativo’ scavando l’edificio”, modificandone il 303


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profilo per sottrazione di materia, creando ad esempio corti nel volume compatto. Nella riqualificazione di un capannone industriale, Ottavio di Blasi & partners hanno attuato proprio questo tipo di operazione in due progetti di recupero, il primo riguarda un edificio per uffici in un ex capannone a Mestre. Qui il volume esistente è stato svuotato al centro per realizzare un cavedio che consente un migliore sfruttamento dell’illuminazione naturale in accordo con la nuova destinazione. Il secondo riguarda sempre la trasformazione di un manufatto industriale nella nuova sede di ODB Associates. Si tratta di un vecchio deposito, compresso tra il costruito della città, situato a Milano. Il capannone si presentava con una pianta rettangolare di 340 m2 aperto solo su uno dei lati corti verso un cortile interno. Lo studio ha cercato di adeguare le caratteristiche preesistenti alle nuove esigenze cercando di superare i limiti dettati dalle condizioni dell’involucro e la scarsa permeabilità alla luce naturale. La soluzione si è rivelata quella di rinunciare a parte dello spazio interno per arricchire l’edificio con una maggiore area pertinenziale all’aperto. Sono state, infatti, demolite sia le due campate di testa dell’edificio, profonde 5 m ciascuna, al posto delle quali è stato realizzato uno spazio a verde con possibilità di parcheggio, sia la campata di fondo per far posto a un piccolo giardino interno. La scelta di perdere superficie di pavimento a vantaggio del miglioramento della qualità dello spazio ha consentito

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di rinnovare completamente l’immagine dell’edificio, sia all’esterno, con la realizzazione di un filtro di piante ad alto fusto tra il cortile e la facciata principale dell’edificio e con la creazione di una seconda facciata sul giardino interno posteriore, sia all’interno, dove la luce naturale ha avuto la possibilità di penetrare direttamente. Spesso alla sottrazione di spazio si abbina la realizzazione di nuovi volumi che possono costituire, ad una scala più ampia, delle nuove connessioni urbane o più semplicemente, coincidere in ampliamenti dell’edificio esistente per ospitare nuove funzioni. La strategia additiva consiste nell’aggiungere all’edificio esistente uno più volumi autonomi per forma e dimensione. L’addizione si può tradurre nella realizzazione di sopraelevazioni, di espansioni al piede dell’edificio, di superfetazione alla facciata (Volumi a sbalzo) o indipendenti. Un esempio molto chiaro della strategia additiva è il recupero del magazzino navale sito in Dukerque, Francia, da parte degli architetti Lacaton & Vassal Architectes, che hanno raddoppiato il volume esistente. Il nuovo edificio, dalla forma uguale al preesistente a cui è collegato, contrappone alla massa di calcestruzzo una struttura leggera rivestita di pannelli corrugati di policarbonato e cuscinetti di ETFE. L’idea progettuale degli architetti è stata quella di non intaccare il volume esistente, lasciandolo vuoto,” come grande vano di accesso, e di affiancargli un volume gemello, uguale per forma e dimensioni, dove collocare gli spazi espo-


COME RIUTILIZZARE IL PATRIMONIO INDUSTRIALE

francese Henry Poincaré, «Creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili». Come la Factory di Warhol fu il luogo simbolo della creatività pop3, le creative factory sono il luogo della creatività contemporanea, dell’innovazione, luogo della generazione e rigenerazione delle idee, luogo di condivisione di idee e ispirazioni finalizzate a sviluppare nuovi processi e strategie di sviluppo. Luoghi dove un tempo Abbiamo visto quindi il fenomeno odier- il rumore delle macchine accompagnava no che vede la città mutare dal punto di le giornate di migliaia di persone assorte vista fisico, economico, sociale, e allo nel compimento di gesti meccanici e che stesso tempo cambiano anche il modo oggi sono riconvertiti in “Fabbriche di produrre, i prodotti e i luoghi deldella cultura” e della creatila produzione. Le grandi fabbriche sitivi e i magazzini necessari. Rimasto “solo” dopo che l’intera area industriale è stata rasa al suolo, il raddoppio dell’AP2 ribadisce l’importanza del volume ‘superstite. Tra il vecchio edificio e quello di nuova costruzione è stato creato uno spazio di 2 metri a nord e 3 metri a est e ovest che li separa. Il vuoto ospita i sistemi di risalita verticale e, puntualmente, alcuni passaggi a ponte verso la facciata.

vengono chiuse e quei “vuoti” si riaprono progressivamente per diventare spazi dove produrre cultura, conoscenza, servizi; aumentano

Nella pagina precedente: Ottavio di Blasi & partners, Mestre; vista facciata esterna e pianta piano terra In questa pagina: ODB Associates, piante intervento e vista del ballatoio del fronte posteriore sul giardino interno privato

vità o fabbriche della cultura della creatività, nel particolare caso

italiano. Hangar Bicocca a Milano, il MACRO di Roma, la Fondazione Prada a Milano e e si diversificano gli attori che animano la Fondazione Pistoletto a Biella, sono questi luoghi e le loro interazioni. Assi- esempi che rivitalizzano gli edifici industiamo così a sempre nuove esperienze di striali promuovendo l’arte e la cultura. rigenerazione di aree industriali dismesse Non solo collezioni di quadri e che hanno in comune la creatività come di sculture: gli ex spazi industriafunzione prevalente, in una prospettiva temporanea o de¬finitiva, per innescare li sono in grado anche di ospitare processi di riqualificazione. Non più solo performance teatrali, di musica e riferito alle attività artistiche e culturali, danza. Il recupero dell’ex zuccherificio il concetto di creatività è oggi, in misura Eridania di Parma, oggi Auditorium Niccrescente, posto in relazione alla dimen- colò Paganini, a firma di Renzo Piano, è sione economica, alla crescita sociale, un caso emblematico ma sono numerosi all’innovazione. gli interventi di riuso per ospitare istituCo-working, smart working, community zioni teatrali: il Laboratorio del Teatro hub, innovation center trovano la loro alla Scala di Milano, i Laboratori artistici naturale col- locazione dentro le fab- del Teatro San Carlo di Napoli, le Fonbriche dismesse, a conferma della defi- derie Teatrali Limone a Moncalieri e la nizione di creatività cara al matematico Lavanderia a Vapore a Collegno (Tori305


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no). Questo sintetico elenco di grandi spazi dedicati alla cultura si chiude con gli edifici riutilizzati per formare i futuri creativi e innovatori: fra i tanti, gli spazi presso le OGR - Officine Grandi Riparazioni e lo stabilimento di Mirafiori del Politecnico di Torino, dove ha sede la Cittadella del Design, e l’ex Cotonificio Veneziano di Santa Marta che ospita lo IUAV - Istituto universitario di architettura di Venezia.

nuove tecnologie. Le Officine nord delle OGR ospitano eventi e spettacoli; le Officine sud ospitano l’hub per la creazione collaborativa.

secolo scorso, infatti, si è affermata un’idea di città creativa che «si caratterizza per la presenza di un ambiente ur¬bano culturale e intellettuale vivace, di attività legate all’economia della cultura e della conoscenza e, soprattutto, di una classe di professionisti di talento e altamente specializzati che operano, con nuove idee e nuove tecnologie, in settori attualmente strategici». Il tema dell’innovazione rappresenta quindi una costante in tanti progetti realizzati, sul territorio nazionale e non solo. Esistono grandi fabbriche dove si produce innovazione. Fra gli interventi più recenti, i 20 000 metri quadrati delle OGR, adiacenti alla cittadella politecnica, sono stati trasformati in fabbrica della cultura contemporanea, dell’innovazione e dell’accelerazione d’impresa, con una forte vocazione internazionale e l’intenzione di legare le idee e i valori della creatività agli strumenti e ai linguaggi delle

rocratico dall’Amministrazione mediante gli strumenti delle comuni procedure edilizie e non attraverso la redazione di piani. È questo il caso del quartiere di Porta Genova a Milano o di Borgo Rossini a Torino. L’esito incorpora un mix di funzioni che reinterpreta la tradizionale combinazione di casa e laboratorio della piccola impresa italiana attraverso il riuso degli edifici industriali dismessi. Le creative industries si sviluppano in relazione a nuove forme sostenibili di interazione con l’ambiente in generale e, in particolare, con il tessuto urbano circostante e con il contesto regionale. Il senso del luogo supera le potenzialità della localizzazione: l’offerta di patrimonio piuttosto che la vicinanza à servizi e infrastrutture risponde alla richiesta dei creativi di ambienti che ispirino e che comunichino la loro mission. Il risultato è che l’identità di questi luoghi viene meglio preservata

Esistono poi le piccole officine della cultura che fioriscono nei vecchi quartieri industriali, delle città, caratterizzati da un tessuto edilizio misto e dalla maglia più fine rispetto ai grandi stabilimenti, Il concetto di creatività, oggi, oltre che meglio si adatta a livello tipoalla dimensione economica e alla logico alle esigenze dei nuovi frucrescita sociale, come si è detto, è itori; inoltre, le trasformazioni sono più posto in relazione soprattutto al economicamente sostenibili da parte dei tema dell’innovazione. Dalla fine del piccoli investitori e gestibili a livello bu-

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e sviluppata tramite queste trasformazioni incrementali bottom-up piuttosto che tramite masterplan imposti top-down dalle Amministrazioni. Il tema della creative factory non si esaurisce con il solo recupero architettonico e funzionale dell’edificio ma passa anche attraverso una nuova politica culturale e sociale: i lavoratori della cosiddetta classe cognitiva che animano e gestiscono i processi di innovazione occupano oggi i vecchi spazi dell’industria: «la classe emerge come il risultato di un lavoro politico-culturale che è, in parte, anche quello di creare gli spazi pubblici dove i presunti membri di una nuova soggettività politica possano interagire e percepirsi come tali [...]. In un contesto di globaliz-zazione dell’economia e di crescente competizione, i personaggi creativi sono stati identificati come i punti chiave dello sviluppo e della prosperità economica. La capacità di attirare, formare e trattenere i creativi è diventata quindi fondamentale. Le soluzioni organizzative di successo sono sempre più orientate alla libertà e alla capacità di mettere insieme talenti e abilità diverse, accomunate dalla voglia di apprendere e di arricchire le competenze in un ambiente favorevole alla trasmissione dei saperi e altamente contaminato sotto il profilo attitudinale».

La fabbrica dismessa e rigenerata, grazie alla sua configurazione a pianta libera e alla sua flessibilità, con nuovi spazi di lavoro aperti, trasparenti e informali, diventa il luogo ideale per connettere e mettere in relazione i creativi e i


COME RIUTILIZZARE IL PATRIMONIO INDUSTRIALE

lavoratori del sapere, adattandosi in locale, ad approcci dal basso, alla coope-

modo rapido ed economico ai mutevoli scenari futuri. A volte il precedente utilizzo viene palesate solo nel nome della struttura o anche nelle scelte progettuali di allestimento, posizionando l’impresa come l’espressione di una rinascita creativa all’interno dell’ormai obsoleta infrastruttura industriale. Le scelte imprenditoriali a carattere culturale danno origine a nuove economie urbane che nascono da caratteri intrinsechi alla città - il creative milieu locale - e rispondono a nuovi gusti e stili di vita, non necessariamente a esigenze imprenditoriali”. I community hub, fulcri di comunità che cercano di favorire la costruzione di relazioni con i gruppi locali e che attivano la società nella

razione e alla condivisione. Nelle “Lezioni americane” Italo Calvino sostiene che «il software non potrebbe esercitare i poteri della sua leggerezza se non mediante la pesantezza dell’hardware; ma è il software che comanda, che agisce sul mondo esterno e sulle macchine, le quali esistono solo in funzione del software, si evolvono in modo da elaborare programmi sempre più complessi». Come insegnano le esperienze di rigenerazione del patrimonio industriale di successo le idee portano idee. I vuo-

ti industriali diventano l’hardware in cui inserire nuovi software, nuova leggerezza, nuove idee, nuove funzioni. La creatività non si

limita a produrre contenuto,

la cre-

co-produzione, nella co-creazione di servizi pubblici e culturali, sono atività è anche una modalità

delle strutture che mettono a reddito parti di attività in maniera da raggiungere l’autosostenibilità degli spazi stessi. Dalla letteratura sul tema delle città creative e dall’osservazione dei casi studio emergono come costanti l’esigenza di mettere.in campo delle azioni strettamente correlate ai singoli contesti, alla loro identità, agli aspetti sociali, al capitale umano, oltre che alle caratteristiche fisiche degli spazi. In generale le strategie urbane orientate alla creatività presuppongono un insieme di azioni che valorizzano le diversità, contrastando i processi di standardizzazione, proponendo soluzioni innovative orientate al riuso dell’esistente, più che alla creazione del nuovo, alla piccola scala, alla dimensione

di approccio al riuso, a come usare il contenitore che diventa il primo laboratorio di sperimentazione da parte degli attori che lo animano, combinando visioni a breve e a lungo termine ed elaborando - inventando o adattando -, “programmando”, le conseguenti azioni e strategie.

Da sopra: Hangar Bicocca a Milano; Teatro Limone a Moncalieri; laboratori artistici del teatro San Carlo di Napoli

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“La bellezza naturale del nostro Paese non è merito nostro.

Ciò che può essere merito nostro è migliorare le periferie, che sono la parte fragile della città e che possono diventare belle.” Renzo Piano

I magazzini generali a Verona

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“ La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione

Il recupero dell’architettura industriale per la creazione di spazi culturali è possibile fin quando questi manufatti rimarranno intatti. Queste zone sono da riconquistare, sono lì a portata di mani, praticamente vuote, molto spesso inappetibili per speculazioni massicce. Abbiamo visto numerosi esempi di ri-funzionalizzazione di ex fabbriche dismesse in tutto il mondo, reso possibile dai grandi spazi privi di elementi strutturali “ingombranti”. Come è accaduto con le caserme ottocentesche, annidate spesso nella vicina periferia delle città, si sono dotata di vasti, esuberanti servizi: piazzali di deposito, parcheggi, mense, piccoli ristoranti. Gli spazi vuoti o di servizio sono ampi, quasi spropositati se si considera lo sminuzzamento dei suoli edificabili all’intorno: basta così aprire i cancelli perchè sia immediatamente fruibili almeno un gruppo di campi da gioco. Ma c’è un terzo argomento, in favore di questa archeologia del presente: l’architettura industriale, degna dal punto di vista estetico, che richiede spazi interni il più possibile aperti e sgombri, quindi esclude tramez-

zi, celle, corridoi, tutta quella camicia di forza che il ricalco, insensato, delle piante obsolete dei palazzi barocchi ha introdotto nelle abitazioni piccolo borghesi ed operaie. Cioè spalancando le porte si hanno spazi immensi, liberi daa trasformare ed adattare con sistemazioni che saranno per forza sempre provvisorie: scuole, sale da conferenza, palestre coperte, piscine, padiglioni per esposizioni, mercati artigiani o poli culturali. C’è da chiedersi perchè non ci si è accorti prima di questi vantaggi d’un corretto riuso del patrimonio industriale abbandonato. Le ragioni sono molteplici: a differenza delle città americane, per esempio, in Italia il processo di mancanza di mix tipologico è avvenuto in modo molto più lento e controllato. Oggi una gigantesca falcidie sta chiudendo a centinaia gli antichi stabilimenti, destinandoli allo smantellamento, squilibrando le grosse città. Ruderi da sakvare o da abattere incombono così su tutte le amministrazioni locali, da Novara a Nocera Inferiore, da Venezia a Roma. Molto resta da salvare ed è urgente farlo. E’ più facile oggi fotografare stabilimenti

e fabbriche in corso di demolizione, che i loro interni con operai. Questi santuaru dekka tecnica e del avoro, sono documenti certamente altrettanto informativi, come architetture di altro tipo ed epoca. Salvare un vecchio stabilimento significa recuperarne l’archivio, i cataloghi ed i campioni di produzione, poter registrare le testimonianze degli ultimi operai, e spesso introdurre un momento di transizione psicologico, di memoria e di nostalgia, al posto del trauma, semplice e drastico, del licenziamento e dello smantellamento.

La maggior parte dei vecchi edifici industriali resterà un contenitore vuoto. Si deve fare una scelta,

severa ed impeitosa, e presubilmente, quando non esistono specifiche qualità monumentali o legami cultural con l’ambiente, bisognerà decidere soprattutto in base alla possibilità d’uso. Fondamentale, sempre, è un’iniziativa di base: quando accade a Roma, con occupazioni formali del Palazzo Poli, della Fornace di Valle dell’Inferno, dei forti e con il dibattito sul

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Mattatoio, dimostra come questi relitti siano divenuti socialmente appetibili, anche sull’esperienza, ormai acquisita, che se non li si recuperano subito ad un uso collettivo vi si introduce al loro posto, radendoli al suolo, la più squallida speculazione da palazzinato. Le due alternative sono la trasformazione in una specie di parco industriale, con funzione di museo, e parziale proseguimento della produzione, spesso smerciabile, ma soprattutto con la presenza di una serie di strutture per il tempo libero, cioè educative, oppure l’invenzione di un uso alternativo privato, che potrebbe essere spregiudicato. E’ importantissimo a tale scopo la cosmesi: basta riverniciare i travi di ferro in colore rosso o blu, rintonacare con tinte che siano il più possibile lontane dallo squallore dell’abbandono, per consentire una nuova lettura, spesso validissima in termini anche di reddito finanziario. Architetti e designers dovrebbero intervenire. Questa cosmesi è necessaria negli stabilimenti cittadini che vanno trasformati da

un luogo di lavoro, in centri di socializzazione, basati cioè sulla libera iniziativa e su una varitetà di funzioni spontanee che oggi possiamo appena intravvedere. Esempi di contenitori riletti in sede di restauro sono la Birreria di San Francisco e i Depositi di Cotone di Savannah che sono diventati fiere commerciali permanenti, ma anche posti dove si può fare musica e teatro e dove si impara nuovamente ad amare la città e la sua storia sociale. Se si dovessero riqualificare fabbirche dismesse, potrebbe essere fruttuosa

l’apertura di un centro culturale,

aperto a tutte le esperienze di base e dove non si vada solo per assistere passivamente a degli avvenimenti imposti ma per far del teatro, per trovarsi insieme, senza toccare nulla degli interni, permettendo un’invenzione degli spazi anche da parte degli utenti. La polivalenza d’uso è implicita nell’architettura industriale: il problema è quello di essere capaci di impadronirsi di queste possibilità, e di riaprire, con disinvoltura ad un nuovo traf-

fico umano, abolendo i condizionamenti negativi o univoci tradizionali.

Il fascino dell’archeologia industriale è questo: non si tratta solo di ruderi vicini a noi, ma di un patrimonio vivente da collettivizzare. “Trattiamo infatti con contesti spaziali orfani delle funzioni e degli usi per cui erano stati prodotti e che si trovano oggi ai limiti degli usi e delle funzioni del presente di un territorio: spazi limite; che stanno “in mezzo” o sono ai margini ma che non sono il neutro astratto. Sono in realtà spazi visibili, vuoti dal punto di vista funzionale e spaziale, dimenticati, abbandonati.” (Cristina Natoli)

Nella pagina a fianco: 01 Teatro alla Scala, ex Ansaldo; 02, 03 Progetto Flaminio; 04 ,05 Mattatoio di Pomigliano a Mare; 06 Centrale di Montemartini; 07 Fondazione Prada; 08 Museo Nitsch; 09 Museo Mudec. foto da “Archeologia Industriale – Luoghi per l’arte e la cultura, titola così il nuovo numero della rivista culturale Il Calendario del Popolo pubblicata da Sandro Teti Editore”

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LE FABBRICHE DELLA CULTURA La specificità del progetto di riuso risiede nella definizione di nuove relazioni: tra preesistenza e nuova costruzione, tra contesto e area dismessa, tra memoria storica e progetto contemporaneo. Il grado di riconoscibilità che tali relazioni, ancora potenziali durante la fase di dismissione, assumono nell’azione progettuale, determina l’integrazione del progetto all’interno della cultura locale, nonché l’attribuzione di un nuovo significato e valore identitario al luogo da parte della cittadinanza. Nelle pagine seguenti si analizzano progetti di riconversione funzionale di edifici industriali, utilizzati sia come contenitori di cultura che come edifici residenziali.

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“ Se la città è un

laboratorio comune,

che sia un workshop artigiano o uno spazio alchemico, è questo il luogo in cui mettere assieme territorio, persone e saperi ”

Riuso e partecipazione sono un Per Piano il laboratorio è un workshop, studiare e preservare i resti materiali e un luogo di lavoro collettivo che indaga i immateriali dell’attività industriale. È da binomio inscindibile.

Rimandano a un’area di pensiero secondo cui il recupero (edilizio, architettonico, urbano) non è un tema strettamente disciplinare ma la grande occasione per ripensare la città nella sua interezza. La “città” appunto, intesa come il più completo registratore fisico su cui viene continuamente scritta e riscritta la storia di una comunità. Gli architetti devono imparare a leggerla,per condividerla con i cittadini e fare del progetto urbano un’occasione di riappropriazione collettiva del luogo. I temi che caratterrizano esperienze già attuate e, soprattutto, fruttuose vanno dai workshop di Renzo Piano ad Otranto ai laboratori di architettura di De Carli. La partecipazione attiva degli utenti alla fase progettuale come alla realizzazione; la totale integrazione tra analisi, piano e progetto; la concezione del recupero come grande occasione di ridisegno urbano; l’approccio olistico alla conoscenza fisica della città.

segni fisici impressi nella storia materica del luogo ma anche nel suo sapere collettivo, magari solo latente, in cui la cultura del fare si è espressa. L’idea di fondo è che la cultura del fare sia la cultura tout court; che il mondo dei saperi artigiani, artistici, scientifici risponda a una legge unitaria di armonia che prescinde dal campo a cui viene applicata. È un segnale importante per cui culture affini (architettura, urbanistica, sociologia, economia del territorio, land art) escono dal proprio specifico per individuare terreni di confronto comuni. Al contrario gran parte dell’attuale impotenza della cultura architettonica e urbanistica italiana risale proprio alla separazione in “discipline”, per cui l’intervento sul territorio è frazionato in “specialismi”, a tutto vantaggio della burocratizzazione, della rapina del paesaggio o, per motivi speculari, della conservazione integrale. Circa cinquant’anni fa in Inghilterra, non a caso, nasce la disciplina dell’archeologia industriale con l’obiettivo di scoprire,

quel momento che si comincia a guardare con occhio diverso a quella variegata tipologia di edifici dismessi dediti alla produzione ed a tutte le strutture ad essi connesse. Una volta però indentificato il bene e recuperatane la storia, ci si è trovati ad interrogarsi sul come poter preservare questo patrimonio, sul come impedire al tempo e all’incuria dell’uomo di distruggere una traccia del nostro passato necessaria a comprendere il nostro pre sente e il nostro futuro, nonché su come trasformare uno spazio dismesso in una risorsa per lo sviluppo della città. Riutilizzare gli spazi industriali rispettando la loro identità, ovvero evitando di trasformarli in contenitori anonimi (vedi tanti casi di conversione in edilizia residenziale o di riuso per finalità commerciali) non è certo operazione semplice, soprattutto se si pensa alle dimensioni di questi spazi nonché ai costi legati per esempio agli interventi strutturali sul bene e ai procedimenti di bonifica e messa a norma. 315


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Tuttavia, negli ultimi anni, una soluzione a questo problema è stata identificata nel destinare questi spazi a luoghi per la cultura. In tal modo, effettuando un restauro più di tipo conservativo, è stato possibile preservare la memoria collettiva e rigenerarla sotto altre forme. Sino a pochissimi anni fa, il recupero delle fabbriche dismesse avveniva perlopiù attraverso operazioni di trasformazione di tipo tradizionale, che prevedevano, in prevalenza, l’insediamento di funzioni residenziali e commerciali, che prima della crisi andavano ancora per la maggiore. Oggi, invece, vuoi per la forte contrazione della domanda vuoi per l’oggettiva saturazione dell’offerta, si punta, là dove ne esistono le condizioni, su funzioni innovative legate alla ricerca, alla cultura, alla creatività, alle giovani imprese. Non si tratta di mode, di teorie, bensì di casi concreti, fatti di idee, progetti, investimenti, innovazione, collaborazioni virtuose pubblico-privato. Numerosi interventi sono rintracciabili sul territorio italiano: nelle pagine che seguono vengono raccolti alcuni esempi ,che vanno anche oltre confine, e che quindi forniscono una visione globale del fenomeno di riuso sul patrimonio industriale esistente e, s’intende, dismesso. Centri d’arte contemporanea riconosciutina livello internazionale il Pirelli

HangarBicocca a Milano e il Macro di Roma rivitalizzano storici edifici

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industriali attraverso le forme e i colori dell’arte. Con una superficie pari a 15.000 mq, il Pirelli HangarBicocca è uno degli spazi

espositivi più grandi d’Europa. Ricavato all’interno di uno degli stabilimenti Ansaldo-Breda, questo suggestivo spazio dedicato all’arte è stato inaugurato nel 2004. Oltre ad ospitare artisti internazionali, il Pirelli HangarBicocca, all’interno dell’area che in origine era destinata al montaggio e alla prova di macchine elettriche di grande potenza, ospita in modo permanente l’installazione ‘I Sette Palazzi Celesti’ di Anselm Kiefer, che, per l’altezza che la caratterizza ed i materiali di cui è composta (cemento armato, moduli di container e elementi in piombo) si armonizzano perfettamente con l’ambiente industriale nel quale ha trovato collocazione. A Roma il Macro si fa due, e si, perché due sono in realtà le sedi del Museo d’Arte Contemporanea di Roma: il Macro di via Nizza nella ex fabbrica di birra Peroni e il Macro Testaccio all’interno dell’ex Mattatoio. Costruito tra il 1888 e il 1891 da Gioacchino Ersoch, l’ex Mattatoio si impone nell’ambito dell’architettura industriale dell’epoca per la modernità e l’originalità delle forme. Oggetto di recupero nella sua interezza, dal 2002, all’interno di due capannoni, il complesso edilizio ospita il Macro Testaccio al quale è stato affiancato successivamente lo spazio La Pelanda: 5.000 mq per esposizioni, attività formative e laboratori. Il Macro di via Nizza, in centro città, occupa invece una parte di quella che fu sino al 1971 la Società Birra Peroni. Risultati insufficienti gli spazi ceduti al Comune e destinati a museo, nel 2000 venne indetto un bando, vincitrice del bando l’archistar francese Odile Decq che con la sua competenza e visione ha


LE FABBRICHE DELLA CULTURA Nelle foto in queste pagine: 01, 02: museo del tessuto, Prato 03, 04: Pirelli HangarBicocca, Milano 05: Macro, via Nizza, ex fabbrica birra Peroni, Roma 06: Macro, Testaccio, ex Mattatoio, Roma

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trasformato ilnmuseo da luogo statico a luogo dinamico grazie all’inserimento di molteplicincollegamenti come scalinate, ballatoi e passaggi inaspettati. Dal Macro al Mambo. Anche l’edificio che ospita il Mambo - Museo d’Arte Moderna di Bologna nasceva per svolgere altre funzioni, si trattava infatti dell’ex Forno Comunale voluto nel 1915 dal sindaco della città per sopperire alla mancanza di pane causata dalla guerra. E gli esempi di certo non finiscono qua. Giusto per citare: la nuova sede della Fondazione Prada a Milano, realizzata da Rem Koolhaas nella ex distilleria Società Italiana Spiriti; il Mudec - Museo delle Culture di Milano firmato da David A. Chipperfield nel complesso dell’ex Ansaldo di via Tortona; la Cittadellarte - Fondazione Pistoletto a Biella nell’ex lanificio Trombetta; la Fondazione Burri a Città di Castello in provincia di Perugia nell’ex Seccatoio del Tabacco; la Fondazione Pino Pascali a Polignano a Mare in provincia di Bari nell’ex Mattato-

io Comunale. Luoghi

unici nei quali il concetto di cultura supera i limiti dell’opera d’arte per fondersi con lo spazio circostante.

Ma non solo collezioni di quadri e di sculture, gli ex spazi industriali sono in grado anche di ospitare performance teatrali, di musica e danza. Porta la firma di Renzo Piano l’Auditorium Niccolò Paganini a Parma. Dedicato al maestro Paganini che per volontà di Maria Luisa d’Asburgo diresse l’orchestra ducale. L’edificio industriale, oggi di proprietà del Comune, originariamente ospitava lo zuccherificio Eridania (1899-1968). Mantenuto il corpo centrale nelle sua originaria forma rettangolare con una lunghezza pari a 80 metri, le pareti dei lati brevi sono state sostituite da doppie vetrate trasparenti mettendo così in comunicazione l’inte no dell’edificio con la natura che lo circonda. Non ci spostiamo di molto per raggiungere La Fonderia39 a Reggio Emilia, sede della Fondazione Nazionale della 317


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Danza - Aterballetto. Ex fonderia ap- del lavoro, le tecniche di produzione, gli

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partenente al complesso industriale della Lombardini Motori, l’edificio, costruito nel 1938, è stato recuperato dall’ingegner Maurizio Zamboni. Lo spazio principale ospita la grande sala prova della Compagnia Aterballetto e al pia no alto gli uffici della Fondazione. Del resto La Fonderia39 non è certo l’unico caso in Italia nel quale un ex spazio industriale viene riutilizzato per attività attinenti al teatro, si pensi per esempio ai Laboratori del Teatro alla Scala di Milano ospitati all’interno dell’ex Ansaldo in zona Tortona (nello stesso complesso industriale dove è stato inaugurato il Mudec) o ai Laboratori artistici del Teatro di San Carlo di Napoli negli stabilimenti ex Cirio di Vigliena. Destinate invece ad ospitare il pubblico le Limone Fonderie Teatrali a Moncalieri. Originariamente adibito alla fusione del bronzo, dell’alluminio e della ghisa, oggi l’edificio, grazie al rapporto con il Teatro Stabile di Torino, è divenuto lu go di produzione di spettacoli teatrali. Luogo unico nel suo genere, infine, è il Teatro delle Rocce di Gavorrano in provincia di Grosseto. Inaugurato nel 2003 nel Parco Nazionale delle Colline Metallifere, il Teatro delle Rocce è stato ricavato all’interno di una vecchia cava nella quale veniva estratta la pietra calcarea utilizzata per riempiere le gallerie sotterranee dismesse. Con una forma semicircolare che rievoca l’anfiteatro greco, il Teatro delle Rocce è un luogo di indubbio fascino che durante il periodo estivo ospita concerti, spettacoli e grandi eventi. E dove meglio celebrare la cultura

imprenditori e gli operai se non in quei luoghi edificati appositamente per produrre? Diversi infatti sono in Italia i musei del lavoro che trovano sede in ex siti industriali. Tra i musei del lavoro di particolar fascno troviamo il Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa a Napoli. Proprio in quel tratto di costa che si affaccia sul golfo di Napoli, nel 1840 Ferdinando II di Borbone fonda il Reale Opificio Meccanico, Pirotecnico e per le Locomotive. Forse, infatti, non tutti sanno che la prima ferrovia italiana fu proprio la Napoli-Portici inaugurata nel 1839. Aperto nel 1989 il museo di Pietrarsa è uno dei più importanti musei ferroviari d’Europa, esso si sviluppa su una superficie di 36.000 mq e nel cortile ospita la grande statua in ghisa alta oltre quattro metri di Ferdinando II, fusa nell’Opificio nel 1852. Non poteva che trovarsi a Prato il museo più importate d’Italia dedicato alla storia della tessitura dalle origini ai giorni nostri, stiamo parlando del Museo del Tessuto di Prato che dal 2003 ha trovato la propria collocazione naturale all’interno dell’ex fabbrica ottocentesca di tessuti, la più grande all’interno del centro storico di Prato, ‘Cimatoria Campolmi Leopoldo e C.’. Cessata definitivamente l’attività tessile nel 1994 e successivamente restaurata per volontà del Comune, la ex Campolmi oggi è occupata per metà dal Museo del Tessuto (4.000 mq circa) e per la restante metà dalla Biblioteca Comu-


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Nelle foto in queste pagine: 01; Mambo, museo arti moderne Bologna, Bologna 02: fondazione Prada, Milano 03: Mudec, museo delle culture di Milano, Milano 04: fonderia39, Reggio Emilia 05, 06: Limone Fonderie Teatrali, Moncalieri

Nelle foto delle pagine seguenti: 07; Museo dell’Arte della Lana di Stia, Arezzo 08: villaggio Operaio di Crespi D’Adda, Bergamo 09: ex Cotonificio, sede università IUAV di Venezia, Venezia 10 auditorium Paganini, Parma 11: Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa, Napoli 12: ex cotonoficio Cantoni di Castellanza, Milano

nale ‘A. Lazzerini’. Documenti d’archivio dimostrano che attività legate alla lavorazione tessile erano presenti in loco già dall’inizio del 1300. Meritevoli di menzione sono anche il Museo dell’Arte della Lana di Stia all’interno dell’ex Lanificio di Stia in provincia di Arezzo, uno dei principali lanifici italiani all’inizio del XX secolo, e il

dello ideale di vita e di produttività. Oggi però Crespi d’Adda ritorna a vivere: nel 2013 l’imprenditore bergamasco Antonio Percassi ha acquistato l’intero corpo di fabbrica, chiuso oramai da dieci anni, per farne il quartier generale del Gruppo Percassi nonché un centro culturale e di ricerca. Da qualche anno, inoltre, l’Associazione Crespi d’Adda si adopera con passione e professionalità nel promuovere questo affascinante sito industriale. Parlando di spazi dediti alla cultura, per concludere, non potevamo non citare alcuni ex edifici industriali dove la cultura prende forma, stiamo parlando di quei siti dell’archeologia industriale divenuti sedi di università. È il caso dell’Università Iuav di Venezia che vanta una sede distaccata negli spazi dell’ex Cotonificio Veneziano di Santa Marta. Le origini dell’edificio risalgono al 1882 quando il barone Eugenio Cantoni e il cavaliere Carlo Moschini costituirono una società con lo scopo di esercitare a Venezia la filatura del cotone. L’anno successivo l’edificio fu inaugura-

Museo del Patrimonio Industriale di Bologna all’interno della ex fornace

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di laterizi Gallotti attiva dal 1887 sino al 1966. Una nota a parte meritano i musei a cielo aperto, tra questi spicca il Villaggio Operaio di Crespi D’Adda riconosciuto dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità nel 1995. Alle porte di Bergamo, il villaggio di Crespi nasce nel 1876 per volontà dell’imprenditore cotoniere Cristoforo Benigno Crespi che attorno alla fabbrica fece erigere non solo le case per gli operai e per i dirigenti, ma tutta una serie di servizi atti a agevolare la vita dei lavoratori: dalla scuola alla chiesa, dall’ospedale al cimitero, costituendo un mo-

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to e rimase in funzione sino al 1960. Nel periodo di massima attività il cotonificio arrivò ad impiegare circa mille operai. Restaurato dallo Studio Valle Architetti Associati oggi l’ex cotonificio ospita aule didattiche, l’Archivio Progetti, lo spazio espositivo ’Gino Valle’ e ArTec - archivio delle tecniche e dei materiali per l’architettura e il disegno industriale. Destino simile quello toccato all’ex Cotonificio Cantoni di Castellanza che dal 1990, a seguito dell’intervento di recupero dell’architetto Aldo Rossi, è sede dell’Università Cattaneo - Liuc. Fondatada Costanzo Cantoni nel 1820 lungo le sponde del fiume Olona, la Cantoni Castellanza resta attiva fino al 1980. Appartenenti a quella classe di imprenditori illuminati i Cantoni fecero costruire attorno al cotonificio delle abitazioni per gli operai, istituirono polizze assicurative contro gli infortuni e sussidi per le operaie gestanti, fondi pensione nonché una sorta di vitalizio per i dipendenti con alle spalle più di 30 anni di lavoro per l’azienda. Gli spazi residuali della città e dei territori contemporanei necessitano quindi di attenzione e ripensamento per avviare dinamiche di rivitalizzazione che possano essere sostitutive o affiancare i tradizionali strumenti di pianificazione e gestione delle trasformazioni che, per loro natura, hanno tempi lenti di messa a regime. In questo contesto trova luogo l’uso temporaneo, cioè la pratica di reimpiego dello spazio, diversificata, alternativa e spesso disomogenea, che si sta diffondendo in tutta Europa e che ha dimostrato, in concreto, un’importante capacità di inversione di tendenza all’interno di contesti ur-

bani residuali. Alcuni studi di settore dimostrano che gli usi temporanei, ovvero la gestione degli spazi con modalità transitoria, tra un prima e un dopo non correlati, per un periodo di tempo definito e limitato, introdotti negli spazi degradati o dismessi delle città, hanno la facoltà di avviare dinamiche di rivitalizzazione permanente. Cioè danno vita a processi virtuosi capaci di superare l’attività contingente e le aspettative nonostante siano stati considerati per molto tempo un fallimento nello sviluppo e nell’uso della pianificazione urbanistica. In un’epoca di crescente limitazione di risorse economiche il fattore temporale non può che incidere negativamente sull’attesa di rigenerazione, così la vacanza e l’abbandono trovano nelle attività a breve termine un potente mezzo attraverso il quale alimentare le iniziative di cambiamento. Innescando un diverso criterio di relazione con gli spazi in disuso, dapprima come misura provvisoria e catalizzatrice per la rigenerazione, gli usi temporanei, una volta stabiliti e al servizio di un obiettivo comune, possono trasformarsi in una possibile condizione permanente della vita urbana. Una presa di coscienza di come il temporay use aderisca con successo anche alla reinterpretazione dei complessi industriali dismessi, il tutto nel più ampio panorama di proposte alternative alle tradizionali strategie di pianificazione, che hanno generato un reale rinnovamento di spazi urbani e territoriali e avviato un processo di gentrificazione e modificazioni permanenti delle classi sociali. In tutta Europa, dove l’approccio al temporary use appare più consolidato nelle


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politiche a sostegno delle diverse forme artistiche, rispetto a quanto avviene in Italia, i progetti d’uso pop-up sono applicati ad aree in cui sperimentare i prototipi di nuove realtà urbane, da mettere a punto e ri-calibrare in caso di risultato non soddisfacente. Le esperienze dimostrano che gli spazi lost, dismessi, degradati, privati del loro originario significato, non sono horror vacui ma luoghi favorevoli per condurre l’analisi delle opportunità possibili, da cogliere attraverso il loro inserimento all’interno del circuito delle dinamiche sociali. Inoltre, seppur nella diversità degli scenari che caratterizzano le molteplici realtà legate a fattori economici, politici e sociali, si possono individuare alcuni fili conduttori che accomunano la sperimentazione dell’uso temporale. Innanzitutto il contesto urbano ed economico. Si tratta prevalentemente di ambienti che hanno subito profondi modificazioni, nella forma e nei contenuti, una contrazione alla quale non è corrisposta a livello urbanistico e amministrativo una risposta coerente. Altro fattore che accomuna la maggior parte delle esperienze, soprattutto in ambito nazionale, è la sperimentazione di progetti di riutilizzo “nel frattempo”, attivati e condotti in virtù dell’iniziativa e dalla creatività extra-istituzionale, almeno in parte, di gruppi di attivisti, artisti, designer, creativi, associazioni, esterni al settore pubblico, che hanno dato vita a progetti per rispondere precise necessità.

piezze e rapporti illuminanti straordinari, elementi costitutivi di un tipo edilizio che diventa attrattivo per la sperimentazione e la percezione delle opere d’arte contemporanea, laboratori di fotografia, di moda, concerti musicali, luoghi per la produzione cinematografica, spazi di prova e rappresentazioni teatrali, di danza, arti figurative e multimediali. I volu-

mi vengono gestiti in modo fluido, alcune parti adibite in modo stabile

ad atelier altre invece aree polifunzionali, generalmente lasciate vuote c riempite con eventi aperti al pubblico. È il fenomeno che da tempo si è affacciato nelle città europee, così detto della creatività urbana. Questo modello di rigenerazione e rifunzionalizzazione è particolarmente interessante perché trova, nei complessi industriali dismessi, ispirazione e motivazione, in quanto l’attività creativa si riconosce come funzione di produzione e quindi recupera nello spazio industriale la sua ragion d’essere e la continuità del concetto di fabbricazione. Il riuso e la rigenerazione di complessi dismessi, in attesa di intraprendere un nuovo ciclo di vita, attraverso l’arte e la natività, ha assunto, una dimensione quantitativa e qualitativa che merita una valutazione che superi l’attrazione seduttiva che genera, in sé, la rigenerazione creativa. Partendo dal riconoscimento del valore identitario dei luoghi della produzione, Edifici industriali in disuso sono il nel capitolo seguente si riportano alculuogo ideale per atelier di artisti e ni casi studio utili alla comprensione sia creativi: affascinanti per natura, so- del tipo di approccio possibile quando si prattutto quando mantengono la patina parla si edifici industriali dismessi sia per del vissuto di anni di lavoro, hanno am- giustificare le scelte progettuali. 321


LE FABBRICHE DELLA CULTURA “I fondi europei sono portunità per portare l’opera di ricucitura. Un laboratorio

di quartiere

può raccogliere il testimone.”

SESC Pompeia, planimetria generale

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un’opavanti


SESC Pompeia Sao Paolo, 1986 Lina Bo Bardi

SESC Pompéia 1977-78 e 1982-86 in aggiunge un altro spunto progettuale, un

Brasile è un chiaro esempio di riuso adattivo e di approccio di progettazione urbana che intende coniugare architettura nuova e vecchia mantenendo l’identità del luogo rifunzionalizzando la struttura industriale in centro ricreativo. L’ex fabbrica è stata riabilitata e ampliata con nuovi edifici senza cancellarne il valore sociale e l’importanza storica. Ciò ha segnato l’inizio di un architettura sostenibile e socialmente consapevole all’interno dell’architettura moderna brasiliana, un nuovo approccio al patrimonio e al rinnovamento urbano. Il committente del progetto è il Servizio Sociale del Commercio (SECS), che già nel 1968 ha acquistato ed utilizza un’area industriale dismessa di 16 00 m2, destinandola a spazio per il tempo libero. Quest’area è già utilizzata spontaneamente dagli abitanti del quartiere Pompeia al momento dell’incarico a Bo Bardi nel 1977. All’intenzione di preservare e valorizzare il carattere della fabbrica, mettendo in luce la struttura Hennebique dei capannoni degli anni Trenta, si

vincolo: la richiesta di realizzare una costruzione ex novo per la parte destinata alle attività sportiva. L’intento del suo progetto sociale è ricostruire o, meglio, fare spazio a un ambiente umano multiforme, connotato da una molteplicità di segni. Lasciare aperta l’improvvisazione del confronto fra eventi di matrice eterogenea. Si tratta di mettere insieme e non di definire e regolamentare funzioni diverse, poiché il fine non è separare, ma creare nessi conviviali. L’enorme capannone recuperato in cui vengono organizzati la biblioteca, lo spazio delle esposizioni temporanee, la videoteca e alcune zone di svago, è un esempio non solo di compresenza in uno stesso spazio di diverse attività, ma soprattutto di convivenza. La circolazione nello spazio non ha gerarchie. E’ un grande ambiente senza separazioni, fatto per conversare, incontrarsi, leggere, stare soli. La zona destinata alle esposizioni è un vuoto che di volta in volta si dispone diversamente. Dalle scalette che danno accesso alla biblioteca sollevata su uno 323


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SESC POMPEIA

zoccolo di cemento grezzo, si intravedono spazi per il gioco dei bambini predisposti su tappeti . Nella biblioteca sono frequenti le tavolate di signore che giocano a carte vicino ai ragazzi che studiano , e più giù, scendendo da questo raumplan, si attraversano gruppi di spettatori intenti a guardare programmi video. Ci sono anche arredi per lo svago vicino al grande camino, la foguieira, e uno specchio d’acqua dove i piccoli possono ricrearsi, il Rio Sao Francisco. E’ lo spazio del “far niente”, della convivenza con il “diverso”, della pluralità, in una commistione tra sfera pubblica e privata. Il SECS, come operazione di archeologia industriale, restituisce l’antica fabbrica al quartiere, valorizzando l’immaginario che la avvolge. Ricrea un habitat umano a scala urbana, un pezzo di città, con la sua strada con la sua lanchonete tappezzata di slogan delle tifoserie di calcio, con un teatro popolare, scomodo, dove non ci si può addormentare, con un solarium indio per la calura estiva. Un intervento che Pietro Maria Bardi definisce “rispetto dell’antico neo-quotidiano” e che

con i suoi inserti pop si configura come collage di messaggi e frammenti provenienti dalla magmatica metropoli che lo circonda. “Fabbrica” di cultura per la cittò, all’insegna della convivenza cosmopolita, vitale e popolare. Gli enormi open-space dell’ex fabbrica Mauser recuperati, con mattone a vista, struttura in cemento armato, capriate lignee e illuminazione zenitale, omaggio al pioniere Hennebique, opsitano la brulicante vita del centro sociale in un’insolita convivenza di funzioni: spazio espositivo, biblioteca, videoteca, luoghi di svago, ristorante-bar, teatro e atelier per le attività artistiche. Durante l’estate di trasforma in spiaggia metropolitana.

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LE FABBRICHE DELLA CULTURA “Allestito con materiali di recupero, il percorso è un invito all’attraversamento, al gioco e alla sosta.”

Matadero, planimetria generale

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Matadero Madrid, 2003-2012 Vari progettisti

Ex mattatoio a sud del centro di Madrid, nel quartiere Arganzuela, il Matadero copre una superficie di 165.415 m². Realizzato tra il 1908 e il 1928, è stato concepito come un progetto open-ended, propenso alla crescita e al cambiamento, con spazi articolati in diversi padiglioni che fornivano svariati servizi: gestione e amministrazione, mercati di bestiame, garage, stalle e un servizio ferroviario. Durante le due guerre mondiali è stato utilizzato come magazzino di stoccaggio alimentare, ma intorno agli anni ‘70, molti edifici diventarono obsoleti, e uno per volta vennero riqualificati e trasformati in strutture per attività di diverso tipo. Nel 1990 l’area destinata agli animali bovini è stata convertita nella sede del Ballet Nazional deEspana e della Compagnia Nazionale di Danza e nel 1996”67 e in quell’anno il mattatoio viene dimesso definitivamente. A quel punto “le associazioni locali si attivano reclamando l’uso degli spazi per attività socio culturali. Nel 2003, viene approvata la Variante del Piano Speciale di Intervento, con lo scopo di protegge-

re il patrimonio architettonico e culturale dell’area . Il Matadero è stato suddiviso in tre comparti, A, B (quadrante nord-est) e C (quadrante sud-est)” ed è stato ristrutturato in fasi per diventare un parco culturale dotato di cinema, biblioteca e spazi per mostre e concerti. Il Matadero va a costituire un nuovo centro culturale, per l’arte e il tempo libero. Esso si trova in una posizione strategica, che “consolida ed prolunga il grande asse culturale Recoletos-Prado fino alla piazza Legazpi estendendo la centralità della città verso il rio Manzanares, riqualificando l’intera zona”. Le varie costruzioni possono essere facilmente riconvertite allo stato originale, inoltre la reversibilità permette di sperimentare in maniera diversa le nuove funzioni. “L’approccio è stato

quello di lasciare una chiara lettura della memoria del luogo, lasciando ad esempio, all’interno di alcuni degli spazi, le pareti senza alcun rivestimento, mostrando la loro com327


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MATADERO

posizione in pietra e mattoni.” La cineteca, con i suoi 2688 m2 distribuiti su tre piani, occupa quattro padiglioni del Matadero ed è diventata un polo di riferimento per lo sviluppo della produzione audiovisiva per l’intera Spagna. Lo spazio, ora a gestione municipale, è caratterizzato dall’ uso di materiali riciclati, sia del contenitore industriale, ma anche dei materiali che ne definiscono gli interni, e dal recupero di tecniche tradizionali. Gli involucri e le finiture interne si sviluppano su sottili equilibri fra materiali diversi: intrecci di tubi per l’irrigazione, che riprendono l’antica arte dell’intreccio dei cesti, muri di mattoni nelle aree studio, lasciati a vista come vecchi elementi strutturali, e i forni, conservati in memoria dell’antica funzione. La casa del Lector è stata progettata a seguito di un concorso dallo studio Ensamble e prevedeva il recupero “dei padiglioni 13, 14 (calle e plaza Matadero), 17b e la parte terminale del 17c (calle Matadero) per ospitare una biblioteca, un auditorium e alcuni uffici.” Il progetto vincitore punta a mantenere e migliorare

il carattere originale del complesso industriale ed è caratterizzato dalla “reversibilità”, per consentire eventuali futuri cambiamenti interni, oppure il ripristino dello stato originario. “Il progetto Nave de Música Matadero (Red Bull Music Academy) di María Langarita e Víctor Navarro, recentemente premiato nella categoria Architetti Emergenti nell’ambito del Premio Mies van der Rohe 2013, si basa sulla logica della matrioska, sia in senso spaziale che temporale: un edificio ingloba l’altro, ma allo stesso tempo lo segue. L’opera, costruita in meno di due mesi, si compone di soluzioni costruttive leggere, costituite da elementi standardizzati che si adattano al sito, senza compromettere la struttura metallica e la facciata di mattoni a vista esistenti. Il progetto è stato concepito per essere smontato senza lasciare traccia. Nello spazio recuperato sono stati creati tutti i volumi necessari ad accogliere le funzioni richieste dal programma: uffici, sale di registrazione, studi privati e spazi comuni.

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LE FABBRICHE DELLA CULTURA

Dateci spazio, ma che sia pubblico. Dopo gli anni del Moderno, l’architettura riscopre la necessità di agire sui luoghi collettivi per rigenerare la società

Tecnopolo, planimetria generale

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Ex officine Reggiane Reggio Emilia, 2014 Andrea Oliva

Le ex “Officine Reggiane”, pietra miliare per la storia dell’industria della città di Reggio Emilia., nel 2014 sono state oggetto di riqualificazione. Nate come fabbriche (Officine Righi) di materiale rotabile ferroviario e convertite, durante la prima guerra mondiale, per produrre cannoni e ogive per proiettili e, in seguito, velivoli da guerra, sono divenute ora Tecnopolo per la ricerca industriale. “Recuperare architettura industriale significa stabilire un rapporto con la conoscenza dei significati” spiega il progettista. “Ricerca e indagine diventano lo strumento per l’individuazione delle possibili trasformazioni future interpretando la rovina come un cantiere, come un edifico che nel suo deterioramento rivela le proprie regole compositive e costruttive. Dei luoghi e degli edifici dell’architettura industriale sono parte fondamentale i rumori delle lavorazioni, gli odori, le macchine, i residui di lavorazione e le persone. Il degrado più significativo delle Reggiane è il silenzio. Precludersi la possibilità di guardare oltre all’ambito del manufatto può essere limitativo perché

spesso la conoscenza di spazi e strutture architettoniche legate a momenti di non lavoro, o al tempo libero, può completare e chiarire considerevolmente la comprensione degli spazi di lavoro. Il degrado in cui versano le Officine Reggiane si potrebbe definire teatrale in quanto è dovuto all’assenza della componente dinamica del luogo (produzione – operaio), facilmente sostituibili con altrettante componenti dinamiche (ricerca – studenti). La memoria delle Officine Reggiane è la componente statica, la scena di quel teatro fatto di volumi, prospettive, binari, macchine e muri usurati dal tempo, dalla fatica e dal lavoro. Modificare la scena è sinonimo di modificazione della memoria, quindi della realtà. Il Capannone 19 è una grande copertura le cui caratteristiche figurative e tipologiche trovano espressione proprio nella forma dello spazio vuoto e circoscritto, per questo motivo, per il rispetto della struttura storica la suddivisione degli ambienti avviene tramite moduli indipendenti sia strutturalmente che termicamente incrementando le superfici disponibili e 331


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EX OFFICINE REGGIANE

valorizzando lo spazio indoor pubblico”. L’intervento si distingue sia per la sensibilità verso il dialogo fra preesistenza e nuova costruzione sia per la cura con la quale sono state affrontate le opere di recupero, consolidamento, restauro. Poche demolizioni «controllate», nessuna operazione di mimesi, attenzione al risparmio energetico, miglioramento sismico delle strutture hanno guidato il progetto verso un risultato che intende far convivere l’edificio originario con le nuove soluzioni adottate per riportarlo in vita. Passato e presente si confrontano senza produrre fratture, corroborando i propri messaggi l’un l’altro. “L’archeologia

industriale si trasforma in un contenitore che prosegue ideologicamente il vecchio processo produttivo connesso alle ex officine reggiane all’interno delle nuove ‘produzioni’ della ricerca universitaria”. L’intervento tende a conservare il più possibile la struttura originaria. In questo senso, la suddivisione degli ambienti avviene tramite moduli autoportanti, indipendenti termicamente e rever-

sibili. I nuovi manufatti di suddivisione e distribuzione formano un edificio nell’edificio, la cui articolazione è subordinata alla spazialità del capannone originale evitando soluzioni di contatto, mimesi o interferenza. I box sono disposti su tre livelli e ospitano laboratori, uffici per start-up e spin-off, spazi di incontro; la giustapposizione variabile fra i diversi corpi in legno crea terrazzamenti, sbalzi e percorsi che conferiscono dinamicità al nuovo assetto distributivo. Ad abitare il capannone, al momento, ci sono ricercatori nel settore della meccatronica, delle costruzioni, della green economy, dell’agro-alimentare. Quello di Reggio Emilia è il primo di dieci tecnopoli che la Regione Emilia Romagna intende costruire in ciascuno dei capoluoghi di provincia, con l’obiettivo è di dare impulso all’economia del territorio attraverso la realizzazione di nuove piazze di incontro fra ricerca e impresa.

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LE FABBRICHE DELLA CULTURA La centralità ideologica, il vero focus dell’intero intervento, è il

recupero del complesso fortificato di Forte Fenilazzo Far diventare lo stesso manufatto storico, la vera centralità fisica dell’intera struttura ricettiva.

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Ex forte Fenilazzo e area ex Saima Peschiera del Garda, Verona, 2014 Ardielli Associati

La scelta di questo progetto è stata fatta alla luce dei numerosi interventi di recupero rintracciati, al fine di comprendere quali potrebbero essere le motivazioni per agire in modo opposto, andando cioè non preservare e recuperare manufatti industrali in disuso. La caratterizzazione storica dell’area in oggetto merita, sia per diversità di origine che di sviluppo degli elementi in essa presente, una suddivisione in ambiti specifici, che ne consenta una più facile descrizione e comprensione delle porzioni che la connotano. Nella fattispecie sono individuate tre specificità: l’area Saima, il Forte e l’ambito agricolo. SAIMA è un’azienda meccanica con una lunga storia alle spalle, l’attività inizia ai primi del 900 come “Stabilimento Meccanico di Costruzione e Lavorazione ” Federico Marzan”. L’attività produttiva prosegue fino ai tempi nostri diventando “SAIMA spa industrie meccaniche”. Per l’azienda, le cui lavorazioni presenti su tale area verranno totalmente dismesse, si prevede un piano di trasferimento

il quale dovrà portare alla realizzazione delle nuove strutture produttive ed al conseguente avvio delle attività sul nuovo sito, prima dell’apertura del cantiere per la realizzazione della struttura ricettiva in oggetto. L’edificio di ingresso, posto su via Campanello, con la caratteristica struttura a ponte, il quale viene tutt’ora utilizzato come sede degli uffici dell’attività, si trova in uno stato di conservazione piuttosto buono e si caratterizza inoltre, quale elemento di testa ed accesso al viale alberato che conduce all’ingresso del forte, divenendo quindi un elemento di importanza non trascurabile sia per la tipologia architettonica (risalente circa al 1930), sia quale testimone di una realtà produttiva sedimentata in quest’area da vari decenni. Non trascurabile infine la sua propensione a rappresentare l’ingresso alla nuova struttura ricettiva, grazie proprio alla caratteristica sagoma a ponte che faciliterà il controllo degli accessi. Per tale edificio si prevede quindi un intervento di manutenzione e restauro, al fine di renderlo adatto ad ospitare gli uffici del nuovo complesso in progetto. 335


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FORTE FENILAZZO

Forte Fenilazzo appartiene alla terza generazione dei forti austriaci di Peschiera, realizzati tra il 1861 e il 1860. Il forte, realizzato in murature in conci di pietra da taglio e volte in laterizio, appartiene al sistema poligonale e presenta un tracciato ottagonale simmetrico con fronte di gola rientrante a tenaglia. Il ridotto ha forma composita: la parte ricurva si sviluppa su un piano voltato e funge da caponiera di gola; l’altra a due piani voltati è trilobata. Sono inoltre presenti un fosso, senza rivestimento di controscarpa con muro staccato e tre caponiere, il ramparo con traverse in terra. Si conserva oggi il ridotto centrale mentre sono state spianate le opere in terra ed il muro perimetrale “alla Carnot” nonché interrate le caponiere. La destinazione produttiva-industriale (S.A.I.M.A.), ha prodotto nel tempo, soprattutto dagli anni ’70 del Novecento, l’occupazione con nuovi edifici degli spazi di pertinenza del Forte. Parte dei capannoni sono edificati sulle strutture fortificate, precedentemente interrate con lo spianamento del terrapieno. Altri capannoni, tetto-

ie, hangar sono situati disordinatamente fino a finire negli anni ‘50-’60, in cui venello spazio di pertinenza e di rispetto niva esercitata anche una attività di bodel Forte. Tutte queste costruzioni, nifica munizioni e recupero dei metalli. prive di qualsiasi pregio o interesse Nei primi anni ‘60, per un breve periodo, a seguito della sopraggiunta completa didi archeologia industriale, sono in smissione di materiale post-bellico, la ditcompleto contrasto architettonico ta ha anche lavorato per alcune commese ambientale con la preesistenza forti- se militari per la produzione di munizioni ficatoria e, in vista di un futuro recupero da addestramento, ma l’attività è durata del Forte, da eliminare in grossa parte. solo pochi anni. Infatti, dopo gli anni ’70 L’opera fortificata, seppure a contatto di i proprietari dell’area, hanno proceduto un disordinato insediamento industria- all’abbattimento degli edifici posti a nord le, mantiene una rilevante incidenza nel del Forte e, come visto, all’interramenpaesaggio campestre. A partire dai primi to del vallone. Restava attiva solamente del ‘900 si è sviluppato un primo nucleo la parte orientale dell’area industriale, a produttivo nell’are antistante il Forte, sud-est del Forte, corrispondente in pradapprima di proprietà Marzan e successi- tica all’area attualmente in uso. Il progetvamente SAIMA. La produzione è sem- to prevede la demolizione di tutti i mapre stata rivolta alla meccanica, in parti- nufatti industriali e la conversione degli colar modo a tutte le lavorazioni relative spazi in struttura ricettiva, il forte viene a cilindri speciali, cilindristica in genere, portato ad una configurazione molto torneria e attività correlate, compreso il vicina all’originale, grazie ad un lavoro trattamento superficiale dei metalli. Si di sovrapposizione dei disegni storici e evidenzia che nel corso del tempo, oltre di ricomposizione dei profili di terreno alle attività produttive di tipo civile, vi è fatto sulla base delle quote dei medesimi stato un periodo storico, presumibilmen- profili storici. te compreso tra la prima guerra mondiale 337


LE FABBRICHE DELLA CULTURA

Da officine dei treni a officine delle idee. Un luogo per le comunitĂ in cui realizzare nuove modalitĂ di condivisione sociale, tra le persone, gli artisti e le opere culturali.

OGR, Grandi officine riparazioni, spaccato assonometrico generale

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Ex Officine Grandi Riparazioni Torino, 2014 Fondazione CTR con Carlo Ratti Associati

Le OGR di Torino che da grandi officine sono state trasformate recentemente in un museo d’arte temporanea, rappresentano un passo fondamentale per rafforzare l’identità di Torino come luogo di sperimentazione. Le Officine Grandi Riparazioni, questo significa l’acronimo OGR, furono edificate a Torino tra il 1885 ed il 1895 in un momento di grande sviluppo di un Paese che ha raggiunto l’unità e che vuole far concorrenza alle più forti economie europee. Concepite come centro all’avanguardia per la revisione e riparazione di locomotive e vagoni ferroviari, ebbero anche la funzione di potenziare gli scambi di prodotti industriali e materie prime che transitavano da Torino. La conferma dell’importanza e del valore attribuito al complesso occupato dalle OGR è data dalle sue grandi dimensioni, occupa infatti uno spazio di 190.000 metri quadrati con una struttura tale da ricordare maestose cattedrali con lunghe navate dai soffitti altissimi. Le Officine Grandi Riparazioni sono sta-

te, attraverso i secoli, testimoni del lavoro di migliaia di operai che appartenevano ad una categoria di artigiani specializzata e di alto livello. Qui infatti bisognava far fronte ad ogni genere di lavoro, dalla riparazione di motori alla saldatura di lamiere, dall’allestimento della struttura in legno delle carrozze alla realizzazione degli arredi. La Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, ha finanziato l’intervento di riqualificazione, salvaguardando il valore storico della struttura originale, la flessibilità e la modularità degli spazi facendoli divenire i principi ispiratori del progetto di restauro. Le OGR, dunque, sono tornate a vivere non più come grandi officine per la riparazione dei treni, bensì come officine della cultura contemporanea, dell’innovazione e dell’accelerazione d’impresa. Un progetto con una forte vocazione internazionale, sviluppato dall’expertise e dal know-how made in Turin: la Fondazione, infatti, ha fatto leva sulle capacità imprenditoriali e professionali del territorio, sfruttando il capitale investito 339


LE FABBRICHE DELLA CULTURA

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EX OFFICINE GRANDI RIPARAZIONI

– circa 100 milioni di euro – per fare da volano all’economia locale e restituire alla città il simbolo del suo sviluppo industriale, aprendolo al mondo. Il compendio immobiliare Ottocentesco – che comprende il maestoso edificio a forma di H di circa 20 mila metri quadri e 16 metri di altezza, oltre alle palazzine degli uffici e tutte le aree scoperte – era abbandonato da decenni, senza futuro e con evidenti problemi di sicurezza per le persone e l’ambiente. Soppalchi industriali, pavimentazioni con profili metallici (per richiamare all’occhio le vecchie rotaie) e altre architetture interne ispirate nel design al mondo dell’industria ferroviaria contribuiranno a mantenere l’originaria identità di officina, in un gioco di continui rimandi tra memoria e contemporaneità; dal punto di vista architettonico ed edilizio, la percezione dei grandi volumi e delle grandi altezze è stata conservata. In parallelo, sono state create ex novo due piazze, fruibili come luoghi di relax e socializzazione, che ospiteranno eventi, spettacoli, aperitivi e opere d’arte a cielo aperto. Le Officine Nord ospiteranno eventi di

arte contemporanea, teatro, danza e una digital gallery per esperienze di realtà virtuale immersiva; il cosiddetto “Duomo”, cioè la sala dove i vagoni da riparare venivano posizionati in verticale, sarà destinato a workshop e conferenze, come a sottolineare il passaggio dalla riparazione dei treni alla riparazione e “rigenerazione” delle idee. Gli open space delle Officine Sud, invece, diventeranno un centro di sperimentazione tecnologica per attirare le migliori start up innovative del settore dell’industrie creative. Tra le due Officine ci sarà un’area dedicata al gusto e in particolare all’enogastronomia piemontese. I murales – alcuni d’epoca, altri realizzati appositamente – e gli impianti di illuminazione contribuiranno ad esaltare la profondità e l’imponenza degli ambienti. Le nuove Ogr sono un’occasione fondamentale che rafforza l’identità di Torino come luogo di esposizione, sperimentazione e produzione nell’ambito delle culture moderne e contemporanee. Un luogo di conoscenza in cui la competizione tra le nuove idee e la divulgazione dei risultati di ricerca saranno privilegiate, promosse e stimolate. 341


LE FABBRICHE DELLA CULTURA

Un buon compromesso tra memoria storica e nuova destinazione d’uso. occasione per recuperare un pezzo di memoria della città di Parma, operazione a più largo raggio che di ricomposizione di squarci lasciati nel tessuto periferico dalla deindustrializzazione, creando nuovi soggetti e nuovi legami all’interno del corpo urbano

Auditorium Paganini, planimetria generale

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Auditorium Paganini Parma, 2001 Renzo Piano

Agli inizi degli anni ottanta anche in Italia, come nel resto d’Europa, si è sentita la necessità di governare i processi di dismissione di grandi aree industriali, ricorrendo in maniera sempre più sistematica ad una politica di pianificazione e alla pratica urbanistica. L’apice di questa nuova prospettiva di trasformazione del territorio è la legge n°19 del 3 luglio 1998 della Regione Emilia Romagna, che mira a recuperare e valorizzare edifici e luoghi di interesse storico-artistico, ricorrendo soprattutto a coerenti politiche locali di investimento

nei campi della cultura, del turismo, dei trasporti e del commercio; lo stabilimento dell’ex-Eridania

costituisce, dunque, un risultato significativo di questo strumento legislativo, profilandosi come un vero e proprio caso pilota. L’Auditorium Paganini nasce dall’idea di trasformare una zona industriale dismessa (lo storico stabilimento dello zuccherificio Eridania in attività a Parma dal 1899 al 1968) in una moderna “fabbrica

del suono”.

L’area, emblema della passata fase proto-industriale della città di Parma, nel 1980 è stata acquistata dal comune con l’idea di realizzarvi un parco pubblico attrezzato. Vero e proprio “vuoto urba-

no”, posto a cerniera tra il centro storico di Parma e la periferia, lo

storico stabilimento dell’Eridania riacquista una sua funzione per la collettività solamente nel 1999, quando iniziano i lavori per trasformarlo da fabbrica di zucchero a “fabbrica della musica”. Renzo Piano declina lo spazio vuoto e abbandonato dell’ex industria in modo tale da realizzare una vera e propria scatola musicale che diventa il punto di riferimento di una grande area adibita a verde; il complesso è costituito da un edificioprincipale, lungo ottanta metri e coperto da capriate in acciaio, oggi occupato dall’auditorium e dal foyer, e da un edificio secondario, destinato ad accogliere gli spazi di servizio e la sala prove. Il foyer è disposto su due livelli collegati da un’ampia scalinata: in basso gli spazi adi343


LE FABBRICHE DELLA CULTURA

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AUDITORIUM PAGANINI

biti a guardaroba, in alto l’accesso al bar e alla platea. Il cambiamento funzionale del complesso ha presupposto la demolizione di alcune parti ormai irrimediabilmente ammalorate, come, ad esempio, gli impalcati interni e la successiva messa in sicurezza e adeguamento di quanto rimaneva dell’intero complesso. Come prima cosa sono state realizzate nuove fondazioni con cordoli in conglomerato cementizio armato impostati su micropali e successivamente la stabilità delle due murature longitudinali è stata garantita attraverso opportuni inserimenti in cemento armato disposti a pettine al loro interno. Proprio nei due spessi muri laterali dell’edificio principale Piano individua l’icona della vecchia fabbrica, a cui si giustappongono le due pareti trasversali interamente in vetro, le quali, permettendo dalla sala la visione del parco circostante, sembrano elidere i confini tra parte interna e parte esterna, tra spazio artificiale e naturale reinventando così gli spazi creando un “cannocchiale” visivo. Tale suggestione è una caratteristica dell’intero progetto e, infatti,

è riproposta anche nella piazza coperta antistante l’ingresso, vero e proprio nartece moderno, che sembra non rispettare i limiti imposti dalla vetrata, invadendo con il suo porfido l’area adibita a foyer. Molta attenzione è stata dedicata anche alla sala prove sita nell’edificio secondario, la quale, o tre ad avere le medesime dimensioni del palco, ne ricrea le condizioni acustiche. La sala per concerti ospita 780 posti, su un unico livello leggermente inclinato per favorire la visibilità del palcoscenico, a cui fanno da sfondo i cedri del Libano, le querce e i platani del parco. L’edificio sfrutta numerosi accorgimenti tecnici e strutturali concorrono a ricreare le condizioni per un’acustica ottimale che sfrutta lo spazio come una grande cassa armonica: pannelli acustici in vetro e legno distribuiscono il suono in tutti i punti della sala, il controsoffitto riflette l’energia sonora e svolge funzioni assorbenti. L’intervento rappresenta l’intervento più rilevante nel ridisegno di una delle principali aree industriali cittadine dei primi decenni del ‘900. 345


LE FABBRICHE DELLA CULTURA

Quartiere di Bercy, planimetria generale

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Il quartiere di Bercy Parigi 1987-2000 J.P.Buffi,B.Huet

Le prime idee di risistemazione del quartiere parigino di Bercy, ex area dei depositi e dei magazzini vinicoli della città (costruiti sul limite delle mura urbane nel 1802), risalgono all’inizio degli anni settanta, quando il fenomeno della dismissione fu affrontato con la creazione dello Schema de secteur Seine sud-est, ma è solo nel 1987 che il progetto di generale d’intervento viene affidato a Jean Pierre Buffi. La zona di Bercy, fortemente isolata per più di un secolo, si caratterizza per un impianto viario di piccoli selciati perpendicolarmente alla Senna, organizzato per permettere il trasporto del vino dal fiume ai depositi, e per l’importante presenza vegetale che contava circa mezzo migliaio di alberi, residuo storico dei passati giardini settecenteschi del Petit Chateau. Questi elementi guidano il progetto di trasformazione dell’area con l’obiettivo di realizzare, seppur parzialmente, un intervento che non “svuoti” l’area della sua sostanza, ma che si orienti alla conservazione ed attualizzazione dell’antico ed irregolare impianto del tessuto urbano di Bercy. Il progetto si muove attraverso due interventi cruciali: il progetto di un giardino della “Mémoire” (Bernard Huet) che riveli ed interpreti il carattere generale e gli elementi del genius loci; il progetto dei “limiti

urbani” dell’area con la realizzazione di nuove abitazioni che fungessero sia, da elemento di incremento demografico dell’area, sia da ancoraggio tra il vecchio quartiere ed il nuovo parco urbano. Il parco urbano si articola in tre settori principali definiti in relazione al contesto insediativo: il primo è caratterizzato dalla conservazione delle querce secolari e da un grande prato, utilizzati come “fondale” della ricomposizione dei diversi interventi progettati sul luogo prima della definizione del piano d’insieme (Palazzo Omnisport, Ministero delle Finanze); la seconda parte del parco, il parterre, è stato concepito dai progettisti come versione rivisitata del giardino alla francese nel quale trovano posto i segni e gli elementi di conservazione e di nuova

costruzione, definendo una sorta di intreccio in cui agli antichi selciati trasver-

sali fa da contrappunto la nuova maglia ortogonale; la terza parte, il giardino romantico, si organizza attorno ad un canale centrale baricentrico (giardino prospettico) che attraversa la cesura di rue de Kessel collegando le due sezioni del giardino. Sul limite nord del parco, si sostanzia la gran parte dell’intervento di nuova costruzione di J.P.Buffi, che si articola in due settori fondamentali: a nord la creazione di un sistema di isolati residenziali

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LE FABBRICHE DELLA CULTURA

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proporzionati sugli antichi tracciati che, chiusi sulla strada ed aperti sul parco, ridefiniscono i limiti dell’area; ad est le costruzione di nuovi servizi per l’area è caratterizzata da due ordini di edifici, i grandi blocchi commerciali ed un sistema di “botteghe” puntuali che si integrano con gli antichi magazzini scampati alle demolizioni. Sul confine nord, la nuova spina di isolati, pensati come compromesso tra l’isolato chiuso ed il blocco moderno, ridefinisce complessivamente le relazioni sul limite tra il quartiere e la struttura urbana circostante, essi infatti sono definiti, nelle loro regole architettoniche, direttamente in sede di progetto urbano attraverso l’individuazione di quattro elementi invarianti (muri divisori, quadri, padiglioni, connessioni), le cui successive “variazioni” sono affidate liberamente ai progettisti del singolo blocco. Sul lato est del parco, il progetto di trasformazione dell’area prevede invece la conservazione integrale di due agglomerati di magazzini dell’antica Bercy: i padiglioni della Court Saint Emilion e Lheureux, costruiti negli anni dello sviluppo del commercio viti-vinicolo (1840), e ribattezzati Bercy - Village secondo un intento di conservazione “pittoresca”. I padiglioni restaurati (1995-2000), non senza rilevanti trasformazioni, appaiono oggi come il “cuore”

delle attività commerciali e culturali dell’area, così come il parco rappresenta il centro del nuovo quartiere residenziale, secondo la politica di decentralizzazione funzionale operata dalla municipalità di Parigi, negli ultimi anni. L’intervento che ha interessato per gran parte la sistemazione degli interni, al fine di potervi collocare diverse

tipologie funzionali (negozi, ristoranti, tempo libero, attività culturali e sportive), è stato

improntato su una forte omologazione delle facciate, trasformando i caratteri diversificati delle antiche cantine. Anche dal punto vista materico si è operato con la sostituzione di porzioni murarie, quando non sì è proceduto ad una vera e propria ricostruzione in situ; mentre alcuni elementi tipici, quali gli argani disposti sulle aperture superiori sono stati restaurati e conservati. Particolarmente interessante, invece, l’intervento di nuova progettazione a ridosso dell’isolato. In questo caso la scelta progettuale si è concentrata nella realizzazione di nuovi padiglioni a completamento della facciata sul lato ovest, pensati in analogia tipologica e formale con le antiche cantine, di cui sono stati ripresi: impianto planimetrico, elementi architettonici, costruttivi e materiali.

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LE FABBRICHE DELLA CULTURA

Quartiere di Bercy, planimetria generale

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Ex vetrerie Livellara Milano 2016 Antonio Sant’Elia

L’ex stabilimento delle cristallerie Fratelli Livellara, in via Bovisasca a Milano, progettato dall’architetto Antonio Sant’Elia, è stato riaperto nuovamente al pubblico. Gli spazi del 1921 hanno dato il via a una nuova, bella stagione. Tra cultura del ballo, della musica jazz, ma anche punti di ristoro e bar. Non è escluso, inoltre, un primo progetto di residenze per artisti. Le Cristallerie Livellara hanno aperto nuovamente i battenti in occasione dello Spirit de Milan. A partire da giugno 2016 l’area è tornata ad essere una pista da ballo, un teatro, un palco, un ristorante, un luogo di ritrovo, una nuova casa per le passioni. La serata milanese, Barbera & Champagne, è stata l’anima di Spirit de Milan. Una serata per ritrovare una Milano da osteria, con canto, musica e risate intorno allo stesso palco. Da non dimenticare anche la Holy Swing Night, l’autentica serata swing di Milano, tutta Anni Quaranta. Durante la quale ballare ai ritmi incalzanti delle migliori swing live band della penisola e internazionali. “Comunque”, precisa Gianluigi Livellara, “qualche settimana fa abbiamo aperto al pubblico per la settimana del Salone del Mobile. Per tre giorni si è sviluppato l’evento Vans, con i prodotti di abbigliamento esposti nella prima parte dell’ex fornace. Un allestimento

che ha proposto una storia sulle scarpe, alcuni eventi organizzati con numerosi skateboarder, un mercatino e tanta musica”. Potresti ripercorrere in breve la storia architettonica e industriale del sito de La Livellara? La Livellara è oggi archeologia industriale del 1921. L’area, nei primi Anni Venti, era dedicata a un oleificio industriale e portava il cognome della famiglia fondatrice, Balestrini. Si produceva olio vegetale. Poi nel 1963 i miei nonni hanno comprato l’azienda in cui siamo ancora adesso e nel 1964 si sono stabiliti in quest’area di quasi 11.000 metri quadrati. Inaugurando così la parte produttiva e commerciale. Prima di questa data la produzione era a Murano, mentre in seguito è stata portata a Milano, con i maestri muranesi, i loro forni e le loro attrezzature. I nonni avevano pensato di rifarsi dei soldi spesi per il terreno, vendendo il ferro che si trovava all’interno, ma poi così non è stato. Portare al di fuori enormi cisterne nelle quali era contenuto l’olio sarebbe stato davvero oneroso. La produzione di cristallo lavorato a mano e soffiato a bocca è cessata, da luglio 2004. L’unica differenza che ci caratterizzava, rispetto a Murano, è che non presentavamo vetro colorato. Creando una liaison tra il cristallo e il vetro muranese. Oggi, nell’edificio

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LE FABBRICHE DELLA CULTURA

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principale, che si affaccia su Via Bovisasca, esponiamo e vendiamo la nostra parte commerciale, con piatti e articoli per la casa, base delle attività della Livellara. La parte frontale dell’edificio d’ingresso è oggi adibita a sala campionaria, a spaccio, uffici e parte commerciale. Il magazzino è stato invece trasferito in interinale ed è per questo motivo che si sono liberati molti spazi. Ed è così che abbiamo pensato di utilizzare quest’area in modo diverso, facendola rivivere in maniera differente. Se nella vecchia fornace non

continuassimo a proporre attività ricreative, culturali, il sito entrerebbe in decadenza, giorno dopo giorno. Qui

ficazione dell’impianto elettrico che deve essere a norma, ma quando hanno cominciato a domandare la certificazione antisismica su un edificio del 1921. Dunque è ancora molto complicato far rivivere questi stabili e aprirli al pubblico. Torneranno le serate a tema: mercoledì, ad esempio, con il tango argentino; oppure giovedì con la serata milanese, dedicata al teatro, alla musica e a quegli autori che si rifanno al Derby, impartendo anche lezioni di dialetto milanese. La programmazione ufficiale prenderà il via il primo giorno di giugno, quando ci si augura comincerà anche la bella stagione e quando i nostri tesserati – abbiamo dovuto costituire un club per far sì che la gente usufruisse degli interni – cominceranno a godersi l’area. I privati vorrebbero istituire, all’interno di una parte della Livellara, residenze per artisti appartenenti a tutte le discipline, prestando ospitalità a coloro che vengono a Milano per lavorare e, magari, lasciando che usufruiscano dei nostri spazi per proporre eventi, incontri o serate senza spostarsi eccessivamente. L’intenzione è, e resta, quella di creare un polo milanese per la cultura e per la musica. In linea anche con l’ultima tendenza che vede

abbiamo già fatto lavori di ammodernamento, ma, per quanto ci riguarda, è stato davvero difficile far comprendere alle autorità il nostro progetto di voler mantenere l’architettura esistente, come se fosse stata fermata dal tempo. Noi volevamo che chiunque in visita potesse respirare il gusto e la storia nel vecchio edificio. A livello generale, i privati hannop avuto molto appoggio dall’endorsement culturale della città, mentre i tecnici avrebbero voluto stravolgerlo. Incorrendo in situazioni antipatiche. Si è provveduto all’intumescenza dei punti in la rinascita della periferia cittadina ferro dell’architettura, così come alla riquali- affidata alle forze dei privati.

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ABITARE IN UNA FABBRICA Il riuso di manufatti esistenti comporta un processo trasformativo che interessa particolarmente gli spazi interni. La fabbrica dismessa possiede caratteri tipologici, costruttivi, spaziali, evidenti ed evocativi - grandi silenziosi spazi vuoti ritmati dall’isotropia delle campate strutturali – e caratteri dormienti che nuovi valori iconici, forme e figure del progetto di riuso devono innescare e rendere “udibili”. Tra i caratteri di una fabbrica, luogo di lavoro e di produzione, c’è quello di corrispondere al principio di necessità. L’appropriazione di uno spazio industriale dismesso per sperimentare nuovi modelli abitativi ha vari precedenti, dalle case atelier dei primi del ‘900, alle sperimentazioni delle comuni, ai loft.

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Trascritture e riuso di fabbriche a scopo residenziale

Appare indispensabile rivedere e incrementare l’idea di loft che sempre più pervade e conquista l’immaginario domestico collettivo dei nostri giorni. E evidente come questo fenomeno sia radicato nel tempo, ma è ancora poco chiaro il motivo per cui esso abb ia grada tam ente ottenuto così tanto successo. Le riviste patinate di arredamento d’interni non bastano e, anzi, non valgono certamente a spiegarlo. Collocati nell’ambito dell’archeologia indus tria le e degli studi sul patrimoni o industriale, non possiamo esimerci dal consi der are la vera pa rte sostanziale del “movimento loft”, il suo apporto stra ordinario, seppur inizialmente inconsa pevole, in materia di salvaguardia architettonico-industriale. Termine di origine ame ricana, loft significa letteralmente attico, soffitta, ma viene da subito reinterpretato come ampio spazio diafano, libero da suddivisioni interne,abbondantemente illuminato. Non a caso i cosiddetti Loft buildings di So.Ho., New York, sono propri o costituiti da edifici a destinazione industria le (manifatture o stoccaggi), con struttura 356

port nte a travi e pilastri in ghisa, facciata ampiamente vetrata e altezze di piano tali da permettere l’alloggiamento degli enormi macchinari produttivi. Questo fenomeno prese avvio proprio dalla zona di So.Ho. (South of Houston), intorno agli anni cinquanta del Novecento, parallelamente all’abbandono della stessa zona da parte delle maggiori attività manifatturiere, ormai in crescente trasferimento verso la periferia. Così come per le grandi macchine produttive, anche per la creazione delle voluminose opere d’arte dell’epoca diventava necessaria l’occupazione, spesso illecita, di questi preziosi edifici ex industriali. Se pensiamo infatti al risultato dell’eclatante mutamento di scala dell’oggetto artistico, massimizzatosi con la cosiddetta Pop(ular) Artattraverso le opere di Roy Lichtestein, Julian Schnabel, Jackson Pollock e altri, non possiamo non accorgerci dell’indispensabile ruolo svolto da questi eno rmi spazi “al margine”, nell’adattare i tempi della società, decisamente più accelerati, a quelli della città costruita. Occupare illegalmente un fabbricato

industriale in stato di abbandono non implicava semplicemente un bassissimo, quando non nullo, dispendio economico. Questo atto sovversivo nasceva in realtà da assunti ben più profondi, a livello sociale, politico, natura lmente artistico. L’arte non era più solo abbellimento, decoro, fregio, ma iniziava a diventare essa stessa protagonista e portatrice di forti messaggi. L’oggetto artistico si ingigantiva e virava semp re pi ù verso l’esplicitazione della realtà, nelle sue fo rme più to rve e deg radate. Diveniva segnale di contrasto, di frustrazione, di po lemic a nei co nfro nti di quella società che, agli occhi dei protago nisti della P op Art, si nutriva so lam ente di ingiustizie e discriminazioni. L’evid ente provoca torietà di questi personagg i e la dilag ante diffu sion e delle loro gallerie d ’arte, trasform aro no in breve tempo il So.Ho. District, così fortemente a rischio di abbattimento, in un luogo straordinariamente attraente per tutti i newyorchesi. Il passaggio fondamentale di questo meccanismo fu appunto quello di far partecipare il pub blico al


ABITARE IN UNA FABBRICA

Tavola comparativa tra i caratteri funzionali della casa tradizionale e quelli del loft (da R. Starnini, Loft in translation, tesi di laurea, Politecnico di Torino, 2006)

cosiddetto “momento della creazione ”. Vedere un artista all’opera era quanto di più coinvolgente vi fosse per gli amanti de ll’arte. G li happening organizzati all’in terno di quei loft, tra cui molto celebri q uelli di Andy Wahrol nella sua Factory (letteralmente “fabbrica” ), fecero sì che, oltre all’attrattiva nei confronti dell’avvenimento stesso, si provasse un fortissimo interesse anche nei con fronti del contenitore in cui esso aveva luogo. La stessa classe m edia in cominciò a interessarsi a queste vecchie manifatture, inizialm ente per trarne profitto affittandole agli artisti, successivamente com e abitazioni personali. Abitare in un loft divenne col tempo simbolo di esclusivismo, originalità, con divisione d i un o stile di vita ba sato sulla completa esposizione della propria quotidianità, in un lu og o in cui si comb inano casa e studio, in cui si fond ono in un unico spazio soggiorno, cucina, camera, quando non ad dirittura il bagno. Il culto della mostra d el proprio corpo e delle sue necessità diventa simbolo di trasgressione, dunque di fascino. 357


ABITARE IN UNA FABBRICA

Nato come movimento artistico di tipo autarchico, il Loft Movement venne col tempo assurto ad emblematico esem pio di recupero del patrimonio industriale. La rifunzionalizzazione di questi ampi spazi infatti si diffuse a tal punto da portare, nel 1981, alla promulgazione della legge federale per la tutela del Cast-Hiron Historic District di So.Ho., con agevolazioni fiscali per tutti coloro che si fossero interessati al restauro dei suoi edifici. Man mano andava così insinuandosi, nella mentalità collettiva, la cultura della salvaguardia architettonica, di pari passo con il nascente interesse, soprattutto in Europa, per i temi ed

i reperti della cosiddetta archeologia industriale.

Un avvenimento di questa portata non poteva però di certo concludersi in se stesso. Di fatto l’eco che ne risultò fu talmente forte da risuonare anche Oltreoceano, sbarcando, intorno agli anni o ttanta, in un’Europa ormai pre sso ché consapevole dell ’illusoria crescita lineare delle proprie metropoli. L’idea di vivere in un loft ben si sposava infatti con l’evide nte mancanza di spazio abitativo, a fronte di un aumento della popolaz ion e sempre più consistente. Inoltre, l’atomizzazione della famiglia, il crescente sviluppo delle teleco mu nicazioni, l’au tom azione in campo lavorativo e l’avvento della digitalizz azione, hanno col tempo confe rmato l’enorme funzionalità di questa “home cum studio”. Originai Loft Buildings (OLB), Originai Loft Houses (OLH), Originai Lo ft Apartm ents (OLA), Originai Penthou358

ses (OP), New-Original Loft Buildings (n-OLB), New Loft Buildings (nlb), New Lo ft Plans sono solo alcuni degli osmotici raggruppamenti tram ite i quali si può tentare una desc rizion e e una classificazione schematica del fenomeno loft. Cla ssificato com e OLB (letteralmen te “orig inario ed ificio a lofts”), è quel tip o di interven to derivante dal recupero co mplessivo della preesistenza ex industriale, intesa com e fabbrica o magazzino di considere voli dimensioni. D i essa viene m antenuta la struttura e l ’estetica in generale, mentre l ’interno viene comp artimentato in più cellule abitative, basate sugli stessi assunti di essenzialità e spazialità tipici del passato produttivo di quegli spazi. Quando l’edificio si caratterizza piuttosto come piccola officina in disuso, si può descr ivere il suo ripristino come OLH. In questo am bito, ci troviam o nu ovamente di fronte ad un inte rvento sull’in tero fabbricato però con destinazione abitativa unifamiliare. La struttura in sé si presenta talmente ridotta di dimensioni da rispondere giu sto alla necessità di casa-ufficio (o laboratorio, galleria d’arte) di un unico nucleo familiare. Nel caso dell’OLA non si ha più un singolo o un team ad intervenire sul manufatto, bensì una serie di studi di architettura che separatamente vengono interpellati dal comm ittente per il recupero del p roprio personale appartamento-Zq/Z. Anzi ancora, molto spesso gli OLA derivano proprio da un ulteriore studio d’interni delle diverse cellule abitative ottenute tramite un intervento di tipo OLB. Spesso si fa erroneam ente

corrispondere a tale categoria quel tipo di spazio improntato sul dettaglio alla moda, sul lusso per pochi, che tanto ha contribuito al suo (superficiale) successo, ma che purtroppo altrettanto ha collaborato al fraintendimento dei suoi significati più profondi. Ne forniscono un chiaro esempio le incessanti e ripetitive pubblicazioni sui loft interiors che, sull’onda del gusto del momento, sembrano voler continuare ainterpretare la sobrietà tipica industriale con il minimal chic, ormai asfissiante tema di estetica del momento. Gli OP (“ originario attico-Zoz”) si differenziano dagli OLA per il loro posizionamento all’interno del manufatto dismesso. Essi ne occupano infatti l’ultimo livello, in modo da poter godere anche della luce zenitale proveniente dalla copertura a shed, soluzione tecnologica tipica degli edifìci produttivi. In realtà l’u bicazione non è l’unico elemento che li differenzia dagli altri loft, il fatto di poter sfruttare un flusso luminoso prove niente dall’alto, infatti, fornisce molte possibilità in più di organizzazione interna dello spazio a bitativo. In oltre muta la percezione stessa dell’involucro che, così inondato di luce pura e priva di ombre, pare quasi venir dissolto della propria matericità. Del gruppo denominato N-OLB (“nuovo-originario edificio a loft”) fanno parte tutti quegli interventi che prevedono, oltre al recupero dell’intero reperto industriale, l’aggiunta di una parte costruita ex novo, la quale integri la superfìcie mancante (evidentemente non sopperita dall’impianto originario) e riesca anche, a livello compositivo, a giocare abilmente sul rapporto con la preesisten-


TRASCRITTURE E RIUSO DI FABBRICHE

In a lto, edificio storico GFi. Pianta dello stato di fatto e di progetto (Studio Gamma architetti associati, arch. Maldolti).

za. Questo nuovo approccio si è sviluppato di pari passo con la ormai crescente consapevolezza sul tema del recupero industriale, potendolo quindi arricchire con un tentativo di reinterpretazione dello spazio-Zq/z nell’ambito della nuova fabbricazione. NLB (“nuovo edifìcio a loft”) e NLP (“n uovo piano a loft”) rappresentano l’attuale cambiamento di stato di questo fenomeno loft così spurio e cangiante: qu est’ultima trascrittura vede il passaggio da un ’idea originaria di ripristino ad u n’altra estremamente innovativa di edilizia ex novo. Il primo acronimo sintetizza il progetto di un unico blocco, il secondo raggruppa invece i progetti di interi isolati adibiti a nuovi loft. Tale concezione ha mosso i primi passi già qualche anno fa nel Nord america, diffondendosi poi Oltreoceano, anche e soprattutto a causa del fatto che l’intero mercato im mobiliare poteva trarne nuovi spunti decisamente redditizi. In tutto ciò, appare assai curioso il fatto che le necessità abitative/ lavorative dell’uomo contemporaneo si allineino quasi perfettamente con quelle originarie di spazi pensati per tutt’altra destinazione d’uso, quella industriale. Dunque, un concetto futuribile dalle poliedriche sfumature, che non smette ancora di reinterpretarsi, di evolversi, dunque, di stupire. Si tratta di un fenomeno in divenire, che difficilmente potrebbe essere incasellato tra le ormai asfittiche classificazioni tipologico-residenziali. Come già tem po fa suggeriva infatti Gui do Martinotti nel suo Metropoli, “Le scienze sociali e l’opinione pubblica stanno cercando di dare un nome e una de359


ABITARE IN UNA FABBRICA

finizione concettuale a processi che sono forse ancora troppo nel pieno del loro divenire per poter essere im prigionati in parole e idee consistenti”. Cerchiamo dunque di non accontentarci delle categorie interpretative della morfologia urbana, ma diamo il via, al contrario, ad una aperta analisi dei processi che ne sono alla base, così come ancora aperte sono le vaste possibilità di ridefinizione del preziosissimo patrimonio industriale presente nelle nostre metropoli.

Una tipologia industriale-residenziale inedita: il loft Tra i caratteri preminenti delle architetture industriali c’è quello di essere fatte di grandi spazi — saloni e gallerie — vuoti, senza tramezzi, senza solai intermedi, carattere che è riassunto da un termine americano, loft, ormai entrato nel linguaggio comune. ll loft è entrato nell’immaginario di giovani e meno giovani attraverso le storie — nei film e nei romanzi americani — di artisti squattrinati che trova-no negli edifici industriali urbani su più piani abbandonati la soluzione dei loro problemi: una casa e uno studio grandi a poco prezzo, in cui vivere con una libertà sconosciuta una vita diversa da quella degli “uomini dal ve-stito grigio”. La presa del loft nell’immaginario collettivo è dimostrata dal numero cre-scente di raccolte di esempi pubblicate in Italia, quasi pari a quello delle raccolte di esempi dell’altro “sogno” immobiliare: le case unifamiliari. In queste raccolte a volte viene riportata la superficie dei loft, e sono dati sorprendenti — fino a centinaia di metri 360

quadri — che spiegano l’indifferenza alla separatezza funzionale e fisica tipica del piccolo alloggio. Torino è stata definita “città-fabbrica” per il grande numero di fabbriche, grandi e piccole, sparse tra le case in tutti i quartieri, fabbriche svuotate prima da una crisi prolungata e complessa e investite poi, per una serie di spinte concomitanti, da due strategie immobiliari diverse — demolirle per costruire al posto nuove case multipiano e/o ristrutturarle per ricavare all’interno nuovi alloggi, chiamati /oft anche se non lo sono — che ne fanno comunque un os-servatorio privilegiato in materia di archeologia industriale e residenza. Gli interventi più rilevanti di trasformazione residenziale di edifici industriali hanno inte-ressato tre fabbriche del Novecento: la Savigliano, il GFr e la CEAT. Le prime due presenta-no alcuni caratteri simili, tipici degli edifici industriali e invece anomali, problematici, per degli edifici residenziali — sviluppo prevalentemente lineare, grandi spessori di manica ed al-tezze di piano — mentre la CEAT è una fabbrica “a corte”, fatta come un isolato urbano, con spessori di manica ed altezze di piano simili a quelli della residenza; carattere comune a tut-te e tre le fabbriche sono invece le grandi specchiature vetrate a riquadri. Nella Savigliano e nel crr è stato trasformato in residenza solo l’ultimo piano, per motivi comprensibili, dall’amenità alla facilità di eseguire interventi di adattamento alla nuova fun-zione, mentre nella CEAT la residenza parte dal primo piano, con rilevanti interventi a tutti i piani per realizzare nuove scale e poi anche nuovi volumi

sul tetto. In particolare nella Savigliano, la grande “galleria” dalla bella sezione, articolata da una na-vata laterale e dal lucernario, è stata tagliata in tante “fette” sottili, che coincidono con il te-laio strutturale in cemento armato e riescono a ospitare ognuna un alloggio “medio” (due letti) grazie al soppalco realizzato nella fascia centrale, sotto il lucernario; la distribuzione lun-go l’asse longitudinale, che non era un problema nella galleria libera, è stata risolta rita-gliando un ballatoio lungo c sottile sul margine del fronte nord, servito da una serie di nuovi grandi blocchi scala, esterni al corpo di fabbrica. L’exploit commerciale nel rispetto della struttura originale è stato pagato a prezzo di qualche contraddizione distributiva e funzio-nate, ma comunque è stato mantenuto il parapetto, nonostante fosse troppo alto, grazie a un nuovo pavimento sopraelevato, così come sono stati conservati i serramenti dal telaio con profili in cemento prefabbricati, raddoppiati da nuovi serramenti interni a due ante scorre-voli in alluminio: attenzioni giustificate dalla qualità del progetto originale, a firma dell’in-gegnere Enrico Bonicelli, autore di altri edifici in cemento armato col sistema Hennebique per l’impresa Porcheddu e professore di Architettura tecnica al Politecnico di Torino, che credeva in una “estetica industriale [..j tutta speciale nelle sue esigenze, che non richiede, an-zi esclude a priori, ornamenti complementari, superficiali e dannosi, ma che trae origine dal-l’insieme costruttivo, da buona luce naturale, diffusa ed abbondante, da una proporzionata disposizione di masse e dalla sapien-


TRASCRITTURE E RIUSO DI FABBRICHE

Piante delle unità abitative nell’isolato ex CEAT

te ubicazione dei particolari” . Nel palazzo del GFT l’ultimo piano, un salone angolato grande e alto, è stato trasformato ín alloggi, diversi per taglio e tipologia: a due arie e a un’aria sola, questi ultimi serviti da un corridoio centrale sul quale sono stati ricavati soppalchi grandi e piccoli, soluzione che ricorda quella di Le Corbusier per l’Unite d’habitation, qui però realizzata demolendo la campata centrale del solaio e cambiando cosi la sezione: da tetto piano ad una spina centrale di lucernari da cui si accede anche al tetto giardino; si è cercato di mantenere l’atmosfera iiidu i rialti lasciando a vista il soffitto nervato in cemento armato solo verniciato, ma anche segnalando i bagni come “spazi serventi” — come direbbe Kahn — come cubetti piccoli e bassi, do per i nuovi divisori i blocchi in cemento vibrato lasciati a vista e solo tinteggiati, quelli “rubati” dall’architettura “alta” all’architettura “bassa” dei capannoni e delle stalle. l’è poi ancora il caso della Paracchi, dove però il progetto di recupero di spazi per la residenza ha interessato solo i due grandi sottotetti delle maniche parallele perpendicolari alla Dora, due grandi “capanne” con struttura in telai sagomati in cemento armato a vista, tetto in legno con manto in tegole: nelle due “gallerie” i telai delineano in prospettiva una figura a carena rovesciata, che, come direbbe Louis Kahn, “chiede” di restare com’è, il più possibile libera e vuota, i ai la struttura in vista; se le “gallerie” chiedono di restare così, si capisce che trasformarle nei piccoli alloggi richiesti dal mercato fosse missione difficile, per non dire impossibile. Il progetto

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ABITARE IN UNA FABBRICA

di recupero ha cercato di rispettare l’esistente tra mille difficoltà, non ultima la rigida tutela della Soprintendenza ai Monumenti, che, insieme alla necessità di una distribuzione “pubblica” longitudinale e d’illuminazione ed aerazione naturale, ha imposto faticosi compromessi.

Questo della “tutela” del “patrimonio industriale” contemporaneo, cioè di edifici che non hanno cento anni, è un terreno su cui è difficile muoversi per cavare qualche lezione

da questi progetti di recupero, per l’assenza di criteri chiari e costanti, per l’imposizione li vincoli recenti e improvvisati, per l’impossibilità di icare paradigmi disciplinari “copiati” da quelli usa-i i per i monumenti nati come monumenti a edifici nati i vece per ragioni utilitarie. Si delinea sotterranea e im-i il ist a un’opposizione tra due concezioni della “tutela” del “monumento” industriale: la concezione prevalente rigida, che finisce poi per cedere su pochi punti scoordinati, che finiscono col rendere meschina e confusa l’immagine dell’edificio, togliendogli l’austera grandezza della “architettura povera”, e una concezione, rara se non assente, meditata e coraggiosa, capace di ripensare l’immagine dell’edificio, di far affiorare una possibile dimensione di “monumento contemporaneo”: penso alla mansarda degli Haus Rucker in cima ad un edificio ottocentesco nel centro di Vienna, che è diventata un landmark è entrata nelle guide dell’architettura, più conosciuta e famosa dell’edificio di cui fa 362

parte. Nel caso dell’isolato CEAT le due maniche sui lati lunghi sono state trasformate completamente sia dal punto di vista della tipologia spaziale e della distribuzione- la prima secondo uno schema da casa in linea, con coppie di alloggi serviti da una scala, e la seconda sulla base di uno schema “alberghiero” con tanti minialloggi lungo un corridoio centrale servito da una sola scala - sia dal punto di vista degli elementi architettonici delle facciate (finestre, parapetti..) tutti sostituiti e ridisegnati in modo diverso, nbiando così l’immagine, il carattere dell’edificio, da iello di una fabbrica a quello di un qualsiasi ugly & ordinary condominio. I progettisti e impresari torinesi, forse senza saperlo e senza volerlo, hanno fatto fare alle grandi fabbriche sopravissute la fine di Spalato, dell’arena di Lucca, assediate dai barbari, perché hanno riempito le fabbriche di gente, hanno tramezzato e soppalcato fittamente e liberamente gli interni nascondendo alla vista l’ordine “gigante”, del reticolo struiale fin qui qualcuno potrebbe dire che hanno seguito Aldo Rossi nella sua “teoria” dell’indifferenza funzionale, nel suo invito a lasciar mano libera agli artigiani edili all’interno purchè si salvi l’architettura all’esterno, invito che era già di Adolf Loos cento anni fa. L’ esempio torinese di loft che rispetta il carattere dell’edificio industriale nel quale è stato i ricavato l’alloggio di Marco Boglione fondatore e proprietario del marchio Robe di Kappa ricavato all’ultimo piano di uno dei corpi Novecento del Maglificio Calzificio Torinese, recuperato da lui negli anni novanta ad usi aziendali e “ci-


TRASCRITTURE E RIUSO DI FABBRICHE

vili”, grazie a un progetto che unisce ascolto e invenzione”: un alloggio grande (600 m2), lasciato quasi vuoto, soppalcato solo parte, nel quale la camera da letto e il bagno sono due “capanne” prese dalla strada - una in lamiera zincata dall’Anas e una in metacrilato dagli orti urbani - e gli armadi non esistono,ridotti al tubo a cui appendere i vestiti. E’ milanese invece un esempio di trasformazione in abitazioni di un edificio industriale, molto interessante per più di un motivo: per la cura posta nel disegno di unità immobiliari che rispettano le cadenze spaziali e strutturali della fabbrica come le esigenze spaziali e funzionali della residenza, e poi anche per la novità del contesto operativo del progetto di recupero, che è quello del co-housing, secondo modelli innovativi europei che prevedono una compro-prietà ed una coabitazione parziale per determinati servizi comuni: cucina, lavanderia, pa-lestra, asilo, ma anche quello del risparmio energetico, di una architettura “sostenibile”. Da questa analisi, anche se sommaria, si possono già trarre interessanti osservazioni. Una prima osservazione ri-

guarda la contraddizione evidente tra il modello — il loft “americano” nato da scelte controcorrente di individui “fuori dal coro”, fuori dal mercato — e la versione immobiliaristica torinese, che

perché il mercato vuole alloggi sempre più piccoli e poi ancora del loft conserva solo il nome,

Edificio storico delle Officine Savigliano, recupero e ristrutturazione. Sezione e pianta di progetto (studio Gamma architetti associati)

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ABITARE IN UNA FABBRICA

tende appena può a ricalcare lo schema dell’alloggio nor-male, fatto di tante piccole stanze. Una seconda osservazione riguarda la presenza frequente di soppalchi, a volte poco più che ripostigli sopraelevati: curiosamente questa soluzione edilizia corrisponde al significato pri-mo di loft nell’Oxford Dictionary — soffitta come deposito più che abitazione, mentre il mo-dello americano corrisponde piuttosto al significato ultimo, salone o galleria in cui si può lavorare al largo — ma appare dovuta non ad una ricerca sofisticata di correttezza filologica quanto piuttosto ad una ricerca puntigliosa di sfruttamento delle possibilità edificatorie con-cesse dal regolamento edilizio. Una terza osservazione è che la parola “patrimonio industriale” ín questi casi è stata intesa forse più nel senso “monetario” piuttosto che nel senso “culturale”: è evidente che se la preoccupazione di ricavare nelle vecchie fabbriche il numero massimo di alloggi, nei tagli più richiesti dal mercato, viene prima della ricerca di una possibile coincidenza tra storia edilizia e progetto contemporaneo, cambia il senso dell’operazione, e tutto diventa punto di cont raddizione tra vecchio e nuovo, risolta sempre a spese dell’identità edilizia della fabbrica. Quest’ultima osservazione è la più importante, perché

riguarda la possibilità stessa di una corrispondenza tra l’architettura della fabbrica prima dei lavori — la tipologia costruttiva e spaziale interna, la tipologia costruttiva e compositiva esterna, delle facciate — e l’architettura della fabbrica 364

dopo i lavori, quando è diventata una casa. Appare questa una corrispon-

denza difficile da realizzare, per la distanza tra i modelli del mercato e i tipi spaziali e costruttivi delle fabbriche, che è la distanza tra due modi di essere, la stessa distanza che c’è tra le strategie degli artisti e intellettuali americani, per il quali il loft è prima di tutto un progetto di vita, e le strategie degli oculati clienti torinesi, per i quali il loft è prima di tutto un investimento immobiliare, che deve essere per questo il più possibile simile a qualsiasi altro alloggio sul mercato, per poter essere venduto a chiunque o scambiato con qualsiasi altro alloggio, in qualsiasi momento, avendo conservato se non accresciuto il suo valore. I :analisi dei casi studio concreti sembra quindi confermare le osservazioni “teoriche”: tra lo spazio e l’architettura della fabbrica, e lo spazio e l’architettura della residenza esiste un’op-posizione originaria profonda, che non ha senso minimizzare, negare, perché lo spazio della fabbrica, tendenzialmente vuoto, trasparente, si oppone a diventare pieno, opaco, a diventare alt ro da sé, opposto a sé. A seconda del valore — immobiliare/culturale — assunto come fondante per il progetto, cambia la strategia, cambia il risultato: se si crede nel valore culturale della fabbrica, il progetto dovrebbe allora assumere questo punto di vista come privilegiato, prioritario, e quindi guardare ( la un punto di vista completamente nuovo non solo ai problemi pratici — funzionali, immobiliari —ma alla fabbrica stessa, che deve cambiare restando se stessa, indovinello


TRASCRITTURE E RIUSO DI FABBRICHE

che richiede di “renouveler son optique” (Le Corbusier), di operare quella sospensione di senso che Roberto Gabetti suggeriva e praticava di fronte ai temi più difficili, inconsueti. Un esempio pratico può chiarire questo discorso filosofico: tra i progetti elaborati in regime di convenzione per enti esterni dal Laboratorio del Dipartimento di Progettazione c’è un progetto di “recupero” di un monumento dell’archeologia industriale — la manifattura di Cuorgnè ad usi diversi tra cui quello alberghiero, assimilabile a quello residenziale; è questo un recupero non appiattito sulle esigenze di tutela né su quelle funzionali, nel quale a partire dall’opportunità di ridurre la profondità delle maniche, si è proposta un’operazione che si potrebbe chiamare dí de-costruzione: togliere tutti i serramenti alle finestre esistenti e demolire una striscia dei solai in legno a tutti i piani alti, tetto compreso, conservando e portando in vista la struttura e con questa l’anatomia strutturale e costruttiva dell’edifico ottocentesco, e costruire arretrate nuove pareti leggere con materiali e tecnologie moderne, mettendo in scena lo sdoppiamento tra vecchio e nuovo. E’ questa una “falsificazione” dell’architettura della fabbrica, come “falsificazione” è la sua tra-sformazione in casa d’abitazione qualsiasi, ma è una “falsificazione” didascalica che non can-cella la storia della fabbrica, che al contrario risveglia e tiene desta la coscienza critica di que-sta storia, della fine di un ciclo, della necessità di reagire in modo nuovo ad un problema che è vecchio e nuovo insieme, quello del nostro rapporto con l’antico. Nelle pagi-

ne seguenti ho inserito alcuni casi studio che vedono nel riuso di manufatti del patrimonio industriale la possibilità di insediare residenze; i casi studio saranno successivamente utili per la redazione del progetto di tesi.

Industrial design di Luis Ridao

Loft di Motta e sironi studio

Industrial Styled lofts di Scrafano Architects

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Residenze per gli studenti universitari a Murano “Sono allora proprio le caratteristiche dimensionali della fabbrica, lunga 142 metri, a suggerire una delle linee guida principali del progetto. “

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Le conterie a Murano e la manifattura tabacchi Venezia, 1999 C+S associati, Carlo Coppai, Maria Alessandra Segantini

Il tema comune dei progetti di riqualificazione delle aree industriali dismesse delle ex Conterie a Murano e del complesso della ex Manifattura Tabacchi a Venezia diventa, rispettivamente per l’isola di Murano e per la città di Venezia, una grande occasione per restituire alla città vaste aree, oggi intercluse, ma di vitale importanza per due sistemi urbani generati dai soli percorsi pedonali oggi interrotti nella loro diffusione capillare. Da un secondo e non meno importante punto di vista i due complessi hanno la capacità di testimoniare le generose dimensioni di alcuni manufatti ottocenteschi, di grande suggestione spaziale, dimensione che il mercato italiano oggi non è spesso in grado di produrre per ragioni economiche e culturali. La sfida che i due progetti si propongono è quella di reinventare la nuova distribuzione degli usi interni mantenendo la forza della dimensione dello spazio vuoto che caratterizza le fabbriche ottocentesche. Il progetto di riutilizzo del vasto complesso delle ex Conterie di Murano muove dall’obiettivo principale di rein-

serire nella città un’area che oggi risulta interclusa, offrendo occasioni di connessione urbana capillare attraverso percorsi di relazione tra manufatti a usi differenti che andranno a ricostituire il tessuto di quest’area strategica per l’isola di Murano. Il grande capannone industriale ottocentesco recuperato al fine di collocarvi residenze per studenti universitari, in seguito alla vittoria del concorso internazionale indetto dall’Amministrazione comunale di Venezia nel 1999, ha una posizione importante all’interno di questo quadro di riferimento. L’edificio si affaccia su un campo pubblico, che diventa il polo di convergenza dei percorsi di connessione tra i diversi corpi di fabbrica. Il progetto del complesso complesso di residenze per studenti diventa il momento di passaggio tra le diverse reti di percorrenza dell’area, in quanto alcune porzioni vengono svuotate e diventano solo percorsi pubblici coperti. Tra questi, il più suggestivo inquadra la ciminiera esistente di cui è stato previsto il mantenimento e il consolidamento. Oltre ai tagli trasversali in direzione nord367


ABITARE IN UNA FABBRICA

sud, la possibilità di intervenire con demolizione e ricostruzione nel blocco est ha permesso la formazione di un nuovo volume che, staccandosi al piano terreno dal complesso esistente, permette un percorso radente all’edificio circolare che ricorda quella compressione spaziale delle strette calli che talvolta fiancheggiano le absidi delle grandi basiliche della città di Venezia. La demolizione di alcuni edifici affacciati sul campo permette di cogliere in modo più chiaro la dimensione del manufatto che rimanda a un periodo preciso della storia dell’isola che, a Murano, coincide sempre con la storia della produzione del vetro, quando complessi industriali di notevoli dimensioni si insediano all’interno del tessuto urbano minuto per l’affermazione di una differente organizzazione del lavoro, non più vincolata al sistema familiare casa-fornace che aveva caratterizzato la struttura urbana dell’isola fino all’Ottocento. Sono allora proprio le caratteristiche dimensionali della fabbrica, lunga 142 metri, a suggerire una delle linee guida principali del progetto. L’individuazione dell’adeguato rapporto di scala tra il volume esistente e il nuovo ha condotto alla scelta di operare all’interno dell’organismo edilizio ottocentesco inserendovi un grande oggetto che possiede dimensioni e morfologie proprie e costruisce un organismo che permette la lettura sincronica dei due spazi costruiti - il vecchio e il nuovo - dove i diversi elementi inseriti contribuiscono alla ri-misurazione dello spazio interno, suddividendo la lunga tesa in quattro zone principali, gli alloggi 368

a torre nel lato ovest, i due grandi corpi centrali e il blocco a est, e lasciano alla struttura esistente il compito di ricucire e ricondurre all’unità il nuovo organismo architettonico così formato. I volumi costruiti danno origine a un nuovo modello di utilizzo di quella parte di città: sulla struttura di orientamento est-ovest, che costituisce il sistema oggi prevalente, si insinua una nuova griglia di collegamento nord-sud. Essa non si caratterizza solo come un percorso a terra, ma trova il proprio punto di forza nell’affaccio dei due volumi sul grande taglio trasversale coperto che inquadra la presenza della ciminiera come cardine del progetto e punto di riferimento del sistema delle percorrenze dell’area. Per i motivi che abbiamo appena individuato, il progetto rifiuta la possibilità di intervenire sul complesso esistente con una semplice operazione di costruzione di facciate interne o di tamponamenti delle strutture esistenti. Prescindendo dalle valenze architettoniche, una scelta di questo tipo costituirebbe, a nostro avviso, un’operazione di scarso riscatto ai fini della complessiva ristrutturazione urbana dell’area. L’edificio esistente, al pari di una grande tesa arsenalizia, contiene il nuovo edificio. Ma ne rimane indipendente. I suoi fronti diventano le facciate interne del sistema dei percorsi a terra del nuovo complesso e, in quota, costruiscono una sorta di spazio interstiziale percorribile e morfologicamente differente sui fronti nord e sud, tra i quali si sviluppa longitudinalmente la cellula abitativa che occupa, come in un lotto

gotico, quasi l’intera larghezza del corpo di fabbrica esistente di venti metri di profondità. Lanterne e volumi luminosi coperti in vetro vanno a scavare il nuovo volume nella parte centrale per portare la luce all’interno delle aree centrali e meno illuminate di due moduli-cellula, in corrispondenza delle zone pranzo e cottura. Le lanterne, costruite con tamponamenti traslucidi in policarbonato ondulato, si aprono in alcuni punti al fine di favorire un ulteriore ricambio d’aria delle case e portano, illuminati durante il giorno, riflessi luminosi fino ai grandi spazi comuni del piano terra mentre, di notte, riflettono la luce interna degli alloggi, ricordando le suggestive esplosioni di luce e colore che caratterizzano ancora gli spazi interni delle fornaci dell’isola. Affacciandosi sui due grandi spazi comuni al piano terra, le lanterne sono importantissime anche al fine del controllo climatico dell’edificio. Il riscaldamento a pannelli radianti a pavimento viene utilizzato anche per il raffrescamento nelle stagioni più calde ed è coordinato con un sensore che controlla il livello di umidità e di temperatura alla sommità dei e la chiusura delle tende che regolano l’accesso della luce dall’alto. I moduli-cellula si affacciano a sud, verso il campo, concorrendo a costruire, in secondo piano, il nuovo fronte urbano del complesso. I tamponamenti delle cellule su questo lato, rivestito in klinker nero vetrificato e gelosie in acciaio, necessari a resistere alle intemperie, alternano elementi Usci e fissi a moduli fissi orientati, talché sia possibile la modulazione della luce diretta da sud all’interno della cellu-


EX CONTERIE MURANO

la. I grandi serramenti fissi movimentano la superficie rivestita in klinker, concorrendo a rafforzare il contrasto dimensionale tra i due sistemi, il vecchio capannone e il nuovo complesso. II fronte nord, che si affaccia su uno spazio climatizzato e aperto a tutta altezza, dove corrono i ballatoi, è colorato. Le due facciate si congiungono sul taglio trasversale centrale a chiudere la scatola spaziale. Lo studio delle fasi di crescita e delle modificazioni occorse alla fabbrica esistente e l’accurata indagine sul suo stato di conservazione hanno condotto a operare in modo differente nei vari ambiti del complesso, ripristinando ove possibile le caratteristiche del manufatto originario. In questo lavoro le scelte progettuali si sono mosse, da un lato, verso la predisposizione di un modello insediativo-tipo, la cellula base di alloggi a corte, via via adattata alle caratteristiche fisiche e geometriche del capannone esistente, dall’altro verso la ripetizione variata del tipo base in prossimità di zone singolari del manufatto esistente, come ad esempio per gli alloggi posti sotto la zona rialzata delle capriate, che si incrociano con le capriate stesse dando luogo a alloggi semi-duplex di forte suggestione spaziale. Un atteggiamento progettuale di carattere più conservativo è stato invece adottato per la fabbrica collocata a ovest che, seppur successiva al grande corpo centrale coperto a volta, conserva oggi caratteristiche analoghe ai manufatti ottocenteschi originari, in relazione ai materiali e alla composizione architettonica dei fronti, come abbiamo rilevato dallo studio di altre coeve fabbriche presenti

nell’isola. Il progetto prevede in questo caso il mantenimento delle caratteristiche esistenti, dando risalto agli elementi strutturali che costituivano le grandi tese delle fornaci. Il setto di spina in muratura, che a terra si apre su grandi archi di scarico, caratteristico non solo delle fornaci di quest’epoca, ma tipico anche dei modelli originari pre-ottocenteschi, diventa in questo ambito il cardine attorno a cui ruota il funzionamento del complesso abitativo. La riproposizione del tipo edilizio veneziano noto come “modello rinascimentale complesso” utilizzato per l’edilizia residenziale delle case d’affitto a partire dal Cinquecento, suggerisce un alloggio che, articolandosi su quattro livelli, permette agli utenti, grazie a un sistema di scale incrociate alla leonardesca, di godere di privacy negli ambiti specifici delle zone studio e letto e di riunirsi negli spazi comuni al primo piano, previsti per dieci utenti. Viene conservato lo zoccolo in muratura a faccia a vista e la grande trave Vierendel del prospetto esterno della grande fabbrica che affaccia sul campo con la riapertura di una larga finestra oltre la quale si scor-

gono i nuovi corpi edilizi inseriti all’interno del capannone. A sud, all’interno dello spazio del capannone esistente, sono state poste tre torri che, uscendo dal profilo delle coperture e liberandosi nel vuoto del capannone, ne misurano lo spazio. Questi corpi di fabbrica sono rivestiti in pannelli di alluminio ai primi due piani e con lame di legno al terzo, riproponendo il caratteristico sistema di chiusura degli abbaini delle fornaci dell’isola. Il corpo edilizio a est, di nuova costruzione, diventa un importante fulcro dello spazio pubblico, non solo per la sua valenza urbana nella compressione e dilatazione degli spazi a terra, ma anche perché arricchito da un uso pubblico (un possibile bar o una saletta di ritrovo) che occupa una parte del piano terra. Una grande parte del piano terra del complesso riveste infatti funzione pubblica. Qui abbiamo collocato le sale comuni e polifunzionali che, data la loro dimensione e flessibilità, possono costituire un importante momento di ritrovo non solo per gli studenti, ma anche per l’intero quartiere. Esse sono attrezzate con postazioni multimediali: una sorta di internet point. 369


La maglia regolare e la collocazione a vista degli impianti fa sĂŹ che chi abiterĂ quegli spazi possa

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gestirli come meglio crede.


Ex CEAT Torino, 2006-08 Alberto Rolla,Vittorio Neirotti

Fino a pochi decenni fa, Borgo Aurora era un’area ancora industriale, con numerosi stabilimenti che davano lavoro a migliaia di persone e regolavano i ritmi di vita dell’intero quartiere. Poi, con la

crisi industriale, molti stabilimenti sono stati chiusi e sono rimasti gli edifici, spesso di architettura pregevole e interessante. Tra gli inter-

venti che hanno cambiato Borgo Aurora, dando un nuovo ruolo alle fabbriche abbandonate, c’è quello realizzato sull’ex CEAT, tra il 2006 e il 2008. Siamo nell’isolato compreso tra corso Regio Parco, via Pisa, corso Palermo (appena l’angolo nord-occidentale), via Foggia, via Parma, dove fino a qualche decennio fa la CEAT aveva la sua fabbrica di cavi elettrici e gli uffici amministrativi. Era un’architettura così significativa che l’hanno lasciata quasi intatta” spiega l’architetto Andrea Terranova, che racconta il progetto di riqualificazione come portavoce dello Studio Rolla; insieme a Vittorio Neirotti, lo studio torinese ha infatti firmato il progetto, inserito tra i migliori esempi di

riqualificazione realizzati a Torino. All’interno di questa maglia regolare, sono stati inseriti 60 loft di diversa metratura, confermando, anche in questo progetto, la passione degli architetti torinesi per questa soluzione abitativa. “Quando si progetta una riqualificazione di edifici di questo genere, è logico pensare al loft. Lo permettono i grandi spazi ereditati dall’edificio originario: perché definire e chiudere e non lasciare questa libertà a chi abiterà poi in quello spazio? La

maglia regolare e la collocazione a vista degli impianti fa sì che chi abiterà quegli spazi possa gestirli come meglio crede. E non dimenti-

chiamo il nostro immaginario: un loft fa pensare a New York, agli edifici abbandonati riqualificati lì e abitati in modo creativo”. I due elementi caratterizzanti l’intervento sull’ex CEAT sono però il cortile interno e, soprattutto, le 12 ville urbane sui tetti. Entrambi hanno giocato con due degli elementi tipici dell’architettura torinese, l’isolato, che definisce

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Ex CEAT prima della riqualificazione

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uno spazio interno regolare, e gli abbaini, che caratterizzano i tetti della Torino dell’Ottocento. Ma Terranova, pur non negando le possibili citazioni, assicura che non sono state considerate in fase di progettazione. “Il cortile è uno spazio che Studio Rolla ha davvero reinventato: nell’edificio, la maglia regolare dei pilastri ha permesso l’intervento senza snaturare la struttura originaria: le facciate esterne sono state mantenute, il cortile è stato liberato dai fabbricati minori ed è stato disegnato una aiuola centrale che ricorda un giardino giapponese; al contempo sono state previste delle bocche dell’aria per il parcheggio sotterraneo con un ruolo armonico con il complesso. E’ uno spazio colorato, che ispira armonia e che è in netto contrasto con le facciate esterne, regolari e severe. Anche il verde delle terrazze contribuisce all’atmosfera elegante e armoniosa”. Le ville urbane sul tetto non nascono come citazione degli abbaini, Terranova lo chiarisce subito: “Avendo recuperato la superficie lorda di pavimento dalla de-

molizione dei bassi fabbricati nel cortile, si è deciso di utilizzarla sul tetto. La vista che si gode dai tetti dell’ex CEAT è incredibile: si vedono la collina, il centro, la Mole, era impossibile pensare di sprecare una simile opportunità. Così sono

nate le ville urbane, che sono il fiore all’occhiello dell’intero progetto. Sono state usate tecniche costrut-

tive innovative: le ville sono rivestite in Alucobond, un pannello di aspetto metallico che garantisce l’isolamento termico, le vetrate sono tutte basso emissive, con paratie regolabili elettronicamente. Anche le ville sono di diverse tipologie e metrature, ma hanno alcune caratteristiche in comune: sono dei duplex con la parte living a tutta altezza e hanno anche a disposizione grandi terrazze, con un rapporto molto generoso tra appartamento e terrazza; quindi si può immaginare come le ville urbane offrano davvero un nuovo modo di vivere l’appartamento e la città”. Nella riqualificazione si è prestata molta

attenzione anche alle nuove tecniche di isolamento e di sostenibilità ambientale: oltre alle vetrate basso-emissive, il raffrescamento è garantito dall’acqua di falda. Il progetto di riqualificazione dell’ex CEAT è tra i più originali e, allo stesso tempo, tra i più rispettosi dell’edificio originario. Come si è avvicinato a quest’architettura ex industriale, lo Studio Rolla? “Con grande senso di responsabilità per l’identità dell’edificio, non si può intervenire sull’esistente senza questo. L’ex CEAT era un fabbricato con una lunga permanenza nel tessuto urbano, cosa che ha determinato sia la sua identità che quella dell’area intorno. Il senso di responsabilità, però, non significa farsi condizionare al momento della progettazione: la qualità del progetto sta nella definizione degli spazi, più che nei dettagli, ed è un argomento a cui lo Studio Rolla ha sempre tenuto molto”. La riqualificazione dell’ex CEAT è stata realizzata da DE-GA spa e ha vinto il premio Architetture Rivelate 2009, per la qualità del progetto e della realizzazione. 373


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Ex silos Oslo, 2001 HRTB Architects

Originariamente costruito nel 1953, l’elevatore per cereali veniva utilizzato per conservare il mais dal mulino Nedrefoss di Oslo ed era in funzione dagli anni ‘50 agli anni ‘90. La struttura è composta da tre file di sette silos di grano - 21 in tutto. Nel 1993, il governo locale della capitale norvegese ha approvato il progetto di riutilizzo adattivo; il lavoro è iniziato con la conversione nel 1999 e nel 2001 l’edificio è stato riaperto come complesso residenziale per studenti. HRTB Arkitekter è stato aiutato da Lykke Frydenlund e Ingrid Løvstad, che hanno fornito competenze artistiche e di interior design. Il progetto di riuso della struttura dei silos in alloggi per gli studenti, si confronta con la particolare articolazione volumetrica dell’edificio, scegliendo di intervenire con trasformazioni minime che investono, in particolare, la distribuzione funzionale ed il rapporto tra interno ed esterno. La struttura muraria, lasciata sostanzialmente inalterata, viene integrata dalle sole aperture e finestre, mentre all’interno vengono creati i livelli necessari per

la collocazione degli alloggi. Di particolare interesse la scelta di organizzare le funzioni e gli spazi interni conservando completamente la disposizione seriale delle celle dei silos, adatte, per questa ragione ad essere suddivise in veri e propri appartamenti autonomi. I nuovi percorsi di collegamento verticale e di distribuzione ai vari alloggi occupano l’intera fila centrale dei silos ma, quest’ultima, viene ulteriormente integrata mediante la collocazione di parte delle dotazioni impiantistiche necessarie (angolo cottura); mentre le aree interfaccia tra la fila interna e le due esterne dei silos sono riutilizzate come spazi per la dotazione dei servizi ulteriori (bagni). La relazione tra edificio contenitore e progetto incluso diviene più forte e radicale per la scelta di mantenere sostanzialmente inalterata la spazialità interna derivante dalla configurazione del silos stesso, raggiungendo risultati innovativi dal punto di vista compositivo e distributivo.

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Katharina Sulzer Platz Zurigo, 2004 Kaufman e Van Der Meer

Una modalità di sovrapposizione strutturale si colloca all’opposto di una dialettica delle “differenze” operando una sorta di “sovra-scrittura” dell’edificio originario, è questo il caso del progetto di riconversione residenziale di alcuni edifici nell’ex area industriale della città Winterthur a nord di Zurigo. Il progetto, degli architetti Kaufman e Van der Meer, coinvolge la risistemazione dell’intera Katharina Sulzer Platz su cui affacciavano i depositi più esterni dell’ex area industriale. Gli antichi depositi sono stati completamente inglobati nella nuova struttura, diventando un vero e proprio basamento per le nuove residenze collocate ai piani superiori, mentre la partitura delle vecchie superfici murarie è stata ulteriormente “infittita” nella nuova composizione, dove in ogni campata compaiono una moltitudine di ulteriori partizioni. La forte continuità fisica tra antico e moderno, la cui mediazione-differenziazione è affidata alla sola struttura di ferro esterna, produce un effetto di “mimesi” tra le due “realtà” costruttive e, elidendone le caratteristiche

specifiche, produce un effetto di “sparizione” della preesistenza. L’intervento trasformativo, tutto teso alla sovrapposizione architettonica lungo l’asse verticale della struttura, oltre a modificare l’equilibrio compositivo dell’insieme, produce una sorta d’ibrido post-moderno, riequilibrato dalla sistemazione urbana della piazza e sull’altro versante, dalla presenza dagli altri edifici industriali semplicemente restaurati.

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Residenze, uffici, negozi e altri servizi Lille, 1980 Bernard Reichen e Philip Robert

L’esempio riportato si inquadra in un’attenta operazione sociale promossa dal Comune di Lille per la realizzazione di un nuovo quartiere di alloggi di edilizia economica (HLM), con il recupero della vecchia filanda di lino, che ne rappresenta il nucleo. La filanda Le Blan è stata trasformata nel 1980, su progetto degli architetti Bernard Reichen e Philippe Robert, in un complesso comprendente cento appartamenti con ambienti suggestivi e gradevoli, oltre che inediti, negozi e locali pubblici (tra i quali la biblioteca e la chiesa). Lunga circa 200 metri, composta da una regolare cornice di pali e volte in ghisa mattoni, con ampiezze diverse e volumi di accompagnamento, la pianta ha offerto un potenziale certo ma anche alcune difficoltà di adattamento. Gli architetti hanno osato il taglio o il ritaglio, creato respiri per le circolazioni e segnato i loro interventi di policromia. Cortili, cortili, passerelle, gallerie e passaggi sono vagabondaggi diversificati punteggiati da tracce del passato industriale del luogo: macchinari, macchinari, ecc.

Uno dei primi esempi di valorizzazione delle vestigia industriali ormai abbandonate, l’intervento di recupero ha svolto un significativo ruolo culturale pionieristico nel promuovere la reintegrazione delle vecchie strutture industriali nella vita urbana, dimostrando che esse possono esprimere, nel contempo, un notevole potenziale architettonico. Sulle aperture dello spesso involucro (70-100 cm) sono stati effettuati interventi molto sofisticati per adeguarle alle trasformazioni connesse con la nuova destinazione residenziale degli spazi del vecchio opificio. Di particolare interesse risulta l’intervento di sottrazione modulare di porzioni di superficie muraria per migliorare l’ingresso della luce, che ha portato alla reinterpretazione del rapporto pieni-vuoti del paramento. L’intervento, attuato reimportando sulla facciata materiali originali di recupero, non ne ha penalizzato l’immagine, ma piuttosto esaltato la forza. Alloggi sociali, di grandi dimensioni, ispirati alle lezioni di Le Corbusier: la strada interna che serve duplex interfogliati, studi di artisti con soppalco, ecc. 379


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VIII

ZAI

EX MAGAZZINI EVA

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I MAGAZZINI EVA IERI Negli anni ‘50 vengono costruiti i magazzini EVA (Esportatori Veronesi Associati); all’interno veniva smistata e conservata nelle celle frigorifere all’avanguardia la materia ortofrutticola. Si stima che nel periodo estivo lavorassero circa 500 persone. I magazzini EVA vennero costruiti dall’impresa la Mazzi srl; l’ingegnere Sagramoso redò i progetti nelle due fasi costruttive. Gli edifici, comprensivi di tecnologiche celle frigorifere, erano il fiore all’occhiello della Mazzi e vantarono il primato nell’export di materia ortofrutticola in tutta Europa.

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1956

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IERI

OGGI

Fu davvero una zona agricolo indu-

capannone lavorazione e spedizione/ricezione frutta

spazi di condivisione, lavoro, arte, laboratori, mostre

Negli anni ‘50 in Zai lavoravano sta-

striale? Probabilmente no. bilmente circa 3 000 operai che diventavano 5 000 nei momenti in cui era richiesto il lavoro giornaliero. Le ditte presenti alla fine degli anni ‘50 erano 230, ma solo 49 di esse erano legale al settore ortofrutticolo. Sono questi, infatti, gli anni in cui inizia a prodursi quel cambiamento nell’immagine della città che da agricolo industriale, diventa industriale-agricola. Lo sviluppo e la ricchezza della città non vengono più dall’agricoltura ma ormai, e in forma sempre più significativa dall’industria.

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I MAGAZZINI EVA NEL PANORAMA DELLA ZAI

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1962

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AREA DI PROGETTO, 1895

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Report fotografico dell’attuale stato di conservazione

Le foto sono state scattate in diversi momenti dell’anno appena trascorso. A seguito di un sopralluogo effettuato a marzo con la proprieà, mi è stato possibile entrare oltre il recinto e comprendere le dimensioni e lo stato di conservazione degli immobili. Purtroppo non mi è stato possibile entrare, per motivi di sicurezza sono state murati tutti gli ingressi; grazie ai proprietari sono riuscita a contattare l’arch. Hancock che si è occupata delle verifiche urbanistiche, la quale mi ha gentilmente passato alcune foto scattate all’interno della fabbrica che riporto nelle pagine seguenti.

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FOTO SCATTATE DAL PARCO SANTA TERESA E DA VIALE DEL COMMERCIO

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INGRESSO PRINCIPALE

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Foto scattate da via dell’Industria relative all’accesso principale dall’edificio ponte. L’attuale stato d’abbandono sta pian piano degradando le strutture e l’aspetto esteriore dei manufatti.

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PALAZZINA UFFICI

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La struttura è realizzata con tecnica costruttiva mista, vale a dire cemento e muratura in pietra d’Avesa e mattoni.

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CAPANNONI 1950

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Le foto si riferiscono al primo stralcio di manufatti industriali, realizzati negli anni ‘50 del secolo scorso. La pensilina, di 2 metri, proteggeva dalle intemperie le merci che venivano scaricate dai treni.

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CAPANNONI 1950

Le rotaie sono state nascoste con dei blocchi in porfido, ma sono tutt’ora presenti e ripristinabili a memoria delle vecchie funzioni.

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CAPANNONI 1950

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CAPANNONI 1950

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REFETTORIO E PESA 1960, DEPOSITO 1975

All’interno dell’area si riconoscono due piccoli edifici relativi al deposito biciclette e alla pesa dei prodotti ortofrutticoli. Inoltre è presente il refettorio, che si affianca alla strutturaspoglia in ferro costruita negli anni ‘70 come deposito mezzi e casse di merci.

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SALA MACCHINE REFRIGERATORIE 1950

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CAPANNONI 1950

Le scale fotografate sono state realizzate in una fase successiva, in concomitanza con le celle frigorifere nel primo capannone, per la manitenzione dei tubi di refrigerazione. Si notano le aperture tamponate in prossimitĂ delle celle appunto. il blocco che collega i capannoni costruiti nelle due fasi, contine al suo interno i vani tecnici e le macchine per il controllo degli ambienti freddi.

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STRUTTURA - DEPOSITO 1975

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DEPOSITO 1975

La struttura ridotta a scheletro, utilizzata come deposito nei decenni scorsi, è in stretto contatto con la strada ed è per questo ben visibile da chi la transita. Le porzioni in travi reticolari, ipe e pluviali sono in attuale stato di degrado, a causa delle intemperie a cui sono soggette.

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STRUTTURA - DEPOSITO 1975

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DEPOSITO 1975

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STRUTTURA - DEPOSITO 1975

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APERTURE

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INTERNI 1950

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INTERNI 1950

Nella pagina a fianco sono riportate le foto delle macchine delle celle e degli interni del capannone centrale. In questa, invece, si nota la struttura interna non intonacata al piano superiore, sopra le celle frigorifere. La struttura è realizzata con tecnica mista, avvalendosi dell’utilizzo di parti portanti in cemento e in muratura. Nella foto grande le celle realizzate successivamente.

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INTERNI 1960

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INTERNI 1950

Nella pagina a fianco sono riportate le foto degli interni dei capannoni costruiti negli anni ‘60; l’immagine in alto riporta il solaio sopra le celle. In questa pagina, invece, si nota il muro costruito per proteggere le celle aggiunte nel primo capannone e l’isolamento massiccio all’interno delle stesse. I tre ingressi, larghi 6 metri, hanno le saracinesche azionate elettricamente, un’avanguardia per l’epoca.

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Lettura del contesto urbano relazioni con la città

L’area di progetto è stata scelta per tre motivi in particolari. Il primo è di natura urbana: la posizione strategica rispetto al tessuto cittadino, al margine tra Zai e quartiere residenziale di Borgo Roma, dove risiede il 15 % di tutta la popolazione di Verona, garantisce lo sviluppo di nuove relazioni. Il secondo di natura architettonica che vede negli edifici in disuso dell’ex fabbrica la possibilità rinnovo e rigenerazione per ri-donarli alla città in un’ottica che non vede la mera conservazione dei manufatti, ma la modifica sostanziale delle precedenti funzioni e l’adeguamento tecnologico alle nuove, senza tuttavia stravolgerne il significato morfologico e strutturale che la caratterizza. Il terzo è di natura sociale. La lettura dei bisogni dell’urbano, dei cittadini che risiedono nei dintorni, ma anche in numerosi documenti del Comune di Verona stesso, riconosce la mancanza di alcuni servizi pubblici ai cittadini, intesi come poli e spazi di aggregazione che possano in un certo senso ri-unire gli abitanti dei due quartieri “cesurati” dalla Zai: Borgo 416

Roma e Golosine-Santa Lucia. L’opportunità fornita dalla dismissione di questo luogo, riconoscibile all’interno del comparto urbano per i suoi caratteri tipologici, che analizzeremo nelle pagine successive, trova appiglio in questi spunti progettuali dati dal brano di città già formato e operante. Nelle mappe delle pagine segunti, si individuano, in modo analitico, quali sono gli elementi d’intorno e cosa risiede al di fuori del muro di cinta che, come vedremo, perimetra l’area di progetto. Quello che emerge, è un comparto urbano caratterizzato da mix funzionale, derivante dalla pianificazione urbanistica che fin dagli anni ‘50 dello scorso secolo è stata attuata. A funzioni più propiamente industriali, si affiancano spazi del terziario, commerciali, fieristici ma anche brani residenziali inglobati all’interno del sistema Zai che un secolo fa era composto da spazi totalmente agricoli; alcune contrade e corti sono ora frammenti nel tessuto “anomalo” rispetto al resto della città.


GERARCHIA DELLE INFRASTRUTTURE VIARIE

RAPPORTI TRA QUARTIERI ED ISOLATI URBANI

Porta Nuova Santa Lucia Golosine

zai borgo Roma-zai

borgo Roma Tombetta borgo Roma borgo 1° maggio Palazzina Roma borgo Tomba Roma Polidore

Santa Lucia Golosine

zai

borgo Roma

P P

P

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EX MAGAZZINI EVA

Sistema delle aree dell’agro-industriale

Sistema delle aree industriali

Sistema delle aree artigianali di servizio

Sistema delle aree della logistica

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MAPPATURA AREE DEL SECONDARIO

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EX MAGAZZINI EVA

Sistema della fiera di Verona

Sistema delle aree commerciali

Sistema delle strutture ricettive-alberghiere

Sistema delle strutture del settore terziario-direzionale

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MAPPATURA AREE DEL TERZIARIO

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EX MAGAZZINI EVA

Sistema delle fermate del trasporto urbano

Sistema delle aree a verde pubblico

Sistema delle aree a servizio dell’istruzione

Sistema delle aree a servizio ospedaliero

Sistema delle aree sportive

Sistema delle grandi aree a parcheggio

Sistema dei servizi pubblici

Sistema delle aree a servizio delle Ferrovie

Sistema delle strutture religiose

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MAPPATURA AREE DEI SERVIZI

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Lettura degli spazi di fabbrica i magazzini Eva all’interno del contesto urbano

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TEMI

TRIPARTIZIONE

TEMA: RIFUNZIONALIZZAZIONE

TEMA: MURO-RECINTO TEMA: MODULO

TEMA: MARGINE

TEMA: GRANDI SUPERFICI

TEMA: INVOLUCRO

TEMA: SPAZIO CONTINUO

TEMA: SPAZIO DEL LAVORO

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COMPRENSIONE DEL MANUFATTO

I primi passi mossi per comprendere il manufatto si sono fatti in direzione degli spazi interni e di come questi siano stati progettati, in funzione dell’utilizzo che se ne faceva e delle tecnologie costruttive di quel particolare periodo storico. I caratteri preponderanti individuati sono: 1 - lo spazio continuo, senza strutture verticali al centro delle campate; 2 - che è sempre stato funzionalmen-

te interconnesso trasversalmente al suo asse ma soprattutto longitudinalmente, dato che i due blocchi, quello originale e quello successivo, mantengono le stesse funzioni nelle campate;

coperture

3 - che è tripartito dove ogni campata ha una sua funzione; 4 - che era dedito al lavoro al suo interno, c’era un attività industriale quindi lavorativa, manuale ecc... Questi, sono i caratteri che, a mio avviso, dovrebbero e dovranno emergere nel progetto di riuso e riqualificazione. La matrice funzionale dell’edificio deve essere mantenuta tale; non si intende la funzione dell’edificio, quella può essere mutata nel corso del tempo, per esigenze pratiche ma anche teoriche. Il cambio di funzione da attuarsi non rovina lo spazio interno; la sfida di progetto sarà quella di riuscire ad inserire un mixitè funzionale, anche molto lontano dalle caratteristiche spaziali-architettoniche della fabbrica, senza tuttavia mutare alcuni caratteri peculiari individuati. 426

piante


Elementi caratterizzanti

lo spazio industriale

Spazio continuo privo di elementi strutturali interni Spazio del lavoro Spazio funzionalmente interconnesso longitudinalmente e trasversalmente Spazio tripartito

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Spazi aperti

Schema funzionale

LETTURA DELLA TRIPARTIZIONE

Spazi aperti

Schema funzionale

Spazi coperti

spazi aperti

Spazi coperti

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Demolizioni di progetto

spazi coperti

Demolizioni di progetto

fasi costruttive

1950 pietra d’Avesa, mattoni e cemento

1960 cemento e mattoni

1975 ferro


PLANIMETRIA STATO DI FATTO

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MAGAZZINI EVA, 1962

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inizio anni ‘50

c

26 m

d

d

d

4,5 m

tamponature in pietra locale e mattoni travi di copertura in cls precompresso e tamponature in laterocemento

struttura portante in cls armato

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inizio anni ‘60

c

26 m

g

g

6,75 m

tamponature in mattoni struttura portante in cls armato travi di copertura in cls precompresso e tamponature in laterocemento

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inizio anni ‘70

i

17,5 m

l

l

8,75 m

travi reticolari di copertura in ferro

pilastri reticolari in ferro

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percorsi dei mezzi di trasporto e dei lavoratori

percorsi dei mezzi di trasporto su ruota percorsi dei lavoratori percorsi dei mezzi di trasporto su ferro percorsi della merce ortofrutticola

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modularitĂ e struttura

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funzioni e spazi della fabbrica

uffici nell’edificio d’ingresso e interni capannoni celle frigorifere capannoni transito automezzi tunnel binario treni capannoni lavorazione prodotti ortofrutticoli sala macchine refrigerazione officina refettorio spazi di servizio e deposito

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ATTACCO A TERRA STATO DI FATTO

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Strutture industriali del secondo dopoguerra la prefabbricazione del cemento

Con la fine del secondo conflitto mondiale l’impegno primario di molti é sinetizzabile in un solo termine: ricostruire. Anche i produttori dei primi elemen r strunurall prefabbricati in calcesuuzzo, che sono apparsi sul mercato nel decennio precedente, danno il loro contributo riprendendo liattiee nei loro “cantieri” come all’epoca vengono chiamati i primi cenni produttivi. Per tutta la seconda

parte degli anni ‘40 non si segnalano, in questo settore significative novità. Questo per contingentiamotivi.

motivi. Non c’è tempo ne risorse per sperimentare nuove idee e chi gia opera in questo campo ha subito i grandi traumi conseguenti all’imitane tragedia della guerra. Bisogna aspettare la discesa in campo dei primi laureati dei corsi universitari ripresi nel dopoguerra per registrare le prime innovazioni che danno inizio alla crescita inarrestabile del settore delle strutture pre-fabbricate in c.a. Agli inizi

degli anni ‘50 la la ricostruzione nazionale ha completato la sua 438

fase più significativa, inzia quella Le coperture a volta dello sviluppo. L’esigenza di nuovi edifici industriali diviene via via sempre più impellente. All’epoca questo tipo di fabbricato viene tradizionalmente realizzato con coperture perlopiù riconducibili alle seguenti tipologie: le volte, le capriate reticolari e gli shed. Le prime sono costituire da elementi in latero-cemento, anche a conci, assemblate in opera su implacature a centina e completate da getti integrativi eseguiti a posa ultimata. Il complesso strutturale di queste coperture completato da barre metalliche a vista, le catene, che ne assorbono le sente orizzontali. Il tutto é sostenuto da un sistema di travi e pilastri in c.a. realizzato in opera. Le capriate reticolari e gli shed, di antica tradizione nell’architettura industriale, sono di fattura molto più costosa poiché i loro elementi, un tempo lignei, vengono costruiti o in carpenteria metallica o, in particolare per gli shed, con strutture in c.a. realizzate in opera con una fortissima incidenza di costo delle relative casseforme.

In questo ambito la prefabbricazione strutturale trova un fertile campo di crescita. Si inizia con la semplice idea di dare un andamento curvilineo all’asse longitudinale delle travi tipo “Varese”, ormai molto diffuse sul mercato. Nascono così le prime coperture a volta in elementi prefabbricati in c.a. costituenti il classico arco a tre cerniere con spinta orizzontale assorbita dalle catene. Tra arco e arco è previsto il solito manto di tavelloni in laterizio, sigillando il tutto con un getto all’estradosso, di bassissimo spes-sore, realizzato in opera. Questa prima idea viene di h a poco migliorata con l’invenzione degli archi reticolari in c.a., caratterizza-ti dai vuoti a forma triangolare presenti lungo tutto il loro sviluppo il cui andamento, variabile da produttore a produttore, è molto prossimo ad un segmento di parabola. Pur mantenendo lo stesso schema statico dell’arco a tre cerniere con spinta eliminata, questo nuovo tipo di copertura si distingue dal proge-


STRUTTURE TIPICHE AD ARCO

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MAGAZZINI EVA: STATO DI FATTO

nitore per due importanti fattori: gli archi non sono più collegati da elementi in laterizio ma da appositi manufatti in c.a con sezione a U rovescio, anch’essi chiamati “tavelloni” che rendono il sistema totalmente prefabbricabile in calcestruzzo; in secondo luogo la lunghezza dei nuovi tavelloni cementizi permette di dilatare gli interassi tra gli archi dai precedenti m. 1,2 a m. 2 - 2,5 con conse guente minor infittimento della presenza delle cate-ne ma soprattutto con un forte abbattimento degli oneri di posa in opera. Questa componente di costo è stata la primaria caratteristica del successo delle coperture ad archi prefabbricati in c.a., sin dal loro primo apparire sul mercato, rispetto alle tradizionali volte in late-ro-cemento. Il montaggio dei due semiarchi pre-fabbricati viene infatti eseguito appoggiando gli stessi sulle travi portanti la copertura ad un’estre-mità e ad un ponteggio mobile posto in mezzaria della navata da coprirsi, in corrispondenza del punto di giunzione dei due elementi (la cerniera di chiave). Dopo aver montato un complesso di 3-4 archi 440

successivi, completi dei relativi tavelloni di collegamento, vengono messe in tensione le catene. In tal modo la copertura si solleva spontanea-mente dall’appoggio provvisorio centrale e assume da subito la sua configurazione statica di esercizio, senza dover ulteriormente mantenere alcun soste-gno provvisorio come è invece necessario per le volte in laterizio per le quali le puntellazioni, già di per sé molto più impegnative, devono rimanere in essere fino a maturazione regolamentare dei getti di completamento. Poiché il ciclo di montaggio è calibrato sull’orario lavorativo giornaliero, l’attrezzatura richiesta è ridot-ta ad una gru mobile da cantiere di limitata portata e ad un ponteggio di modeste dimensioni. In tal modo vengono quotidianamente realizzati, con archi ad esempio di luce 20 m, anche 300 mq di copertura, completi di getti integrativi all’estradosso, con la pre-senza di soli quattro operai. Questa tipologia caratterizza gli edifici industriali degli anni ‘50 spaziando, da luci variabili, a scelta, dai 10 ai 30 metri e oltre. La coibenza è ottenuta con materassini


STRUTTURE TIPICHE AD ARCO

di lana minerale posti all’estradosso fra i listoni di legno 4 x 4 cm posti a sostegno del sovra-stante manto di impermeabilizzazione, generalmente costituito da lastre ondulate in fibrocemento. È questo il primo vero successo che distingue la cre-scita dell’industria degli elementi strutturali prefab-bricati in c.a. perché questa tipologia viene prodotta da numerose aziende in molte parti d’Italia, con lievi differenziazioni tra loro, più di carattere d’immagine che sostanziale. Tra le aziende più attive in questo settore si possono ricordare la SCAV di Pavia (poi Prescav), la VARARC di Cremona e le varie società aderenti al consorzio Vibrocemento.

Altri elementi di copertura Nel fervore creativo che coinvolge in quegli anni la nascente industria strutturale italiana vi è chi adotta con eguale successo scelte tipologiche differenti. In questo ambito si deve ricordare la società

Gianese che nello stabilimento di Agrate Brianza (MI) si specializza nella produzione di capriate reticolari in c.a. con profilo trapezio, anch’esse collegate tra loro da elementi a lastre prefabbricate in calcestruzzo, che offrono, sia pur a prezzi più elevati rispetto alle coperture ad arco, minori volumi d’ingombro in con-fronto a quest’ultime. Nel campo delle capriate reticolati in c.a. questo non è un caso isolato e anche questa azienda ante-signana ha ben presto parecchi imitatori. Un altro produttore nato negli anni ‘50 che si distingue per le caratteristiche tipologiche delle sue strutture prefabbricate in c.a. è Carlo Astori, fondatore del-l’omonima Impresa. Forte della sua laurea in inge-gneria, questo imprenditore antepone sempre la ricerca progettuale ad ogni altro aspetto della sua attività. Si può certamente attribuire a questa sua dote di progettista l’idea di portare a terra le due estremità dell’arco a tre cerniere, creando un telaio costituito da due elementi con sviluppo a L aperto (con angolo maggiore di 90°) congiungentesi in sommità nella cerniera di chiave. Questi elementi 441


MAGAZZINI EVA: STATO DI FATTO

fungono quindi contemporaneamente da pilastro e da trave a falda di copertura, al cui estradosso vengono posate apposite lastre di collegamento in c.a. Date le fisiologiche dimensioni dei telai così realizzati, il loro interasse raggiunge di norma i 5-6 metri. Le spinte orizzontali sono assorbite dalle fondazioni realizzate in opera in cui le estremità inferiori dei telai stessi vengono infisse. Nasce cosi il primo sistema strutturale per edifici industriali o agricoli, anch’esso ben presto imitato da numerosi altri produttori. Per quanto meno richieste, a causa dei maggiori costi globali di realizzazione, anche le coperture a shed sono in quegli anni uno dei settori ove la prefabbri-cazione cementizia ha modo di esprimere le proprie nascenti potenzialità. La forma geometrica degli elementi ben si presta infatti per una agevole produzione industrializzata con conseguente contenimento dei costi di produzione. Questi fattori in breve tempo permettono la loro generalizzata adozione in sostituzione delle precedenti strutture similari realizzate tradizionalmente in opera. Nel segmento shed va inoltre ricordato il fondamentale contributo che la prefabbricazione cementizia offre, in quell’epoca, alla realizzazione delle strutture a shed multiplo. Per quanto non richie-stissimi e generalmente costruiti in acciaio per determinate attività industriali, questi elementi strutturali sono prodotti con successo anche in c.a. da numerosi prefabbricatori a costi estremamente competitivi grazie a metodi di confezionamento industrializzati. Trattandosi infatti di manufatti assimilabili a capriate retico442

lati ove l’andamento dei reticoli richiede un notevole sviluppo di casseforme di contenimento tra i vuoti e i pieni, è sovente adottata la produzione cosiddetta “a pacchetto” effettuata come segue. Eseguito il traccia-mento su una superficie piana, vengono realizzate le casseforme in legno di perimetrazione dei vuoti, sviluppandole in altezza per almeno un metro, ottenendo i cosiddetti “tamburi”. Dopo aver posizionato le armature metalliche dei vari puntoni e tiranti del manufatto, viene eseguito il getto della prima capriata dello spessore di 10-15 cm. Lindomani sulla superficie ormai solidificata, previa stesura di uno strato di gesso liquido necessario per staccare un elemento dal sovrastante, viene effettuato allo stesso modo il getto della seconda capriata e così via nei giorni successivi, per sei/sette volte. Con questo sistema ingegnoso si ottimizzano l’occupa-zione degli spazi di confezionamento, i luoghi di armatura e di getto, l’approntamento delle cassefor me, in sintesi tutto il ciclo del processo produttivo. Molti di questi manufatti svolgono ancora oggi la loro funzione in numerosi edifici industriali, soprattutto in Piemonte ove questa tipologia ebbe sino agli anni ‘70 la maggiore richiesta. Tutte queste produzioni, grazie al progressivo sviluppo delle attività industriali del Paese, caratterizzano la crescita della prefabbricazione strutturale italiana, diffondendo sempre più il suo ruolo nel panorama edilizio nazionale. La ricerca di una sempre maggiore economicità della costruzione porta all’in-


STRUTTURE TIPICHE AD ARCO

troduzione della prefabbricazione in particolare per le strutture principali verticali ed orizzontali dell’edificio. Queste vengono realizzate con elementi prefabbricati in calcestruzzo armato vibrato quali pilastri, travi e capriate. Queste ultime mantengono la sezione tipologica a falde non simmetriche, mentre il tirante si riduce ad un cavo d’acciaio che in alcuni casi viene eliminato. La vibrazione permette infatti di diminuire la quantità dell’acqua nell’impasto, aumentandone quindi la resistenza. La copertura è costituita da una struttura in latero-cemento con travetti prefabbricati e pignatte forate sulla quale poggiano delle marsigliesi. L’impiego di travi in calcestruzzo armato precompresso consente di realizzare luci libere sempre più ampie, fondamentali per un edificio industriale. La struttura principale delle coperture è realizzata con questo tipo di travi, ottenute inserendo nel getto uno o più cavi metallici che vengono pre-sollecitati. Sull’orditura vengono disposti orizzontalmente elementi standardizzati con sezione trasversale a U, detti “copponi”, che formeranno la coperture, mentre l’illuminazione è garantita da lucernari piani o inclinati disposti tra le travi. I “copponi”sono anche utilizzati in maniera inusuale come chiusure verticali per definire i prospetti principali.

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VIII

ZAI

PROGETTO DI RIUSO

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I MAGAZZINI EVA OGGI Oggi, i capannoni ex EVA sono in un evidente stato d’abbandono e non curanza da parte dei proprietari. Gli stabili rientrano nella categoria “aree dismesse” del Piano degli Interventi del Comune di Verona. Le manifestazioni d’interesse presentate per la rifunzionalizzazione dell’area vedono la completa demolizione (e conseguente cancellazione della memoria dei luoghi) a favore di un nuovo insediamento di tipo ricettivo e/o commerciale. 446


SOPRALLUOGO E STATO DEI LUOGHI

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Demolizione o no? un breve riassunto

Nei capitoli precedenti si è parlato più dei lavoratori e delle loro comunità. Le volte del patrimonio industriale, in- componenti di questo insieme possono teso come l’insieme di siti, strut- assumere un valore storico, tecnologico, sociale, architettonico o scientifico che ture, singoli edifici, complessi, le rende meritevoli di conservazione e paesaggi, così come di macchina- tutela. Il loro riconoscimento da parte ri, oggetti o documenti che forni- delle comunità come elementi carattescono la testimonianza di processi rizzanti l’identità locale, come elementi industriali di produzione cessati o fondamentali della memoria collettiva, è la condizione necessaria per attivare un ancora in attività in una più o meno processo di rigenerazione che, partendo estesa area geografica: l’estrazione di da essi, si estenda al territorio circostanmaterie prime, la loro trasformazione in te, dalla scala del piccolo centro urbano prodotti, la realizzazione di infrastrutture sino alla scala vasta. energetiche e di trasporto per distribui- Persa la loro funzione originaria, edifici re i prodotti ai mercati più vasti. Oltre e aree industriali dismesse costituiscono ai luoghi della produzione, il patrimonio un fattore strategico del processo di traindustriale comprende gli spazi utilizzati sformazione della città contemporanea, per attività sociali collegate all’industria che continua a produrre una domanda come abitazioni, strutture educative, ri- di sempre nuovi spazi e funzioni, in concreative, culturali e religiose. Non secon- flitto con la necessità di non sprecare la dariamente, alle eredità tangibili associate risorsa territorio. alla tecnologia e ai processi dell’industria, Se concepita, pianificata e gestita in all’ingegneria, all’architettura e all’urba- un’ottica d’insieme a scala urbana e terrinistica, si sommano gli aspetti intangibili toriale, la trasformazione di queste parti insiti nelle competenze, nel know how di città può innescare una rigenerazione tecnico, nei ricordi e nella vita sociale urbana complessiva capace di restituire 448

agli abitanti vecchi e nuovi un ambiente più adatto per lo sviluppo individuale e la crescita collettiva, favorendo la coesione sociale e la capacità competitiva di un territorio a livello regionale, nazionale e internazionale.

L’opportunità in gioco, quando si interviene sul patrimonio industriale, non è più soltanto quella di conservare le eredità della civiltà industriale ma, soprattutto, la possibilità di legare a esse le future dinamiche di sviluppo economico e sociale di una città o di un territorio. La prospettiva deve dunque diventare quella di pianificare il miglior uso possibile delle risorse a vantaggio delle generazioni future, coniugando la ricerca

e la sperimentazione di nuovi modelli di sviluppo economico con il tentativo di non perdere i residui valori storici e l’identità di comunità.


Il ciclo di vita di un edificio industriale non si conclude necessariamente con l’abbandono e la demolizione ma che la dismissione e la successiva attesa possano inaugurare una nuova fase. Un edificio dismesso «ha la capacità di rigenerarsi al suo interno, di superare un ciclo di vita e di declino, reinterpretando sé stesso. Riciclare non è semplicemente riusare ma, seguendo l’analogia con il mondo organico, proporre un nuovo ciclo di vita. Storia di edifici e strutture industriali che hanno perso la loro destinazione d’uso originaria - e per un certo periodo sono stati inutilizzati o sottoutilizzati - e il loro percorso di trasformazione, in corso o completato, considerando l’uso temporaneo come una possibile, se non fondamentale, fase di tale percorso. La vitalità e sostenibilità di un territorio richiede la valorizzazione delle “radici” storiche (substrato storico-industriale) ma anche e soprattutto l’innovazione del “nuovo” (nuove imprese, imprese consolidate con nuovi modelli di business innovation-based, reti di imprese, reti imprese/istituzioni/organizzazioni profit e

no profit). La reale sfida per l’economia del territorio è legata alla capacità di integrare il “vecchio” con il “nuovo”, il primo come linfa per il secondo e non una semplice coabitazione - spesso forzata e/o subita. Città e territorio post-moderni si muovono facendo succedere all’industria e al mondo socio-culturale a essa legato, creatività, cultura, tecnologia e innovazione. Tale indirizzo porta a modificare sia le attività economico-produttive, sia il mercato del lavoro che la composizione delle professionalità in esso operanti disposte e attratte da un modello di prossimità - anche coabitazione - fra

gittimazione del patrimonio culturale e industriale come bene collettivo e come risorsa economica ineludibile per un progetto sostenibile di crescita economica e sociale. La rigenerazione urbana, a maggior ragione quando innescata dalla creatività culturale e supportata da approcci imprenditoriali, non ha regole precise ma deve comunque seguire percorsi delineati. La rigenerazione urbana è cosa

mogeneità lavorativa e socio culturale a un intreccio eterogeneo di soggetti - una nuova popolazione - culture e attività. È necessario avviare un processo di le-

tessuto culturale, economico e sociale della città - proprietari degli spazi, creativi, associazioni di categoria, soggetti economici, enti pubblici e privati, comu-

difficile; non si risolve riaprendo o trasformando un edificio dismesso ma attraverso la ricucitura di parti di città, lavorando alla funzioni diverse, culture diverse e rinascita di nuova socialità e alla usi differenti dello spazio, combicreazione di piccole e grandi connazione questa di flussi che genera nessioni economiche. valore e caratterizza gli spazi indu- In futuro la prospettiva è quella di creare striali dismessi in forma antitetica una rete flessibile, dinamica e in continua rispetto alle proprie origini: dall’o- evoluzione formata da diversi attori del

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DEMOLIZIONE O NO?

nità di riferimento - capace di dare origi- aree urbane, in controtendenza ai prone e forma alla costruzione condivisa di cessi di abbandono e di svuotamento, un nuovo modello di sviluppo culturale come è avvenuto nei vari casi qui citati. e produttivo attraverso la pratica creati- Lo spazio dell’archeologia induva artigiana, ponendo così le basi per la striale abitato dall’arte rappresenta creazione di nuove imprese e di un vero e proprio contesto competitivo innova- di fatto un fattore strategico per la più ampia trasformazione del tivo.

La riconversione di megaspazi per nuove forme d’arte mostra una serie di vantaggi per la società e il destino del patrimonio industriale, poiché crea una risorsa significativa

per i giovani artisti emergenti che in questi spazi hanno la possibilità di svolgere la loro attività a costi contenuti. Tale utilizzo catalizza un processo di riqualificazione che va oltre il recupero della singola struttura per investire piuttosto vaste aree periferiche della città, segnate da un degrado diffuso e irreversibile, causato proprio dalla presenza di industrie dismesse. Viceversa, la conversione di questi edifici e degli spazi di contorno in quartieri culturali a forte attrattiva globale, ha rapidamente rivitalizzato intere

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paesaggio urbano ed extraurbano.

I fenomeni economico-sociali di globalizzazione e la progressiva omologazione culturale hanno innescato una reazione volta alla valorizzazione della memoria delle identità collettive. La riappropriazione della memoria sta di fatto alimentando discipline e politiche specifiche volte alle esigenze di intervento legate ai processi di dismissione, creando un’occasione storica di trasformazione dello spazio urbano e territoriale. Il processo di patrimonializzazione dell’eredità industriale è costituito da un insieme di pratiche attraverso le quali questa eredità in primis si vede riconoscere ufficialmente un valore culturale che appartiene al patrimonio di una nazione, ma soprattutto è l’oggetto di una reintegrazione del

suo passato. L’obiettivo è preservare la conoscenza e la memoria dello sviluppo recente della nostra civiltà e di indurre a preservarne le testimonianze nonostante il periodo post-industriale poco favorevole alla loro conservazione. La funzione culturale essenziale è sottolineare la forza dei molteplici valori generati dalla nascita e dallo sviluppo del lavoro industriale, meritevoli oggi di far parte a pieno titolo del patrimonio culturale dell’umanità. Documentare e interpretare il patrimonio industriale dismesso deve essere orientato alla sua conservazione, la conservazione dell’identità dei luoghi del lavoro, e alla sua valorizzazione e costituire un’occasione per ripensare gli spazi del passato produttivo delle città, mantenendone la memoria storica e la testimonianza materiale. Ai cittadini gli spazi vuoti appaiono come corpi estranei, sentimento che si amplifica tanto più ci si allontana dalla causa che li ha generati, quando la memoria tende a rimuovere gli agenti delle cause, e resta vivo e presente l’effetto. In realtà «gli spazi vuoti ricordano ciò che è assente


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e rinviano a ciò che deve ancora essere. Invece di una struttura stabile offrono un terreno grezzo. Sono indeterminati, eppure non privi di peculiarità. Proprio per questo consentono un’appropriazione personale da parte dell’utente. La percezione del vuoto presuppone tuttavia una cornice spaziale». L’attualità del fenomeno, tenuto conto che il processo di dismissione post-industriale si potrebbe considerare concluso, riverbera quindi nelle dinamiche trasformative contemporanee. La consuetudine a parlare di ristrutturazione di tessuti urbani implica però spesso un arresto evolutivo che interessa il rapporto esigenze/ prestazioni rispetto al processo d’uso degli spazi urbani. La risultante culturale di tali processi di trasformazione è un patrimonio materiale, obsoleto per la gran parte, da riconsiderare nell’ottica della sua sostituzione o adeguamento. La pianificazione finora sembra non aver dato risposte in linea con la tempistica evolutiva, arrivando sempre in ritardo rispetto ai nuovi codici di lettura impo-

sti dall’evoluzione dei bisogni. Le aree residuali potrebbero costituire laboratori urbani per nuove attività di cui la città necessita e il temporary use può essere una delle risposte, ma rischia di essere ancora una volta un modo “semplice e veloce” per rimandare la ricerca di una soluzione che per sua natura non può essere “temporanea”. Gli usi temporanei inseriti negli spazi residuali delle città hanno effetti altrettanto temporanei. Si determinano così due velocità di cambiamento: da una parte la lenta pianificazione e dall’altra usi temporanei che propongono una nuova modalità di fruizione dello spazio ma rimandano la soluzione di una rifunzionalizzazione più duratura. Dall’analisi di questo nuovo patrimonio culturale le dicotomie cultura/economia e conservazione/trasformazione emergono con forza. La chiave del recupero è il rapporto tra forma e funzione, la ripetitività, la flessibilità e la modularità degli spazi industriali ben si prestano a interventi di trasformazione del patrimonio materiale. Quelli che consideriamo vuoti, privi della

funzioni per cui sono stati creati e talvolta trascesi in “rovine e macerie”, sono in realtà dei pieni, che costituiscono la testimonianza materiale di memorie individuali e collettive, di cultura del lavoro, di valori simbolici e di storia locale. L’aspetto stimolante sono le storie che legano luoghi così caratterizzati del nostro recente passato di potenza industriale al nostro presente di Paese in faticosa ricerca delle condizioni per conservare un ruolo non secondario nella fase di revisione e trasformazione. Il patrimonio industriale ha tutto l’interesse, per il proprio avvenire, a trovarsi reintegrato in un tessuto economico vitale nel proprio ambiente architettonico, urbano e territoriale. Ove la dismissione ha portato a un elevato degrado, bisogna interpretare la rovina come un cantiere che nel suo decomporsi rivela le proprie regole figurative e costruttive, la fabbrica come tempio sociale è un oggetto urbano e deve riconoscere il proprio potenziale ordinatore sulla città. Differente quando si cambia scala e si considera l’impatto sul territorio: quel

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DEMOLIZIONE O NO?

patrimonio industriale che oggi vogliamo salvaguardare ha travolto e talora cancellato il patrimonio di una non meno preziosa cultura rurale e di una città preindustriale sovente uscita perdente dal contrasto con la nuova prorompente funzione. Il settore innovativo, l’industria, ha ignorato qualità e valori del patrimonio edilizio e ambientale depositato in centinaia d’anni nel territorio rurale intorno alle città, non ha salvaguardato memorie sociali e urbane dei borghi periferici in cui si è preferibilmente insediata, ha travolto assi, infrastrutture, morfologie, paesaggi preesistenti, ha relegato quartieri e villaggi fuori dai recinti di delimitazione delle proprie aree, ha alzato muri di separazione tra abitazioni e industrie e alla fine ha abbandonato tutto ciò che di questa trasformazione era rimasto. Tutelare il patrimonio industriale e progettare nuove funzioni comporta un percorso storico-critico nei confronti di questi pesanti processi di trasformazione su luoghi in cui l’eredità materiale si è fortemente stratificata. Oltre che per la loro valenza “archeologi452

fatto di storia, processi e professionalità, stanno dando linfa alla propria “cultura d’impresa” e aumentando il valore aggiunto dei propri prodotti. Si tratta quindi di un’azione essenzialmente di marketing che non mira soltanto al profitto aziendale ma che, dando un valore culturale al prodotto industriale, trasmette il valore dell’industria come ricchezza dono diventano potenziali luoghi del territorio. Per quei territori che si sono sviluppati grazie all’industria e non di aggregazione e sperimentazio- dispongono di un patrimonio culturale ne. Una dinamica positiva che per “classico” di rilievo, la valorizzazione del essere pienamente virtuosa deve patrimonio industriale è diventato l’eleriuscire a soddisfare una duplice mento fondamentale per lo sviluppo di esigenza: restituire al territorio una programmazione turistica. Ritengo che un progetto di rigenerauna parte del proprio tessuto ur- zione del patrimonio dismesso, che per bano, facendolo diventare oppor- taluni individui può essere letto come tunità di sviluppo (economico e un “obrobrio” manufatto industriale, culturale), senza fargli perdere la può portare ai miglioramente qui sopra sua identità storica, legata alla di- elencati anche in una città come Verona, che, nonostante una buona cura delle mensione del lavoro e della pro- sue “strade”, possiede alcuni punti critici duzione. Obiettivo a cui stanno con- come per esempio le aree dismesse che tribuendo alcune realtà manifatturiere sarebbe bene risolvere e inserire all’interche nel raccontare il proprio patrimonio, no di una pianificazione ad ampia scala.

ca”, le aree industriali dismesse assumono oggi un ruolo sempre più nevralgico nell’avvio di processi di rigenerazione urbana. Per la loro posizione e per la superficie occupata all’interno del tessuto cittadino, quelli che un tempo erano edifici produttivi oggi sono interessati da progetti di investimento pubblici e privati. Da simbolo di degrado e abban-


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DEMOLIZIONE O NO?

La città dismessa e le aree industriali costituiscono i veri ruderi insediativi del sistema urbano moderno, rappresentano delle vere e proprie entità spaziali la cui identità non è più legata alle “declinazioni” e alle regole della città storica. Ma le aree dismesse sono fenomenologicamente il prodotto fisico della trasformazione urbana, seguono le leggi del ciclico processo di auto-organizzazione del sistema –città, in grado di trasformare attraverso la propria crescente complessificazione la sua struttura concreta. La perdita d’identità, legata alla dismissione di usi, sistemi funzionali e valori collettivi, pone le aree dismesse come naturale catalizzatore di tutte le tendenze negative urbane, evoca, quindi, l’esito di un ciclo attivo, concluso o in fieri, che allude ad una perdita. Non è un caso, dunque, che molte tendenze contemporanee attribuiscano alle aree dismesse una generica disponibilità alla trasformazione, definendo questa tipologia di intervento come “problema speciale” e, di fatto, legittimando forme d’intervento anomale (progetti speciali) il cui obiettivo è definito da interessi per lo più economici e di mercato. Esiste, dunque, una naturale tendenza a identificare l’abbandono di usi e costruzioni con “il grado zero della scrittura spaziale”, con quella tabula rasa che permette, mediante la demolizione, la potenziale riscrittura di un contesto e del suo principio insediativo. Da un altro punto di vista, qualsiasi intervento sulla città che comporti la demolizione di alcune sue parti suscita il sentimento di una violazione e di una

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perdita irrimediabile, ponendo al centro di questa modalità la sostanziale identificazione tra demolizione e soppressione di memoria. La demolizione sconvolge lo scorrere lineare del tempo facendo irrompere nel paesaggio urbano e nella scena territoriale “la dimensione sempre indesiderata dell’effimero”, smentendo, di fatto, l’idea di una solidità costruttiva proiettata sulla lunga durata di un manufatto o di una parte di città, come continuità dell’habitat. Se sono numerose e complesse le ragioni che impediscono il ricorso alla demolizione, sono altrettanto varie e cogenti le circostanze che la rendono necessaria. Nel caso specifico delle aree dismesse, la circostanza che si riscontra essere più frequente ed accreditata è legata al costo dell’intervento di recupero che, nella fattispecie, risulti eccessivo rispetto ai “presunti” particolari caratteri architettonici. E’ evidente che il rispetto delle memorie urbane, quando queste non siano importanti, non può comportare un costo sproporzionato all’obiettivo di conservare: obiettivo che può essere in molti casi perseguito mediante la demolizione, capace di fissare per assenza le tracce dell’esistente. Questa tendenza, particolarmente calcata da alcuni fautori del progetto urbano, è spesso motivata attraverso un’argomentazione sottile: “E’ indispensabile demolire un sistema costruttivo quando ha subito un collasso del significato talmente grave da togliergli la propria condizione sostantiva, la propria identità. L’habitat cerca in questo caso di rifor-

mularsi attraverso un atto rigenerativo, una palingenesi totale, che ricostruisce in un’immagine originaria il punto di partenza di una nuova evoluzione”. La perdita d’identità produce effettivamente una condizione di crisi che, però, non necessariamente implica un atteggiamento “rifondativo” ancorato su un concetto più profondo di “soppressione” di una realtà con cui sarebbe più “produttivo” e criticamente corretto dialogare progettualmente. Una strada possibile è legata al concetto di “trasformazione semantica” che ponga il campo interessato come materiale dell’intervento e che calchi la strada della sottrazione piuttosto che della totale demolizione. Il progetto di sottrazione non è necessariamente legato alla “quantità” della materia da trattare, ma piuttosto, alla qualità semantica e al valore architettonico intrinseco all’oggetto. Distruzione e ricostruzione sono i due termini dicotomici in cui sviluppare il difficile processo della modificazione, come capacità del sistema urbano d’auto-organizzarsi e di produrre nuove forme d’organizzazione. La produzione di rovine nell’ambiente urbano è l’indice della sua continua modificazione, ma proprio l’incremento esponenziale di questa categoria di luoghi afferma, paradossalmente, l’istituzione della loro scomparsa, come realtà e come concetto. Il mondo della globalizzazione economica e tecnologica è il mondo del passaggio e della circolazione, fondato sull’ideologia del consumismo dove ogni cosa, pensiero e azione entrano a far parte del


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ciclo continuo della produzione e del consumo. Il modello urbano proposto dal mercato è, dunque, caratterizzato da un continuo processo di ripensamento e sostituzione dei materiali urbani, che si sviluppa parallelamente alla produzione di nuovi consumi spaziali, di nuovi sistemi funzionali e segnici destinati al rapido abbandono. L’iper produzione di non luoghi, nella misura in cui la loro principale vocazione non è territoriale, non mira a creare identità singole, rapporti simbolici e patrimoni comuni, tende, piuttosto, a facilitare la circolazione ed il consumo su scala planetaria. Il tipo di spazialità da essi espressa e quella del “troppo pieno” del ridondante, dell’eccesso e dell’evidenza, che risponde alla categoria del “generico”, dove la città “liberata dalla schiavitù del centro e dell’identità” si sottrae ad ogni previsione e progetto, sfruttando i suoi stessi vuoti come garanti della fisicità dei generici bigness, contenitori di qualsiasi cosa e a qualsiasi scala dimensionale. Gli spazi del pieno e del vuoto si fiancheggiano e si mescolano tra di loro in un nuovo paesaggio fatto di terreni incolti e abbandonati, aree apparentemente prive di una destinazione precisa, spazi dell’incertezza urbana. La categoria del vuoto viene, dunque, declinata rispetto alle diverse matrici culturali che l’hanno storicamente definita: ai vuoti di relazione della città storica si affiancano, così, i vuoti dell’abbandono e del residuo. Ma esiste un’altra categoria di vuoti, prodotti dallo spazio urbano che quanto più difficilmente riesce a definirsi, tanto più

si estende (e viceversa), dei particolari vuoti assimilabili per simmetria speculare alle rovine, i cantieri. La città si ricopre, infatti, dei cantieri della trasformazione, declinati secondo volontà di espansione, di saldatura o di riunificazione o di ricostruzione. Nei cantieri urbani l’evidenza del troppo pieno è sfumata dalla presenza del vuoto, sono spazi poetici nel senso etimologico della parola, la loro incompiutezza contiene una promessa. I cantieri, come le rovine, hanno molteplici passati, evocati dalla presenza del vuoto, si sottraggono all’evidenza del presente, per l’incompiutezza espressa dall’assenza, sollecitano l’immaginazione fintantoché possono suscitare un senso d’attesa. L’architettura contemporanea non mira, però, alla solidità vitruviana, all’eternità mediata da questo termine, la costruzione odierna anela a un presente “sostituibile” all’infinito. La normale durata di vita di un edificio può essere oggi stimata e calcolata, ma è previsto che in un certo momento un’altra costruzione la sostituirà, la città attuale è, dunque, l’eterno presente e pone nuovamente, come propria modalità vitale la modificazione, la sostituzione, il nuovo. In conclusione un accenno alla città di Verona un estratto dal numero 112 della rivista “ArchitettiVerona”. “Borgo Roma misura all’incirca 1.2 km per 1.9 km circa, quindi 2.28 kmq. Adigeo (centro commerciale) dista da Bricoman 880 m e da Esselunga 820 m; un centro commerciale/supermercato/ megastore ogni 0,76 km quadrati, uno ogni

600 m in media. Questo senza enumerare i già esistenti, il centro commerciale Galassia/ Verona Uno appena oltre il limite, il previsto centro commerciale in Basso Acquar a 1.5 km da Esselunga, l’altrettanto previsto Iper Tosano a Forte Tomba a 1.2 km da Adigeo e l’erigendo Eataly a 350 m da Esselunga. Servirebbe innanzitutto e quanto prima un piano che partendo da Verona Sud sia in grado di ricomporre solidamente lo sviluppo di tutta la sua cintura periferica che, ricordiamolo, è città quanto se non ormai più di quella storica.” Per questi motivi, ritengo futile ed inutile procedere attraverso la via della demolizione, come indicato nella manifestazione d’interesse sull’area di progetto di uno studio di architettura, per ricostruire spazi ricettivi o commerciali. Non è ciò di cui il territorio ha bisogno.

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RECUPERO MAGAZZINI EVA Come può modificare la percezione dell’area stessa da parte dei cittadini il recupero degli ex magazzini? Come possono sentirsi parte integrante del nuovo sistema di centro culturale? Come ci si rapporta alla vecchia struttura in attuale stato di forte degrado? Quale memoria del luogo permane? La matrice funzionale o la funzione? I numerosi esempi di recupero di ex capannoni industriali, anche di epoca costruttiva relativamente recente, mi ha portato allo sviluppo di alcuni ragionamenti che vedono nei manufatti EVA la possibilità di un riuso vista la spazialità interna delle architetture e la posizione strategica all’interno del tessuto urbano. 456


VISTA AEREA DI UNA PORZIONE DELLA ZAI

ambito produttivo-industriale ZAI tessuto residenziale BORGO ROMA

nuovo parco SANTA TERESA

EVA

area prossima alla riqualificazione EX MERCATO ORTOFRUTTICOLO

area di nuova riqualificazione EX MAGAZZINI GENERALI

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Le ragioni delle differenze relative all’approccio progettuale adottato nei confronti del rapporto “nuovo e esistente” prendono le mosse da una premessa di scala urbana. L’area si presenta come interstiziale fra il tessuto storico della ZAI e il tessuto residenziale sorto nei primi decenni del ‘900. A un tessuto prettamente industriale, composto da episodi architettonici singoli e di grande impatto volumetrico, si contrappone un tessuto molto puntuale, rarefatto e privo di una logica insediativa. L’area di progetto si propone quindi come elemento di intermediazione, riconnessione e transito fra due aree in netto contrasto, funzionale, spaziale e morfologico. Da qui, la necessità di inserire in questo crocevia, all’interno dell’involucro di fabbrica, un mix funzionale che è oggi presente nel tessuto della ZAI e la funzione residenziale, da integrare alle ormai consolidate e storicizzate funzioni industriali, espositive e commerciali, che caratterizzano da un lato la ZAI storica e dall’altro la sua degenerazione contemporanea. La mixité funzionale è stata scelta proprio in risposta del carattere ibrido che sembra manifestare l’area di intervento. Il progetto si è dovuto quindi subito scontrare con una forte dualità. La necessità, per così dire urbana, di inserire l’elemento residenziale all’interno del complesso si è scontrata con le caratteristiche spaziali dell’edificio in stesso. Quest’ultimo, per proporzioni, materiali e linguaggio si presenta infatti estremamente distante dal modello residenziale,

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EX MAGAZZINI EVA OGGI

come d’altronde la natura e la storia del fabbricato stesso denotano. Quale assecondare? le necessità urbane o le esigenze spaziali della piccola scala? Appare evidente che, ai fini della riattivazione dei tessuti degradati, non sia possibile pensare eslusivamente alla piccola scala. Le logiche strettamente conservazionistiche perdono le ragioni di senso dinnanzi ad obiettivi di fattibilità socio-economica, che risultano evidentemente connessi alla struttura sociale contemporanea e al contesto urbano nel quale si opera. La scelta dunque (o la sfida?), è stata quella di far coesistere i due aspetti, senza privilegiarne alcuno. Questo, ha comportato inevitabili squilibri nella struttura originaria. Il progetto si è costantemente confrontato con essi, tentando di assecondare entrambe le condizioni per far sì che l’edificio non divenga un monumento da ammirare (non ne ha le caratteristiche storiche per esserlo), ma un edificio da vivere, nel quale risulti tuttavia evidente la traccia della storia e la natura originaria dell’edificio, riconosciuta in alcuni elementi soggetti di attenta coservazione. Un luogo vissuto quando abitato dai lavoratori, un luogo vissuto da diversi fruitori anche oggi. La residenza, funzione scelta per la prima campata verso il giardino affacciato su viale del Commercio, per sue caratteristiche tipologiche, morfologiche, lunguistiche, distributive, strutturali ed impiantistiche non potrà mai essere una fabbrica. Ma è altrettanto vero che la ponderazione dei suoi elementi costitutivi può,

se questi ben posti, riattivare la fabbrica stessa e accogliere la nuova, aliena funzione senza alterare l’ospite e l’immagine esterna che questo ha. Ne risulta un primo approccio nel quale il vecchio assume un ruolo di mero “contenitore”. L’involucro, riconosciuto come elemento determinante nell’immaginario collettivo e storicizzato dell’idea condivisa di fabbrica, assolve il ruolo di quinta scenografica nella quale si inserisce la nuova funzione, ospitata in volumi autonomi (sia strutturalmente che formalmente) dagli edifici ospitanti. I nuovi volumi, si pongono a una distanza fisica minima dall’involucro esistente, alloggio per impianti. Questo gesto, sintetizza la differenza e la distanza incolmabile che separa le due funzioni, descritta sopra. Proprio gli impianti infatti, sono uno degli aspetti che più differenzia forse la natura residenziale contemporanea da quello industriale passato. Ponendoli come distanziatori, essi assumono il ruolo di elemento chiarificatore delle scelte, caricando lo spazio fisico interstiziale fra nuovo ed esistente di un significato che possiamo definire tecnico-formale-funzionale: è uno spazio quasi necessario, quasi tecnico. La distanza fra il nuovo e l’esistente assume, nella sua piccolezza fisica, proprio il più alto grado di intensità: se da un lato essa rappresenta una differenza funzionale, atta a sintetizzare il cambio di funzione industria-residenza previsto, dall’altro essa diviene anche enunciatrice di una differenza spaziale, come risultato di due archetipi spaziali, la fabbrica e la residenza, nettamente inconciliabili.

L’approccio adottato nella campata terminale, verso il tunnel binari, è diametralmente opposto. Dalle analisi storiche eseguite e dallo studio della fabbrica, risulta evidente come la funzione originaria fosse quella di zona adibita a locali di servizio, celle frigorifere, locali accessori. In una parola, erano spazi serventi. Il progetto, sempre mosso da visioni urbane mirate alla riattivazione effettiva del manufatto, prevede l’inserimento in questi spazi di servizi igienici, spogliatoi, ripostigli a servizio dello spazio centrale. Inoltre, si prevede, previa bonifica dei materiali tecnologici esistenti, lo sviluppo di grandi sale per momenti espositivi come fiere, mostre e quant’altro. E’ evidente quindi che a differenza dell’approccio adottato per le residenze, la funzione inserita si presenta perfettamente coerente con il tipo di spazi dati in consegna dalla storia, in termini di grandezza e in termini di funzione. Questa differente condizione trova riscontro nel diverso approccio tra contenuto e contenitore adottato in questo caso. Per i motivi prima espressi, questa campata non si pone come mera quinta scenografica, per il semplice fatto che il nuovo si pone in perfetta continuità con l’esistente. Stesse funzioni, stessi spazi. Ne deriva che non vi è nessuna necessità di distanza, perché non c’è nessuna necessità di nuovi inserimenti (salvo alcuni elementi puntuali).La funzione inserita si plasma perfettamente all’interno del vecchio involucro. Il corpo centrale rappresenta la perfetta via intermedia tra i due approcci

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APPROCCIO PROGETTUALE

descritti, oltrechè l’intermediazione tra le funzioni presenti all’interno del tessuto urbano, quasi come se l’ambito commerciale fosse il legante tra industria-artigianale e residenza. Se nel primo caso, la distanza fisica era necessaria per evidenziare la differenza storico-funzionale e l’incompatibilità spaziale del nuovo nei confronti dell’antico; e se il secondo non necessita affatto di questa distanza per via dell’inserimento di funzioni perfettamente calzannti e idonee agli spazi esistenti, la decisione di porre nel capannone centrale le funzioni pubbliche e commerciali comporta un terzo stadio di apporoccio. In questo caso, dal punto di vista architettonico, vi è continuità: lo spazio industriale ben si presta alla necessità spaziali dell’espositivo e del pubblico (come enunciato dagli studi proporzionali fatti sui due archetipi). Ne risulta che se è vero che la congruità spaziale del nuovo verso l’esistente richiama un approccio simile a quello adottato per il capannone dei servizi, è pur vero che il cambio funzionale impone l’identificazione di una distanza per evitare ogni tipo di mimetismo e riuscire a rendere evidenti le nuove stratificazioni evolutive della fabbrica. Le nuove funzioni espositive dunque, trovano posto in piccoli box modulari, flessibili e componibili totalmente vetrati che se da un lato consentono la totale permeabilità visiva e il conseguente mantenimento delle proporzioni spaziali, dall’altro consentono di porre il nuovo a una distanza fisica dal vecchio. I box infatti, si inseriscono

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lungo l’asse centrale della fabbrica, generando fra una tensione dialettica non più oppositiva ma asseondante, e dando origine a spazi interstiziali nettamente diversi da quelli delle residenze. Infatti, essendo dimensionalmente più ampi, essi si offrono non come meri spazi necessari e tecnico-formali, ma come spazi vissuti, come scelte di progetto: qui le persone si incontrano, parlano, vivono. Ne risulta che il tema della distanza è stato trattato in modo inversamente proporzionale: tanto più la distanza appare piccola, tanto più essa mette in una sorta di tensione oppositiva e sublimata nuovo e esistente, tanto più essa risulta caricata di significati duplici e molteplici (residenze); laddove risulta invece di ampio respiro, ecco che la dialettica fra Nuovo e Antico si fa più gioiosa, il Vecchio non si ribella ma accoglie, ospita e si fonde con il Nuovo, pur mantendosi da esso visivamente distinguibile per rispetto della verità storica; laddove essa risulta nulla, si ha infine la totale continuità storica, funzionale e spaziale


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OBIETTIVI

Rivitalizzazione

di un’area ai margini del sistema della Zai, in posizione strategica rispetto al sistema parco magazzini generali - fiera - tessuto residenziale

STRATEGIE

Valorizzazione

di un manufatto della ZAI storica

PROPOSTE

Nuova percezione degli spazi ora dismessi

Nuovo polo attrattore per la comunitĂ

461


obiettivi lettura della cittĂ

II comprendere

differenti,

ZAI

rispondere ad una carenza di servizi pubblici

connessi dalla rete viaria ma contrastanti nella morfologia urbana

e di residenze di nuova costruzione nei quartieri residenziali limitrofi

te lat

centra l e de l

c aba at

di

d

ne mani f a issio t tur ism

dismission em

chi

a partire dalla storia e dal loro carattere urbano

a ag

zzin

i generali 462

ricucire due ambiti urbani

il ruolo e lo stato dei luoghi in

III

one issi sm

I


OBIETTIVI, STRATEGIE, PROPOSTE

ZAI

rdo obo bord rd

GOLOSINE

BORGO ROMA

obordo bo rd

rdo obo bord rd

ordobordo ob

rdobordobo bo

rdobordobo bo

ordobordo ob

obordo bo rd

mix di funzioni

463


strategie scelta del brano di cittĂ

I

II rintracciando

riqualificando

un’area industriale di-

gli elementi ricorrenti

smessa

nel sistema isolato-fabbrica

ture a botte o

e in attuale stato di degrado

t r ac ce

de i

uno spazio al margine che abbia caratteristiche peculiarie e connessioni al sistema urbano capaci di attivare un nuovo ambito

recinti di fab br i

ermeabili imp

ismessi

464

scegliendo

ca

ri d na bi

as

d he

p er co

III


OBIETTIVI, STRATEGIE, PROPOSTE

fiera

mercato ortofrutticolo

>>>

magazzini generali

p a rco

>>>

San

ta T eres

a

>>> parc oS

>>> S a nta Tere s a

p

>>> supermercato

>>>

a n ta Teresa

fermate autobus

>>>

o arc

viabilitĂ principale

magazzini Eva !

465


proposte come agire

reinterpretare il carattere

innestare

architettonico della fabbrica

collettive e private

e farla divenire un catalizzatore sociale per la popolazione stabile ma anche quella in movimento

eleme

nti a

car

ici ca r a t t er i s

i caratteristic i

atteri tiplogic i

etton hit rc

elementi arc hit

ic on ett

ie

ione di te ssu t

rivitalizzare

un’area al margine

nuove funzioni

del suo involucro, dei suoi spazi, del suo intorno

mist m co

III

II

i 466

tic

I


OBIETTIVI, STRATEGIE, PROPOSTE

ordobordo ob

rdo obo bord rd

rdobordobo bo

rdo obo bord rd

rdobordobo bo

ordobordo ob

obordo bo rd

mix funzionale

>>>

obordo bo rd

>>>

>>>

>>>

>>>

>>> >>>

>>>

connessione verde esistente

>>>

>>>

progettare un polo attrattivo

>>>

>>>

>>>

>>>

>>>

>>>

>>>

>>> >>>

>>> >>>

>>> 467


TEMI DI PROGETTO Nelle pagine seguenti, vengono riassunti i temi affrontati nel percorso progettuale. Attraverso l’analisi dello stato di fatto, è stato possibile comprendere i caratteri tipologici e morfologici che caratterizzano gli spazi della fabbrica. Dalla lettura degli elementi costruttivi e dalla presa di coscienza di quali siano i fattori architettonici da valorizzare e conservare, si sono sviluppate tali tematiche strettamente interconnesse e dipendenti l’una dall’altro. La fabbrica viene interpretata come sistema, dove ogni parte caratterizza le altre. 468


tema 1

RIMOZIONE

tema 2

PERCORSI

tema 3

MIX FUNZIONALE

tema 4

BOX IN THE BOX

gli spazi espositivi, gli spazi commerciali e del terziario, gli spazi comuni, le residenze

tema 5

IL MURO DI CINTA

aprire le porte della dismissione alla cittĂ

tema 6

IL MURO ABITATO

demolizione, scarnificazione

469


tema 1

La volontà di progettare all’interno di una struttura dismessa, con caratteri industriali particolari, non può prescindere totalmente dalla morfologia e dalla costruzione della stessa. L’architettura semplice e spoglia dei suoi spazi interni, l’involucro modulare e funzionale all’uso del passato, permette lo sviluppo di idee progettuali che non possono trascenderne. Le nuovi funzioni da insediare, si avvalgono dei vuoti come moniti per realizzare nuovi pieni, facendo divenire il tema “scatola nella scatola” (box in the box) il filo conduttore dell’intero progetto di tesi. Questo risulta chiaro e di facile studio per quanto riguarda gli spazi comuni (auditorium, galleria per mostre, uffici e laboratori, aule studio, piccoli spazi commerciali), mentre per il tema delle residenze la progettazione di spazi “vivibili” è di natura più complessa. Lo spazio tripartito, unico nel panorama industriale di Verona sud, porta alla ricerca di nuove soluzioni per inserire gli appartamenti. Il procedimento svolto, parte 470

RIMOZIONE scarnificazione

dall’individuazione degli elementi del sistema fabbrica, come indicato nello schema della pagina accanto,. L’apparato costruttivo a maglia di pilastri in calcestruzzo armato si sviluppa anche in copertura con travi in calcestruzzo precompresso tamponate da porzioni in latero cemento. In prossimità di queste, è stato possibile scarnificare ed inserire i lucernari per una migliore illuminazione degli spazi interni. Alcune porzioni di copertura sono state completamente rimosse per lasciare spazio a patii interni appartanenti alle residenze. Il sistema modulare di fabbrica, ha facilitato la scelta delle dimensioni degli appartamenti stessi, seguendo le dimensioni date dal passo dei pilastri. Per quanto riguarda gli altri spazi/scatole inseriti nell’involucro, si è mantenuto il concetto di modularità e ripetizione , reso possibile anche dalla continuità spaziale e dalle grandi altezze interne. Quello che ne è risultato, è un nuovo modo di ri-vivere la fabbrica, senza invadere in modo aggressivo i caratteri tipologici e morfologici.


ESPLOSO SDF

individuazione elementi della fabbrica

sistema banchina e pensilina

sistema dello scheletro: travi e pilastri

sistema involucro

sistema totale tripartito

471


tema 1

RIMOZIONE demolizione

leggere i significati simbolici

porzioni incongrue, volumi che non fanno leggere il carattere della tripartizione; porzioni di copertura che non permettono lo sviluppo delle nuove funzioni

472

scegliere i linguaggi giusti

differenziare l’intervento


IL NUOVO VIALE D’ACCESSO

473


tema 2

PERCORSI

ricostruire i percorsi

ri-definizione degli spazi dalla lettura dei flussi longitudinali e trasversali, seguendo gli spazi interni della fabbrica

474

scegliere i linguaggi giusti

differenziare l’intervento


INGRESSO DAL MURO

475


tema 3

MIX FUNZIONALE

riattivare il dialogo

dallo studio del contesto e dalla presa di coscienza della posizione strategica-al margine dell’area di progetto

476

differenziare l’intervento


SPAZI DI CO-WORKING

477


tema 3

MIX FUNZIONALE

Progettare

Ri-utilizzare

gli spazi ora dismessi

Ri-pensare

al bordo non come limite ma come land mark identificatore del luogo

spazi polifunzionali senza distinzione sociale nè pagamento di biglietto

Progettare nuovi spazi per mostre temporanee, legate anche agli eventi fieristici

Progettare

spazi di gioco, sperimentazione e condivisione fruibili dai cittadini, lavoratori, turisti, visitatori specifici

Valorizzare la storia dei luoghi con l’allestimento di mostre tematiche

478


SPAZI DI RISTORO

479


tema 4

480

BOX IN THE BOX gli spazi espositivi


SPAZI PER MOSTRE, FIERE, ESPOSIZIONI

481


Sistema costruttivo utilizzo dell’acciaio

Per i box progettati ed inseriti all’interno della fabbrica si opta per l’utilizzo dell’acciaio come sistema costruttivo. L’acciaio interpreta la sintesi più attuale tra ingegneria e architettura realizzando costruzioni che si traducono in investimenti vantaggiosi nel tempo. Grazie alla forza della sua espressività e alle sue note caratteristiche di elasticità e malleabilità, l’opera architettonica e quella strutturale diventano l’una interprete dell’altra, esaltando il progetto e le sue peculiarità. La variabilità di soluzioni costruttive è sensibilmente accresciuta dalla facilità con cui l’acciaio si sposa con gli altri materiali. L’acciaio è in grado di sfruttare intelligentemente le prestazioni di altri materiali costruttivi come nel caso del vetro, dove l’illuminazione naturale consente affascinanti trasparenze. Zincato, verniciato, auto patinabile e inossidabile, l’acciaio mantiene le sue caratteristiche nel tempo. Molti tipi di superfici di acciaio non richiedono alcun trattamento protettivo. L’acciaio è espressione d’arte che dura nel tempo. La leggerezza delle costruzioni metalliche nasconde una 482

pesante intelligenza che media estetica, sicurezza e convenienza. Un dettaglio costruttivo può racchiudere sofisticate tecnologie o esprimere la più semplice delle funzionalità al servizio dell’abitare. La realizzazione di facciate attive, che si lasciano attraversare dalla luce, e i flussi d’aria che passano nell’intercapedine, migliorano il comfort microclimatico, riducendo il fabbisogno di elettricità e riscaldamento. La costruzione in acciaio consente la trasformazione architettonica degli edifici in modo semplice e rapido. Funzionalità significa poter prevedere ampliamenti, ristrutturazioni e cambi di destinazione d’uso di un fabbricato o integrazione all’interno dello stesso di diverse funzioni rimodellando gli spazi. Questa eccezionale flessibilità permette di affrontare qualsiasi tipo di intervento, grazie anche alla precisione meccanica delle strutture in acciaio. La sua funzionalità e versatilità nell’impiego ne fa un materiale competitivo per qualsiasi tipo di realizzazione: uffici, strutture sportive, capannoni industriali, padiglioni fieristici, ponti, aeroporti, stazioni, scuole,

ospedali, abitazioni. La competitività delle soluzioni in acciaio è testimonianza non solo della bellezza architettonica, ma anche di elementi che incidono notevolmente e positivamente sui costi finali della realizzazione: rapidità costruttiva e risparmio nelle fondazioni. L’alto livello di prefabbricabilità delle costruzioni in acciaio, cioè la realizzazione di edifici nei quali le strutture portanti sono realizzate in officina e poi assemblate in cantiere, ha già una notevole incidenza nell’edilizia in Italia. L’assemblaggio in officina (dove sono garantiti controlli, collaudi e standard qualitativi di assoluta affidabilità) riduce inoltre i rischi dovuti a fattori e condizioni ambientali tipici delle costruzioni in opera in cantiere. La standardizzazione delle soluzioni in acciaio è un importante elemento da tenere in considerazione nella valutazione del costo finale (anche in relazione alla minore manodopera richiesta): è possibile ottenere un rapido ritorno degli investimenti, abbattendo gli oneri finanziari ed anticipando il momento in cui l’opera finita inizia a rendere. La facilità di assemblaggio dei


componenti strutturali nella carpenteria metallica con elementi di tamponamento e copertura in acciaio consente di realizzare rapidamente soluzioni finite “chiavi in mano” in tempi decisamente ridotti rispetto ai sistemi tradizionali, ottimizzando le risorse. La facilità di assemblaggio dei componenti strutturali nella carpenteria metallica con elementi di tamponamento e copertura in acciaio consente di realizzare rapidamente soluzioni finite “chiavi in mano” in tempi decisamente ridotti rispetto ai sistemi tradizionali, ottimizzando le risorse. Cantieri puliti (grazie all’anticipata lavorazione in officina) e sicuri (limitata necessità di macchine e mezzi) grazie alla leggerezza dei profili in acciaio che richiedono fondazioni contenute con conseguente riduzione dei costi: la leggerezza della struttura in carpenteria metallica consente di ridurre i volumi di scavo, di calcestruzzo e di reinterro, altri importanti elementi da tenere in considerazione ai fini della valutazione dei costi realizzativi. L’acciaio è competitivo sul piano economico per varie ragioni: dalla velocità costruttiva ai ridotti costi di manutenzione, dalla rapidità di ammortamento al risparmio nell’utilizzo di materiale, dalla riduzione delle fondazioni all’impiego di prodotti siderurgici standard per aree di cantiere limitate. Le strutture metalliche assorbono energia sismica utilizzando le elevate riserve plastiche proprie del materiale: dal punto di vista tecnico ciò si traduce nella realizzazione di dettagli costruttivi meno onerosi e pesi strutturali decisamente inferiori a quelli di analoghe soluzioni in materiali tradizionali. Le opere di riqualificazione

o di recupero edilizio rappresentano oltre il 50% del valore del comparto delle costruzioni in Italia. L’acciaio arriva sempre a soddisfare i principali requisiti per questi tipi di intervento, offrendo a progettisti e committenti diversi vantaggi: qualità architettonica, economicità e rapidità dei lavori, sicurezza e precisione meccanica, recupero di spazi e volumi inutilizzati. Sostenibilità ambientale significa riciclabilità e durabilità. L’acciaio è il materiale più riciclato nel mondo, sono riciclate 14 tonnellate al secondo. L’Italia è il 1° paese europeo per riciclo di rottame ferroso con una media di circa 20 milioni di tonnellate annue di materiale che viene rifuso nelle acciaierie nazionali. Dopo aver esaurito le proprie funzioni strutturali il 100% dell’acciaio rottamato viene riciclato (senza perdere alcuna proprietà) e il 99% dei profili (sia piani che lunghi) viene recuperato in quanto facilmente separabile dagli altri materiali. L’acciaio dunque contribuisce, direttamente ed indirettamente, alla conservazione delle risorse naturali. Il ciclo di vita di un fabbricato in acciaio è notevolmente più lungo di quello di un fabbricato tradizionale, considerando anche la possibilità di modificarne la destinazione d’uso senza gravosi impatti ambientali (nessun materiale da mandare a discarica e nessun consumo di energia per lo smaltimento). Grazie alle moderne tecnologie di zincatura e verniciatura, l’acciaio mantiene intatte le sue proprietà per tutta la vita dell’opera realizzata, contribuendo ad allungare la vita della costruzione. L’acciaio consente inoltre di realizzare edifici ad alta efficienza ener-

getica grazie a sistemi di rivestimento dalle alte prestazioni isolanti. Fotovoltaico ed eolico sono due tipologie di impianti totalmente diverse anche dal punto di vista strutturale; tuttavia l’acciaio in entrambi i casi svolge un ruolo da protagonista. Per il fotovoltaico, prediligendo il posizionamento sui tetti sia per l’esistente che per le nuove costruzioni, i pannelli necessitano di strutture leggere di sostegno onde evitare ulteriori carichi in copertura. La prassi attuale è di collocare i pannelli con sostegni realizzati in profili sottili in acciaio piegati a freddo, in grado di assolvere completamente a questa funzione. I prodotti in acciaio per il mercato del fotovoltaico sono in continua evoluzione: il settore si è arricchito negli ultimi tempi con pannelli di copertura che offrono una facile installazione e fissaggio a qualsiasi modulo fotovoltaico. Per l’eolico è l’aspetto strutturale a far sì che l’acciaio svolga un ruolo decisivo. La necessità di realizzare strutture molto alte e snelle, sia on-shore che off-shore, considerando carichi ciclici, dinamici ecc. (vento, sisma, carichi indotti dall’aerogeneratore…), fa si che l’acciaio sia il materiale più idoneo a resistere alle sollecitazioni per le quali la parte portante è progettata. E’ inoltre opportuno sottolineare che le torri eoliche necessitano di essere movimentate e assemblate in situ con facilità: la prefabbricabilità delle strutture in acciaio consente di montare in opera parti già assemblate, facilitando il compito dell’impresa installatrice. 483


tema 4

gradoni/ teatro interno

BOX IN THE BOX gli spazi comuni

stanze da configurare a seconda delle esigenze

playground interno

484

grandi sale per esposizioni


SPAZI DI LETTURA

485


tema 4

BOX IN THE BOX gli spazi commerciali e terziari

6.7

5m

0m

4.5

singolo small

486

aggregazione medium

sistema big


SPAZI COMMERCIALI

487


tema 4

Le residenze, pensate come temporanee per giovani studenti e artisti, vengono collocate nei primi due capannoni affacciati sullo spazio lasciato a verde. La loro realizzazione vede una scarnificazione dell’involucro esistente senza tutta via modificare la sagoma della fabbrica. Il fruitore già esternamente percepisce la presenza dei nuovi elementi architettonici; le tamponature vengono rimosse, per garantire l’ingresso della luce negli spazi abitati; viene preservata la struttura portante mettendola in luce grazie al gioco di chiaro-scuri garantito dai nuovi volumi inseriti che rimangono arretrati rispetto al filo della muratura esistente. Le particolari aperture ad oblò sopra la pensilina della banchina vengono mantenute. La copertura viene a suo modo scarnificata negli elementi di tamponatura tra le travi: si inseriscono lucernari che fanno penetrare la luce negli appartamenti duplex in modo zenitale. Inoltre, per esisgenze areo-illuminanti la sezione tripartita ed omogenea delle campate, viene ridotta nel secondo blocco da una parete-filtro che definisce un 488

BOX IN THE BOX le residenze

patio interno. Esternamente la divisione non viene modificata, mentre un ampia porzione di copertura viene completamente rimossa. Le residenze, sviluppate su tre livelli, sono accessibili da un largo “corridoio” centrale dal quale partono numerose scale e passerelle aeree che rendono questo spazio condiviso.


SPAZI RESIDENZIALI

Alloggio monolocale duplex

Alloggio monolocale duplex

affaccio su patio interno

Alloggio monolocale affaccio su patio interno

affaccio sul giardino

Alloggio monolocale affaccio sul giardino

489


490


SPAZI RESIDENZIALI

sezione tipo dei nuovi spazi nelle tre campate

491


tema 5

IL MURO DI CINTA

salvaguardare il contesto

ri-lettura del ruolo del muro di cinta che caratterizza il luogo e la funzione che ospitava

elemento strutturante e caratteristico

492

riattivare il dialogo

leggere i significati simbolici


IL MURO DI CINTA

IERI

OGGI

industrie con recinto per motivi di sicurezza, isolamento ed indipendenza

magazzini Eva al margine del sistema ZAI cerniera di ricucitura tra periferia e artigianale e periferia residenziale

?

SOLUZIONE

la rifunzionalizzazione della fabbrica, avvalendosi di un mix tipologico, all’interno del tessuto marginale sia della ZAI che del quartiere residenziale di Borgo Roma, comporta la lettura critica del tema del recinto. Il significato del luogo muta con il progetto di riqualificazione, che apre IERI PROGETTO alla città l’area dismessa, divenendo filtro in una un accesso principale in corrispondenza dell’e- apertura di un nuovo ingresso in corrispondenporzione di urbanità che non ha filtri tra isolato dificio uffici “a ponte”; due accessi laterali in zandell’ex refettorio: problema di due accessi in artigianale e residenziale. Il muro diventa elecorrispondenza dei binari per il traffico dei treni contrasto con il ruolo dell’entrata originaria mento di scambio, diventa vivo e abitato. 493


tema 5

STATO DI FATTO altezza muro 2,50 m con filo spinato sulla sommità PROGETTO portali in lamiera forata che permettono la permeabilità interno-esterno, oltre che la possibilità di chudere gli accessi in determinati momenti della giornata PROGETTO eliminazione del muro in corrispondenza dell’edificio dell’ex refettorio

494

IL MURO DI CINTA


UNA NUOVA IDENTITA’ AL MURO DI CINTA

permeabilità del muro

pur preservandone l’idea e il ruolo; nuovi varchi che invitano ad entrare e fruire del luogo riqualificato

495


tema 6

IL MURO ABITATO

riattivare il dialogo

riaprire l’area alla città attraverso un “dialogo” che abbia inizio dalla riattivazione degli spazi al bordo della stessa

496

scegliere i linguaggi giusti

prestare attenzione agli spazi naturali

salvaguardare il contesto


IL MURO SOGLIA

497


Programma di sviluppo economico finanziario stima del valore di mercato del progetto

Ai fini di una migliore valutazione pro-

manifestazione d’interesse al comune strategia

piano di sviluppo economico finanziario. gettuale, è stato redatto un

Questo ha permesso la comprensione della solidità del progetto e la possibilità di aumentare notevolmente il valore di mercato futuro degli immobili, oltrechè la capacità di migliorare la percezione dei luoghi da parte dei cittadini. Il primo step per questo tipo di valutazione, ha previsto la stesura di un quadro conoscitivo per capire quali siano gli attori possibili da mettere in gioco, quali gli obiettivi, quali le strategie. Per questo motivo si sono individuati gli elementi alleati e quelli competitori per una migliore riuscita del progetto. Nelle pagine che seguono, vengono illustrati i passaggi svolti, aiutandosi con schemi, numeri e mappe. Come si potrà vedere, le conclusioni che si trarranno vedono nella possibilità di investire sulla riqualificazione delle aree dismesse un fattore positivo e capace di generare profitti economici.

498

area di progetto: proprietà privata

area di progetto: proprietà privata

proposta

proposta tesi

demo lizione

riquali ficazione

obiettivo

obiettivo

struttura ricettiva e commerciale

servizi ai cittadini, nuovo polo attrattivo, rivitalizzazione


>>>

quadro conoscitivo centro città patrimonio UNESCO

22% residenti rispetto a tutta Verona

Santa Lucia - Golosine 26’769 residenti

Zai

problematiche di quartiere non risolte e da risolvere

il quartiere è saturo di centri commerciali

borgo Roma 29’204 residenti

manca un polo aggregativo molte aree dismesse: percezione negativa

mancano servizi ai cittadini

cesura tra zai e quartieri residenziali

499


competitori

Quali gli alleati? Quali i competitori? Nella mappa nella pagina accanto si indicano gli elementi che possono incentivare lo sviluppo del progetto e quelli che, invece, lo potrebbero indebolire. Si nota a colpo d’occhio come quelli che lo possono sostenere siano in misura molto maggiore rispetto a quelli che possono indebolire l’idea progettuale, sia a livello economico che funzionale.

II aree a servizio dell’istruzione, aree religiose

III aree residenziali

IV aree dismesse e potenzialmente alleate 500

aree commerciali, aree ricettive-alberghiere

aree neutrali

alleati I aree fieristiche, del terziario, dei servizi pubblici, infrastrutture viarie e ferroviarie, fermate trasporto pubblico

aree artigianali-industriali


MAPPATURA ALLEATI | COMPETITORI

501


>>>

specifiche funzionali di progetto monolocale 40 m2

bilocale duplex 58 m2

bilocale 56 m2

trilocale loft sim/triplex 65-75 m2 85-170 m2

residenze temporary use

artisti studenti giovani

terziario

co-working

creative-factory

start-up

community hub

sale conferenze

sale danza palestre

sale prova teatro,scuola musica

sale per i piĂš piccoli

sede associazioni

bar

spazi espositivi

teatro all’aperto

reversibilitĂ usi laboratori universitari

spazi espositivi spazi ludici/ ricreativi

502

laboratori artisti

commerciali della tradizione

biblioteca sala lettura


>>>

strategie progettuali

>>> fattori favorevoli

segmento di mercato

commerciale

flessibilità spazi fabbrica

reversibilità spazi fabbrica

residenziale

posizione urbana strategica

vicino polo scientifico università

culturale & terziario

necessità di servizi alla comunità

centri commerciali in previsione

area al margine

503


1. Calcolo consistenze

Si elencano di seguito le operazione svolte per il calcolo dei parametri finanziari del Margine Operativo Lordo e al Valore attuale Netto relativi agli scenari di progetto ipotizzati. Le procedure che seguono trattano in ordine cronologico la sequenza delle operazioni svolte, eseguite dal punto di vista contabile grazie all’utilizzo del software “Excel” (vedi allegato). Lo scenario presupposto vede un investimento da parte della proprietà dell’area, composta attualmente da 9 soci della EVA srl, presupponendo una vendita dei manufatti a privati da attuare in un periodo di 5 anni. La trasformazione dei beni, attualmente in disuso, viene presubilmente svolta nei primi 5 anni. Quello che si propone implica l’inserimento di nuove funzioni che possano far aumentare esponenzialmente il valore di mercato degli immobili per garantire un effettivo guadagno, a fronte di un investimento, per la proprietà. Il costo delle opere di urbanizzazione al comune vengono sopperite cedendo gli spazi aperti dell’area e una parte di magazzini, impegnando la proprietà ad investire per il bene pubblico. Si procede a partire alla determinazione delle consistenze relative ai beni oggetto di studio. Essendo l’obbiettivo quello di determinare il Valore di Mercato dei beni ante e post trasformazione, il parametro scelto è stato quello della Superficie Commerciale. Il conteggio è stato eseguito mantenendo al 50% lo spessore dei muti perimetrali e in comune a più oggetti, attraverso l’utilizzo del software “AutoCad”.

504

mix funzionale opere calde spazi residenziali spazi commerciali spazi del terziario opere tiepide spazi espositivi opere fredde spazi sociali


CALCOLO CONSISTENZE DI PROGETTO

- Spazi esistenti da trasformare 1 Espositivo 4.160 mq 2 Commerciale 1.116 mq 2.1 Bar/ristorazione 220 mq 3 Residenze 9.361 mq 4 Uffici/terziario 2.633 mq 5 Opere al comune 970 mq Tot 18 460 mq - Spazi esistenti da demolire 6 Ex palazzina uffici 510 mq 7 Ex capannone macchine 580 mq 8 Ex refettorio 460 mq 9 Ex tunnel binari 1.245 mq Tot 2 795 mq - Superfici da riqualificare relative all'involucro 10 Facciate 5.088 mq 11 Coperture 12.400 mq - Sistemazioni superfici esterne 12 Aree verdi da cedere al comune 14.555 mq 13 Teatro all'aperto 585 mq

Specifiche consistenze residenze Si specificano le consisitenze relative alle residenze, essendo previsti piÚ tagli dimensionali all’interno del progetto. Monolocali 1.051 mq Bilocali 1.750 mq Trilocali 1.639 mq Quadrilocali 1.760 mq Loft 661 mq Spazi distributivi (scale, corridoi, ballatoi) 2.500 mq

505


>>>

specifiche dimensionali 4

1

spazi del terziario/ servizi

spazi espositivi

970 m2

4160 m2

4

2

commerciale

terziario/ uffici

1336 m2 3

9631 m2

5

spazi verdi

14555 m2

4

6

5

residenze

506

3

2633 m2 spazi ludico/ ricreativi

5

3 2 1 14555 m

2


2. Definizione costi unitari

La determinazione dei costi di progetto è stata suddivisa in due fasi operative distinte: - determinazione dei costi diretti che si dividono a loro volta in: costi di trasformazione e costi di idoneizzazione relativamente agli edifici esistenti; in costi di costruzione per le parti ex novo ; - determinazione dei costi indiretti Fra i primi, in relazione allo sviluppo di progetto ipotizzato, si sono determinati i Costi di Trasformazione relativi ai capannoni oggetto di intervento, che costituiscono quindi i cosidetti “Start Costs”. Per la loro determinazione si è fatto riferimento a dati e numeri forniti da fonti dirette costituite da imprese locali, e quindi tramite stima comparativa. In relazione ai costi indiretti, essi sono stati suddivisi in: -spese tecniche -imprevisti La spese tecniche sono state conteggiate come percentuale (5%) sul costo totale di trasformazione, mentre gli imprevisti si conteggiano come percentuale al 10% essendo un intervento di riuso e quindi con un rischio di spese impreviste maggiori rispetto ad un intervento di nuova costruzione. Per quanto riguarda i costi relativi agli oneri di urbanizzazione, questi non vengono conteggiati in quanto si prevede di cedere al comune parte degli spazi trasformati, per la comunità, al fine di soccombere la cifra relativa agli oneri. I costi sono stati determinati dalla consultazione del “DEI” e contattando imprese della zona.

COSTI DIRETTI: START COSTS

>>> COSTI DI TRASFORMAZIONE (Kc) Spazi da riqualificare

Destinazione Destinazione Sup. Kc: Tot Kc: attuale futura commerciale: €/m2 € 1 Dismesso Espositivo 4.160 700 2.912.000 2 Dismesso Commerciale 1.116 1.200 1.339.200 2.1 Dismesso Bar/ristorazione 220 1.300 286.000 3 Dismesso Residenze 9.361 1.500 14.041.050 4 Dismesso Uffici/terziario 2.633 1.300 3.422.900 5 Dismesso Opere al comune 970 700 679.000 Tot 22.680.150€ >>> COSTI DI IDONEIZZAZIONE Spazi da demolire Destinazione Destinazione Sup. Kc: Tot Kc: attuale futura commerciale: €/m2 € 6 Ex palazzina uffici /// 510 0,8 408 7 Ex capannone macchine /// 580 0,8 464 8 Ex refettorio /// 460 0,8 368 9 Ex tunnel binari /// 1245 0,8 996 Superfici esterne (involucro) da riqualificare 10 Facciate 5088 119 605.472 11 Coperture 12400 186 2.306.400 Superficie da scavare 13 Ex capannone macchine Teatro all'aperto 585 1,5 878 Tot 2.914.986€ 507


COSTI INDIRETTI

>>> SPESE TECNICHE 5% Tot: € Spese 1.279.756,78 >>> IMPREVISTI 10% Tot: € Imprevisti 2.559.513,55

>>> COSTI COMPLESSIVI Totale Somma costi diretti ed indiretti 29.434.406 €

508


>>> Valore di vendita residenziale In grassetto si indicano immobili di nuova costruzione; si considera una media tra il valore di vendita di questi essendo le residenze di progetto di nuova costruzione. Zona

3. Stima del valore di mercato

Per quantificare i ricavi ottenibili dalla vendita degli immobili, dopo la trasformazione, e la locazione di una parte di questi, si attua una stima sintetico comparativa considerando alcuni casi simili nella zona urbana limitrofa all’area di progetto. Si sono moltiplicati quindi i parametri di progetto relativi ai canoni di locazione per le relative consistenze, ottenendo l’importo del canone mensile ottenibile. Per quanto riguarda la vendita si è adottato lo stesso metodo di calcolo. Non sono stati trovati immobili di nuova costruzione relativi a spazi commerciali, ristorativi e del terziario: per questo motivo il valore di mercato medio è stato maggiorato del 30%.

Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma

prezzo di vendita: € 200.000,00 € 135.000,00 € 93.000,00 € 165.000,00 € 180.000,00 € 490.000,00 € 170.000.00 € 530.000,00 € 119.000,00 € 238.000,00 € 190.000,00 € 169.000,00 € 208.000,00 € 194.000,00 € 118.000,00 € 160.000,00 € 390.000,00 € 95.000,00 € 180.000,00 € 199.500,00 € 194.000,00 € 208.000,00 € 118.000,00 € 118.000,00 € 118.000,00 € 167.500,00 € 150.000,00 € 160.000,00 € 330.000,00 € 200.000,00 € 150.000,00 € 100.000,00 € 189.000,00 € 119.000,00 €

superficie m2 117,00 87,00 40,00 85,00 105,00 232,00 100,00 260,00 80,00 105,00 100,00 110,00 100,00 93,00 79,00 76,00 240,00 45,00 105,00 98,00 93,00 100,00 79,00 78,00 75,00 89,00 105,00 62,00 198,00 140,00 105,00 75,00 117,00 85,00

mq mq mq mq mq mq mq mq mq mq mq mq mq mq mq mq mq mq mq mq mq mq mq mq mq mq mq mq mq mq mq mq mq mq

Valore di mercato medio

€/mq 1709,40 €/mq 1551,72 €/mq 2325,00 €/mq 1941,18 €/mq 1714,29 €/mq 2112,07 €/mq 1700,00 €/mq 2038,46 €/mq 1487,50 €/mq 2266,67 €/mq 1900,00 €/mq 1536,36 €/mq 2080,00 €/mq 2086,02 €/mq 1493,67 €/mq 2105,26 €/mq 1625,00 €/mq 2111,11 €/mq 1714,29 €/mq 2035,71 €/mq 2086,02 €/mq 2080,00 €/mq 1493,67 €/mq 1512,82 €/mq 1573,33 €/mq 1882,02 €/mq 1428,57 €/mq 2580,65 €/mq 1666,67 €/mq 1428,57 €/mq 1428,57 €/mq 1333,33 €/mq 1615,38 €/mq 1400,00 €/mq 2153,75 €/mq 509


>>>

Valore di vendita commerciale

Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma

120.000,00 € 240.000,00 € 130.000,00 € 320.000,00 € 230.000,00 € 780.000,00 €

92,00 230,00 80,00 300 150 650

mq mq mq mq mq mq

1304,35 1043,48 1625,00 1066,67 1533,33 1200,00

€/mq €/mq €/mq €/mq €/mq €/mq

Valore di mercato medio 1295,47 €/mq + 30% = 1684,11 >>>

Valore di vendita ristorazione

Borgo Roma 250.000,00 € 180,00 mq 1388,89 €/mq Valore di mercato medio

>>>

1388,89 €/mq + 30% = 1850,56

Valore di vendita uffici/terziatio

Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma Borgo Roma

475.000,00 € 190.125,00 € 731.250,00 € 250.000,00 €

190,00 180,00 394,00 225,00

mq mq mq mq

2500,00 1056,25 1855,96 1111,11

€/mq €/mq €/mq €/mq

Valore di mercato medio 1630,83 €/mq + 30% = 2120,08

>>>

Valore di locazione spazi espositivi

Fiera 3.000,00 € 10,00 mq 300,00 Fiera 6.973,00 € 21,00 mq 332,05 Fiera 4.992,00 € 14,00 mq 356,57 Valore di mercato medio 329,54 510

€/mq €/mq €/mq €/mq - mese


VALORI DI VENDITA E LOCAZIONE

>>>

Tabella riassuntiva valori di vendita e locazione

Residenziale

€/mq 2.153,75

Commerciale

1.684,11

Terziario/uffici

2.120,08

Ristorazione

1.805,56 €/mq - mese

Espositivi

329,54

511


4. Stima dei ricavi

La strategia economica che si decide di adottare prevede la vendita di tutti quegli spazi che sono da dedicare a residenze, commerciale,terziario. L’ambito espositivo viene invece mantenuto dalla proprietà,la quale può ottenere entrate economiche anno per anno grazie alla vicina fiera. Per quanto riguarda tutte quelle funzioni definite fredde, vengono cedute al comune affinché possa garantire un servizio alla comunità. Non si considera il fattore tempo nel cronoprogramma di vendita e locazione, consapevole degli ulteriori costi che “lievitano” con il passare degli anni, per evitare di dover rincorrere a calcoli più complessi che debbano considerare anche il costo del debito, interessi e formule della matematica finanziaria. Quello che si vuole avere, è una panoramica generale sulla sostenibilità economica dell’intervento, in modo chiaro e commerciale, utile per comprendere il valore intrinseco nella riqualificazione dell’immobile e di come questa pùò incidere sull’investitore.

512

>>> RICAVI VENDITA Aumento del 30% sul valore di mercato dei beni individuati da stima comparativa riferiti a immobili non di nuova costruzione Destinazione Destinazione Sup. P a r a m e t r o Valore di attuale futura commerciale: unitario mercato: m €/m2 € 2 Dismesso Commerciale 1.116 1.684,11 1.879.469,35 2.1 Dismesso Bar/ristorazione 220 1.805,56 397.222,22 3 Dismesso Residenze 9.361 2.153,75 20.160.615,80 4 Dismesso Uffici/terziario 2.633 2.120,08 5.582.172,78 Totale ricavi vendita 28.019.480,15 €

>>> RICAVI LOCAZIONE Il valore di locazione viene calcolato presumendo un uso dei locali 10 mesi l’anno per il 50% del periodo considerato. La cifra, montante in regime di interesse semplice, viene poi attualizzata considerando un saggio di capitalizzazione pari al 6% (con i=1+6%) Destinazione Destinazione Sup. P a r a m e t r o Valore di attuale futura commerciale: unitario mercato: m €/m2 € 1 Dismesso Espositivo 4.160 329,54 6.466.439,05 Totale ricavi locazione 6.466.439,05 €


STIMA COSTI | RICAVI

>>> MARGINE ASSOLUTO Somma ricavi da vendita e locazione (con canone locazione portato, tramite strumenti della matematica finanziaria al termine dell'anno solare, con coefficiente di posticipazione (1+i*t) con saggio d'interesse pari al 6%. Il fattore di posticipazione q^n= 1 +i = 1,06.

RICAVI NETTI 34.485.919,21 €

COSTI 29.434.406 €

MARGINE ASSOLUTO 5.051.513,38 €

>>> MARGINE RELATIVO Uno strumento per capire se l’investimento sia fattibile economicamente, è calcolare il valore del margine relativo che si ottiene come indicato di seguito. Una percentuale di margine relativo compresa tra il 10 e il 20% è quella che solitamente un investitore spera di ottenere. MARGINE RELATIVO 14,55%

MARGINE ASSOLUTO RICAVI

513


TAVOLE DI PROGETTO Di seguito si raccolgono le tavole di progetto ridotte in formato 18x18 cm.

514


T1_PAESAGGI DEL TERRITORIO VERONESE 0 km

5 km

10 km

15 km

20 km

25 km

30 km

35 km

40 km

45 km

PAESAGGI DEL TERRITORIO VERONESE

5 km

10 km

15 km

20 km

25 km

30 km

35 km

40 km

45 km

1

515


T2_TAVOLA SINOTTICA 0 km

5 km

10 km

15 km

20 km

25 km

30 km

35 km

40 km

45 km

TAVOLA SINOTTICA

classi di tessuto residenziale

aree industriali, commerciali, a servizio pubblico

rete ecologica, spazi aperti

o blic pub rde a ve aree

ali rur ze den resi

5 km

arb us tet ie aree in costruzione

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10 km

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15 km

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20 km

2

516

ci bli ub zi p rvi a se

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T3_MORFOLOGIA URBANA 0 km

3 km

6 km

9 km

12 km

15 km

18 km

21 km

24 km

27 km

MORFOLOGIA URBANA

3 km

elementi urbani caratterizzanti

per iniziare a comprendere le scelte progettuali

>>>

arsenale centro città mura austriache

6 km

porta Vescovo

porta Nuova

fiera

quartiere Golosine

quartiere Borgo Roma

lavoro

ZAI

viale del

A4

A4

Verona sud

9 km

comparto urbano d’interesse

>>>

edifici per anno di costruzione

Z

A

I

zonagricolaindustriale

12 km

5 km2ca.

area industriale dismessa

>>>

E

V

A

EsportatoriVeronesiAssociati

27 000m 2ca.

15 km

morfologia dei tessuti urbani

Z

>>>

centro città dentro le mura romane

A

I

zonagricolaindustriale

>>>

centro città dentro le mura medioevali

tessuto prevalentemente residenziale anni ‘70-80

tessuto prevalentemente residenziale anni ‘60-70

tessuto prevalentemente residenziale anni ‘60

tessuto residenziale diffuso periferico

tessuto prevalentemente artigianale-industriale isolati lunghi, sproporzionati rispetto al transito pedonale

3

517


T4_MAPPATURA DI VERONA SUD 0 km

0,75 km

1,50 km

2,25 km

3,00 km

3,75 km

4,50 km

5,25 km

6,0 km

6,75 km

MAPPATURA DELLA ZAI VERONESE Oggi la fabbrica permane come metafora di un microcosmo urbano, pur non possedendo più quell’aspetto di luogo della vita sociale esclusivamente finalizzato alla produzione.

Problematiche di quartiere presenti e da risolvere

isole di calore

mancanza di corridoi verdi sistema delle aree a servizio dell’istruzione

sistema delle aree a verde pubblico

sistema delle aree sportive

sistema delle aree a servizio ospedaliero

traffico elevato le industrie sono isolate dalla strada da alti muri di cinta

morfologie urbane differenti

0,75 km

mancanza polo aggregativo

il quartiere è saturo di centri commerciali

molte aree dismesse: percezione negativa

1,50 km

legenda mappa aree dei servizi pubblici

mancano servizi ai cittadini

sistema delle aree dei servizi pubblici

sistema delle fermate del trasporto urbano

sistema delle strutture religiose

area di progetto: ex Magazzini Eva

la zai come cesura tra quartieri residenziali

sistema delle stazioni del servizio Verona-bike

>>>

Quali sono i caratteri morfologici-urbani della Zai?

Quali sono i segni rintracciabili?

2,25 km

1,2_sistema insediativo di inizio ‘900 in via del Perlar

3,0 km

3,75 km

legenda mappa aree a destinazione industriale-artigianale

sistema delle aree industriali

3,4_una fabbrica dismessa ed elementi della segnaletica stradale in via Francia

sistema delle aree dell’agroindustriale

sistema delle aree artigianali di servizio 5,6_degrado, resti dei vecchi binari e segnaletica stradale con indicazioni per la fiera (via Germania)

sistema delle aree della logistica-magazzini

area di progetto: ex Magazzini Eva

7,8_capannone in semi-abbandono e case sparse all’interno del tessuto industriale

9,10_recinti e coperture tipiche del tessuto artigianale-industriale 4,50 km

sistema della fiera di Verona

5,25 km

legenda mappa aree a destinazione commerciale-terziaria

11,12_area dismessa in via Pacinotti e un muro recentemente riqualificato con episodi di street-art

sistema delle aree commerciali

centri commerciali ex novo su aree dismesse

13,14_parcheggio multipiano in via dell’artigianato e alcuni stabili ad utilizzo misto

sistema delle strutture ricettive-alberghiere

sistema delle strutture del settore terziario-direzionale

15,16_capannone abbandonato in via Leida e riqualificazione del parco di Santa Teresa in via dell’industria (sullo sfondo l’ex mercato ortofrutticolo)

area di progetto: ex Magazzini Eva

4

518


T8_LUOGHI DISMESSI: PASSATO, PRESENTE, FUTURO 0,0 km

1,5 km

3,0 km

4,5 km

LUOGHI DISMESSI: PASSATO, PRESENTE, FUTURO “..la decadenza e la privatizzazione dello spazio pubblico e l’indifferenza per il suo disegno, la marginalizzazione della questione delle abitazioni delle classi povere, l’assenza della polifunzionalità, specie nelle parti urbane periferiche in cui sovente alla sparizione della fabbrica come centro di aggregazione sociale si è sostituito il centro commerciale.” Vittorio Gregotti

fabbricati dismessi

aree in attesa di destinazione d’uso

fabbricati in previsione di riconversione

area di progetto: ex Magazzini Eva

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1924

1975

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1

6

I Magazzini Generali nascono nel 1924 come struttura a servizio dell’agricoltura, per l’immagazzinaggio delle merci estere e nazionali, per il deposito del grano e per la disponibilità di un impianto frigorifero adatto alla conservazione delle carni e dei prodotti ortofrutticoli. L’attività frigorifera ben presto fu non sufficiente. Si costruisce così una grande cella per la refrigerazione dei vagoni, la più grande d’Italia, inaugurata nel 1928. L’impianto risultò tuttavia insufficiente a soddisfare le domande degli esportatori: nel 1929 si decide di costruire uno stabilimento specializzato nel trattamento frigorifero. Con il tempo rimase il problema di avere maggiori spazi da destinare ad attività complementari. Terminata la guerra, nel 1945 l’Ente si ritrova con la gran parte degli impianti danneggiati. La fine della ricostruzione degli impianti, segna per i Magazzini anche l’inizio di un progressivo e inesorabile decadimento delle attività tradizionali. Inoltre la concorrenza dei frigoriferi privati, intorno agli anni ‘50, rende sempre meno indispensabile la stazione frigorifera per la conservazione di alimenti. Nel 1975 i magazzini vengono trasferiti al Quadrante Europa, fuori città. Il lento processo di dismissione, ha portato al degrado dei luoghi che, però, negli ultimi anni ha visto progetti di riqualificazione. Nelle previsioni urbanistiche, l’area degli ex magazzini sarebbe dovuta divenire un polo culturale, con tanto di auditorium all’interno della rotonda. Il progetto si è però tramutato nella realizzazione di un centro direzionale-commerciale, e la rotonda verrà trasformata in un enorme ristorante. Alcuni edifici sono già stata ristrutturati, ad ospitare la sede dell’Ordine degli Architetti e quello dell’Ingegneri e l’Archivio di Stato, la sede della banca Unicredit, l’Archivio di Stato e la sede di alcune associazioni.

Magazzini Generali Manifattura Tabacchi

2002

Sul territorio veronese insistono 555 spazi in disuso, per una superficie complessiva di 2.636.570 m²

“La categoria del vuoto viene, declinata rispetto alle diverse matrici culturali che l’hanno storicamente definita: ai vuoti di relazione della città storica si affiancano, così, i vuoti dell’abbandono e del residuo.”

Mercato Ortofrutticolo

43 000 m

2

1982

Magazzini Eva

120 000 m

2

Il complesso è da sempre gestito dal Comune, trasferito in ZAI nel 1952 su una superficie di oltre 100 mila mq., da semplice centro annonario al servizio dei dettaglianti cittadini ha avuto negli anni un’espansione notevole registrando dal 1952 al 1971 uno sviluppo pari al 550 per cento. Da mercato di produzione locale e divenuto il centro di smistamento per gran parte dell’italia nord orientale. La merce in transito copriva infatti 1180 per cento del commercio del mercato, di cui gran parte diretto nei Paesi del Mec. Proprio questa nuova dimensione europea del Mercato ortofrutticolo esige per tutti i lavori che concernono il movimento dei prodotti agricoli diretti sui mercati della CEE la selezione qualitativa e il confezionamento delle merci, purchè erano necessarie nuove radicali ristrutturazioni. Il Mercato ortofrutticolo fu ben presto destinato a vedere il suo futuro in funzione del trasferimento nel “Quadrante Europa”. Negli ultimi anni, lo spazio asfaltato antistante il Mercato è utilizzato a parcheggio a servizio della fiera; tuttavia sono in corso lavori di riqualificazione e rifunzionalizzazione degli stabili per essere utilizzati privatamente in connessione al nuovo ristorante Eataly che si insedierà all’interno della rotonda dei magazzini generali.

2

1952

27 000 m

2

I magazzini, costruiti nel dopo guerra, si inseriscono poco lontano dall’asse del viale del Lavoro, al margine rispetto al quartiere residenziale di Borgo Roma. Come visto in precedenza, la società che all’epoca li gestiva (Esportatori Veronesi Associati) commerciava merce ortofrutticola in tutta Europa, avvalendosi del trasporto su ferro, i binari sono tutt’ora presenti, e grazie alle celle frigorifere conservava gli alimenti. Attualmente, appartengono agli eredi dei soci storici, ma riversano in dismissione ed abbandono. Le strutture interne non sono collassate e sono tutt’ora in buono stato, essendo costruti in calcestruzzo armato nelle parti portanti. Nonostante il buono stato di conservazione, la proprietà ha manifestato l’interesse a riformulare la destinazione urbanistica nel piano degli interventi nel 2011. La proposta vede la demolizione dei capannoni con ricostruzione di spazi commerciali e ricettivi: un ulteriore esempio di pianificazione non partecipata e in linea con gli altri progetti previsti.

1985

3

1952

2004

Il lanificio rappresenta il più interessante esempio di imprenditoria estera sul territorio veronese. Costruito ad inizio ‘900 ad est del centro cittadino, nel quartiere di San Michele. Lo sviluppo dello stabilimento fu molto rapido: già nel 1925 il lanificio diede lavoro a centinaia di persone. Nella seconda guerra mondiale non venne mai bombardato, preservando quella zona della città veronese. Nel periodo postbellico il lanificio subì diversi lavori di ampliamento e adeguamento alle nuove tecnologie; vennero riedificati gli edifici sul fronte strada e reimpostata la disposizione interna di alcuni locali. Ma dal 1970 cominciò la crisi, aggravata ulteriormente da un incendio: una serie di amminsitratori si susseguirono ed iniziarono i licenziamenti, fino alla chiusura nel 2004. Il forte degrado dell’area, luogo di spaccio e di alloggio di senzatetto, ha portato i proprietari, congiuntamente all’amminsitrazione, alla demolizione del lanificio. La ciminiera è uno dei pochi elementi che vengono preservati. La riqualificazione dell’area, secondo Piano degli Interventi, prevede la costruzione di un centro commerciale (l’ennesimo), di un albergo e di altri edifici residenziali e una piccola zona a museo attorno alla ciminiera, a memoria della fabbrica dismessa.

102 000 m2

La direzione compartimentale dell’AAMS (Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato) con sede a Verona, nei decenni scorsi, controllava il commercio del tabacco in tutto il nord-est d’Italia. I dipendenti delle manifatture erano controllati rigidamente dallo Stato e vivevano secondo una disciplina dura, quasi militare. Negli anni ‘50 dello scorso secolo, le tonnellate di tabacco che giunsero a Verona erano un numero significativo. Nei periodi d’oro, la manifattura era arrivata a far lavorare fino a 480 persone. Dopo 90 anni di attività, ha chiuso i battenti ed è attualmente in stato di degrado dopo l’abbandono e i passaggi di proprietà. Nel complesso produttivo dismesso, di proprietà della società Quadrifoglio Verona, una cordata di imprenditori veronesi e milanesi che da diversi anni ha un progetto di riconversione in albergo, uffici e negozi - la Fiera ambirebbe a insediare un percorso dalla stazione di Porta Nuova fino al quartiere fieristico. Con un accesso adeguato, con tapis roulant, un edificio alberghiero che funga da reception, servizi di alto livello per operatori ed espositori nelle rassegne. Numerose possibilità di sviluppo nascerebbero quindi dall’ex manifattura; il nodo

1912

gi

Lanificio Tiberghien

200 000 m2

Cartiere Fedrigoni

100 000 m2

La storia delle cartiere Fedrigoni iniziò il 17 gennaio 1725 quando Giovanni Fedrigoni acquistò un terreno di 705 pertiche sul torrente Leno nei pressi di Rovereto. Indebitandosi, avviò una cartiera che produceva “carta da scrivere, cartoni sortiti, carta da libro, carta da strazzo”. Dopo un periodo di crisi, le cartiere Fedrigoni tornarono ad esistere il 9 gennaio 1888 quando Giuseppe Antonio Fedrigoni costituì una società in accomandita semplice fondando la cartiera di Verona. L’idea alla base del progetto fu quella di utilizzare la forza motrice offerta dal canale industriale Camuzzoni che era stato appena realizzato. Fu infatti uno dei primi imprenditori a chiedere di utilizzare le acque del canale. Fedrigoni ottenne l’utilizzo di 10 000 metri quadrati di terreno in località Basso Acquar. Durante i decenni la società si è espansa in tutto il mondo, dando lavoro a migliaia di persone, prendendo anche la lavorazione della carta Fabriano. Nel 2016 l’azienda viene ceduta a mano USA. Una parte degli edifici storici della cartiera in ZAI sono in attuale stato di degrado. La previsione urbanistica per un’area di circa 73 mila m2 è quella di realizzare un altro centro commerciale, in posizione strategica rispetto al centro e alle infrastrutture.

5

4

1907

2018

1888

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519


T5-6_NASCITA, STORIA, EVOLUZIONE DI VERONA SUD NASCITA, STORIA, EVOLUZIONE DI VERONA SUD

Dopo l’Unità d’Italia, nella città di Verona, dove l’agricoltura faceva da padrona, la risorsa dell’Adige doveva essere valorizzata sensibilmente, soprattutto a livello “industriale”, attraverso la produzione di energia idroelettrica, fondamentale per aprire la strada al decollo industriale cittadino. Il nuovo canale Basso Acquar, sancì la nascita successiva delle industrie deputate al rilancio economico della città. Divenne infatti centro di attività manifatturiera, coinvolto nel progetto di politiche agrarie provinciali, protagonista economico per la numerosa popolazione del centro urbano.

cartiere Fedrigoni L’ex mercato ortofrutticolo, in una foto degli anni ‘60, trovò spazio a sud rispetto ai magazzini generali nel 1952. I lunghi edifici, realizzati completamente in archi parabolici in cemento armato, furono fondamentali per il commercio di frutta e verdura oltre confine. Nel 1972 venne realizzato il Quadrante Europa, all’incrocio tra l’autostrada del Brennero e la tangenziale nord di Verona: l’area di 220 000 m2 andò rapidamente a sostiuire il vecchio merca-

stazione magazzini generali

fiera

1895

stazione di Verona Porta Nuova

cesura netta

della zona sud della città e tra i quartieri operai realizzati nel secondo dopo guerra rispettivamente ad est e ad ovest dell’infrastruttura

1945-46

Costruzione dell’autostrada del Brennero e la Milano-Venezia e del casello autostradale in zona Z.A.I..

manifattura tabacchi

<<<

fiera

magazzini generali

<<<

dal Piano di ricostruzione era previsto lo spostamento a sud del Campo della Fiera e del Foro Boario, costituendo la futura destinazione a zona Agricolo-Industriale.

<<<

Nel Piano di Ricostruzione e nel nuovo P.R.G. (Arch.Plinio Marconi) si prevede il trasferimento della Fiera e del Foro Boario nell’area a sud della città, vicino ai Magazzini Generali.

magazzini E.V.A.

I primi vagoni merci iniziarono a tra re all’interno del centro fin dal 1962 zie all’iniziativa di un consorzio di im se che utilizzavano il servizio ferro per l’approvvigionamento delle m prime.

Il Macello e Centro carni entrano in zione nel dicembre e si stabilizza ZAI, occupando una vasta area di 6 mq.; perfettamente integrato a tale tura di macellazione sorge il Foro b sede di un importantissimo commer bestiame.

Verona sud

1971

Interventi di ricostruzione nelle Cartiere di Verona e nella Manifattura Tabacchi, a seguito dei gravissimi danni subiti nel bombardamento del 4/1/1944 e del 8/7/1944. Alla fine degli anni ‘50 nella zona ZAI si trovano: i Magazzini Generali, la Fiera, il Mercato Ortofrutticolo, la Manifattura Tabacchi e il Foro Boario. Queste aree si trovano in stretto legame con l’asse viario di viale del lavoro.

e la vocazione prettamente agricola

1948 1924-1926

Redazione dei primi piani di espansione che daranno origine ai quartieri di B.go Roma e Golosine/S. Lucia, nati dallo sviluppo di piccoli centri abitati presenti sulle importanti via di collegamento verso sud (verso Mantova e Villafranca).

1928-1929

Fondazione di un ente autonomo formato da Provincia, Comune e Camera di Commercio per la costruzione dei Magazzini Generali di Verona, sull’area di pertinenza militare a sud dello scalo merci, nel luogo dove sorgeva il Forte Clam. Tale struttura era destinata alla raccolta, smistamento e conservazione di prodotti ortofrutticoli e cerealicoli. Il complesso subisce ulteriori ampliamenti nel periodo 1930-1940 per far fronte all’aumento del traffico merci.

1930-1933

Nel primo P.R.G. della città (Chiodi-Merlo) si conferma il carattere produttivo della zona sud della città, oltre la ferrovia, nella quale inserire anche i nuovi quartieri operai; mentre per quanto riguarda le comunicazioni si cerca di inserire le aree industriali sud in una gerarchizzazione della viabilità basata su un sistema di anelli concentrici, intersecati da radiali uscenti dal centro.

1930-1932

Costruzione Magazzini Generali

1927

Demolizione forte Clam

Costruzione del complesso delle Cartiere di Verona, che occupano l’area del precedente Cotonificio Franchini. Successivamente verranno ampliate nel 1961. Realizzazione del magazzino per i tabacchi greggi e successivamente degli altri edifici della Manifattura Tabacchi. L’intero complesso verrà inaugurato nel 1940. Inizia ad essere prodotta la carta e il cartone all’interno della Cartiere, facenti ora parte del gruppo “Società Editrice Arnoldo Mondadori”.

1950

>>>

1920

elemento architettonico di difesa austriaco alle porte della città antica

(esportatori Veronesi associati) su una superficie di 27 254 m2

Nasce il consorzio ZAI Con D.L. n° 579 si dà luogo alla formazione della Z.A.I. e al trasferimento dal centro città della Fiera Internazionale dell’Agricoltura su di un area di 300.000 mq davanti ai Magazzini Generali; si confermano pertanto le scelte di destinare la zona sud della città ad insediamento industriale e commerciale. Nei primi anni di vita, il Consorzio ZAI gradualmente acquisisce numerosi terreni dai piccoli proprietari della zona, dichiarata di pubblica utilità, ed in un secondo momento distribuisce ad un prezzo calmierato appezzamenti di terreno favorendo la tradizionale vocazione ortofrutticola. La superficie controllata dal consorzio era di 620 ettari.

>>>

PRG dell’Arch. Plinio Marconi Il piano regolatore generale, in ballo già dal 1951, vede la creazione a sud della città di una “regione produttiva”, con la conseguente espansione dei quartiere residenziali in questa direzione.

nodo strategico

per la rete stradale e ferroviaria dell’epoca

su un’area di 76 628 m2 sorgeranno i magazzini

luogo primario e cardine

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>>

per la realizzazione dei primi insediamenti industriali della Verona di inizio ‘900

>

direzione dell’espansione urbana nei decenni successivi

>

Tra il 1848 e il 1850 venne realizzato il forte austriaco in posizione strategica a 1100 m dalla stazione di Porta Nuova. L’impianto è asimmetrico a semiottagono allungato. Faceva sistema con i forte Palio e Torre Tombetta, con la quale formava il cardine orientale, sull’Adige, dello schieramento fortificato. Il forte venne distrutto durante la prima guerra mondiale; tuttavia restano delle tracce sotto terra dove ora sono localizzati gli ex Magazzini Generali.

costruzione autostrada Serenissima I magazzini generali nascono alla fine degli anni ‘20. L’importanza di questi edifici all’interno del panorama dell’epoca è data dalla presenza della stazione frigorifera realizzata nel 1931, la prima d’Italia. Verona inizia in questo periodo ad esportare in tutta Europa. Nel corso dei decenni si costruiscono nuovi edifici e da un nucleo isolato ai margini della città inizierà a sorgere la ZAI: Zona Artigianale Industriale.

linea ferroviaria

che passava dalle due stazioni di Verona Porta Nuova e Verona Porta Vescovo

in blu sono individuati i comparti manifatturieri

agglomerati urbani Tombetta e Tomba nel dopo-guerra si svilupperà il quartiere operaio

in lilla le aree di espansione a vocazione industriale

di Borgo Roma

via Mantovana

5

Realizzazione del Viadotto tra l’asse Piave – Viale del Lavoro e via Sant resa, via Tombetta e Stradone Sant cia, intersecato dal raccordo ferro con i Magazzini Generali, per riso l’incrocio allora complanare. Conte gegneria concorre al bando di ap integrato di progettazione e costru con l’Impresa Lonardi. L’altezza ric dalla linea ferroviaria condizionò l ma particolarmente arcuata del viad la costruzione dei traversi delle pile agli impalcati furono integralmente strializzati e prefabbricati con tec innovative e all’avanguardia per l’ep

1952

1945 1924

1907

>>> forte Porta Nuova o forte Clam

Nascita industria ortofrutticola E.V.A.

decollo della produzione or-

tofrutticola gravitante attorno al centro cittadino.

1958

1868

1947

ZAI

al

1865

Variante del P.R.G. che prevedeva n aree per il rapido sviluppo delle zo sidenziali di Golosine/S. Lucia e B Roma, sviluppatesi su griglie di una ficazione sommaria.

1962

Costituzione di un consorzio per dare vita ad una Zona Agricolo-Industriale (Z.A.I.) che prevedeva l’insediamento di un’area agro-alimentare in grado di ospitare attività miste di carattere manifatturiero, di trasformazione dei prodotti agricoli e commerciale. L’asse portante di tutto questo insediamento a cuneo tra Borgo Roma e Golosine è stato il prolungamento per circa 2 km del viale che congiungeva Porta Nuova con i Magazzini Generali, l’attuale viale del Lavoro.

Dopo la prima guerra mondiale, la zona relativa al comprensorio del consorzio Agro Veronese riuscì a progredire sensibilmente, grazie

520

Variante del P.R.G. che prevedeva n aree per il rapido sviluppo delle zo sidenziali di Golosine/S. Lucia e B Roma, sviluppatesi su griglie di una ficazione sommaria.

1966

1950-53 1948 Redazione dei primi piani di espansione che daranno origine

ai quartieri di B.go Roma e Golosine/S. Lucia, nati dallo sviluppo di piccoli centri abitati presenti sulle importanti via di collegamento verso sud (verso Mantova e Villafranca).

quartiere di Borgo Roma

ZAI

con il corso Porta Nuova sullo sfondo

scalo ferroviario

Ad inizio secolo, la zona sud di Verona fuori le mura, era sviluppara sugli assi viari principali: ad ovest verso le campagne di San Giovanni Lupatoto, ad est verso il Mantovano. I primi nuclei abitati Tomba, Tombetta, il forte Azzano erano circondati dai campi agricoli, sostegno economico per la città dell’epoca. Da questi primi agglomerati nei decenni successivi si svilupperà il comparto di Verona sud con nuovi edifici, capannoni ed imprese.

quartiere delle Golosine e di Santa Lucia

viale del lavoro

Il Mercato ortofrutticolo, gestito dall’amministrazione comunale, venne trasferito nella nascente ZAI su una superficie di 100 000 m2.

<<<

scalo ferroviario Verona Porta Nuova

Una prima fase di insediamento di imprese esterne si conclude nel marzo del 1955, quando risultano ben 42 ditte insediate su un totale di territorio pari a 224 624 m2 .

1957-58

1952

realizzato in concomitanza alle decisioni urbanistiche che denotano la destinazione dell’ambito di Verona sud

1957-58

1955

pesantemente segnata dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale

asse dell’attuale viale del lavoro

>>>

mercato ortofrutticolo

<<<

fiera di Verona nel dopo guerra

manifattura tabacchi


1957-58

Variante del P.R.G. che prevedeva nuove aree per il rapido sviluppo delle zone residenziali di Golosine/S. Lucia e Borgo Roma, sviluppatesi su griglie di una pianificazione sommaria.

1957-58

lo

Variante del P.R.G. che prevedeva nuove aree per il rapido sviluppo delle zone residenziali di Golosine/S. Lucia e Borgo Roma, sviluppatesi su griglie di una pianificazione sommaria.

calo oviario In questo periodo, molte aziende in ZAI stanno chiudendo a causa della costruzione di nuove sedi aziendali dislocate altrove che si dimostreranno spesso un flop a livello economico.

Oggi un gran numero di insediamenti sono dismessi o in fase di dismissione. Le prospettive di recupero che si stanno delineando vedono un’indirizzamento verso la demolizione dei manufatti o la riconversione in strutture che non rispondono alle necessità urbane di quella che sempre più risulta essere una frattura all’interno del tessuto della città.

Il Macello e Centro carni entrano in funzione nel dicembre e si stabilizzano in ZAI, occupando una vasta area di 60000 mq.; perfettamente integrato a tale struttura di macellazione sorge il Foro boario, sede di un importantissimo commercio di bestiame.

ni

Realizzazione Quadrante Europa

1952

1990 1998 1998

1957 Deposito marchio impresa E.V.A. alla Camera di Commercio

in blu sono individuati i comparti manifatturieri

in lilla le aree di espansione a vocazione industriale

2030

2018 Dismissione mercato ortofrutticolo

1982

già ella la re-

2010

1972

>>>

1998

Realizzazione del Viadotto tra l’asse Viale Piave – Viale del Lavoro e via Santa Teresa, via Tombetta e Stradone Santa Lucia, intersecato dal raccordo ferroviario con i Magazzini Generali, per risolvere l’incrocio allora complanare. Contec Ingegneria concorre al bando di appalto integrato di progettazione e costruzione con l’Impresa Lonardi. L’altezza richiesta dalla linea ferroviaria condizionò la forma particolarmente arcuata del viadotto; la costruzione dei traversi delle pile oltre agli impalcati furono integralmente industrializzati e prefabbricati con tecniche innovative e all’avanguardia per l’epoca.

1971

1971

magazzini E.V.A.

I primi vagoni merci iniziarono a transitare all’interno del centro fin dal 1962, grazie all’iniziativa di un consorzio di imprese che utilizzavano il servizio ferroviario per l’approvvigionamento delle materie prime.

1987

1966

1962

magazzini generali

Dismissione progressiva dei Magazzini Generali e del Mercato Ortofrutticolo in seguito alla creazione del nodo intermodale del Quadrante Europa, meglio servito a livello delle comunicazioni stradali (autostrada Milano-Venezia e Modena-Brennero) e per la vicinanza con l’aeroporto civile di Verona Villafranca, allora in fase di potenziamento.

Formulazione dello Studio di Fattibilità per il Recupero delle aree degli ex Magazzini Generali dell’ex Mercato Ortofrutticolo (Prof. Marcello Vittorini) che prende coscienza dell’importanza di un recupero globale della Z.A.I. storica sulla base delle recenti trasformazione della città e della società.

Imposizione del vincolo della Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici di Verona sulle aree di Archeologia Industriale, che di fatto tutela tutta l’area dei Magazzini Generali e del Mercato Ortofrutticolo, e non solo gli edifici monumentali, ma anche il loro stesso muro di cinta.

Presentazione del P.R.U.S.S.T. (Programma di Riqualificazione Urbana e Sviluppo Sostenibile del Territorio) del Prof. Franco Mancuso, proposto dal Comune di Verona per le aree centrali della Z.A.I. con il quale si ribadisce che le nuove scelte relative alla nuova edificazione vanno prese tenendo conto soprattutto dell’urgenza e della necessità di una ristrutturazione urbanistica profonda della parte centrale della Z.A.I. storica.

Durante gli anni ‘50 vengono costruiti i magazzini EVA; all’interno veniva smistata e conservata la materia ortofrutticola. Questo era possibile grazie alle celle frigorifere presenti che beh presto faranno della società la più importante ad operare in quegli anni oltre confine. Si stima che nel periodo estivo lavorassero circa 500 persone; questa realtà sfavorirà la funzione che ebbero nei decenni precedenti i magazzini generali. I magazzini EVA vennero costruiti dall’impresa storica di Verona, la Mazzi srl, con l’allora capo Eros Mazzi; l’ingegnere Sagramoso redò i progetti nelle due fasi costruttive. Gli edifici, comprensivi di tecnologiche celle frigorifere, erano il fiore all’occhiello della Mazzi e vantarono il primato nell’export di materia ortofrutticola in tutta Europa.

quale futuro per la ZAI? 6

521


T8_MARGINI URBANI 0 km

0,5 km

1,0 km

1,5 km

2,0 km

2,5 km

3,0 km

3,5 km

4,0 km

MARGINI URBANI “Una fabbrica, una stazione ferroviaria, una strada a grande traffico sono – per antonomasia – luoghi di passaggio. Le presenze e la vita si condensano altrove.” Giorgio Cortenova

0,5 km

1

legenda mappa

2

1,0 km

3 sistema prevalentemente residenziale

4 5 13

sistema prevalentemente artigianale-industriale

9

6 7

1,5 km

aree urbane principali

rete infrastrutture naturali

12 rete infrastrutture principali

1 Ex Cartiere Fedrigoni >>> dismesse 2 Ex Manifattura Tabacchi >>> dismesse 3 Ex Magazzini Generali >>> in riqualificazione 4 Ex Mercato Ortofrutticolo >>> in riqualificazione 5 Fiera di Verona 6 Parcheggio multipiano 7 Forni Polin 8 Ex Officine Adige >>> demolizione - costruzione ex novo 9 Ex Foro Boario >>> demolizione - costruzione ex novo 10 Ex Forte Azzano >>> dismesso 11 Polo ospedaliero-universitario di Borgo Roma 12 Nuovo parco San Giacomo 13 Nuovo parco Santa Teresa

2,0 km

8

rete infrastrutture secondarie

2,5 km

10

11

rete infrastrutture di quartiere

area di progetto: ex Magazzini Eva

3,0 km

3,5 km

perimetro tessuto industriale denso

14 km ca.

superficie tessuto indusriale denso

5 km2 ca.

infrastrutture extra-urbane

ferrovia Brennero - Modena ferrovia Torino - Trieste ferrovia Verona - Mantova

strade di quartiere strade secondarie

viabilità urbana

strade principali

viabilità urbana

Porta Nuova Santa Lucia Golosine Zai

autostrada Milano - Venezia A4 asse viale del

8

522

quartieri Verona sud

lavoro - Zai cesura tra quartieri

Borgo roma Tombetta Borgo Roma Tomba Borgo Roma Policlinico


T9_OBIETTIVI E STRATEGIE DI PROGETTO OBIETTIVI E STRATEGIE DI PROGETTO

>>>

I

strategie

>>>

scelta del brano di città

I comprendere

dismissione

ture a botte o

t r a c ce

ione di te ssu t

elementi arc hit

eleme

ici carat ter is

i

rdo obo bord rd

rdo obo bord rd

>>>

rdo obo bord rd

rdo obo bord rd

>>>

>

>

>>>

rdo obo bord rd

obordo bo rd

>

nuove funzioni collettive e private

>>>

obordo bo rd

>>>

e in attuale stato di degrado

obordo bo rd

obordo bo rd

quartiere residenziale

>>>

innestare

un’area industriale dismessa

>>>

connessi dalla rete viaria ma contrastanti nella morfologia urbana

obordo bo rd

II

riqualificando

differenti,

ordobordo ob

mix funzionale

obordo bo rd

rdo obo bord rd

i ordobordo ob

rdobordobo bo

II

quartiere residenziale

ordobordo ob

rdobordobo bo

BORGO ROMA

rdobordobo bo

ricucire due ambiti urbani

rdobordobo bo

II

ordobordo ob

ordobordo ob

ZAI

rdobordobo bo

rdobordobo bo

ordobordo ob

GOLOSINE

nti a

i caratteristic i

?

atteri tiplogic i

del suo involucro, dei suoi spazi, del suo intorno

ist mm co

car

ismessi

ermeabili imp

della fabbrica

etton hit rc

il carattere architettonico

ic on ett

ca

nel sistema isolato-fabbrica

reinterpretare

de i

ie

recinti di fab br i

as

d he

p er co

gli elementi ricorrenti

attura taba anif cch

a partire dalla storia e dal loro carattere urbano

I rintracciando

em

el latte le d

Zai

dismi ssi on

n

ri d na bi

ce

tra

dei luoghi in

issione magazz sm in di

rali ene ig

il ruolo e lo stato

proposte come agire

tic

obiettivi lettura della città

>>>

mix di funzioni

fiera

mercato ortofrutticolo

CENTRI CULTURALI

o arc

>>>

>>> >>>

>>>

>>>

a

San

>>>

sa p a rco Sa n ta Tere

>>>

parc o

>>> S a nta Tere s a

p

>>> supermercato

>>>

un’area al margine

e farla divenire un catalizzatore sociale per la popolazione stabile ma anche quella in movimento

>>>

>>>

SERVIZI OSPEDALIERI

fermate autobus

connessione verde esistente

>>>

>>> che abbia caratteristiche peculiarie e connessioni al sistema urbano capaci di attivare un nuovo ambito

progettare un polo attrattivo

>>>

uno spaZio al margine

pubblici

e di residenze di nuova costruzione nei quartieri residenziali limitrofi

III rivitalizzare

ta T eres

ad una carenZa di serviZi

>>>

scegliendo

>>>

rispondere

magazzini generali

III

>>>

ISTITUTI SCOLASTICI

>>>

III

?

>>> >>>

e di aggregazione

UNIVERSITA’ CIMITERO

viabilità principale

magazzini Eva !

523


TRIPARTIZIONE

>>>

progetto

scegliere i linguaggi giusti

soluzione nella tripartizione

conservare i caratteri originari

riattivare il dialogo

nti a

etton hit rc

leggere i significati simbolici

ici carat ter is

ricostruire i percorsi

tic

i

eleme

T10_TRIPARTIZIONE

>>>

rimozione: trasformazione semantica

percorsi

porzioni incongrue, volumi che non fanno leggere il carattere della tripartizione; porzioni di copertura che non permettono lo sviluppo delle nuove funzioni

ri-definizione degli spazi dalla lettura dei flussi

leggere i significati simbolici

dallo studio del contesto e dalla presa di coscienza della posizione strategica/al margine dell’area di progetto

524

valorizzare le macchine

temi

scegliere i linguaggi giusti

differenziare l’intervento

differenziare l’intervento

prestare attenzione agli spazi naturali

salvaguardare il contesto

distanza ricostruire i percorsi

scegliere i linguaggi giusti

differenziare l’intervento

salvaguardare il contesto

riattivare il dialogo

leggere i significati simbolici

recinto

mix funzionale

rde

METODOLOGIA

riattivare il dialogo

differenziare l’intervento

ri-lettura del ruolo del muro di cinta che caratterizza il luogo e la funzione che ospitava

scelta del metodo d’approccio per quanto riguarda le nuove funzioni da innestare; box in the box

leggere i significati simbolici

valorizzare le macchine

differenziare l’intervento

conservare i caratteri orginari

muro abitato riaprire l’area alla città attraverso un “dialogo” che abbia inizio dalla riattivazione degli spazi al bordo

riattivare il dialogo

scegliere i linguaggi giusti

prestare attenzione agli spazi naturali

salvaguardare il contesto


T10_SCARNIFICAZIONE SCARNIFICAZIONE

>>>

scarnificazione

archetipo della fabbrica

spazi per i cittadini

involucro

della tripartizione di fabbrica

demolizione

I

struttura in ferro box in the box

travi reticolari principali

individuazione

lettura degli spazi

scarnificazione

TRIPARTIZIONE

travi reticolari secondarie

elementi

costruttivo-architettonici

edificio macchine refrigerazione da demolire

della fabbrica

modularità struttura connessione verde

reversibilità degli spazi accessibilità del e dal muro di cinta

complementarietà usi e funzioni

pilastri

II

rimozione di elementi incongrui rispetto ai nuovi spazi da progettare

per mettere in luce lo scheletro strutturale, pur preservando l’involucro

tamponature di copertura da bonificare

solaio celle blocco sud da demolire

III

travi di copertura pensilina e oblò

innesto di nuove funzioni e spazi all’interno dell’involucro

box in the box

ingressi da riconfigurare

solaio tunnel binari da demolire

telaio pilastri - trave

tamponature di facciata da demolire

refettorio da demolire

edificio “ponte” d’ingresso da demolire

edificio “pesa” da demolire

525


T12_FOTOGRAFIE DELLO STATO ATTUALE FOTOGRAFIE DELLO STATO ATTUALE

>>>

ingresso principale dall’edificio ponte

>>>

spazi interni al recinto edifici costruiti negli anni ‘50

>>>

spazi interni al recinto edifici costruiti negli anni ‘50 e ‘60

>>>

spazi interni al recinto struttura-scheletro in ferro anni ‘70

>>>

elementi architettonici caratteristici delle forometrie

>>>

spazi interni

12

526


T3_PLANIMETRIA STATO DI FATTO 44,5 m

89 m

133,5 m

178 m

222,5 m

267 m

311,5 m

356 m

PLANIMETRIA STATO DI FATTO Le aree dismesse possono essere considerate una parte importante della realtà spaziale della rarefazione, proprio perché hanno svolto un ruolo primario per lo sviluppo urbano e, tutt’oggi, partecipano delle dinamiche trasformative della città come materiale “rimesso in gioco”.

44,5 m

nord

tr in cl 89 m

in

aa’

bb’

est

planimetria generale dello stato di fatto_1:500

prospetto est_1:200

13

527


T14_LETTURA DELLA FABBRICA 18 m

36 m

54 m

72 m

90 m

108 m

126 m

144 m

LETTURA DELLA FABBRICA

>>> fasi costruttive inizio anni ‘50

inizio anni ‘70 inizio anni ‘60

m m

4,3 m

c

26 m

d

d

i

c

d

17,5 m

26 m

l

6,75 m

tamponature in pietra locale e mattoni travi di copertura in cls precompresso e tamponature in laterocemento

l

8,75 m

g

g

4,5 m

travi di copertura in cls precompresso e tamponature in laterocemento

travi reticolari di copertura in ferro

tamponature in mattoni

struttura portante in cls armato

pilastri reticolari in ferro

struttura portante in cls armato

>>> lettura dello spazio

CONTINUO, INTERCONNESSO, TRIPARTITO, DEL LAVORO

percorsi dei mezzi di trasporto e dei lavoratori

modularità e struttura

d

h

c d

funzioni e spazi della fabbrica

a c

c

d

d d d

a

uffici nell’edificio d’ingresso e interni capannoni celle frigorifere capannoni transito automezzi

percorsi dei mezzi di trasporto su ruota

tunnel binario treni

percorsi dei lavoratori

g

percorsi dei mezzi di trasporto su ferro

g

f

percorsi della merce ortofrutticola

g

e e e e e e

capannoni lavorazione prodotti ortofrutticoli sala macchine refrigerazione

g m g i g i

officina refettorio

i a

l

sezione AA_1:200

sezione BB_1:200

tunnel binari prerifrigerato

banchina h. 1 m

tunnel binari prerifrigerato

banchina h. 1 m

campata celle frigorifere

campata carico/scarico merci

l

l

campata lavorazione prodotti

blocco tecnico con macchine controllo refrigerazione

banchina h. 1 m

rotaie treno

muro di perimetrazione h. 2,50 m

refettorio

14

528

spazi di servizio e deposito

i


T15_PIANTA ATTACCO A TERRA STATO DI FATTO 44,5 m

89 m

133,5 m

178 m

222,5 m

267 m

311,5 m

356 m

PIANTA ATTACCO A TERRA STATO DI FATTO

nord

aa’

bb’

est

pianta attacco a terra dello stato di fatto_1:500

prospetto nord_1:200

15

529


T16_VEDUTE DI PROGETTO VEDUTE PROGETTUALI

16

530


T17_PIANTA PIANO TERRA PROGETTO 10 m

20 m

30 m

40 m

50 m

60 m

70 m

80 m

90 m

100 m

110 m

120 m

130 m

140 m

150 m

PROGETTO

10 m

20 m

pianta piano terra progetto_1:100

17

531


T18_PIANTA PRIMO PIANO PROGETTO 10 m

20 m

30 m

40 m

50 m

60 m

70 m

80 m

PROGETTO

10 m

20 m

pianta piano terra progetto_1:100

532

17

90 m

100 m

110 m

120 m

130 m

140 m

150 m


T19_PIANTA PIANO SECONDO PROGETTO 10 m

20 m

30 m

40 m

50 m

60 m

70 m

80 m

90 m

100 m

110 m

120 m

130 m

140 m

150 m

PROGETTO

10 m

20 m

pianta piano primo progetto_1:100

18

533


T20_QUADRO ECONOMICO FINANZIARIO QUADRO ECONOMICO-FINANZIARIO

>>> quadro conoscitivo

>>> mappatura alleati | competitori

>>> numeri alleati

popolazione Veronese

II

borgo Roma

Zai

strategia

obiettivo

struttura ricettiva e commerciale

introito economico senza benefici alla comunità

III

area di progetto: ex Magazzini Eva

proposta di tesi

proprietà privata 9 soci

riqualificazione

strategia

obiettivo

struttura polifunzionale aggregativa

lettura dei bisogni dei cittadini e dell’urbano

2016

arrivi

presenze

1’011’040

2’085’845

+ 8,6 %

72 fiere ed eventi

13’898 espositori

1’267’193 visitatori

Veronafiere 2017

aree neutrali

demolizione

turismo a Verona

80 milioni di euro

aree commerciali, aree ricettive-alberghiere

aree a servizio dell’istruzione, aree religiose

proposta della proprietà

dati sulla città

I

aree fieristiche, del terziario, dei servizi pubblici, infrastrutture viarie e ferroviarie, fermate trasporto pubblico

22% della

Santa Lucia - Golosine

5 000 000 di visite

competitori

>>>

alleati

centro città patrimonio UNESCO

numeri della fiera

A

aree artigianali-industriali

aree residenziali

764’023m2 venduti

Vinitaly

143 nazioni

4’380 espositori

128’000 visitatori

Fiera cavalli

3’000 cavalli

762 espositori

161’175 visitatori

2017

2017

IV

aree dismesse e potenzialmente riqualificabili

B

>>> strategie progettuali

>>> dati dimensionali | valori di mercato 2

1

commerciale

flessibilità spazi fabbrica

grandi superfici coperte

residenziale

posizione urbana strategica

vicino polo scientifico università

culturale & terziario

necessità di servizi alla comunità

centri commerciali in previsione

Valore di mercato futuro 2 276 691 €

6

spazi ludico/ ricreativi

terziario/ uffici 2633 m2

Valore di mercato futuro 20 160 615 €

1000 m2

Valore di mercato futuro 5 582 172 €

temporary use

14555 m2

area al margine 3

bilocale duplex 56 m2

trilocale sim-triplex 65-75 m2

co-working

creative-factory

start-up

community hub

sale conferenze

sale danza palestre

sale prova teatro, scuola musica

sale per i più piccoli

laboratori universitari

sede associazioni

bar

commerciali della tradizione

laboratori artisti

spazi espositivi

teatro all’aperto

biblioteca sala lettura

loft 85-170 m2

terziario reversibilità usi

4

6

bilocale 58 m2

artisti studenti giovani

Valore sociale cessione come oopp

Valore sociale cessione come oopp

monolocale 40 m2

residenze

spazi verdi

nuove funzioni da insediare

obiettivi di progetto

segmento di mercato

elementi favorevoli

5

9631 m2

1336 m2

4160 m2 Valore di mercato futuro 6 466 439 €

funzioni di progetto

4

spazi residenziali

spazi commerciali

spazi espositivi

>>> specifiche funzionali 3

5

3

spazi espositivi

2 1

spazi ludici/ ricreativi

C

>>> strategia finanziaria

spazi al comune

>>> cronoprogramma d’investimento

strategia

investitore

acquirenti

valore di mercato attuale

costi totali di trasformazione

ricavi netti

margine assoluto

margine relativo

riconversione immobile

proprietari

privati/ aziende

3 298 285 €

29 439 406 €

34 485 919 €

5 051 513 €

14,65%

trasformazione vendita terziario

città pubblica

cessione oopp

vendita residenziale

cessione

locazione

- 3 352 233 €

cash-flow

costi idoneizzazione + spese tecniche 5 % + imprevisti 10 %

T0

- 4 129 650 €

costi trasformazione + spese tecniche 5 % + imprevisti 10 %

TI

bonifica degli stabili, demolizione ex refettorio, ex palazzina uffici, ex capannone tecnico per le macchine di controllo, tetto del tunnel dei binari, rifacimento facciate e tetto

+ 661 125 € TII

opere sistemazione esterni, trasformazione spazi ludici (entrambi da cedere al comune come opere di urbanizzazione), trasformazione di due capannoni da adibire a spazi espositivi e terziari

ricavi locazione (costi trasformazione + spese tecniche 5 % + imprevisti 10 %)

trasformazione di due capannoni da adibire ad uso commerciale, terziario e ristorativo; locazione del capannone dedicato a spazi espositivi; cessione delle aree esterne e del capannone dedito a funzioni ricreative al comune per sopperire al costo degli oneri di urbanizzazione

- 3 945 560 € TIII

ricavi vendita (costi trasformazione + spese tecniche 5 % + imprevisti 10 %)

trasformazione di un capannone da rifunzionalizzare in residenze; vendita del 50 % di commerciale, 50 % di terziario e 100% ristorativo

vendita residenziale

+ 959 239 € TIV

ricavi vendita (costi trasformazione + spese tecniche 5 % + imprevisti 10 %)

trasformazione di un capannone da rifunzionalizzare in residenze; vendita del 40% di commerciale 40% di terziario e 30% residenziale

vendita residenziale

vendita commerciale

vendita commerciale

vendita commerciale

20

534

vendita terziario

vendita terziario

+6 794 349 €

ricavi vendita

TV

+ 4 032 123 €

ricavi vendita

TVI

vendita del 10% di commerciale 10% di terziario e 30% residenziale

+ 4 032 123 €

ricavi vendita

TVII

vendita del 20% di residenziale

vendita del 20% di residenziale


T21_SPAZI ESPOSITIVI SPAZI ESPOSITIVI E SOCIALI

progettare... spazi polifunzionali senza distinzione sociale nè pagamento di biglietto

“Uno spazio anonimo si trasforma quando si carica di riferimenti, di simboli, di denominazioni, e di oggetti umani, proponendosi come un teatro nel quale individui e società recitano e vivono le loro storie, in tal senso esso diventa uno spazio culturale.”

box “scatol modul mette gazion

gradoni/ teatro interno

spazi per la comunità, per l’università, per i più giovani e per chi desidera farne uso

sala allestita per esposizioni oppure per eventi fieristici con stand

stanze da configurare a seconda delle esigenze

spazi per mostre temporanee, legate anche agli eventi fieristici; valorizzazione della storia dei luoghi con l’allestimento di mostre tematiche

grandi sale per esposizioni

spazi di gioco, sperimentazione e condivisione fruibili dai cittadini, lavoratori, turisti, visitatori specifici

costru struttu

area di e lettura in coper scala

parapett in lamie vernicia

playground interno

solaio in con grec cappa in collabor

Da sinonimo di degrado e abbandono diventano potenziali luoghi di aggregazione e sperimentazione.

mix funzionale dallo studio del contesto e dalla presa di coscienza della posizione strategica/al margine dell’area di progetto

struttur

riattivare il dialogo

differenziare l’intervento

pareti in

pannelli in legno

corridoio di connessione alle diverse sale, un tempo celle frigorifere, dedicate a mostre, esposizioni, eventi e quant’altro

prospetto est_1:100

21

535


T22_SPAZI COMMERCIALI SPAZI COMMERCIALI

box “scatola nella scatola”: la modularità dei volumi permette la flessibilità di aggregazione

residenze la progettazione degli alloggi fa leva sulla conservazione e l’utilizzo dei caratteri della fabbrica: si mantiene l’involucro, il modulo, la differenza materica

6.7

5m

0m

4.5

singolo small

distacco dalla muratura esistente:

distanza fisica, materiale, funzionale: incompatibilità formale, necessità architettonica e funzionale

aggregazione medium

connessione visiva tra gli spazi espostivi e gli spazi commerciali grazie all’apertura di alcune finestre

scarnificazione: eliminazione porzioni per ricavare spazi interni

sistema big

modulo:

dimensionamento alloggi rispettando e seguendo la modularità dimensionale data dallo scheletro esistente

variazione

costruzione box struttura in acciaio

box in the box

area di sosta e lettura in copertura

scelta del metodo d’approccio per quanto riguarda le nuove funzioni da innestare

scala

parapetto in lamiera verniciata residenze

solaio in acciaio con grecata e cappa in cls collaborante struttura in acciaio

pareti in cartongesso espositivo pannelli di chiusura in legno

spazi di lettura e studio all’interno di quelle che erano le celle frigorifere nel blocco sud

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i


T23_SPAZI RESIDENZIALI SPAZI RESIDENZIALI

residenze la progettazione degli alloggi fa leva sulla conservazione e l’utilizzo dei caratteri della fabbrica: si mantiene l’involucro, il modulo, la differenza materica

distacco dalla muratura esistente:

distanza fisica, materiale, funzionale: incompatibilità formale, necessità architettonica e funzionale

scarnificazione: eliminazione porzioni per ricavare spazi interni

spazi polifunzionali nella campata centrale sud: uffici, spazi di ritrovo, scuole di musica, teatro e quant’altro

modulo:

dimensionamento alloggi rispettando e seguendo la modularità dimensionale data dallo scheletro esistente

box in the box scelta del metodo d’approccio per quanto riguarda le nuove funzioni da innestare

leggere i significati simbolici

valorizzare le macchine

differenziare l’intervento

conservare i caratteri orginari

residenze

residenze spazi sociali

terziario

commerciale

espositivo

spazi di ristorazione all’interno della campata commerciale

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T24_TIPI DI ALLOGGI VIVERE NELLA FABBRICA: TIPI DI ALLOGGI

abaco aperture metodi d’approccio nel ricavare nuove forometrie nel rispetto della morfologia dell’involucro esistente

tipi di alloggi semplificazione delle diverse unità abitative del blocco nord della prima campata

muratura esistente nuove aperture a sbalzo

L2 L1

Alloggio monolocale duplex

L2 L1 L0

affaccio su patio interno

Alloggio trilocale triplex affaccio sul giardino

muratura esistente nuovi ingressi

scarnificazione tamponature

L2 L1

Alloggio monolocale duplex affaccio sul giardino

muratura esistente passerella

patio

patio

L0

Alloggio monolocale affaccio su patio interno

portali esistenti sostituzione portali

oblò conservati

banchina

L0

sezione BB_1:100

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24

Alloggio monolocale

affaccio sul giardino


L2 L1

Alloggio trilocale duplex affaccio su patio interno

pilastri esistenti

muro esistente patio

L0

Alloggio trilocale affaccio su patio interno

scala di accesso al secondo livello

L2 Loft L1 affaccio sul giardino L0

banchina

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T26_STRUTTURA - PARCO - RELAZIONI IL MURO ABITATO isolamento degli edifici industriali rispetto alla strada e al contesto grazie ad alti muri perimetrali

Ri-pensare il bordo non come limite ma come land mark e luogo da abitare

ri-aprire le porte della dismissione alla città

permeabilità del muro pur preservandone l’idea e il ruolo; nuovi varchi che invitano ad entrare e fruire del luogo riqualificato

recinto ri-lettura del ruolo del muro di cinta che caratterizza il luogo e la funzione che ospitava

salvaguardare il contesto

riattivare il dialogo

leggere i significati simbolici

elemento strutturante e caratteristico

spazi con pannelli espositivi - informativi

approccio il ruolo del recinto come mezzo scambiatore di flussi, persone, azioni definito in tre tipologie: il muro abitato, il muro come soglia, il muro come limite

spazi dove poter sostare

muro abitato riaprire l’area alla città attraverso un “dialogo” che abbia inizio dalla riattivazione degli spazi al bordo della stessa

riattivare il dialogo

scegliere i linguaggi giusti

prestare attenzione agli spazi naturali

salvaguardare il contesto

spazi protetti dove sedersi

sezione CC_1:100

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T27_IL MURO ABITATO STRUTTURA - PARCO - RELAZIONI “Il tema del limite, del vuoto, del recinto, del rapporto internoesterno, si ri-propongono secondo nuove declinazioni spaziali, non più legate al concetto di unità del “corpo” urbano ma come segni da ricomporre in una unità dei “diversi”, dove la modificazione della forma urbana si ristruttura a partire dall’interno “per scambiare ai bordi”.”

struttura scarnificata dalla sua copertura;

bonificata in passato dalla presenza di amianto

ieri spazio servente ed accessorio: deposito autoveicoli e casse di frutta

oggi spazio all’aperto dove stare, dove poter allestire eventi, dove passeggiare

ingresso in corrispondenza della struttura scarnificata

corridoio verde proseguimento del parco Santa Teresa garantendo una continuità della flora e proteggendo la fabbrica dalla strada, visivamente e acusticamente, con un filtro verde

recinto ri-lettura del ruolo del muro di cinta che caratterizza il luogo e la funzione che ospitava

salvaguardare il contesto

riattivare il dialogo

leggere i significati simbolici

elemento strutturante e caratteristico

sedute e tavoli sotto la struttura

vista dall’alto della struttura inverdita con piante rampicanti

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T25_DETTAGLIO TECNOLOGICO ALLOGGI DETTAGLIO TECNOLOGICO ALLOGGI

sezione XY_1:20

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T28_RIDEFINIRE LE AREE DISMESSE RIDEFINIRE LE AREE DISMESSE

La ridefinizione del ruolo di questi spazi nel corpo della città rappresenta nel contempo una necessità e una risorsa, nella misura in cui «lo spazio entro il quale vivremo i prossimi decenni è in gran parte già costruito» (Secchi, 1984)

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BIBLIOGRAFIA

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BIBLIOGRAFIA

Bibliografia su Verona - Ermanno Ferriani e Antonio Felice, “Verona ZAI 1950-1980”, Consorzio agricolo-industriale - Nino Cenni, “La Verona di ieri”, Cassa di Risparmio del Veneto, 1973 - V. Jacobazzi, “La piazzaforte di Verona sotto la dominazione austriaca 1814-1866”, Cassa di Risparmio del Veneto, 1980 - Lino Vittorio Bozzetto, “Verona la cinta magistrale asburgica”, Cassa di Risparmio del Veneto, 1993 - Archivio Enzo e Raffaello Bassotto, “Verona e il suo Paesaggio. Fotografie dall’800 ad oggi”, Società editrice Athesis, 1998 - “Conoscere Verona. I luoghi della città. Gli eventi. I protagonisti”, Edizioni centro studi Campostrini, 2008 Bibliografia sull’archeologia industriale - Laura Faustini, Elisa Guidi, Massimo Misiti, “Archeologia industriale: metodologie di recupero e fruizione del bene industriale: atti del Convegno, Prato, 16-17 giugno 2000”, Edifir editore, 2001 - Antonio Piva, Paolo Caputo, Claudio Fazzini, “L’architettura del lavoro : archeologia industriale e progetto”, Marsilio, 1979 - Franco Barbieri e Antonello Negri, “Archeologia industriale: indagini sul territorio in Lombardia e Veneto”, Unicopli editore, 1989 - Francesco Maria Battisti con prefazione di Paolo Galluzzi; contributi di Aldo Castellano, Ornella Selvafolta, “Archeologia industriale : architettura, lavoro, tecnologia, economia e la vera rivoluzione industriale”, Jaca book, 2001 -- Rossi Lamberto, “Se la città è un laboratorio comune, in “Periferie. Diario del rammendo delle nostre città”, primo numero, report 2013-2014 sul G124 in Sole 24 Ore”, Roma e Milano, novembre 2014 - Alessandro Gaiani, “Oggetti smarriti”, Firenze: Alinea, 2012 - Chiara Ronchetta e Marco Trisciuoglio, “Progettare per il patrimonio industriale”, Celid, 2008 - Valerio Castronovo e Antonella Greco, “Prometeo: luoghi e spazi del lavoro 1872-1992” Milano: Electa ; Roma: Sipi, 1993 - Daniela Mazzotta, Angela Pernisi, “Il patrimonio industriale tra passato e futuro: un’esperienza didattica a Vittorio Veneto”, Padova: il Poligrafo - Sara Di Resta, “Le «forme» della conservazione. Intenzioni e prassi dell’architettura contemporanea per il restauro”, Gangemi, 2017

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- Rossella Dal Prete, “Dentro e fuori la fabbrica. Il tabacco in Italia tra memoria e prospettive”, Franco Angeli editore - Claudio Ruggiero, Massimo Gerosa, “Dentro il cervello senza dolore. Storia di un’avanguardia tecnologica nella sanità pubblica tra sfide, coraggio e coerenza”; Maggioli editore - “Archeologia Industriale – Luoghi per l’arte e la cultura, titola così il nuovo numero della rivista culturale”, Il Calendario del Popolo pubblicata da Sandro Teti Editore - Cristina Natoli, Manuel Ramello, “Strategie di rigenerazione del patrimonio industriale”, Firenze : Edifir, 2017 Bibliografia varia - Alessandra Criconia, “Lina Bo Bardi,” Emanuele Piccardo Editore, 2014 - Laura Miotto, Savina Nicolini, “Lina Bo Bardi: aprirsi all’accadimento”, Torino, Testo & immagine, 1998 - Paola Gallo , “Lofts in Italy”, Silvio San Pietro, Milano: l’Archivolto, 2003 - Lola Gómez e Susana González Torras, “Lofts : living, working and shopping in a loft“, Cavallermaggiore: Gribaudo, 2003 - Francesco Cacciatore, presentazione di Adriano Cornoldi,“Il muro come contenitore di luoghi : forme strutturali cave nell’opera di Louis Kahn”, Siracusa: Lettera Ventidue, 2008 - Francesco Cacciatore, presentazione di Manuel Aires Mateus, “Abitare il limite : dodici case di Aires Mateus & Associados” Siracusa : LetteraVentidue, 2009 - Luca Zevi , “Il manuale del restauro architettonico”, Roma : Mancosu, 2001 Riviste e periodici - Casabella 881, Gino Malacarne, “Forte Colle delle Benne, Levico Terme”, pagg. 43-51 - Casabella 883, Pietro Maria Bardi, “Come dovrebbero essere i Musei “(1951) - Rivista trimestrale Architetti Verona, n° 56 - Rivista trimestrale Architetti Verona, n°78 - Rivista trimestrale Architetti Verona, n° 79 - Rivista trimestrale Architetti Verona, n° 81

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BIBLIOGRAFIA

- Rivista trimestrale Architetti Verona, n°112, pagg. 86-89 - Notiziario Ingegneri Verona 2014, “speciale Magazzini generali” - Arketipo 77, settembre 2013, “Matadero” Articoli in internet - www.verona-in.it/2015/05/08/in-zai-a-verona-si-spendono-capitali-enormi-per-opere-inutili - www.verona-in.it/2016/09/28/lo-scempio-a-verona-sud-non-e-tutta-farina-di-tosi - www.larena.it/territori/citt%C3%A0/un-nuovo-spazio-di-eataly-agli-ex-magazzini-generali-1.3068915 - www.photo4u.it/viewcomment.php?p=4589853 - www.martinidiego.it/index.php/la-stazione-frigorifera-specializzata-la-rotonda-magazzini-generali-verona-sud/ - www.infobuild.it/progetti/m15-magazzino-professioni-verona-rigenerazione-urbana - www.paolocogotti.com/Architettura/concorsi/verona/Relazione%20tesi%20di%20laurea%202.htm Sitografia - archeologiaindustriale.net - www.mataderomadrid.org - www.urban-reuse.eu - associazioneagile.wordpress.com/portfolio/mappatura-dei-luoghi-in-disuso-di-verona/ - associazioneagile.wordpress.com/portfolio/viaggio-nellabbandono-2/ - www.infobuild.it/progetti/m15-magazzino-professioni-verona-rigenerazione-urbana/ - www.linthout.it/corallo.html https://issuu.com/filippobelletti/docs/bs-book-cinemacorallo - https://associazioneagile.wordpress.com/portfolio/viaggio-nellabbandono-2/ -corrieredelveneto.corriere.it/veneto/notizie/cronaca/2009/28-luglio-2009/nel-palazzo-dimenticato-palladio-sorgeranno-appartamenti-lusso--1601610484464.shtml?refresh_ce-cp - www.pressreader.com/italy/corriere-di-verona/20100925/281741265759222 - www.recycleitaly.it - www.larena.it - www.veronafiere.it - www.knauf.it - www.zintek.it - www.betonrossi.it - www.kme.com/it - www.flos.com/it - www.pontarolo.com - www.roefix.it

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RINGRAZIAMENTI

Giunta a conclusione di questo percorso, raggiunta la meta tanta ambita, dopo cinque anni di ansie, treni in ritardo e tanto (tantissimo) sonno che, soprattutto in questo ultimo periodo non è mancato, è doveroso spendere alcune parole di gratitudine a chi mi è stato accanto. Un primo ringraziamento alla prof.ssa Maura Manzelle, che seppur non conoscendomi, ha accettato di aiutarmi in questo percorso di tesi dimostrandosi totalmente disponibile ad ascolare i miei dubbi, con professionalità e schiettezza. La capacità di insegnare senza criticare le mie scelte progettuali, mi ha aiutata nei momenti di sconforto e indecisione. Un grazie anche all’arch. Maria Manzin che ha affiancato ad ogni revisione la prof. ssa aiutandomi con spunti e possibili soluzioni ai problemi incrociati durante il cammino. Grazie alla prof.ssa Federica Di Piazza che mi aperto una piccola finestra sul mondo degli investimenti finanziari; un grazie al prof. Massimo Rossetti che mi ha dedicato ore preziose fino all’ultimo momento, facendo mettere alla prova le mie abilità in ciò che sono più scarsa: tecnologia. Un grazie speciale a mamma e papà, che mi hanno sempre supportata (e sopportata) a livello morale ed economico. Con le loro raccomandazioni a non mollare mai, a non abbattersi (a volte non sono stata così brava), di credere sempre nelle proprie capacità anche quando queste non vengono riconosciute; fonte di ispirazione continua, chi per un motivo, chi per l’altro, se sono arrivata alla conclusione di questo percorso è anche, e soprat-

tutto, grazie a loro. Un grazie di cuore alla mia metà, Nicola, che ha saputo portare pazienza quando lo stress ha raggiunto livelli incredibili, appoggiando la mia attività di tesi e dandomi consigli progettuali di cui ho fatto tesoro. A lui devo una buona parte di spunti e idee che abbiamo condiviso in questi mesi, su carta, per messaggio, a voce, sotto il sole o nelle poche ore di pausa domenicali. Mi ha dato la forza per credere in me, nelle mie idee e nella loro trasmissione. Un grazie speciale allo studio Ardielli Associati, a Marco e Paola, che da un anno a questa parte mi stanno insegnando cosa significa “essere architetto”, facendomi capire che oltre l’università c’è un mondo che può essere meraviglioso quanto pericoloso, che non è per nulla scontato essere un bravo professionista, che non basta rispettare la normativa o realizzare un “bel progetto”, c’è tanto altro. Non ho mai voluto farmi aiutare con la tesi, volendo separare lavoro da università, ma provando a fare tesoro di ciò che giorno per giorno apprendo con loro, per poi applicarlo al lavoro personale. Un aiuto indiretto che mi ha fatto sentire più sicura su alcuni fronti. Un grazie al collega Jacopo, sopportatore delle mie ansie da revisione e da elaborati finali. Ringrazio i proprietari della EVA srl, i fratelli Castelli, che mi hanno dato l’opportunità di entrare e comprendere lo stato dei luoghi, le dimensioni e, soprattutto, che hanno saputo raccontarmi la storia di chi ha vissuto la fabbrica negli anni scorsi. Inoltre, ci tengo a ringraziare l’associazione Ivres, attiva sul territorio

veronese, per i racconti circa gli eventi che hanno segnato il passato dei dipendenti di fabbrica. Nei mesi scorsi mi ha gentilmente donato le foto delle manifestazioni sindacali che hanno segnato la storia dei lavoratori dell’industria della Zai. Un immenso grazie a tutte le persone che mi sono sempre accanto, amiche e amici, a chi crede in me e a chi ha ancora qualche dubbio (io ne ho tanti!). Ultima, ma non in senso di importanza, un grazie a Giorgia, compagna di percorso e ansie; un’amica con cui ho condiviso questa ultima esperienza e che porterò nel cuore, come ricordo speciale di questi due anni a Venezia. Ho pensato tante volte che non ce l’avrei fatta, tra studio e lavoro, che mi sarei laureata in ritardo, che non avrei raggiunto i miei obiettivi; eppure le batoste prese, anche a livello universitario, mi hanno dato l’energia per non voltarmi indietro e perseguire il traguardo con gambe e testa.

Mercì.

Elisa

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Ai miei cari, al mio futuro, alla mia città.

Non esiste nessun effetto magico nel rimuovere semplicemente le auto dal centro della città, così come non ce n’è nel mettere l’enfasi sullo spazio tranquillo, calmo e morto. La rimozione delle auto è importante solo in virtù delle grandi occasioni che si aprono per far funzionare meglio le strade e mantenere le attività del centro della città compatte e concentrate. Con queste finalità, l’ottimo piano di Gruen fra gli interventi per l’assetto viabilistico inserisce gallerie pedonali, colonne per i manifesti, striscioni, chioschi, bancarelle, caffè all’aperto, palchi per la musica, aiuole, ed effetti speciali di illuminazione. Concerti di strada, danze e mostre saranno promossi. Il punto è rendere le strade più sorprendenti, compatte, varie, e piene di quanto lo fossero prima, non di meno. Jane Jacobs

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