Tesi di laurea: Il rapporto tra arte e pubblicità attraverso il manifesto illustrato

Elisabetta Vella

Il rapporto tra arte e pubblicità attraverso il manifesto illustrato

Tesi di I° livello in Grafica d’arte

2018/2019

Relatore Stefano W. Pasquini

Accademia Albertina delle Belle Arti Torino Scuola di Grafica

Tesi di diploma di I° livello

Il rapporto tra arte e pubblicità attraverso il manifesto illustrato

Candidato

Relatore

ELISABETTA VELLA

STEFANO W. PASQUINI

10662T

Anno Accademico 2018 - 2019

Indice

Introduzione 4 1. Gli inizi: ChĂŠret e Toulouse-Lautrec

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2. I primi decenni del novecento e il caso Depero-Campari 16 3. La Bauhaus, il Costruttivismo e gli studi di Bruno Munari

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4. Il ribaltamento di Barbara Kruger

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5. La Street Art e Shepard Fairey

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Conclusione 56 Bibliografia e sitografia

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Introduzione

4

Introduzione

Durante il mio percorso accademico, per poter capire di più sulle differenze e uno dei fenomeni che ho trovato sui punti in comune delle due discipline. maggiormente interessanti è sempre Il campo d’azione era certamente molto stato il come l’arte e la filosofia si siano ampio, ma nel pensare a come effettuare trovate ad avere spesso una funzione una ricerca più mirata possibile è giunta rivelatrice di tanti meccanismi che in mio aiuto la massima di Marshall regolano il mondo moderno. Dopo McLuhan “il medium è il messaggio”1.

E qual’è il medium per eccellenza che questo percorso mi rendo conto di fin dall’inizio ha unito arte e pubblicità? quanto lo studio di queste discipline Certamente il manifesto. Esso è un potrebbe aiutare le persone, proprio dispositivo grafico alla base della come è successo a me, a comprendere comunicazione di mercato degli inizi che come la comunicazione odierna, che continua ad essere presente ed efficace spesso sottovalutiamo ritenendola come fino ai giorni nostri; qualcosa che ci la cui estetica è circonda, ma non ci Dopo la fase di declino il manifesto però figlia dell’arte. tocca veramente, in cui l’intento artistico convive con Analizzandone abbia spesso invece quello pubblicitario non esiste più, l’evoluzione nella la unica funzione di ma, ed è forse questa l’evoluzione più composizione e manipolare i nostri interessante, in ambito artistico ci si negli utilizzi è stato bisogni e la nostra rende conto che l’utilizzo dei pattern possibile tracciare identità. visivi propri della pubblicità può il percorso di Altro punto di essere un modo efficace per arrivare evoluzione che il partenza per al pubblico moderno rapporto tra arte e l’elaborazione di pubblicità ha subito. questa tesi di laurea Già ad una prima raccolta di informazioni è stato il mio duplice interesse per l’arte mi sono resa conto di quanto questo contemporanea e per la grafica intesa percorso non fosse lineare: se in un come comunicazione e design, ora primo periodo, collocabile alla fine diventata il mio lavoro. Mi rendo conto del ventesimo secolo con la nascita da un lato di aver imparato molto di più della cromolitografia, arte e pubblicità sui meccanismi profondi della pubblicità convivono felicemente, nel corso del attraverso lo studio di alcuni artisti novecento i rapporti si allentano sempre che nel loro lavoro hanno tentato il suo di più fino ad arrivare ad una sorta di disvelamento e dall’altro di quanto sia ribaltamento. All’interno della postfazione difficile tracciare un confine tra i due del saggio Il Manifesto di Vittorio Pica2, lo campi d’azione. scrittore e sociologo Alberto Abruzzese Per questi motivi ho deciso di effettuare sintetizza questa evoluzione dividendola un’analisi proprio sul rapporto tra arte e pubblicità, sentendo sia di avere una 1 M.McLuhan-Q.Fiore , Il medium è il messaggio, Corraini, discreta padronanza degli argomenti in Milano 2011 questione che una grande motivazione 2 V. Pica, Il manifesto. Arte e comunicazione nelle origini nell’ approfondirne il percorso storico della pubblicità, Liguori, Napoli 1994

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Introduzione

in tre fasi: un primo periodo che colloca dalla fine dell’ottocento agli anni venti del novecento, un secondo momento di assestamento che copre gli anni trenta e quaranta e infine una fase di declino a partire dagli anni anni cinquanta.

Credo sia importante specificare che in questo caso vengono prese in esame le caratteristiche costitutive dei manifesti cosiddetti d’autore e il modo in cui essi riescono a fondere arte e pubblicità.

Dopo la fase di declino il manifesto in cui l’intento artistico convive con quello pubblicitario non esiste più, ma, ed è forse questa l’evoluzione più interessante, in ambito artistico ci si rende conto che l’utilizzo dei pattern visivi propri della pubblicità può essere un modo efficace per arrivare al pubblico moderno poiché esso è più diretto e visto dalle persone come qualcosa di più vicino alla propria quotidianità, meno sacro.

ha imparato e può ancora imparare dalla pubblicità? Può ancora esistere uno scambio costruttivo tra le due discipline?”. A questo punto per trovare una risposta non resta che iniziare l’analisi. Il percorso si svolge in ordine cronologico e si basa su tappe che ho ritenuto essere importanti per questa specifica analisi, ma allo stesso tempo ho voluto dedicarmi a degli artisti di cui sento di aver compreso l’operato e le motivazioni e dei quali ho avuto l’occasione di approfondire la poetica nel corso del mio percorso accademico.

Il legame indissolubile del medium sia con la comunicazione pubblicitaria che con l’arte inverte i suoi elementi: se prima quello pubblicitario non era un linguaggio codificato e la pubblicità era vicina alla libertà e alla sensibilità artistica, oggi ogni scelta è calcolata sulla base di dati; inoltre il modo in cui le persone leggono i contenuti visivi è cambiato. Allora questo è il momento in cui l’arte che prende il linguaggio pubblicitario e il suo medium principe e ne utilizza il pattern estetico per i propri scopi, ciò è evidente in movimenti recenti come Street Art. Quindi la domanda centrale da “è ancora possibile l’esistenza di un manifesto in cui arte e pubblicità coesistano?” è diventata “quali sono le lezioni che l’arte

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— Figura 1 Jules Chéret, Théatre de l’opéra, 1896.

Litografia, 124,8 x 87,6 cm.

Introduzione

Capitolo 1

Gli inizi: Chéret e Toulouse-Lautrec

Nel diciannovesimo secolo, con l’avvento della modernità, nascono contemporaneamente arte moderna e pubblicità e con esse un dispositivo grafico capace, almeno per il momento, di farle coesistere: il manifesto.

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Gli inizi: Cheret e Toulouse-Lautrec Nel diciannovesimo secolo, con primo storico del manifesto, ne colloca l’avvento della modernità, nascono le origini in Francia poco prima del contemporaneamente arte moderna 1830, nella forma di affichés di piccole e pubblicità e con esse un dispositivo dimensioni stampate in litografia in grafico capace, almeno per il momento, bianco e nero. La litografia rappresenta di farle coesistere: il manifesto. Di un nuovo tipo di comunicazione e il fronte alla Rivoluzione industriale, alla litografo è un nuovo artista-comunicatore riproducibilità tecnica, all’aumento che parla a un nuovo pubblico con dei consumi, alla nascita delle masse, nuove tematiche, rappresentando alla diffusione dell’informazione e quotidiano, cronaca, costume e società alla costruzione della rete di trasporti, con carica soggettiva e ironia. Questa l’artista e lo statuto stesso dell’arte non tecnica introduce vantaggi come la possono rimanere uguali a prima, ma possibilità di stampare molte copie a devono evolversi. prezzi più contenuti rispetto alle tecniche Nel 1855 Gustave Courbet espone le calcografiche che richiedevano l’utilizzo sue opere in una capanna precaria che di lastre di rame; inoltre il disegno è chiama “Padiglione del eseguibile direttamente Ma in questo panorama Realismo” e diventa su marmo permettendo quando nasce il manifesto il primo artista ad una immediatezza e illustrato?

Hippolyte averlo fatto per conto spontaneità maggiori e Maindron, primo storico del proprio, fuori dal una resa più fedele della manifesto, ne colloca le origini circuito istituzionale, stampa rispetto al disegno in Francia poco prima del con tanto di catalogo di partenza.

1830, nella forma di affichés di e volantini pubblicitari Le prime réclames sono piccole dimensioni stampate “compiendo il gesto quasi esclusivamente in litografia in bianco e nero. inaugurale che pubblicità di imprese consegna l’arte al ed attività legate al 1 suo mercato” . Courbet verrà emulato territorio, nelle vicinanze del fruitore poco dopo da Manet, da Rodin e poi da della pubblicità, ma, con la massiccia altri artisti; è un momento di rottura in industrializzazione, ciò che va cui i cambiamenti sociali, economici e pubblicizzato non è più il negozio bensì tecnologici in corso impongono il loro il prodotto che quasi non conosce limiti ritmo all’arte che si crea il proprio spazio geografici di diffusione e ha come economico, rappresentato dai Salon, scopo quello di distinguersi dagli altri dalle grandi fiere industriali e dalle e avere la maggiore visibilità possibile.

Esposizioni Universali dove i beni culturali Di conseguenza le pubblicità diventano si trasformano in beni di consumo. sempre di più grande formato per Ma in questo panorama quando nasce il attirare l’attenzione il più possibile. Le manifesto illustrato? Hippolyte Maindron, grandi dimensioni portano alla necessità di un’osservazione a distanza, a uno 1 A.Baldassari, Du Commerce des signes, in Aa.Vv. Art sguardo all’insieme più che al dettaglio & Publicité, 1890-1990, catalogo della mostra al Centre e per questo richiede un disegno più Georges Pompidou, Parigi 1990, p.36

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sintetico e dei colori più vivaci, cosa che si sposa bene con la neonata tecnica litografica. Lo scopo è quello di di convincere il consumatore a comprare un determinato prodotto, che poi potrà facilmente reperire ai grandi magazzini.

Nel 1837 il francese Godefroy Engelmann brevetta la cromolitografia in tricromia o quadricromia, che sarà il primo vero punto di incontrò tra pubblicità e arte moderna; infatti gli artisti si interessano al nuovo mezzo e sono incuriositi dalle sue potenzialità estetiche ed espressive. Inoltre, nello stesso periodo, si diffonde l’interesse per l’arte e la grafica giapponese, di cui gli artisti/ comunicatori studiano l’uso del colore e delle forme e le tecniche di impaginazione esplorando e scoprendo soluzioni antiprospettiche, sintesi delle forme, stesura del colore piatto e un’attitudine contemporaneamente realistica ed espressiva.

Non disdegnano la cromolitografia neanche grandi artisti come Courbet, Manet [figura 2], Braquemont e illustratori come Doré, Maunier, che però se ne occupano come attività secondaria.

Fino ad allora, il cartellone pubblicitario è visto come una forma d’arte umile anche a causa della sua natura effimera e facilmente danneggiabile. Pian piano manifesti iniziano a tappezzare i muri della metropoli moderna, incarnata perfettamente da Parigi, e si presentano come chiassosi, vivaci e ammiccanti e, seguendo i nuovi ritmi della modernità, vanno velocemente consumati e cambiati.

L’immagine presentata dai manifesti non è puramente descrittiva, ma una sorta di visione fantasmagorica, erede delle ambientazioni di Fussli e Blake,

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che funziona per ciò che suggerisce e per i meccanismi mentali che innesca nell’osservatore. Altra caratteristica del manifesto, che lo rende attraente agli occhi delle masse, è il fatto che esso sia esposto per strada, in contrasto ai prodotti del mondo dell’arte che, seppur in una fase di evoluzione, è visto come qualcosa di inaccessibile ai più.

Proprio l’arte cercherà di imparare dalla pubblicità questa lezione: mostrarsi dove un pubblico c’è già e dove sta abitualmente.

Il manifesto, per quanto riguarda le tematiche affrontate, attinge alla civiltà metropolitana di fine ottocento. La folla vive nelle città nelle quali è difficile trovare segnali efficaci a causa della sovrabbondanza di stimoli di ogni genere a cui gli abitanti sottoposti. In — Figura 2 Édouar Manet, manifesto per Les Chats di Champfleury, 1869.

Litografia, 128 x 128 cm. Biblìothèque nationale, Parigi.

Gli inizi: Cheret e Toulouse-Lautrec questo panorama le stampe invadono lo spazio urbano e ne sono a loro volta invase, infatti molto spesso le illustrazioni trattano proprio i contrasti e la complessità della metropoli. Dai primi manifesti pittorici si passa a un nuovo taglio prospettico che segue la lezione della grafica giapponese.

Fin da subito, la realizzazione di manifesti è affidata ad artisti. In effetti all’epoca non esistono ancora figure specializzate come i grafici pubblicitari, quindi le uniche persone che padroneggiano le tecniche compositive ed esecutive sono proprio gli artisti. Inoltre è possibile si pensasse che la scelta di membri di un ambiente culturalmente elevato potesse dare più attrattiva alla pubblicità; infine un nome illustre poteva sicuramente attirare più pubblico.

In questa fase, oltre alla funzione persuasiva, che rimane comunque quella principale, il manifesto pubblicitario ha anche una funzione decorativa. Non deve soltanto attirare lo sguardo del pas sante, ma lo deve anche deliziare ed allietare, “deve avere una composizione ingegnosa e dalle tinte vivaci e insieme armoniose, su cui l’occhio del viandante si sofferma con vero compiacimento”2.

I due maggiori esponenti del manifesto artistico di fine ottocento sono senza dubbio Jules Chéret (1836-1932) ed Henry Toulouse-Lautrec (1864-1901). Le loro litografie sono accomunate dalla presenza di una figura in primo piano e di personaggi in controluce, dal taglio fotografico che appiattisce le immagini evidenziando la sintesi e aumentando 2 V. Pica, Il manifesto. Arte e comunicazione nelle origini della pubblicità, Liguori, Napoli 1994 p 99

— Figura 3 Charles Marville, Rue Tirechapps, 1865 ca. Fotografia.

Biblìothèque historique de la Ville de Paris, Parigi.

l’immediatezza della percezione. La loro “pubblicità artistica” prende spunto dalla vita bohémienne intellettuale dell’epoca sfruttando in particolar modo il contrasto tra i punti di luce e quelli di ombra.

Jules Cherét nel 1866 torna a Parigi da Londra e si dedica alla cromolitografia.

Rievoca una Parigi centro della vita mondana e metropoli della gioia di vivere.

Vittorio Pica lo definisce un artista ultramodernista3 che rappresenta la gioia del contemporaneo che però nasconde sempre qualcosa di perverso e morboso rivelato nella mimica dei personaggi.

Sempre Pica alla domanda “cos’è il manifesto?” risponde: “Espressione di meccanismi profondi della cultura di un paese, della società moderna, 3 Ibidem

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— Figura 4 Jules Chéret, Les Girard, 1879. Litografia, 57,4 x 43,1 cm.

Museum Of Modern Art, New York.

— Figura 5 Jules Chéret, Bal au Moulin Rouge, 1889. Litografia, 118 x 82 cm.

Bibliothèque nationale, Parigi.

simbolo e documento delle nostre nevrosi. Ciò è

del capitalismo dell’epoca, che doveva passare necessariamente al consumatore attraverso un simbolo.

Altro elemento ricorrente nell’opera di Cherét sono la leggerezza e la festosità delle situazioni: i personaggi si abbandonano e ridono, ma se li osserviamo bene possiamo notare un’espressione sofferente, qualcosa di eccessivo e spasmodico figlio della nuova modernità nevrotica. Questa sensazione di disagio è indotta anche dall’illusione di movimento presente nelle sue illustrazioni; sembra che i personaggi stiano per cantare o per ballare, ma non lo fanno e rimangono intrappolati nei loro sorrisi distorti. L’ambientazione è spesso teatrale e la scena illuminata dal

incarnato da Cheret nei cui manifesti cogliamo illusione di movimento, gaiezza, ma eccessiva e spasmodica figlia di un’epoca nevrotica. Prima spia della nostra eccitata ansia di divertimento spia di intimo disagio.”4

Le donne disegnate da Chéret sono note come “chérette” e rappresentano le pinup parigine per antonomasia. Esse sono ragazze leggere, vezzose e idealizzate che si truccano e fumano e mostravano oggetti superflui per insegnare alle casalinghe l’utilizzo di prodotti industriali. Da un lato simboleggiano l’esaltazione del piacere e l’attrattiva del peccato e dall’altro sono l’immagine 4 Ibidem

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Gli inizi: Cheret e Toulouse-Lautrec basso, rendendo i volti inquietanti e i toni esaperati, mentre la composizione è caratterizzata da una semplificazione sintetica della linea e un contrasto violento in poche tinte vivaci.

Cherét, approfittando del bisogno di pubblicità che ha invaso le città, ha nobilitato il cartellone illustrato dandogli dignità estetica ed elevandola a forma d’arte che nel suo essere facilmente danneggiabile ed effimera, rappresenta la modernità. La sua tecnica negli anni acquisisce sempre maggiore disinvoltura e originalità. Con lui inizia una forma d’arte decorativa nuova, adatta alle esigenze industriali e moderne.

Se Jules Chéret è considerato l’iniziatore, è con Henry Toulouse-Lautrec che si entra nel vivo del rapporto tra arte e pubblicità le quali da un lato riescono a unirsi felicemente e dall’altro mantengono una tensione tra i due settori di provenienza. Lo storico dell’arte Thomas Crow lo definisce un artista che coglie fino in fondo i cambiamenti in corso nella società e che esercita a sua volta un’influenza sulla pubblicità e lo spettacolo. Prima prova, sempre secondo Crow, di come l’industria culturale si appropri delle ricerche dell’avanguardia artistica5.

Anche Toulouse-Lautrec si ispira alla vita di piacere dei teatri che però contempla con un occhio pessimista mettendone in rilievo gli aspetti viziosi, per far risaltare la profonda corruzione e tristezza sotto apparenze brillanti. L’artista realizza, tra il 1891 e il 1901, trentuno affiches dedicate al mondo dello spettacolo di Monmartre 5 T. Crow, Modernism and Mass Culture in the Visual Art, Yale University Press, New Haven 1993

e a pubblicità e i suoi manifesti hanno un successo immediato; le tematiche spaziano dal mondo dello spettacolo all’ambito puramente commerciale e legato al prodotto, come per i Confetti Bella (1893) o per le Catene Simpson (1896) [figura 6].

Buona parte del suo successo va attribuito ad un un uso personale della tecnica litografica, sia nei suoi limiti che nelle sue potenzialità: rende più eleganti i colori vivaci tipici della tecnica e sintetizza le forme in macchie piatte, ma complesse; è audace nelle inquadrature e originale nelle impaginazioni. A volte taglia le figure a metà, tecnica di derivazione giapponese, come come se le stessimo guardando da una posizione casuale. Per quanto riguarda la composizione, crea un bilanciamento e un dialogo tra i singoli elementi giocando con le loro posizioni dei personaggi e i loro gesti. I soggetti principali sono solitamente semplici e disegnati a tinta piena, per assecondare gli scopi comunicativi e commerciali dell’affiché, mentre la complessità si trova intorno, attraverso soluzioni estetiche innovative e cariche di ironia che sintetizzano lo spirito del luogo rappresentato e pubblicizzato.

Interessante da analizzare nei suoi lavori è anche il nuovo rapporto tra l’immagine, piena di particolari allusivi, e il testo scritto che guida l’interpretazione.

Questo per la prima volta passa in secondo piano, perché chi guarda un manifesto di Toulouse-Lautrec ha bisogno solamente di un nome per intendere di che cosa si tratti, mentre tutto il significato deriva dall’immagine:

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— Figura 6 Henry Toulouse-Lautrec, manifesto per La Chaine Simpson, 1896. Litografia a 5 colori, 85,1 x 121, 9 cm.

“Lautrec ha inventato un modo di vivere un’epoca, ha inventato non dei personaggi generici, ma dei volti, ha inventato la maniera per comporre scritto e immagine tale che l’immagine subito avesse funzione narrativa […] e lo scritto serve solo a chiarire come decrittarla”6

Più in generale questo rapporto tra immagine e parole è un tratto distintivo del manifesto moderno, in cui la parte illustrata prevale sempre su quella scritta. Tutt’oggi una delle grandi regole della comunicazione pubblicitaria è quella di privilegiare le immagini rispetto al testo poiché queste hanno 6 M.Gallo, I manifesti nella storia e nel costume, Mondadori, Milano 1989 p.240

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un impatto più immediato ed emotivo.

Più avanti la scritta diventerà essa stessa un’illustrazione, un elemento decorativo. Altra novità introdotta dal manifesto è la rappresentazione diretta delle persone che vivevano nella società del periodo. Il modello sociale proposto è quello borghese, caratterizzato dal consumo di certi beni e dall’uso di un certo abbigliamento. È interessante notare come ,mentre la comunicazione del passato era basata su un’idea di autorità, qualcosa di superiore al popolo che si impone con santità e superiorità, “il manifesto al contrario ci parla di noi stessi, dei nostri piaceri, dei nostri gusti, dei nostri interessi, della nostra alimentazione, della nostra salute, della nostra vita, e in questo sta la sua trasgressione poiché propone un

Gli inizi: Cheret e Toulouse-Lautrec ideale di libertà edonistica”7.

Fino alla fine del diciannovesimo secolo dunque arte e pubblicità convivono senza troppi problemi, non esiste ancora una netta separazione delle due discipline infatti grandi artisti come Manet, Toulouse-Lautre e Bonnard si dedicano alla cartellonistica e hanno ancora un approccio estetico che prevale su quello funzionale. Ma con il cambio del secolo ha inizio la scissione; un esempio evidente è l’illustratore italiano Leonetto Cappiello (1875-1942) che impara la lezione compositiva dei maestri Cheret e Toulouse-Lautrec per quanto riguarda l’uso del colore e la 7 A.Cattani, Pubblicità e retorica. Meccanismi argomentativi della persuasione, Lupetti, Milano 2009 p. 33

capacità seduttiva, ma la riduce all’osso privilegiando la leggibilità, la chiarezza e la comunicazione del prodotto. Un esempio è il manifesto da lui creato per la cioccolata Klaus nel 1903 [figura 8]: il prodotto non viene mostrato, ma viene dato potere al marchio e all’immagine della donna a cavallo che colpisce immediatamente e rimane impressa nella memoria dell’osservatore. Il testo è ordinato e leggibile, ma non banale. L’uso del contrasto di tinte vivaci e di campiture rimane, ma è molto sintetizzato.

Cappiello fa parte di un gruppo di giovani professionisti che cominciano a formarsi; il manifesto pubblicitario è adesso un’arte applicata autonoma che inizia a costruirsi un’identità.

— Figura 7 Henry Tolouse-Lautrec, Jane Avril, 1898. Litografia a 5 colori, 124 x 90 cm. Muséè d’Ixelles, Bruxelles.

— Figura8 Leonetto Cappiello, manifesto per la Chocolat Klaus, 1903.

Litografia a 5 colori, 153,67 x 109, 85.

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Capitolo 2

I primi decenni del novecento e il caso Depero-Campari

All’inizio del ventesimo secolo la pubblicità inizia a diventare una disciplina più strutturata: nascono le prime agenzie specializzate ed i primi periodici e manuali ad essa dedicati. Al centro troviamo l’emotività dell’osservatore/consumatore con il quale il buon pubblicitario, attraverso il manifesto, deve creare un’empatia.

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I primi decenni del novecento e il caso Deperro-Campari

All’inizio del ventesimo secolo la Egli mette in luce quanto sia importante il pubblicità inizia a diventare una ruolo che la comunicazione commerciale disciplina più strutturata: nascono ha assunto nella società moderna, le prime agenzie specializzate ed soprattutto grazie alla sua forza emotiva i primi periodici e manuali ad essa e alla capacità di smuovere qualcosa dedicati. Al centro troviamo l’emotività nell’osservatore. Verrebbe da pensare dell’osservatore/consumatore con il che questo l’arte visiva l’abbia sempre quale il buon pubblicitario, attraverso il fatto, ma se essa vuole evocare emozioni manifesto, deve creare un’empatia. per ispirare una riflessione, la pubblicità È ormai comunemente riconosciuto, lo fa al fine di instillare un bisogno in questione anticipata da Jules Cheret chi la guarda. Da ciò riemerge lo scontro e Henri Toulouse-Lautrec, il fatto che tra le due discipline: l’arte, all’inizio del l’immagine abbia una forza evocativa novecento, si rende conto di aver trovato superiore a quella della parola, una degna concorrente appunto nella convinzione peraltro confermata “nuova poesia” che ormai è in grado di dagli studi dei giorni nostri sulle piegare la concezione di bello alle sue mappe di calore ovvero infografiche di regole e alle sue strategie. visualizzazione A livello tecnico In questo panorama le grandi della navigazione assistiamo a vari avanguardie artistiche del novecento degli utenti su una cambiamenti: in devono adattarsi, reagire e assorbire pagina web. primis si passa da i principi della nuova comunicazione.

Altro caposaldo una composizione Espressionismo, Dada, Bauhaus, Cubismo è l’idea di di tipo pittorico e Futurismo la utilizzano ampiamente suggerire più a una di tipo modificandone però le funzioni .e le che di mostrare fotografico in cui tecniche compositive, qualcosa in modo lo spazio diventa didascalico; più reale; uno anche questa rimarrà una regola della dei già citati iniziatori della “pubblicità comunicazione fino ai giorni nostri d’arte”, Toulouse-Lautrec, aveva già infatti il manifesto e la comunicazione utilizzato questo tipo di taglio, ma nel commerciale in generale non presentano novecento, a seguito della diffusione il prodotto consigliando direttamente capillare della fotografia, esso si rafforza all’osservatore di comprarlo, ma ulteriormente. Questa tendenza al evocano, attraverso immagini fortemente realismo arriverà poi al suo apice molto suggestive, le sensazioni che si vogliono più avanti con l’avvento della grafica attribuire al possesso dell’oggetto; a tal digitale. In secondo luogo il testo cambia proposito Guillaume Apollinaire scrive: funzione, passando dall’essere una “Leggi i volantini i cataloghi i manifesti didascalia, come avveniva nelle litografie che cantano ad alta voce/ Ecco la poesia di fine ottocento, al diventare immagine 1 stamani e per la prosa ci sono i giornali” . con funzione decorativa che si integra nella composizione e la abbellisce.

1 G. Apollinaire, Zone, in “Alcools”, Mercure de France, Lentamente il manifesto, e più in generale Parigi 1912

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la comunicazione pubblicitaria, si sta evolvendo e sta creando un proprio linguaggio e una propria identità come medium.

In questo panorama le grandi avanguardie artistiche del novecento devono adattarsi, reagire e assorbire i principi della nuova comunicazione. Espressionismo, Dada, Bauhaus, Cubismo e Futurismo la utilizzano ampiamente modificandone però le funzioni e le tecniche compositive, creando spesso vere e proprie opere d’arte, intese come non finalizzate a vendere qualcosa, mentre, altre volte instaurando delle fruttuose collaborazioni con i brand.

— Figura 9 Pablo Picasso, Paesaggio con manifesti, 1912. Olio su tela, 46 x 61 cm. National Museum of Art, Osaka.

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Ma procediamo per gradi iniziando ad analizzare come gli artisti abbiano preso coscienza di quanto fosse diventata ingombrante la pubblicità nel mondo della comunicazione. Nel secondo decennio del ventesimo secolo Pablo Picasso (1881-1973) inserisce per la prima volta nei suoi dipinti dei marchi e delle pubblicità; fa ciò sia nelle sue nature morte e che nelle opere che rappresentano la vita metropolitana come Paesaggio con manifesti [figura 9]: in questa composizione pittorica, all’interno di un paesaggio ambiguo, che potrebbe essere sia un interno che un esterno, sia un paesaggio che una natura morta, spiccano i marchi Kub e Leon e una bottiglia di Pernod che risulta gigantesca tra i cubi/palazzi. Si tratta

I primi decenni del novecento e il caso Deperro-Campari

di una rappresentazione della presenza ingombrante del manifesto pubblicitario nella metropoli moderna, la quale in questo caso è identificabile nello spazio della tela, dove la forza visiva del marchio si impone spezzando, volutamente, l’unità del paesaggio.

In questa fase del cubismo, detta “analitica”, Picasso e Braque erano arrivati a un livello di scomposizione del segno tale da rischiare la perdita di riconoscibilità ed arrivare a toccare l’astrattismo. Per risolvere il problema decidono di iniziare ad utilizzare segni immediatamente riconoscibili e non scomponibili come le lettere, i numeri e i marchi. Lorenzo Tauti, studioso di arte e media, sottolinea come i cubisti prendano in prestito la forza comunicativa della pubblicità e aggiungano così alle loro composizioni frammenti di vita quotidiana e di vitalità:

— Figura 10 Georges Braque, Bicchiere e bottiglia, 1913-14. Matita e papiers collés su carta, 48 x62 cm.

parlano della pubblicità e “tenteranno di appropriarsi delle sue leggi: lettering, luce, colore pure, composizione arbitraria, dissonanza, ripetizione, rottura di scala.”3

Questa tendenza acquisirà ancora più forza nella fase successiva del cubismo, cioè quella “sintetica” dei papier collés [figura 10] e dei collage nei quali i pittori inseriranno direttamente etichette e frammenti presi da riviste, ritagliati ed incollati sui dipinti tradizionali. In questo modo gli artisti allo stesso tempo

Altra artista da considerarsi significativa nel rapporto che si sta instaurando tra arte e pubblicità è sicuramente Sonia Delaunay (1885-1979), pittrice ucraina stabilitasi a Parigi nel 1905 la quale condivise la sua ricerca artistica con il marito Robert Delaunay a partire dal matrimonio nel 1910. I due sono considerati membri del cubismo orfico o orfismo, termine coniato da Apollinaire ispiratosi alla figura mitologica di Orfeo, personaggio che simboleggia il carattere misterioso ed emotivo dell’arte; infatti la loro opera è caratterizzata “da quel senso spirituale attribuito alla luce e ai contrasti cromatici, da loro proposti con un’esplosione simultanea che genera una visione piena di ritmo. […] Entrambi, spinti

2 L.Taiuti, Arte e Media, Avanguardie e comunicazione di massa, Costa & Nolan, Genova 1996, p. 15

3 A.Baldassari, Du commerce de signes, Paris : Centre Georges Pompidou 1990, p.44

“La frattura dell’universo prospettico tradizionale utilizza la contraddizione tra la presenza metaforica e reale di pagine stampate che ammettono nel quadro i loro contenuti testuali aprendo squarci violenti sulla storia del quotidiano con i loro titoli, mentre gli slogan pubblicitari prestano all’opera la loro forza ed evidenza”2

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non da un interesse scientifico-conoscitivo, ma da una volontà di coinvolgimento emotivo, erano concentrati sul colore puro e sulla scomposizione della forma“4.

Puntando proprio su questa volontà di coinvolgimento emotivo, Sonia Delaunay si dedica alla produzione di manifesti per parecchi anni e grazie alla sua opera legata al mondo pubblicitario si guadagna la definizione di artista “capace di trasformare la quotidianità in arte”5 poiché all’interno di ogni manifesto inserisce una sperimentazione tecnica o una nuova idea di composizione. Negli anni venti e trenta lavora su vari progetti commerciali sia per amici che per aziende come Pernot, Lustucru e Linel [figura 11] e, poiché i fini commerciali, come già detto, sono ben diversi da quelli dell’opera d’arte, decide di limare il suo linguaggio espressivo per far fronte alle esigenze di comunicazione pubblicitaria, rendendo più leggibili i testi e le immagini del marchio e dando più 4 Sonia Delaunay - Carte dalla collezione della Fondazione Marconi, Istituto Nazionale per la Grafica, Roma 2009 5 Idem — Figura 11 Sonia Delaunay, Progetto pubblicitario per Linel, 1936. Matita e gouache, 20,6 x 27,2 cm.

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— Figura 12 Robert Delaunay, La squadra di Cardiff, 1937. Olio su tela, 130 x 98,5 cm. Staatsgalerie Moderner Kunst, Monaco.

importanza alle immagini a sfavore della sperimentazione coloristica. Nonostante ciò l’attitudine artistica, l’originalità e la personalità del suo modo di dipingere, frutto di anni di ricerca, portano a risultati innovativi in campo pubblicitario.

Dopo il grande successo della pubblicità luminosa, creata in coppia col marito Robert per la società Micatube con cui decorarono lo stan del Salon de lumière nel 1935, Sonia chiude i rapporti con il modo della pubblicità. Nel 1937 crea però un manifesto chiamato La squadra del Cardiff [figura 12], opera autoironica e di promozione della coppia Delaunay

I primi decenni del novecento e il caso Deperro-Campari

come testimonia la scritta al centro del cartellone “Un Delaunay è buono ad ad ogni ora”. Questo manifesto è però caratterizzato da un’autoironia amara data dalla consapevolezza che ormai è la pubblicità a dettare le leggi della comunicazione in modo inesorabile; essa è diventata talmente presente da non concedere a nessuno una via di fuga, neanche all’artista, figura considerata storicamente come un outsider, come qualcuno che deve combattere contro le convenzioni. Come conseguenza di ciò negli anni dal 1911 e il 1914, in varie nazioni tra cui Francia e Stati Uniti la legislazione limitata la diffusione dei cartelloni pubblicitari sia per una questione di salvaguardia del paesaggio che per tutelare gli abitanti della città ormai sommersi da una quantità di stimoli visivi eccessiva.

Chi non sembra soffrire questa nuova condizione sono i futuristi. Questi artisti non si limitano ad illustrare la modernità o semplicemente a cercare di comprenderla, ma ci si buttano dentro totalmente fino ad assumerne le forme, le modalità e le strategie di mercato: in primis dinamismo, poi simultaneità e contrasti. L’autopromozione diventa parte della loro poetica e la attuano utilizzando slogan, invettive, un atteggiamento eccentrico, provocando clamore e utilizzando media più popolari come i quotidiani, piuttosto che le riviste di settore in cui solitamente l’arte si serviva a fini divulgativi. Il mettersi in gioco in questo modo coinvolge lo spettatore e lo rende meno passivo, stimola in lui una reazione. Concetto fondamentale è quello della velocità che ha totalmente cambiato

il modo di vivere delle persone sia a livello percettivo che nel modo di comunicare; i futuristi si autopromuovono utilizzando una vera e propria strategia di marketing i cui mezzi sono manifesti, volantini, annunci e l’organizzazione di eventi e spettacoli.

Ma a che punto siamo per quanto riguarda il rapporto tra arte e pubblicità? In questi anni da un lato alcune imprese cercano un contatto con gli artisti delle avanguardie e li stimolano a sperimentare e ad essere originali; dall’altro un approccio più sistematico e scientifico al processo di creazione e uno studio nel dettaglio dei messaggi, che hanno come scopo principale quello di raggiungere un vasto pubblico e di persuaderlo all’acquisto, frenano la collaborazione tra arte e pubblicità.

Un felice esempio di collaborazione tra arte e marchi lo troviamo nel lavoro di Fortunato Depero (1892-1969) il cui impegno pubblicitario si concretizza con numerose collaborazioni con importanti ditte quali la San Pellegrino, Alberti per il liquore Strega [figura 13], Schering per il Veramon, Unica per il cioccolato, ma soprattutto con Campari, il cui sodalizio costituisce un vero e proprio caso nella storia della pubblicità italiana e rappresenta un esempio di come fosse possibile perseguire con successo degli scopi commerciali pur mantenendo e rispettando il genio e il linguaggio personale dell’artista.

Depero è un artista poliedrico, che si occupa di pubblicità (manifesti, locandine e copertine), design (arredo, architettura, oggetti, ecc.), arte decorativa (arazzi) e tipografia (il famoso libro imbullonato),

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perfetta armonia e unità con le altre.

Queste sue caratteristiche sono presenti allo stesso modo nelle opere d’arte autonome e in quelle create per i marchi poiché egli non si limita a mischiare le tecniche e le discipline, ma le tratta tutte allo stesso modo.

Altra sua peculiarità è l’uso dei colori accesi che conferiscono ulteriore vitalità alla composizione; riguardo ciò è interessante notare come nei suoi bozzetti, pubblicità e manifesti realizzati per Campari tra il 1925 e il 1928 egli utilizzi il bianco e nero [figura 14]. A tal proposito lo storico dell’arte Maurizio Scudiero spiega che “la scelta del nero sembra sia dovuta a motivazioni

— Figura 13 Fortunato Depero, Strega, 1928. Collage, 46 x 34,5 cm.

oltre che di pittura. Dal 1925 inizia la collaborazione con l’imprenditore milanese Davide Campari, figlio del creatore della famosa bevanda arancione, ed ora a capo di Gruppo Campari, realizzando un centinaio di proposte nel corso fino al 1939.

Lo stile di Depero miscela elementi del cubismo, del futurismo e del purismo creando un linguaggio capace di stimolare l’immaginazione dello spettatore senza essere aggressivo.

Nei suoi manifesti inserisce figure che sembrano delle marionette disegnate con linee e geometrie ben definite e di impatto, ma allo stesso tempo dinamiche.

Nella sua opera il carattere tipografico, come avevamo anticipato, diventa parte della composizione e si fa immagine in

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— Figura 14 Fortunato Depero, Se la pioggia fosse Bitter Campari, 1927.

Disegno a china, 40 x 30 cm, 1927. Mart, Rovereto.

I primi decenni del novecento e il caso Deperro-Campari

commerciali: la campagna di Campari si rivolge a un target preciso, a un consumatore acculturato, lettore abituale di quotidiani, nei quali appunto viene pubblicata la maggior parte delle pubblicità in bianco e nero ideate dal roveretano”6.

Depero dunque si trova a dover ragionare su elementi legati al target di riferimento dell’azienda e ne esce vincitore, mantenendo la sua forza espressiva e tutte le caratteristiche del suo linguaggio anche nei manifesti in bianco e nero; riesce di fare questo sia grazie alla sua attitudine alla multidiplinarietà che gli permette di essere un progettista completo in grado di capire perfettamente e senza snobismo le esigenze di mercato e integrarle al suo lavoro creativo, sia grazie al rapporto instauratosi tra lui e l’azienda, nella persona di Davide Campari, che fu in grado di relazionarsi con l’artista e di lasciare libero sfogo alla sua creatività.

Questo sodalizio costituisce un caso unico nella storia della pubblicità italiana e suggella una collaborazione creativa che per Depero non avrà riscontro in nessun altro dei rapporti di committenza avuti nel campo della pubblicità. L’artista futurista sottolinea il fatto che se nei secoli precedenti i committenti principali dell’arte erano stati i capi di stato e la chiesa, mentre ora sono l’industria e delle aziende a potersi permettere questo sforzo economico e che commissionano progetti e prodotti. “Tutta l’arte dei secoli scorsi è improntata a scopo pubblicitario” scrive nel Numero Unico Futurista Campari del 1931 e sostiene che anche “l’arte dell’avvenire sarà prepotentemente

pubblicitaria”, ritenendola una cosa naturale poiché essa deve inseguire un’estetica totale in grado di essere al passo coi tempi, deve essere un’ arte “fatalmente moderna”7.

6 M.Scudiero, Depero, L’uomo e l’artista, Egon, Rovereto 2009

7 Numero Unico Futurista Campari, F. Depero, Campari, Milano 1931

L’atteggiamento futurista costruisce un momento importante per il rapporto tra arte e pubblicità in quanto fa emergere una volontà chiara, soprattutto nel cosiddetto secondo futurismo, di uscire dalla rappresentazione tradizionale all’interno della tela e di uscire per le strade e arrivare alle persone impegnandosi in vari campi della comunicazione senza che nessuno venga trascurato o considerato minore. Gli esponenti di questa corrente artistica hanno saputo sfruttare le potenzialità della comunicazione di massa, sia per autopromuoversi, sia al servizio della promozione commerciale. La produzione seriale industriale trova dunque nel linguaggio futurista un mezzo ideale per celebrare la modernità e la velocità, ed enfatizzare così il messaggio pubblicitario attraverso l’efficacia della composizione artistica.

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Capitolo 3

La Bauhaus, il Costruttivismo e gli studi di Bruno Munari

Con il Futurismo il manifesto pubblicitario e soprattutto l’approccio ad esso da parte degli artisti era stato rivoluzionato, ma con l’avvento dell’astrattismo emerge un rapporto nuovo e diverso tra pubblicità e arte.

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La Bauhaus, il Costruttivismo e gli studi di Bruno Munari

Con il Futurismo il manifesto pubblicitario e soprattutto l’approccio ad esso da parte degli artisti era stato rivoluzionato, ma con l’avvento dell’astrattismo emerge un rapporto nuovo e diverso tra pubblicità e arte. Esso deriva dal fatto che lo svuotamento del contenuto dell’immagine ha portato a pensare alla forma, il modo e la struttura della rappresentazione non più come supporto necessario ad esprime un contenuto, ma come contenuto stesso.

Proprio attraverso la forma avviene il nuovo contatto tra le due discipline poiché “l’arte fornisce l’organizzazione, la composizione, l’architettura, la costruzione, i modi di tenere insieme in maniera significativa gli elementi che confluiscono nel prodotto pubblicitario, manifesto, pagina o altro”1. Dall’altra parte invece l’arte vuole essere capace di trasporre in — prima persona nella realtà quotidiana e Figura 15Joost Shmidt, manifesto per l’esposizione del Bauhaus pubblica i risultati della propria ricerca. a Weimar, 1923. Litografia, 65 x 50 cm, Collezione Wolfgang Neuman.

In questa situazione la Bahuaus, scuola d’arte fondata nel 1919 da Walter Gropius e basata su un metodo tecnico che ha il tutti gli affetti. fine di formare un nuovo artista creatore Lazlo Moholy-Nagy (1895-1946) nel capace di cogliere i bisogni umani, si 1923 pubblica, in occasione della pone come una sintesi delle avanguardie manifestazione dedicata alla Bauhaus dal futurismo Arte e tecnica: una Proprio attraverso la forma avviene al dadaismo al nuova unità, un testo il nuovo contatto tra le due discipline costruttivismo intitolato La nuova poiché “l’arte fornisce l’organizzazione, russo. Essa tipografia2, primo la composizione, l’architettura, la infatti utilizza di una serie di costruzione, i modi di tenere insieme in le loro scoperte pubblicazioni maniera significativa gli elementi che estetiche per che porterà a un confluiscono nel prodotto pubblicitario, creare strutture rinnovamento manifesto e altro” didattiche, nell’ambito della progetti di tipografia e della comunicazione e di disegno industriale. grafica pubblicitaria e non; a esso Al suo interno la grafica, la pubblicità e la seguono testi analoghi come Topografia tipografia diventano materie di studio a 1 E. Grazioli, Arte e pubblicità, Mondadori, Milano 2001

2 L. Moholy-Nagy, Die neue Typographie, Staatliches Bauhaus, Weimar 1923

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della tipografia3 di El Lissitskij, Tesi sulla tipografia4 di Kurt Schwitters ed altri. Negli anni immediatamente successivi si vede un fiorire di associazioni, manifestazioni, riviste di settore che trovano un terreno fertile formato da imprese e industrie sensibili alla sperimentazione della nuova forma. In particolare nel 1925 esce il testo di Jan Tschichold (19021974) intitolato Tipografia elementare5 che rappresenta un primo riferimento per il manifesto d’arte “costruttivista”.

Questo termine si riferisce a uno stile astratto di impostazione geometrica che trova spazio nella grafica e nella pubblicità degli anni venti. Qui l’utilizzo della geometria diventa centrale perché, secondo questi artisti, l’ordine delle forme è necessario all’interno di un paesaggio ormai irrimediabilmente caotico e disordinato; un messaggio, per poter spiccare, deve presentarsi in modo il più chiaro e coinciso possibile e deve unire originalità, autenticità e funzionalità. La composizione deve essere armonica, ma dinamica attraverso l’utilizzo dell’asimmetria, della disposizione per gruppi di elementi, del corretto utilizzo dei vuoti e degli spazi bianchi e del contrasto tra colori, meglio se ridotti a quelli primari. Le forme e i colori hanno lo scopo principale di guidare lo sguardo dello spettatore attraverso un percorso predeterminato e questa novità guiderà tutta la grafica e la pubblicità da qui in avanti.

3 E. Lissitskij, Topographie der Typographie, in “Merz”, n.

11, 1924 4 K. Schwitters, Thesen über Typographie, in “Merz”, n.11, 1924 5 J. Tschichold, Elementare Typographie, in “Typographie Mitteilung”, n.10, 1925

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Se in Germania, all’interno della Bauhaus, la nuova impostazione costruttivista si tramuta in un metodo di insegnamento sistematico con lo scopo di educare una nuova generazione di professionisti della grafica, in Russia essa va incontro alla Rivoluzione aderendo al suo programma.

Ma come portare efficacemente l’arte d’avanguardia a un popolo che non la conosce e non ne è interessato? A questo punto le strade e le piazze diventano il terreno d’azione dell’arte che diviene, come dice il poeta Majakovskij, “arte di propaganda” e che è caratterizzata dalla partecipazione, dall’orgoglio e dall’invito all’azione. Così al già complesso rapporto tra arte e pubblicità si aggiunge un terzo elemento, cioè la propaganda e questo porta a nuove domande, come scrive Grazioli: “l’arte è pubblicità o propaganda?

La pubblicità è propaganda? La propaganda può essere arte?”6; per i costruttivisti l’arte deve essere propaganda e presa di posizione, senza negazione, poiché arte e pubblicità sono sovrastrutture della realtà e in quanto tali dipendono direttamente dalla struttura economica e sociale dalle quali dipende a sua volta il messaggio che si vuole trasmettere. Per fare questo i russi si ispirano al Futurismo attuando in primis un netto taglio con la nostalgia del passato, anche a livello artistico; a tal proposito bisogna abbandonare la cosiddetta pittura “da cavalletto” e privilegiare la fotografia, medium che incarna la modernità, sia utilizzando scorci forti, dall’alto e dal basso, sia per una figurazione che non ha lo scopo di esprimere la psicologia del suo autore, che è meccanica e oggettiva, ma ancora necessaria poiché si rivolge a un pubblico 6 E. Grazioli, Arte e pubblicità, Mondadori, Milano 2001

La Bauhaus, il Costruttivismo e gli studi di Bruno Munari

— Figura 16 Aleksandr Rodzenko, Libri!, 1924. Manifesto, 57,5 x 81 cm.

per la maggior parte analfabeta. Altro punto importante è il dinamismo delle forme, che devono rappresentare una tensione visiva verso il futuro della nuova società. Tutto ciò presente nel famoso manifesto Libri! di Aleksandr Rodzenko [figura 16] realizzato nel 1924 per la filiale di Leningrado della casa editrice moscovita Gosizdat. L’artista ha l’intuizione di accoppiare linguaggi diversi per arrivare alla tecnica innovativa del fotomontaggio: utilizza la fotografia e una grafica generata proprio dagli studi delle esperienze di avanguardia. L’uso della fotografia è strategico perché nel manifesto viene rappresentato il volto di una giovane donna, dalla cui bocca esce una scritta che scorre attraverso lo spazio

del manifesto; si tratta di un claim di assoluta semplicità: “Libri!” grida infatti la ragazza mettendo la mano alla bocca.

Quella rappresentata non è una ragazza qualunque, ma la compagna di Vladimir Majakovskij, Lilya Brick, attivista alla testa della Lef, il fronte degli artisti di sinistra. A livello grafico il dinamismo è dato dai rovesciamenti visivi e cromatici e dal rapporto tra forme e simmetrie, tra testo e sfondo il cui contrasto è efficace e non scontato. Senza avere un background culturale specifico chiunque può capire che una compagna proletaria gli sta dicendo qualcosa e vuole essere sentita e se l’osservatore non è in grado leggere può chiedere a un compagno intellettuale che cosa c’è scritto. Quello di Rodzenko è un realismo moderno, proiettato al futuro in cui la fotografia garantisce adesione alla realtà, ma

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non è un elemento interpretativo bensì costruttivo che sostituisce il reale, non si limita a rappresentarlo. Le forme astratte sono invece un elemento di contrasto e i testi sono inseriti in forma di slogan per dare concretezza e vitalità alla parola evidenziandone il significato. Da un lato il segno tipografico prende vita, si anima liberamente nella pagina, mentre dall’altro la figura umana si irrigidisce diventando un segnale che con la propria postura indica qualcos’altro. Il tutto crea un movimento dell’occhio dello spettatore che è controllato e orchestrato dall’artista. Da questa struttura che vuole pilotare l’osservazione prenderanno — Figura 17 El Lissitzkij, Batti i bianchi con il cuneo rosso, 1919. Litografia, 65 x 50 cm. Musum of Fine Arts, Boston.

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spunto tutta la pubblicità e la comunicazione successiva; basti pensare al marketing digitale attuale legato ad esempio alla creazione di un sito web in cui ogni elemento visivo è inserito con l’unico scopo di portare l’utente a compiere un’azione, ad esempio comprare un prodotto o registrarsi a un form di contatto.

Quella tra arte costruttivista e pubblicità non è solo una momentanea collaborazione, ma una vera condivisione di problemi e studio delle forme; l’artista si mette a disposizione come uno specialista che elabora un certo materiale, ponendosi allo stesso livello di grafici e tipografi. Artisti come Rodzenko, Stepanova e Lissitskij fanno della loro attività principale la creazione di materiale propagandistico, come

La Bauhaus, il Costruttivismo e gli studi di Bruno Munari

manifesti, libri, riviste, illustrazioni e allestimenti, negli anni venti; la pubblicità diventa la loro opera.

La necessità, perseguita sia da Bauhaus che da costruttivismo, di colmare la distanza tra artista e pubblico è promossa anche da Bruno Munari che nel suo Arte come mestiere del 1966 scrive: “si rende oggi necessaria un’opera di demolizione del mito dell’artista-divo che produce soltanto capolavori per le persone più intelligenti. Occorre far capire che finché l’arte resta estranea ai problemi della vita, interessa solo a poche persone. È necessario oggi, in una civiltà che sta diventando di massa, che l’artista scenda dal suo piedistallo e si degni di progettare l’insegna del macellaio (se la sa fare). È necessario che l’artista abbandoni ogni aspetto romantico e diventi un uomo attivo fra gli altri uomini.”7

Nel dopoguerra e poi col boom economico la pubblicità inizia a perdere la sua valenza artistica o per meglio dire viene riconosciuto un distacco netto tra le due discipline. La pubblicità diventa business a tutti gli effetti e si basa su una metodologia specifica e su tecniche proveniente da gli studi di psicologia della Gestalt.

Chi studia a fondo i principi di questa divisione è proprio Bruno Munari (19071998) artista, designer e scrittore italiano che con la sua ricerca poliedrica è stato protagonista della scena milanese in particolare negli anni cinquanta e sessanta. Uno degli impegni di Munari è il design, dove egli opera non solo in senso critico-teorico, ma anche pratico

e in diversi settori. Innanzitutto in quello pubblicitario ed editoriale, che lo vede nel ruolo non solo di grafico delle maggiori case editrici italiane, ma anche in quello di direttore di settimanali e collane, di scrittore e illustratore di storie per bambini, nonché di ideatore di innovativi libri per l’infanzia che proponevano forme di lettura radicalmente alternative a quella tradizionale. Ma oltre a essere attivo in questi due settori, egli opera anche nell’industria della produzione tessile, di oggetti d’arredamento, di giocattoli e di giochi didattici, campo di azione che andò di pari passo con la sua attività di “artista pedagogo”, volto ad affrontare i problemi di una didattica in grado di promuovere un apprendimento creativo e realizzare, in questa direzione, numerosi laboratori per l’infanzia dal titolo Giocare con l’arte.

Esordisce negli anni trenta con il Secondo Futurismo dal quale trae la sua pretesa di un’arte legata al mondo che ci circonda, ma vi si distacca poco dopo per iniziare a progettare le sue macchine inutili e per poi fondare nel 1948 il MAC (Movimento — Figura 18 Bruno Munari, Negativo-positivo, 1954. Tempera su cartoncino, 23 x 33 cm. Museo del Novecento, Milano.

7 B.Munari, Arte come mestiere, Laterza, Bari 1966, p. 19

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Arte Concreta) insieme al critico d’arte Gillo Dorfles e agli artisti Atanasio Soldati e Gianni Monnet. Il movimento propone immagini astratte di forma-colore di pura invenzione dell’artista, indipendenti da suggestioni della realtà o da significati simbolici; inoltre ricerca una sintesi tra le arti includendo nel gruppo professionisti provenienti da varie discipline come l’architettura, l’industrial design e la grafica, oltre che pittori e scultori.La già citata distanza tra artista e pubblico è adesso colmata, sempre secondo Munari, dalla figura del designer, un nuovo tipo di operatore che lavora in gruppo, a contatto con le tecniche e le maniere del mondo industriale e la cui nascita è identificata con l’avvento della Bauhaus.

Un’attenta analisi della differenza tra arte e design è effettuata nel libro Artista e designer del 1971 sempre ad opera di Munari. Egli pone in contrasto due importanti aspetti culturali della nostra epoca: quello dell’ ”arte pura”8 e quello del design; sottolinea inoltre di ritenerle valide entrambe, ma lascia trasparire un certo scontento nei confronti degli artisti contemporanei che ritiene essere troppo lontani dalle persone comuni.

Essi lavorano per se stessi e per una élite che li possa capire, la quale è composta da persone influenti all’interno della società. Questo, secondo lui, porta al successo di opere che non sono considerabile né arte né design e che definisce “arte commerciale”9 al servizio dei galleristi, che sanno cosa piace e non agli acquirenti e su quello tentano di dirottare la produzione artistica.

Quegli artisti che invece si dedicano 8 B.Munari, Artista e designer, Laterza, Bari 1971,p.10 9 Idem

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al loro lavoro senza voler inseguire ad ogni costo un successo commerciale si chiudono in una riflessione tutta interna, linguistica e metafisica. Questo porta a scelte astrattiste, espressioniste, “sublimi” e “informali”, reazione, forse meno indiretta di quanto si pensi, alla forza d’impatto che la pubblicità è riuscita a dare all’immagine. Il designer invece è un progettista dotato di senso estetico che lavora per la comunità e in gruppo; non produce per un’élite bensì per un largo pubblico. Se l’artista costruisce l’opera con le proprie mani e molto spesso utilizza materie di pregio, il designer esegue solo il modello: egli non segue uno stile personale, ma parte da un problema progettuale o uno scopo comunicativo e cerca di risolverlo nel miglior modo possibile seguendo un processo mentale ben definito che lo porta poi a scegliere i materiali, le forme e le tecniche più appropriate per il caso specifico; la sua produzione non è caratterizzata da elementi estetici particolari che possano ricondurre al creatore poiché quello che deve rimanere memorabile è il prodotto. Lo stile personale e la riconoscibilità sono invece qualcosa di fondamentale per l’artista, che spesso quando prova a cimentarsi nel design continua ad operare in modo soggettivo, tentando di conservare la propria riconoscibilità estetica, ma senza abbracciare veramente la disciplina della progettazione. Altra differenza è che l’artista non sa se il messaggio che inserisce nelle sue opere viene recepito dal pubblico e in fase di creazione si occupa solo di dar forma alla sua idea; il suo lavoro necessita però di essere sostenuto ed accompagnato dalla critica

La Bauhaus, il Costruttivismo e gli studi di Bruno Munari

che lo contestualizza e ne favorisce la comprensione. Il designer invece si deve preoccupare che il suo operato venga capito immediatamente dal pubblico il che non vuol dire assecondarlo, ma partire da una base culturale condivisa per poi trasmettere un messaggio nuovo.

Se infine l’apice della carriera di un artista è considera to l’essere esposto all’interno di un museo, quello del designer è di progettare una campagna pubblicitaria o un oggetto che svolgano a pieno le loro funzioni pratiche ed estetiche, che siano diffusi in maniera massiva e arrivino a tutti gli strati della società.

Il centro del ragionamento di Munari sul processo creativo si trova nel capitolo intitolato “Fantasia e creatività” di Artista e designer: l’artista lavora con la fantasia, il designer con la creatività. La fantasia altro non è che una “facoltà dello spirito — Figura 19 Bruno Munari, Illustrazione tratta da Arte come mestiere, 1966.

di inventare immagini mentali diverse dalla realtà nei particolari e nell’insieme, immagini che possono anche essere irrealizzabili praticamente”. La creatività è invece “una capacità produttiva dove fantasia e ragione sono collegate per cui il risultato che si ottiene è sempre realizzabile praticamente”. Quindi un artista può esprimere le sue visioni interiori abbandonando la razionalità e la percezione dell’ambiente, dando libero sfogo all’immaginazione finché non riesce a dare forma alla sua idea, mentre il designer deve trovare soluzioni ottimali a dei problemi, ma sempre rimanendo limitato dalla fattibilità del progetto e “non sa che forma avrà l’oggetto che sta progettando finché non avrà risolto e armonizzato creativamente tutte le componenti del problema”. Il risultato finale è sempre una sorpresa. Ma, per quanto distinte e diverse, fantasia e creatività non lo sono a tal punto da porsi, almeno a livello di principio, l’una contro l’altra. La fantasia è infatti il presupposto

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della creatività, la condizione necessaria, anche se non sufficiente, del suo nascere.

Nella suo metodicità però il design rischia di essere monotono: ad esempio, se per arrivare alla creazione di un manifesto pubblicitario per pneumatici si vuole utilizzare un volto femminile, questa scelta non sarà casuale, ma basata su dati statistici che portino a sapere quale tipologia di viso, quali gesti e quale posizione sia quella che fa più presa sul pubblico. Così però diventa probabile che tutti i manifesti contenenti un volto di donna risultino uguali; e qui entra in gioco la “caratterizzazione”, ovvero il conferimento di un’identità visiva al marchio che si sta promuovendo cosicché il fruitore sia attratto dal volto femminile che vede, ma riesca anche subito a contestualizzarlo e ad associarlo a qualcosa di concreto, cioè il marchio e l’universo che questo vuole evocare [figura 19]. Il concetto di caratterizzazione

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è però diverso da quello di stile, che come già detto è legato più all’artista, poiché è necessario mantenere una coerenza col prodotto e col il target di riferimento. Su questo punto Munari ammette finalmente che la pubblicità deve imparare qualcosa dall’arte, entrando a conoscenza delle ricerche sulla percezione visiva che vengono svolte dagli artisti contemporanei, perché solo così un manifesto potrà differenziarsi dagli altri in modo immediato.

Altra regola operativa del progettista è l’utilizzo consapevole del testo che non è più una didascalia, come lo era per Toulouse-Lautrec, o un elemento decorativo come nei primi anni del novecento. Oramai il testo scritto deve essere visto come un elemento che ha una propria identità visiva: le lettere e le — Figura 20 Bruno Munari, Illustrazione tratta da Arte come mestiere, 1966.

La Bauhaus, il Costruttivismo e gli studi di Bruno Munari

— Figura 21 Bandiera giapponese.

parole hanno una loro forma più o meno riconoscibile in base alla frequenza di utilizzo. Ad esempio la parola “pane” verrà percepita probabilmente come tale nell’immediato poiché è una sequenza di lettere diffusa, mentre la parola “euristico” richiederà un processo mentale più lungo per essere associata al suo significato poiché il cervello non riconoscerà subito quella sequenza di lettere. Alcune parole, come i marchi, sono talmente conosciute che anche sostituendo una o due lettere con spazi vuoti rimangono leggibili [figura 20].

Per quanto riguarda il manifesto più nello specifico Munari si distacca dal concetto di elemento visuale che deve isolarsi nettamente dagli altri e balzare fuori o meglio si distacca dal farlo in modo violento e aggressivo. Basta invece utilizzare un certo colore insolito, una forma diversa e immediata senza sprecare denaro e tempo puntando sulla quantità degli elementi posti sul cartellone. Uno schema visivo di riferimento per molti designer, scrive l’autore, sia per quanto riguarda la

pubblicità che l’editoria, è la bandiera giapponese [figura 21]: un disco rosso su uno sfondo bianco. Questo pattern risulta molto efficace in quanto lo sfondo bianco isola il cerchio rosso da tutto ciò che c’è intorno, ad esempio da altri manifesti, e il cerchio è una figura dalla quale l’occhio si stacca difficilmente poiché non ha vie di fuga, cioè angoli o irregolarità.

Ciò non significa che bisogna per forza usare uno sfondo bianco e un cerchio, basta evitare di riempire una pagina di spiegazioni ed immagini per trasmettere qualcosa, basta un oggetto, un dettaglio una semplice immagine che focalizza lo sguardo e permette al messaggio di comunicare. È invece da evitare una scomposizione eccessiva dell’area di stampa perché ciò fa si che il manifesto si mimetizzi in mezzo agli altri, annullando così l’efficacia della comunicazione. Una terza via è invece presa da Munari nella progettazione del manifesto Declinazione grafica del nome Campari [figura 22] del 1964: è difficile stabilire se si tratti di un manifesto solo o più, lo sfondo rosso unifica tutte le riproduzioni del logo e il taglio delle parole crea un gioco visivo tra gli elementi, mentre le diverse dimensioni danno profondità alla composizione.

Munari può permettersi di scomporre in questo modo l’unità del logo perché la popolarità di quella immagine/parola fa si che essa rimanga comunque riconoscibile senza sforzo. Questo manifesto era stato commissionato per l’inaugurazione della linea M1 della metropolitana di Milano perciò doveva essere letto anche da un treno in movimento e avere un senso anche se visto parzialmente. L’idea di Munari è quella di una superficie dalle dimensioni illimitate, sia in lunghezza che

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— Figura 22 Bruno Munari, Declinazione grafica del nome Campari, 1964.

Stampa Offset, 196,2 x 277,5 cm. Museum Of Modern Art, New York.

in altezza, un manifesto stampato in un unico formato, ma allo stesso tempo una sorta di multiplo infinito che da un lato simulasse il flusso continuo di immagini da cui siamo solitamente circondati e dall’altro celebrasse la continuità del marchio in una sorta di storia della sua comunicazione pubblicitaria, da sempre uno dei punti di forza di Campari, come abbiamo visto anche nel capitolo precedente. Una copia originale del manifesto fa parte oggi della Collezione permanente del MoMA di New York ed una è visibile presso la Galleria Campari a Milano.

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Altra felice collaborazione pubblicitaria di Munari è stata quella con Pirelli per la promozione della Coria [figura 23], una suola creata mischiando gomma e cuoio, leggera, flessibile, impermeabile e a lunga durata. L’artista/designer crea un manifesto in cui vuole suggerire le potenzialità della suola: gli elementi dominanti sono un labirinto, elemento che imprigiona per eccellenza e due grandi orme gialle che però non seguono il percorso pericoloso del labirinto, ma lo calpestano e quindi lo neutralizzano.

L’immagine è potente, armoniosa ed evocativa: la suola Coria è un oggetto che permette di avere la meglio su qualunque strada, anche la più avversa. Tra le strade del labirinto sono inserite parole che indicano le caratteristiche del prodotto.

La Bauhaus, il Costruttivismo e gli studi di Bruno Munari

— Figura 23 Bruno Munari, Coria Pirelli 1953. Stampa Offset, 137,8 x 97,8 cm. Civica Raccolta delle Stampe Achille Bertelli, Milano.

Quello che ha fatto Munari è stato separare la definizione di artista da quella di designer, in modo netto, questo per farci capire che in realtà le cose sono più complesse di così e che lui è stato, e ancora rimane, l’esempio più eclatante di un artista che è anche designer e designer che è anche artista. A suo modo, naturalmente, alla Munari: con la fantasia della creatività. È un artista che fa il designer obliando continuamente la sua fantasia a vantaggio della creatività, che trasferisce la fantasia nella creatività, la ordina, la organizza e la trasforma in metodo.

vicina al pubblico è una prerogativa dei movimenti appena analizzati, dall’altro si è arrivati a un punto di spaccamento tra arte arte e pubblicità/design. È ormai diventato difficile, se non impossibile, pensare di poter creare manifesti come quelli di Cheret e Toulouse-Lautrec in cui spirito artistico e intento comunicativo convivevano felicemente. Adesso la pubblicità è lo specchio del commercio che a sua volta è diventato a tutti gli effetti il motore del mondo moderno e di conseguenza ha la necessità di perseguire i propri scopi, lasciando indietro la cultura oppure utilizzandola in modo opportunista e non assorbendola genuinamente nel proprio processo.

Inoltre il capitalismo è ormai entrato nel mirino dell’arte che non può più ignorarlo o limitarsi ad analizzarlo e rappresentarlo come avevano fatto ad esempio i cubisti, ma inizia a vederlo come un nemico e diventa paladina di un punto di vista diverso. Ad ogni modo le due discipline pur non riuscendo più a integrarsi armonicamente, continueranno a mantenere un legame invisibile influenzandosi e rubando una le tematiche e l’estetica dell’altra come vedremo nei prossimi capitoli.

Se da un lato la necessità di un’arte più

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Capitolo 4

Il ribaltamento di Barbara Kruger

Nella seconda metà del novecento si è giunti a un punto in cui è molto difficile evitare di diventare seguaci del consumismo per coloro che vivono nella società occidentale. Una pubblicità può essere distribuita in tutto il mondo ad una velocità tale che l’individuo è incessantemente bombardato da migliaia di immagini al giorno.

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Il ribaltamento di Barbara Kruger

Nella seconda metà del novecento uomini un certo modo di vivere e che si è giunti a un punto in cui è molto esse riuniscano i consumatori in una difficile evitare di diventare seguaci unica entità manipolabile , mantenendo del consumismo per coloro che vivono allo stesso tempo l’individuo isolato. nella società occidentale. Una pubblicità Lo spettacolo non incoraggia l’attività può essere distribuita in tutto il mondo e l’iniziativa personale, ma spinge alla ad una velocità tale che l’individuo è contemplazione passiva e al desiderio incessantemente bombardato da migliaia continuo di qualcosa che non si di immagini al giorno. Di conseguenza possiede. La lista dei desideri possibili i mass media sono diventati capaci si manifesta fisicamente nei centri di guidare le coscienze delle persone commerciali, è illustrata sui mass media all’interno delle società industrializzate ed è continuamente ripetuta sui manifesti e di modificare la nostra percezione della pubblicitari, dove assume spesso la forma realtà e addirittura la nostra identità. di marchio o slogan.

Le immagini pubblicitarie non hanno Il gruppo di cui Debord faceva parte, soltanto lo scopo di vendere un prodotto chiamato Internazionale Situazionista, o un servizio, ma ha avuto vita breve, trasformano il ma anche il merito Le immagini pubblicitarie non nostro modo di di dare una forte hanno soltanto lo scopo di vendere relazionarci e ci spinta anarchica un prodotto o un servizio, ma propongono un alle masse, che trasformano il nostro modo di modo di essere, relazionarci e ci propongono un modo avrebbe condotto un’identità al Maggio francese di essere, un’identità precostituita precostituita a cui a cui spesso, del tutto o solo in parte, nel sessantotto. spesso, del tutto Il movimento aderiamo.compositive, o solo in parte, rifiuta l’idea di aderiamo. arte borghese e l’uso di forme artistiche Guy Debord (1931-1994) definisce al di fuori di un progetto politico questo sovraccarico percettivo come rivoluzionario, ma allo stesso tempo non 1 “società dello spettacolo” , un mondo vuole presentarsi come avanguardia in cui i sogni e le emozioni sono politica poiché ne rifiuta qualsiasi imposti e manipolati, il risultato finale rivendicazione teorica e così tutti i dell’alienazione della nostra società, concetti tradizionali ad essa legati. Il fine la quale, dopo essere passata dal ultimo di questi artisti è il perseguimento ritenere più importante l’avere rispetto della libertà e per fare ciò essi ritengono all’essere, è diventata puro apparire. necessario aiutare la gente comune a L’autore sostiene che le immagini siano trovare una nuova voce e a risvegliare la il mezzo attraverso cui una parte della propria creatività che è stata indebolita, società, cioè quella che detiene il potere ma non del tutto annientata. Ad ogni economico e politico, impone agli altri individuo rimane infatti la capacità di creare situazioni: ciascuno di noi 1 G Debord, The society of the spectacle, Zone Books, quotidianamente si trova di fronte a delle New York 1994

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scelte e può decidere autonomamente di comportarsi in maniera più folle e spontanea; in questo modo possiamo reagire, trasformare la nostra vita e rifiutare di piegarci alla società dei consumi.

Per Debord un mezzo ideale perora si che ciò avvenga è il détournement che consiste nell’appropriarsi di un’immagine, un ambiente o un evento dei mass media, quindi già noto al pubblico di riferimento, e invertirne il significato al fine i renderlo un concetto nuovo e sovversivo. Si tratta quindi di un metodo di straniamento che modifica il modo di vedere elementi già conosciuti, “se ne mostra e si decostruisce la funzione ideologica nascosta. Perciò è un efficace mezzo per rendere visibile l’arbitraria costruzione sociale di categorie”2.

Ci sono stati molti artisti che, partendo dal concetto di détounement, hanno utilizzato le tecniche dei mass media stessi per criticarli; questo ha permesso alle loro opere di essere efficaci all’interno del mare di immagini della postmodernità, in cui gli elaborati d’arte si trovano a dover concorrere allo stesso livello di altre migliaia di immagini che hanno però uno scopo pubblicitario.

Artisti come Andy Warhol, Robert Raushenberg [figura 24], Richard Prince e Barbara Kruger hanno tentato di catturare l’attenzione del pubblico proprio facendo funzionare le loro opere come se fossero delle immagini pubblicitarie, ma con un’attitudine sovversiva. Questa sovrapposizione tra arte e pubblicità crea un fastidio all’interno della mente dello spettatore che si trova a mettere 2 C.Galal, Street Art, Auditorium, Milano 2009, p.31

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— Figura 24 Robet Raushenberg, Retroactive I , 1963. Olio e serigrafia su tela, 213 x 152 cm. Wadsworth Atheneum Museum of Art, Hartford.

in discussione il proprio ruolo di consumatore e l’effetto che la fruizione della pubblicità ciò ha sulla sua identità.

Da ormai trent’anni Barbara Kruger (1945) con le sue opere contesta stereotipi e pregiudizi sui quali spesso si basa la comunicazione visiva commerciale e politica: la rielaborazione sovversiva di standard comuni, rende i messaggi ancora più forti e disturbanti, quasi minacciosi.

Studentessa della Parsons School of Design sotto la supervisione di Diane Arbus, negli anni sessanta viene assunta dalla Condé Nast, casa editrice statunitense, dove quale lavora come

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grafica e designer, venendo poi promossa ad art director e picture editor. Questo lavoro le permette di entrare in contatto con la fotografia pubblicitaria e di moda, che diverranno poi la sua materia prima creativa. I suoi primi lavori risalgono al 1969 e sono grandi arazzi tessuti con fili paillettes, perline, piume e nastri che esemplificano il recupero di un’ ”arte femminile” come conseguenza di una forte sfiducia nei confronti del sistema patriarcale dell’arte. Nonostante la sua inclusione alla Biennale di Whitney del 1973 e le mostre personali nel 1974 e 1975 a New York, Kruger non è soddisfatta del proprio operato poiché trovava che il suo lavoro si distacchi troppo dalle crescenti preoccupazioni civili e sociali. Per questo nel 1976 interrompe la produzione artistica e si trasferisce a Berkley, dove insegna all’Università della California e ha l’occasione di approfondire gli scritti di autori come Walter Benjamin e Roland Barthes, autori che pongono al centro del loro lavoro il cambiamento avvenuto nella postmodernità a seguito dello strapotere del consumismo e dei mass media. Dal 1977 si dedica alla fotografia scattando una serie di dettagli in bianco

e nero di esterni architettonici a cui affianca delle proprie riflessioni sulla vita di coloro che vivevano al loro interno; il tutto viene pubblicato nel libro d’artista Picture/Readings [figura 25] del 1979.

Successivamente inizia ad utilizzare fotografie e immagini prese in prestito dai mass media degli anni cinquanta decromatizzate sulle quali incolla delle parole; un esempio è Untitled (Perfect) [figura 26] del 1980 opera in cui è ritratto il busto di una donna con le mani unite in preghiera, che ricorda la Vergine Maria e incarna una femminilità sottomessa cioè quella ritenuta appunto più perfetta all’interno della nostra società. Questi primi collage, nei quali Kruger mette in pratica le tecniche imparate durante il suo lavoro come graphic designer, inaugurano una serie di provocazioni operate dall’artista su temi politici e sociali.

L’argomento a lei più caro è sicuramente quello femminista, rappresentato nella maggior parte dei suoi lavori, ma le sue opere parlano anche di consumismo, — Figura 25 Barbara Kruger, Pictures/Readings, 1979. Fotografia, 14,6 x 22,3

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— Figura 26 Barbara Kruger, Untitled (Perfect), 1980. Collage di lettere in vinile autoadesivo e mylar satinato su stampa in argento, 94 x 89 cm, 1980, Art Institute,Chicago.

politico a quello personale, strettamente legato all’individuo e all’importanza delle scelte. Questo messaggio arriva in molto particolarmente diretto poiché il testo si rivolge allo spettatore sempre con un “tu”, “io”, “noi” o “voi”: questa tecnica, che in pubblicità è ampiamente utilizzata per invogliare i consumatori a comprare un prodotto, viene utilizzata da Kruger per creare frasi che spingono l’osservatore a porsi delle domande sui meccanismi che regolano il sistema in cui viviamo. Il confine tra i manifesti pubblicitari e le opere di Barbara Kruger rimane comunque sfocato, in quanto i due dispositivi sono molto simili nel loro funzionamento e nella loro estetica.

L’artista dichiara durante un’intervista: “Vivo e parlo attraverso un corpo che è costituito da momenti che sono formati dalla

razzismo, religione e stereotipi. Nel corso degli anni ottanta l’artista inaugura lo stile estetico che la contraddistinguerà fino ai giorni nostri: immagini in bianco e nero a cui sono sovrapposte delle didascalie testuali in colore rosso, bianco o nero utilizzando il carattere Futura Bold, già usato spesso da Aleksandr Rodzenko. In effetti la grafica che ne risulta è un misto di rimandi evidenti a quella politica costruttivista o dadaista tedesca, in particolare al fotomontaggio, e di un’impaginazione più attuale: questa unione crea l’effetto decostruttivo di svelare ed evidenziare il modo propagandistico implicito di ogni pubblicità, rovesciandone però il messaggio, che diventa antipubblicitario.

Il discorso denuncia gli abusi di ogni tipo di potere e di controllo, spostando questa volta il contenuto dall’ambito

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velocità del potere e del denaro. Quindi non vedo una separazione tra ciò che è commerciale e ciò che non lo è. Vedo piuttosto un flusso senza fine di momenti che sono mossi dallo scambio”3;

con queste parole denuncia un’impossibilità di opporsi all’attrazione verso potere e verso scambio nella nostra società, riferendosi in particolare all’influenza che i mass media hanno su questo processo, ma crede anche che riconoscendo e ammettendo questa cosa possiamo creare qualcosa di positivo: la chiave risiede nella consapevolezza. E con la stessa consapevolezza Kruger afferma: “Sapete perché i miei manifesti sono così efficaci? Perché io comprendo che esistono solo brevi intervalli di attenzione”4; nella 4 Ibidem

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nostra quotidianità recepiamo una tale quantità di informazioni che la nostra capacità di attenzione è nettamente diminuita. Questo principio è sempre tenuto a mente da chi si occupa di pubblicità, basti pensare che, ai giorni nostri, Google ha determinato l’algoritmo della nostra attenzione: il tempo massimo di concentrazione di un millennial è di 9 secondi, un secondo in più di un pesce rosso. Sulla base di questa proiezione, Google produce contenuti e stimoli per sfruttare il tempo che trascorriamo sul web e monetizzarlo5. Anche l’arte quindi, per colpire lo spettatore, deve prendere atto di questa nuova situazione e Barbara Kruger con il suo lavoro artistico punta a utilizzare a suo vantaggio questi brevi momenti di attenzione, creando immagini accattivanti e sovversive che attirano lo sguardo dello spettatore per poi indurlo a una riflessione positiva.I manifesti di Kruger vanno a costituire installazioni nelle gallerie e nei musei, ma vengono anche affissi sui muri delle città o diventano poster, cartoline, magliette e gadget di ogni genere; questa doppia esposizione viene considerata da alcuni come una contraddizione, come un cedimento nei confronti dell’estabilishment. Lo scopo dell’artista è però soltanto uno: l’efficacia del messaggio. Kruger da un lato apprezza il valore delle gallerie e dei musei che supportano il suo lavoro, dall’altro vuole arrivare a un vasto pubblico in più modi possibile perché i suoi messaggi riguardano proprio la presa di coscienza

delle masse, che però deve partire necessariamente dalla consapevolezza dell’individuo, sia esso un ricco collezionista o un operaio, perché lo “spettacolo” ci assorbe tutti. I suoi poster grandi come cartelloni pubblicitari urlano slogan potenti e talvolta violenti, eppure sono opere molto introspettive: indagano la coscienza del singolo, costringono a porsi domande ed a indagare su quanto effettivamente non abbiamo mai messo in discussione le regole sociali perché le diamo per assodate. Girovagando in una galleria d’arte contemporanea, spesso il cosiddetto white cube rischia di creare distanza e un clima asettico, portando lo spettatore a guardare le opere senza osservare, soffermandosi non troppo sui singoli elaborati, anche perché, bombardati di informazioni e nozione rapide ed estemporanee, abbiamo perso l’abitudine di soffermaci ed — Figura 27 Barbara Kruger, Untitled (Your body is a battleground), 1989.

Serigrafia fotografica su vinile, 284,48 x 284,48 cm. Broad Collection, Los Angeles.

5 A.Bonalume, La nostra capacità di attenzione è di nove secondi: come quella dei pesci rossi, 25 Novembre 2019, L’Espresso, https://espresso.repubblica.it/ plus/articoli/2019/11/25/news/attenzione-novesecondi-1.340974

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approfondire: ecco che lo stratagemma pubblicitario utilizzato dall’artista attira immediatamente il nostro sguardo raggiungendo il suo scopo. Quello che più incanta delle immagini di Kruger, è il breve momento di riflessione che trova il suo spazio sempre a metà, tra il compiaciuto sorriso iniziale e l’inesorabile presa di coscienza finale, a chiusura di un ciclo comunicativo dove la verità degli slogan scritti con caratteri italica bold a forte contrasto cromatico si sovrappone alle immagini fotografiche in bianco e nero prese in prestito dall’universo pubblicitario, da quello politico e dalla cultura di massa.

Il risultato è un universo immaginifico e per certi versi inquietante, dove lo slogan pubblicitario suggerisce acquisisce il tono della minaccia o dell’ammonimento e dove il carattere rassicurante e allegramente popolare del kitsch entra in cortocircuito con la morale finale del racconto. Talvolta perfino le massime filosofiche del pensiero moderno vengono sovvertite, incontrando la necessità di ritrarre un’epoca storica: quella contemporanea. Kruger descrive una cultura che lei stessa definisce “piacevole ma brutale“, che instilla in ognuno la ricerca di un ideale di bellezza irraggiungibile e il culto per il successo a discapito anche di se stessi. Il nostro compito oggi dovrebbe essere chiedersi che origine hanno le convinzioni che orientano le nostre giornate, arrivando persino a modificare il nostro pensiero e il nostro rapporto con il tempo.

In questo caso, l’artista riesce a muovere una critica sociale senza cadere nel tranello di renderla astratta e quindi inutile all’uomo contemporaneo che

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osserva la sua opera. Il suo lavoro parla a chiunque, senza discriminazioni e dimenticandosi del politically correct.

Una delle opere più rappresentative dell’intera poetica di Barbara Kruger è sicuramente I shop therefore I am [figura 28], serigrafia fotografica su vinile del 1987. Essa si presenta come un manifesto pubblicitario di formato quadrato che mostra un’immagine in bianco e nero di una mano che tiene un rettangolo rosso, riconducibile al formato di un biglietto da visita quindi un oggetto che ci consente di presentarci e mostrare in modo sintetico chi siamo oppure una carta di credito, con all’interno la scritta “I shop therefore I am”. L’area in cui la mano è più prominente è anche quella più illuminata rispetto agli altri elementi, come a voler evidenziare l’importanza della tematica del possesso, anche fisico. Il tutto è circondato da una cornice rossa che fornisce dei confini allo spazio dell’opera e conferisce maggiore contrasto visivo. L’elemento principale rimane comunque la scritta, posta infatti al centro, la cui composizione tipografica è ben studiata: la parola therefore ha delle dimensioni minori rispetto alle altre e ciò fa si che nella lettura della frase ci sia una pausa che da più peso al secondo “I” facendo si che i due “I”, cioè gli elementi che servono a far immedesimare il lettore, siano i due componenti più in rilievo.

La frase che da il titolo all’opera mette in atto un détournement della celeberrima locuzione “Cogito ergo sum”6 del filosofo francese Cartesio che esprime la certezza e l’evidenza immediata, intuitiva, con 6 Cartesio, Discorso sul metodo, in Opere filosofiche, Laterza, Bari 1986, vol. I, p.312

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— Figura 28 Barbara Kruger, Untitled (I shop therefore I am), 1987. Serigrafia fotografica su vinile, 281,9 x 287 cm. Mary Boone Gallery, New York.

cui il soggetto pensante coglie la propria esistenza7. Se Cartesio arriva a questa conclusione durante la rivoluzione scientifica nel corso del diciassettesimo 7 CA.A. V.V., Treccani, Vocabolario della Lingua Italiana, Giunti 2017, http://www.treccani.it/vocabolario/ergosum-cogito/

secolo, momento storico in cui la scienza e la razionalità si pongono come equivalenti generali attraverso cui la mente umana può comprendere il mondo, Barbara Kruger si trova invece ad operare in un periodo in cui il consumismo la fa da padrone e ciò che definisce l’uomo, lo ossessiona, lo fa sentire appagato e gli da un’identità è l’acquisto continuo di nuovi prodotti. La pubblicità ci presenta situazioni in cui un oggetto è capace di donarci qualcosa che fino a quel

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momento ci era mancato, anche se non lo sapevamo; siamo tartassati dall’idea che siano le cose che possediamo a farci “essere”. Il détournent svela un ribaltamento avvenuto nei nostri principi e un annullamento di ciò che prima definiva l’essere umano ovvero il pensiero critico. Non a caso l’artista utilizza questa massima filosofica: essa da un lato sintetizza una tappa importantissima della storia della filosofia, con principi opposti a quelli della postmodernità, che rappresenta un ottimo spunto per chi avesse già una base culturale a riguardo o per chi volesse approfondirne le origini e dall’altro è una frase pop che chiunque ha sentito pronunciare almeno una volta e pur non essendo in grado di contestualizzarla storicamente e culturalmente ne può cogliere il significato di base; come conseguenza l’effetto di ribaltamento risulta efficace su gran parte degli osservatori.

Analizzando questo secondo livello, lo slogan rimane in testa allo spettatore poiché varia, di poco a livello formale, una frase molto nota provocandone grandi mutamenti a livello di significato: questo materiale al contempo viene rigenerato e grazie a ciò accolto con una rinnovata attenzione. Questo processo fa parte di una tecnica di formazione del motto presa dalla retorica e utilizzata in pubblicità ovvero la “condensazione” che come scrive Renato Barilli “da luogo a metafore che fanno coesistere nello stesso materiale verbale, sia il significato di origine, sia quello sostituito per qualche grado di affinità.”8 L’analisi dei manifesti di Barbara 8 R.Barilli, Corso di retorica, Mondadori, Milano 1998

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Kruger e degli studi di Debord ci è stata sicuramente utile per comprendere come ormai la pubblicità sia diventata qualcosa di incontrollabile. L’arte fatica ad essere considerata da questa disciplina che, per le esigenze imposte dal mercato, deve andare avanti dritta come un treno per la sua strada. In questa situazione però gli artisti si sentono in obbligo di fare qualcosa per aiutare le persone a comprenderne i meccanismi. E qual’è il il miglior modo per farlo? Appropriandosi dei metodi utilizzati dalla pubblicità per svelarne gli intenti. Questa tendenza sarà, nel decennio successivo, come vedremo, ereditata dal Street Art.

— Figura 29 Barbara Kruger, Untitled (You are not yourself), 1981. Stampa su carta alla gelatina ai sali d’argento, 182,9 x 121,9 cm.

Collezione privata.

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Capitolo 5

La Street Art e Shepard Fairey

A partire dagli anni novanta, sotto il generico nome di Street Art o Postgraffitismo si racchiudono varie modalitĂ di espressione artistica, accomunate dal loro rivolgersi alla strada ed essere godibili da tutti.

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La Street Art e Shepard Fairey

pubblicitario. È però proprio all’invasione A partire dagli anni novanta, sotto pubblicitaria che l’Arte Abusiva si il generico nome di Street Art o oppone, lanciando un grido di libertà nel Postgraffitismo si racchiudono varie territorio urbano, sempre più invaso da modalità di espressione artistica, essa, controllato da telecamere e limitato accomunate dal loro rivolgersi alla strada da recensioni. La metropoli è l’area da ed essere godibili da tutti. Tag, graffiti, conquistare, mentre stencil, adesivi, la massa è il pubblico persino mosaici e La Street Art è innanzitutto da stupire, scuotere strane segnaletiche resistenza al concetto che invadono ormai soltanto la pubblicità delle grandi e scandalizzare per poter risvegliare le città, talvolta multinazionali abbia il diritto di regalando un colonizzare lo spazio condiviso, ma finalmente una coscienza critica tocco di creatività allo stesso tempo è un movimento fornendo un punto ai grigi paesaggi che si propaga velocemente e in urbani. La Street modo aggressivo attraverso metodi di vista alternativo e analitico dei Art è innanzitutto di marketing. fenomeni sociali che resistenza al riguardano direttamente lo spettatore concetto che soltanto la pubblicità delle involontario. Nelle sue forme più riuscite grandi multinazionali abbia il diritto la Street Art ha una grande incidenza di colonizzare lo spazio condiviso, ma sociale, perché arriva a tutti, pone allo stesso tempo è un movimento che si propaga velocemente e in modo aggressivo attraverso metodi di — marketing, infatti spesso i suoi esponenti Figura 30 Guerrilla Spam, La voce del popolo, 2019. Stampa Offset, 70 x hanno una formazione legata al design 100 cm.

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l’accento su temi scottanti, stimola la riflessione, ma soprattutto istituisce un diverso e rinnovato rapporto tra artista e spettatore, più intimo e diretto che scavalca le regole imposte dalla cultura dominante1.

Gli elementi che accomunano street art e pubblicità sono dunque numerosi, uno di questi è l’utilizzo del logo. Anche se la diversa applicazione nelle due discipline produce effetti di senso differenti, il logo è elemento fondamentale tanto per l’identità visiva dell’artista, quanto per quella aziendale. Se nella street art, il logo racchiude in se stesso tutta l’identità visiva del suo creatore, in quanto è al tempo stesso firma, prodotto di consumo pubblico e urbano, opera d’arte e testo di sponsorizzazione, in pubblicità, il logo è uno dei tanti elementi, insieme al prodotto, al packaging e agli spazi espositivi, attraverso i quali si esprime l’identità visiva dell’azienda.

Situato com’è in un contesto insolito, che spesso ne può ostacolare l’immediata comprensione, il logo, nelle azioni guerilla marketing catalizza l’attenzione di chi guarda. Il logo, infatti, già massificato e conosciuto su altri mezzi, fa sì che quella comunicazione pubblicitaria, commerciale o sociale, venga subito vista e riconosciuta. Nella street art, invece, il logo identifica l’artista che inizialmente non è conosciuto dalla maggior parte delle persone. Gli spettatori vedono l’opera ma, in assenza di conoscenze a riguardo, non hanno un ancoraggio che gli permette di ricondurre quell’immagine ad un artista in maniera diretta ed immediata. I loghi degli artisti di strada però contengono già al loro 1 C.Galal, Street Art, Auditorium, Milano 2009

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interno un messaggio, a volte criptico, che vuole stimolare una reazione o un ragionamento.

Sulla ripetizione spasmodica del logo si basa Andre the Giant Has a Posse [figura 31], la prima campagna, risalente al 1989, dello Street Artist statunitense Shepard Fairey (1970). L’artista concepisce e attua l’idea durante i suoi anni da studente presso la Rhode Island School of Design, periodo nel quale si unisce alla comunità degli skater, rete tramite la quale la campagna viene diffusa. Fairey e altri studenti creano degli adesivi e dei manifesti raffiguranti un’immagine del volto del wrestler André the Giant, estrapolata da una rivista con una scritta sottostante che recita “André the Giant has a Posse 7’ 5’’ 520 Ib” ovvero “André the Giant ha una Banda 2.26 metri di altezza per 236 kg”. Il riferimento a Posse inteso come banda/gruppo è un termine molto diffuso nella comunità skater e hip-hop. Nasce così un fenomeno — Figura 31 Shepard Fairey, Andre the Giant Has a Posse, 1989. Stampa Offset.

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mondiale ancora oggi conosciuto come Obey Giant Stickers e nei primi anni novanta decine di migliaia di adesivi vengono fotocopiati e serigrafati a mano e apposti sui muri di città statunitensi.

In questo primo periodo il progetto non ha basi concettuali forti, vista anche la poca maturità artistica dell’autore che in un’intervista del 2008 dichiara: “L’adesivo di André The Giant è stato solo un fortunato incidente. Nell’estate dell’ottantanove stavo insegnando a un mio amico come realizzare uno stencil e cercai un’immagine di un giornale da riprodurre e casualmente c’era una pubblicità sul wrestling con André The Giant e così gli dissi di fare uno stencil su di lui.

Mi rispose ‘No, non farò uno stencil su di lui, è stupido!’ ma pensavo fosse divertente e così lo realizzai io. All’epoca frequentavo un gruppo di ragazzi e ci chiamavamo tra di noi The Posse, così scrissi Andre The Giant Has A Posse, ed era appropriato per il linguaggio hip-hop.

Public Enemy, NWA e Ice-T iniziarono ad usare quella parola. Quello che successe fu che, dopo aver attaccato un po’ di adesivi in giro, molte persone si chiedevano “Cos’è questa cosa con André the Giant?” E ho iniziato a realizzare che un’immagine mostrata in pubblico ha questo potere provocatore e più tempo rimane esposta, più sembra importante e più la gente vuole sapere cos’è. ”2

Il fatto che da un gesto così banale sia sorto un così grande successo risulta interessante poiché le persone che l’artista ha voluto invogliare a riflettere su ciò che li circonda, hanno prima criticato il fenomeno, poi lo hanno accettato ed infine reso moda. Nel 1994 il timore di 2 K. Annobil, Shepard Fairey, in “Format Magazine”, 21 Gennaio 2008

— Figura 32 Shepard Fairey, Obey, 1994, Stampa Offset.

una causa legale dalla Titan Sports Inc, organizzazione che deteneva i diritti sul marchio registrato di André The Giant, convince Fairey a modificare l’immagine stilizzando maggiormente il volto e sostituendo la scritta con Obey [figura 32] traducibile con “obbedisci”, che diverrà anche il suo nome d’arte. Principalmente si tratta di una parodia al concetto di propaganda e pubblicità, ma è anche una citazione di un film caro a Shepard, “They Live”del 1988, dove appaiono diversi cartelli con la scritta “obey”. L’attuale logo è composto da una stilizzazione grafica del volto della figura posta al di sopra della scritta bianca su sfondo rosso

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— Figura 33 Shepard Fairey, Obey, 1994, Stampa Offset.

e viene chiamato “Icon Face“. Proprio questa trasformazione in logo ci interessa poiché l’artista è consapevole del fatto che il suo lavoro ha grande impatto grazie all’effetto cumulativo, quindi alla presenza capillare sul territorio: la Street Art impara dalla pubblicità ad essere innanzitutto invasiva, spudorata e seducente, a suscitare curiosità. Lo scopo della pubblicità è quello di spostare i nostri comportamenti e orientamenti di consumo da un bene all’altro, da una marca all’altra. Allo stesso modo il Postgraffitismo e in questo caso Shepard Fairey combattono sullo stesso terreno, utilizzando le stesse armi creative, ma con l’obbiettivo opposto di distoglierci dall’impulso del consumo indiscriminato.

In particolare la campagna Obey

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punta il dito contro la tendenza della pubblicità di piegare l’osservatore alle proprie opinioni. Il temibile wrestler ci ammonisce esortandoci all’obbedienza, ogni sticker e ogni manifesto chiedono sarcasticamente al loro osservatore di continuare a seguire i loro ordini, in modo autoritario e senza alcuna motivazione. Il messaggio sembra riferirsi a uno strano culto politico o a un colpo di stato imminente, ma a renderlo eversivo è proprio il fatto che non significhi niente; non significa nulla ma esiste perché le persone reagiscano, e vi cerchino un significato. Poiché non ha un significato specifico, le varie reazioni e le interpretazioni di coloro che lo vedono, riflettono le loro personalità e lo loro sensibilità. I critici d’arte lo collegano inevitabilmente allo strapotere della pubblicità: stickers e manifesti che ti invitano a comprare e obbedire

La Street Art e Shepard Fairey

senza specificare a chi o a che cosa, evidenziando i meccanismi basilari che regolano la società con un forte invito a riflettere. Focalizzarsi sugli atti di cui non ci rendiamo conto, ma che ripetiamo ogni giorno, può, forse, spingerci a mettere in discussione le logiche di questa società.

Il critico d’arte statunitense l newyorkese Carlo McCormick osserva: “Viviamo in un mondo sovraccarico di pubblicità, non c’è modo di evitarla quando cammini per strada. Obey Giant ti dice di comprare e obbedire, senza specificare a chi che cosa”3. L’oggetto del discorso non sono gli adesivi, ma l’idea veicolata: “Gli stickers e i manifesti non hanno un significato specifico ma esistono per innescare reazioni”. Il messaggio, però, è chiaro: le multinazionali sono violenza legalizzata e “compra e obbedisci” è il mantra della modernità.

Shepard Fairey raggiunge, vent’ anni dopo Andre the Giant Has a Posse, il picco della notorietà passando dall’imperativo “obbedisci” al sostantivo “speranza”: Hope [figura 34] è infatti un manifesto del 2008 diventato l’opera di arte propagandistica più iconica del ventunesimo secolo. In breve tempo diviene l’immagine non ufficiale della campagna politica di Barack Obama durante le elezioni presidenziali dello stesso anno e, successivamente, grazie alla massificata diffusione, un prodotto di arte grafica globalmente riconosciuto. Nonostante tale artefatto grafico non fosse ufficialmente legato alla campagna del futuro presidente, il 22 Febbraio 2008 l’artista riceve da Obama una lettera nella quale egli si dichiarava “privilegiato di essere parte 3 S.Fairey, Obey: Supply and Demand, Rizzoli, Milano 2018

del suo lavoro artistico e fiero di avere il suo supporto”. L’opera si presenta come un manifesto che raffigura un’immagine stilizzata in quadricromia del volto di Barack Obama, futuro presidente degli Stati Uniti, accompagnato dalla scritta “Hope”. Lo stile visivo è quello ormai tipico dell’artista che richiama quello della propaganda del costruttivismo russo, con i suoi bordi grossi pieni di contrasti; l’obbiettivo è invece quello di progettare un manifesto che incrementi il gradimento di Obama ritraendolo allo stesso tempo come un progressista e come un personaggio vicino al popolo e con una visione. Il ritratto è per natura politico, ma non si sofferma sull’etnia del candidato alla presidenza usando invece una palette legata ai colori della bandiera americana cioè il rosso, il bianco ed il blu. Farey sceglie la classica posa politica a tre quarti, ispirandosi alle fotografie ufficiali di Kennedy [figura 35], in modo da elevarlo allo status iconico dei suoi predecessori; l’intento dell’artista è quello di fare percepire il soggetto come “fidato, familiare, americano e presidenziale”4. L’illustrazione viene completata in un solo giorno utilizzando tecniche sia digitali che manuali, partendo da una fotografia di riferimento che poi l’artista manipola digitalmente migliorandone la definizione, la luminosità e separando i chiaroscuri in soli quattro livelli che poi stampa, elabora separatamente a mano e infine rimette insieme digitalmente. L’estetica è ripresa in parte dal costruttivismo russo e in 4 M.Scott, Obama Hope Poster - Shepard Fairey (2008), 15 Ottobre 2017, Medium, https://medium.com/fgd1the-archive/obama-hope-poster-by-shepard-fairey1307a8b6c7be

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— Figura 35 Ritratto ufficiale di John Fitzgerald Kennedy.

— Figura 34 Shepard Fairey, Hope, 2008. Serigrafia, 86 x 61 cm. Art Institute, Chicago.

parte dalle serigrafie di Andy Warhol, dal quale deriva la presentazione del soggetto come un’icona dei nostri giorni. Fairey non vuole creare un semplice ritratto, ma desidera trasmettere un messaggio genuino che rispecchi l’idealismo di Barak Obama. Il manifesto dopo essere stato distribuito e pubblicato in rete diventa velocemente virale, iniziando ad essere condiviso spontaneamente dalle persone sui social media, poiché rappresenta un modo simbolico per sostenere il candidato e la volontà di speranza e di cambiamento da esso incarnata; la risonanza mediatica è così grande che nel corso della campagna elettorale

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vengono prodotti un totale di 350.000 manifesti e 500.000 adesivi. Il segreto del successo di questo manifesto, sta nella corretta presentazione del soggetto principale a livello formale: la scelta dei colori conferisce un senso di patriottismo e familiarità trattandosi, come già detto, della palette della bandiera nazionale leggermente modificata nei toni; in questo modo l’artista omaggia gli Stati Uniti, ma crea qualcosa di alternativo alle solite rappresentazioni utilizzate nelle campagne politiche. Lo slogan Hope è stampato in un font sans-serif, grassetto e dalla linea moderna e illustra un concetto molto semplice che l’osservatore collega immediatamente alla rassicurante figura di Obama.

Shepard Fairey ha dichiarato di considerare la sua un’arte di propaganda

La Street Art e Shepard Fairey

poiché è progettata per mostrare il suo punto di vista riguardo varie tematiche e problemi. Questo non ha però lo scopo di manipolare le persone ad accettare necessariamente questa opinione, ma si pone come punto di partenza per una conversazione.

A tal proposito la fascinazione verso il costruttivismo russo nella sua opera appare evidente: in alcuni dei suoi lavori troviamo una palese ispirazione estetica proveniente dal già citato manifesto Libri! di Aleksandr Rodzenko. Uno di questi è il poster serigrafato Noise and Lies [figura 36] del 2018: qui al posto del volto di giovane donna presente nel manifesto costruttivista troviamo una figura maschile che si porta la mano all’orecchio per riuscire a sentire il claim “rumore e bugie”. Nella parte sottostante è presente invece la frase “gimme some truth” ovvero “datemi della verità” citazione all’omonima canzone di John Lennon del 1971, che era una violenta invettiva nei confronti dell’ipocrisia dell’allora presidente degli Stati Uniti Richard Nixon, accusato di aver favorito la Guerra del Vietnam. Ai giorni nostri Fairey riutilizza questo messaggio per opporsi all’amministrazione di Donald Trump, che secondo l’artista manca gravemente di trasparenza nei confronti dei cittadini americani; il presidente ha definito i media “un nemico del popolo americano”, tattica utilizzata, dice Fairey, “per minare le critiche ed evitare la responsabilità da parte di fascisti e dittatori come Stalin, Hitler e Mao.”5 Il tema

centrale è il tentativo di censura da parte del governo, che attacca chiunque cerchi di portare avanti la libera informazione e che viene comunicato al pubblico utilizzando da un lato una citazione di musica pop, quindi probabilmente nota al pubblico che legge, e dall’altro la sua estetica distintiva, aggressiva ed incisiva sia grazie ai colori che alle forme. I testi sono inseriti sotto forma di slogan per dare concretezza al loro significato ed questo viene reso ancora più evidente e vivo attraverso un sapiente uso della tipografia e dei contrasti cromatici. Se nel manifesto di Rodchenko la donna gridava il claim facendolo uscire dalla sua bocca, in Noise and Lies viene sottolineata invece l’urgenza della ricezione di esso a cui deve seguire un’elaborazione, — Figura 36 Shepard Fairey, Noise and Lies, 2018. Serigrafia, 61 x 45,7 cm.

5 S.Fairey, Noise & Lies prints avail. 01/03!, 25 Gennaio 2018, obeygiant.com, https://obeygiant.com/noise-liesavail-01-30/

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un’interiorizzazione e soprattutto una reazione. Troviamo altre citazioni di Libri! nei manifesti Say Yes! [figura 37] e Punk Rock Bowling [figura 38] entrambi creati su commissione: il primo, il cui titolo cita una delle canzoni della gruppo rock Afternoons, è stato ideato per la band con lo scopo di essere appeso per le strade di Los Angeles; il secondo viene invece stampato per promuovere il ventesimo anniversario del festival di musica hardcore Punk Rock Bowling. Questi ultimi, pur essendo lavori commerciali, vogliono pubblicizzare delle realtà appartenenti alla controcultura e presentano al loro interno messaggi di critica e addirittura anarchici.

Altra importante influenza per l’artista è stata sicuramente Barbara Kruger alla quale ha dichiarato di esserci ispirato per la creazione del logo Obey e per la scelta della sua usuale palette di colori basata su rosso, nero e bianco. Con Kruger, oltre al legame stilistico, c’è anche una condivisione di intenti in quanto le opere di entrambi gli artisti hanno come scopo la giustizia sociale attraverso il risveglio — Figura 37 Shepard Fairey, Say Yes, 2008. Serigrafia, 45,72 x 70 cm.

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— Figura 38 Shepard Fairey, Punk Rock Bowling, 2018. Serigrafia, 45,72 x 60,96 cm.

delle coscienze e l’utilizzo delle tecniche pubblicitarie per attirare lo spettatore e proporgli una contropubblicità.

Shepart Fairey ha come obiettivo esplicito nelle opere di strada lo straniamento: il passante è portato a chiedersi, imbattendosi nei suoi lavori, “che cosa sto guardando? Cosa vogliono farmi comprare?”. Questa sua capacità di sintesi e allo stesso tempo di condensazione di molteplici riferimenti, lo hanno reso un punto di riferimento internazionale sia per i grafici che per i militanti visivi. Nella sua opera troviamo una sorta di enciclopedia della comunicazione visiva: dal costruttivismo russo ai lavori grafici di Barbara Kruger, dai film di Carpenter agli scritti di

La Street Art e Shepard Fairey

Marshall Mc Luhan, dai test di Rorschach alla filosofia heideggeriana; tutto converge in un gesto grafico capace di unire azione politica e culturale. Come ha dichiarato l’artista nel suo Manifesto, l’azione artistica consente all’essere umano gettato nel mondo di vedere ciò che è giusto davanti ai propri occhi, senza essere oscurato da un’osservazione astratta, cosicché le cose si manifestino.

culturale per comprenderne i messaggi.

Per il momento non sembra vicino il giorno in cui la Street Art diventerà superflua, un semplice ornamento per le città. È ormai nata una nuova figura di artista urbano, multiforme, come le opere che produce. Può essere writer, artigiano, grafico. Magari un giorno fa il pubblicitario per una multinazionale e la notte esce ad affiggere sui muri della città i suoi manifesti sovversivi, perché forse oggi il modo migliore per combattere il sistema economico globale è proprio quello di studiarlo dall’interno.

A questo punto arte e pubblicità viaggiano su binari ormai paralleli: la pubblicità assorbe spesso fascinazioni dell’arte, soprattutto del passato, per attirare a sé il pubblico, ma non è più disposta a lasciare in mano agli artisti “da cavalletto” il proprio operato, perché la responsabilità è diventata ormai troppa.

L’arte invece, nella sua declinazione di strada, si impossessa della pubblicità, ne padroneggia perfettamente le modalità d’azione e le utilizza per risvegliare le coscienze delle persone ponendosi come modello per tutta quell’arte che invece fatica ad essere compresa dalle folle che purtroppo spesso non hanno né l’interesse, poiché non sono abituati alla fruizione di opere d’arte, né la base

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Conclusione

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Conclusione

Nel corso di questa trattazione abbiamo Depero troviamo il primo artistapercorso delle tappe importanti pubblicitario, che è in grado di adattare dell’evoluzione del rapporto tra arte con grazia e coerenza il proprio stile e pubblicità. Siamo partiti da fine comunicativo alle esigenze pubblicitarie, ottocento, epoca in cui da un lato la come abbiamo visto analizzando la pubblicità si trova costretta a utilizzare sua felice collaborazione con Campari. gli artisti come operatori creativi, poiché Interessante da notare come Depero questi sono gli unici con le competenze avesse profetizzato che l’arte, per poter necessarie a comunicare dei messaggi funzionare, avrebbe dovuto diventare in modo elegante e accattivante, mentre pubblicitaria. dall’altro l’arte inizia a imporre la propria presenza sul mercato e a distaccarsi Il legame tra le due discipline si fa sempre dalla concezione tradizionale di spazio più stretto con l’avvento dell’Astrattismo espositivo. Quella presa in analisi nel che, con le sue ricerche sulle forme e sui primo capitolo è una vera e propria colori, da una base teorica alla pubblicità, pubblicità artistica che personaggi ma utilizza a sua volta questi studi per come Cheret e Toulouse-Lautrec sono evolversi e trasformarsi in una disciplina in grado di elevare a forma d’arte. Da trasversale. Nella sua declinazione notare però come, tedesca l’Astrattismo L’affermazione di Fortunato Depero nella loro pienezza sfocia nella Bauhaus riguardo la fatto che l’arte del futuro espressiva, i loro e diventa quindi avrebbe dovuto essere pubblicitaria lavori contenessero una metodologia per poter sopravvivere, sembra già una sorta di didattica, mentre essere stata lungimirante. svelamento e di in Russia si evolve critica della società nel Costruttivismo, contemporanea, ma su questo torneremo un movimento collegato ai moti della dopo. rivoluzione bolscevica, che da importanza sia all’autenticità che alla funzionalità del Entrando nel novecento, la pubblicità messaggio avendo come unico fine un inizia ad acquisire maggiore forza invito all’azione nei confronti dei cittadini come entità autonoma e negli artisti e utilizzando per la prima volta lo slogan, sorge spontaneamente una presa di cogliendone le potenzialità comunicative. coscienza di quanto questa disciplina stia diventando sempre più influente e Nel Dopoguerra, nonostante la volontà dei invasiva. Alla luce di questo, essi iniziano movimenti appena citati di avvicinarsi al prima, come nel caso dei Cubisti, a pubblico, il distacco fra arte e pubblicità studiarla e ad appropriarsi di alcune sue si fa sempre più forte e la differenza tra le caratteristiche, poi cercano di adattarsi due pratiche viene approfondita a fondo alle sue esigenze partendo dalle proprie dagli studi di Bruno Munari: l’autore, ricerche artistiche, come Sonia Delaunay inserendo spesso fra le righe una critica e infine ci si buttano dentro a capofitto al sistema dell’arte tradizionale a lui come fanno i Futuristi. In Fortunato contemporaneo, ci dice, sintetizzando,

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che l’artista lavora con la fantasia, il designer con la creatività. La fantasia altro non è che una “facoltà dello spirito di inventare immagini mentali diverse dalla realtà nei particolari e nell’insieme, immagini che possono anche essere irrealizzabili praticamente”. La creatività è invece “una capacità produttiva dove fantasia e ragione sono collegate per cui il risultato che si ottiene è sempre realizzabile praticamente”. Quindi un artista può esprimere le sue visioni interiori abbandonando la razionalità e la percezione dell’ambiente, dando libero sfogo all’immaginazione finché non riesce a dare forma alla sua idea, mentre il designer deve trovare soluzioni ottimali a dei problemi, ma sempre rimanendo limitato dalla fattibilità del progetto e “non sa che forma avrà l’oggetto che sta progettando finché non avrà risolto e armonizzato creativamente tutte le componenti del problema”1. Adesso la pubblicità è lo specchio del commercio che a sua volta è diventato a tutti gli effetti il motore del mondo moderno e di conseguenza ha la necessità di perseguire i propri scopi, lasciando indietro la cultura.

Siamo infine arrivati a un modernità più vicina alla nostra: prima gli anni ottanta di Barbara Kruger e infine la rivoluzione per le strade della Street Art. Ormai la cosiddetta “società dello spettacolo” è diventato qualcosa di incontrollabile.

L’arte fatica ad essere inclusa nel mondo della pubblicità che, per le esigenze imposte dal mercato, deve andare avanti per la sua strada. In questa situazione però gli artisti sentono la necessità di 1 B.Munari, Artista e designer, Laterza, Bari 1971

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fare qualcosa per aiutare le persone a comprenderne i meccanismi. E qual’è il il miglior modo per farlo? Appropriandosi dei metodi utilizzati dalla pubblicità per svelarne gli intenti profondi e molto spesso negativi.

Questo veloce excursus da un lato conferma l’esistenza delle tre fasi evolutive del rapporto tra arte e pubblicità ipotizzate da Alberto Abruzzese e citate all’inizio della trattazione, dall’altro svela un’inaspettata ciclicità nel processo: proprio come Touolouse-Lautrec e Cheret mostravano, attraverso l’espressività del disegno, quanto la società moderna logorasse l’uomo e lo rendesse schiavo, senza però comunicarlo direttamente allo spettatore, gli artisti abusivi vogliono far capire esattamente la stessa cosa all’osservatore contemporaneo: quanto esso sia schiavo dei meccanismi del capitalismo senza nemmeno rendersene conto.

Quindi, tornando al nostro quesito iniziale, quali sono le lezioni che l’arte ha imparato e può ancora imparare dalla pubblicità? Può ancora esistere uno scambio costruttivo tra le due discipline?

L’affermazione di Fortunato Depero riguardo la fatto che l’arte del futuro avrebbe dovuto essere pubblicitaria per poter sopravvivere, sembra essere stata lungimirante. Al di fuori degli ambienti che fanno parte del circuito dell’arte contemporanea, come accademie, università, gallerie, musei e altri luoghi a essa deputati, spesso le opere d’arte contemporanea più conosciute sono quelle che più si avvicinano al mondo della comunicazione pubblicitaria:

Conclusione

all’interno della nostra analisi abbiamo citato il successo globale della Street Art, ma in una ipotetica prosecuzione di questa ricerca potrebbero essere sicuramente essere approfondite figure come Maurizio Cattelan o andando indietro negli anni, Andy Warhol; sarebbe interessante analizzare come le modalità di diffusione e, nel caso di Cattelan, la spettacolarizzazione possano essere elementi influenti ai fini di una comunicazione efficace.

A giudicare dalla nostra analisi, l’arte ha imparato dalla pubblicità come rapportarsi con le persone in modo più efficace, in particolare che tono di voce utilizzare per poter essere ascoltata e non soltanto vista come qualcosa di troppo lontano e difficile da capire.

Altro suggerimento è stata la necessità di capire a chi si vuole parlare, in poche parole lo studio del target di riferimento, che certamente in ambito artistico non viene fatto attraverso un’analisi dei dati tanto precisa quanto quella applicata al design, ma partendo dal presupposto che, per una maggiore efficacia comunicativa, sia necessario individuare un punto di contatto con lo spettatore, una base culturale che permetta di stabilire una connessione più vera possibile. A tal proposito è importante che l’arte impari a dare del tu allo spettatore per garantire una maggiore identificazione ed empatia di quest’ultimo nei confronti di ciò che sta guardando. Infine, cosa più importante in assoluto, gli artisti, in quanto figure con una buona preparazione in campo estetico e filosofico, possono e devono farsi interpreti dei meccanismi della comunicazione commerciale per diventare dei tramiti per il pubblico.

L’artista ha l’occasione di aiutare le persone a decifrare il complesso mondo commerciale che le circonda, un’opportunità preziosa che non dovrebbe sprecare.

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Bibliografia e sitografia

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“L’arte dell sarà potent pubblicitar Fortunato Depero Manifesto dell’arte pubblicitaria 1932

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l’avvenire temente ria”

Durante il mio percorso accademico, uno dei fenomeni che ho trovato maggiormente interessanti è sempre stato il come l’arte e la filosofia si siano trovate ad avere spesso una funzione rivelatrice di tanti meccanismi che regolano il mondo moderno. Dopo questo percorso mi rendo conto di quanto lo studio di queste discipline potrebbe aiutare le persone, proprio come è successo a me, a comprendere come la comunicazione odierna, che spesso sottovalutiamo ritenendola come qualcosa che ci circonda, ma non ci tocca veramente, abbia spesso invece la unica funzione di manipolare i nostri bisogni e la nostra identità .