1 · L’ETÀ NAPOLEONICA
I sonetti e le odi (1800-1802) II rifacimento ortisiano del 1802 coincide pressappoco con la stesura dei dodici sonetti (di cui i primi otto riflettono l’atmosfera concitata dell’Ortis) e delle due odi.
a) «Né mai più toccherò...» A Zacinto Il poeta si rivolge all’isola in cui è nato, dichiarandosi destinato (al contrario di Ulisse, che dopo vent’anni tornò a Itaca) all’esilio perpetuo: un esilio che assume valore psicologico, di esclusione da una Grecia ideale, simbolo di perfezione e di felicità perduta.
I sonetti (1802-1803) Quattro sonetti hanno particolare rilievo.
b) «Pur tu copia versavi...» Alla Musa Il poeta contrappone il passato, in cui l’ispirazione era facile e abbondante, al presente arido, in cui neppure la poesia interviene a mitigare le sue sofferenze. c) «Un dì, s’io non andrò...» In morte del fratello Giovanni Rivolgendosi al fratello suicida con parole che richiamano quelle di Catullo (carme 101), Foscolo mette in luce le analogie di carattere che lo accomunano a Giovanni, ma immagina la propria tomba «illacrimata», cioè abbandonata, al contrario di quella del fratello, visitata dall’anziana madre. d) «Forse perché della fatal quiete...» Alla sera Il poeta dichiara di amare la sera, sia nella bella che nella brutta stagione, in quanto essa simboleggia per lui la morte, vista positivamente come quiete, pace, fine delle preoccupazioni e delle angosce esistenziali.
Nei quattro sonetti maggiori i temi dell’esilio e dell’illacrimata sepoltura, dell’inarrestabile fuggire del tempo, degli affetti familiari sconvolti dai fati avversi, dell’anelito alla quiete suprema, risultano illimpiditi e depurati rispetto a quanto accade nell’Ortis: Foscolo attua una perfetta fusione tra temi preromantici e linguaggio neoclassico. Anche sul piano formale questi sonetti sono esemplari: Foscolo rispetta la struttura classica (due quartine e due terzine di endecasillabi), ma la rinnova dall’interno usando arditi enjambement e rompendo la corrispondenza fra periodo e strofa per esprimere una forte tensione emotiva.
Le odi (1800-1802)
a) L’ode A Luigia Pallavícini caduta da cavallo (1800) è di ascendenza pariniana e montiana, sia per la ricchezza dei quadri mitologici (la nobildonna genovese, la cui bellezza è stata minacciata da una rovinosa caduta da cavallo, è paragonata successivamente a Venere, a Pallade, a Diana), sia per l’adesione alla poetica del sublime. In effetti però l’ode è importante perché in essa Foscolo per la prima volta attribuisce al mito una funzione particolare, quella di conferire significato universale a quei valori (qui, la bellezza) che il poeta rinveniva non solo nel passato classico, ma anche nel mondo contemporaneo. b) All’amica risanata (1802) è l’ideale proseguimento della prima, ma la celebrazione della bellezza diventa anche esaltazione della poesia, la suprema “illusione” del Foscolo, sentita come consolatrice ed eternatrice dei valori più alti degli uomini. Al di là dell’intarsio di motivi preziosi, che hanno richiamato alla critica le miniature del più elegante Classicismo settecentesco e il mito winckelmanniano del Bello ideale, è proprio questa risoluta e commossa consapevolezza del valore universale della poesia che costituisce il grande tema dell’ode.
All’amica risanata Antonietta Fagnani Arese, dopo una grave malattia, torna a risplendere nella sua radiosa bellezza, sia che ella si adorni con monili e amuleti preparandosi alle feste notturne, sia che canti accompagnandosi con l’arpa, tra il «basso sospirar» dei suoi adoratori, sia che intrecci danze, le lente trecce stillanti ambrosia. Antichi rituali compie la donna, sacerdotessa di Venere, col suo corteggio di Ore e di Grazie; e in virtù della sua bellezza, anch’ella - come Diana, Bellona e Venere, un tempo semplici mortali - sarà adorata dalle future donne lombarde, perché la divina arte della parola, ispirata al Foscolo dal «nativo aer sacro» e da lui trasferita nella solenne poesia italiana, travalica i limiti del tempo e conferisce immortalità.
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