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Introduzione. La svastica sul banco

Introduzione

La svastica sul banco

Un giorno uno studente ha disegnato una svastica sul banco. Dopo averlo fatto ha mostrato la sua opera al compagno di banco e ci hanno riso su. La mia prima reazione è stata la più naturale, ma anche la più banale: mi sono indignato. Per fortuna sono andato subito oltre l’indignazione. Era evidente che quel ragazzo non avesse la minima consapevolezza di ciò che la croce uncinata ha significato nella Storia del Novecento, dell’orrore che rappresenta. Allora mi sono avvicinato a lui e, senza alcun tono di rimprovero, ho iniziato a raccontargli gli eccidi commessi sotto il segno della svastica. Mentre rievocavo il massacro di vecchi, donne, bambini, il ragazzo, con il palmo della mano, un po' rosso in volto, cercava di cancellarla, fino a farla diventare una macchia indecifrabile. Fu quel giorno che nacque l’idea di questo libro.

Ho scritto Terra bruciata con l’inchiostro e con le lacrime. Quando ho iniziato pensavo di sapere tanto sulle stragi nazifasciste in Italia. Poi, procedendo con lo studio, la lettura di testi e documenti, l’ascolto di testimonianze, mi sono reso conto che le mie conoscenze erano incomplete, lacunose, disorganiche. Mi sfuggiva il quadro complessivo, la visione globale del fenomeno, la reale dimensione dell’orrore, tutto ciò perché non ero mai entrato nel particolare, nelle vicende dei singoli protagonisti, nelle tragedie di gente che aveva un nome, un cognome, una faccia, una storia. Per questo, a mano a mano che andavo avanti con il lavoro, aumentava l’emozione, l’indignazione, la rabbia, il dolore, ma anche la voglia di raccontare, di trovare la chiave narrativa giusta per rendere partecipi i più giovani di tragedie alle quali, troppo spesso, si concede solo il tempo di una

commemorazione, di una corona depositata davanti a un monumento e di qualche discorso delle autorità. Cose, per carità, importanti, ma assolutamente insufficienti. Celebrazioni che servono più ai celebranti che a una reale trasmissione della memoria.

Una più approfondita conoscenza degli eventi mi ha anche posto di fronte alla delicata questione di quali stragi raccontare. L’Atlante delle stragi nazifasciste in Italia ha censito oltre 5000 episodi. Premesso che anche quelli con una sola vittima sono degni di essere raccontati, mi sono trovato di fronte alla difficoltà, per evidenti questioni di spazio e tempo, di sceglierne solo alcuni. Ho deciso, quindi, di soffermarmi su quelli più emblematici, tenendo conto della dimensione dell’eccidio, della loro matrice (nazista, nazifascista, fascista), della loro tipologia (rappresaglia, rastrellamento, ritirata, desertificazione). Tuttavia, l’elemento che ha maggiormente condizionato le mie scelte è stata l’inutilità della strage, l’assoluta mancanza di proporzione tra la presunta causa (un attentato, uno scontro con i partigiani, la protezione di questi ultimi) e la reazione criminale dei nazifascisti nei confronti della popolazione civile, inerme e indifesa. Per questo non potevo non farmi condizionare dalla percentuale, tra le vittime, di vecchi, donne e bambini. Mi sono ritrovato, quindi, di fronte alla necessità di raccontare episodi di una crudeltà tanto inaudita quanto inutile.

Una ferocia che ha spostato il mio sguardo dal nazista e dal fascista, all’uomo, all'essere umano che diventa il vero imputato. Insomma, dall’affermazione Se questo è un uomo, riferita ai prigionieri dei campi di concentramento, alla domanda: Questo è un uomo? riferita ai massacratori di Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, Vinca, Pietransieri e delle altre centinaia di stragi. E l’uomo che è sul banco degli imputati non ha parlato nella Storia solo la lingua tedesca,

perché, purtroppo, allargando l’orizzonte, si deve avere l’onestà di dire che egli si è espresso in tante altre lingue del mondo oltre che, diciamolo pure, anche in italiano. Ecco perché credo che questo mio libro debba essere considerato non solo il tentativo di far conoscere ai giovani le efferatezze delle stragi nazifasciste, ma anche un contributo alla più decisa condanna di ogni violenza, e in primo luogo della guerra: la madre di tutti gli orrori.

C’è poi la questione del rapporto tra narrativa e Storia. A questo proposito penso che sia opportuno fare alcune precisazioni. La scelta di trasformare i fatti in racconto è legata alla volontà di coinvolgere con maggiore forza emotiva il lettore, trascinandolo dentro la vicenda, facendo scattare quel processo di immedesimazione che abbatte spazio e tempo, che rende il lettore stesso un protagonista dei fatti narrati. Ovviamente questo richiede la messa in opera di strategie di scrittura adeguate: in primo luogo la scelta di un narratore che non è mai una terza persona, estranea alla strage, ma sempre un testimone della stessa. Ciò comporta l’intervento dell’autore nella ricostruzione dei pensieri, delle emozioni, del narratore. Ma è solo in questo caso che mi sono preso qualche licenza letteraria, dando spazio alla mia immaginazione. Per il resto i fatti narrati sono quelli raccontati dai testimoni, riferiti dagli storici, riportati dall’Atlante delle stragi nazifasciste. Delle fonti utilizzate troverete sempre le precise indicazioni bibliografiche, in quanto questo mio libro, almeno così spero, dovrà essere solo un punto di partenza per approfondimenti e ricerche.

Qualche osservazione sull’apparato didattico. Le stragi raccontate sono comprensibili solo se si ha una conoscenza almeno di base della Seconda guerra mondiale, in particolare delle vicende che coinvolsero l’Italia dopo l’8 settembre del 1943. È per questo che la parte narrativa è introdotta

da pagine che hanno la funzione di fornire al lettore le conoscenze essenziali per entrare senza intralci nel quadro storico dentro cui si svolgono i fatti. Dopo i racconti, invece, troverete alcune pagine di contributi storiografici che potranno servire per approfondire le principali tematiche relative alle stragi nazifasciste, oltre a un quadro generale degli eccidi. Infine, perché Terra bruciata? La scelta di questo titolo fa riferimento non solo all’antica strategia militare che, distruggendo, incendiando, riducendo tutto in macerie e cenere, toglie al nemico qualsiasi possibilità di trarre risorse dal territorio conquistato, ma anche e soprattutto al valore simbolico che si potrebbe attribuire ai due termini: terra e fuoco. Il primo segna l’origine delle cose, la fatica, ma anche il sostentamento, la vita e la cultura di un territorio, soprattutto nel mondo contadino così tragicamente colpito dalla furia nazifascista; il secondo indica l’elemento che, fuori dal suo uso domestico, annienta, soffoca, desertifica, uccide. Nelle stragi che martoriarono l’Italia dalla tarda estate del 1943 alla primavera del 1945, il fuoco è stato quasi sempre un alleato dei carnefici, un’arma formidabile, mentre la terra, intesa in senso ampio e inclusivo (le case, i ponti, le strade, ma anche e soprattutto le donne, gli uomini, i vecchi, i bambini…), la sua vittima. Ma la terra è più forte del fuoco e, anche se dopo atroci sofferenze e tanta fatica, rinasce sempre, vince la sua battaglia germogliando nuovamente, ritornando a donare i suoi frutti, di vita e di libertà. Come accadde il 25 aprile del 1945. Tuttavia, bisogna sempre tenere a mente che il fuoco potrebbe ardere ancora. Per questo bisogna essere vigili, attenti, ricordando e raccontando, soprattutto ai più giovani. Affinché la terra non bruci più, come purtroppo sta accadendo, proprio mentre questo libro viene stampato, nella martoriata terra ucraina. R.M.

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