Sezione 2
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10 Un popolo «quasi bestiale»: gli Unni nella visione di Ammiano Marcellino Ammiano Marcellino, Storie, XXXI, 2-3 Ammiano Marcellino fu l’ultimo grande storico pagano di Roma. Nella sua vasta opera storica Res Gestae (“Le imprese”, composta intorno al 380-390), Ammiano giunge a occuparsi del popolo degli Unni: il più recente tra i protagonisti appena affacciatisi al palcoscenico della storia europea. Questa pagina di Ammiano è molto significativa per documentare sia lo stupore verso un popolo così diverso, sia il senso di superiorità culturale che la cultura romana avvertiva verso l’«inciviltà» di quei nuovi venuti.
Gli unni: una gente barbara oltre ogni immaginazione vive ai bordi del Mar Glaciale1. Quando nascono, le guance gli vengono incise da profondi tagli perché il pelo si perda nelle cicatrici e invecchino senza barba. Sono tarchiati, robusti, grossi di collo, con qualcosa che incute timore. Ad un aspetto che, seppure deforme, è pur sempre umano, corrispondono abitudini quasi bestiali. Il loro cibo non ha bisogno né di fuoco né di condimento e consiste in radici d’erbe selvatiche e nella carne del primo animale che capiti a tiro, da far frollare un po’, tenendola sotto le cosce mentre cavalcano. Mai che si trovino all’interno di qualche edificio: anzi comunemente, rifiutano le case come se fossero tombe e questo al punto di non avere nemmeno delle capanne di canne. Coperti di indumenti di lino o di pelli cucite insieme, non hanno una veste per quando si trovano in casa e un’altra per quando escono. [...] Poco adatti a combattere a piedi, se ne stanno come inchiodati ai loro cavalli e sulle loro groppe sbrigano ogni faccenda: dal vendere al comprare, dal mangiare al bere e, allungati sul collo della loro bestia, persino al dormire. Ed è sempre a cavallo che si consultano e prendono le decisioni per la loro comunità, senza cerimonie, seguendo la guida dei migliori di loro. Nessuno di loro lavora la terra o tocca un aratro. Tutti viaggiano senza meta, senza tetto, senza leggi, senza sicurezza di cibo, continuamente in fuga su quei carri a due ruote che sono la loro casa, dove la donna mette insieme squallidi vestiti, partorisce e nutre i figli. Nel combattere vanno contro il nemico lanciando cupe grida. Sono pronti e imprevedibili sia nella difesa che nell’attacco: non si schierano mai in ordine fisso e seminano la strage con grandissima velocità. Viene da giudicarli tra i più terribili guerrieri della terra perché, sicuri dei loro colpi da lontano (una pioggia di dardi dall’acuta punta d’osso, anziché di ferro), sono coraggiosissimi nel corpo a corpo e sanno legare gli avversari dentro una cinghia di cuoio in modo da paralizzarne ogni movimento e questo lo fanno mentre scansano i colpi di spada. 1. mar Glaciale: le coste settentrionali della Russia asiatica. La localizzazione è però inesatta: gli unni provenivano dall’Asia centrale.
Analizziamo il testo • La pagina di Ammiano Marcellino è importante anche aldilà della storicità delle notizie che ci fornisce. Essa infatti ci documenta – più che un ritratto attendibile degli unni – l’immagine, o meglio, la fama sinistra che, nel giro di pochi anni, aveva preso a circondarli nell’immaginario collettivo. • L’autore parte da due considerazioni: - l’aspetto degli unni è deforme, le abitudini di vita sono quasi bestiali; - d’altra parte, Ammiano deve ammettere che si tratta di uomini (il loro aspetto, «seppure deforme, è pur sempre umano»). • Su queste basi l’autore propone un ritratto per antitesi. Pur essendo uomini, gli unni sono ai confini dell’umanità, quasi fuori di essa, per più aspetti: - infatti mangiano cibi crudi (come gli animali selvatici) e non cotti;