Sezione 2
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8 L’EDITTO DEI PREZZI DI DIOCLEZIANO Diocleziano, Edictum De Pretiis Rerum Venalium (301), edito da M. Giacchero, Genova, 1974 Nel 301 Diocleziano e Massimiano (quest’ultimo era allora «augusto», cioè co-imperatore) emanarono il celebre Editto sui prezzi, nella speranza di arginare l’inflazione crescente in molte regioni dell’impero. Si tratta di un documento importante, non solo perché indica a quanto gli imperatori stimassero dovesse ammontare il prezzo massimo di molte merci, ma soprattutto perché mostra il fallimento della pretesa di imbrigliare la realtà, in questo caso del mercato economico, da parte di un potere del resto quasi assoluto come quello degli imperatori romani all’inizio del V secolo.
Abbiamo deciso di fissare non i prezzi delle merci, che potrebbe apparire ingiusto dato che molte province fruiscono di prezzi bassi [...], ma un massimo in maniera che, in caso di aumento, la cupidigia, la quale come campo aperto all’infinito non potrebbe essere contenuta, sia frenata dai limiti imposti dal nostro decreto o con i divieti d’una legge moderatrice. Stabiliamo pertanto che in ogni parte del nostro impero siano rispettati i prezzi elencati nel testo sotto riportato. Si sappia tuttavia che se è tolta la facoltà di superarli, non è vietato di fruire, là dove ci sia abbondanza di merci, di bassi prezzi, dei quali ci si occuperà quando la cupidigia sarà del tutto repressa. Essendo poi noto che, anche in passato, sanzioni rivolte a eliminare gli abusi accompagnano sempre le leggi — è rara infatti nell’uomo l’accettazione spontanea di una regola rivolta a fargli del bene e sempre è il timore a persuaderlo a compiere il proprio dovere — stabiliamo che quanti contravvengano audacemente alle norme del decreto siano condannati a morte. Non si giudichi questo un decreto rigoroso; osservandolo se ne evitano le pene previste. Uguale sanzione colpirà anche chi, indotto dal desiderio di fare acquisti, approfitterà della cupidigia del venditore per violare di comune accordo la legge. Uguale punizione tocca a chi, appena reso noto il decreto, ritirerà dal mercato le scorte di generi alimentari e di beni di prima necessità; gli spetterebbe anzi, rispetto a coloro che mantengono la penuria dei beni aggirando la legge, una punizione ancora maggiore per il fatto di esserne la causa prima. Questa legge è emanata per il bene comune e per questa ragione esortiamo tutti a rispettarla con arrendevolezza benevola e con ogni scrupolo, tanto più che il decreto non riguarda solamente una città, un popolo, una provincia, ma il mondo intero alla cui rovina, lo sappiamo, mirano alcuni uomini che mai sono sazi nell’ammassare ricchezze e la cui avidità mai sa placarsi. [...] Una libbra1 d’oro vale 50000 denari. Un moggio castrense2 di grano: 100 denari. Una libbra di carne suina: 12 denari. Un uovo: 1 denario. Un sestario3 di vino comune: 8 denari. Una giornata di un operaio agricolo: 25 denari. Una giornata di un muratore: 50 denari. Una giornata di un imbianchino: 75 denari. L’arringa di un avvocato: 1000 denari. Il salario di un insegnante: 250 denari al mese (per scolaro). 100 righe di buona trascrizione: 25 denari. 100 righe di scrittura comune: 20 denari. Un leone da anfiteatro: 150 000 denari 1. Libbra: unità di misura del peso corrispondente a circa 300-500 grammi. 2. moggio castrense: unità di misura della capacità corrispondente a circa 17,5 litri. 3. sestario: unità di misura della capacità corrispondente a circa 1/2 litro.