Sezione 2
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17 L’orgoglio di Mario: «Io sono un uomo nuovo!» Sallustio, La guerra giugurtina, 85 Mario ottenne il consolato dell’anno 107 a.C. contro il parere dei nobili ma con l’appoggio di soldati e cavalieri. Questa famosa pagina, tratta dalla Guerra giugurtina dello storico latino Sallustio, lo ritrae mentre arringa i soldati, in Africa. Il neo-console si presenta ai suoi soldati, secondo l’elaborazione di Sallustio, come un generale capace e onesto, ben diverso dai politici nominati dalla nobiltà, l’oligarchia al potere.
Mi avete ordinato di condurre la guerra contro Giugurta, cosa che la nobiltà ha sopportato con grande sdegno. Giudicate nella vostra coscienza, vi prego, se sia meglio cambiare decisione, affidando l’incarico a un uomo di antica famiglia, ricco di ritratti d’antenati1, ma privo di esperienza militare sul campo, con il sicuro risultato, quando si troverà al comando di un’impresa così ardua, di vederlo in preda all’incertezza ed allo smarrimento, e di essere costretto ad assumere uno del popolo2 che gli insegni il mestiere. [...] Io, o Quiriti3, conosco di quelli che soltanto dopo essere stati eletti consoli, si sono dedicati a leggere le gesta dei loro avi e i trattati militari greci4. Quella è gente che fa le cose alla rovescia: infatti prima bisogna essere eletti e poi si esercita il potere, ma il mestiere5 lo si deve imparare prima. Ora, Quiriti, paragonate me, uomo nuovo, con la superbia di costoro. Ciò che essi in genere sentono dire o leggono, io l’ho visto con i miei occhi e l’ho fatto di persona. Quello che essi hanno appreso sui libri, io l’ho imparato combattendo. Giudicate voi se valgano di più le azioni o le parole. Essi disprezzano la mia umile origine, io la loro incapacità. A me si può rinfacciare la mia condizione, a loro una condotta disonorevole. Io credo che la natura umana sia unica e comune a tutti, ma sono anche convinto che tanto più si è nobili quanto più si è valorosi. [...] Invidiano la mia carica; ma allora siano invidiosi anche delle mie fatiche, della mia onestà e dei rischi che corro, visto che è grazie a queste cose che ho ottenuto il consolato. Questi nobili, rovinati dalla superbia, vivono quasi disprezzando le cariche che voi assegnate; ma poi le pretendono, mostrandosi onesti. Si sbagliano davvero, se credono di poter raggiungere contemporaneamente due obiettivi incompatibili tra loro: i piaceri dell’ozio e i premi del valore guerriero. 1. ritratti d’antenati: i ritratti dei nobili antenati erano venerati da parte delle famiglie aristocratiche, che potevano menare vanto per il fatto che i loro avi avevano ricoperto una carica pubblica. 2. uno del popolo: uno come lui, insomma. Mario allude qui ai suoi rapporti con il generale Metello, il precedente comandante, che non aveva saputo riportare la vittoria decisiva contro Giugurta. 3. o Quiriti: cittadini di Roma. 4. leggere... militari greci: cioè apprendono sui libri (i libri greci erano i più rinomati) i rudimenti dell’arte della guerra, senza mai averla vissuta prima sul campo. 5. il mestiere: l’arte di governare e di condurre una guerra.
Analizziamo il testo • Mario, nato in una semplice famiglia del municipio di Arpino, di rango equestre e non nobile, era un «uomo nuovo», secondo i principi della politica romana di allora. Aveva però prestato servizio militare a Numanzia con Scipione l’Emiliano nel 134 a.C. e quindi, molti anni dopo, nel 109 a.C., dopo che si era imparentato con la potente famiglia Iulia (la stessa da cui proverrà Giulio Cesare), fu nominato legato del console Q. Cecilio Metello in Africa, nel corso della guerra contro Giugurta. A quel punto poté porre la sua candidatura per il consolato dell’anno 107 a.C., che ottenne, malgrado l’opposizione degli aristocratici. • La propaganda per ottenere il consolato fu impostata da Mario sulla base degli stessi concetti qui sviluppati da Sallustio: i nobili sono corrotti e inefficienti; per vincere la guerra in Africa bisogna attribuire il comando a chi si è dimostrato capace e meritevole.