I GIOVANI DELLÕENEIDE Pallante È l’ora del tramonto sulla campagna ancora tiepi da di sole, Enea cammina a passi lenti con Evan dro, tutto intorno c’è una grande pace. Evandro è l’anziano re di Laurento venuto dall’Ar cadia, è vedovo e vive in terra latina con l’unico fiore splendente della sua triste vita: il giovane figlio Pallante. Altri non ha al mondo, ma l’affetto forte e delicato che lo lega a lui gli riempie la vita e gliela consola; Pallante è la sua vita. Così, quando Enea gli chiede aiuti per combattere i Latini ostili, il re ben comprende la solennità del momento, sa che tutto è già preordinato dal Fato, ma ha un certo timore per il figlio giovinetto. Sui dubbi, però, prevale la volontà di accettare il De stino: «Ti ammiro, Enea, perché sei stato la conso lazione di tuo padre Anchise, lui stesso me lo ha confidato più volte con orgoglio. Solo chi ama i genitori e li rispetta ha la benevolenza degli dèi e la considerazione degli uomini. Anch’io, come tuo padre, sono stato fortunato. Pallante è stato sem pre amorevole e rispettoso verso di me, lui, lui solo è la forza del mio cuore e l’unico motivo che ho per rimanere in vita. Oh, io l’ho amato con tutto me stesso e anche gli dèi ... Sì, per la tua giusta causa, io te lo affido, o figlio di Anchise, insegnagli il tuo valore e proteggilo come fosse figlio tuo, lui è poco più di un bambino». Poi, con gli occhi lucidi per la commozione e i pu gni serrati, il vecchio re implora gli dèi di difendere il figlio, suo unico conforto ricevuto in tarda età. E le lacrime cominciano a scendere sul volto sca vato, ed Evandro, con l’animo scosso, scongiura le divinità, nel caso dovesse succedere l’irreparabile, di voler troncare, per pietà, il suo dolore e la sua vita. La commozione, a quel punto, si fa più inten sa, diviene sofferenza e il re si sente mancare. Con sollecitudine, accorrono i servi e lo portano nella reggia. Fuori rimane il silenzio dei sudditi, grave
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e rispettoso insieme. Intanto i cavalieri, divisi in squadre, corrono oltre le porte spalancate (cfr li bro VIII, pag. 82). Pallante è con i suoi guerrieri, splendente, nella sua veste di porpora, cinto dalle armi riccamente dipinte. A chi lo ammira, appare luminoso e sereno come la prima stella del matti no che, nella dolcezza dell’alba, annuncia l’appa rire del giorno. Ma il Fato ha in serbo, ahimè, un triste destino per lui. A nulla varranno le preghiere che egli rivolge ad Ercole, a nulla; per mano di Turno (cfr libro X, pag. 97-98) lo sfortunato ragazzo cadrà nella polvere. Piange per lui il grande Enea che vede spezza ta la vita del giovane amico e piange per il di lui padre pensando ai giorni di nera desolazione che lo attendono. Veglia il ragazzo e lo accarezza come fosse suo figlio e non si stanca di guardarlo e di parlargli (cfr libro XI, pag. 105). Poi, quando il corteo funebre di Teucri, Tirreni ed Arcadi si muove per accompagnare la salma alla dimora paterna, Enea si allontana, dopo averlo salutato con poche ultime parole: «A te, per sempre, grande Pallante, addio, per sempre, addio!». Ma là dove l’ala del dolore stende con maggior tristezza la sua ombra è nel cuore di Evandro che vivrà giorni di cupa desolazione! Povero padre straziato, lo attendono giorni di nera tristezza! Incredulo e trepidante si fa sulla soglia il vecchio re, ancora non può credere a quanto ha sentito annunciare! È lui il giovane che portano, cadavere, alla reggia? È proprio lui, il suo Pallante? Eppure lo aveva affidato in mani sicure, eppure aveva implorato in ginocchio gli dèi che lo vegliassero, eppure lo aveva accompagnato con la sua benedi zione eppure ... E il figlio suo ora torna trasformato in dolore. Perché? Se lo chiede il buon Evandro, ma già in cuor suo ha la risposta. È volere del Fato.