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I 500 anni della Cappella Sistina

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“E

r a Papa Giulio molto desideroso di vedere le imprese che e’ faceva, per il che di questa che gli era nascosa venne in grandissimo desiderio; onde volse un giorno andare a vederla e non gli fu aperto, ché Michelagnolo non avrebbe voluto mostrarla”.

Giulio II intende fermamente portare avanti l’ambizioso programma del suo predecessore Sisto IV: affermazione e celebrazione della Chiesa di Roma in ambito culturale e politico. In tale programma rientra anche la costruzione della nuova Cappella papale, sui resti di una precedente cappella di ben minori dimensioni e importanza. Sisto IV affida l’incarico della grandiosa decorazione pittorica degli interni a un gruppo di grandi pittori a quel tempo presenti a Roma: Cosimo Rosselli, Sandro Botticelli, Domenico Ghirlandaio, Pietro Perugino. Nel 1482 la loro opera, in parte completata ed avente per oggetto episodi tratti dal Vecchio e Nuovo Testamento, riferiti essenzialmente alle figure di Mosè e di Cristo, viene sottoposta alla valutazione di un gruppo di esperti nominati dal Pontefice, due teologi, tre pittori e uno degli architetti della

Così il testo del Vasari, nel raccontare la vita di Michelangelo, in maniera sintetica documenta il rapporto di grande stima e apprezzamento da parte del pontefice verso l’artista e i timori e le titubanze che questo ave2 va nella realizzazione dei dipinti sulla volta della Cappella Sistina tanto da porsi in contrasto con lo stesso pontefice.

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Cappella. Essi ne devono valutare la rispondenza alle intenzioni della committenza e al tempo stesso la congruità con un programma iconografico che sicuramente doveva sottintendere il contenuto del ciclo di affreschi, come giustamente affermato e documentato da H. W. Pfeiffer. Quando Michelangelo inizia la sua opera nel 1508 i dipinti delle due pareti laterali sono stati completati e la volta presumibilmente si presentava semplicemente decorata con un cielo stellato. L’artista è timoroso nell’affrontare tale impresa, non si sente preparato nell’uso della tecnica dell’affresco: egli si ritiene essenzialmente uno scultore, infatti all’età di trentatre anni è già un artista affermato: ha realizzato due capolavori quali il Davide a Firenze per i Medici e la Pietà a Roma per il Pontefice. La stima e l’ammirazione che Giulio II nutre verso il giovane artista, unitamente alla sua ferma volontà di portare avanti il programma che si era dato, avranno la meglio non solo sulle titubanze di Michelangelo ma anche sulle trame dell’ambiente culturale ed artistico della corte papale, all’artista scarsamente favorevole. Michelangelo è consapevole della difficoltà dell’opera, dipingere circa mille metri quadrati di superficie utilizzando la tecnica dell’affresco fino ad allora da lui poco sperimentata; a ciò si aggiungono le aspettative del pontefice animato anche da grande fretta. Giulio II infatti è impaziente, vuole vedere come procede l’opera e soprattutto essere parte attiva nella sua realizzazione anche con consigli che risultano poco graditi all’artista. Ancora da Vasari “Il Papa vedendo spesso Michelagnolo gli diceva: “Che la cappella si arricchisca di colori e d’oro, ché l’è povera”. Michelagnolo con dimestichezza rispondeva: “Padre Santo, in quel tempo gli uomini non portavano addosso oro, e quegli che son dipinti non furon mai troppo ricchi, ma santi uomini, perch’egli sprezaron le ricchezze”. Michelangelo è un uomo profondamente religioso e la sua religiosità affonda le radici nelle dottrine neoplatoniche delle quali era profondamente imbevuto grazie alla frequentazione della corte di Lorenzo Il Magnifico. Egli pur essendo fermamente persuaso della bellezza del mondo materiale non crede nell’imitazione fedele della natura: insegue la bellezza come riflesso del mondo divino in quello terreno e crede nella funzione religiosa delle arti. In una delle sue numerose poesie Michelangelo parla di rivelazione di Dio attra-

verso la bellezza. Questa sua maniera di intendere l’arte trova specifica, anche se per certi aspetti diversa, applicazione nei dipinti che esegue nella volta e nella parete di fondo della Cappella. Il complesso della Sistina rappresenta nel suo insieme la narrazione dell’evoluzione del Rinasci-

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mento nell’arco temporale di meno di un secolo. Pochi decenni separano gli affreschi delle pareti laterali dai dipinti presenti nella volta, ma è enorme la differenza fra di loro. Infatti i dipinti delle pareti pur essendo realizzati da artisti diversi seguono un medesimo schema di narrazione e rappresentazione e quindi sono da considerarsi sostanzialmente omogenei. Completamente diversa la rappresentazione michelangiolesca quale si sviluppa nella volta con la narrazione di episodi dell’Antico e Nuovo Testamento e trent’anni dopo con le drammatiche scene del Giudizio Universale. Gli affreschi delle pareti sono espressione del pieno Rinascimento. Sotto il profilo contenutistico rispettando la tradizione del tempo, narrano un evento, utilizzando gli strumenti compiuti del Rinascimento: l’uomo, o meglio la figura umana, la misura, la costruzione prospettica. I personaggi affollano la scena, una scena conclusa da una precisa delimitazione con lesene e trabeazioni anch’esse dipinte; la loro collocazione nella stessa ha una sua razionalità, anche gerarchica, nell’economia della rappresentazione. La scena è improntata all’equilibrio delle parti e alla pacatezza dei sentimenti. La rappresentazione realistica della natura, che nasce dall’osservazione scientifica, l’introduzione di elementi architettonici ripresi dai monumenti classici, oggetto

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