prendere altri vestiti e biancheria (Miep lavora in ufficio da papà ed è una nostra cara amica, come suo marito Jan); alle undici e mezza tutti se ne erano andati. Io ero stanca morta e dormii profondamente, pur sapendo che sarebbe stata l’ultima notte nel mio letto. Mamma mi svegliò alle cinque e mezza del mattino. Ci imbacuccammo come se dovessimo passare la notte in una ghiacciaia, per portare via tanti vestiti. Io avevo addosso due camicie, tre calzoncini, un vestito, scarpe pesanti, un berretto, una sciarpa, soffocavo ancora prima di uscire. Nessun ebreo nelle nostre condizioni avrebbe osato uscire con una valigia piena di vestiti. Alle sette e mezza chiudemmo la porta di casa; l’unico che salutai fu Moortje, il mio gattino, sarebbe rimasto con i vicini. Le tazze della colazione sul tavolo della cucina con un bel pezzo di carne per il gatto, i letti disfatti, tutto dava l’impressione che fossimo scappati a rotta di collo. Ma di tutto questo non ci importava nulla, volevamo andare via e arrivare al sicuro, nient’altro. Continuo domani.
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