I primi due volti di Merlino

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO Facoltà di Studi Umanistici Corso di Laurea Triennale in Lettere

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I primi due volti di Merlino L’origine mediolatina del mago più celebre della letteratura

Relatore: Prof.ssa Rossana Eugenia Guglielmetti

Elaborato Finale di: Elio BIFFI Matr. n. 836508

Anno Accademico 2017/2018

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Indice - Abstract………………………………………………………………………….………… 3 - Goffredo di Monmouth: il creatore di un immaginario…………………………………… 4 - Le Gesta di Merlino………………………………………………………………………. 10 - Nennio, Ambrosio e Merlino: l'episodio della nascita…………………………………….. 22 - Le fonti celtiche: i codici poetici gallesi e i folktale di Lailoken nelle agiografie di San Kentigern………………………………………………………………………..… 25 - Un personaggio bifronte o due personaggi distinti? Teorie sulla genesi di Merlino e sulla sua immediata ricezione nel panorama letterario del XII secolo…………………. 29 - Bibliografia……………………………………………………………………………….. 39 - Ringraziamenti…………………………………………………………………………… 40

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Abstract La seguente trattazione si prefigge di analizzare e censire le prime testimonianze letterarie del personaggio di Mago Merlino. I due testi su cui ci si concentrerà sono l’Historia Regum Britanniae e la Vita Merlini di Goffredo di Monmouth, dalle quali si è estrapolata una sinossi degli episodi riguardanti il mago e profeta. Questi due testi sono riconosciuti dalla critica come tappa iniziale dello sviluppo letterario di questo personaggio, e di conseguenza Goffredo come suo autore e ideatore. Si analizzeranno inoltre alcuni altri testi medievali latini e gallesi intimamente connessi all’opera galfridiana di cui si sottolineerà l’apporto e le corrispondenze nell’opera di Goffredo: l’Historia Brittonum di Nennio, gli Annales Cambriae, alcuni testi poetici gallesi contenuti nel Black Book of Camarthen, i testi agiografici conosciuti come Lailoken A e Lailoken B ed altre citazioni minori dalla poesia gallese. Verranno anche analizzate le prime citazioni di Merlino successive a Goffredo, per chiarire la loro dipendenza dall’opera galfridiana: in particolare, quelle presenti nell’Itinerarium Cambriae di Giraldo di Cambria e quella presente nella Chronica di Gervasio di Canterbury. La trattazione si conclude con la presentazione di alcune teorie legate alla genesi e allo sviluppo letterario del personaggio di Merlino, quelle di A.O.H. Jarman e quella di O.J. Padel che la completa e chiarifica; quest’ultima sostiene, seppur senza prove dirimenti, impossibili da produrre per la scarsezza delle fonti, che sia opera di Goffredo la fusione tra i temi legati a Myrddin, figura profetica e mistica della poesia orale locale del Galles meridionale, e quelli legati alla follia di un homo selvaticus reso delirante dalla battaglia di Afderdydd, connessi a zone geografiche più settentrionali e prima di Goffredo indipendenti dal personaggio di Myrddin. Le teorie citate dimostrano infine che la prima correlazione attestata di Merlino al corpus arturiano è opera di Goffredo, così come alcuni nuclei narrativi e le Prophetiae Merlini sono opera della sua fantasia creativa, o per lo meno non esistono antecedenti a noi sopravvissuti in grado di dimostrare il contrario.

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Goffredo di Monmouth: il creatore di un immaginario Gaufridus Monumetensis è il nome con cui l’autore dell’Historia Regum Britanniae si identifica all’interno dei suoi stessi scritti. Nella Vita Merlini, la cui attribuzione pare più dubbia, come si approfondirà altrove, si sigla come Gaufrido de Monumeta. Goffredo, come lo si citerà da qui in avanti, è stato uno degli scrittori più letti e influenti del medioevo latino inglese, nonché colui che per primo ha fissato su carta all’interno di un racconto la figura di Merlino, mago, profeta e consigliere di Artù. Il peso di Goffredo nella storia letteraria è enorme: senza gli spunti che ad autori successivi ha dato la sua opera moltissima altra letteratura non avrebbe mai visto la luce. Per citare solo i due esempi più eclatanti, il “Re Lear” di Shakespeare e tutti i roman francesi inerenti alla cosiddetta materia di Bretagna non sarebbero mai stati scritti senza le premesse tratte dall’opera di Goffredo.

Non è stato possibile agli studiosi comprendere se il toponimo legato al suo nome sia dovuto agli effettivi natali di Goffredo o piuttosto a una semplice prolungata sua presenza nella città di Monmouth. Le sue opere ci indicano tuttavia una profonda conoscenza di quei territori, dei toponimi, dell’onomastica e delle tradizioni Gallesi.

Le sue frequentazioni, come vedremo, lo connettono con le cerchie di potere normanne che stavano tentando di consolidare il loro controllo sul territorio britannico conquistato nel secolo precedente.

Esistono alcune testimonianze in atti giuridici e di concessioni fondiarie negli archivi della città di Oxford di un Magister Galfrido Arturus (e varianti su questo nome), evidentemente corrispondente al Nostro, operante appunto ad Oxford tra il 1129 e il 1151. La cittadina al tempo ancora non era sede della rinomatissima università, ma già era centro di irradiazione culturale e questo, sommandolo al titolo di Magister, ci suggerisce che Goffredo fosse effettivamente un insegnante. Altri tracce documentali ci indicano che fosse canonico agostiniano nel College di St. George; documenti più tardi da lui siglati, infine, ci indicano che nel 1151 si definisse “Episcopus Sancti Asaphi”, e più avanti nello stesso anno “Electus Sancti Asaphi”. Le cronache riportano infatti che fosse stato eletto vescovo di St. Asaph in Flintshire, luogo in cui non sappiamo se effettivamente si sia mai recato, forse per timore dei sanguinari e rivoltosi abitano del luogo; abbiamo notizia infine che nel 1152 venne ordinato sacerdote a Westminster e poco dopo consacrato vescovo di Lambeth. Ultima testimonianza certa della sua vita e la sua firma in qualità di testimone sul Trattato di Wallingford tra Re Stefano ed Enrico FitzEmpress - non esistono fonti riguardo la sua morte se non alcune cronache Gallesi che la citano come avvenuta nell’anno 11551.

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Introduzione a Goffredo di Monmouth, Storia dei Re di Britannia, trad. G.Agrati e M.L. Magini, Parma 1989.

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Goffredo è dunque sì scrittore ma anche uomo calato nei fatti politici dei suoi tempi, fatti la cui eco si riverbera fortemente all’interno della sua opera. Per citare un tema su tutti, la guerra fratricida tra re o eredi, tema pressoché dominante in tutte le opere che ci sono giunte. Goffredo vive in un’era complessa e caratterizzata da un grande vuoto di potere: gli storici inglesi moderni hanno ribattezzato gli anni in cui visse con l’eloquente nome di “the Anarchy”2. Senza volere scendere troppo nel dettaglio, dopo la conquista normanna della corona inglese sancita nel 1066 da Guglielmo il Conquistatore, il potere del ceto nobiliare si andava gradualmente rafforzando, e le figure regali lentamente perdevano autorità. Il casus belli per la guerra civile che interessò l’epoca di Goffredo fu la morte di Enrico I Beauclerk (noto con questo nome per i suoi interessi culturali), che aveva fatto giurare alla sua corte di approvare la nomina della figlia Matilda, sua unica erede dopo il tragico naufragio della White Ship del 1120, in cui era imbarcato il principe delfino e molti altri nobili normanni.

L’impossibilità di concepire una regina regnante e la vicinanza di Matilde per alleanza matrimoniale con la rivale casata francese degli Angiò spinse il ceto nobiliare a richiamare Stefano di Blois, nobile normanno discendente per linea diretta da Guglielmo il Conquistatore, a Winchester, dove venne unto Re nel 1135. Questo Re Stefano è il Re Stefano del Trattato di Wallingford citato poco sopra. Inizia dunque nel 1135 un lungo periodo di lotte e guerre civili tra i sostenitori e i parenti di Matilda e quelli di Stefano di Blois, che si concluderà solo nel 1153 dopo dozzine di conquiste, invasioni e attraversamenti in armi della Manica, quando Stefano ormai vecchio e stanco e a sua volta privato degli eredi dal fato avverso concorderà la pace con Enrico Plantageneto, figlio di Matilda, cedendogli de facto l’eredità del trono alla sua morte, avvenuta pochi anni dopo.

E’ importante per comprendere appieno il senso profondo e alcuni caratteri dell’opera di Goffredo inquadrare la sua posizione: uomo di cultura con ogni evidenza di origine almeno parzialmente gallese (ce lo suggeriscono non solo il suo luogo d’origine presunto, ma anche la sua profonda conoscenza del patrimonio tradizionale locale e più banalmente la sua padronanza della lingua gallese, evidente nell’onomastica della sua opera e da lui stesso in vari passi esibita) che si trova in un periodo di caos politico e sociale generato, in fondo, da un’invasione della sua terra natale da parte del popolo normanno. Altre trattazioni lo identificano come nativo della Normandia.3 Goffredo era in ogni caso evidentemente conscio della congiuntura storica che viveva, anche perché il suo stesso lavoro era strettamente dipendente dal patronato e dal finanziamento della nobiltà.

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Frank Barlow, The Feudal Kingdom of England, 1042–1216, Harlow, 1999, p. 217

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I, Geoffrey of Monmouth, Historia Regum Britanniae, ed. M.A. Acton Griscom, Ginevra 1977

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Ecco dunque chiarirsi lo scopo politico dell’Historia Regum Britanniae, la sua opera maggiore, che, secondo le confessioni che Goffredo lascia trapelare, fu l’opus magnus che si sobbarcò per gran parte della sua vita. Il titolo è tra l’altro legato alla tradizione successiva, nei manoscritti più antichi come notato da Reeve è intitolata De Gestis Britonum.4 Non è questa la sede per approfondire, ma è evidente che un testo storico e letterario assieme che arriva a citare la Britannia come padrona dell’Europa tutta ha lo scopo di costruire un solido appoggio per la neonata monarchia Inglese, in forte contrasto con l’epos di Carlomagno su cui la corona Francese aveva le sue radici ideologiche. Interessante è notare che i numerosissimi manoscritti attraverso cui ci è giunta l’opera sono dedicati a diversi personaggi dell’agone politico del tempo. È evidente che non tutti siano stati vergati dalla mano di Goffredo o dai suoi scribi, ma è altresì piuttosto probabile che ogni variante del testo a noi giunto siglato con il suo nome sia copia di un antigrafo licenziato dall’autore. Inizialmente, Goffredo indirizzò la sua opera a Roberto di Gloucester, poi ad Alessandro di Lincoln, aperti sostenitori di Matilda nella guerra civile, per poi muovere ad altri dedicatari sempre più vicini al partito di Re Stefano, fino ad indirizzarsi al Re Stesso.

Abbiamo testimonianza di tutte queste diverse dediche anche per la disponibilità di manoscritti enorme che è giunta fino a noi. M.A. Acton Griscom arriva a elencarne 142 nella sua edizione critica del 19775 , e sostiene con certezza la probabilità che esistano altre copie ancora non disponibili al pubblico, perché in collezioni private o in fondi bibliotecari monastici ancora inesplorati. Per un’opera databile alla prima metà del XII secolo è un numero di testimoni enorme, che ci sottolinea quanto fosse letta e diffusa l’Historia Regum Britanniae nel XII secolo inglese ma non solo: i manoscritti sopravvissuti provengono da un’area davvero ampia, dalla Scozia al Centro Italia.

Goffredo ci racconta, nell’introduzione dell’Historia Regum Britanniae, che il suo libro altro non è che la riscrittura in latino di un liber vetustissimus in lingua britannica che avrebbe ritrovato, e avrebbe tradotto per il diletto di un suo conoscente, Walter di Oxford. L’espediente, assai interessante e assai tipico per molti scrittori di narrativa storica o presunta tale, serve a Goffredo per legittimare la sua opera agli occhi del lettore meno smaliziato, a cui il frutto della sua fervida fantasia sarà apparso quantomeno verosimile in quanto testimonianza di una cronaca ancora più antica.

L’espediente del liber vetustissimus chiarisce inoltre, a mio parere, il tentativo di Goffredo di riagganciare ciò che il suo calamo vergava a una tradizione precedente, una tradizione di narrazioni fantastiche e mitologiche che per quanto la storia ci ha consegnato non sappiamo se essere già stata fissata su carta o unicamente tramandata

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The History of Kings Of Britain, ed Michael D. Reeve, trad Neil Wright, Introduction, Woodbridge 2007.

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Geoffrey of Monmouth, Historia Regum Britanniae, ed. M.A. Acton Griscom, Ginevra 1977, APPENDIX I p 551-577.

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oralmente all’altezza cronologica di Goffredo, ma che certamente fu fonte e base per il suo lavoro, come vedremo più oltre con più puntualità e chiarezza.

Atribuite a Goffredo oltre all’Historia Regum Britanniae sono le Profezie di Merlino, un testo che circolò prima del completamento dell’Historia stessa, e che poi venne da Goffredo incluso nelle stesure definitive dell’opera. Sono un unicum di grande interesse, un testo composito, oscuro e densissimo di simbologia sulla cui esegesi nonché origine la critica non è del tutto concorde. Si tratta fondamentalmente di un’elencazione di calamità, guerre, successioni di potere che sarebbero dovute avvenire in Britannia dall’epoca in cui Merlino le pronuncia (V secolo) fino alla fine dei tempi. La prima parte risulta piuttosto evidente nell’interpretazione, che si concretizza nelle pagine successive dell’Historia Regum stessa, ma le profezie procedono virtuosisticamente anche oltre, e non è per nulla comprensibile chi e cosa Goffredo celasse al di sotto delle allegorie naturali e soprattutto animali che i manoscritti ci hanno tramandato. Torneremo in ogni caso più nel dettaglio sulla Prophetia Merlini nel prosieguo della trattazione.

Infine, terza e ultima, ma non certo per importanza, traccia lasciata da Goffredo nella biblioteca dell’umanità è la Vita Merlini, un poema composto da 1529 esametri tradizionalmente attribuito a Goffredo. Sulla veridicità di questa attribuzione la critica ha ampiamente dibattuto nel corso dei secoli, come vedremo oltre. L’opera ci è giunta completa in un unico manoscritto (Cotton Vespasian E iv, folia 122b-138b), sebbene esistano anche quattro testimoni parziali e due brevi stralci delle sezioni profetiche, all’interno di altri manoscritti miscellanei.6 Il testo, come avremo modo di analizzare più compiutamente, racconta le gesta di Merlino in età matura, non più consigliere di Artù che già era stato trasportato sull’isola di Avalon, né più mago nel senso più comune del termine, ma ancora toccato dal dono della profezia e re di un piccolo regno gallese, nonché sposato e fratello di una regina. Le maggiori voci che si contrapposero alla tradizionale attribuzione furono quelle di Wright, Schulz e Brugger, come registrato da J.J. Parry nell’introduzione alla sua edizione critica nel 19257 .

Nessuno ha azzardato un’identificazione alternativa dell’ipotetico autore, se non tratteggiando il profilo di un monaco gallese entusiasta dell’opera di Goffredo e fondamentalmente desideroso di emularlo, o forse di farne una parodia, personaggio vivente almeno nella prima metà del XIII secolo, non identificato precisamente, e la cui esistenza è appunto, fondamentalmente, un’ipotesi. I richiami all’Historia Regum e gli effettivi calchi di episodi, soprattutto nella seconda parte del poema, sono molteplici, tanto da certificare che chiunque abbia steso la Vita fosse per lo meno

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Geoffrey of Monmouth, Life of Merlin, ed Basil Clarke, Cardiff, 1973, p 43.

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Introduzione a Galfredus Monumetensis, The Vita Merlini, ed J.J. Parry, University of Illinois, 1925.

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un’assiduo lettore dell’Historia, o che ne avesse tra le mani una versione al momento della stesura. Gli ulteriori argomenti corollari portati per modificare la tradizionale attribuzione non sono del tutto privi di fondamento. In particolare i detrattori sostengono che il testo contiene allusioni alla conquista inglese dell’Irlanda che è posteriore a Goffredo, nonché velate allusioni e ad altri avvenimenti databili 1213-1217, di nuovo posteriori all’autore. Inoltre, a loro parere la dedica dell’opera a un brillante vescovo Robert della sede di Lincoln è più attribuibile al più celebre (e di cinquant’anni posteriore) Roberto Grossatesta, piuttosto che al Robert di Chesney contemporaneo di Goffredo.

Lo stile della Vita è ben più contorto e meno raffinato di quello dell’Historia; lo scrittore della Vita si definisce poeta, quando al di fuori dell’opera stessa non avremmo altra testimonianza di alcuna poesia scritta da Goffredo. L’autore della Vita inoltre tesse più volte le lodi di sé stesso, cosa che il Goffredo dell’Historia non fa mai.

In aggiunta, l’unico manoscritto completo che ci tramanda del poema è posteriore al 1285; la celebrità di Goffredo ci suggerisce che sarebbero dovuti esistere molti più manoscritti superstiti. Infine, per raggiungere il nucleo del testo che andiamo approntando, è evidente che i due Merlino che ci vengono presentati nelle due opere sono ben differenti, tema che andremo ad analizzare più oltre. Parry, suffragato da Paris e Ward, ha controargomentazioni calzanti e difende con vigore l’attribuzione del testo a Goffredo. Tutte le problematiche sollevate sulla datazione, in particolare, sono tendenziose e poco probanti: le allusioni a fatti successivi sono appunto allusioni e non citazioni evidenti, e soprattutto interpretazioni di passi volutamente ambigui, come ad esempio la ripresa delle profezie di Merlino. La dedica a Robert di Chesney così densa di lodi potrebbe essere legata a una fase iniziale del suo episcopato in cui sarebbe stato più amato, o semplicemente potrebbe essere interpretata come una captatio benevolentiae.

Lo stile magniloquente della dedica e e le frequenti pose e autoelogi potrebbero essere altresì semplicemente segno di una maturazione di Goffredo, che scrive almeno venti anni dopo la produzione delle prime versioni dell’Historia, o ancora un modus scribendi volutamente lezioso se non addirittura ironico, o ancora un’adeguamento del suo stile ai modi del poema narrativo di ispirazione classica. Riguardo la carenza di testimoni manoscritti è in effetti impossibile produrre obiezioni calzanti, ma è giusto sottolineare che la circolazione di testi nell’era della trascrizione amanuense è un fatto complesso e difficile da prevedere, che la sopravvivenza di certi o altri manoscritti in anni tumultuosi come il basso medioevo inglese è sempre decisamente aleatoria, e che la morte di Goffredo avvenuta pochi anni dopo la stesura della Vita possa aver in qualche modo inficiato la diffusione dell’opera stessa. Parry sottolinea che il profilo letterario, le competenze linguistiche e il bagaglio culturale dell’autore della Vita sono perfettamente sovrapponibili a quelle di Goffredo (sia per quanto riguarda i classici

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che per le influenze celtico-gallesi), e che invece l’autore ignora completamente tutti gli sviluppi e le rielaborazioni della materia arturiana già ampiamente circolanti nel continente e in Inghilterra dagli inizi del XIII secolo. Lo stile scrittorio, per quanto sicuramente meno curato che nell’Historia Regum, potrebbe dunque essere quello di Goffredo, per quanto deformato dalla stesura in esametri e non in prosa. L’opera, stando a queste premesse, è stata composta da Goffredo di Monmouth tra il 1148 (elezione di Robert di Chesney a vescovo di Lincoln) e il 1155, data di morte di Goffredo secondo gli annali gallesi. 8 Le due opere sopra citate contengono una molteplicità di personaggi, situazioni, episodi e scene che perdureranno nella letteratura e non solo dall’epoca di Goffredo fino al giorno d’oggi. I primi archetipi del ciclo arturiano e della materia bretone più in generale prendono forma compiuta per la prima volta in queste opere. Sebbene precedentemente ne esistano citazioni, prima di Goffredo esse sono più che altro onomastica o cronachistica - entrano nel dominio della letterarietà e quindi nella multiforme tavolozza della scrittura d’arte solo da quest’altezza cronologica in poi, secondo le fonti tuttora disponibili. E vi entrano prepotentemente e con vigore, data la sterminata produzione delle epoche successive e le numerosissime citazioni che proliferano dal 1150 in poi. Cito alcune opere solo a titolo esemplificativo: il Roman de Brut di Robert Wace (1155), il Perceval di Chretien de Troyes (1175-1190 ca), La Morte di Artù di Thomas Malory (1485), come anche l’Opera Barocca King Arthur di Henry Purcell (1691), gli Idilli del Re di Tennyson (1885), persino un cartoon di Walt Disney, “La spada nella roccia” (1963), oltre alla narrativa pop de Le Nebbie di Avalon di Marion Zimmer Bradley (1982), o ancora L’Ultima Legione di Valerio Massimo Manfredi (2002), e l’elenco potrebbe andare avanti ancora a lungo.

Si noti in chiusa che non tutti i temi arturiani nascono con Goffredo, anzi. Non c’è traccia di di Lancillotto, della Tavola Rotonda, della quest del Graal, per esempio; tutte queste sono interpolazioni successive nate principalmente tra il XII e il XIII secolo nel fiorire di opere riguardo il ciclo bretone in area cortese franco-provenzale.

In Goffredo tuttavia possiamo leggere per la prima volta di Caliburn, spada invincibile, che la tradizione successiva chiamerà Excalibur; di Avalon, l’isola beata e immortale dove Artù viene trasportato morente; e incontriamo Mordred, suo nipote e acerrimo nemico, che gli inflisse le ultime mortali ferite; Ginevra sua bellissima moglie, con il nome di Ganhumara, il siniscalco Kay, Galvano prode cavaliere e Bedevere coppiere del Re, con i rispettivi nomi di Caius, Walganus e Beduerus, e infine, colui di cui ci preme più occuparci in queste pagine, cioè Merlino, figlio di demoni, mago, profeta, saggio consigliere di re e responsabile dell’inganno che porterà alla nascita di Re Artù.

8Geoffrey

of Monmouth, Life of Merlin, ed Basil Clarke, Cardiff, 1973 p 58

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Le Gesta di Merlino Nel capitolo che segue provvederemo a una disamina di tutti gli episodi che vedono protagonista Merlino all’interno delle opere di Goffredo. L’approccio generale sarà quello della raccolta sinottica di informazioni narrative: lasceremo l’analisi e il commento, oltre che il confronto con le fonti celtiche e latine di Goffredo ai capitoli successivi. Si ritiene questo sunto in ogni caso necessario per orientarsi tra gli episodi citati oltre con più agio.

Merlino nella Historia Regum Britanniae L’opera è tradizionalmente suddivisa in libri e paragrafi, seguendo la divisione presente in molti, sebbene non nella maggior parte e non nei più antichi, tra i testimoni manoscritti. Per comodità di consultazione seguiremo la divisione sopracitata allegando in nota la pagina esatta dell’edizione critica consultata. Tutte le citazioni in lingua provengono dalla medesima edizione.9 L’apparizione di Merlino all’interno dell’opera galfridiana è all’altezza del capitolo 17 del VI libro, durante la descrizione del regno di Re Vortigern10, predecessore del predecessore di Artù, re malvagio e colpevole di aver attirato i Sassoni come mercenari in Britannia. Merlino viene convocato da Vortigern ancora imberbe, non in quanto mago, ma in quanto fanciullo senza padre: è stato infatti concepito da una monaca e un demone incubo, come spiegato dal sapiente Maugantium dopo richiesta del re 11. I suoi magi avevano infatti richiesto un tale prodigioso ragazzo da sacrificare per rendere pure le fondamenta del castello in costruzione sul monte Erir. Tratteremo in un apposito capitolo la complessità dell’episodio giacché è un calco dall’Historia Brittonum di Nennio. Qui basti citare che Merlino viene nominato come Merlino Ambrosio (merlinus qui ambrosius dicebatur) e che una volta conosciuto il motivo della sua convocazione, si rende protagonista del primo e più spettacolare momento profetico della cronaca - rivela che il monte è maledetto a causa di uno stagno che vi sottostà, in cui sono imprigionati due draghi, uno bianco e uno rosso, e la cui lotta sarà l’incipit delle celebri e già nominate Profezie di Merlino. 12 Le Profezie occupano l’intero Libro VII dell’Historia Regum. Nell’incipit la narrazione ha una brusca interruzione, che lascia spazio a un intervento in prima persona di

Part I, Chapter IV, “Did Geoffrey divided his work into books?” Geoffrey of Monmouth, Historia Regum Britanniae, ed. M.A. Acton Griscom, Ginevra 1977.

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La grafia di Goffredo è Vortegirn ma la tradizione successiva lo cita come Vortigern.

Geoffrey of Monmouth, The History of Kings Of Britain, ed Michael D. Reeve, trad Neil Wright, Introduction, Woodbridge 2007, pp 138-139.

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Geoffrey of Monmouth, The History of Kings Of Britain, ed Michael D. Reeve, trad Neil Wright, Introduction, Woodbridge 2007, pp 142-159.

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Goffredo stesso che ci spiega come le avesse già pubblicate prima di completare l’Historia, dopo averle tradotte dal gallese, e che si prodiga in una piccola invocazione proemiale. Dopodiché, la narrazione torna nel vivo, i due draghi sopra citati cominciano a combattere e un ammutolito Vortigern domanda spiegazioni a Merlino.

Inizia qui un vorticare di allegorie e simbologie di ispirazione principalmente selvatica e naturale, non del tutto chiaro, che proveremo a seguire, almeno nei primi passi.

Il drago bianco, come spiega subito Merlino, rappresenta l’invasione sassone, mentre quello rosso il popolo britanno. In un primo momento, il drago bianco sembra prevalere, ma poi il drago rosso ha un tremito e torna a primeggiare. Dopo i draghi, dice Merlino, giungerà il Cinghiale di Cornovaglia (Aper Cornubie) che schiaccerà l’invasore e diverrà padrone delle Gallie. Il cinghiale diverrà celebre, e le sue gesta nutriranno i narratori (actus ius cibus eri narrantibus). Questo credo sia il sintagma più profetico mai pronunciato da Merlino, perché il Cinghiale è chiaramente Re Artù.

Segue la seconda vittoria del drago germanico, con l’aiuto del lupo marino e delle foreste africane, l’indebolimento della fede e il trasferimento delle sedi episcopali, soprattutto di quella di Londra a Canterbury, il settimo pastore di York che visita l’Armorica, il predicatore d’Irlanda ammutolito a causa di un bimbo non ancora nato.

Si tratta dell’invasione da parte del re africano Gormundo giunto in soccorso dei sassoni, che porterà i vescovi britanni alla fuga verso il Galles, e, nella visione distorta di Goffredo, lo spostamento dell’arcivescovado da Londra a Canterbury. Visione distorta dal patriottismo, perché storicamente non v’è traccia di arcivescovadi in Inghilterra anteriore alla fondazione sassone di quello di Canterbury nel 597. Il settimo pastore è Sansone, personaggio citato più avanti nell’Historia, e il predicatore ammutolito è Gildas, che perderà la parola a causa della presenza in chiesa durante un sermone di re David ancora nel grembo di sua madre.

I sassoni poi verranno sconfitti, in sette porteranno lo scettro, gli indigeni torneranno in forze al comando di un Uomo di Bronzo, il drago rosso poi infierirà su se stesso, e poi un re benedetto allestirà la flotta e sarà accolto nel novero dei beati - questi sono gli anni dei successivi sette re Britanni, Blederico, Margadud, Caduano, Cadwalone, Edwino, Oswaldo e Cadwaladro. Cadwalone è l’uomo di bronzo, a causa della statua bronzea innalzatagli nei pressi di Londra; molte sono le lotte intestine tra i potentati (il drago che si danneggia), e infine Cadwaladro parte via mare per Roma e conclude la sua esistenza in odore di santità.

Da questo punto in poi l’Historia non riesce più a chiarire del tutto la profezia, che però tra immagini variegate e iridescenti percorre la storia della Britannia fino alle soglie dell’epoca galfridiana. Tra le righe possiamo leggere del ritorno in forze del drago bianco corrispondente alla conquista Sassone vera e propria, poi l’arrivo di un popolo coperto di ferro e legno, i Normanni, a punire i Sassoni e a rendere il verme

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bianco tanto schiavo quanto quello rosso. Due draghi regali si succederanno poi, uno colpito dal pungiglione dell’invidia e uno divenuto l’ombra di se stesso: sono re Guglielmo II Rufus ucciso da una freccia e probabilmente da un tradimento e Roberto Couteheuse che finisce i suoi giorni in prigione dopo aver contestato per anni la corona a Enrico I. Enrico I nelle profezie è il Leone della Giustizia che genera anni densi di riforme e floridi (torri che tremano in Gallia e Britannia, argento che stilla dalle bestie che muggiscono, monete ammezzate che tornano tonde, etc).13 Da questo punto in poi la profezia si fa chiaramente inintellegibile, dato che siamo giunti all’epoca contemporanea a Goffredo, fino alla sua conclusione. Secondo Edmond Faral, il prosieguo è “una sorta di follia di vaticinio, una cascata di simboli fantastici, un delirio che culmina, nelle parole finali con l’elencazione tradizionale dei segni premonitori della fine del mondo e del giudizio universale”14. Tutto questo, messo in bocca ad un fanciullo prodigioso, il nostro Merlino - cito solo la chiusa delle profezie che mi pare emblematica: In ictu radi exurgent equora et pulvis veterum renovabitur.

Confligent venti diro sufflamine et sonitu inter sidera conficient. 15 Appena successivo all’episodio delle Profezie, nell’Historia si racconta l’arrivo di Aurelio Ambrosio, pretendente legittimo al trono usurpato da Vortigern, in armi in Britannia. Merlino ne preannuncia l’arrivo (e la morte per avvelenamento) al tiranno prima di scomparire per qualche paragrafo dalla narrazione. Ambrosio riconquista il trono e scaccia sia Vortigern che Hengist il re sassone da lui assoldato. La guerra e la devastazione avevano colpito la Britannia, e il Re dedicò i primi anni del suo potentato alla ricostruzione, viaggiando di città in città. Giunto a Kaercaradoc, ovvero a Salisbury, venne impietosito e commosso alla vista di un enorme cimitero, il luogo in cui erano stati sepolti più di trecento nobili britanni assassinati a tradimento dai Sassoni di Hengist (l’episodio che, qualche anno e qualche pagina prima, aveva permesso a Vortigern di prendere il potere).

Decise dunque di costruire un monumento alla loro memoria, ma i piani che aveva erano troppo grandiosi per gli scalpellini che poteva impiegare. L’arcivescovo locale gli suggerì dunque di convocare Merlino, giacchè non existimo alterum esse in regno tuo cui sit claris ingenius sive futuri dicendis sive in operationibus machinandis. Così dunque ordinò, Merlino venne richiamato alla sua presenza, e chiaramente subito interrogato riguardo il futuro. In questo frangente, il mago negò il suo dono profetico ai presenti, poiché non sunt revelanda huiusmodi misteria.

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Introduzione a Goffredo di Monmouth, Storia dei Re di Britannia, trad. G.Agrati e M.L. Magini, Parma 1989.

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Edmond Faral, La Legende Arthurienne, Etudes et Documents, Parigi 1929.

15Geoffrey of Monmouth, The History of Kings Of Britain, ed Michael D. Reeve, trad Neil Wright, Introduction, Woodbridge 2007, p 159. “In un batter d’occhio le acque si solleveranno, e la polvere delle genti riprenderà vita. I venti si combatteranno in turbini violenti, e il fragore risuonerà tra gli astri”

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Il Re dunque passò oltre e lo informò del suo progetto, e Merlino gli propose non di costruire un monumento, ma di trasferire nel luogo stabilito una mirabile opera più potente di ogni altra: l’Anello dei Giganti che si trovava sul monte Killarao in Irlanda.

Questo anello di pietre sacre possedeva poteri curativi mirabili, che Merlino rivelò a Re Ambrosio incredulo che rideva della sua proposta. Merlino asserisce inoltre che una volta portate in terra Britanna, queste pietre sarebbero rimaste in posizione per sempre.

Nelle pagine successive, Goffredo racconta come il Re, convinto dalle parole del mago, inviò il fratello minore Utherpendragon, una flotta e Merlino stesso a trafugare le pietre dell’Anello dei Giganti in Irlanda, dove gli indigeni agli ordini di re Gillomanio tentarono di difenderle, invano. Giunti sul luogo, dopo tentativi infruttuosi di smuoverle da parte dei guerrieri britanni, solutus est Merlinus in risum. Il mago queque necessaria apposuisset, e riuscì nel trasporto, anche se ignoriamo con quale magia o artificio. Tornati in Britannia Merlino pose l’anello nel luogo stabilito dal Re, e ingenium virtuti prevalere comprobavit.16 L’Anello dei Giganti altro non è che Stonehenge, che dunque secondo Goffredo è de facto un’opera di Merlino. Non ci dilungheremo a riguardo, anche perché le teorie su Stonehenge sono svariate e non è questo il luogo per discuterle - ciò che interessa qui sottolineare è che Goffredo collega Merlino a uno dei luoghi più atavici e antichi del suolo inglese, ribadendo quindi il suo potere o per lo meno suggerendoci la sua connessione a miti e leggende radicati in terra Britanna da secoli o addirittura millenni.

Il regno di Ambrosio prosegue per qualche anno, fino alla sua morte per avvelenamento, ordita da Re Gillomanio d’Irlanda in combutta con Pascenzio, figlio di Vortegirn. L’assassino è un certo Eopa che avvelena il re, già costretto a letto da una malattia, fingendosi un medico. Mentre il complotto si consumava a Winchester, nei cieli di Britannia comparve un’astro luminoso ed estremamente particolare: stella mire magnitudinis et claritatis, uno radio contenta. Ad radium era vero globus igneus, in similitudine draconis extensus. La cometa è segno sovrannaturale e ognuno nel regno ne fu scosso; sopra tutti, Utherpendragon fratello del re, in viaggio all’inseguimento degli eserciti nemici, che aveva la fortuna di avere tra il suo seguito il mago Merlino. Mandatolo a chiamare, lo interrogò sulla natura dell’astro. Il sapiente scoppiò in lacrime, e ripresosi, spiegò a Uther che la cometa era segno di morte: Ambrosio non era più, ed era necessario ritornare appena possibile a Winchester per consolidare il trono, che sarebbe andato a lui. Era proprio lui, Uther, il drago della palla di fuoco, e i raggi che partivano da essa in molteplici direzioni erano segni del dominio di suo figlio su tutto il 16Geoffrey

of Monmouth, The History of Kings Of Britain, ed Michael D. Reeve, trad Neil Wright, Introduction, Woodbridge 2007, p 173-175.

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regno.

Uther si affrettò a conquistare la rocca tenuta da Gillomanio e Pascenzio, e dopo averli giustiziati si mosse verso Winchester. Mentre era in viaggio gli venne confermata la morte del fratello, che era stato già tumulato all’interno dell’Anello dei Giganti, e raggiunta la città divenne Re, e consacrò il suo regno con la forgiatura di due dragoni d’oro. Uno lo tenne con sé, e da qui in poi ebbe nome di Utherpendragon, che significa “testa di drago”; l’altro lo lasciò in dono ai monaci di Winchester. 17 L’ultimo episodio che vede implicato Merlino all’interno dell’Historia Regum Britanniae è quello che contestualizza il concepimento di Re Artù. Dopo aver consolidato il suo potere Utherpendragon seda una ribellione Sassone grazie al consiglio e all’aiuto di Gorlois, Duca di Cornovaglia. Durante i festeggiamenti seguenti alla vittoria, Uther conosce Igerna, moglie di Gorlois, cuius pucritudo totius mulieres britannie superabat. Uther impazzisce d’amore per Igerna, e ordina al duca di ripudiarla perché lui possa averla.

Il duca oppone un netto rifiuto, tanto fermo e perentorio da causare l’ira del Re e quindi la guerra. La Cornovaglia è dunque attraversata dall’esercito in armi del Re, e Gorlois, in netta inferiorità numerica, si rinserra nelle sue roccaforti. Pone sua moglie Igerna in quella più sicura, Tintagel, mentre lui attendeva aiuto straniero nel campo fortificato di Dimilioc. Uther mise l’assedio a Dimilioc, e languiva d’amore da una settimana, quando un suo parente gli suggerì di tentare una via alternativa, dato che con la forza mai sarebbe riuscito a entrare a Tintagel. La via alternativa, ovviamente, era Merlino. Merlino propose al re novis artibus et tempore tuo inauditis: avrebbe reso l’aspetto di Re Uther identico a quello di Gorlois, affinchè potesse penetrare indisturbato all’interno del castello. Avrebbe trasfigurato poi la sua apparenza e quella di un familiare di Uther, in modo da poterlo scortare ed accompagnare. Il re accettò, e attraverso pozioni magiche prese l’aspetto di Gorlois. Giunsero a Tintagel al crepuscolo, le sentinelle li lasciarono passare e il re raggiunse il talamo di Igerna dove giacque con lei. Igerna stessa era vittima dell’inganno, sia per la maestria del travestimento sia per le menzogne che il re le aveva raccontato. Nel frattempo, in assenza di Uther al campo di Dimilioc si diede battaglia: Gorlois tentò una sortita, ma fallì e perì nel tentativo, al pari di molti suoi uomini. Vennero quindi inviati messaggeri a Tintagel per avvisare la duchessa ormai vedova. Essi rimasero esterrefatti alla vista di Re Gorlois ancora in vita, ma Uther con l’inganno li convinse del falso e fuggì da Tintagel con la scusa di andare a incontrare sé stesso e negoziare la pace. Dopo questi fatti, sposò l’ormai vedova Igerna e da lei ebbe due figli, Anna ed Artù.18

Geoffrey of Monmouth, The History of Kings Of Britain, ed Michael D. Reeve, trad Neil Wright, Introduction, Woodbridge 2007, p 179.

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Geoffrey of Monmouth, The History of Kings Of Britain, ed Michael D. Reeve, trad Neil Wright, Introduction, Woodbridge 2007, p 184-188.

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Curiosamente, nelle vicende di Artù narrate all’interno dell’Historia Regum non c’è alcuna traccia di interventi di Merlino. Il ruolo di consigliere, mago di corte e profeta presso la Corte del Cinghiale di Cornovaglia non viene raccontato da Goffredo in alcun modo durante la trattazione delle gesta del re, ed è infatti un elemento che vedrà la luce successivamente, all’interno dei roman di area francese del XIII secolo. Questa tradizione successiva, tuttavia, si basa su un’altra citazione del mago (e su elementi della Vita che analizzeremo in seguito), che è ben più avanzata nel testo, frettolosa, e forse è un errore di redazione, anche se non potremo mai averne certezza. La tradizione di tutti i testi infatti concorda nel testimoniarlo, e di conseguenza ad esso dobbiamo attenerci come licenza di Goffredo: alcuni trascrittori più tardi, notando l’incongruenza, hanno omesso il riferimento ad Artù19. Siamo nel libro XI, alla conclusione dell’Historia Regum, quando Re Cadwaladro, che regna secoli dopo Artù, in esilio in Armorica prepara una flotta per conquistare di nuovo la sua terra. Una voce angelica, tuttavia, lo ammonisce: “Nolebat enim deus Bretones in insulam Britannia diutius regnare antequam tempus venisset quod Merlinus Arturus prophetaverat”20. Il re dopo questo avvenimento desisterà dal suo intento e andrà a Roma, dove verrà fatto santo.

Qui, unico luogo in tutta l’Historia Regum, Merlino è definito come profeta e quindi consigliere di Artù. E’ probabile cheil riferimento fosse invece alle Profezie che il mago ha offerto a Vortigern. Da questo, che forse è un’errore, come detto, o forse è una precisa scelta, probabilmente nasce la celebre associazione tra il re vittorioso e il suo saggio mago e consigliere.

Ad Putter ‘Gerald of Wales and the Prophet Merlin’, In Anglo-Norman Studies cur. Christopher P. Lewis, Woodbridge, The Boydell Press 2009, XXXI p 92.

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Geoffrey of Monmouth, The History of Kings Of Britain, ed Michael D. Reeve, trad Neil Wright, Introduction, Woodbridge 2007, p 279-280 20

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Merlino nella Vita Merlini Citeremo a piè di pagina i versi corrispondenti alle citazioni, seguendo l’edizione critica di Basil Clarke posta in bibliografia.

Il poema in esametri ci racconta un Merlino piuttosto diverso da quello dell’Historia, sebbene parzialmente sovrapponibile. Per chiarire, il personaggio stesso si identifica con il Merlino dell’Historia, citandone alcuni episodi, ma in gran parte del testo ha tratti profondamente diversi, che porteranno la tradizione successiva a volte addirittura a teorizzare l’esistenza di due Merlino diversi. L’opera è, come intuibile, completamente focalizzata sulla figura del Mago, che però non ci darà più prova delle sue capacità magiche in senso stretto. Il Merlino che incontriamo qui dunque è più maturo, e compirà gesti sorprendenti e particolari. Quello che segue è dunque la sinossi dell’opera, che per necessità di spazio sarà meno dettagliata della disamina degli episodi dell’Historia Regum.

Dopo un breve proemio e una dedica all’arcivescovo Robert la narrazione si apre con un inedito Merlino in armi. E’ inoltre re del Dyfed, nel Galles occidentale: rex erat et vate demetarumque superbis jura dabat populis21. Partecipa a una sanguinosa battaglia, insieme a Re Peredur e Re Ryderch, distinguendosi per vigore guerriero. Combatte con forza, ma improvvisamente vede morire davanti ai suoi occhi tres ducis fratres e cade nella disperazione più nera. Che questi tre siano fratelli suoi o dei condottieri nominati poco sopra è dubbio - certo è che Merlino disperato innalza un planctus funebre che perdura per il resto della battaglia, ovviamente vinta dai Britanni.

Per tre giorni interi pianse lacrime amare e non aveva conforto in nulla e nessuno, tantus dolor userat illum22. La disperazione lo portò a fuggire lontano dagli accampamenti, e cercare rifugio tra i boschi. Rimase alla macchia giorni, settimane e mesi, nutrendosi di bacche e frutti, fino al sopraggiungere dell’inverno. Accortosi della scarsità di cibo e risorse e del freddo, innalzò di nuovo un canto lamentoso, invocando Dio, e colloquiando con la foresta e le bestie che la abitavano. Il lamento è udito da un viandante, che passava per quei luoghi per caso. Questo stesso viandante, poco dopo, incontra un altro uomo, che proveniva dalla reggia di re Ryderch. Ryderch aveva una moglie, donna saggia e cortese, che aveva il nome di Gwendydd. Gwendydd era sorella di Merlino, e da quando l’eroe era scomparso aveva mandato inviati in ogni luogo alla sua ricerca. Il secondo viandante era uno di questi, e grazie alle indicazioni del primo raggiunse Merlino presso una fonte montana. Qui il mago sedeva intonando il prosieguo del suo lamento e della sua follia. L’inviato della regina, tuttavia, riesce a placare il suo delirio intonando a sua volta un canto, accompagnandosi con la cetra: 21

Geoffrey of Monmouth, Life of Merlin, ed Basil Clarke, Cardiff, 1973, p 52 v 21

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Geoffrey of Monmouth, Life of Merlin, ed Basil Clarke, Cardiff, 1973 p 56 v 71

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nel canto viene per la prima volta introdotta la moglie di Merlino, Gwendolen. I versi intonati dal messaggero sono in effetti focalizzati sul lamento delle due donne per l’assenza dell’amato fratello e marito. Merlino, tornato in sé, chiede di essere accompagnato alla reggia, e così accade.

Una volta condottovi, tuttavia, Merlino ricadde nella disperazione e nella follia, nonostante l’amore delle due donne per lui. Re Ryderch fu costretto a farlo rinchiudere pur di evitare la sua fuga, e tentò di blandirlo con doni e ricchezze. A queste, Merlino risponde: Ista duces habeant sua quos confundit egestas nec sunt contenti modico: sed maxima captant hiis nemus et patulas calidonis prefero quercus et montes celsos subtus virentia prata illa mihi, non ista placent. 23 Inizia qui dunque la rivendicazione da parte di Merlino del diritto alla vita selvaggia, tema che rimarrà cardine del personaggio fino alla fine dell’opera. Il mago rimase dunque incatenato nel castello di Ryderch.

Un giorno, la regina Gwendydd andò a far visita al Re e al fratello in catene. Alla presenza del mago, i due regnanti si scambiavano effusioni, e nel mentre il Re, trovata una foglia impigliata nei capelli dell’amata, la tolse delicatamente. Osservando questa azione, il mago scoppiò in una risata fragorosa. Tutti si meravigliarono, e gli chiesero il motivo di tanta ilarità. Merlino propose che avrebbe rivelato ciò che lo aveva fatto ridere in cambio della libertà. Il Re, divorato dalla curiosità, acconsentì, e il mago spiegò che la foglia tolta da Ryderch si era impigliata tra i capelli di Gwendydd mentre consumava il tradimento ai danni del marito. Sapendolo, e vedendo il gesto del Re, Merlino ne aveva riso.

L’astuta regina, sotto lo sguardo minaccioso del marito, tentò di confutare le parole del mago, tacciandolo di menzogna e follia. Per comprovare la sua versione, chiese a Merlino di profetizzare sulla morte di un giovane della corte. Il mago disse che sarebbe morto cadendo da una rupe. Poco dopo, chiese di nuovo la stessa cosa, indicando lo stesso ragazzo che nel frattempo si era cambiato d’abito e aspetto. Merlino disse che sarebbe morto sopra ad un albero. La regina allora lo allontanò, lo fece travestire da donna e tornare. A questa fanciulla Merlino profetizzò morte in un fiume. Il re e la regina allora risero, con ritrovata pace e armonia tra loro, credendo che il Mago fosse ormai folle e incapace di esercitare il suo potere.

Citeremo e approfondiremo questo episodio, più avanti, come “risata, foglia e adulterio”.

Geoffrey of Monmouth, Life of Merlin, ed Basil Clarke, Cardiff, 1973, p 64 v 239-243.“Queste cose le abbiano i nobili che sono caduti in disgrazia o che non si accontentano di poco, ma bramano il più possibile. A queste preferisco la foresta e le maestose querce e i prati verdeggianti sotto monti aguzzi, non quelle, queste sono le cose che mi piacciono.”

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Merlino in ogni caso, riconquistata la libertà, si dirige verso i boschi, dopo aver sciolto la moglie Gwendolen, che lo inseguiva supplicante, da ogni obbligo matrimoniale e dopo aver annunciato di aver scelto la castità dell’eremitaggio. Lasciato il castello, la gente si domanda se le predizioni fossero o meno reali, arrivando alla conclusione che fossero solo fole di un uomo delirante. Tuttavia, anni e anni dopo, il fanciullo divenuto adulto, durante una caccia al cervo, muore cadendo da un dirupo, restando impigliato tra i rami di un albero e concludendo la tragica discesa nel letto di un fiume. Era morto dunque compiendo la triplice profezia del mago: fecit vatem per terna pericula verum.24 Merlino, fuggito dal castello, conduceva vita selvatica nei boschi e ne aveva grande godimento. Gwendolen, nel frattempo, era andata in sposa a un nuovo marito.

Merlino, scrutando gli astri nella notte, scopre di questo fatto, e scopre anche la morte di Costantino, il re successore di Artù. La fine dell’amore della donna lo addolora, purtuttavia decide di raggiungerla e di offrirle un dono nuziale. Salito in groppa ad un cervo, si dirige verso il matrimonio. Molti cervi lo seguono, e raggiunge la casa con un branco al seguito. Gwendolen esce e lo accoglie benevola, ma il nuovo marito, affacciatosi a una finestra, ride di lui e della sua follia. Merlino, divelte le corna del cervo che cavalcava, le lancia nella sua direzione, uccidendolo sul colpo. Dopo il delitto, fuggì verso la foresta, inseguito da scudieri e paggi. La fuga gli è impedita da un fiume, che scorrendo impetuoso lo fa cadere dalla sua cavalcatura. Viene dunque riportato in catene al cospetto della sorella.

La tristezza lo assale di nuovo, tanto da impietosire il re, che ordina che gli sia concesso di passeggiare nella città. Il mago rise due volte durante il primo giro, la prima di fronte al custode della porta, che chiedeva elemosina per comprare un vestito nuovo ai passanti, e la seconda davanti a un giovane calzolaio ambulante. Non volle poi proseguire, e anzi osservava famelico la foresta che si intravedeva in lontananza.

Venne poi riportato alla presenza del re, che di nuovo gli promise libertà in cambio di chiarimenti riguardo il suo ridere. Merlino disse che il primo dei due si lamentava della povertà ma sedeva su di un antico tesoro, sepolto anni addietro, e non lo sapeva.

Il secondo invece sarebbe morto affogato in un fiume entro poche ore. Il re mandò a controllare, e ammirò il mago perché le profezie, entrambe le volte, si erano rivelate accurate.

Merlino venne trattenuto dalla sorella, che lo amava e stimava grandemente. Non volle rinunciare alla vita selvaggia, ma grazie alle richieste di Gwendydd arrivò a un compromesso. Chiese alla sorella di costruire un grande palazzo nei boschi dove poter vivere durante i mesi più rigidi, e un padiglione che avesse settanta porte e finestre, da

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Geoffrey of Monmouth, Life of Merlin, ed Basil Clarke, Cardiff, 1973, p 72 v 415.

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cui poter osservare i labentia sidera noctu 25, per predire il futuro della sua gente. Così fece la sorella, e Merlino visse lunghi anni insieme alla sorella trascorrendo la bella stagione nelle selve e quella più fredda in questo palazzo tra i boschi. Una notte, dopo aver osservato il cielo, Merlino annunciò a Gwendydd che il marito Ryderch era ormai morente, e che molte sventure sarebbero accadute di lì a poco. Nel testo c’è una ripresa, molto più sintetica e chiara, delle profezie di Merlino dell’Historia Regum, ed è Merlino stesso a ricordarci che “haec Vortigerno cecini prolixius olim, exponendo duum sibi mistica bella draconum in ripa stagni quando consedimus hausti”26. Merlino mandò quindi la sorella dal marito moribondo, e chiese che fosse condotto alla sua presenza Taliesin, bardo e mago suo pari.

Gwendydd tornò alla civiltà, dove trovò il castello in lutto e il marito già morto.

Pronunciò un compianto funebre, dove riverberano i temi di lode per la purezza della vita selvatica, dopodiché annuncia che si ritirerà tra i boschi con il fratello, dove torna in compagnia di Taliesin che era presente al lutto.

Taliesin dunque è con Merlino, e da lui è inviato sui monti a studiare il potere della tempesta. Qui il bardo prende parola in prima persona e circa un centinaio di versi sono occupati da quella che Magnani nella sua traduzione italiana titola “Cosmogonia di Taliesin”27. Questa sezione della Vita è chiaramente ispirata alle Metamorfosi di Ovidio, a cui sono mescolate alcune fonti tardoantiche come le Etimologie di Isidoro di Siviglia, Gildas e Beda il Venerabile. La cosmogonia prende le mosse dall’origine del mondo, per poi passare ad una disamina delle diverse zone conosciute del mare.

Da lì, una breve digressione sui pesci, che si trasforma in un’elencazione delle maggiori isole conosciute e le loro caratteristiche, citando anche luoghi mistici e misteriosi come Thule. Si conclude infine con la descrizione dell’Isola Incantata di Avalon (anche se non è nominata come tale), dove abitano nove sorelle, sapienti in astrologia e medicina, guidate dalla maggiore, Morgana. Morgana ha il potere di volare, oltre a grande potenza taumaturgica. Il monologo di Taliesin si conclude con il racconto dell’ultimo viaggio di Artù, condotto proprio da Morgana per essere curato, dopo la battaglia di Camblan. Dettaglio interessante, la nave che trasporta il Re è guidata da Barindo, monaco irlandese presente come personaggio nella Navigatio Sancti Brendani, testo irlandese del X secolo.

Segue una breve profezia di Merlino riguardo il futuro di Galles e Britannia, che dovranno sopportare il giogo della dominazione straniera ancora a lungo, perché troppo deboli per autodeterminarsi, qualora anche dovesse tornare Artù tra loro.

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Geoffrey of Monmouth, Life of Merlin, ed Basil Clarke, Cardiff, 1973, pp 80 vv 568

Geoffrey of Monmouth, Life of Merlin, ed Basil Clarke, Cardiff, 1973, pp 81 vv 572 “Avevo cantato a re Vortigern queste cose più a lungo, una volta, spiegandogli il significato allegorico del combattimento tra i due draghi, quando sedemmo sulla riva dello stagno prosciugato” 26

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Goffrey di Monmouth, La Follia del Mago Merlino, a cura di A.Magnani, Palermo 1997, p 76-85.

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Dopo l’introduzione del personaggio di Artù, il testo presenta un sintetico riepilogo dei fatti appena successivi alla fuga dei Romani dalla Britannia, che segue in tutto e per tutto la versione tramandata con l’Historia Regum per quanto riguarda la saga di Artù e dei suoi predecessori. Si citano quindi Vortigern, Ambrosio e Uther, le guerre contro i Sassoni e l’ascesa al potere del Cinghiale di Cornovaglia vincitore, che arriva a sottomettere Scozia, Irlanda, Gallia e a scontrarsi con Roma. Poi vengono citati i disordini interni ad opera di Mordred, e infine scopriamo che la Vita Merlini è ambientata all’epoca di Cynan, che reggeva la corona dopo averla sottratta a Costantino, nipote di Artù, che aveva ristabilito la sua dinastia dopo la guerra civile causata dagli eredi di Mordred.

Mentre Merlino pronunciava questi discorsi, accorsero dei servi che proclamarono la nascita di una nuova prodigiosa sorgente poco lontano, sgorgata improvvisamente dal nulla. Merlino ne bevve, e non appena si disseta torna in sé e la follia che lo aveva dominato scompare: confestim mente recepta sese cognovit.28 Proclamò quindi le lodi di Dio per questo dono, e chiese a Taliesin lumi su questa acqua miracolosa. Il bardo risponde raccontando le virtù di svariate acque prodigiose che sgorgano nel mondo, e conclude definendo la fonte come l’affiorare di correnti sotterranee.

Merlino dunque, ormai rinsavito, venne visitato da molti cavalieri e sapienti che gli chiesero di tornare a reggere il regno del Dyfed, cosa che il mago rifiuta tessendo ancora una volta le lodi della vita silvestre, e adducendo la sua avanzatissima età come ulteriore ostacolo. Dichiarò inoltre di volersi purificare digiunando per avvicinarsi alla vita eterna nel più adatto dei modi. Mentre parlava, uno stormo di grù volò sopra lui e il consesso di nobili. Le gru sono occasione per Merlino di aprire una digressione riguardante svariate specie di uccelli, che dice di aver conosciuto grazie alla sua vita selvatica (sic didici multi Silvio habitando diebus29 ) e le loro particolarità, digressione che come quella cosmogonica di poco precedente deve moltissimo a Isidoro e ad altre fonti enciclopediche medievali.

Mentre si prodigava in questi discorsi, Merlino vide avvicinarsi un uomo urlante, che usciva dal profondo del bosco. Lo riconobbe come uno dei molti suoi seguaci che, anni e anni addietro, furono vittime di follia causata da frutti magici da loro mangiati e per fortuna da Merlino evitati. Questi erano stati posti lì da una donna versata nelle arti magiche che il mago aveva amato ma poi abbandonato, che era desiderosa di vendetta. L’uomo, che si chiamava Maelduin, venne ricondotto alla ragione grazie all’acqua miracolosa che aveva guarito anche Merlino. Dopodiché, Merlino, Taliesin e questo nuovo compagno decisero che avrebbero trascorso il resto dei loro giorni tra le 28

Geoffrey of Monmouth, Life of Merlin, ed Basil Clarke, Cardiff, 1973, p 114 v 1149.

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Geoffrey of Monmouth, Life of Merlin, ed Basil Clarke, Cardiff, 1973 p 134 v 1300.

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foreste, abbandonando completamente il mondo civile. Congedarono dunque i nobili, e rimasero soli con Gwendydd, sorella di Merlino e votata quanto lui alla vita monacale. Negli ultimi versi prima del congedo sono riportate profezie riguardo il Galles pronunciate dalle sue labbra, oltre a un’ironica osservazione del fratello che le cede volentieri il potere della profezia e ne benedice le future predizioni: tene, soror, voluit res precantare futuras spiritus osque meum compescuit atque libellum? Ergo tibi labor iste datur.30 Il congedo è infine una richiesta di benevolenza ai Britanni da parte di Goffredo, che si definisce anche qui come lo scrittore che ha vergato l’Historia Regum Britanniae, nonché “scrittore dei britanni”: Duximus ad metam carmen. Vos ergo britanni laurea serta date Gaufrido de Monemuta.

Est enim vester, nam quoniam prelia vestra vestrorumque ducum cecinit scripsitque libellum quem nunc Gesta vocant Britonum celebrata per orbem.31

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Geoffrey of Monmouth, Life of Merlin, ed Basil Clarke, Cardiff, 1973 p 134 v 1521.

Geoffrey of Monmouth, Life of Merlin, ed Basil Clarke, Cardiff, 1973 p 134 v 1525-1530.

“Abbiamo portato alla conclusione il canto. Voi, britanni, dunque, date una corona d’alloro a Goffredo di Monmouth. È vostro infatti, giacché cantò delle vostre battaglie e dei vostri capi e scrisse un libro che ora chiamano Gesta dei Bretoni, celebrato nel mondo.”

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Goffredo, Nennio, Ambrosio e Merlino: l’episodio del fanciullo senza nome Goffredo è dunque facilmente definibile come il padre letterario di Merlino, o per lo meno del Merlino che poi entrerà a far parte dell’immaginario arturiano a lui successivo, e da lì approderà nell’immaginario occidentale più in generale. Tuttavia, come accade per molti grandi scrittori di finzione, non tutto ciò che ci racconta nasce dalla sua penna e dalla sua fantasia. Invero, questo fatto è anche indice della cultura enciclopedica e citazionistica tipica del medioevo tutto, un’era in cui la variante e la rielaborazione di invenzioni altrui era ben più comune e accettata dal mondo culturale di quanto possa essere nell’epoca contemporanea, e dove la definizione di opera artistica in sé e per sé era ben più labile e meno problematizzata.

Molti sono gli episodi che Goffredo preleva da altre fonti, specie storiografiche: il De Excidio Britanniae di Gildas, un monaco vissuto a cavallo del V e del VI secolo, per esempio, gli è utilissimo per avere una traccia da seguire descrivendo le lotte tra i romano britannici e gli invasori Sassoni, i prodromi insomma dell’arrivo di Artù sulla scena della storia. Non esistono però precedenti testi latini (più complessa è la situazione per le fonti celtiche e gallesi in particolare, ce ne occuperemo in un successivo capitolo) in cui venga citato Merlino. Esiste in effetti un’unica citazione, che è tuttavia problematica, e molto plausibilmente è derivata proprio dall’opera di Goffredo. Sono gli Annales Cambriae, un testo cronachistico che racconta anno per anno gli avvenimenti salienti occorsi in Galles nell’alto medioevo, che però sembra utile escludere da questa disamina, in quanto i primi testimoni pervenutici sono del tardo XII secolo, e il rischio di interpolazione con la diffusissima a quell’altezza cronologica Historia Regum è decisamente forte. Il nucleo originale del testo, secondo gli studiosi, è in effetti stato scritto attorno al 970, ed è quindi precedente all’epoca galfridiana. In alcune versioni degli Annales Merlino è sì citato, ma solo una volta (in quanto partecipante della battaglia di Afderydd che ritroveremo nelle fonti celtiche) e non nei testimoni più antichi. Pare saggio dunque non farvi troppo affidamento come fonte per Goffredo, e anzi immaginare che questa citazione sia frutto di un’interpolazione successiva da parte di qualcuno che invece avesse ben chiara l’opera galfridiana.32 Il testimone più completo degli Annales (che però non cita Merlino, in effetti) è inserito come allegato in una copia del XII secolo dell’Historia Brittonum, un testo composito e probabilmente frutto di un lavoro plurisecolare, che la tradizione ci ha consegnato come opera di un tale Nennio, monaco gallese. Il dibattito critico si è ormai consolidato a definire il testo come una silloge di diverse fonti altomedievali, il cui prologo (in cui ci viene presentato l’autore Nennio, appunto) è probabilmente un’interpolazione successiva.33 Al di là della sua dibattuta autorialità, in ogni caso, questo testo interessa molto la nostra trattazione. L’Historia Brittonum David Stephenson, 'Welsh Chronicles Accounts of the Mid-Twelfth Century', Cambrian Medieval Celtic Studies 56, Aberystwyth, 2008 p 45–57 32

33Nennius,

The Historia Brittonum, ed David N. Dumville, 1985, Introduction, p VII-XI

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è infatti la fonte primaria dell’Historia Regum galfridiana: da qui Goffredo ha attinto a piene mani sia per la sezione iniziale della sua opera, quella che ci racconta di Bruto, fondatore della Britannia ed erede di Enea, ma anche e soprattutto per la sezione arturiana. Il nome di Artù è per la prima volta testimoniato qui, anche se a onor del vero in quest’opera non viene mai citato come re, ma solo come condottiero. Ma non è di Artù che ci stiamo occupando, bensì di Merlino. Ebbene, in realtà, di Merlino non c’è traccia nell’Historia Brittonum. Non sotto questo nome, per lo meno.

L’Historia Brittonum infatti testimonia la prima versione di un episodio che Goffredo ha inserito nella sua opera, il cui protagonista, nell’Historia Regum, è Merlino. Si tratta dell’episodio della costruzione del castello di Re Vortigern, della ricerca del fanciullo senza nome e del nucleo allegorico fondante le Profezie di Merlino, lo scontro tra i due draghi nascosti nello stagno sotto le fondamenta del castello. La trama è identica in entrambe le versioni, ed è dunque chiaro che quella di Goffredo (la cui sinossi è a pagina 9 di questa trattazione) non è altro che un calco di quella dell’Historia Brittonum, capitolo XIV, che sintetizzo qui. Il re desidera costruire una fortificazione qui tutissima eri a barbarie in aeternum, ma la costruzione crolla ad ogni tentativo. Vengono convocati magi, i quali sentenziano che “nisi inveneris infante sine patre, et misi occidatur et arx tua a sanguine eius aspergatur,, non aedificabitur in aeternum”. Vengono inviati messi, che trovano due fanciulli che giocano, nei pressi di un villaggio in Demezia. Uno dei due accusa l’altro di essere senza padre, al che i messi lo fermano, e chiedono di aver colloquio con la madre, chiedendole se il fanciullo avesse padre. Essa risponde “nescio quomodo in utero meo conceptus est. Unum tamen scio: quia virum in coitum numquam cognovi.”. Il giovane viene quindi portato al cospetto del Re, che tentenna prima di sacrificarlo dato che il fanciullo chiede di essere ascoltato: sotto la rocca giace uno stagno, che se drenato rivelerà una tenda, sotto la quale dormono due vermi, uno bianco e uno rosso. Il fanciullo, davanti agli attoniti presenti, spiega anche l’allegoria nascosta: il verme rosso è la Britannia, e quello Bianco l’invasione Sassone. Il re stupefatto chiede al fanciullo il suo nome, e questi gli risponde “Ambrosius vocor”. Dopo questo episodio, questo Ambrosio viene licenziato dal Re e il castello costruito, e in alcuni altri passi dell’opera viene citato come guerriero e rivale di re Vortigern.34 E’ evidente dunque che Goffredo non ha fatto altro che rinominare questo Ambrosio come Merlino Ambrosio, e aggiungervi alcuni dettagli, come ad esempio la citazione colta del De Deo Socratis messa in bocca al saggio Maugantium che spiega l’esistenza dei demoni incubi o il definire draghi fin da subito i vermi nascosti nel fondo.

Ma chi è questo Ambrosio? Nel capitolo precedente abbiamo citato un Aurelio Ambrosio che appariva nell’Historia Regum: figlio di Costantino, fratello di Costante e Utherpendragon, zio di Artù. Secondo Goffredo, costruttore di Stonehenge, attraverso le arti del nostro Merlino.

La questione parrebbe piuttosto complessa, soprattutto se vi aggiungiamo che in Gildas viene citato un Ambrosio Aureliano, capo combattente dei Britanni e loro guida nella vittoriosa battaglia del Monte Badon contro i Sassoni. In realtà, ricostruire la storia di questo 34

Nennius, The Historia Brittonum, ed David N. Dumville, Cambridge 1985

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personaggio, almeno letterariamente, è piuttosto lineare: Ambrosio Aureliano fu con tutta probabilità un capo guerriero di chiara fama all’altezza cronologica di Gildas, che divenne il primo a fissare il suo nome nelle cronache. Da questo, diverse testimonianze (l’Historia Brittonum ma non solo, è citato ad esempio nell’Historia Ecclesiastica Gentis Anglorum di Beda) ne chiariscono la figura e lo certificano come eroe e combattente vittorioso, e Nennio vi aggiunge l’elemento sovrannaturale della misteriosa nascita. Goffredo ne legge in cronache e annali, e decide di attingere a questo episodio, per caratterizzare il suo Merlino, che infatti chiama Ambrosius in quell’episodio, con una certa ambiguità. Non poteva certo cancellare le altre cronache, conosciute dai circoli a cui si rivolgeva la sua Historia Regum, e di conseguenza mantiene la tradizione anche dell’Ambrosio Aureliano capo guerriero, che trasforma nel Re zio di Artù citato sopra. Fondamentalmente, Goffredo scinde l’elemento sovrannaturale dalla figura di Ambrosio e lo aggiunge alla sua nuova creatura, Merlino, elemento sovrannaturale necessario per giustificare i suoi poteri chiaramente oltreumani, sia dal punto di vista profetico che magico in senso stretto. Inoltre, le vittorie di Ambrosio (quelle testimoniate dall’Historia Brittonum e dalle altre fonti precedenti) nella cronologia Galfridiana vengono redistribuite tra i tre re Ambrosio Aureliano, Utherpendragon e Artù. Se si prosegue in questa direzione di ragionamento, dunque, la figura storica di Ambrosio Aureliano può essere definita come il primo spunto attorno a cui si cominciarono ad aggregare episodi e storie che poi sono divenuti il primo nucleo delle gesta di Re Artù.35

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Tim Venning, "Ambrosius Aurelianus", The Kings & Queens of Wales, Amberley 2013.

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Le fonti celtiche: i codici poetici gallesi e i folktale di Lailoken nelle agiografie di San Kentigern Il personaggio di Merlino nelle fonti latine nasce con Goffredo, acquisendo elementi di almeno un altro personaggio, Ambrosio, che aveva altro nome e inquadramento, come visto nelle pagine precedenti. Non è però in fonti latine in senso stretto che Goffredo si abbevera per la maggior parte degli elementi che formeranno il suo Merlino: attinge principalmente dall’area gallese e celtica e dai testi ad essa collegati, sebbene, come chiariremo più oltre, il suo apporto originale potrebbe essere sorprendentemente maggiore di quanto si sia immaginato fino a pochi anni fa.

Non è un caso, innanzitutto, che il Liber Vetustissimus citato in principio all’Historia Regum Britanniae, sia definito come libro in lingua gallese. Esistono infatti molti elementi che Goffredo connette al personaggio di Merlino che sono presenti in testi della tradizione gallese (ma anche scozzese), in particolare tutti quegli elementi ed episodi che lo assimilano al topos dell’Homo Selvaticus, che lo ricollegano alla battaglia di Afderdydd, e che Goffredo approfondisce soprattutto nella Vita Merlini. Come vedremo nell’ultimo capitolo della trattazione, tuttavia, la situazione nel dettaglio è piuttosto intricata, ed è stato necessario tentare di ricostruire schemi logici e teorie per orientarsi nella selva di queste lacunose e frammentarie testimonianze.

Il primo passo è definire quali siano questi nuclei tematici ed episodici e in quali testi ci siano stati tramandati. Quello successivo sarà tentare di dare organicità alle varianti degli episodi e ricostruire una storia (ipotetica) delle origini di Merlino, seguendo i ragionamenti di alcuni accreditati studiosi.

La tradizione in lingua gallese sopravvissuta fino ai nostri tempi è più tarda dell’epoca Galfridiana, sebbene non di molto, e per quanto riguarda Merlino quella ciò che più ci interessa è il Black Book of Camarthen. È databile attorno al 1250, e contiene una selezione di poemi in lingua gallese medievale, la cui comprensione è fondamentale per i temi connessi a Merlino. Il Black Book è in effetti il più antico codice di lingua gallese che ci è pervenuto; è quasi integro ed è conservato nella Libreria Nazionale del Galles e ivi catalogato come Peniarth MS 1. E’ estremamente plausibile che sia una silloge di opere precedenti, e in base a criteri linguistici è possibile datare almeno approssimativamente la stesura di alcuni dei testi, sebbene la questione sia ampiamente problematizzabile, come vedremo nell’ultimo capitolo della trattazione. I brani che citeremo, comunque, potrebbero ragionevolmente essere abbastanza antichi da essere stati letti e conosciuti da Goffredo. Tre sono i testi, in particolare, che si ricollegano a Merlino, e cioè Yr Afallenau (“Gli alberi di mele”), Yr Oianau (“I ringraziamenti" o “Il maialino”) e Ymddiddan Myrddin a Thaliesin (“Conversazione tra Merlino e Taliesin”). Yr Afallenau consta di 9 strofe, ciascuna delle quali ha inizio con I PRIMI DUE VOLTI DI MERLINO

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l’appello del poeta a un dolce albero di mele; le stanze raccontano in varie modalità la disperazione del poeta, che parla in prima persona, a causa delle disfatte subite in vita.

Secondo gli studiosi, tuttavia, il nucleo più antico e originale attorno a cui mani successive hanno aggiunto le altre stanze è dato dalle tre strofe centrali o “narrative”.

In esse, troviamo riferimenti alla battaglia di Afderdydd e nomi che suonano familiari al lettore della Vita Merlini: Gwendydd, Gwenddolau, Rydderch. Le strofe di Yr Oianau, invece, ci presentano il poeta profetizzare a un maialino, dandogli strani consigli (gli suggerisce di scavare la sua tana nei boschi e non sui monti, ad esempio) e ripercorrendo poi guerre e scontri passati e futuri, in uno stile immaginifico affine a quello delle Prophetiae Merlini. Alcuni elementi e dettagli della Vita sono intellegibili come allusioni a questi testi: Merlino nella Vita lamenta la morte di 19 alberi di mele che lo avevano nutrito: il numero potrebbe alludere a 19 originali strofe (non pervenuteci) di Afallenau lette da Goffredo, dato che ogni stanza si concludeva con un’invocazione a un dolce albero di mele. Immediatamente successivo nella Vita poi il profeta si lamenta dei porci che hanno rubato i tuberi di cui si cibava, e simpatizza con un lupo, come lui costretto alla fame. Il riferimento ai porci potrebbe derivare sia da Afallenau, dove in un verso è citato un maialino, sia dal ritornello di Oianau che come già citato si indirizza direttamente a un porcello.

Nel terzo, infine, Myrddin e Taliesin, il celebre bardo che abbiamo conosciuto come personaggio della Vita Merlini, raccontano prima di una battaglia tra il Dyfed e Gwynedd, parteggiando allusivamente ciascuno per una delle due fazioni, e parlando al passato. Poi si scambiano osservazioni riguardo alla battaglia di Afderdydd già menzionata ormai diverse volte, ma parlando al futuro, e citando che seith ugein haelon a aethan ygwllon / yg Coed Keliton y daruuan (sette decine di nobiluomini imbestialirono /e morirono nella foresta di Caledonia). Il tempo futuro è quello della profezia, ovviamente, e nella chiusa del poema Myrddin rivendica per se il privilegio di profetare: Can ys mi Myrddin, guydi Taliessin / bithaud kiffredin vy darogan (Dato che io sono Myrddin, e non Taliesin, la mia profezia sarà ben conosciuta).36 Esiste poi un’ulteriore strada, che possiamo definire celtica non certo per la lingua utilizzata, che è latina, ma per il materiale in essa contenuto: sono le storie di Lailoken, un uomo folle che vive come una bestia nei boschi, tramandateci da alcune varianti della Vita di San Kentigern, leggendario santo altomedievale di area scozzese (tra le altre cose, fondatore della città di Glasgow, e lì venerato con il nome di St Mungo), i cui episodi agiografici sono testimoniati a partire dal XII secolo. Due in particolare sono gli episodi che ci interessano, e ci interessano doppiamente: in primis, perché testimoniati nello stesso manoscritto che ci tramanda una delle versioni superstiti della Padel, O. J., Geoffrey of Monmouth and the development of the Merlin Legend, in Cambrian Medieval Celtic Studies 51, Aberystwyth 2006 pp 37-65 36

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Vita Merlini (Cotton Titus A xix), e in secondo luogo perché raccontano le gesta di un uomo reso folle e maledetto dalla vista di una battaglia particolarmente cruenta e sanguinosa, esattamente come il nostro Merlino. Il nome di questo folle è Lailoken, e da qui i titoli tradizionali dei due episodi, Lailoken A e Lailoken B. In Lailoken A avviene l’incontro tra San Kentigern e il folle nei boschi; il santo dopo essersi impietosito avendo conosciuto la sua sorte piange per lui. Si racconta che il folle poi periodicamente apparisse attorno al monastero del santo, e che i deliri dell’uomo selvatico disturbassero i monaci, anche se parevano a volte essere profezie. In particolare un giorno Lailoken appare e chiede a gran voce di essere comunicato, in quanto morirà quel giorno e necessita del Santo Viatico per poter accedere al Regno dei Cieli. Segue una scena che già abbiamo conosciuto nella Vita, cioè la triplice profezia di morte: qui, è Lailoken a profetizzare su se stesso, e il Santo e i suoi a dubitare ogni volta, fino a che San Kentigern lo riconosce come sincero, e gli offre la comunione. Il folle ringrazia, conferma che morirà lo stesso giorno, e che a breve lo seguiranno nella morte il re più potente, il vescovo più santo e il più nobile tra i lord.

Fugge poi nei boschi, e Kentigern e i suoi vengono raggiunti dalla notizia della sua morte, che pare essere avvenuta esattamente secondo le sue predizioni. I monaci si spaventano, e si ritirano per pregare Dio onnipotente.

Lailoken B invece racconta dell’incontro tra il folle e il Re Meldred. Il re ha catturato il profeta, per conoscere il suo futuro e quello della sua gente. Il terzo giorno di prigionia, accade ciò che abbiamo precedentemente definito come “risata, foglia e adulterio”. La regina entra nella sala del re con una foglia impigliata nella veste; il re affettuoso la bacia e le rimuove la foglia, e Lailoken ride di gusto. Il re chiede spiegazioni riguardo cosa ci fosse di risibile in tutto ciò. Dopo una conversazione enigmatica, in cui Lailoken si esprime con perifrasi ermetiche, giustificandosi con il timore delle conseguenze se avesse parlato con chiarezza. Poi, esortato di nuovo, chiede come condizione di essere seppellito in un certo luogo da lui prescelto, quando verrà il giorno della sua fine. Una volta che il re acconsente, gli espone la spiegazione della sua risata e dei suoi enigmi: la regina ha commesso adulterio nel giardino, dove la foglia che il re ha rimosso era caduta e si era impigliata. Guadagnata così la sua libertà, Lailoken torna nei boschi; la regina tenta di giustificarsi e di accusare l’uomo selvatico di follia, ma re Meldred conosce le virtù profetiche di Lailoken, e lo lascia fuggire. La regina però comincia a complottare ai suoi danni, e morte dell’uomo selvatico avviene per mano di pastori al soldo della regina, conformemente a quanto raccontato in Lailoken A. Il testo si chiude tuttavia con due versi, che sostituiscono il folle con Merlino, definendo lui come morto tre volte e nelle modalità in cui Lailoken è detto morire.37 37

Geoffrey of Monmouth, Life of Merlin, ed Basil Clarke, Cardiff, 1973, Appendix I, pp 227-234

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Prima di proseguire si osservi un piccolo fatto di folklore, forse casuale, ma di certo suggestivo: la diocesi di St. Asaph, quella assegnata a Goffredo secondo le fonti giuridiche che abbiamo citato in apertura, è strettamente legata a San Kentigern: una versione più tarda della Vita del santo scozzese, scritta da Jocelin di Furness attorno al 1185, ci racconta come il santo sia fuggito in esilio dalla Scozia e abbia fondato una comunità monastica proprio a St. Asaph, e che l’abbia lasciata alle cure di un suo giovane adepto, Sant’Asaph appunto, che poi le avrebbe lasciato quel nome. Questi fatti dovrebbero essere accaduti attorno al VI secolo, ma chiaramente sono elementi da considerare con cautela in quanto derivati da testimonianze agiografiche di almeno sei secoli successive.38

Padel, O. J., Geoffrey of Monmouth and the development of the Merlin Legend, in Cambrian Medieval Celtic Studies 51, Aberystwyth 2006 pp 37-65 38

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Un personaggio bifronte o due personaggi distinti?

Teorie sulla genesi di Merlino e sulla sua immediata ricezione nel panorama letterario del XII secolo Date le premesse dei capitoli precedenti, in cui abbiamo analizzato ogni fonte ragionevolmente anteriore alla stesura delle opere di Goffredo di Monmouth, muoveremo qui qualche passo in due direzioni di analisi: in prima battuta tenteremo di organizzare quanto finora censito in un ragionamento organico; in secondo luogo, muoveremo a posteriori e analizzeremo alcune delle immediate reazioni alla diffusione del personaggio tramite i testi Galfridiani, analizzando le primissime trattazioni successive da parte di alcuni autori latini poco posteriori, e in alcuni testi gallesi di complessa datazione ma sicuramente molto vicini all’altezza cronologica di Goffredo, dai quali poi come una lama di luce rifratta in un prisma il personaggio muoverà i suoi passi in decine di testi.

Preme sottolineare che Merlino è prima di ogni cosa infatti personaggio letterario frutto dell’ingegno di un autore, Goffredo, in grado certamente di sintetizzare suggestioni a lui contemporanee per fissarle nel suo testo, ma altresì in grado di elaborarle con grande autonomia, definendo per primo un personaggio composito che come si è già ricordato solo dopo le sue produzioni si diffonde nella cultura medievale e da lì a quella successiva. Merlino infatti non è incarnazione di un archetipo eterno e immutabile come alcune trattazioni e pubblicazioni pretendono di inquadrarlo: è un’idea nata dalla penna di uno scrittore, ed è attraverso questi testi che ha preso forma nell’immaginario collettivo. Le teorie che sostengono il contrario sono prive di fondamento: supporre che Goffredo non sia il padre letterario di Merlino corrisponde a dire che non fosse uno scrittore d’invenzione, o altresì significa cadere nel facile tranello in cui incappa un lettore ingenuo, leggendo del liber vetustissimus: credere che Goffredo abbia davvero tradotto parola per parola un testo gallese a lui precedente, di cui non ci sarebbe rimasta alcuna traccia, traduzione o frammento se non ciò che ci ha tramandato Goffredo stesso. E possiamo al contrario osservare in Goffredo innumerevoli prestiti, adattamenti e calchi, alcuni dei quali analizzati anche in queste pagine, provenienti dalla tradizione latina precedente di cronachistica e non solo, pluritestimoniate e ben ancorate alla realtà e non all’iperuranio intangibile degli archetipi. Inoltre, tentando di far precedere Merlino a Goffredo riesce estremamente difficile spiegare il fiorire di citazioni riguardo Merlino posteriori all’opera di Goffredo, e il suo ripresentarsi in moltissimi testi dal 1170 ca in poi: se il personaggio di Merlino fosse già stato immaginato, pensato e descritto da mente umana, forse almeno una testimonianza, anche solo un un graffito o un’iscrizione se non un testo scritto vero e proprio, sarebbe dovuta giungere fino a noi. Come abbiamo visto nella nostra disamina delle fonti, così non è.

La teoria più accreditata fino a poco tempo fa che ci chiarifica le origini del personaggio Merlino, che più oltre andremo a completare grazie a contributi più recenti è quella elaborata da A.O.H. Jarman, illustre studioso gallese del primo ‘900, che possiamo articolare come segue.

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La tradizione orale locale di Camarthen (Caerfyrddin in lingua autoctona), una cittadina del Galles meridionale, già in epoca altomedievale probabilmente definì un eroe eponimo locale chiamato Myrddin, che prenderebbe il nome dall’originale denominazione romana del luogo, Moridunum. Questo Myrddin potrebbe avere un antecedente storico, forse un capo spirituale o militare, ma non ne abbiamo alcuna certezza né testimonianza. A questa altezza cronologica, in ogni caso, il personaggio , che prendeva vita unicamente nei racconti orali del luogo, dovrebbe aver stabilizzato l’elemento profetico che lo caratterizzerà in seguito.

A Myrddin, dunque, in epoca più tarda, tra l’850 e l’anno 1000, secondo la teoria di Jarman, viene connesso un corpus di episodi precedentemente (e altrove) legato al nome di Lailoken, nome di un personaggio reso folle dalla battaglia di Afderdydd, che vive tra i boschi e possiede il dono della profezia, che nella tradizione successiva scomparirà per essere assorbito dalla figura di Myrddin. Tra questi è possibile annoverare quelli che vediamo tramandati in Lailoken A e Lailoken B, per esempio, oltre probabilmente ad altri di cui non abbiamo testimonianze sopravvissute.

Secondo Jarman, dunque, Goffredo affronta la stesura dell’Historia Regum Britanniae quando Myrddin ha già acquisito tutti questi tratti nelle tradizioni orali popolari; per primo ne scrive in latino, ne latinizza il nome in Merlino e non in Merdino per ovvie motivazioni eufoniche, e vi aggiunge per sua iniziativa l’elemento della nascita misteriosa che abbiamo visto ha preso in prestito da Nennio. Scrive poi di suo pugno il corpus di Profezie che ci tramanda, così come aggiunge svariati elementi ed episodi di sua invenzione, come il tema dell’origine di Stonehenge o l’episodio del concepimento fraudolento di Artù.

La teoria di Padel è fondamentalmente basata sullo schema di Jarman, ma vi fa alcune modifiche sostanziali con lo scopo di risolvere alcune criticità abbastanza evidenti, e cioè: se già esisteva questa tradizione del Merlinus Selvaticus, a lui precedente, perché ometterla completamente durante la stesura dell’Historia Regum? E perché, invece, anni dopo, inserirla nella Vita Merlini tanto ampiamente da renderla il tema fondante dell’opera?

Jarman, con una certa ragionevolezza, sostiene che semplicemente Goffredo non ne conoscesse la storia nel dettaglio all’altezza della stesura dell’Historia Regum e solo successivamente avesse attinto ad altre fonti, che andavano a suo dire diffondendosi e stabilizzandosi proprio all’altezza cronologica di Goffredo. I testi del Black Book of Camarthen, a suo dire, sarebbero una testimonianza o almeno una versione degli stessi testi che Goffredo potrebbe aver letto, e a cui si sarebbe riferito in modo allusivo parlando del Liber Vetustissimus.

La teoria di Padel confuta proprio questo passaggio: la sua tesi è che sia stato Goffredo il primo a connettere il corpus celtico legato all’uomo selvatico e profeta Lailoken a quella del profeta Myrddin di Camarthen, esattamente come abbiamo precedentemente dimostrato che abbia connesso la tradizione di Ambrosius Aurelianus a quella di Myrddin.

In effetti, seguendo questa teoria, le azioni di Goffredo come scrittore e i “due Merlini”, intesi come due varianti del personaggio (quello Ambrosius dell’Historia, e quello Silvestris della Vita) sono più facilmente comprensibili e meno critiche. La Vita in effetti potrebbe essere focalizzata come un secondo tentativo di scrittura d’invenzione di Goffredo, con l’obiettivo di

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ingraziarsi un patrono dilettandolo, per poter avanzare nella sua carriera ecclesiastica, esattamente come aveva tentato e aveva avuto successo con l’Historia Regum qualche anno prima. Ma il tempo e le energie erano probabilmente minori, ed egli era più anziano, e non sarebbe stato in grado di produrre di nuovo un’opera imponente come l’Historia. Altresì, Merlino e le sue profezie erano tra le pagine più lette e commentate della sua opera, come anche la tradizione indipendente delle Prophetiae ci testimonia. Dedicare a questo personaggio la sua seconda opera sarebbe stato sicuramente una scelta di successo, insomma, ma inventare dal nulla non era possibile né troppo benvisto: ecco dunque l’idea di connettere a Myrddin la tradizione legata a un altro profeta, Lailoken appunto, la cui storia però non era mai pervenuta ai circoli anglonormanni che dunque non potevano conoscerla. La chiusa della Vita, e l’abdicazione di Merlino del suo potere profetico, potrebbe in quest’ottica essere letta come una conclusione del personaggio, un porre la parola fine al suo profetare, e quindi un dargli una fine, in modo che altrove non si sviluppasse il personaggio autonomamente.

La teoria in realtà ha due corollari importanti: il primo, è che essa non avrebbe alcun senso nel caso potesse essere provato con certezza che esiste un testo che definisce Myrddin come partecipante della battaglia di Afderdydd precedente al 1150; e il secondo, che dove si troveranno (anche in lingua gallese, e non solo in latino) le predette connessioni, queste saranno dovute all’influenza della Vita Merlini di Goffredo.

Seguendo questo schema, dunque, i testi poetici più antichi del Black Book of Camarthen, quelli che non nominano Merlino apertamente, ma in cui tradizionalmente la voce è stata identificata con quella di Myrddin (Yr Oianau e Yr Afallenau), sarebbero al contrario da definire come superstiti del corpus profetico attribuito al personaggio di Lailoken, e non a Myrddin.

Sembrerebbe incoerente con lo schema, a questo punto, tuttavia, la Ymddiddan Myrddin a Thaliesin, tramandateci dal Black Book stesso, che ricordiamo è stato scritto attorno al 1250, dato il citare Afderdydd e Myrddin nello stesso testo.

Come specificato sopra, questo testo connette sì Myrddin alla battaglia di Afderdydd, ma non in quanto partecipante: Merlino in questo poema profetizza riguardo la battaglia e parla delle sue tragiche conseguenze. Battaglia che è enormemente importante nel legendarium gallese, e quindi chi ne scrive potrebbe averne scritto per bocca di Myrddin anche solo per la sua notorietà e preminenza nelle cronache, usando la voce di Myrddin in quanto voce profetica.

E’ chiaro e largamente accettato in ogni caso che questa conversazione e quella riportata all’interno della Vita Merlini abbiano una connessione, sebbene trattino di materie completamente diverse (la prima riguarda battaglie, e la seconda argomenti enciclopedici).

Padel sottolinea che, se questa esiste, una è chiaramente la fonte dell’altra, e probabilmente quella gallese poetica è precedente a quella galfridiana. Nelle due conversazioni, infatti, i ruoli sono identici: anche in Goffredo, Taliesin è un’autorità riguardo la cosmogonia, la geografia e le scienze in generale, mentre Merlino lo è per i discorsi che riguardano il presente e il futuro della Britannia. Un solo ambito enciclopedico, gli uccelli, è messo in bocca a Merlino, giustificandolo come sapienza acquisita grazie alla vita selvatica. Padel vede in questo discorso ornitologico, tra l’altro, un’allusione al tema dell’Homo Selvaticus di tradizione celtico-irlandese,

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che in molti episodi è in grado di mutare la sua forma in quella di un uccello, o di far crescere penne sul suo corpo e poi volare.

In ogni caso pare piuttosto evidente che il testo di Goffredo possa avere avuto influenze da quello dell’Ymrdiddidan, ed è meno evidente anzi difficilmente sostenibile il contrario. E’ però altresì evidente che in questo testo Myrddin non è ancora legato al tema “nordico” di Lailoken, sebbene incidentalmente racconti proprio della battaglia che ne è sfondo e antefatto.

Molto più tardo nelle testimonianze è un testo che ancora non abbiamo presentato, ma che risulta utile e doveroso citare in questa sede, cioè la Cyfoesi Myrdddin a Gwendydd ei Chwaer (La profezia di Myrddin e di sua sorella Gwendydd), tramandataci da due manoscritti, il Red Book of Hergest (circa 1400) e il MS Peniarth 3ii della National Library of Wales (circa 1300). La data di composizione di questi poemi ci è oscura, e l’analisi linguistica non sa dare risposte certe.

Questo testo lega inequivocabilmente Myrddin alla materia di Lailoken: i due protagonisti si apostrofano per nome durante il poema, e Myrddin dice di se “o lesa Gwendoleu y gwaetfreu Arderyd / handwyf oeithin” (Quando Gwendolau morì nel fiume di sangue di Afderdydd / io divenni folle). Volendo mantenere valido lo schema sopra presentato, comunque, questo testo andrebbe datato come prodotto posteriormente al 1150 e poi trascritto nel Red Book, e potrebbe essere la prova della grande penetrazione del personaggio di Goffredo nella cultura letteraria gallese. Al contrario, invaliderebbe completamente la teoria unendo per primo la tradizione di Lailoken a quella di Myrddin. Jarman propendeva, nelle sue analisi, per la seconda ipotesi, ma alcuni altri elementi ci portano nella prima delle due direzioni. In particolare, il fatto che qui Myrddin sia in rapporti amichevoli con Rydderch e la regina sua sorella, lo differenzia dalla voce di Yr Afallenau e Yr Oianau, dove la paura degli uomini in arme e della vendetta del re è ben presente, e d’altra parte lo avvicina alla versione del Merlino di Goffredo data nella Vita Merlini. Padel suggerisce che si tenga per assodato che la Cyfoesi sia successiva alla Vita, data l’impossibilità di produrre argomentazioni calzanti che provino il contrario.

Aggiungiamo a questa elencazione infine anche alcune altre citazioni di Merlino, più problematiche in realtà nella loro correlazione con i testi di Goffredo, ma che in ogni caso è importante segnalare e servirà conoscere per seguire al meglio i ragionamenti conclusivi di questa trattazione. Il poeta principe gallese Hywel ab Owain Gwynedd cita Myrddin definendolo poeta d’amore, in un frammento composto 1170 al più tardi, data della morte del poeta secondo gli annali gallesi. La tradizione che ce lo riporta è in ogni caso più tarda. La citazione suona molto strana, è in effetti unica nel definire Myrddin poeta d’amore e non profeta, e potrebbe essere legata a Yr Afallenau, dove il poeta selvatico si definisce come amante di una dolce fanciulla: la connessione dovuta a Goffredo tra le due tradizione ha potuto portare come risultato quest’inusuale citazione di Myrddin-amante. L’editore più recente di questo frammento lo data tra il 1140 e il 1167, tuttavia - forse troppo presto perché l’influenza della Vita si diffondesse. Altresì, non è strettamente necessaria questa spiegazione (sebbene sia l’unica possibile con le testimonianze pervenutaci) perchè Myrddin sia definibile poetaamante. Diversi studi ci indicano Hywel come grande innovatore e tra i primi ad introdurre la I PRIMI DUE VOLTI DI MERLINO

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lirica d’amore nella poesia gallese, e che fosse fortemente influenzato dai modelli continentali: potrebbe avere inserito questa innovazione autonomamente. In ogni caso, l’analisi di questo testo non invalida la teoria di Padel.

Un altro poeta gallese che si firma Cynddelw in un’elegia per la morte del padre dell’appena citato Hywel, Owain Gwynedd, cita il mitico re Gwendolau come esempio di furore guerriero e rettitudine, paragonandolo al defunto. Gwendolau chiaramente viene riferito alla battaglia di Afderdydd, e Myrddin viene citato nel verso successivo, cosa che ci fa supporre che lo scrivente lo pensasse partecipante alla battaglia stessa. Anche questo testo è cronologicamente ai limiti dello schema di Padel, dato che è databile come appena successivo alla morte di Owain avvenuta nel 1170. Tra l’altro, le incursioni di Owain e dei suoi uomini sono tra i motivi che probabilmente hanno causato le difficoltà già citate più sopra da parte di Goffredo nell’insediarsi nel proprio vescovado, e questo potrebbe aver accelerato la conoscenza dell’opera galfridiana in questi circoli. Anche questa citazione, in ogni caso diventa evidentemente conforme allo schema che suppone l’immediata diffusione nei circoli letterari di lingua gallese della Vita di Goffredo. Non è stato possibile dunque trovare evidenze legate alla connessione Lailoken-Merlino precedenti a Goffredo, e questo ci porta ragionevolmente a supporre che questa connessione, così come quella Ambrosius-Merlino, sia derivata completamente dall’opera galfridiana e da lì si sia diffusa con grande rapidità nei circoli letterari gallesi che hanno poi prodotto i testi che finora abbiamo analizzato. 39 Ma non è solo il panorama gallese ad essere fin da subito scosso dall’opera di Goffredo e ad assorbire Merlino con tutte le nuove connotazioni. Nel prosieguo andremo ad analizzare in breve alcune delle reazioni più immediate a questo nuovo corpus, per quello che ci possono testimoniare alcuni testi e scrittori appena successivi a Goffredo. Colui che più direttamente e ampiamente fa uso del materiale Galfridiano e, spesso, non ne nasconde la provenienza è Geraldo di Cambria, nato nel 1146, poco dopo la prima diffusione dei testi che ci interessano.

Fu ecclesiastico e uomo di cultura, oltre che, proprio come Goffredo, uomo legato al clima politico suo contemporaneo. Visse itinerante tra il Galles e l’Inghilterra meridionale, seguendo corti ecclesiastiche e politiche. Fu scrittore estremamente prolifico: di lui ci restano una decina di opere, in svariate redazioni pluritestimoniate. Scrisse di storia, geografia, morale e dottrina legislativa.

Il primo testo a interessarci è la seconda redazione dell’Itinerarium Cambriae, un libello che gli studiosi datano al 1197 (1191 nella prima redazione), e che nasce come cronaca del viaggio in Galles (Cambria, in latino e nel linguaggio autoctono) che lo studioso aveva compiuto nel 1188 al seguito dell’arcivescovo di Canterbury Baldovino di Ford, con lo scopo di raccogliere fondi e uomini per la Terza Crociata. Durante questo viaggio, accadde che incontrassero un uomo affetto da periodiche possessioni demoniache, tale Meilyr.

Contigit aliquando, spiritibus immundis nimis eidem insultantibus, ut Evangelium Johannis ejus in gremio poneretur: qui statim tanquam aves evolantes, omnes penitus evanuerunt. Quo suolato postmodum, et Historia David Stephenson, ’Welsh Chronicles Accounts of the Mid-Twelfth Century', Cambrian Medieval Celtic Studies 56, Aberystwyth, 2008 pp 45–57 39

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Britonum a Galfrido Arthuro tractata, experiendi causa, loco ejusdem subrogata, non solum corpora ipsius tote, sed etiam libro superposito, longe solito crebrius et taediosius insiderunt.40 Singolare esempio, in effetti, ma ci testimonia con grande chiarezza quanto poco potesse essere stimata l’opera Galfridiana, almeno in quanto portatrice di verità - dall’altro lato, potremmo domandarci quanto dell’opera di Geraldo stesso fosse più attendibile e verosimile, ma non è questo che ci interessa: ciò che è certamente degno di nota è che un dotto studioso che scrive pochi anni dopo la pubblicazione del corpus di Goffredo è ben consapevole della finzionalità dell’opera, e ce lo lascia intendere attraverso questo episodio. Il giudizio di Geraldo su Goffredo, tuttavia, varia con il tempo, o almeno così ci dicono i suoi testi. Esiste in particolare un episodio che Geraldo racconta in ben due testi più tardi, il De Principis Instructione (1192) e lo Speculum Eccllesiae (1220). L’episodio, in sintesi, racconta di come servitori di Re Enrico II avessero ritrovato nel 1191 la tomba di Artù e Ginevra, nei pressi di Glastonbury, in una tomba nascosta da una quercia cava ma segnalata da una croce con i nomi del re e della regina ben chiari e comprensibili.

Diversi studiosi concordano fondamentalmente nel definire i due episodi sopra citati come esemplificativi delle due fasi iniziali di reazione all’opera Galfridiana nei circoli anglonormanni: una prima fase di generale discredito, dove gli unici a dare un peso all’opera di Goffredo furono i bretoni e i gallesi illusi da un futuro ritorno di Artù, che li avrebbe liberati da sassoni e normanni, e una seconda fase in cui invece il credito riguardo all’Historia di Goffredo cresce, e viene manipolato dalle classi di potere normanne per acquisirne prestigio.

Il ritrovamento della tomba di Artù in quest’ottica va letto come un’asserzione sia della sua morte (cosa utile da impugnare contro i gallesi e i bretoni più riottosi al dominio straniero), ma soprattutto della sua realtà storica. Da qui in poi, come scrive John Gillingham, “la storia bretone può essere espropriata e resa politicamente utile ai Re d’Inghilterra”.

E’ semplice immaginare che il credito dato a questo tipo di ricostruzioni in epoche successive sia stato la base dell’erronea interpretazione del legendarium arturiano come un ciclo di episodi con un fondamento storico, ma ciò che più ci interessa in questa sede è comprendere il ruolo di Merlino e delle sue profezie in questa fase. Ci baseremo per queste considerazioni principalmente sull’opera di Ad Putter, studioso inglese contemporaneo, che ha messo in luce come Geraldo abbia sfruttato il corpus galfridiano e Merlino in particolare per suffragare la sua visione politica.

In primis, la citazione più frequente di Geraldo legata a Merlino è quella che va a definire il mago e profeta come un’entità doppia: da un lato Merlino Ambrosio, e dall’altro Merlino Silvestre. A questo punto della nostra trattazione sarà chiaro al lettore che Merlino è in realtà un unico personaggio, ma è altrettanto chiaro che Geraldo abbia tentato questa duplice identificazione (influenzando enormemente poi la critica successiva) fondamentalmente per Giraldi Cambrensis Opera, ed. J. S. Brewer, James F. Dimock, and George F. Warner, 8 vols, RS 21, 1861–91 Cambridge - Vol VI pp58 “Quando era colpito dalla forza di questi spiriti immondi, gli veniva posto in grembo il Vangelo di Giovanni, e improvvisamente ogni pena svaniva, volando via come molti uccelli. Se il Vangelo poi fosse successivamente rimosso e al suo posto lì messa la Storia dei Britanni scritta da Goffredo Arturo, per vedere cosa sarebbe accaduto, i demoni si sarebbero radunati sul corpo e anche sul libro, rimanendo lì più a lungo dell’abituale e con più insistenza.”

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dare maggiore coerenza e verosimiglianza alle lacune del corpus di Goffredo, e in particolare per rendere comprensibile che un Merlino abbia profetizzato a Vortigern e, altrettanto, un Merlino abbia profetizzato ad Artù e che sia stato contemporaneo anche di Costante, Costantino e Cynan (tutti fatti effettivamente citati nell’incoerente, di per se, corpus galfridiano). Cronologicamente il regno di costoro copre almeno 150 anni, e Geraldo non può accettare che un essere umano storicamente esistito abbia trascorso una vita così lunga. Ecco dunque chiarirsi la motivazione di una duplicità di Merlini, uno contemporaneo di Vortigern e autore delle Prophetiae più celebri, e uno più recente contemporaneo di Artù, corrispondente con quello della Vita Merlini.

Erant enim Merlini duo; iste qui et Ambrosius dictus est, quia binomius fureta, et sub rege Vortigerno prophetizabit, ab incubo genitus, et apud Kaermerdyn inventus; unde et ab ipso ibidem invento denominata est Kaermerdyn, id est, urbs Merlini; alter vero de Albania oriundus, qu et Celidonius dictus est, a Celidonia Silva in qua prophetizavit, et Silvester, qui cum inter accese bellica constitutus monstrum orribile nimis in aera suspiciendo prospiceret, dementire coepit, et ad silvana transfugiendo silvestre usque ad obitum vita perduti. Hic autem Merlinus tempore Arthuri fuit, et longe plenius et apertius quam alter prophetasse perhibetur.41 Come sarà chiaro a chi fosse giunto a questo punto della trattazione, la duplicità è le incongruenze tra le due facce di Merlino sono unicamente dovute alla penna un po’ incerta di Goffredo e al suo utilizzo di due tradizioni letterarie differenti per dare vita al personaggio. L’opinione di Geraldo invece era, evidentemente, che non fosse l’opera di Goffredo ad essere confusionaria, ma la storia stessa da cui Goffredo avrebbe preso a modello. Come è evidente, in ogni caso, l’unica sua fonte fu Goffredo, dato che i profili da lui tratteggiati sono perfettamente sovrapponibili a quelli galfridiani, rispettivamente nell’Historia Regum e nella Vita Merlini. Il suo approccio in ogni caso è volto a fare chiarezza nell’incoerenza di Goffredo, anche perché come vedremo in seguito gli era necessario potersi servire di Merlino e delle sue profezie nelle sue opere, tutte rivolte alla glorificazione e legittimazione della monarchia Anglonormanna. Le prove più chiare di questa visione sono in una sua opera successiva, la Vaticinalis Historia (o Expugnatio Hibernica, come titolano altri manoscritti).

La cronaca racconta delle scorrerie di Dermot, principe del Leinster (una delle contee d’Irlanda), che, forzato all’esilio per vicissitudini di potere, vaga tra Galles e Inghilterra raccogliendo seguaci per un’invasione dell’Irlanda stessa. Alcuni nobiluomini inglesi lo seguono e guadagnano successi. Re Enrico II invia suo figlio John per rimetterli sotto il suo controllo, e con costui altri armati e un seguito nutrito. Tra loro, Geraldo, che in Giraldi Cambrensis Opera, ed. J. S. Brewer, James F. Dimock, and George F. Warner, 8 vols, RS 21, Cambridge 1861–91 - Vol VI pp 133 “C’erano due Merlini. Uno chiamato Ambrosius, che aveva due nomi, e profetizzò quando era re Vortigern. Era figlio di un demone incubo e venne scoperto a Camarthen, che significa città di Merlino, come venne chiamata proprio a causa del suo scoprirsi lì. Il secondo venne dalla Scozia. E’ anche chiamato Caledonio perché profetizzò nella foresta di Caledonia. E’ anche chiamato Silvestro, perché una volta mentre era in battaglia guardò in alto e vide un mostro terribile. Da questo, divenne folle, e fuggì nella foresta dove passò il resto della sua vita nelle selve. Questo secondo Merlino visse ai tempi di Artù, e si tramanda che abbia fatto profezie molto più dell’altro.”

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queste pagine si descrive in terza persona come sapiente, colto esperto di storia naturale. La sua presenza, in ogni caso, non riuscirà a dare il successo sperato alla campagna.

Nel suo racconto Geraldo più volte utilizza le profezie di Merlino per giustificare e glorificare azioni dei suoi protettori. Il principe John, per esempio, guida un manipolo di uomini alla conquista di Ulaid, un luogo prima mai toccato da armi inglesi: Geraldo cita una profezia di Merlino Silvestro che avrebbe parlato di un bianco cavaliere su bianco destriero che sarebbe stato il primo ad entrare proprio ad Ulaid.

Quando Re Enrico II in persona raggiungerà l’Irlanda, di nuovo Geraldo citerà una profezia di Merlino riguardo una palla di fuoco nel cielo. Ancora, qualche capitolo più tardi, una profezia che parla di uccelli caduti al suolo e che si rendono spontaneamente alla cattura, e poco dopo ancora una profezia stavolta attribuita al Merlino Ambrosio più criptica e che cita “cinque parti che diverranno una, e la sesta che travalicherà le mura d’Irlanda”.

Le fonti per queste profezie sono sia Goffredo, quando si asserisce che provengano da Merlino Ambrosio, sia un libello chiamato Le Profezie dell’Aquila, circolante nel XII secolo ed attribuito proprio a Merlino, quando si riferisce a Merlino Silvestre. Sarà quindi più chiaro il titolo di Vaticinalis Historia, titolo della prima redazione dell’opera di Geraldo. Per quanto concerne la nostra trattazione, la forza del personaggio di Merlino a questa altezza cronologica è già enorme, tanto da essere citato come reale e le sue profezie utilizzate come materiale narrativo per una cronaca di impianto, almeno formalmente, storico (o almeno, molto più storico e credibile dell’opera Galfridiana stessa). Ma la relazione tra Geraldo, Merlino e Goffredo è comunque più torbida e complicata, e vale la pena aggiungervi ancora almeno un elemento, che ritroviamo nell’Itinerarium Cambriae: Ea nocte jacuimus apud Newein, vigilia videlicet Paschae floridi. Ubi Merlinum Silvestrem, diu quaesitum desideratumque, archidiaconus Menevensis invenit. (terza recensione: dicitur invenisse). 42 Pare quindi che Geraldo sia tanto affascinato dalle profezie di Merlino da sostenere di averne trovate lui stesso una versione, proprio come qualche decennio prima Goffredo diceva di avere fatto. La terza recensione da lui licenziata che ci è pervenuta, ci mostra una formula più cauta, legata al diverso clima politico che si andava delineando, quello di Re Giovanni Senzaterra, meno incline a suggestioni profetiche.

Sembra chiaro da quel che scrive, almeno in una prima fase, che Geraldo avrebbe amato essere il consigliere e mistico profeta del Re, così come era stato Merlino per Artù: se con Enrico il suo tentativo sembrava avere qualche possibilità di successo, con Giraldi Cambrensis Opera, ed. J. S. Brewer, James F. Dimock, and George F. Warner, 8 vols, RS 21, Cambridge 1861–91 - Vol VI pp 124 “Quella notte, che era la vigilia della Domenica delle Palme, dormimmo presso Newyn. Là l’arcidiacono di Menevia (cioè io stesso), dopo averle a lungo desiderate, trovò (terza redazione “si dice abbia trovato”) le profezie di Merlino Silvestre.”

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Re Giovanni, salito al potere sotto gli auspici peggiori e a tradimento, le speranze di Geraldo non tardarono a infrangersi. L’opera di Geraldo poi è densamente popolata di citazioni di Merlino o di sue profezie, sempre basate sull’opera di Goffredo e sulle Profezie dell’Aquila. Lo utilizzerà a più riprese, nella sua ampia produzione, soprattutto nei testi pubblicati mentre è al servizio di Re Enrico II, ma anche alla fine della sua vita, nella disputa per dare più prestigio alla Diocesi di S. David, a cui tenterà di ridare lustro basandosi proprio su una delle profezie dell’Historia Regum. Ridurre la carriera letteraria di Geraldo a quella di un emulo di Goffredo è minimizzarla, in ogni caso, e non è ciò che ci preme dimostrare. Va sottolineato che questo brevissimo excursus sulla sua correlazione con Merlino non è assolutamente esaustivo, e per un lavoro più puntuale rimandiamo ad alcuni dei saggi in bibliografia. Quello che invece appare chiaro anche solo da questi brevi tratti è che Geraldo prendesse con grande serietà Goffredo e la sua opera, almeno quando gli era utile da citare per suffragare sue teorie o idee politiche o per glorificare i suoi patroni. Infine, Geraldo stesso non ci fa intendere di avere avuto altre fonti diverse da quelle galfridiane, e questo non fa che suffragare le teorie sopracitate che vedono il mago come creatura di Goffredo di Monmouth.

C’è un’ultima citazione notevole che ci preme inserire nella nostra trattazione, e si riferisce a un autore ancora non trattato in queste pagine, cioè Gervasio di Canterbury. Gervasio vive a cavallo tra il XII e il XIII secolo, gli studiosi ne datano la nascita al 1141 e la morte nel primo decennio del 1200. Fu monaco a Canterbury e storico, la sua Chronica è un resoconto piuttosto affidabile e realistico degli anni in cui ha vissuto, in particolare quindi dei regni di Stefano, Enrico II e Riccardo I. Ciò che ci interessa tuttavia giace nelle primissime pagine della Chronica. Il racconto di Gervasio del naufragio della White Ship, che abbiamo citato nella breve introduzione storica a Goffredo, si conclude così: “Cum enim esset ille filius regis et socii sui incomparabili superbia tumidi, luxuriae et libidinosi omnia tabe maculati, mare tranquillo perierunt, mundis absorti, et a piscibus devorati, ac si nollet Deus Angliam ipsorum libidine denso maculari. Et, sicut Merlinus praedixerat, catuli leonis in aequores pisces sunt transformati.”43 Il testo è stato scritto chiaramente dopo la pubblicazione e diffusione dell’opera di Goffredo ed è quindi indubbio che questa citazione sia da questa derivata (in particolare, si riferisce al terzo paragrafo del Liber VII dell’Historia, le Prophetiae appunto). Erroneamente, c’è chi lo ha citato come fonte precedente a Goffredo per l’esistenza delle profezie di Merlino, ma è evidente che così non possa essere: l’anno Historical Works of Gervase of Canterbury, ed. William Stubbs, 1879 - Vol I pp 92 “Nel frattempo il figlio del re e suoi sodali, più di ogni altro imbevuti di superbia, di lussuria e libidinosi macchiati di ogni corruzioni morirono nel mare calmo, risparmiati i puri, e vennero divorati dai pesci, giacché Dio non volle macchiare il suolo d’Inghilterra con la loro densa lussuria. E, come Merlino aveva predetto, i cuccioli di leone vennero trasformati in pesci di mare.”

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1122 è quello della narrazione, non certo quello in cui viene stesa la Chronica.44 Ci interessa anche e soprattutto per rimarcare ulteriormente che Merlino comincia a vivere di vita propria molto presto, anche in testi che nulla hanno a che fare con ambizioni politiche o di finzione letteraria, che sono i due ambiti dove più viene citato, come abbiamo visto. Anche le cronache storiche dunque non lesinano di citare le profezie di un Mago, cronache che certo ancora non si avvalevano di alcun metodo scientifico di ricerca, ma tentavano comunque di raggiungere una certa oggettività già nel Medioevo, specie trattando di argomenti contemporanei o quasi. Citiamo l’episodio dunque come ulteriore esempio della diffusione e della forza del personaggio di Merlino all’interno dei circoli culturali anglonormanni, negli anni appena successivi alla sua ideazione; è da questo humus, più sensibile alle sue profezie che al personaggio stesso, che nei decenni e secoli successivi Merlino diverrà il Mago e sapiente del medioevo bretone per antonomasia. I romanzi cortesi gli daranno la prima vera luce, da cui poi il personaggio (come molti altri a cui Goffredo ha dato per primo un profilo e una certa coerenza) saprà rivivere in centinaia di narrazioni, di molti generi e tipologie, fino al giorno d’oggi.

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Adolfo Morganti, Il mistero del Mago Merlino, Rimini 1997 pp 86

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Ringraziamenti A chi ha accompagnato il mio tortuoso e troppo spesso trascurato percorso universitario: i miei genitori, mio fratello Sid, i Guerrieri della Notte, l’Imperatore, l’Arcivescovo e il Dottore.

A chi mi supporta e sopporta nel lavoro quotidiano ormai da anni, un lavoro così lontano apparentemente da ciò di cui ho parlato qui, ma nella sua radice così simile, vicino e interconnesso: a Butt, Matt, Paso, Rik, Simù.

A chi mi ha permesso di creare la mia piccola mitopoiesi in questi anni, attraverso un media nuovo e multiforme, dando un corpo e una vita al mio piccolo personale legendarium: a J, Bernu, Nove e Barchetta, e a chiunque abbia mai giocato e staffato Ambaren. Grazie anche a Terre Spezzate, e a chiunque ho incontrato sotto le spoglie di suo organizzatore, anche se è sempre più simile a un drago con mille teste e mille cuori.

A Maria che nonostante le mie idiosincrasie e i miei spigoli e i miei versi animali mi dona quotidianamente il raggio di luce necessario a reggerci in piedi contro le tempeste della vita.

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