E' successo qualcosa. La misteriosa scomparsa di Federico Caffé

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Quando la scomparsa è volontaria: fuga dal mondo? O ritiro esistenziale, magari in convento? Lo strano caso del professor Federico Caffè

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ia Cadlolo, sulla collina di Monte Mario, Roma. È la notte tra il 14 e il 15 aprile quando un uomo, minuto, esce di casa in punta di piedi. Attento a non far rumore. E coperto da un soprabito blu. Non un uomo qualunque. Ha settantatré anni e si chiama Federico Caffè: il primo divulgatore in Italia delle teorie economiche di Keynes. Forse una macchina lo attende. Una macchina pronta a portarlo via, da quella Roma addormentata, per andare chissà dove. L’orario è incerto: potrebbero essere le una, come le cinque e trenta del mattino quando il noto economista svanisce nel nulla. Senza nemmeno lasciare un biglietto e facendo perdere ogni traccia di sé. Per sempre. Da quel giorno di metà aprile, il professor Caffè nessuno l’ha più visto. È scomparso? Se sì, dove è fuggito? Si è ucciso? Come? Ma soprattutto e in entrambi i casi: perché? A trent’anni dalla sua scomparsa non una sola risposta a queste domande. Sappiamo solo che «È successo qualcosa». Proprio come titolò Il Messaggero, sulla prima pagina di Roma, una settimana dopo la denuncia. E nei giorni a seguire, i quotidiani scrissero: «Roma inghiottì Caffè, come il battello che portava a Palermo Ettore Majorana inghiottì il fisico e allievo di Enrico Fermi». Majorana scomparve misteriosamente il 25 marzo 1938 in circostanze analoghe a quelle di Caffè.

ENIGMA PREMEDITATO? Secondo il giornalista e scrittore Ermanno Rea, la sparizione di Caffè non è stato un tragico caso, ma un enigma premeditato. «Quella notte il prof uscì di casa con in testa un progetto» scrisse Rea nel 1992 sul suo libro L’ultima lezione, dedicato proprio a Federico Caffé. A suo dire, quello svanire nel nulla fu una scelta. La definì “un’eclissi, protetta dalle tenebre e priva di testimoni”. Rea è convinto che Caffè abbia pianificato tutto prima di sparire, preordinando la sua fuga fino al dettaglio più banale. Da quale giacca indossare al versamento dei suoi risparmi sul conto corrente del fratello, fino a cosa lasciare sul comodino: gli occhiali da vista, da cui non si sarebbe potuto separare, l’orologio, le sue chiavi, il passaporto e il libretto degli assegni. Per lo psichiatra Vittorino Andreoli si tratterebbe invece di un “lucido suicidio esistenziale”. Andreoli ne è convinto. «Escludo che Caffè fosse gravemente depresso. Ha lasciato dei simboli che fanno pensare; come se avesse voluto giocare con la morte, alla ricerca dell’immortalità». Una sua fuga dal mondo, teatrale: «Un’uscita di scena – aggiunge a margine lo psichiatra – con la sua ombra». Anche perché il suo corpo non è mai stato ritrovato. MA CHI ERA FEDERICO CAFFÈ? Nato a Pescara nel 1914, per quarant’anni è stato ordinario Quattrocolonne

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31 dicembre 2017

di

ELENA FRASCONI


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