Le ragazze di Tiffany

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SHELLEY NOBLE Le ragazze di Tiffany

Immagine di copertina: Elisabeth Ansley/Trevillion Images

Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Tiffany Girls

William Morrow

An Imprint of HarperCollinsPublishers © 2023 Shelley Noble Traduzione di Rossana Lanfredi

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con HarperCollinsPublishers.

Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

© 2023 HarperCollins Italia S.p.A., Milano

Prima edizione I Grandi Romanzi Storici Special settembre 2023

Questo volume è stato stampato nell'agosto 2023 da CPI Moravia Books

I GRANDI ROMANZI STORICI SPECIAL ISSN 1124 - 5379

Periodico mensile n. 345s del 28/09/2023

Direttore responsabile: Sabrina Annoni

Registrazione Tribunale di Milano n. 368 del 25/06/1994

Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA

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HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano

A tutte le ragazze di Tiffany che, ben poco conosciute, aiutarono ad aprire la strada a quelle che vennero dopo.

Dedica

Luglio 1899

Montmartre, Parigi

Emilie Pascal si pulisce le mani sullo straccio più lindo che trova e sistema con attenzione il foglio di carta da lettere sullo scrittoio. È l'ultimo. Era riuscita a prendere di nascosto due fogli dalla scrivania di d'Evereux l'autunno prima, mentre il padre ultimava il ritratto del Cavaliere.

Ha già dovuto usarne uno.

Questo è per lei.

Raddrizza per bene il foglio, si avvicina il calamaio. Trae un profondo respiro e lentamente si tocca la guancia. Il livido sarà scomparso prima che lei arrivi a New York con la sua lettera.

Deve fare in fretta.

Deve anche essere molto precisa, qualcosa che ha imparato nel corso degli anni. Un errore può costarle tutto.

Vede con la mente la missiva che scriverà, proprio come una scena sulla tela prima di cominciare a dipingerla. Una grafia fiorita, ma mascolina. Una spiegazione stringata, senza troppi elogi.

Appoggia la punta della penna sul foglio e scrive: Mio caro Mr. Tiffany...

Bussano alla porta proprio mentre sta per firmare il suo falso quasi perfetto. D'istinto solleva la penna dalla carta e,

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Dieu merci, non macchia il foglio. Adesso deve fare attenzione...

Mes sincères salutations, Le Chevalier d'Evereux

La porta comincia a tremare sotto quell'insistente bussare. Emilie non ha un tampone, così soffia sulla firma, poi piega il foglio. Non la chiuderà con il sigillo. Fare troppo o troppo poco, ecco il piccolo errore che fa sempre scoprire.

Si alza e in fretta va verso il letto e la cartelletta nera che attende la sua ultima opera artistica.

Ora cominciano le grida. «Dominique André Pascal!

Aprite la porta in nome della Sûreté de Paris!»

Emilie lascia scivolare la lettera nella cartelletta.

La porta presto cederà, ma non lo troveranno là. Lui è scomparso, Emilie non sa dove, ma che sollievo! Si getta un mantello sulle spalle, afferra la cartelletta dal letto. Un ultimo sguardo per controllare di non avere lasciato nulla, poi corre verso la finestra.

Ha pianificato quel momento. Sembra che lo abbia pianificato per tutta la vita. La finestra è aperta e lei lascia scivolare i suoi più preziosi averi sul balconcino. Si solleva la gonna, di colore scuro, ma leggera, per facilitarle la fuga. Una gamba oltre il davanzale, poi l'altra. Richiude la finestra proprio mentre la porta cede.

Prende la cartelletta nera, la getta sul balconcino più in basso e un istante dopo si cala.

Jean e Marie la stanno aspettando all'interno per aiutarla. Hanno sentito i gendarmi nel corridoio. Senza una parola, Marie la aiuta a indossare meglio il mantello e la conduce verso la scaletta che porta sul tetto. Lei la sale, afferrando il manico della cartelletta come se fosse il suo solo sostegno. E lo sarà.

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Jean vuole seguirla, accertarsi che sia al sicuro. «Non, tu dois m'oublier.»

«Mais je t'aime.»

«Non.»

Marie le passa la valigia che hanno preparato per quel momento. «Ti manderemo il baule quando ti sarai sistemata.»

Emilie annuisce. Non riesce a parlare.

Marie comincia a piangere. Jean le lancia un'occhiataccia di ammonimento e Marie si asciuga le lacrime, nel caso i gendarmi vengano a far loro domande sui vicini.

Emilie guarda fuori per assicurarsi di essere sola, poi sale sul tetto.

Jean guarda con desiderio oltre l'apertura squadrata. È così che lei lo ricorderà. Incorniciato dalla luce.

Poi il buio lo avvolge ed Emilie scompare sui tetti di Parigi.

Ha solo un ultimo passo da compiere lungo il tragitto verso il porto e la nave che la porterà per sempre via da Parigi. Lontano dai ricordi, belli e brutti, dagli amici e dai nemici, e soprattutto lontano dal padre.

Scende nella rue Suger. Le luci si riflettono sull'acciottolato scintillante, in giro non c'è nessuno. Non si sente alcun rumore di poliziotti che la cercano.

Stringendo bene a sé i bagagli, comincia a camminare verso nord, verso il fiume. Non è una notte troppo calda, nonostante sia luglio, ma Emilie è sudata per la fatica e la paura. E ha ancora un lungo cammino da compiere.

Le donne e gli uomini che lavorano compaiono sulle soglie, diretti alle fabbriche, alle barche sui fiumi, alle sartorie, al mercato dei fiori, dove venderanno le loro merci alle poche anime che si avventureranno fuori con quel clima.

Emilie cammina in fretta, anche se il suo corpo si ribel-

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la. Vorrebbe sedersi e nascondersi il volto fra le mani, ma per quello ci sarà tempo dopo.

E poi la vede, la piccola fioraia ai piedi del Pont des Arts.

Anche la donna vede Emilie avvicinarsi e sorride con quel suo sorriso un po' storto. Loro due sono vecchie conoscenze. Emilie guarda nel secchio di crisantemi, lillà e margherite della fioraia e sceglie dal centro una rosa dal lungo gambo. Ai primi raggi del giorno, vede che è rossa, un simbolo perfetto per separarsi.

Lascia una moneta nella mano della donna e porta con sé la rosa. Non conosce nemmeno il nome della fioraia.

Avanza con passi misurati lungo il ponte e rallenta quando due uomini, ritardatari dopo una notte di gozzoviglie, la sorpassano nella loro corsa verso casa. Poi si volta a guardare le profonde acque della Senna. Non piangerà.

«Lascio la Francia, maman, e potrei non venire a trovarvi per un lungo periodo. Ne m'oubliez pas.» E getta la rosa nell'oscurità.

Luglio 1899

Tiffany Glass and Decorating Company

Manhattan

Clara Driscoll sedeva alla scrivania, strizzando gli occhi davanti alle spese della settimana e pensando alle libellule. Libellule. Che aleggiavano nell'aria per qualche secondo, le ali iridescenti sulle quali si rifletteva la luce del sole, per poi volare via e riapparire all'improvviso da qualche altra parte. Le aveva viste mentre pedalava in Central Park, la domenica, e l'accompagnavano sempre.

Si appoggiò allo schienale della sedia, stringendosi il dorso del naso. Aveva già gli occhi stanchi, nonostante fosse mattina, e sentiva arrivare una delle sue emicranie.

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In quanto direttrice della divisione femminile della Tiffany Glass and Decorating Company, era lei a dover far sì che i conti ogni settimana tornassero. Di solito riusciva a separare il suo lavoro di direttrice da quello di progettista senza troppi problemi. Ma non quella mattina. Il responsabile commerciale, Mr. Pringle Mitchell, le aveva appena consegnato una lista aggiuntiva di requisiti che rendevano ancora più gravoso l'impegno di Clara; altro lavoro che avrebbe richiesto altro tempo, senza peraltro essere utile.

Lei e Pringle erano sempre in contrasto per quel che riguardava le spese. Mr. Tiffany insisteva sulla qualità e sull'unicità dei suoi prodotti artistici. A Mr. Mitchell interessava soprattutto tenere bassi i costi. Clara usualmente riusciva a destreggiarsi con sufficiente serenità fra i due.

Ma questo! La nuova, più vergognosa regola era far pagare alla divisione femminile l'affitto dello spazio che usava per lavorare per la compagnia. Cinquanta dollari al mese! Era oltraggioso. Soprattutto perché lei sapeva che Mr. Mitchell l'aveva introdotta soltanto per irritarla.

Mr. Tiffany le aveva detto di pagare l'affitto una volta e poi non preoccuparsene più, avrebbe sistemato lui la faccenda. Il che era stato molto facile da dire per lui, che subito dopo era partito per il suo viaggio in Europa con la famiglia. Là avrebbe incontrato Mr. Bing per consultarsi con lui sulla mostra alla Grafton Gallery in programma l'ottobre successivo. E, se Clara conosceva Mr. Tiffany, si sarebbe ritrovato al centro delle voci sull'Esposizione di Parigi che si sarebbe aperta in aprile.

Clara si considerava una donna razionale, comprensiva e moderna, ed era felice sia di dirigere la barca, per così dire, sia di essere la mentore delle donne che imparavano il mestiere sotto la sua egida, e di fare entrambe le cose mentre lavorava alle sue creazioni. Ma era difficile concentrarsi quando le libellule reclamavano tutta la sua at-

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tenzione. Specialmente nei giorni di mal di testa. E tra i conti, la perdita di due lavoratrici che si erano sposate nell'ultimo mese, e il caldo che rendeva sempre più soffocante l'aria nel laboratorio del quinto piano, quello era decisamente uno dei giorni peggiori.

Abbandonò la testa all'indietro e chiuse gli occhi. Li avrebbe fatti riposare solo per un momento. La sua vista non era mai stata delle migliori e peggiorava immancabilmente in occasione delle emicranie.

E poi c'erano le libellule. Ancora. Le volavano sul capo, illuminando la pila di acquerelli e disegni che doveva esaminare. Scendevano in picchiata sulla forma in legno del paralume che aveva appena finito e si lanciavano sul piano di lavoro dove erano ammucchiati il tagliavetro e altri strumenti che lei aveva spinto da una parte per fare spazio ai registri contabili.

Conti. Riaprì gli occhi e si raddrizzò sulla sedia. Il sole entrava dalla finestra aperta e illuminava in pieno le colonne di numeri che l'aspettavano.

Clara si sistemò le maniche da lavoro di mussolina, prese la penna e ricominciò da dove si era interrotta.

Due grandi lastre di vetro opalescente verde #2435B.

Le aveva dovute ordinare direttamente alle fornaci di Tiffany di Corona, nel Queens, poiché il trittico aveva già richiesto una grande quantità del vetro riposto nel magazzino apposito, al piano inferiore. Si era recata lei stessa alle fornaci per ritirarlo.

Biglietti di andata e ritorno per il tram, poi il traghetto e il treno.

Le sembrava oltremodo ingiusto che il suo dipartimento

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dovesse pagare il viaggio solo perché gli uomini non riuscivano a lavorare con le loro scorte di vetro.

Sospirò. Tra il loro abituale numero di ordini e tutto il lavoro extra destinato all'Esposizione di Parigi, erano soltanto a metà luglio e avevano già superato il loro bilancio mensile.

Ma non avrebbero fatto economia su materiali e strutture. Mr. Tiffany era letteralmente ossessionato dall'Esposizione. Aveva scelto di non partecipare alla fiera mondiale di Parigi, dieci anni prima, e John La Farge, il suo più pericoloso concorrente, si era preso tutte le medaglie che, Mr. Tiffany ne era convinto, sarebbero dovute andare a lui.

Questa volta, perciò, si preparava a stupire il mondo come mai prima e sarebbe stato finalmente riconosciuto quale indiscusso re dell'arte del vetro.

Clara concordava. Mr. Tiffany era un genio, con una visione. Il fatto poi che realizzare la sua visione di finestre in vetri colorati, lampade, vasi, ceramiche, mosaici e tutti gli altri ordini che i laboratori Tiffany accettavano richiedesse un preciso lavoro di squadra tra diversi dipartimenti e una miriade di artigiani e artisti singoli non aveva la minima importanza.

Lui era la forza che li guidava. E tutti lo sapevano.

Clara non aveva mai conosciuto nessuno come lui e non riteneva che ci fosse nessuno che potesse anche solo avvicinarsi a Louis Comfort Tiffany.

E Clara Wolcott Driscoll e le sue ragazze di Tiffany costituivano una parte indispensabile di quel processo creativo.

Aveva appena finito di controllare la prima fila di cifre, quando udì un leggero bussare alla porta. Si asciugò il sudore che le imperlava il labbro superiore e nascose il fazzoletto nella manica. «Avanti.»

Annie Phillips restò timidamente sulla soglia.

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«Ebbene, entrate, Miss Phillips. C'è qualche problema?»

«No, signora. Nessun problema... non proprio. È solo che... ecco...» Tese la mano e mostrò un anellino di poco prezzo che sembrava d'oro con una pietra minuscola di vetro.

Clara si sentì mancare il cuore, la sua testa cominciò a pulsare. Annie era una delle sue migliori tagliatrici di vetro. Quello era il terzo fidanzamento che il suo dipartimento subiva in quel mese. E quando una ragazza si sposava, si fidanzava o, che il cielo non volesse, si metteva nei guai al di fuori del matrimonio, veniva immediatamente licenziata.

Mr. Tiffany poteva essere un eccellente datore di lavoro, dava alle sue ragazze la stessa paga degli uomini, spingendosi persino a dichiarare che erano tagliatrici e selezionatrici migliori dei loro colleghi maschi, ma su un punto si schierava dalla parte degli altri imprenditori e della legge. A nessuna donna sposata era permesso lavorare nei suoi laboratori.

Il che sembrava del tutto miope da parte sua e della legge. La maggior parte delle donne sposate, infatti, aveva ragioni maggiori per voler conservare il lavoro.

«E chi è questo giovanotto?»

«Jack Mills, signora. È rispettabile e appartiene a una famiglia di lavoratori.»

Il che con ogni probabilità significava che erano poveri in canna.

«Ed è così bello, Mrs. Driscoll!»

«Ah.» Quante volte Clara aveva ascoltato quel discorso nelle più diverse versioni? Quante ragazze erano andate via per rincorrere i loro sogni di matrimonio, di una casa e di una famiglia e non si era mai più saputo niente di loro?

Di solito lei cercava di dissuaderle: aveva imparato a proprie spese che la promessa di amore e sicurezza poteva tra-

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sformarsi in una cruda realtà. «E che cosa fa Mr. Mills per guadagnarsi da vivere?»

«È un carrettiere, Mrs. Driscoll. Nel quartiere dei negozi di vestiti, ma progetta di diventare direttore di qualcosa.»

Lo progettavano tutti, pensò Clara con poco entusiasmo. E di certo il giovanotto guadagnava meno della ragazza che ora le stava davanti, tutta speranzosa. Clara era soprattutto una donna pratica e, se usualmente condivideva la filosofia della Donna Nuova, comprendeva anche quanto fosse attraente la possibilità di scaricare tutte le proprie responsabilità su un paio di spalle più larghe. Dopotutto, lei per prima aveva fatto la stessa cosa.

«Ebbene, se siete certa che questa sia la decisione migliore per voi...»

«Oh, lo sono, Mrs. Driscoll. Lo sono.»

«In questo caso, dispiacerà a tutti vedervi andare via, ma vi auguriamo la più grande delle felicità.» Clara si alzò, ponendo così termine al colloquio con Annie Phillips e al suo impiego da Tiffany.

Le labbra di Annie cominciarono a tremare.

«Su, su» la confortò Clara, girando intorno alla scrivania. «Sollevate il mento. State per cominciare una nuova, meravigliosa avventura.» Perché lo aveva detto? Era sciocco pensare che quella ragazza avrebbe avuto qualcosa di più che un'esistenza di duro lavoro, di figli uno dietro l'altro, di sfinente fatica, mentre suo marito si faceva strada nel mondo... o forse no.

Dovevano essere il caldo e il mal di testa a renderla tanto pessimista. Non riteneva di essere una donna negativa, non sarebbe stata utile né a se stessa né agli altri.

«Le ragazze hanno visto il vostro anello?» Era una domanda superflua. Certo che lo avevano visto. A volte Clara aveva l'impressione che il laboratorio fosse come una stazione ferroviaria, un luogo temporaneo dove aspettare

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l'arrivo del treno successivo. S'incollò un sorriso rassicurante sulle labbra e accompagnò la giovane alla porta. Dopo averla guardata avvicinarsi in fretta alle altre ragazze, tornò a chiudersi nel proprio studio.

Si era appena seduta dietro la scrivania, che qualcuno bussò di nuovo. Clara gemette. No, per favore, non un'altra.

Luglio 1899

Pensione di Mrs. Bertolucci

Manhattan

Grace Griffith riuscì a rientrare appena in tempo per il coprifuoco delle undici. Mrs. Bertolucci stava davanti alla porta, le chiavi in mano, quando lei sgattaiolò all'interno.

«Uh!» esclamò Grace. «Temevo di dover entrare dalla finestra della cucina.»

Mrs. B., come le pensionanti la chiamavano, le rivolse un'occhiataccia. «È meglio per te che non fossi fuori a gozzovigliare con qualche giovanotto.»

«Sapete che non l'ho fatto» rispose Grace con sincerità.

«Che cosa è successo stasera?»

«Chi, semmai. Una donna di nome Emma Goldman. Parlava di controllo delle nascite, dell'amore libero e dell'emancipazione delle donne. Era magnetica.»

Mrs. B. si fece il segno della croce. «Quella donna. È una famigerata anarchica, causa guai ovunque va. Non lasciarti coinvolgere in quelle sciocchezze. Sono gente violenta, gli anarchici. L'ho visto io stessa al mio Paese. Oh, Dio mio.»

«Non lo farei mai» insistette Grace. «Però sono per il diritto di voto alle donne, per il dritto ad avere salari uguali a quelli degli uomini. Penso che le donne debbano mantenere il controllo delle loro proprietà senza essere prevari-

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cate dai loro mariti... ma Miss Goldman...» Scrollò le spalle. «Lei è un soggetto perfetto per una caricatura.»

Mrs. B. la interruppe con un gesto di entrambe le mani. «Forse, ma assicurati di non finire in situazioni che non puoi controllare.»

La sua veemenza sorprese Grace. «Lo prometto. Niente violenza per me. Io faccio ogni giorno le vetrate per le chiese.»

«E ti farai licenziare se ti addormenterai sul tuo vetro.»

«Non se prima trovo un marito» replicò allegramente Grace.

«Sei una ragazza graziosa, Grace. E intelligente, forse troppo. Magari un po' troppo alta per certi uomini, ma ne troverai uno sufficientemente ricco e alto.»

Grace aprì la bocca...

«Lo so. Non se devi lasciare il tuo lavoro, entrambi i tuoi lavori, ma mi preoccupo per te.»

«E io lo apprezzo, ma anche voi siete una donna moderna, Mrs. B. Un modello per tutte noi... anche se non lo riconoscerete mai.»

Mrs. B. avrebbe potuto risposarsi, dopo la morte del marito. Era stata una rispettabile vedova che aveva ricevuto in eredità una pensione situata in un quartiere grazioso e del tutto rispettabile. Ma non lo aveva fatto, nonostante le opportunità non le fossero mancate.

«Bah, la tua cena è nel forno, ma non lamentarti con me se la carne sarà dura come suola da scarpe.»

«Non lo farò. Siete un sogno, Mrs. B.» Grace si chinò e posò un bacio sulla guancia della corpulenta padrona di casa.

«Ora vai e spegni le luci in cucina quando hai fatto.»

«Lo farò, grazie.» Grace attraversò in fretta l'ingresso, sollevata e riconoscente. Era affamata e l'idea di dormire con lo stomaco vuoto e con quel caldo era sconsolante.

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Tolse con attenzione il piatto coperto dal forno caldo e lo posò sul tavolo. Quando rimosse il coperchio, inspirò il profumo paradisiaco. Braciole di maiale, patate arrosto e cavolo. Tirò fuori dalla sacca il quaderno dei disegni e, alternando matita e forchetta, le braciole e le patate scomparvero, mentre l'anarchica sobillatrice, Emma Goldman, diventava una caricatura riconoscibile. E anche ben fatta. Gli occhiali cerchiati d'oro, il naso prominente, un po' bulboso, i capelli che le stavano come un fungo sopra la fronte, il tutto esagerato sotto la matita di Grace. Non era certo un ritratto che abbelliva la donna, ma catturava bene il suo spirito e i lineamenti.

Si rilassò sulla sedia, soddisfatta. Ora ci voleva una sintetica didascalia e un giornale che comprasse il tutto.

Fino ad allora sarebbe andata ogni mattina a fare il suo altro lavoro di illustratrice. Era davvero ironico che i disegni su larga scala che realizzava dai piccoli acquerelli di finestre nei laboratori Tiffany fossero anch'essi chiamati illustrazioni. Immaginava che fosse perché si trattava di disegni al tratto. Ma non avrebbero potuto essere più diversi dalle altre illustrazioni che eseguiva.

Con i disegni delle finestre aiutava a portare arte e bellezza a molte persone, ma con le sue caricature politiche intendeva cambiare il mondo.

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Le ragazze di Tiffany SHELLEY

NOBLE

New York-Parigi, 1899 - Louis Comfort Tiffany sta progettando un'installazione unica all'Esposizione Universale di Parigi, la più grande della storia. Nel suo studio sulla Quarta Strada, la divisione femminile della Tiffany Glass Company lavora ai pezzi che lui spera lo incoroneranno miglior artista del vetro al mondo. Conosciute come le ragazze di Tiffany, queste donne sono responsabili di gran parte del design e della realizzazione delle straordinarie vetrate. Spinte dal desiderio di essere artiste in uno degli unici modi accettabili per le donne del loro tempo, supereranno le barriere sociali per se stesse e per le donne a venire.

Innocenza e seduzione ANNE STUART

Francia, 1765 - Nella Parigi degli aristocratici inglesi in esilio, il misterioso Francis Alistair St. Claire Dominic Charles Edward Rohan, Visconte Rohan, organizza e ospita le scatenate riunioni dell'Esercito Celeste, un'associazione segreta i cui membri perseguono lo sfogo sfrenato delle passioni più proibite. La febbrile ricerca del piacere nasconde, in realtà, la profonda insoddisfazione di Rohan, e quando il caso e il bisogno portano l'ingenua e squattrinata Elinor Harriman a partecipare a una delle sue feste, lui la considera una novità insolita e benvenuta. Ma a poco a poco la fanciulla lo coinvolge oltre ogni aspettativa, facendogli scoprire passioni e desideri che entrambi credevano ormai perduti per sempre.

La mossa della regina

LORRAINE HEATH

Londra, 1875 - Uno scandaloso libro scritto da un autore anonimo sta sollevando un bel polverone a Londra e tutti sono convinti che il malvagio Lord K, che ne è il protagonista, sia l'ammirato Conte di Knightly. Con il cuore spezzato per essere stata abbandonata da lui all'altare, Miss Regina Leyland ha cercato di ottenere vendetta rivelando il vero Knightly al mondo, ma non si sarebbe mai aspettata che questo avrebbe portato pericolosi nemici alla sua porta. E ora è costretta a fidarsi dell'unico uomo che ha il potere di distruggerla.

Giochi d'amore ANNE STUART

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Dal 14 novembre

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