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Lettera dell’Assistente Pastorale

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A.A. 2020/2021

A.A. 2020/2021

Dal diario di viaggio di un prete di mezza età...

Ricomincia l’anno accademico e, all’università, accanto ad attività pastorali varie, lezioni, seminari ed esami, ecco anche una nuova proposta di incontro, di riflessione, di preghiera, di amicizia: il collegio! Ma non il solito collegio, quel collegio che, dopo più di una dozzina di anni, era ormai diventata la tua casa, all’interno della quale ti muovevi con una certa disinvoltura nonostante la tua timidezza, facendola – per così dire – da padrone. Nossignore, quest’anno andrai a fare l’Assistente Pastorale al Collegio San Damiano... boom! Silenzio. “Che cosa potrò mai fare io per questi giovani?” era la domanda che più ricorreva in quel momento nella mia mente, ma soprattutto nel mio cuore. Ogni tanto con qualcuno di loro era nata un’amicizia, pensavo, magari durata il tempo di un corso di Teologia, o che forse continua. “Ma tutti gli altri?” Si, di vista più o meno li conosco, sempre alle prese con i libri o impegnati sull’iphone, mentre sono seduti nell’agorà del polo. Spesso mi sono domandato, al di là del loro volto, quali desideri albergassero nel loro cuore. Certamente di avere una ragazza, o il desiderio di trovarla in un futuro non molto lontano. Molte speranze per la carriera lavorativa. La verità è che durante questi due anni trascorsi insieme a loro mi sono sentito spesso un analfabeta; forse perché ho preteso di dare delle risposte prima ancora di aver compreso le domande. Altre volte perché ho avuto la supponenza tipica di chi giudica e crede di aver già capito che, in realtà, loro non si pongono domande. Presto, con loro e grazie a loro, ho capito che queste sono semplicemente delle difese. In verità loro mi mettono ogni santo giorno in discussione; spesso sono il prototipo di ragazzi che hanno deciso di progettare la loro vita a prescindere dal Vangelo. O forse, semplicemente, vivono la loro fragile appartenenza alla Chiesa nei propri oratori, nelle proprie parrocchie di provenienza. Da diversi anni, come prete che desidera prendersi cura degli studenti universitari, tento varie strade per avvicinarmi loro, non certo con l’intento di indottrinarli, ma semplicemente per invitarli a continuare ad interrogare il Vangelo, partendo dalla loro condizione di giovani, per sperimentare di persona se Gesù Cristo può essere ancora significativo per loro e per la loro vita. Sinceramente ho sempre cercato di non chiudere la porta a nessuno; solo mi fanno un po’ paura solo quei giovani che si rifugiano in devozionalismi allucinati che, se da un lato aiutano a vivere lo smarrimento, dall’altro distolgono dalla bellezza della vita reale. Offro amicizia a quelli che sono in ricerca... o almeno ci provo. Propongo attività non nazional-popolari. Non ho un pulpito dal quale predicare e dare avvisi. Ogni anno i miei “parrocchiani” cambiano, così come cambia la popolazione universitaria. Sono e mi sento un nomade, come loro, sempre in viaggio... sempre in cammino. Vivo nella speranza che gli universitari vogliano imparare una professione, farsi una cultura, ma anche diventare uomini e donne in grado di progettare la vita, magari cercando – come dicevo sopra – di capire se il Vangelo può ancora parlare loro in modo concreto. È questa la speranza che porto nel cuore, che mi fa ogni giorno mendicante, desideroso della loro presenza... e ogni anno ricomincio!

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