Come essere felici

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L’ARTE DI PRENDERSI CURA DI SÉ

RAFFAELE L’ARTE DI PRENDERSI MORELLI CURA DI SÉ

RAFFAELE MORELLI

COME ESSERE FELICI RAFFAELE MORELLI

Edizioni Riza - Via Luigi Anelli, 1 - 20122 Milano - www.riza.it

RIZA

Siamo abituati a pensare che la nostra felicità dipenda da qualcosa di esterno: dalla fortuna, dal denaro, dal successo, dall’amore. Un’altra convinzione comune è che la felicità sia una meta: sarò felice quando lui mi amerà, quando farò carriera, quando comprerò casa... Chi ragiona così, non sarà mai davvero felice e trasformerà la sua vita in un affannoso e vano inseguimento di una chimera irraggiungibile. La felicità non si ottiene dall’esterno, ma è uno stato naturale del cervello; sgorga spontaneamente se non disturbiamo il processo interno che la crea in ogni istante. Non è un’ipotesi per un futuro lontano, ma può arrivare solo ora, nell’istante che sto vivendo. La vera gioia è figlia della novità, dello stupore, delle cose inaspettate che ci accadono e che dobbiamo saper cogliere con occhio pronto.

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Un traguardo alla portata di tutti

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Come essere felici Riedizione dagli Oscar Bestsellers Mondadori Grafica di copertina: Roberta Marcante © 2019 Edizioni Riza S.p.A. via Luigi Anelli, 1 - 20122 Milano - www.riza.it Tutti i diritti riservati. Questo libro è protetto da copyright ©. Nessuna parte di esso può essere riprodotta, contenuta in un sistema di recupero o trasmessa in ogni forma e con ogni mezzo elettronico, meccanico, di fotocopia, incisione o altrimenti senza il permesso scritto dell’editore.

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Indice parte prima

COS’È LA FELICITà........................................................ 7 • I nemici.......................................................................12 • Gli alleati.....................................................................30 • Gli esercizi pratici.........................................................52 parte seconda

COME AMARE ED ESSERE AMATI............................... 65 • • • • •

Dall’innamoramento all’amore.......................................73 Le domande e i lamenti che uccidono una storia.............82 Trovare la persona giusta..............................................91 L’importanza di una buona sessualità........................... 101 La coppia e la libertà.................................................. 108

parte terza

COME AFFRONTARE LO STRESS............................... 117 • • • • •

l tira e molla dell’anima.............................................. 120 Dalla tensione alle malattie......................................... 127 Non ci stressa l’azione ma la resistenza....................... 134 Gli errori e le soluzioni................................................ 143 Quando si arriva al punto di rottura.............................. 153

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parte prima

Cos’è la felicità

S

iamo felici? Diciamo la verità, non è una domanda che ci facciamo volentieri. Siamo così indaffarati nelle cose della vita, tra impegni, corse, doveri da assolvere e obiettivi da raggiungere che “ci manca il tempo”. In realtà temiamo, ponendoci seriamente questa do­manda, di trovarci di fronte a una risposta non troppo… “felice”! Provate invece a chiudere gli occhi un istante e a pensare: “Qual è l’ultima volta che sono stato davvero felice?”. Non vi voglio dire: quando vi siete divertiti per una battuta di un film o per una risata con gli amici. La felicità di cui voglio parlarvi è quel guardare sereno la propria vita e sentire che non manca nulla. Osservare serenamente come uno spettatore e poter dire: che cose meravigliose, perfette, quelle che vivo. Tutte, nessuna esclusa. 7

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Ora voi scuotete la testa pensando: “È impossibile! Questo è un sogno davvero irrealizzabile. Non dipende da noi. Non è per noi”. Se nella vostra mente si sono affacciati questi pensieri, sappiate che è la nostra cultura ad averci abituato a ritenerli normali, a giudicarli “pensieri di buon senso”. La nostra cultura ha scambiato la felicità con il divertimento, con le piccole gioie che derivano dal possesso o dall’essere apprezzati dagli altri, con l’orgoglio di poter dire: «Io sono questo o quest’altro». Spaccia per felicità ciò che felicità non è, un sottoprodotto, in fondo solo uno scarto. E con questo sottoprodotto occupa gran parte del nostro tempo e delle nostre aspirazioni. Ma non è tutto. La nostra cultura ha fatto anche di peggio. Non solo ci ha convinti che la felicità sia un continuo stato di sovraeccitazione divertita e un po’ sciocca, l’assoluta negazione del dolore, ma ci ha messo in testa che possiamo raggiungere questo risultato solo rivolgendoci fuori di noi. In questo modo ci costringiamo a un’interminabile attività di caccia e conquista: comprando oggetti, aderendo a ruoli prestabiliti, riempiendoci la testa di ideologie preconfezionate da esibire al momento giusto. Per questo, quando diventiamo adulti, abbandoniamo quelle che definiamo “illusioni giovanili” e diciamo: «Non si può essere sempre felici, nella vita ci sono anche sofferenze, delusioni e i sogni spesso non si realizzano». E ci sembra di dire una cosa sensata. Spesso ci convinciamo che la vita sia una partita un po’ truccata e che il nostro destino sia malinconicamente segnato: scivoliamo nella convinzione fatalistica che la felicità 8

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Parte prima

sia una chimera. E sorridiamo dei filosofi dell’antichità, per i quali esistenza e ricerca della felicità erano sinonimi. Noi, diciamo, siamo più saggi di loro. Ma che buon senso è quello per cui il compito dell’uomo sulla Terra sarebbe di barcamenarsi alla ricerca del vestito più alla moda, dell’opinione più adeguata, del ruolo sociale più rispettato? È forse di buon senso sostenere che le donne e gli uomini non sono fatti per la felicità ma, al massimo, per ottenere, a prezzo di grandi sforzi, qualche piccola gioia, talmente piccola da essere poi irrilevante di fronte alla vastità e all’indifferenza dell’universo? Così ragioniamo come se un dio maligno ci avesse gettato qui sulla Terra e condannati a un destino senza significato e senza vera felicità. Niente di strano se, in fondo a noi stessi, ci sentiamo infelici. Come potrebbe essere diversamente? La cultura in cui cresciamo ci rende dipendenti dalle cose di cui ci circondiamo e dalle idee a cui ci conformiamo. Inseguiamo gli oggetti come se potessimo esserne i padroni; in realtà sono loro a possederci. E noi non siamo mai veramente appagati, nemmeno quando finalmente li conquistiamo, quando quell’automobile, quella carriera, quel modello di vita sono diventati nostri. È questa l’infelicità che la nostra cultura ha prodotto.

Non deviare il fiume

Come è successo tutto questo? Da cosa ci siamo allontanati così tanto da non essere più in grado di vedere le cose se non attraverso uno schermo di rassegnata malinconia? 9

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Abbiamo separato noi stessi dal grande fiume della vita, che non sa nulla di bene e male, gioia e dolore, dei nostri fini e delle idee della nostra mente. In cui tutto semplicemente sboccia, cresce e tramonta in modo del tutto naturale. Noi invece giudichiamo con un metro piccolissimo, con una razionalità che non sa vedere il profondo. Pensiamo per schemi preconfezionati, e ci immaginiamo che la felicità consista nel fuggire il dolore e nel cercare la gioia, come se queste emozioni fossero di natura opposta. Riteniamo che realizzare noi stessi significhi inseguire i nostri sogni vuoti, che nulla hanno a che vedere con la Vita che portiamo in noi. Noi, che siamo il frutto di millenni di evoluzione, ci riduciamo a pensare che la nostra felicità coincida con il raggiungimento di piccoli obiettivi, scarti superficiali del nostro tempo, che stanno solo nella nostra testa. Se vogliamo trovare la via della vera felicità, che non è una via difficile né faticosa, dobbiamo prima di tutto fare il contrario di ciò a cui siamo abituati: dobbiamo svuotarci. Svuotare la mente di tutte le cose che ci abbiamo infilato dentro e che ci impediscono di fare la cosa più semplice: vivere secondo la nostra natura. Si chiede forse un fiore, o un animale, quali obiettivi porsi, quali ruoli assolvere, quali comportamenti è meglio avere? No, semplicemente la pianta diventa ciò che il suo progetto profondo, contenuto nel seme, aveva pronto per lei. Diventa stelo e fiore. Senza elucubrazioni, senza teorizzazioni, senza dubbi, sensi di colpa o ambizioni. Perché noi non siamo più capaci di fare la cosa più semplice di tutte? Dov’è la nostra superio10

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Parte prima

rità, in cosa siamo, allora, più intelligenti di un fiore o di un animale? Comincia a farsi strada una verità profonda: la vera felicità non è uno stato isterico di continua allegria, ma è la realizzazione del nostro progetto più profondo, il progetto che la Vita ha per noi. Non c’è niente di complicato o misterioso in queste parole. Non più dello sbocciare di un fiore o del crescere dei nostri capelli. La vera felicità, allora, non ha nulla a che vedere con ciò che sta attorno a noi, non dipende da ciò che abbiamo o da come siamo, dalla nostra forza o debolezza, dal fatto di aver capito o non capito qualcosa, dall’avere vissuto più gioie o più dolori. La felicità dipende solo da noi stessi. Da come sappiamo osservarci senza giudicare, da come lasciamo che la Vita, tutta la Vita in tutte le sue forme - che noi scioccamente dividiamo in buone e cattive - può scorrere in noi. Coi nostri giudizi, noi permettiamo o impediamo alla Vita di sgorgare. La deviamo, la costringiamo, la mortifichiamo, la spegniamo. E ci condanniamo così all’insensatezza e all’infelicità. E alle malattie, che sono il segno più chiaro ed evidente, se non fossimo ciechi, di tutte le dighe che costruiamo di fronte al fiume dell’energia vitale. Felicità è osservare serenamente la Vita mentre incessantemente ci forma e ci crea. Osservare i dolori e lasciarli venire, la tristezza e lasciarla venire, la gioia e lasciarla venire. Allargare lo sguardo, cedere alla Vita. Solo così, nella consapevolezza, diventiamo davvero donne e uomini, e smettiamo di recitare come burattini. 11

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I nemici «Proporsi l’ideale di ottenere il bene senza il male è come cercare di evitare la sinistra volgendosi costantemente a destra. Si è costretti a girare in un cerchio». A.W. Watts Come accennato nel primo capitolo, la nostra cultura ha della felicità un’idea unilaterale e sbagliata. La felicità è intesa come assenza di dolore e come appagamento. Pensiamo che essere felici significhi da una parte aver allontanato tutte le occasioni di sofferenza, di paura e di tristezza, dall’altra aver realizzato tutti i propri sogni. Questa idea, come abbiamo visto, dà un’importanza smisurata a tutto ciò che sta fuori di noi, e non considera per nulla noi stessi. Dolori e sofferenze, in questa falsa prospettiva, dipendono da chi o cosa fuori di noi ci può colpire o fare del male, da cui dovremo quindi difenderci e proteggerci. E la felicità deriva da ciò che gli altri penseranno di noi, dal fatto che non ci facciano mai mancare il loro sostegno, appoggio, considerazione, la loro amicizia o il loro affetto, la loro stima. Più di ogni altra cosa temiamo la solitudine: essa è il segno del nostro fallimento, la testimonianza che gli altri non ci hanno apprezzato, che non siamo importanti per loro. Solitudine e vuoto sono le due cose che ci terrorizzano maggiormente. E di fronte a questi due fantasmi siamo pronti a tutto. Siamo pronti ad aderire a ruoli che esistevano prima di noi, a cui noi accettiamo di conformarci: la brava 12

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Parte prima

moglie, il serio professionista, il buon amico. Si tratta di vestiti che indossiamo e grazie ai quali siamo certi che gli altri potranno riconoscerci. Vestiti che, nelle nostre intenzioni, ci salvano dal terrore di essere invisibili, trasparenti agli occhi altrui. Ma troppo spesso, questi ruoli non rispecchiano affatto i nostri veri talenti. È, per esempio, il caso di Marina, giovane, laureata in lettere, giornalista alle prime armi, carattere fin troppo serio. Incontra Aldo, avvocato già affermato in uno studio. La parabola della sua vita a questo punto è emblematica: spinta da lui e dall’educazione ricevuta dai genitori, per cui una donna non è realizzata se non diventa madre, Marina accetta di buon grado di abbandonare la professione, si sposa e mette al mondo due bellissimi gemelli. E iniziano i conflitti interiori. Il ruolo di madre a tempo pieno non le si addice per nulla, lo sente “stretto”, ma si colpevolizza di continuo per questi suoi sentimenti. Non ne parla, ma in breve, mascherato da depressione postpartum, il male oscuro si impossessa di lei. Dovranno trascorrere alcuni anni, e un passaggio in psicoterapia, perché finalmente la giovane madre capisca che i suoi desideri non fanno di lei un mostro, che amare non vuol dire sacrificio. Per scacciare la noia, il vuoto, il senso di sconcerto di fronte a una vita di cui non capiamo più il significato, siamo disposti a riempire la mente di divertimenti di tutti i tipi. Ci “svaghiamo”, accendiamo la televisione e ce ne nutriamo avidamente. A volte l’idea del programma che ci aspetta in tv la sera, o della gita con gli 13

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amici nel weekend, o dello spettacolo alla moda che ci darà da discutere per giorni, è sufficiente per sedare tutto il nostro malessere. Li consideriamo una meta e segretamente viviamo per essi. Come distinguere allora una passione genuina, la coltivazione di un proprio talento, dal divertimento usato come tappabuchi esistenziale? È semplice: la vera passione non svuota di energie, ma ricarica. Non ci lascia malinconici, ma rilancia la nostra tensione vitale. Non è una narcosi, ma una scarica di vita. Ci costruiamo una corazza di abitudini: orari fissi, appuntamenti stabiliti con le cose che ci fanno piacere (al martedì gli amici, al giovedì quel programma in tv, al mattino il caffè in quel bar, sempre quello, in estate le vacanze tanto attese nel posto sicuro). Percorsi scavati in cui ci muoviamo come in una trincea, senza il rischio di deviazioni. E crediamo che questo ci renda felici, tanto che siamo terrorizzati quando un imprevisto ci scombina i piani. Come Carlo, impiegato in una grande azienda, che cade nel panico quando una promozione lo costringe a passare dal suo lavoro di ufficio sedentario a continue trasferte in giro per le filiali. Non ci dorme per due settimane, afflitto dall’ansia per tutte le abitudini che deve abbandonare. Ansia che svanisce già al primo viaggio, quando, con sua sorpresa, scopre che amerà moltissimo queste trasferte avventurose, che si sveglia al mattino felice di saltare giù dal letto come non gli succedeva da anni, e che si è letteralmente dimenticato di tutte le abitudini che prima gli parevano così importanti. 14

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Parte prima

Noi tutti, poi, ci diamo obiettivi a lungo termine, che chiamiamo “i nostri sogni”. Diventare un professionista affermato, fare carriera nel nostro campo, comprare una bella casa o una bella auto, fare un bel matrimonio. E tutto secondo tappe e tempi predeterminati. Perché fare carriera è importante, ma occorre farla già da giovane, altrimenti ci si sente umiliati di fronte a chi si è affermato prima e meglio. Trovare il partner giusto per metter su famiglia è fondamentale, ma non deve succedere troppo presto, per non interferire col lavoro, né troppo tardi, per non sembrare una persona che non ha saputo costruire niente nella vita. E ci sentiamo in colpa se qualcosa va storto. Ci sentiamo sbagliati se non abbiamo trovato il partner giusto, se abbiamo cambiato dieci lavori senza adattarci a nessuno, o se ci viene voglia di ricominciare quando gli altri sono già “adulti” e sistemati. Tra l’opinione del mondo e il nostro modo d’essere, scegliamo il mondo. Perché crediamo che la felicità possa venire solo da quella direzione. Ci allontanano dalla felicità • I ruoli Ci adeguiamo a un destino che non ci riguarda • I falsi divertimenti Servono per allontanare la mente da noi stessi • Le abitudini Le usiamo come corazza contro la vita • Gli obiettivi Ci distolgono dal presente 15

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Dove sta l’errore?

In sostanza, noi continuiamo a riempire la nostra mente e la nostra vita di idee e di comportamenti allo scopo di allontanare il senso di vuoto e la paura del fallimento. Ma è un compito sciocco e impossibile: nessun obiettivo, anche una volta raggiunto, ci rende davvero felici. Anzi, è proprio alla fine della corsa, sia nella vittoria che nella sconfitta, che sentiamo maggiormente il vuoto. Abbiamo finalmente raggiunto la nostra meta, ma non accade nulla di ciò che pensavamo. Non ci sentiamo migliori, né appagati, e le cose non ci appaiono affatto più chiare. Tutt’altro. Ma a quel punto non possiamo fermarci, né tornare indietro, dobbiamo ripartire, darci nuove mete, in un percorso pieno di rischi. Cosa ci accade, infatti, vivendo così? Cosa diventiamo perseguendo questi obiettivi? Noi sappiamo oggi che il nostro cervello diventa ciò con cui lo nutriamo. E se lo nutriamo di sostanze “poco nutrienti” o, peggio, di spazzatura, esso diventa spazzatura. E fa diventare noi spazzatura! Il cervello è ciò che incessantemente ci ricrea, trasformando in corpo, attraverso i mediatori chimici e gli ormoni, i nostri stati interiori e le nostre relazioni col mondo. Risultato: se noi perseguiamo una falsa felicità, diventiamo falsi, i fantasmi di noi stessi. La nostra vita si svolge qui, ora. Se noi rimandiamo la felicità a quando avremo risolto i nostri problemi o realizzato i nostri obiettivi, il meglio che ci può capitare è che rinunciamo a vivere. Rinunciamo al presente, il che significa rinunciare a godere di ciò che realmente accade. Diventiamo una 16

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funzione del nostro obiettivo, una macchina, e vivremo solo “in funzione di” qualcosa. Chiediamoci: anche se il nostro obiettivo ci pare fondamentale, vale la nostra esistenza? Se rimandiamo la vita a “quando saremo pronti”, noi ci fissiamo a cose che non esistono (gli obiettivi futuri), mutevoli e indipendenti da noi (i ruoli, le opinioni altrui), o addirittura morte (il nostro passato, ciò che secondo noi ci ha fatto essere così). Tutte queste cose ci rapiscono dal posto in cui siamo e da noi stessi. Ci rubano la vita, fingendo di riempirla. Ci sentiamo “qualcosa” solo “per qualcosa”. C’è forse da stupirsi se, appena ci fermiamo un istante, ci sentiamo vuoti e senza senso?

I comportamenti sbagliati

Quante volte, ripensando a un nostro comportamento o a una cosa che ci è accaduta, abbiamo la deprimente sensazione che la nostra tensione vitale vada esattamente dalla parte opposta rispetto alla felicità? E ci sorprendiamo a pensare: “Ma perché reagisco sempre così? Ma perché faccio sempre in quel modo stupido, anche se so che poi ne soffrirò?”. Spesso, però, questa consapevolezza dei nostri errori non compare nemmeno. Sono tutti i casi in cui il nostro atteggiamento “normale”, il modo di vivere che riteniamo “giusto”, apre vere e proprie trappole sotto i nostri piedi. Stili di vita radicati in noi dall’educazione, dalla vita familiare o dalle molteplici esperienze che abbiamo passato e diventate una nostra seconda pelle, il nostro modo di vedere le cose. Diciamo: «Sono 17

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