Valsugana News n. 6/2018 Luglio

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Adì 12 luglio 1636 in Levego, a ore 8, la matina un dì de Sabato. Fu scoperto il mal contagio…

L’EPIDEMIA DI PESTE A LEVICO NEL 1636

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ante sono le epidemie di peste che nei secoli hanno colpito l’Europa, l’Italia e il nostro Trentino. Guerre e carestie, con conseguente aumento della povertà e peggioramento delle condizioni igieniche, portavano all’aumento dei topi. Le pulci dei ratti sono il veicolo del morbo, che facilmente si trasmette all’uomo dando così l’avvio al contagio. La Valsugana, valle di commercio e transito tra il Veneto e il nord Italia, spesso venne contagiata in modo importante. Già nel 1575 la peste flagellò, oltre che la Valle dell’Adige, anche la Valsugana. Questa rimase bloccata, verso il Veneto, fin quasi a Natale mentre altre zone del Trentino, proprio grazie ai posti di blocco, si salvarono dall’epidemia. Gli ammalati, in quell’occasione, vennero curati nel lazzaretto di S. Valentino dal medico milanese Lauro Visconti.

Notizie della peste di Levico nel 1636

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ALSUGANA NEWS

Successivamente, la Valsugana e Levico rimasero indenni dall’epidemia del 1630, che decimò invece Trento e altre valli. Come ringraziamento, la comunità levicense inviò a Loreto una statua d’argento tramite fra’ Tommaso, che viveva eremita a San Biagio. E al Santuario di Loreto fece visita anche Orlando Tonelli insieme ad altri 16 compaesani nell’anno 1638, cioè due anni dopo la terribile pestilenza che sterminò quasi metà della popolazione di Levico. Nel racconto dello stesso Tonelli, si legge che il 12 luglio 1636 alcune persone che si trovavano in montagna a dividere il burro e il formaggio, rientrarono denunciando la morte di un tal Giacomelli. Il medico del paese, don Antonio Avancini, si recò subito a verificare di cosa si trattasse. Quel giorno morirono quattro persone, i provveditori alla sanità decretarono che si trattava di peste e furono isolate le case dei presunti contagiati. Passarono otto giorni senza decessi e in quel lasso di tempo furono allestiti un lazzaretto per i malati nella Valle e per i sani in quarantena ai Parestelli. Secondo il medico Avancini non c’era di che preoccuparsi e così, la domenica seguente, tutti parteciparono alla Messa mescolandosi e dando l’avvio all’epidemia. Dopo una riunione della Regola, venne predisposto un altro lazzaretto a Santa Giuliana. Là furono create fosse comuni per i cadaveri, oltre che alla chiesa di Santa Maria della Crocetta (attuale Madonna del Pezzo), all’ospedale, nel “brolo” della famiglia Antoniolli e perfino a S. Biagio. Circa alla fine di lu-

 di Sabrina Mottes

glio, a peggiorare la situazione già grave di quell’estate, una tremenda tempesta distrusse tutto il grano e divamparono alcuni incendi in camini e case. Ogni giorno, il morbo uccideva in media 7 persone. Ma in alcuni giorni si arrivò fino ad 11 e un giorno perfino a 20. Due erano, a quei tempi, i modi per accertare che la morte non fosse apparente: la prima era toccare il cadavere con un’asta arroventata; la seconda, rimasta in voga fino agli inizi del Novecento, prevedeva che il presunto morto venisse pizzicato in tempi diversi e zone particolari del corpo per testarne eventuali reazioni. La persona che eseguiva questa sequenza e dichiarava dunque il decesso, prendeva il nome di picigamorto o pizigamorto, da cui il termine beccamorto per definire i becchini. Alla fine dell’epidemia di Levico, si contarono più di 600 morti, cioè poco meno della metà della popolazione del paese. Secondo il Tonelli, perirono 307 donne e bambine e 355 uomini e bambini, tra i quali sua madre, suo padre e due sorelle. I moribondi in tempo di peste, non sapendo come trasmettere le loro ultime volontà, spesso gridavano i testamenti da finestre e balconi verso la strada, dove venivano raccolti e trascritti dal notaio e dai testimoni. Frequentemente, una parte dei lasciti era destinata alle parrocchie o a Messe in suffragio dell’anima dei donatori. Così fece Battista Toson figlio del signor Tosoni, che gridò le sue volontà dalla finestra di casa in contrada delli Tosoni, disponendo lasciti destinati alle chiese della zona e a riti di suffragio nell’anniversario


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