Feltrino News n. 12/2021 Dicembre

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N° 12 - Dicembre 2021 - Supplemento del periodico Valsugana News

www.feltrinonews.com

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Arrivederci al 2022 di Armando Munaò

A tutti Voi, un grazie di cuore e i migliori Auguri di Buon Natale e Felicissimo Anno Nuovo

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con questo numero di dicembre si sono conclusi i primi quindici mesi della nostra avventura giornalistica. E credetemi, di questa particolare esperienza, sono veramente contento e fiero. Contento per il continuo consenso e i graditi riconoscimenti che Voi, affezionati lettori, continuamente ci avete indirizzato gratificando il nostro lavoro e il nostro impegno. Contento per il riconoscimento che puntualmente è arrivato da parte degli inserzionisti che mensilmente hanno utilizzato le pagine di FELTRINO NEWS per i loro messaggi pubblicitari e d'immagine. Sin dal primo numero ci hanno seguiti, dapprima con curiosità e poi, vogliamo e ci piace crederlo, con grande interesse, supportando e sostenendo, con le loro inserzioni, la nostra iniziativa e contribuendo, di fatto, a far crescere e migliorare, nei contenuti e nella grafica il nostro periodico. E contento perché in soli quindici mesi, permettetemi di sottolinearlo con una punta di orgoglio e di vera soddisfazione, FELTRINO NEWS è riuscito a farsi apprezzare non solo per gli articoli, e i suoi contenuti, ma anche per la piacevole impaginazione e grafica. Il fiero, invece, lo rivolgo ai miei validi, validissimi, collaboratori perchè non solo sono bravi come pochi, non solo riescono a scrivere con una semplicità di parole comprensibile a tutti, ma soprattutto sono preparati e competenti nel loro modo di fare informazione, opinione e cultura. Senza di loro, senza il loro qualificato apporto, senza i loro mirati e appropriati consigli e suggerimenti giornalistici, FELTRINO NEWS avrebbe fatto poca, pochissima strada. Sono

stati e sono “Loro” l'essenza e il motore propulsivo del giornale. Sono stati “Loro” che con i molteplici articoli, tra cronaca, storia, tradizione e quotidianità, sono riusciti ad attirare l'interesse e l’attenzione dei lettori e coinvolgerli sempre di più. E sono sempre loro che con fattiva collaborazione hanno reso, rendono e renderanno facile e semplice il mio compito di direttore. E tra questi permettetemi di citare Waimer Perinelli, insostituibile condirettore, Alessandro Paleari, responsabile dell'ufficio grafico e Gianni Bertelle di quello della pubblicità. E un particolare grazie all’editore Enrico Coser, agli stampatori e a tutto il personale di Grafiche Futura e a chi, mensilmente, si è incaricato della distribuzione di FELTRINO NEWS. E un sentito ringraziamento a tutte le aziende, negozi e ditte che mensilmente ci hanno permesso il posizionamento del nostro giornale affinchè i lettori potessero prelevarlo. A tutti Voi, con un arrivederci al prossimo anno, la mia gratitudine e gli attestati più sinceri della mia stima.

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Auguri di buone Feste

Da oltre 100 anni, siamo davvero vicini alle persone, alle imprese ed alle associazioni del territorio.

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Sommario DIRETTORE RESPONSABILE Prof. Armando Munaò - 333 2815103 direttore.feltrinonews@gmail.com CONDIRETTORE dott. Walter Waimer Perinelli - 335 128 9186 email: wperinelli@virgilio.it REDAZIONE E COLLABORATORI dott.ssa Katia Cont (Cultura, arte, cinema e teatro) dott.ssa Elisa Corni (Turismo, storia e tradizioni). dott. Emanuele Paccher (politica, economia e società) Laura Paleari (moda e costume) - dott.ssa Laura Fratini (Psicologa) Veronica Gianello (Storia, arte,cultura e tradizioni) dott.ssa Alice Vettorata - dott.ssa Francesca Gottardi (Esteri- USA) dott.ssa Laura Mansini (Cultura, arte, tradizioni,attualità) dott. Nicola Maschio (attualità, politica, inchieste) Paolo Rossetti (Attualità, inchieste) - Patrizia Rapposelli (attualità, cronaca) dott.ssa Alice Rovati (Responsabile Altroconsumo) dott. ssa Chiara Paoli (storica dell’arte - ed. museale -cultura e tradizioni) Francesco Zadra (Attualità) - dott. Zeno Perinelli (Avvocato) dott.ssa Laura Mansini (Cultura, arte, attualità) Ing. Grazioso Piazza - dott. Franco Zadra (politica, attualità) dott.ssa Monica Argenta - dott.ssa Erica Zanghellini (Psicologa) dott. Casna Andrea (Storia, cultura, tradizioni) Caterina Michieletto (storia, arte, cultura) Alessandro Caldera (sport e cronaca) dott.ssa Daniela Zangrando (arte, storia e cultura) Alex De Boni (attualità e politica) - dott.ssa Erica Vicentini (avvocato) CONSULENZA MEDICO - SCIENTIFICA dott. Francesco D’Onghia - dott. Alfonso Piazza dott. Marco Rigo . dott. Giovanni D’Onghia RESPONSABILE PUBBLICITÀ: Gianni Bertelle Cell. 340 302 0423 - email: gianni.bertelle@gmail.com IMPAGINAZIONE E GRAFICA : Punto e Linea di Alessandro Paleari - Fonzaso (BL) Cell. 347 277 0162 - email: alexpl@libero.it

Dicembre 2021

L’editoriale: arrivederci al 2022

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I cantanti che scaldano i cuori

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Sommario

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Economia & Finanza: cos’è lo Spread

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Fatti & Misfatti: la legge ZAN

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Tra passato e presente: Josephine Baker

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Economia & Finanza: basta contante

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Una strada fra Veneto e Trentino

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Il Parlamento italiano: bilancio di un anno

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Società oggi. Nasce “OLTRE GLI OSTACOLI”

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Alla scoperta della legge di bilancio

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Il personaggio: Ferruccio Lamborghini 66

In filigrana: montagne di soldi e di debito

16

Le donne del passato: Rosalba Carriera

Società oggi: il tesoretto dell’infanzia

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La legge e il cittadino: le sostanza dopanti 71

Ridateci Gesù bambino

20

Francesco Petrarca, il poeta che cantò l’amore

75

Dio e Noi…una sola cosa

22

Il cinema allo specchio: lo squid game

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Il senso religioso

24

Medicina & Salute: il freddo d’inverno

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Antichi mestieri: pendolari alla ricerca dell’erba 27

Medicina & Salute: stai attenta che prende il vizio 84

La Palestina e la guerra infinita

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Leggende natalizie: la befana

87

Ieri avvenne: i martiri giapponesi

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Un lungo inverno in montagna

88

Paesi e citta: il Duomo di Feltre

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Tradizioni natalizie: Natale nel mondo

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Non solo animali: un bue e un asinello

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Un dono di Natale alla natura

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In ricordo di Raffaella Carrà

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Una storia dimenticata: apriamo i regali

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A parere mio: il caro prezzo sotto l’albero

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Le tradizioni natalizie: l’albero di Natale

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Il turismo genealogico nel bellunese

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Le tradizioni natalizie : la leggenda del vischio

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A parere mio: il mondo che non c’è

47

I segni dello Zodiaco: il Capricorno

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Umana-mente: Shamsia Hassani

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Le Costellazioni: il Capricorno

99

Lo stemma della nostra Repubblica

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Le ricette di Natale e feste varie

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Il nuovo codice della strada

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Le Funivie Lagorai al Passo Brocon 52 Il personaggio: Freddie Mercury

EDITORE E STAMPA GRAFICHE FUTURA SRL- Via Della Cooperazione, 33- MATTARELLO (TN) FELTRINO NEWS Supplemento al numero di Dicembre di VALSUGANA NEWS Valsugana News – Registrazione del Tribunale di Trento: n° 5 del 16/04/2015. COPYRIGHT - Tutti i diritti riservati Tutti i testi, articoli, intervista, fotografie, disegni, pubblicità e quant’altro pubblicato su FELTRINO NEWS, sono coperti da copyright GRAFICHE FUTURA srl - PUNTO E LINEA, quindi, senza l’autorizzazione scritta del Direttore Responsabile o dell’Editore, è vietata la riproduzione e la pubblicazione, sia parziale che totale, su qualsiasi supporto o forma. Gli inserzionisti che volessero usufruire delle loro inserzioni pubblicitarie, per altri giornali o pubblicazioni, posso farlo richiedendo l’autorizzazione al Direttore Responsabile o all’editore. Quanto sopra specificato non riguarda gli inserzionisti che utilizzando propri studi o agenzie grafiche, hanno prodotto in proprio le loro grafiche e quindi fatto pervenire alla redazione o all’ufficio grafico di FELTRINO NEWS, le loro pubblicità, le loro immagini, i loro testi o articoli. Per quanto sopra GRAFICHE FUTURA srl, si riserva il diritto di adire le vie legali per tutelare, nelle opportune sedi, i propri interessi e la propria immagine.

Fatti & Misfatti LA LEGGE ZAN Pagina 7

Promuovere crescita è stato il volano del nostro 2020. Siamo felici di affermare la riuscita del nostro intento.

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Paesi e città IL DUOMO DI FELTRE Pagina 34

Il personaggio FERRUCCIO LAMBORGHINI Pagina 66

Un team determinato che guarda al

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Fatti e Misfatti di Armando Munaò

Il Disegno di legge ZAN Un percorso travagliato Dieci articoli che, nelle intenzioni dei proponenti, avrebbero dovuto "aggiornare" la legge Mancino contro i reati di razzismo estendendo le pene anche a chi istiga alla violenza omofobica. Dopo l'approvazione alla Camera, il ddl Zan si è arenato al Senato. Alcuni articoli di questo decreto legge, sin dalla sua prima comparsa, hanno, infatti, trovato una forte, fortissima, opposizione e pareri contrastanti, specialmente il 1° sull’identità di genere, il 4° sulla libertà di opinione e il 7° sull’istituzione della giornata contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la tran­sfobia perché avrebbe coinvolto le scuole di ogni ordine e grado, quindi anche le elementari e medie. Il Centrodestra, la Lega e Forza Italia, con l’aggiunta poi di Italia Viva, avevano espresso serie perplessità e motivate critiche sugli articoli sopra citati tant’è che avevano presentato o chiesto modifiche, secondo loro, costruttive e migliorative al testo iniziale. Modifiche che non sono state accettate dal PD e dai 5 Stelle e che, di fatto, hanno motivato la bocciatura di una legge, da molti definita di “civiltà”.

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l 27 ottobre 2021 i senatori, votando a scrutinio segreto e a favore della “tagliola” proposta da Lega e Fratelli d’Italia contro il ddl. Zan “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orien-

tamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità“ hanno bloccato l’iter parlamentare della proposta di legge che il 4 novembre 2020, con 265 voti favorevoli, 193 contrari e un astenuto, era stata già approvata alla Camera del Deputati. Per la cronaca la “tagliola”, detta anche “ghigliottina”, è un meccanismo previsto dal regolamento del Senato che testualmente così recita: “Prima che abbia inizio l’esame degli articoli di un disegno di legge, un senatore per ciascun Gruppo può avanzare la proposta che non si passi a tale esame. La votazione della proposta ha la precedenza su quella degli ordini del giorno.” Il centrosinistra, a Palazzo Madama, era sicuro di avere 149 voti necessari per superare lo scoglio, purtrop-

po, però, parafrasando un vecchio adagio “ ha fatto i conti senza l’oste, perchè due senatori si sono astenuti e altri 16 sono passati con il centrodestra (questi ultimi perché certamente non condividevano la legge ZAN o parte di essa e quindi non hanno seguito le indicazioni di partito). E’ finita 154 a 131 e secondo l’opinione di moltissimi politici e commentatori i “franchi tiratori” potrebbero essere anche di più, perché il centrodestra poteva contare su 135 senatori. Immancabili le polemiche e le accuse, specialmente nel centrosinistra che ha accusato il centrodestra e Italia Viva di aver voluto affossare una legge di civiltà, come l’hanno definita Letta and Company. Il segretario di Italia Viva Matteo Renzi, invece incolpa il Pd. "Per mesi, ha detto, ho chiesto di trovare un accordo per evitare di far fallire il ddl Zan. Hanno voluto lo scontro e queste sono state le conseguenze. 7


Fatti e Misfatti

La responsabilità di oggi è chiara: e dire che per Pd e Cinque Stelle stavolta era facile, più facile dei tempi di 'O Conte o morte'. Non importava conoscere la politica, bastava conoscere l'aritmetica". E Renzi, a conferma della sua posizione ha citato anche le parole di Romano Prodi il quale, nella trasmissione “Che tempo che fa” di RAI 3, era stato molto critico sulle circostanze relative al fallimento del ddl Zan dichiarando che : “Era molto facile fare piccole modifiche, anche verbali, ma si è strumentalizzato il tutto. Si voleva creare l'incidente e incidente c'è stato. È stata una prova di forza, la Destra ha anche vinto, ma a danno di un problema su cui ci voleva un accordo". "L'arroganza dei Cinque Stelle e del Pd ha prodotto una sconfitta incredibile, non solo per il Parlamento, che ha perso l'occasione di far approvare una legge di civiltà, ma anche per le tante donne e uomini che aspettavano di essere finalmente tutelati da aggressioni e discriminazioni. Noi siamo quelli che hanno portato a casa la legge sulle unioni civili, mentre loro hanno giocato sulla pelle di persone che meritavano una legge, non delle bandierine”.

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Così Maria Elena Boschi, presidente dei deputati di Italia Viva. Sul ddl Zan era intervenuto anche il Vaticano, per voce del Segretario per i rapporti con gli Stati, monsignor Paul Richard Gallagher, che nel mese di giugno aveva infatti inviato una nota all’ambasciata italiana presso la Santa Sede in cui si chiedeva formalmente la modifica del disegno di legge. Non è la prima volta che la Chiesa si esprime sulla questione. Nel mese di maggio infatti era anche intervenuto il presidente della Cei, (la Conferenza Episcopale Italiana), il Cardinale Bassetti, affermando che “la legge potrebbe essere fatta meglio perché dovrebbe essere chiara in tutti i suoi aspetti senza sottintesi.” E vediamoli questi tre articoli contestati dal centrodestra e dai renziani e sui quali il PD, Letta in testa, i Stelle e altri, non hanno voluto aprire una discussione e un dibattito migliorativo, ma, convinti di avere la maggioranza, hanno cercato, a detta di moltissimi, il “muro contro muro”. Articolo 1: “Ai fini della presente legge: a) per sesso s’intende il sesso biolo­gico o anagrafico; b) per genere s’intende qualunque ma­nifestazione esteriore di una

persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso; c) per orientamento sessuale s’intende l’attrazione sessuale o affettiva nei confronti di persone di sesso opposto, dello stesso sesso, o di entrambi i sessi; d) per identità di genere s’intende l’i­dentificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corri­ spondente al sesso, indipendentemente dal­l’aver concluso un percorso di transizione”. Quindi, secondo gli oppositori al decreto e interpretando quanto previsto da questo ultimo punto, una persona, in qualsiasi momento del suo vivere, può svegliarsi una mattina e dichiarare di appartenere all’altro sesso e di sentirsi come tale con tutte le conseguenze del caso. Su questo specifico articolo si erano espresse, con parere decisamente sfavorevole, anche e soprattutto numerose associazioni femministe e lesbiche. L'articolo 4: (Pluralismo delle idee e libertà delle scelte). Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime ri­conducibili al pluralismo delle idee o alla li­bertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compi­mento di atti discriminatori o violenti”. In poche parole non viene ostacolata la libertà di espressione, ma la punibilità scatterà solo in caso di “concreto pericolo” di azioni discriminatorie o violente”. Di fatto, però, questo articolo introdurrebbe o potrebbe introdurre un reato di “opinione” nei confronti di chi è contrario, per esempio, ai matrimoni o adozioni gay, al cambio di sesso, alla maternità surrogata ( utero “in affitto”) oppure esprime la sua contrarierà o essere in disaccordo con un qualcosa che interessa,


Fatti e Misfatti coinvolge o appartiene al mondo LGBT. Articolo, che se approvato e secondo emeriti costituzionalisti, andrebbe contro l’Art. 21 della Carta che testualmente dice: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. E la decisione su questo punto, ovvero sulla concretizzazione di un possibile reato, spetterebbe a un giudice. Articolo 7: “La Repubblica riconosce il giorno 17 maggio quale Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la tran­sfobia, al fine di promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione nonché di contra­stare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere, in attuazione dei principi di eguaglianza e di pari

dignità sociale sanciti dalla Costituzione. In occasione di questa Giornata “sono organizzate cerimonie, in­ contri e ogni altra iniziativa utile per la re­alizzazione delle finalità di cui

sopra. Le scuole di ogni ordine e grado dovranno inserire nella propria offerta formativa programmi di sensibilizzazione a questo tipo di discriminazioni”.

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Economia, finanza e società di Franco Zadra

CONTRO L’EVASIONE

BASTA CONTANTE

Con gennaio 2022 entra in vigore lo stop alle transazioni in contanti oltre i 1000 euro, per effetto del decreto fiscale collegato alla Legge di Bilancio 2020 che dal primo luglio aveva già ridotto la soglia da 3 mila a 2 mila euro, applicata per qualsiasi tipo di pagamento o di passaggio di denaro tra persone fisiche o giuridiche.

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uesto significa che non solo l’acquisto di un bene o la prestazione di un professionista, ma anche una donazione o un prestito a un figlio per una cifra di almeno 1000 euro dovrà essere giustificato ed effettuato con un tipo di pagamento tracciabile, come un bonifico. Nulla cambia per quanto riguarda prelievi e versamenti in banca, poiché non si tratta di trasferimenti di denaro tra due soggetti diversi ma di movimenti che interessano una sola persona, ma il divieto si riferisce anche ai titoli al portatore in euro o in valuta estera, comprese le donazioni o le erogazioni a favore di parenti. Si tratta della nona modifica in vent’anni, e della quinta negli ultimi dieci. Il 6 dicembre del 2011 fu il decreto Salva Italia dell’allora governo Monti a portare il tetto a 1000 euro. Poi arrivarono le modifiche del 2016 e l’esecutivo guidato da Matteo Renzi lo triplicò. La politica portata avanti dal governo italiano della guerra al contante attraverso la misura del cashback ha facilitato questa scelta, trainando l'inversione nei pagamenti, dando spazio alla moneta elettronica e arginando il fenomeno del sommerso. Una tendenza che, forse, in pochi anni arriverà ad azzerare l'utilizzo del contante. Fate attenzione anche se utilizzate assegni bancari, assegni circolari, vaglia

postali e vaglia cambiari, per pagare una somma uguale o superiore ai 1000 euro, ad apporre la clausola obbligatoria “non trasferibile”, e indicare nome o ragione sociale del beneficiario, poiché non si possono usare assegni trasferibili, girati da altri o anche fatti all’ordine “mio proprio” e poi girati al beneficiario, utili solo per prelevare contanti in banca o alla posta, con girata alla banca (o alla posta) stessa. Una cosa è certa: le transazioni elettroniche riducono notevolmente, almeno in apparenza, la possibilità di pagamenti in nero e l'evasione fiscale, ma i contanti rimangono la modalità di pagamento preferita dagli italiani tant'è che il nostro Paese si trova al penultimo posto in Ue per il numero di transazioni pro capite con le carte (81 contro una media di 146, quasi la metà). Ma numerosi studi sembrano indicare che il problema contante sia in realtà un falso problema per combattere l'evasione e le frodi, poiché non è provato in modo scientifico che un ridotto uso del contante migliori questo aspetto, chi ci governa però pare propendere per la necessità di attuare tale sistema, e per questo si sono chiusi centinaia di sportelli ban-

comat rendendo il denaro irreperibile, almeno nei piccoli centri italiani. In Italia siamo abituati ai fronti opposti sul tema evasione, con governi sempre divisi tra favorevoli e contrari. L’argomento di chi si oppone al limitare la circolazione del contante evidenzia come questa non favorisca l’inclusione sociale e non faccia da volàno per l'economia, ma quando Renzi portò le transazioni monetarie da mille a 3mila euro, si ebbe l'effetto di veder crescere di 0,5 punti l'economia irregolare in Italia. Guardando da un altro punto di vista sembra che l’argomento evasione vada affrontato non tanto dagli economisti, ma dagli statisti “vecchio stampo”. Senza contare la reale possibilità di controllo del sommerso e di sanzionare quel centesimo in più ai leciti 999,99 euro di una transazione cash, va fatta crescere una cultura diversa e una filosofia di vita che non si paga, nemmeno con due banconote da 500 euro. 11


2021, un anno impegnativo di Cesare Scotoni

PARLAMENTO:

BILANCIO DI UN ANNO

È

tempo di bilanci, di individuare la cifra che ha caratterizzato l’anno che si chiude. Certo non è facile per l’Italia ricondurla ad un inizio ben preciso. Ovvio che non ci si riferisca qui al pretesto pandemico più recente, bensì al fallimento del 2005 sulla Costituzione Europea di cui abbiamo vissuto e viviamo ora le conseguenze più aspre. L’Idea di un’Europa COSTRUITA su una comunanza ed una condivisione dei Diritti e dei Doveri dei Cittadini e degli Stati Membri, in cui ad una Moneta Unica corrispondesse un Quadro Normativo Coerente e dei Vincoli e delle Regole Comuni fu azzoppata in 3 Paesi, tra cui la Francia, dalle divergenze emerse in modo eclatante nel conflitto che accompagnò la dissoluzione jugoslava

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e nel corso del quale ciascun stato membro riconobbe come prevalenti i propri interessi rispetto a quell’interesse generale che vedeva invece un’Unione rinnovata i cui Confini non dovessero necessariamente coincidere con quelli dell’Alleanza Nord Atlantica. L’Italia che, fin dal 1994, era stata la leva per frenare la nascita di una moneta unica, toccò con mano nel conflitto del 2011, come l’indebolimento dell’Alleato d’oltre Atlantico sulla vicenda dei derivati sui mutui subprime, significasse una sua emarginazione nel Progetto di Unione, ridotto dopo il 2005 ad un mero coacervo di accordi bilaterali. La vicenda ucraina, con il conflitto esploso nel 2013 a Kiev tra Germania ed Inghilterra e risolto nel 2015 con

l’intervento russo in Siria e le portaerei USA mosse dal Mediterraneo al Mar della Cina, erano un chiaro segnale e la successiva uscita della Gran Bretagna dall’Unione la cesura di quelle ambizioni franco-tedesche. Il resto è solo cronaca, per chi sa leggerlo. Cosa han significato quindi i duri passaggi di questo 2021? Dobbiamo forse oggi fingere che la banalità della “Decrescita Felice” o della “Repubblica dei Sussidi” siano altra cosa dalla Volontà di una minor dipendenza dai carburanti fossili travestita da svolta Green, o dalla dura ristrutturazione degli apparati produttivi e dell’organizzazione della distribuzione, dalla Liberalizzazione del Welfare, del ritirarsi del pubblico da interi comparti con l’obiettivo di indirizzare invece risorse pubbliche a nuovi strumenti di “Difesa Comune”? Il G8 di Pratica di Mare nel 2001 vide l’Italia protagonista della battaglia per poi perdere la Guerra, tutta europea, cui il 2005, con la fine di quelle ambizioni, dette l'avvio. Oggi la spinta cinese e la necessità degli USA di riacquisire capacità negoziale su quel fronte ha trovato o creato il pretesto per ridisegnare l’organizzazione della spesa di quella “Old West Europe”, che mai si è fatta Unione. Qualcuno nel finale di partita, ha detto “VEDO!” e l’Unione ha mostrato tutte le sue divisioni e


2021, un anno impegnativo le sue debolezze. E il nostro Paese ha bruciato un’altra volta una Classe Dirigente. L’Italia ha accettato, ancora una volta tacendo, il commissariamento di una intera Classe Politica espressa in un Parlamento che non ha chiesto di confrontarsi su quelle Riforme di cui un “Esecutivo del Presidente” è un mero latore. Non perché non vi fosse spazio per una progettualità nazionale, ma perché la maggioranza relativa del Parlamento era priva di un qualsiasi riferimento sociale di cui fosse l’espressione politica o di cui rappresentare gli interessi. Non solo, la maggioranza relativa del Parlamento ha mostrato e mostra tuttora una tragica incapacità di farsi Istituzione. Uccidere i Partiti per rappresentare un volatile consenso è la logica che imperversa da 5 lustri ed ha offerto agli elettori l’occasione per ricordare

come i Partiti nacquero per “costruire consenso” e che quello si edifica sulle idee. Il 2021 ha spazzato via 27 anni di suggestivi equivoci, per offrire nuovamente spazio alle Ideologie ed alla esigenza che quelle rappresentino dei BISOGNI CONCRETI. Le Ipotesi Accademiche hanno reso il Sogno Europeo un Incubo. Gli Europeisti senza Europa hanno esaurito il catalogo degli slogans ed ogni italiano avverte sulla pelle come un Paese Forte e dalle Istituzioni fragili come il nostro, deve “ritrovarsi” per costruire forme nuove di Sovranità. In Europa e con l’Europa, ma partendo da ciò che NOI siamo per Storia, Tradizioni, Autonomie, Organizzazione della Formazione, della Produzione e del Welfare e dell’Impianto Normativo che ne Regola il funzionamento. Che non sono certo riconoscibili nell’impianto di riforme che il Mario

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Economia e finanza di Emanuele Paccher

Alla scoperta della

legge di bilancio I n questi ultimi mesi dell’anno torna di attualità il tema della legge di bilancio. Ma cosa è esattamente? Quali sono i termini per la sua approvazione? Occorre innanzitutto fare una precisazione terminologica: per bilancio qui intendiamo il documento contabile preventivo che contiene le spese e le entrate dello Stato previste per il triennio successivo a quello di approvazione. È quindi cosa ben diversa dal bilancio aziendalistico: in quest’ultimo si vanno ad analizzare le poste contabili ex post, vale a dire dopo che l’anno si è concluso. La prospettiva dal punto di vista dello stato è rovesciata: si effettua un controllo ex ante, prima che

le entrate e le spese vengano effettuate. Questo non significa che non vi sia un controllo ex post anche per lo Stato, ma semplicemente che con la legge di bilancio tale controllo non viene effettuato. Una simile verifica viene effettuata con la presentazione da parte del Governo del rendiconto, il quale è sottoposto anche al controllo della Corte dei conti. Fatte queste importanti precisazioni, possiamo proseguire nell’esame della legge. Come è facile intuire, un documento così importante non poteva non subire l’influsso dell’Unione Europea. E infatti tale legge si inserisce in una complessa serie di passaggi procedurali, che nel comples-

so vanno a formare il cosiddetto “ciclo di bilancio”. L’iter comincia con il documento di economia e finanza (DEF), da presentare entro il 10 aprile. A seguire, entro il 27 settembre, vi è la nota di aggiornamento del DEF. Dopodiché si arriva alla vera e propria legge di bilancio, la quale deve

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Economia e finanza essere trasmessa alle istituzioni dell’UE cosa capiterebbe qualora il Parlamento, nione entro il 15 ottobre di ogni anno. per grosse divergenze politiche o per Successivamente, ed entro il 20 ottobre, il qualunque altra ragione, non riuscisse ad disegno di legge va presentato al Parlaapprovare in tempo la legge? A risponmento. Il parere delle istituzioni europee dere a tale domanda ci viene incontro arriva entro il 30 novembre. Infine, il testo l’articolo 81 della Costituzione italiana: si definitivo deve essere approvato dal entrerà nell’esercizio provvisorio, il quale Parlamento entro il 31 dicembre. comunque dovrà essere concesso per Esaminato il complesso procedimento legge e per periodi complessivamente che porta all’ultima stesura, come è strutnon superiori a quattro mesi. Per semturato il bilancio dello Stato? Il bilancio si plificare si può dire che durante l’esercizio provvisorio ci si deve limitare alle divide in due sezioni: nella prima vengono indicate le nuove entrate e spese operazioni di ordinaria amministrazione. necessarie per raggiungere quelli che Un prolungato esercizio provvisorio potrebbe causare seri problemi economici, sono gli obiettivi prefissati dal Governo, nonché la perdita di affidabilità dell’Italia nella seconda si indicano l’insieme delle per gli investitori stranieri e per l’Unione entrate e delle spese conseguenti all’intero complesso normativo. Europea. Perché è un documento così importante? Come si comprende, l’esercizio provvisorio è una misura straordinaria che dovrebÈ un documento fondamentale poiché be trovare rara applicazione, ma dal 1948 solo attraverso di esso lo Stato ha il potere di riscuotere le entrate e di disporre le ad oggi ben 33 volte è stato dato il via spese. libera a tale strumento. Logo con colori quadricromia applicati

Passando all’attualità, cosa prevede la bozza di legge per il 2022? Attualmente sono previsti, tra le altre cose, finanziamenti per la manutenzione di strade e scuole, fondi per la costruzione di nuove infrastrutture per la mobilità sostenibile, lo sconto di duemila euro sull’affitto per gli under 31 che vanno a vivere da soli, l’estensione fino al 2024 della possibilità di cedere i crediti d’imposta da parte dei proprietari che hanno eseguito lavori di ristrutturazione edilizia utilizzando i bonus, la proroga di un altro anno della cosiddetta “opzione donna” e la previsione di 20 milioni di euro in più per le retribuzioni dei dirigenti scolastici. Ovviamente queste sono ancora ipotesi: per avere la certezza di ciò che verrà previsto per legge bisognerà attendere l’approvazione della stessa. Sarà il popolo, rappresentato dai parlamentari, ad avere la parola finale. In una frase: al Parlamento l’ardua sentenza.

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In filigrana di Nicola Maccagnan

Montagne di soldi, montagne di debito. Piccolo viaggio tra le (apparenti) incongruenze del bilancio familiare e di quello pubblico ai tempi della pandemia.

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forzieri delle banche non sono mai stati così pieni come in questo periodo. La notizia, portata agli onori della cronaca dai Media nazionali, non è quella – oramai solita e anche sorpassata - degli Italiani popolo di formichine, con una previsione al risparmio e all’accumulo che affonda le proprie radici sin nei tempi dell’emigrazione e poi del boom economico. Qui i dati si referiscono agli ultimi 18/24 mesi, quelli che hanno coinciso sostanzialmente con il manifestarsi e l’esplodere della pandemia da Coronavirus. Un paio di numeri giusto per capire le dimensioni del fenomeno. Secondo i dati della Banca d’Italia,

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nel 2020 le famiglie italiane hanno messo da parte circa 126 miliardi di euro, contro i poco meno di 48 miliardi del 2019 (!!!); banalizzando, potremmo dire che lo scorso anno gli italiani hanno risparmiato il triplo rispetto a all’anno precedente (di nuovo !!!). E dove sono finiti questi denari? La gran parte di questi 126 miliardi (ben 85) ha terminato la propria corsa su depositi e conti correnti. Risultato finale? Il totale dei depositi bancari italiani sfiorava quest’estate i 1.800 miliardi di euro, con un incremento sull’anno precedente di circa l’8,5%, contro un aumento medio “solo” del 4% tra il 2017 e il 2019. L’analisi di questi numeri è per certi

versi piuttosto intuitiva, ma non così semplicistica come potrebbe sembrare, a ben guardare. Certo, l’emergenza sanitaria prolungata e le conseguenti restrizioni negli spostamenti e nelle possibilità di spesa hanno necessariamente (e traumaticamente) frenato gli acquisti di beni e servizi da parte degli italiani, ma anche dei molti stranieri che vengono a visitare il nostro Paese. D’altro canto, come sempre accade in questi casi, una situazione avvertita come di forte pericolo o di incertezza ha generato una propensione - più o meno automatica, più o meno consapevole - all’accumulo in vista dei tempi futuri. Tutto vero, ma un pensiero in più forse vale la pena di farlo, tenendo conto anche di un altro numero che, per la verità piuttosto stranamente (?), negli ultimi tempi sembra essere scomparso dai radar dei Media. Mi riferisco, naturalmente, all’altra faccia della medaglia, ovvero al Debito Pubblico dello Stato italiano, una sorta di mostro vorace e in eterna crescita di cui però, come dicevo, da parecchio tempo si sente parlare pochissimo, forse per non spaventare il cittadino, già traumatizzato


In filigrana dalle conseguenze molteplici dell’uragano Covid-19… Ebbene, ad agosto di quest’anno l’italico Debitone ha raggiunto la cifra di 2.734 miliardi di euro, ben 155 miliardi in più dello stesso mese del 2020. Se poi allarghiamo lo sguardo, è del tutto evidente che la pandemia ha avuto sui conti pubblici di casa nostra lo stesso effetto che potrebbe avere un sonoro ceffone dato in faccia ad un moribondo. Siamo dunque all’interno di un paradosso. L’epidemia da Covid-19 ha causato una profonda crisi economica a cui il governo e lo Stato italiano hanno cercato di porre rimedio con una politica di forte indebitamento pubblico. Questo, naturalmente, nell’intento di sostenere attività economiche e imprenditoriali, ma anche cittadini e famiglie, che altrimenti avrebbero rischiato di soccombere (ci ricordiamo bene tutti la sequela di sostegni, sostegni-bis, bonus, sgravi, moratorie, saldi e stralci, redditi di cittadinanza e non,…). A onor del vero bisogna però prendere atto, come era facile immaginare, che non tutti hanno subito gli effetti della pandemia in egual misura e

alcuni (anzi la maggior parte degli Italiani) economicamente non sono stati per nulla toccati dallo tsunami del Covid-19 (sostanzialmente tutti coloro, lavoratori e pensionati, che non hanno avuto alcuna riduzione nel proprio reddito). Anzi, a fronte di un calo sostanziale nelle spese, hanno visto crescere sensibilmente la propria possibilità di risparmio e quindi la propria ricchezza. Da qui, come dicevamo, il paradosso, molto italiano, dei depositi privati e del debito pubblico, entrambi robusti, entrambi in costante crescita, il

secondo decisamente preoccupante. Due treni che viaggiano in parallelo da molti decenni senza incontrarsi mai, nell’attesa (e nell’eterna promessa) di importanti riforme strutturali del Paese del suo apparato pubblico in grado di dare avvio alla riduzione dell’indebitamento. Due vasi da sempre non-comunicanti, potremmo dire. Basteranno le attese, e i denari europei, del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza a far sì che la storia continui così com’è successo sinora?

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Società oggi di Caterina Michieletto

Il tesoretto dell’infanzia

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pesso ci succede di richiamare alla memoria la nostra infanzia, per raccontare una storia, per confrontare l’infanzia di oggi con quella di ieri o semplicemente per condividere uno scrigno di ricordi che conserviamo con un sentimento di tenerezza e un velo di nostalgia. È quella stessa nostalgia dei tempi passati che tendenzialmente rievochiamo quando nel presente vediamo essere maggiori le difficoltà alle cose belle. C’è una qualità di cui da grandi siamo spesso in carenza e da piccoli ne abbiamo in abbondanza ed è quell’elemento inconfondibile che accomuna ogni bambina ed ogni bambino: il sorriso. Affaccendati a giocare con ogni oggetto circostante che attira la loro attenzione e curiosità, intenti a viaggiare e raggiungere luoghi incantati con la fantasia, i bambini ci traghettano istantaneamente nel loro piccolo ma completo mondo e “scacciano i pensieri” dai nostri volti troppo spesso corrucciati e rattristati dalle preoccupazioni. Non serve nulla di speciale e di straordinario per dipingere sul volto di un bambino un sorriso emozionato, anche se l’era del consumismo sembra voler convincere del contrario. Accade di frequente di sentir parlare

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dell’infanzia dei giorni nostri in questi termini “i bambini non sono più quelli di una volta”, per esaurire in queste poche e dure parole un insieme di problemi che costellano la crescita e l’educazione dei bambini nella società attuale. La natura del bambino è sempre la medesima, mentre è l’ambiente (familiare, sociale, culturale ed economico) in cui vive che inserisce variabili positive o negative nella sua crescita. E il contesto in cui si snoda l’infanzia di oggi è estremamente complesso. Pensiamo alle difficoltà nel proteggere i bambini dai pericoli del Web che sfugge al nostro controllo; pensiamo alla frenesia dei ritmi di vita e di lavoro che costringono a sacrificare il tempo e le energie che si vorrebbero dare ai propri figli; non dimentichiamo il consumismo che nella logica “il superfluo è necessario” alimenta insoddisfazione per ciò che si ha e per ciò che si è: avere troppo fa desiderare troppo e nulla è più abbastanza. L’infanzia di ieri non era più semplice di quella di oggi e viceversa l’infanzia di oggi non è più semplice di quella di ieri. Quello che è certo è che l’infanzia, ieri come oggi, si inserisce in un contesto economico sociale, politico e culturale ben specifico da cui è profondamente condizionata. C’è un aspetto però che non cambia e che resiste ad ogni trasfor-

mazione esterna: la gioia delle piccole cose; forse è proprio questa che bisogna valorizzare e trasmettere ai bambini di ogni generazione. Sono queste piccole cose che creano i rapporti umani e le esperienze, che generano le emozioni ed i sentimenti, che costruiscono i ricordi e i sogni che anche da adulti custodiamo. Sono tante le piccole cose che circondano i bambini: i fogli su cui disegnare e colorare; i libri da sfogliare; i primi passi in cucina; i pomeriggi all’aperto; le passeggiate alla scoperta del microcosmo che abita i prati e popola i boschi; le corse e i giri in bicicletta per il paese; i giochi a nascondino e “campanon”; le capanne e le casette sugli alberi; e poi d’estate le scorpacciate di ciliegie, a settembre la vendemmia e ad ottobre quella delle castagne… Potrei continuare l’elenco, ma sarebbe senza fine, talmente ricco e vario l’universo delle piccole cose che sono nel nostro quotidiano. Quando ci sembra che tutto sia così complicato, inadeguato ed insufficiente torniamo piccoli, torniamo a quelle cose semplici che tanto ci piacevano. Forse così riusciremo a trovare in noi stessi e regalare a chi amiamo l’autentica gioia di vivere.


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Lo spirito del Natale di Waimer Perinelli

PER FAVORE,

RIDATECI GESU' BAMBINO

Pensate cosa accadrebbe se un giorno, contemporaneamente, da tutti i presepi del mondo scomparisse la statuetta del Bambino Gesù”. E' questa una fantasia di Mauro Corona che dell'episodio ha fatto il tema per una favola sul bene e male, sull' ipocrisia e malvagità dell'umanità. Il rapimento del Bambinello è un' invenzione ma da non sottovalutare perché spesso accade che la realtà superi l'immaginazione. La cronaca ci racconta di molti rapimenti del bambinello: a Lissone in provincia di Monza, due anni fa, quattro giovani han-

no agito nella notte fra il 30 e 31 dicembre sottraendo la statuetta dal presepe allestito sul sagrato della chiesa principale. Puro esibizionismo immortalato, con infantile follia, su Istagram, ovvero la rete sociale dove, avanzando la tecnologia, regredisce spesso, l'intelligenza. A Vigevano altri giovani hanno inscenato il rapimento chiedendo il riscatto, come si scrisse, a fin di bene, perché per la restituzione del bambinello chiedevano il risanamento dell'oratorio che il parroco, vecchio e stanco, aveva abbandonato all'azione demolitrice del tempo. Blasfemo il primo rapimento quanto ingenuo il secondo, ma, nelle diverse sfumature delle narrazioni natalizie, esistono moltissime versioni poetiche. Lo stesso Mauro Corona, eclettico artista friulano, nel 2015, aveva fantasticato sul ritrovamento nella mangiatoia di un

bambinello nero e di uno bianco per raccontarci della biodiversità dell'uomo. A lui dobbiamo, in questi giorni, una Favola di Natale che è rappresentazione della vita. Nella storia fantastica di Mauro Corona, come nella vita reale, le indagini per trovare bambino e rapitori, scattano rapide e in tutte le direzioni; i primi ad essere sospettati sono i i soliti ladri, poi i collezionisti e i senza fede. Ma non accade nulla e la statuetta non si trova; qualcuno allora inizia a sospettare che l'artefice del furto sia Satana, anche perché, ogni tentativo di rimodellare il bambinello fallisce. Solo un artigiano riesce nell'intento modellando la cenere del camino, ma poi un colpo di vento distrugge anche questa sua opera, simbolo della rigenerazione, che ritroviamo nella favola dell'Araba Fenice rinata dalle proprie ceneri, e nella vicenda di Gesù venuto al mondo, dice il Vangelo, per rigenerare spiritualmente l'umanità. Una bella immagine, suggestiva, capace di evocare primordiali paure e altrettante speranze, raccontata da un uomo che dalla vita ha avuto molto, al punto da poter dire ai propri familiari di non avere bisogno di alcun regalo a Natale, ma che

LA PAROLA AI LETTORI COMUNICATO DI REDAZIONE

Chi fosse interessato alla pubblicazione di uno scritto o un articolo riguardante una opinione personale, un fatto storico, di cronaca o di un qualsiasi avvenimento, può farlo indirizzando una email a: direttore.feltrinonews@gmail.com. Il testo, di massimo 3.500 battute, dovrà necessariamente contenere nome e cognome dell’articolista l’indirizzo di residenza e un recapito telefonico per la verifica. Il direttore si riserva la facoltà della non pubblicazione in caso l’articolo non dovesse rispettare l’etica giornalistica o d’informazione.

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Lo spirito del Natale tale fortuna ha dovuto costruirla, passo dopo passo, con pazienza e attenzione, come quando scala le pareti della roccia attorno ad Erto, il suo paese. Il geniale scrittore, alpinista, scultore, da qualche tempo anche commentatore televisivo, ci porta a riflettere sulla perdita possibile, ma in parte già avvenuta, dell'innocenza dei bambini. Quella semplicità che li porta a credere nelle favole, a viverle con intensità, a credere che ci sarà sempre il lieto fine, come accade perfino nella laicissima leggenda “Canto di Natale”di Charles Dickens, dove l'avaro ed egoista Scrooge riesce nel finale a trovare la giusta via, quella della bontà e generosità. Un finale da favola per una storia cruda, dove si descrivono azioni e sentimenti cattivi purtroppo tanto presenti nel nostro mondo martoriato dall'odio e dall'invidia, dalle guerre, omicidi, furti, rapimenti.. Il bambino del Presepe (sinonimo di

mangiatoia) , ideato nel 1223 da San Francesco d'Assisi con una rappresentazione vivente nel borgo di Greccio, rappresenta tutti i bambini del mondo. Tutti rapiti nella fantasiosa favola di Mauro Corona il cui intento, subito evidente, è indicarci come i bimbi vengono "rapiti"e trasportati nel mondo virtuale, fasullo, dove videogiochi, telefonini, applicazioni, se malamente usati, distraggono dalla vita reale. I bimbi e gli adolescenti si ritrovano in un mondo che non insegna nulla, tutto il contrario delle favole, ideate per accrescere lo spirito critico, educare con intelligenza, illustrare alcune regole morali. Da Fedro a La Fontaine, Tolstoi, Trilussa... Calvino, scrittori capaci di educare divertendo. Nei loro racconti, come in quelli di Mauro Corona, è rappresentata la vita dell'uomo nella società e nella natura, dove non mancano i conflitti, i soprusi ma, alla fine, il bene prevale lasciandoci

qualche volta una triste amarezza. La favola attuale è raccontata dal G20 di Roma e da Cop26 di Glasgow, dove politici e amministratori di gran parte del mondo si scambiano opinioni e rimedi sui problemi ambientali della Terra. Greta Thunberg, la pasionaria del pianeta, non crede alle favole e teme che i bla,bla, bla dei politici siano solo fumo per inquinare le menti, al pari dello smog generato dall'uso di combustibili fossili, che distrugge la natura. Alla recita dei grandi della Terra manca ancora il finale. E' difficile credere al ravvedimento degli speculatori, degli accaparratori di soldi: sono loro gli attuali Scrooge che distruggono lo Spirito del Natale. Sono loro che uccidono il bambino che si trova dentro ogni uomo saggio. Noi vogliamo continuare a credere alle Favole. Per favore: Ridateci Gesù Bambino.

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Riflessione sul Natale di Fiorenzo Malpaga

DIO e NOI una SOLA COSA

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i sta avvicinando la festa del Natale, la più importante dell’anno, che ricorda la nascita di Cristo, un bambino venuto al mondo, duemila anni fa, in una grotta della Palestina. Quell’uomo che, dopo una vita dedicata a diffondere il messaggio divino, è stato poi messo in croce dal suo stesso popolo, perché accusato di dichiararsi figlio di Dio, il massimo dei reati per gli ebrei. Durante la Messa di Natale, la liturgia contempla la lettura del famoso Prologo al Vangelo di Giovanni, che inizia con “In principio era il Verbo, ed il Verbo era presso Dio, ed il Verbo era Dio, Egli era in principio presso Dio, tutto è stato fatto per mezzo di Lui, senza di Lui nulla è stato fatto, di tutto ciò che esiste…”

Un inno che squarcia il cielo, che illumina e rischiara la mente e i cuori, l’ascolto attento di queste parole suscita una profonda emozione. L’esaltazione del Verbo, della Parola, del Logos, come principio “Archè” di tutte le cose, talmente vicino a Dio da essere Dio stesso. L’evangelista Giovanni, come un’aquila spirituale, scruta dall’alto dei cieli tutto il mondo illuminato dalla luce divina, ci trasmette un messaggio di speranza e di fiducia per il futuro dell’uomo. La copertina del libro è stata disegnata proprio con l’intento di riprodurre gli elementi essenziali del messaggio dell’evangelista Giovanni: la luce divina, l’aquila che scruta dall’alto il mondo e sotto la terra, dove l’uomo vive la propria esperienza, molto spesso senza rivolgere lo sguardo al cielo. Ma Dio chi è ? l’interrogativo che ogni persona si pone o si è sempre posta nella sua vita, nessuno però lo ha mai visto, lo afferma lo stesso evangelista Giovanni proprio nel Prologo al suo Vangelo. Forse la spiegazio-

ne più logica e naturale è quella che Dio siamo proprio noi, esseri umani, le cose che ci circondano, l’universo animato e materiale. Dio non dobbiamo cercarlo fuori di noi, perché è proprio dentro la nostra anima, nel nostro spirito, nei nostri sentimenti, è la nostra energia vitale, il verbo la parola, in definitiva il “logos” di cui siamo dotati e del quale facciamo parte. E’ sufficiente porre attenzione, ascoltarsi, meditare, e riusciremo a riconoscerlo nell’amore e nell’affetto dei nostri cari, nel sorriso innocente di un bambino, nel firmamento infinito, nel deserto, sulla alte vette, nei mari e nei laghi, nei fiori, negli alberi, negli animali, nel fascino della natura che ci circonda. E quel bimbo, Dio fatto uomo, nato a Betlemme in una grotta durante una fredda notte di Dicembre, è qui a ricordarcelo, che siamo tutti figli di Dio. Un messaggio di fiducia e di speranza sul significato della vita, che non può esaurirsi nell’esperienza terrena, ma che è destinata a rimanere in eterno, seppure in forme nuove e diverse, perché siamo noi stessi Dio.

Fiorenzo Malpaga, laureato in giurisprudenza, umanista, Segretario comunale a riposo, è nostro collaboratore. Ci racconta esperienze di viaggio in paesi esotici, Africa e Asia, in particolare abbiamo letto le sue meditazioni in Tibet e India. Da queste riflessioni ha tratto un libro in cui unisce gli insegnamenti evangelici e di altre filosofie per condurre il lettore alla conclusone che Dio è in noi, noi siamo suoi figli, noi siamo Lui ed Egli è noi". ll libro dal titolo "L'uomo è Dio" editore del Faro 2021.In vendita anche su Ibs. it la Feltrinelli. 22


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Il senso religioso di Franco Zadra

RAGIONEVOLEZZA, ESIGENZA STRUTTURALE DELL'UOMO

Percepiamo ancora se un atteggiamento è o no ragionevole?

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el tentare di sgomberare il campo da ogni possibile equivoco che può sorgere affrontando un discorso sul senso religioso, abbiamo fin qui visto una premessa di metodo – attingendo al testo di don Luigi Giussani intitolato appunto come questa rubrica –, il realismo, che ci ha aiutato a comprendere come il metodo con cui si affronta qualcosa è determinato dall'oggetto allo studio, e non, come quando ci dilettiamo in qualche revisionismo storico (per fare un esempio classico, possiamo interpretare il fascismo come “guerra civile euro-

pea”, scaturita dalla reazione al bolscevismo, per non dire di Gesù Cristo per cui ci si è spinti fino a considerarlo un alieno), immaginato a capriccio del soggetto. La seconda premessa di metodo che ci presenta don Giussani è la ragionevolezza come capacità “strutturale” dell'uomo di prendere coscienza del reale secondo la totalità dei suoi fattori. Per cogliere come non sia del tutto scontato il fatto che utilizziamo sempre la ragione come invece la potremmo usare – e siamo chiamati a usarla in quanto uomini – ci serviremo di un recente fatto

di cronaca, la strage avvenuta il 5 novembre scorso in Texas quando, durante il concerto del rapper Travis Scott all’Astroworld Festival di Houston, per il quale già a maggio i 100mila biglietti in vendita erano andati esauriti in un'ora, una calca di gente ha causato la morte di dieci ragazzi tra i 9 e i 27 anni, mentre circa 300 sono finiti in ospedale, vittime, a quanto può sembrare, di panico e caos. Travis Scott, in un tweet, si dice "devastato" per questa tragedia, «Le mie preghiere sono per le famiglie di tutte le persone coinvolte», ed è di solito questo che la

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Il senso religioso

gente intende per “senso religioso”, lasciando l'opinione pubblica “in pace” nel sapere che verranno rimborsati i biglietti dell'evento ed è stato già annullato il prossimo concerto. Dobbiamo dirlo? Viviamo in superficie ogni rapporto con la realtà! Rieducati

dalla cultura dominante che ci vuole solo consumatori, disinteressati ai drammi degli altri che al massimo potranno dichiararsi delusi, come il nonno dell'ultima vittima di 9 anni, dal fatto che la città permetta che un evento continui in questo modo uccidendo decine di persone, «Vogliamo solo sapere cosa è successo e chi sono i responsabili». Risulta poi assolutamente irragionevole l'atteggiamento del rapper che ha continuato a cantare mentre la gente moriva ai piedi del palco. Ma l'accusa nei suoi confronti è, al limite, di scarsa sensibilità per la folla in difficoltà. Qualcuno potrà ricordare episodi più “nostrani” di gente in spiaggia che continua a prendere il sole mentre cadaveri di migranti ingombrano la battigia, oppure altri, purtroppo tantissimi, esempi, ma non dobbiamo dimenticare che ciò che emerge da questi fatti è la nostra indotta consuetudine a un uso riduttivo della

ragione, del tutto sdoganato a livello culturale. Canzoni di successo come quella nell'album Blue's del 1987 di Zucchero Fornaciari, ci hanno inculcato che è vero che «solo una sana e consapevole libidine salva il giovane dallo stress e dall'Azione Cattolica», e pare una beffa che ci siamo ridotti a questo punto se si pensa che nel Settecento, detto anche “il secolo dei Lumi”, avevamo la pretesa di “illuminare” le coscienze mediante la luce della ragione, rischiarandole così dalle tenebre dell'oscurantismo medievale. Oggi, appare ragionevole farsi “sbattezzare” e rinunciare al patrimonio di valori che il cristianesimo ci conserva, senza peraltro conoscerne più i contenuti. Sembra che vi sia un misterioso ostacolo che rende impossibile anche ai cristiani l'essere cristiani. Per questo, consiglio la lettura del libro di Alexander Schmemann, “Per la vita del mondo. Il mondo come sacramento”.

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Antichi mestieri di Waimer Perinelli

PENDOLARI ALLA RICERCA DELL'ERBA Monticazione, desmontegada, transumanza Al tempo del Natale il momento più emozionante era, e per i più fortunati ancora è, la preparazione del presepe. Prima di tutto la tavola su cui preparare la scena, il muschio finto o raschiato nel sottobosco, il ghiaino con cui tracciare i sentieri, lo specchietto rotto per l'acqua del laghetto.... la capanna e le statuette. Naturalmente la Sacra famiglia, gli artigiani e i pastori.

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a bene, perdoniamo il regista che fa lavorare il calzolaio e il falegname a notte fonda, ma il pastore che ci fa davanti alla capanna di Betlemme? I pastori c'erano veramente o sono solo figure allegoriche? Proprio i pastori, con accanto la pecora e sulle spalle un agnellino, sono le figure più improbabili nella stagione invernale, ma le più significative perché in quella stalla, nella mangiatoria, è nato il Buon Pastore, il Messia, che dirà ai suoi discepoli: andate e pascete le mie pecore e così siamo spesso chiamati, nel nuovo come nell'antico Testamento, noi poveri mortali. A farci ritenere possibile la loro reale presenza davanti alla stalla è l'orografia del territorio. Betlemme, in arabo Casa della Carne e in ebraico Casa del Pane e anche Città di Re Davide, si trova in Cisgiordania ad un'altitudine di 775 metri sul livello del mare, gode di un clima temperato e, secondo le più recenti indagini, era abitata già settemila anni fa. Naturalmente anche dai pastori. I pastori sono il sale della vita. A cogliere la loro importanza nella storia dell'umanità ci aiuta il libro di Adolfo Malacarne, Transumanze, sulle tracce degli ultimi pastori del triveneto, pubblicato nel 2009, e ancora oggi di grande attualità. Malacarne per

vent'anni ha seguito, intervistato e fotografato pastori del delle valli bellunesi, del Feltrino, del Trentino e Friuli. Il suo viaggio è iniziato a Lamon, vicino a Feltre, dove è nato, un paese famoso per i fagioli e ricco di pastori. Tra le due guerre mondiali c'erano trecento famiglie che vivevano di pastorizia. Poco lontano, l’altro altopiano celebre per i pastori era Asiago, dove all'inizio dell'Ottocento, racconta la cronaca, c'erano centomila pecore, animali tanto importanti nell'economia, che il comune di Foza ha nello stemma tre pecore al pascolo. "Quando ero bambino, racconta Malacarne, abitavo a Costa di

Lamon e vedevo passare le greggi che scendevano lungo la valle del Senaiga, dal Tesino verso la pianura. Era uno spettacolo che mi stupiva e mi entusiasmava». A fargli scoprire una vera e propria passione è però Angelo Moltrer, un pastore della valle dei Mocheni in Trentino. Adolfo lo descrive come una figura ieratica, «il suo incedere lento alla testa del gregge, il suo sguardo profondo, il volto incorniciato da una folta barba, come un pastore dell’Antico Testamento». E' il 1987 e Adolfo, che ha 35 anni, sceglie di accompagnare il pastore mocheno e il suo gregge lungo la strada 27


Antichi mestieri della transumanza. Lo fa con la macchina fotografica e attraverso l'obiettivo immortala scene di vita quotidiana dei pastori, il loro passaggio pieno di difficoltà e di ostacoli, lungo i sentieri lungo le rive dei torrenti, "mentre fuggono dai contadini arrabbiati, scrive, da divieti e multe che tormentano il pastore come se fosse un ladro o un malvivente". Inizia così un viaggio che dura venti anni, descritto dalle fotografie, delle transumanze sui ghiacciai della Val Senales, fino all’Adriatico, lungo direttrici consolidate che si tramandano dall'antichità. La ricerca di Adolfo Malacarne ha trovato un importante, per quanto indiretto, riconoscimento etnografico nell'indagine condotta da Marta Bazzanella del Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina di San Michele all'Adige, sulle scritte lasciate dai pastori lungo le pareti del monte Cornòn in valle di Fiemme. Il Cornòn è un massiccio calcareo posto fra i comuni di Tesero, Ziano, Panchià e Predazzo, sulla destra orografica della valle, scelto fin dall'antichità per la pratica dell'attività agricola e silvopastorale. Le pareti sono ricoperte di messaggi scritti con la terra

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di ocra rossa locale, lasciati dai pastori che sul luogo transitavano o si fermavano per riposare. La cronologia le fa risalire al 1600 ma le scritte più antiche risalgono ai primi anni del 1800 e sono in generale solo sigle del proprio nome e cognome, i segni di casa i pittogrammi, simboli sacri e conteggi dei capi di bestiame. Si tratta di marchiature del territorio, comunicazioni ed indicazioni lasciate agli amici e colleghi. A volte sono arricchite da cornici puntiformi che ne sottolineano l'importanza. Sul finire dell'Ottocento, inizio Novecento, le povere testimonianze lasciano posto a scritte più impegnative con cui sono ricordati nome e cognome del pastore, il soprannome, il comune di provenienza. Qualche autore più istruito e intenzionato

a lasciare una vera e propria testimonianza storica, aggiunge notizie sui principali eventi atmosferici, il pericolo scampato, il freddo e la fame, la voglia di riposare o fare festa. In qualche caso anche informazioni sui principali avvenimenti, politici e amministrativi, del paese di origine. L'indagine ha portato alla catalogazione di ben 50mila scritte, parzialmente raccolte nella pubblicazione " Sui sentieri dei pastori. Itinerari escursionistici alla scoperta delle scritte dei pastori della Valle di Fiemme" curata da Marta Bazzanella, che propone otto itinerari a chi volesse ripercorrere le vie della transumanza. Una strada semi abbandonata come il mestiere di pastore reso difficile dal mutare della società e cambio dell'economia, nonché da un ritorno pericoloso di orsi e lupi. Oggi i pastori transumanti sono quasi comparsi. A Lamon non ce ne sono più: l'ultimo, residente nel padovano, ha venduto il gregge pochi anni fa. Oggi davanti alla capanna di Betlemme non ci sarebbero più i pastori e il nostro presepe, involontariamente, è diventato una testimonianza archeologica.


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La Palestina e la guerra infinita di Guido Tommasini

GERUSALEMME: UNA CITTÀ TRE RELIGIONI

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a guerriglia urbana dello scorso maggio aveva bloccato gli espropri delle abitazioni palestinesi di Sheikh Jarrah, quartiere di Gerusalemme Est ed ora le quattro famiglie residenti hanno respinto il compromesso offerto dai giudici della Corte Suprema israeliana. L'esproprio, su iniziativa della Nahalot Shimon( associazione di coloni ) era stato giustificato dal fatto che in quel quartiere aveva vissuto in passato una comunità ebrea per cui bisognava ripristinare lo status quo. Per la verità nel corso dei secoli quei territori sono stati abitati o egemonizzati da diverse entità: cananee, filistee, assire, romane, arabe, bizantine, franche, seleucidi, egiziane, turche, tanto per citare solo le più importanti. E' comprensibile che gli israeliani accentuino la presenza ebraica in quei territori, ma non si può esagerare. Tanto per avere un quadro di fondo, Gerusalemme, città santa per le tre religioni monoteistiche è stata attaccata nel corso dei secoli 52 volte, conquistata 44 volte, assediata 23 volte e distrutta 12 volte. La sovranità territoriale ebraica su di essa è stata quindi di durata molto limitata e comunque, era ormai scomparsa totalmente già dal 63 A.C. con la conquista del Regno di Giuda da parte del romano Pompeo Magno. Del resto, le rivendicazioni israeliane attuali si inseriscono semplicemente dentro un progetto di potere mirante ad attrarre del tutto nella sfera dell'ebraismo quella città, che invece dovrebbe restare un luogo condiviso fra ebraismo, cristianità ed Islam. La chiesa del Santo Sepolcro e la moschea di Al Aqsa ne sono testimoni.

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Per una visione generale sul cristianesimo mediorientale bisogna premettere che, come conseguenza indiretta della guerra di George W. Bush in Irak, l' Islam Politico nelle sue varie espressioni(Isis o Daesh, Al Nusra o Tharir Al Cham) ha trovato ampi spazi di manovra per eliminare le altre religioni compreso il cristianesimo: ad Aleppo dei 300.000 cristiani ne sono rimasti 3.000, a Jabroud, un'altra città siriana di 60.000 abitanti, dove si parlava l'antico aramaico il cristianesimo è stato stroncato anche con la simbolica distruzione da parte di Al Nusra(la Al Qaida siriana) una statua simbolo della Vergine Maria adorata anche dai musulmani, ma questa situazione è generale. Il presidente cristiano libanese Aun aveva anni fa, fatto presente che, dove si erano impiantati, i terroristi islamici avevano liquidato quasi del tutto i cristiani d'Oriente, aggiungendo che Israele cercava sempre di frammentare la regione in pezzi confessionali, simulacri di stati per assemblare un puzzle settario. A questo proposito si ricorda che nel 1982 Odede Yinon, funzionario del Ministero degli Esteri israeliano, aveva già elaborato un piano che recitava in particolare: “La dissoluzione della Siria e dell'Irak in aree etniche o religiosamente coese è l'obiettivo prioritario di Israele per il fronte orientale a largo raggio”. La configurazione attuale del Medio Oriente è molto simile a quella ed ha prodotto stragi e fughe non solo di cristiani, ma anche di altre minoranze

come gli sciiti, gli yahzidi, gli shabacks, gli aramaici, tutte denunciate dettagliatamente dall'associazione Chredo con sede a Parigi che si batte contro queste discriminazioni. La Caritas e l' ACS(Aiuto alla Chiesa che soffre) hanno peraltro individuato anche le terribili condizioni in cui attualmente versano i cristiani siriani mentre a Gerusalemme l'associazione ebraica Ateret Cohanim(La corona dei sacerdoti) cerca da anni di ostacolare l'attività del Patriarcato Greco-Ortodosso per strapparle anche la proprietà di alcuni Hotel storici con la conseguenza che la Porta di Jaffa, secolare ambito dei palestinesi cristiani della Città Vecchia, verrebbe trasformata in un quartiere ebraico. E tutto questo avviene nell'indifferenza del mondo occidentale non solo per l'identità di Gerusalemme ma anche per le libertà religiose in pericolo ed i diritti delle minoranze falcidiate. Con il nuovo premier israeliano Naftali Bennet favorevole alle iniziative dei coloni anche la soluzione dei Due Stati(Israele e Palestina), sostenuta dal presidente americano Biden si farà sempre più lontana.


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Ieri avvenne di Franco Zadra

I martiri giapponesi che ci insegnano il Natale Mentre si susseguono le varie ondate di pandemia arriva anche quest'anno Natale portando forse, assieme a una accresciuta incertezza, uno stimolo in più per approfondire il suo significato, se non altro per chiederci che cosa voglia dire per noi il celebrarlo dentro il variare delle circostanze. La festa del Natale è il fare memoria di un fatto unico e irripetibile nella storia umana, Dio che si fa carne, l'incarnazione del Logos di Dio in un uomo che ha promesso di stare sempre con noi fino alla fine dei giorni.

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er questo, non si capisce il Natale se non si guarda alla morte e risurrezione di Cristo. Non si può gioire del Natale se non si accetta la croce, argomento però divenuto tabù nelle festività natalizie ridotte a sagre sentimentali dal pervasivo risvolto commerciale, dove è quasi obbligatorio sentirsi più buoni, come effettivamente accade ai più. Celebrare il Natale include una prospettiva di eternità che sembra del tutto dimenticata, ma la smemoratezza degli uomini non è mai stata un ostacolo all'irrompere di Dio nella storia, e facciamo ancora esperienza della grande forza di questa profezia: «Il popolo che camminava nelle tenebre, vide una grande luce». Paolo Miki, celebrò il Natale di 525 anni fa in carcere a Osaka, assieme ad altri 25 compagni di fede. La sua storia – rintracciabile facilmente in Rete – ci può aiutare a ritrovare uno spirito natalizio più autentico. Il 5 febbraio 1597 in Giappone sulla collina di Tateyama alle porte di Nagasaki vennero erette 26 croci. Fu la prima esecuzione pubblica da quando lo Shogun Hideyoshi aveva ordinato di perseguitare i cristiani. Fino a quel momento non c'erano stati problemi, il grande gesuita missionario Francesco Saverio era arrivato in Giappone nel 1549, e in pochi anni i cristiani si erano moltiplicati, arrivando fino a 200mila

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credenti. Ma i “signori” dell'epoca, gli Shogun, si sentivano minacciati, temevano che la nuova religione avrebbe portato a un'invasione del Giappone da parte delle potenze occidentali. Soprattutto per questo iniziarono a perseguitare i cristiani. Paolo Miki era molto conosciuto tra i cristiani giapponesi. Era il primo gesuita giapponese, un grande predicatore, e molti si erano convertiti dopo averlo ascoltato. Fu arrestato a Osaka nel dicembre del 1596. In carcere con lui c'erano altri due gesuiti, sei missionari francescani, e diciassette laici giapponesi, tra cui due ragazzi, Antonio e Ludovico, di 11 e 13 anni. In tutto 26 cristiani. Subirono torture terribili, ma nessuno di loro rinnegò la fede. Furono costretti a camminare per trenta giorni da Osaka a Nagasaki, un tragitto di 800 chilometri nel rigido inverno giapponese. Un viaggio che si trasformò in una grande testimonianza di fede.

Il 5 febbraio 1597 vennero portati sulla collina di Tateyama per essere crocifissi. Quando videro le croci, su cui erano scritti i loro nomi, si inginocchiarono e le baciarono. Quel luogo viene chiamato “la santa collina”. Paolo Miki parlò un'ultima volta perdonando i suoi persecutori ed esortandoli a convertirsi. «Dichiaro pertanto a voi che non c'è altra via di salvezza se non quella seguita dai cristiani. Io volentieri perdono all'imperatore e a tutti i responsabili della mia morte, e li prego di volersi istruire intorno al battesimo cristiano». Morirono tutti lodando Dio fino all'ultimo respiro, e il sangue di questi martiri è diventato il seme di nuovi cristiani. Passarono più di 250 anni prima che dei missionari potessero tornare in Giappone, ma quando tornarono trovarono ad attenderli una fiorente comunità cristiana, i “Kakure kirishitan”, i cristiani nascosti. Avevano conservato la loro fede per oltre due secoli, e finalmente potevano tornare allo scoperto. Paolo Miki e i suoi 25 compagni furono beatificati nel 1627 e canonizzati da Pio IX nel 1862. La messa al bando dei cristiani dal Giappone è stata abolita ufficialmente nel 1873. Papa Francesco che da giovane gesuita desiderava andare in Giappone in missione, durante il viaggio apostolico del 2019 ha potuto finalmente pregare davanti alle reliquie di questi primi martiri giapponesi.


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Paesi e città di Nicola Maccagnan

Il Duomo di Feltre

L’antico organo “Callido” torna a splendere (e risuonare), dopo il restauro

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’organo del Duomo di Feltre è opera di Gaetano Callido, uno dei più grandi costruttori italiani del Settecento, che in 44 anni di attività produsse più di 400 organi. Dotati tutti di una forte riconoscibilità, l’organo del Duomo di Feltre ne è la versione “superaccessoriata”, lo strumento più completo che si potesse avere all’epoca, nel 1767, anno della sua costruzione. Si tratta di un organo doppio, ovvero a due tastiere e pedaliera, completo di tutti i registri, di tutti i timbri conosciuti e praticati dalla Scuola organara veneziana di cui Callido è il maggior esponente. La fama di questo costruttore può essere paragonata a quella del tedesco Gottfried Silbermann, costruttore degli strumenti di Johann Sebastian Bach. L’organo feltrino era già stato oggetto in passato di alcuni interventi di recupero, l’ultimo dei quali nei primi anni ‘80 del secolo scorso. All’inizio

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del 2019 lo strumento manifestò però nuovamente preoccupanti segni di cedimento, soprattutto nelle due canne centrali di facciata e in quelle interne più grandi; il parroco e il consiglio degli affari economici della parrocchia di S. Pietro Apostolo decisero così che non era più possibile procedere oltre. A raccontarci alcuni passaggi dell’intervento di restauro è Deniel Perer, giovane e apprezzato musicista feltrino, oltre che conoscitore della materia anche sul piano tecnico. “Il restauro, terminato ad ottobre 2021 – racconta Perer – è stato condotto dal

laboratorio di Giorgio e Cristian Carrara di Rumo (TN) in una collaborazione a quattro mani con la bottega organara da me condotta. Il progetto, presentato ed approvato dalla Soprintendenza di Venezia, è stato seguito dall’ispettore onorario Claudio Caretta. Anche la restauratrice Mariangela Mattia di Belluno è stata coinvolta in alcune operazioni”. Ci descrive in che cosa è consistito il recente intervento di restauro? “Il recente intervento non si è limitato unicamente alla rimessa a nuovo dell’organo, ma ha incluso anche la correzione e integrazione, con maggiore coscienza, degli interventi condotti nel 1980. Sono state ad esempio ricostruite le canne difettose, in particolare le due monumentali canne più grandi della facciata; è stata recuperata l’armonia sonora e funzionale-meccanica dello strumento secondo lo stile di Callido, di cui oggi possediamo una conoscenza molto approfondita; sono state apportate


Paesi e città

inoltre delle modifiche dal punto di vista estetico e della carpenteria, soprattutto nella parte del basamento della cassa, che è stata ricostruita seguendo lo stile tipico dell’arte di Callido e degli organi della Scuola veneziana della seconda metà del Settecento, sempre attraverso l’utilizzo delle stesse tecniche impiegate allora. Tra queste ultime, l’uso di materiali adeguati e la loro lavorazione all’antica, piallando a mano, incollando a caldo e impiegando ferramenta appositamente forgiata. Dopo sei mesi di lavoro incessante, l’organo è tornato agli antichi fasti, per quanto possibile fedele alla sua costruzione. Un’operazione resa possibile anche grazie alla presenza in provincia di uno strumento praticamente gemello a Candide (BL), perfettamente integro, grazie al quale si sono potute riprendere e copiare alcune parti mancanti, attingendo direttamente dal modello autentico. L’organo del Duomo di Feltre, insieme a quello di Candide, Auronzo Villagrande e Borca di Cadore, è uno degli strumenti di Gaetano Callido più grandi esistenti in provincia e testimonia non solo la maestria artigianale dell’organaro costruttore, ma più in generale l’amore de nostri antenati per l’arte e la volontà di costruire dei manufatti musicali che potessero durare per secoli.” Che tipo di musica è possibile eseguire con questo organo?

“Il repertorio più adatto a questo strumento è sicuramente quello tastieristico del barocco italiano, in particolare le musiche del Settecento veneziano, come ad esempio quelle di Galuppi, Pescetti, Luchesi, Valeri, etc.. Tuttavia il vantaggio di avere due tastiere con molti tasti anche nella regione dei “Bassi” e una tavolozza timbrica ricca di molti registri permette di suonare anche pagine di autori d’oltralpe, come i francesi e gli spagnoli, e persino numerosi brani di J. S. Bach”. Don Angelo Balcon, arciprete della concattedrale di Feltre dall'inizio del 2020, ha ereditato il progetto di restauro dell'organo e lo ha sposato convintamente. “Non è stata un'impresa semplice, sia per il periodo particolare con cui è coincisa, sia per le difficoltà tecniche e gli imprevisti riscontrati in corso d'opera”, racconta don Angelo, che guarda avanti, in particolar modo al significato che l'organo Callido potrà rappresentare non solo per il duomo cittadino. “La concattedrale è un luogo di culto e il nostro organo è e rimarrà lo strumento di accompagnamento delle celebrazioni liturgiche, soprattutto quelle più solenni. Anche grazie al supporto di alcuni enti e istituzioni stiamo però lavorando per immaginare qui un luogo privilegiato per la formazione e lo studio della musica sacra. Ci sono già alcuni appuntamenti in calendario a breve e medio termine; punteremo sulla re-

alizzazione di alcuni concerti di livello, magari cercando di inserirci in circuiti del settore di media e alta levatura. Feltre è già, da questo punto di vista, un polo di attrazione per giovani organisti che vengono a suonare nelle chiese della città da tutta la zona, ma anche da fuori provincia, come per esempio dall'alto Trevigiano; la tradizione di Giovanni Battista Mafioletti, presente nel duomo di Feltre proprio durante la costruzione del Callido, ha evidentemente lasciato una traccia ancor oggi feconda”. Da persona rigorosa ed attenta, oltre che da sacerdote appassionato del proprio ministero liturgico, don Angelo Balcon dà uno sguardo anche ai conti. “L'intervento di restauro dell'organo è stato estremamente impegnativo anche sul piano economico: la Parrocchia di San Pietro Apostolo ha sostento una spesa complessiva che si aggira sui 60 mila euro; la CEI ci ha sostenuto, grazie ai fondi dell'8 per mille, con un contributo pari a circa il 40% dei costi, ma reperire degli sponsor per iniziative di questo tipo non è molto semplice. Per questo, come detto, abbiamo in animo di favorire alcuni concerti di livello; nel frattempo il “nostro” Callido è all'opera per alcune registrazioni (notturne per non disturbare la fruizione giornaliera della chiesa) ad opera di alcune case editrici musicali che ne hanno già fatto richiesta”.

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Non solo animali di Monica Argenta

Un bue, un asinello e una mangiatoia:

ed è già Natale

Il Presepe di Sabbioni

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n bue, un asinello e un po' di paglia, magari sistemata a mo' di culla: questo è quanto veramente serve per allestire un Presepe. O almeno così la pensava San Francesco che in quella fredda sera di Natale, del 1223 a Greccio (RI) servì una Messa speciale e per rendere l'idea ai fedeli di cosa fosse la Natività, portò in chiesa un bue e un asinello. Francesco ufficiò su un' altare posato su una mangiatoia accanto ai due animali e ci fu anche qualcuno che giurò di aver visto un bambino materializzarsi da quella paglia. Suggestione o leggenda che sia, fatto sta che da allora vi fu la volontà tra i Cristiani Cattolici di “dare vita “ alla Natività, il desiderio di inscenare plasticamente la nascita di Gesù. Nei primi anni, anzi secoli, furono solo le Chiese a potersi permettere questo lusso ma poi, man mano, anche nelle case di tutti i fedeli nacque il desiderio di allestire il proprio Presepe. Certamente, prima del Presepe, la Natività fu rappresentata da artisti tramite sculture o pitture già negli anni anterio-

ri all'iniziativa di Francesco. Chiunque abbia la fortuna di trovarsi a Milano, ad esempio, potrà ammirare un sarcofago del IV secolo nella Basilica di Sant'Ambrogio dove nel marmo è stata incisa una delle più antiche raffigurazioni la nascita di Gesù. O al Vaticano, dove il sarcofago di Crispina riporta la scena composta da un bue e di un asinello accanto ad una culla occupata da un infante. In entrambi gli esempi, però, della Vergine Maria, di San Giuseppe, non c'è neanche l'ombra. Gesù, quindi, per gli artisti Cristiani dei primi secoli dopo la sua nascita, era un bambino che non necessitava, almeno alla nascita, di altri umani ma solo di due animali. Ovviamente teologi e storici si sono occupati di questa faccenda ed hanno rovesciato litri di inchiostro a tal proposito. La teoria più accreditata, ancora oggi, è che la rappresentazione della Natività, con la presenza dei due suddetti animali, si rifaccia ai versetti biblici attribuiti a Isaia: “Il bue ha riconosciuto il suo proprietario e l'asino la grippa del suo

padrone ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende” (Isaia.1,3). Il bue nei versetti della Bibbia rappresenterebbe gli Israeliani mentre l'asino sta per i Gentili ma entrambi i popoli vengono descritti come più incapaci degli stessi umili animali nel capire la vera natura del Cristo. Ci sono poi anche significati esoterici su questa simpatica coppia accanto al bambino e anche su questo si son spese pagine di teorie, magari da parte di “teologi” meno convenzionali. La tentazione è facile: il bue con le sue possenti corna ha simboleggiato virtù tra tutti i popoli mediterranei da Micene in poi e l'asino ha incarnato shakespeariane doti ben prima della stesura di “Sogno di mezza estete”.... Dopotutto, è bello che ognuno possa sentire e allestire il Presepe come meglio crede. L' importante e che ci si ricordi che l'umile e vitale calore animale è un dono che culla e alimenta in modo speciale ognuno di noi. Ed è con loro, con i nostri adorati animali, che è subito e sempre Natale.

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In ricordo di Raffaella Carrà di Laura Paleari

“A FAR LA MODA COMINCIO IO” "Io non mi sono fatta problemi a farlo vedere in tv (l’ombelico). Ero libera. Anche i 'colpi di testa' erano il segno della libertà dalla lacca, dalle sovrastrutture, dalla rigidità. Io ero così, senza costrizioni”

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a sua scomparsa ha sconvolto tutti, perché Raffaella Carrà non era solo una star ma un vero e proprio simbolo di cambiamento e rivoluzione. Di sangue bolognese, nata il 18 giugno del 1943, sotto il nome di Raffaella Maria Roberta Pelloni, studiò danza e recitazione per poi dedicarsi completamente al mondo della spettacolo. Negli anni ’60 assunse lo pseudonimo di Raffaella Carrà, sotto consiglio del regista Dante Guardamagna, il quale, decise di omaggiarla con il nome e cognome di due grandi pittori: Raffaello Sanzio e Carlo Carrà. La carriera di attrice, tuttavia, non ebbe particolare successo e riscontro nel pubblico, fu solo in seguito, negli anni ’70, che ebbe il suo esordio con il programma televisivo “Canzonissima” dove, non solo si esibì in una mise con l’ombelico scoperto (nessuna aveva mai osato tanto), con un completo bianco composto da crop top e pantalone attillato, ma venne addirittura censurata dalla Rai, per il suo iconico “Tuca Tuca” ,considerato troppo osè.

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La sua figura e il suo stile divennero presto iconici e indimenticabili, un vero e proprio segno distintivo. Pochi sanno, o si ricordano, che il simbolo per eccellenza della Carrà, il caschetto biondo, non fu presente fin dai suoi esordi; Raffaella nasce con dei capelli ondulati di colore rosso mogano; è solo in seguito alla sua apparizione in un programma Rai dove sfoggiava una parrucca bionda, che decise di “darci un taglio netto”. È incredibile come un taglio di capelli possa essere così incisivo, eppure fece la storia. Rosso, nero, bianco ed oro erano i suoi colori; collaborò con i più importanti costumisti del tempo, tra i quali: Renato Balestra, Gai Mattiolo e Gattinoni. Abiti iconici e uno stile personalissimo, tanto che, ancora oggi, i tessuti crepe con maniche strette e lunghe e grandi scollature sulla schiena vengono chiamati in Rai: “il crepe Carrà”. Esibendosi con i look più “futuristici” dell’epoca, anticipò le mode che arrivarono in seguito, con tute in pelle, spacchi vertiginosi ma anche look composti da blazer e pantaloni, preferiti dalla Carrà rispetto ai vestiti, per la loro comodità nel ballo; giocando con più stili, dal pop al rock, fino ad uno dei suoi più celebri look: il vestito rosso con maniche a sbuffo che

Luca Sabatelli creò appositamente per lei, per l’uscita di uno dei brani più famosi del repertorio della Carrà: “Fiesta”. Nel 2018, curata da Fabiana Giacomotti, a Cinecittà, venne addirittura realizzata una mostra dedicata ai costumi televisivi della Carrà; vennero esposti 40 degli oltre 400 indossati in scena dalla mitica Raffaella, la quale non ha fatto solo la storia della televisione ma anche del costume e della moda. La sua carriera venne infine consacrata negli anni ’90, con il programma televisivo su Rai 1: “Pronto, Raffaella?”, il quale mise finalmente in mostra le sue doti da conduttrice televisiva, una donna di spettacolo a 360 gradi, facendole vincere il titolo dell'European TV Magazines Asso-


In ricordo di Raffaella Carrà

ciation: "Personaggio televisivo femminile a livello europeo”. Tra le storie d’amore spuntano nomi del calibro di Gino Stacchini, Little Tony e Frank Sinatra, particolarmente colpito dalla sua bellezza e personalità, oltre

al coreografo e regista Sergio Japino; quest’ultimo è stato, fino alla scomparsa di Raffaella, annunciata dallo stesso, una delle persone più vicine a questa grande donna. Non ebbe mai figli ma, in realtà, dichiarava di “averne migliaia”: 150mila adottati a distanza da lei e da moltissime altre persone, grazie alle campagne portate avanti dalla sua conduzione del programma televisivo “Amore”. Scatenata ma raffinata, sensuale ma mai volgare, la freschezza che ha portato nelle case degli italiani, e non solo, rimane e rimarrà indelebile per sempre. Raffaella Carrà non era perfetta… per i canoni televisivi era bassa, aveva un naso molto importante, la bocca larga e i

fianchi troppo stretti, ma poco importava; un esempio per tutti quelli che pensano che avere la taglia 36 sia l’unico e indispensabile requisito per avere successo.

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L’ALBERO DI NATALE

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a corsa ai regali vince la paura del caro prezzi. Nonostante le incognite e la crescita dell’inflazione, nel mese scorso molti hanno anticipato le spese natalizie. L’effetto dei prezzi peserà sulla festività, ma questo non fermerà l’antica tradizione di lasciare i doni sotto l’albero. Ciò non toglie che all’italiano il Natale costerà caro. L’allarme è lanciato dall’associazione dei consumatori e dai rappresentanti degli agricoltori. È stato realizzato uno studio preliminare per verificare come gli aumenti dei prezzi nel settore dell’energia, dei carburanti e nelle materie prime potrebbe riflettersi negativamente sulle spese delle famiglie nelle feste invernali. Ne risulta un Natale costoso sul fronte prezzi e tariffe.

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parità di consumi rispetto all’anno pre-pandemia, agli italiani potrebbe costare circa 1,4 miliardi di euro in più. I rialzi maggiori, secondo il rapporto del Codocans, riportato dal Sole 24, dovrebbe riversarsi sul lato alimentare, pandori e panettoni (più 10 %). Viaggi (più 7 %) e regali di Natale (più 5%). Nessuno è escluso. Una stima prudenziale degli aumenti vede solo per il tradizionale cenone e pranzo natalizio una spesa di circa 100 milioni di euro in più rispetto al 2019. Non è finita qui. Infatti, la spesa per i regali di Natale e gli addobbi potrebbe aggirarsi intorno ai 7,9 miliardi di euro rispetto ai 7,5 miliardi del 2019. Ci sono poi le ripercussioni sul costo viaggi. Spostarsi, per l’italiano che potrà partire, risulterà maggiormente costoso rispetto al passato. Incrementi dei listini per carburanti, treni, aerei, pacchetti vacanza, strutture recettive. Si prospetta un Natale condizionato dal caro-prezzi e dalla preoccupazione per la tenuta del reddito familiare, ritenuto inferiore rispetto agli anni precedenti. L’Osservatorio Findomestic,

di novembre, rivela la tendenza degli italiani per lo shopping natalizio. La società di credito al consumo del gruppo Bnp Paribas in collaborazione con Eumetra, dice che tre italiani su dieci (33 %) ha approfittato degli sconti Black Friday per i regali di Natale, il 37 % farà shopping a ridosso delle festività e il 18 % non farà doni. Aleggia nell’aria la percezione di riduzione del potere d’acquisto e la necessità di risparmiare sui consumi per pagare bollette e riscaldamento. Comunque si gira, è in arrivo il Natale più caro dell’ultimo decennio e in Italia le famiglie in povertà, rispetto agli anni precedenti, sono aumentate vertiginosamente. Nulla però è in grado di fermare la tradizione natalizia. Dicembre è il mese più atteso da grandi e piccini; le città si animano a festa, luci, canti natalizi e lunghe code fuori dai negozi. Un’atmosfera di attesa per i pranzi e le cene in famiglia e i pacchetti sotto l’albero da scartare. I tempi sono cambiati, tra restrizioni e incertezze economiche, ma nulla può fermare la tradizione italiana del vivere la festa. Il budget a disposizione è ridotto per molte famiglie, magari questo potrebbe rappresentare un riavvicinarsi ai vecchi valori natalizi. Natale è la festa della tenerezza e del calore umano e come dice Papa Francesco, la bellezza del Natale traspare nella condivisione di piccoli gesti di amore concreto. Non è superficiale, al contrario, allarga il cuore, lo apre alla gratuità e al dono di sé. Al dopo ci pensiamo poi, intanto il Natale non ha prezzo.


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Viaggio nel futuro per conoscere il passato di Alvise Tommaseo

IL TURISMO GENEALOGICO NEL BELLUNESE

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lla vigilia del Natale di 145 anni fa, più precisamente il 21 dicembre 1876,iniziava l’epopea dell’emigrazione bellunese verso le mitizzate, lontanissime “Meriche”. Dalla piccola ed, all’epoca, poverissima frazione di Fastro D’Arsiè partiva un gruppo di 58 persone, con destinazione la regione del Rio Grando Do Sul, nel sud del Brasile. In tutto 11 famiglie guidate dal parroco don Domenico Antonio Munari. Quel giorno le campane della locale chiesa suonarono ripetutamente a morto; tutti i 319 abitanti di quel borgo sapevano che si trattava di una partenza senza ritorno, l’addio a parenti ed amici era definitivo. Alle loro spalle, chi se ne andava, lasciava, malinconicamente, un paese stremato dalla miseria, dalle malattie, dalle calamità naturali. Il viaggio, durato quasi cinque mesi, fu una vera odissea che costò la vita a vari migranti. I superstiti sbarcarono a Porto Alegre il 10 maggio 1877. Da allora furono migliaia i Bellunesi, in particolare i residenti della vallata feltrina, a lasciare la loro terra. Fino all’epoca fascista le mete preferite furono Brasile, Argentina e Stati Uniti, a cui poi si aggiunsero Canada ed Australia; nel secondo dopo guerra l’emigrazione s’indirizzò verso Francia e Belgio, per poi, dagli anni ’60,virare verso Milano e Torino, dove le

nascenti industrie cercavano mano d’opera di qualità. Quando si parla dell’emigrazione dei bellunesi non si può non menzionare la storia di Anna Rech, che recentemente ha,addirittura, preso vita in un fumetto storico pubblicato dall’Associazione Bellunesi nel mondo dal titolo “Oltre l’ignoto le avventure di Anna Rech e Jack Costa” scritto da Andrea Barattin. Il successo di Anna Rech rappresenta nel migliore dei modi quei seicento Feltrini

che lasciarono i loro paesi ed i loro borghi nel triennio tra il 1875 ed il 1878 per raggiungere l’America, di questi, quasi la metà, proveniva da Seren Del Grappa. E l’emigrazione da questo Comune proseguì in modo massiccio negli anni successivi, basti pensare che tra il 1876 e il 1897 vennero rilasciati ai residenti ben 1015 nulla – osta validi per l’espatrio.

Molti di loro raggiungessero il Brasile in particolare la cittadina di Santa Caterina. Nell’epopea dell’emigrazione bellunese merita sicuramente un ricordo anche la storia di Giovanni Guido Conedera, giovane originario di Taibon Agordino che partì, alla volta del Sud America, nel 1879, ma che, per un imprevisto, sbarcò, suo malgrado, in Guatemala, dove, alla fine, decise di rimanere con il nome di Juan. E proprio quel nome venne dato ad un suo pronipote nato nel 1922 che, entrato giovanissimo nel seminario di Città di Guatemala, fu ordinato sacerdote nel 1946. Uomo di grande fede e di ottima cultura divenne vescovo e guidò, con grande carisma, varie diocesi del Paese centro americano. Sempre dalla parte degli ultimi, si schierò con coraggio a difesa dei diritti umani contro le violenze e le sopraffazioni messe in atto dai militari e dai guerriglieri. Monsignor Juan Conedera venne brutalmente assassinato il 26 aprile 1998 ed oggi, ad onorare questo discendente di emigrati bellunesi, è stato aperto il processo di beatificazione come

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Viaggio nel futuro per conoscere il passato La stragrande maggioranza di loro non conosce nemmeno il nome dei paesi da cui partirono i loro antenati e, comunque, non ha mai visitato la terra delle proprie origini. Oggi, in molti, sentono l’esigenza di vedere con i propri occhi e di visitare questi luoghi.” La ricercatrice castellana a questi particolari turisti non propone, quindi, uscite guidate a piazza San Marco, a Rialto, all’Arena di Verona, alla cappella degli Scrovegni, e nemmeno a Cortina D’Ampezzo o ad Aquileia. Niente musei famosi o interessanti mostre di dipinti. “La mia

martire. A tenere viva la memoria ed il legame tra i discendenti degli emigrati e la loro terra di origine esiste oggi l’attivissima associazione dei Bellunesi nel mondo, promotrice di molte iniziative a livello storico – culturale. Fra queste a Castelfranco Veneto è nato un nuovo tipo di turismo, quello genealogico, ovvero il turismo delle radici, degli antenati, delle proprie origini. L’idea, che in Europa ha pochissimi precedenti, è di Catia Dal Molin, una ricercatrice italo – brasiliana di quarta

generazione, nata nel sud del Brasile, con trisnonno di Castello di Godego e con progenitori anche nel bellunese, da 15 anni residente nel trevigiano. “Il turismo genealogico – spiega la studiosa – è una nicchia di quello culturale ed ha una sua interessante collocazione al fianco di quello religioso, patrimoniale, educativo, gastronomico ed antropologico. Ci sono milioni di persone nelle Americhe ed in Australia – aggiunge Catia Dal Molin - che discendono da immigrati Italiani e, in particolare Veneti.

proposta culturale è ben diversa – ribadisce - si andranno, infatti, a visitare le chiese, dove gli antenati sono stati battezzati, i luoghi che, nella loro giovinezza hanno frequentato; se esistono ancora le case dove sono nati i progenitori, le campagne che hanno coltivato, insomma i posti dove hanno vissuto. E se le ricerche che effettuerò lo renderanno possibile i più fortunati potranno magari conoscere dei loro parenti lontani.” Questo modo di viaggiare vuole valorizzare luoghi e località meno turistiche e famose; le piccole realtà, i vecchi borghi, a volte semi abbandonati e dimenticati dal 44


Viaggio nel futuro per conoscere il passato

tempo. L’operatore turistico del settore genealogico, per forza di cose, deve avere la passione per la ricerca storica e grande conoscenza del territorio. Gli archivi parrocchiali, delle anagrafi comunali e quelli catastali sono sicuramente grandi fonti di notizie per Catia Dal Molin e per chiunque altro volesse immergersi in questo mondo del passato, che però diviene linfa vitale per tanti discendenti dei nostri emigrati sparsi in tanti Paesi del mondo. Ma il settore del turismo genealogico può avere anche un ulteriore sviluppo. Centinaia di migliaia di Veneti lasciarono,

nel corso di un secolo e mezzo, le loro terre, le loro case in cerca di fortuna in continenti lontani. Molti, con grandi sacrifici, centrarono, almeno parzialmente, il loro obbiettivo e non tornarono più nella terra di origine; tanti altri, invece, dopo un’esperienza durata vari anni, furono vinti dalla nostalgia e rientrarono. “Ebbene – sottolinea la ricercatrice – alcuni dei loro discendenti vorrebbero ora visitare le località dove emigrarono temporaneamente i loro nonni e bisnonni, molti dei quali avevano raggiunto all’inizio del Novecento il sud America, in particolare,

l’Argentina ed il Brasile, ma anche gli Stati Uniti, il Canada e, nell’ultimo dopo – guerra, il Venezuela.” Il Paese che Catia Dal Molin conosce meglio è il Brasile, perché è lì che emigrarono i suoi progenitori. “Soprattutto nelle regioni del sud – sottolinea – la grande maggioranza della popolazione

discende da emigrati italiani, in particolari Veneti e, tra questi, la parte del leone la fanno trevigiani e bellunesi.” La ricercatrice di Castelfranco, che è laureata in Storia, ha insegnato all’università brasiliana di Santa Maria, ha collaborato con radio e giornali locali, oltre che con associazioni italiane fondate in quel lontano Paese. E’ autrice del libro “Senza ritorno: l’emigrazione italiana in Brasile” e curatrice di vari volumi quali “Ti tasi sempre, ti parli mai”, pubblicato in Italia e in Brasile.Inoltre ha partecipato dei volumi “Merica, Merica, Merica, basta de miseria”; “150 anni di immigrazione italiana in Rio Grande do Sul.”

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A parere mio di Emanuele Paccher

Il mondo che non c’è:

quanto le nostre stime delle cose si avvicinano alla realtà?

Q

uanti riteniamo che siano in percentuale gli immigrati in Italia? Quanti sono in realtà? Quanti disoccupati pensiamo che ci siano nel nostro paese? Qual è il loro numero ufficiale? In media gli italiani ritengono che il 26% dei residenti in Italia siano immigrati e che il tasso di disoccupazione sia il 49%. In realtà gli immigrati rappresentano il 9%, e il tasso reale di disoccupazione è circa il 10%. Nando Pagnoncelli parla di “Penisola che non c’è” per indicare l’ampia forbice tra l’idea che un italiano si è fatto della realtà e la realtà stessa. Come dice lo stesso Pagnoncelli il problema è che “La percezione diventa realtà, è essa stessa realtà; una realtà che si posa su quella primaria e finisce per sostituirla”. Ma da cosa sono influenzate le nostre stime? Perché è così facile cadere in errore? Innanzitutto la scolarizzazione riveste un ruolo fondamentale e l’Italia, purtroppo, presenta grandi carenze. Secondo i dati Istat, si stima che la quota di diplomati tra i 25 e i 64 anni sia pari al 61,7% nel 2018, mentre meno di due su dieci sono laureati (19,3%). Anche da ciò scaturisce il fatto che molte persone hanno scarsa

dimestichezza con i numeri e le percentuali, e faticano a fornire la stima corretta di un fenomeno. Questo non vuol dire che bisogna essere laureati per capire la situazione o sviluppare determinate competenze, ma senza dubbio l’istruzione aiuta ad avere più strumenti per interpretare una realtà che è sempre molto complessa. Dopodiché, nell’uomo tende sempre a prevalere l’emozione sulla razionalità. Come direbbe Kahneman, è il sistema 1, quello impulsivo, emotivo, ad agire per primo e a dominare la scena. E in un mondo in cui veniamo bombardati da “fake news” che puntano ad impressionarci, a far colpo sulle nostre emozioni, e con la politica che spesso cerca di cavalcare le nostre paure, ben si comprende come sia difficile mantenersi razionali, e non cadere in errori nella comprensione e nella stima dei fenomeni. Diceva Seneca: “Spesso nel giudicare una cosa ci lasciamo trascinare più dall’opinione che non dalla vera sostanza della cosa stessa”. Simili fenomeni

psicologici entrano in gioco anche in altri ambiti. Si pensi ad esempio alla riforma di “Quota 100”: se un lavoratore anziano va in pensione di conseguenza verrà assunto almeno un giovane, vero? Questa soluzione ci sembra ovvia, scontata, asseconda subito le nostre convinzioni e ci dà facili risposte sul funzionamento del mercato del lavoro. Peccato che sia errata: la forza lavoro non è fissa, e poi giovani e anziani non sono proprio intercambiabili, viste le differenze di esperienza e mansioni. L’evidenza empirica ci mostra che i Paesi in cui vi è una più alta percentuale di lavoratori senior al lavoro sono anche gli stessi più virtuosi per il lavoro dei giovani. In economie sane ci sono pochi disoccupati in entrambe le categorie. Gli errori percettivi in alcuni settori talvolta diventano colossali, e possono portare alcuni soggetti a ritenere che la terra sia piatta, che il mondo sia governato da Soros, che il virus Covid-19 sia una banale influenza, che attraverso il vaccino venga modificato il nostro DNA e ci venga impiantato un chip. Per dirla assieme a Gabbani: “Non esiste prova alcuna dello sbarco sulla luna, le piramidi egiziane sono marziane”. È così facile credere ad un mondo che non c’è.

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Umana-Mente di Chiara Paoli

Shamsia Hassani, a colpi di graffiti

I

l tempo delle festività natalizie è spesso un tempo di riflessione, un momento in cui pensare a quanto si è fortunati a vivere in una nazione dove regna la pace, ma gli echi della guerra sono vicini e Shamsia Hassani è una giovane artista afghana, che con i suoi graffiti ci aiuta a riflettere sulle ingiustizie di questo mondo. Shamsia il cui vero nome è Ommolbanin è nata in Iran a Teheran nell’aprile del 1988, i suoi genitori sono afgani emigrati per sfuggire alla guerra civile Talebana. Fin da piccola è evidente il suo talento artistico ma agli studenti afghani non è consesso di studiare la pittura. Si traferisce quindi a Kabul dove ha la possibilità di seguire le sue inclinazioni, laureandosi in Arte e Arte Visuale nel 2005 e divenendo docente di questa stessa Università. Considerata la prima graffitista afgana è co-fondatrice di Berang Art Organization, gruppo di artisti che sostiene l’arte e la cultura contemporanea in Afghanistan. Nel dicembre 2010 Shamsia Hassani apprende l’arte dei murales grazie ad un corso organizzato a Kabul da Combat Communications e condotto da Chu, un artista inglese. Inizia così a praticare la street art. Lavora velocemente per

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evitare di essere disturbata e molestata. “Quando la gente mi vede all’aperto a realizzare graffiti impreca, alcuni (uomini) mi insultano e definiscono ciò che faccio un peccato”, ha sostenuto in un’intervista al Guardian del 2019. “In Afghanistan la gente non è contraria all’arte, ma è contro il fatto che ci siano (anche) donne che svolgono attività di questo tipo”. Shamsia è convinta di ciò che fa: “Credo che i graffiti siano una gran forma d’arte, perché li possono vedere tutti” e come dare torto a questa sua constatazione. La sua opera d’altronde rientra in quella che possiamo definire un’arte di denuncia sociale. Le sue opere ci parlano di donne che non trovano spazio e non hanno voce in un mondo prevalentemente succube del potere maschile. Spesso si tratta di donne oppresse dalla società in cui vivono, indossano il burka, sono provate dallo strazio della guerra, dalla vista della distruzione e del sangue che scorre eppure sono così belle e piene di grinta, come se gridassero al mondo la loro esistenza. La sua arte si è diffusa sui muri della città di Kabul, ma anche girato il mondo approdando anche in Europa e in America. Nel 2014, Shamsia è stata menzionata nella lista dei “100 Leading Global Thinkers” dalla rivista Foreign Policy. Le sue opere hanno sostenuto l’arte al femminile nel suo paese e ispirato migliaia di donne nel mondo. Sulla rivista Art Radar in un’intervista Shamsia ha detto: “Voglio colorare i brutti ricordi

della guerra e se coloro questi brutti ricordi, allora cancello la guerra dalla mente delle persone. Voglio rendere l’Afghanistan famoso per la sua arte, non per la sua guerra.” Il suo impegno sociale è visibile anche nel murale realizzato nel 2013 presso l'Unione operaia di Ginevra, nel quartiere delle Grottes che rappresenta delle donne migranti vittime di violenze accolte nei centri d'accoglienza. L’opera è stata realizzata il 14 giugno per commemorare il primo sciopero nazionale delle donne svoltosi in Svizzera nel 1991, al grido del motto “Se le donne vogliono, tutto si ferma”. Nel 2014, Hassani è finalista per il premio Artraker con il suo progetto La magia dell'arte è la magia della vita. Lo stesso anno è stata nominata tra i 100 membri dei global thinkers. Shamsia è dovuta fuggire dal suo paese, che è caduto nuovamente in mano ai Talebani e tutto ciò che è stato con fatica ricostruito in questo periodo appare perduto. Le sue opere sono una viva testimonianza della storia travagliata di questa terra e di questa gente, un pensiero va a quanti non potranno festeggiare il Natale e le festività con i propri cari nella tranquillità e in pace.


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Come è nato lo stemma della nostra Repubblica

L

o stemma italiano (stella, ruota dentata, fronde di olivo e di quercia e nastro con la scritta “Repubblica Italiana”) L'emblema dello Stato italiano - composto da stella, ruota dentata, fronde di olivo e di quercia e nastro con la scritta “Repubblica Italiana” - nacque in seguito a un concorso bandito il 5 novembre del 1946, dopo che con il referendum del giugno precedente era stata scelta la forma repubblicana dello Stato Si aggiudicò la gara Paolo Paschetto, pittore, incisore, illustratore, docente di belle arti e disegnatore di francobolli e banconote, nato a Torre Pellice (TO) nel 1885 e morto nel 1963. Per la cronaca ai primi 5 classificati fu assegnato un premio di

10mila lire mentre Paolo Paschetto si aggiudicò ulteriori 50mila lire e l’incarico di preparare definitivamente lo stemma della Repubblica Italiana. Parteciparono alla gara circa 350 proposte da tutta Italia, ma non essendo stato selezionato un vincitore, si rese necessario un secondo bando nel giugno del 1947 al quale si iscrissero circa 200 bozzettisti. La regola principale, alla quale tutti dovevano attenersi, specificava che il bozzetto non doveva contenere nessun simbolo di partito e la necessità che nello stemma figurasse la Strella d’Italia. I due concorsi videro la presentazione di oltre 800 bozzetti realizzati da artisti e dilettanti vari. La proposta di Paschetto per l'emblema della Repubblica Italiana era caratterizzata da tre elementi portanti: la stella, la ruota dentata e i rami di ulivo e di quercia. Secondo studiosi ed esperti di grafia il ramo di ulivo simboleggiava la volontà di pace della nazione, sia nel senso della concordia interna che della fratellanza internazionale. Il ramo di quercia rappresentava la forza e la dignità del popolo italiano. La ruota

dentata d'acciaio, simbolo dell'attività lavorativa, metteva in evidenza il primo articolo della Carta Costituzionale: "L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro". Alla fine di numerose modifiche da parte dei membri della Commissione, il bozzetto fu approvato dall'Assemblea Costituente il 31 gennaio 1948 e dopo la scelta dei colori definitivi, il 5 maggio 1948 il nuovo simbolo fu consegnato all'Italia grazie alla firma del Presidente della Repubblica Enrico De Nicola.

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FREDDIE MERCURY:

IL MITO A 30 ANNI DALLA SCOMPARSA

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ono passati esattamente 30 anni dalla fredda sera del 24 novembre 1991 quando il Mondo apprese la notizia della morte di Freddie Mercury. Da quella data il mito diventò legenda. A soli 45 anni si spense una delle più grande icone musicale degli anni '70 ed '80, da molti definito come un personaggio istrionico e carismatico, simbolo di una generazione, genio e sregolatezza, animale da palcoscenico. La sua vità fù talmente intensa che nel 1987 in un intervista lo stesso Mercury disse: “ ho vissuto una vita piena e se dovessi morire non m’importerebbe, ho fatto tutto ciò che volevo, davvero”. Il suo nome è sempre stato legato alla band dei Queen con la quale conquisto il Mondo a suon di brani. Nato a Zanzibar il 5 settembre del 1946 il suo nome di battesimo era Farrokh Bulsara e ad appena un anno di vita vinse un premio di bellezza per neonati. Trascorse l'adolescenza in India, fino all'età di 13 anni per poi trasferirsi in Inghilterra nel 1966. Le sue doti canore non passarono inosservate ai docenti dell'epoca. La nascita dei Queen

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Dopo aver mosso i primi passi in alcune band locali, Freddie Mercury fondò i Queen nel 1970 assieme al chitarrista Brian May e il batterista Roger Taylor. Fu lui a scegliere il nome della band: “Queen è un nome corto semplice e facile da ricordare e poi esprime quello che vogliamo essere: maestosi e regali. Il glamour è parte di noi e vogliamo essere dandy”. Il primo album omonimo nel 1974, il secondo Queen II nel 1974. Entrambi furono subito aprezzati dal pubblico e dalla critica anche se la vera consacrazione arrivo con l'album "A Night at the Opera" nel 1975: una consacrazione anche grazie al classico Bohemian Rhapsody. Gli anni successivi furono un continuo di successi internazionali. Mercury si avvicinò sempre di più al glam rock e alle sue ispirazioni e atmosfere eccentriche. Lasciò Mary Austin appena fu cosciente del suo orientamento bisessuale, la donna rimase comunque al suo fianco per tutta la vita. Mercury divento un icona di stile a livello mondiale nel 1980 quando si tagliò i capelli e si fece crescere i baffi in stile “Castro Clone” lanciato a San

Francisco dalla comunità omosessuale. Dopo un breve periodo di separazione i Queen tornaro a lavorare insieme nel 1983 con l’album The Works. Il cantante nel 1985 conobbe Jim Hutton, il compagno più importante della sua vita. Il 29 aprile dello stesso anno uscì Mr. Bad Gay, il primo album solista del leader dei Queen. L’ultima esibizione risale all 9 agosto del 1986 nel parco di Knebworth, davanti a 120mila spettatori, quando il cantante si accorse dei suoi problemi di salute, dopo alcuni accertamenti gli fu diagnosticata la sindrome dell’Aids nel 1987. Il cantante abbandonò la vita pubblica e non organizzò più concerti. Le sue apparizioni divennero sempre più rare. L’Aids gli provocò una grave broncopolmonite, il morbo di Kaposi e gravi problemi respiratori cronici. Non seppe mai con certezza da chi era stato contagiato. Mercury continuò a scrivere e a comporre: nel 1988 uscì il suo secondo album di inediti, Barcelona, La sua ultima esibizione dal vivo si tenne nel 1988 davanti al Re e alla Regina di Spagna. L'addio a Freddie Mercury


Il personaggio Mercury passo gli ultimi giorni di vita a Londra circondato da alcuni amici e familiari. Le sue condizioni peggioravano inevitabilmente nonostante le cure sperimentali cui veniva sottoposto. Cominciò a perdere la vista, non riusciva più ad alzarsi dal letto, non prendeva più farmaci se non antidolorifici. Il 22 novembre fece scrivere un comunicato per spiegare la sua situazione ai fan e zittire la stampa che continuava a speculare su di lui: “In seguito alle disparate congetture diffuse dalla stampa nelle ultime due settimane, desidero confermare che sono risultato sieropositivo e di aver contratto l’AIDS. Ho ritenuto opportuno tenere privata questa informazione fino a oggi per proteggere la privacy di quanti mi circondano. Comunque è giunto il momento di far conoscere la verità ai miei amici e ai miei fan e spero che si uniranno a me, ai miei dottori e a quelli di tutto il mondo nella

lotta contro questa terribile malattia”. La morte alle 18:48 del 24 novembre del 1991. I funerali si svolsero in forma privata per pochi intimi, mentre l’ultimo album di inediti con i Queen "Innuendo" uscì postumo, nel 1991, come da sua precisa ed espressa volontà. Intervistato in precedenza sull’aldilà, Freddie non aveva avuto dubbi nella scelta tra Paradiso e Inferno: “L’Inferno è molto meglio. Guarda quante persone interessanti si possono incontrare laggiù! Se devo andare da qualche parte, meglio là”. A 30 anni dalla morte il suo mito raccoglie l'amirazione di milioni di fan, molti dei quali giovanissimi.

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Canti di Natale di Gabriele Biancardi

LE NOTE DI GRANDI CANTANTI CHE SCALDANO I CUORI

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bbiamo già detto vero che la musica accompagna qualunque nostro momento. Lieto, triste, festaiolo, di protesta, anzi trovo strano che ancora non siano nati brani che sostengano i no vax. Un Guccini che possa esaltare il loro pensiero. Ma la politica non mi appartiene, nel senso che non essendo il mio campo mi dedico ad altro. Il Natale si avvicina e con esso lo scongelamento di Michael Bublè. Cantore di jingle bells e white christmas. Devo dire che è riduttivo inserire il crooner canadese sono in quell'intervallo di tempo che va da fine novembre al sei di gennaio. Bublè è davvero un cantante formidabile, ma purtroppo si è inserito in un ingranaggio duro a morire. Quello del cantante di Natale. Non è il solo, nonostante dischi di platino, concerti in ogni dove, pure Mariah Carey con il primo nevischio, riappare sui circuiti natalizi. La sua “All i want for christmas it's you”, viene suonata in ogni parte del globo. D'altronde ci sarà un motivo se il 45 giri più venduto di ogni tempo è quel “White Christmas” di Bing Crosby con ben oltre 50 milioni di copie! Uscito nel 1942 in piena seconda guerra mondiale, la calda voce di Bing, riscaldava i cuori di ogni latitudine. Gli artisti che si sono cimentati con un omaggio alla nascita più famosa di tutti i tempi sono tanti e alcuni piuttosto insospettabili. Già, perchè se Bublè, Carey, Crosby e Sinatra fanno parte di una spotychristmas list, magari Ariana Grande, Coldplay, Elvis Presley o addirittura gli Ea-

gles di solito occupano altre classifiche. Anche da noi non scherziamo, opponiamo un classico Mario Biondi ad un gruppo come i Subsonica! Da Irene Grandi a Morgan e i suoi Vertigo. Insomma, sono pochi coloro che non hanno ceduto al dolce cimentarsi con arie stracolme di zampogne e campanellini. Ovviamente sui grossi nomi, Mina, Modugno, Renato Carosone non ci sono dubbi. Mi piace pensare che non siano state tutte mere operazioni di mercato, voglio illudermi che per tanti di loro, cantare il Natale, sia stato un omaggio alla propria adolescenza se non infanzia. Pure Laura Pausini non ha voluto mancare una strenna natalizia. La mia domanda però è la seguente. A parte le radio, la filodiffusione, nelle case, si ascoltano ancora cd interi? Noi abbiamo anche una tradizione di cori di montagna che hanno fatto lavori splendidi in questo senso. Ci hanno regalato note immortali e tali resteranno. Ma vorrei essere una telecamera nascosta per poter sentire cosa si ascolta a Natale del 2021. Da diversi anni io mi sono preso un privilegio dato dal ruolo e dall'anzianità di servizio radiofonico. Mi sono sempre messo in turno dalla 9.00 alle 12.00. Adoro poter entrare nelle case di chi ascolta, ma non solo, il giorno di Natale non è fatto solo da odore di cibi buoni,

di regali scartati, di abbracci e auguri. Per chi lavora in ospedale, chi fa turni del proprio mestiere, nelle case di riposo o semplicemente per coloro che si spostano in auto per tornare a casa, ecco per questi e tanti altri, io giorno di Natale è solo un pochino più triste. Allora mi piace pensare di sentire alla radio una voce che sentono tutti i giorni, come se fosse un turno normale, niente di eccezionale. Ogni anno sono tantissimi coloro che scrivono la mattina del 25, che richiedono le canzoni più disparate, magari lontane dallo spirito di Bublè che aleggia su tutti noi. Mi permetto di sottolineare due pezzi natalizi che magari non troverete negli album “The best of Christmas songs”. La prima arriva fino al cuore, grazie alla voce di Giuni Russo, artista purtroppo non più tra noi, che ha inciso una versione dell' Adeste Fideles che semplicemente ti scava l'anima e una molto più prosaica: “Please come home for Christmas” dei sopracitati Eagles. Band californiana più famosa per hotel di dubbia frequentazione. Poi ognuno di noi sceglie quel giorno, dobbiamo ricordarci che siamo una società che sta diventando sempre più multietnica, tanti non festeggiano, non ascoltano e magari trovano pure strano quel nostro ciondolare al ritmo delle canzoni dicembrine. Difenderò sempre i pensieri altrui, le usanze e i credo. Come spero di ricevere la stessa cortesia e ora scusate, ma sento l'impellente bisogno di un Bing Crosby di annata! Auguri di cuore a tutti voi.

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Economia e finanza di Emanuele Paccher

Che cos’è lo spread?

L

o spread è la misura della differenza tra il rendimento dei titoli di stato italiani a 10 anni, ossia i buoni del

tesoro poliennali (BTP), e gli equivalenti titoli pubblici tedeschi. Facciamo un esempio pratico per comprendere questo indicatore economico. Se i BTP italiani fanno registrare un tasso di interesse del 3% e quelli tedeschi dello 0,5%, la differenza è del 2,5%. Lo spread, in questo caso, equivarrebbe pertanto a 250 punti.

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Cosa sono i BTP? Sono delle obbligazioni che garantiscono all’acquirente una percentuale d’interesse come rendimento alla scadenza decennale. Ciò che lo Stato ricava dall’emissione obbligazionaria è necessario per far fronte alle spese che non sono coperte dalle entrate derivanti dal gettito fiscale. Come si può capire, quanto più alto è il rendimento di un titolo, tanto maggiore sarà il debito del paese emittente. Se lo Stato è giudicato affidabile dai mercati, le obbligazioni saranno considerate sicure, e l’interesse di collocamento sarà basso, con una conseguente riduzione del debito. Viceversa, se lo Stato non è considerato affidabile,

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Economia e finanza per poter vendere i propri titoli ci sarà la necessità di aumentare i tassi di interesse per attrarre gli investitori, e questo avrà come conseguenza l’aumento del debito. Ma perché nel calcolo dello spread si fa riferimento ai titoli tedeschi? Lo si fa poiché i titoli tedeschi sono considerati i più sicuri. E perché questo confronto con la Germania è così importante? Perché è un problema se aumenta il divario? L’aumento dello spread incide negativamente sull’economia principalmente attraverso due canali. Il primo è di natura finanziaria: se i tassi di interesse sui BTP aumentano, tende a crescere anche il costo del denaro per banche, imprese e famiglie. Le banche diventeranno più prudenti a prestare, sia perché vi sarà un generale indebolimento dell’economia, sia perché l’aumento dei tassi di interesse sui titoli di stato di nuova emissione causa una perdita di valore nei titoli già in circolazio-

ne (emessi a tassi di interesse più bassi), e considerato il fatto che le banche investono una percentuale rilevante del loro attivo in titoli di stato, esse subiranno una perdita quando il valore dei titoli di stato scenderà. Va da sé che se le banche non prestano l’economia si ferma o addirittura arretra. Il secondo canale è quello che agisce a livello psicologico. L’aumento dello spread segnala la difficoltà dello Stato a prendere a prestito. Ci sarà un certo limite superato il quale gli investitori smetteranno di acquistare i BTP anche a tassi elevati, poiché l’aumento dei tassi di

interesse rende più difficilmente sostenibile il debito e aumenta la possibilità di una bancarotta. La conseguenza è che lo Stato perderà l’accesso al mercato e dovrà ridurre moltissimo la propria spesa. E ridurre la spesa significa che andranno toccati settori fondamentali come sanità, previdenza sociale, istruzione.

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Tra passato e presente di Alice Vettorata

JOSEPHINE BAKER

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a protagonista di questo articolo è una danza sfrenata, ma che ha un significato opposto rispetto a quella che abbiamo avuto modo di vedere in Senato lo scorso novembre, risultato dell’affossamento della legge sui diritti civili, il DDL Zan. Sì, perché quella della quale parleremo è la danza di Joséphine Baker, nata Freda Josephine McDonald, un’artista vissuta agli inizi del Novecento che grazie alle sue capacità d’intrattenimento è riuscita a veicolare messaggi d’inclusione. Una danza fatta per il motivo opposto a quello che è stato divulgato di recente. La Baker invece era stata plasmata da queste tematiche, tanto che divennero una missione da portare a termine. Nacque nel Missouri, metà creola afroamericana e metà amerinda degli Appalachi. Dopo essersi allontanata dalla famiglia già all’età di tredici anni iniziò a contrastare il sistema della segregazione razziale che stava attanagliando l’America, esibendosi come danzatrice in teatri a St. Louis e a New York, quando molti limiti non permettevano libertà alle persone nere. La svolta significativa nella sua vita avvenne nel 1925, anno in cui grazie al suo ottimo ruolo artistico all’interno del Rinascimen-

to di Harlem, ebbe la possibilità di iniziare una tournée in Francia, luogo che diventerà la sua nuova casa. Nello specifico Parigi agli inizi del ‘900 era sotto gli influssi del fascino di ciò che era esotico, così non poté che rimanere ammaliata dalla diciannovenne che salì sui palcoscenici del Théâtre des Champs-Élysées e del Folies Bergère indossando l’iconico gonnellino di banane, accompagnata da un ghepardo di nome Chiquita che scorrazzava tra l’orchestra. Subirono il suo fascino anche alcuni artisti che cavalcavano la scena parigina in quel periodo come Hemingway, Picasso e Cocteau, i quali divennero persone amiche che le resero tributi nella loro arte. La sua fama artistica come cantante e ballerina decollò, cambiando rotta soltanto con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, evento nel quale ebbe comunque un ruolo da protagonista. Nel 1939 dopo aver dichiarato guerra alla Germania, l’Agenzia di intelligence militare francese incaricò la Baker come corrispondente d’onore con il compito di raccogliere informazioni utili a fini bellici dai soldati tedeschi incontrati, spesso nei bar. Aiutò così la resistenza, viaggiando nel mondo ed esibendosi, intrattenendo dopo gli spettacoli conversazioni ed estrapolando dati da trascrivere nelle sue partiture o in pezzi di carta, riposti poi accuratamente nel reggiseno per fuggire ai controlli tedeschi. Per i preziosi aiuti ottenne riconoscimenti come la Rosette de la Résistance, la Medaglia della Resistenza e venne nominata Cavaliere della Légion d'honneur dal generale Charles de Gaulle. Il suo impegno sociale e politico non ter-

minò qui. Tornando in America per una tournée si interfacciò nuovamente con le piaghe del razzismo già nel momento in cui dovette cercare una camera d’albergo per pernottare e trentasei alloggi le negarono l’accesso. Era pur sempre una donna nera. Decise di denunciare, di collaborare con la NAACP (Associazione Nazionale per il Progresso per le Persone di Colore), di marciare su Washington nel 1963 con il Reverendo Martin Luther King prendendo voce: “Sono entrata nei palazzi dei re e delle regine e nelle case dei presidenti[...]Ma non potevo entrare in un hotel in America e prendere una tazza di caffè, e questo mi ha fatto arrabbiare. E quando mi arrabbio, sai che apro la mia boccaccia. E poi attenzione, perché quando Josephine apre la bocca, lo sentono in tutto il mondo.”. Parallelamente, Joséphine nella vita privata diede vita alla Rainbow Tribe, adottando tredici bambini di provenienza e religione differenti. Da donna bisessuale, attiva per preservare i diritti civili, Joséphine Baker è ancor’oggi un’icona, necessaria.

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Una strada tra Veneto e Trentino di Waimer Perinelli

VALDASTICO O VALD' ASTIO?

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vevo una Fiat 600 e da Verona salivo a Trento per frequentare sociologia. Che tempi! Ricordo le file di autotreni sulla Statale 12, stretta e piena di curve, e il paese di Ossenigo, vicino a Dolcè, in particolare la salita sulla quale i mezzi pesanti arrancavano e con la mia Fiat, li superavo correndo sulla strada che attraversa il paese e sbucando così sulla Statale davanti a loro. Il sorpasso! Altro che il film di Dino Risi con Vittorio Gassman, uscito nel 1962, ovvero l'anno in cui partivano timidamente i lavori per l'autostrada del Brennero pensata già nel 1949. C'erano voluti 13 anni di polemiche, spesso insensate e irresponsabili, per arrivare a quel primo mattone e ce ne vorranno altri 11 per completarla.

Ora non potremmo vivere senza questi 100 chilometri di strada su cui corrono la nostra esportazione ed il turismo. Poi ai tre moschettieri della dc, Piccoli, Bisaglia e Rumor, venne la pazza idea della PIRUBI: dal mare Adriatico e dintorni fino a Trento. Le bandiere verdi si spostarono dalla valle dell'Adige alla Valsugana e la Superstrada 47 è diventata una serie di spezzoni più o meno larghi e una trappola per il commercio e turismo. In molti, troppi casi una trappola mortale. L'hanno messa nel cassetto e da quello vicino hanno estratto la Valdastico. Gli oppositori a questo progetto, gli stessi ideologicamente e opportunisticamente contrari, tanto non si paga nulla a dire di no, hanno scoperto che il traffico della

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Statale 47, è una pura invenzione degli speculatori: che autotreni targati Olanda, Germania, Slovenia, Romania, partono da Borgo Valsugana per arrivare a Trento, lo stesso percorso compiuto dai camper e automobili dei turisti. A loro si aggiungono i residenti a Pergine e Alta Valsugana che si lanciano su Trento facilitati dalle, dicevano i complottisti,” schifose” gallerie dei Crozi volute dal Centro sinistra in barba ai soliti oppositori che preferivano sfrecciare sulla stretta strada che corre sotto la montagna, trafitta dai massi e dall'acqua. Sognatori! Sognatori come loro gli amministratori strapagati ma che nulla hanno pagato per gli insuccessi della Superstrada della Valsugana oggi desolatamente abbandonata a se stessa anche da chi, in

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Una strada tra Veneto e Trentino campagna elettorale, la voleva percorrere in carroccio. C'era perfino chi vantava di avere nel cassetto il progetto per una variante sotto Levico e il suo lago e poi giù a Trento. Sogni, ma anche sognare dovrebbe avere un costo: il prezzo delle bugie. Ora la parola d'ordine è Valdastico una strada di fantasia che, passando a Caldonazzo e sotto Centa sbuca a Mattarello, secondo il progetto Gilmozzi-Rossi, oppure forando la Vallarsa arrivare a Besenello, ma forse meglio si dice ora a sud di Rovereto. Con quest'ultimo progetto pare che i camionisti siano indotti dal paesaggio a percorrere qualche chilometro in più salendo e scendendo da nord a sud e viceversa. Voli di fantasia contro cui non due ma tanti cittadini ed amministratori locali si oppongono. Fra una proposta e l'altra è chiaro che la Valdastico, o meglio sarebbe chiamarla Vald'Astio, non vedrà la luce perché non si realizza nulla con l'indecisione, e non ha ragione d'essere "il

qui o là" purché si faccia: se si ha da fare ci sono le possibilità tecniche, economiche, sociologiche, ambientali per decidere il miglior percorso. Non sono decisioni facili. Molte strade esistenti seguono percorsi complicati con tornanti e curve tracciate non solo per evitare smottamenti e difficoltà ambientali, bensì per non rovinare i terreni di alcuni importanti proprietari, ai danni di altri. La massima espressione egoistica di fine millennio è riassunta dal motto di alcuni benpensanti: Non sul mio. Per accontentare loro dovremmo volare, ammesso che non rivendichino il possesso anche dello spazio aereo. Nel dubbio, stretti fra un'elezione e l'altra, i politici temporeggiano diffondendo a mani piene tracciati e percorsi. E i tecnici, diventati divi della televisione, si trasformano in politici.: e si sa che la politica è spesso intrisa d'astio.

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Nasce una nuova voce per la disabilità:

OSTACOLI GLI

Oltre gli Ostacoli n. 0 / dicembre 2021

OLTRE GLI OSTACOLI

COOPERATIVA SOCIALE DAL BARBA UNICUM IN ITALIA PER L’INCLUSIONE SOCIALE DEI RAGAZZI AUTISTICI. IL RACCONTO A PIÙ VOCI DALL’INTERNO DELLA COOPERATIVA

LE PARALIMPIADI GRANDI RISULTATI PER GLI AZZURRI ALLE PARALIMPIADI DI TOKIO, UN RISULTATO CHE APPAGA GLI IMPEGNI: LA PAROLA AI PROTAGONISTI

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i questi tempi di crisi della carta stampata, una nuova voce che nasce è sempre un’impresa da festeggiare. Il 3 dicembre è stato infatti presentato il numero zero del bimestrale Oltre gli ostacoli che comincerà ufficialmente le pubblicazioni a gennaio 2022. La nuova iniziativa editoriale è nata da un’idea dell’imprenditore roveretano Antonello Briosi, presidente della Fondazione Metalsistem Onlus, durante le Paralimpiadi di Tokio, dove l’attenzione del mondo, attraverso giornali, radio e televisioni era concentrata al massimo sul mondo della disabilità, clamore continuato in ottobre durante il recente Festival dello Sport di Trento. L’obiettivo è di tenere desta l’attenzione e di focalizzare la disabilità dal punto di vista sportivo, dell’inclusione sociale, sanitario e di assistenza. La Fondazione Metalsistem, già attiva con

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iniziative benefiche in Africa ed in Asia ed ora attiva sul territorio roveretano e della Vallagarina, dove sostiene una ventina di piccole realtà, ha voluto, con la rivista, accendere un faro su una delle emergenze della nostra società lanciando un messaggio di condivisione sui temi che ruotano attorno alla disabilità a 360 gradi, con la consapevolezza della necessità che occorre parlarne non soltanto ogni 4 anni. Di qui la concretizzazione di fare da propulsore ideale di una nuova rivista che, partendo dal territorio, possa diventare un punto di riferimento locale, nazionale ed internazionale sulla disabilità, tematica senza confini o ideologie. Ha raccolto il testimone Giancarlo Rudari, giornalista, già caposervizio del quotidiano Trentino, direttore responsabile di “Oltre gli ostacoli”. Presidente del comitato scientifico l’immunoematologo pediatra Ermanno Baldo, già primario dell’Ospedale di Rovereto, direttore clinico dell’Istituto Pio XII di Misurina ed organizzatore del centro provinciale per la fibrosi cistica. Si comincia con il numero 0, per registrare le reazioni intanto del territorio trentino per poi proseguire l’esperimento nel corso del 2022, con l’ambizione di diventare un punto di riferimento per chi è meno fortunato, delle loro famiglie e di tutti i soggetti che concretamente aiutano le persone con disabilità nello sport, nel lavoro, nell’assistenza. Spazio nel numero zero a Giacomo Bertagnolli, portabandiera delle Paralimpiadi invernali di Pechino 2022, interviste all’atleta paralimpica Martina Caironi ed al presidente del Comitato Paralimpico

Italiano Luca Pancalli, focus sull’allenatrice della nazionale di Volley per sorde Alessandra Campedelli e sui campioni di handbike di SportTeam Vallagarina, ma anche attenzione all’autismo con l’approfondimento delle Cooperative sociale Dal Barba di Villa Lagarina, ai sordo- ciechi seguiti da ABC IRIFOR di Trento, Mas del Gnac di Volano e Villa Maria di Calliano, in sommario anche il cavaliere barbiere degli autistici di Rovereto Christian Plotegher e l’app Clubhouse per sordo ciechi.

*Rocco Cerone giornalista, è segretario della FNSI sindacato giornalisti del Trentino Alto Adige


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Il personaggio di Alessandro Caldera

Ferruccio Lamborghini,

l’uomo che rivoluzionò le auto sportive

I

mmaginiamoci uno dei tanti paesini dispersi nella nostra incantevole penisola e collochiamo il tutto, dal punto di vista cronologico, all’inizio degli anni sessanta. Cerchiamo poi di dare a questo luogo un nome, Sant’Agata Bolognese, di scegliere una data precisa, 7 maggio 1963, e così avremo spiegato la nascita di una delle case automobilistiche più importanti a livello mondiale: Lamborghini. Ebbene sì, uno dei marchi più prestigiosi nel campo delle vetture di lusso, dal 1998 interamente posseduto dalla tedesca Audi, ha avuto origine per mano di un italiano, nato a Renazzo, in provincia di Ferrara, noto come Ferruccio Lamborghini. Ovviamente quando si parla di questo marchio non si può non citare l’iconico logo che rappresenta un toro, simbolo volutamente scelto per omaggiare il patron, nato per l’appunto sotto questo segno zodiacale. Questo concetto si allarga poi anche alle medesime vetture, come ad esempio

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la più datata Urraco, piuttosto che la più recente Murcièlago o Aventador, i cui nomi alludono proprio alla razza di questo animale e ai loro nomi propri. In merito allo sviluppo di questa casa, vanno fatte alcune precisazioni e svelati alcuni antefatti curiosi. Innanzitutto è vera la leggenda che narra di uno scontro che ci fu tra Lamborghini ed Enzo Ferrari, anche se questo non fu il motivo scatenante che portò direttamente alla nascita dell’azienda. Il progetto infatti era già pronto da tempo, visto che Ferruccio non era del tutto estraneo al mondo dei motori. Nel ’48 aveva fondato la “Lamborghini Trattori”, ancora oggi attiva nel settore, frutto delle sue conoscenze in campo meccanico, maturate durante la Seconda guerra mondiale. Torniamo però a quanto detto in precedenza e spieghiamo perché i due ebbero un alterco. Ferruccio, affermato industriale e amante delle auto, aveva comprato una Ferrari 250 GT che presentava, a suo dire, alcuni problemi a livello di trasmissione che egli stesso volle

denunciare ad Enzo Ferrari in persona. Informato e irritato dalla situazione il patron del Cavallino rispose in modo alquanto stizzito e disse: “Ferruccio, le mie macchine funzionano perfettamente. Il problema sei tu. Non sei capace di guidare macchine super-sportive in maniera corretta perché sei abituato a guidare solo i tuoi trattori. Faresti meglio a continuare a occuparti di trattori e a lasciare che mi occupi io delle macchine sportive”. Indignato dall’accaduto, Lamborghini, al quale le finanze non mancavano, decise di realizzare, grazie all’ausilio di esperti del settore, come Bizzarrini, Dallara, Stanzani e Scaglione, e senza badare a spese, un’automobile, la 350 GTV. Il progetto si rivelò un parziale fiasco, ma questo non scoraggiò l’egocentrico bolognese che, anzi, nel 1965 arrivò a dire: “Questo è stato il momento perfetto in cui ho finalmente deciso di creare un’auto perfetta.” Le parole di Ferruccio alludevano alla creazione di una delle vetture più importanti della storia


Il personaggio dell’automobilismo italiano: la P400 Miura. Questo capolavoro di ingegneria, che superò anche le aspettative del suo stesso ideatore, ma che non convinse affatto Ferrari che la definì “ un’auto con il motore al posto sbagliato, perché posto trasversalmente” venne presentato ufficialmente al salone dell’auto di Ginevra del 1966. La Miura si distinse per un design incredibile e per il fatto di essere la più bassa Granturismo del mondo con il suo metro e mezzo di altezza, oltre che per essere la prima ad abbattere il muro dei 300 km/h. A distanza di 5 anni da questa splendida intuizione, la casa bolognese si mise all’opera per la realizzazione di un’altra auto che avrebbe segnato la storia delle "quattro ruote": la mitica Countach. Una parentesi su questa vettura è doveroso aprirla, dato che fu presentata sul mercato negli anni settanta, in un periodo molto particolare

per l’azienda, durante il quale Ferruccio vendette la maggioranza delle quote ad uno imprenditore svizzero di nome Georges-Henri Rosetti. Le motivazioni della scelta sono principalmente due: la prima era la necessità di liquidi per finanziare l’area dedicata alla vendita di trattori, la seconda, meno accreditata, era legata al fatto che Ferruccio non volesse rimanere invischiato nelle agitazioni sindacali del periodo. Particolarità della Countach è il fatto che la sua denominazione non trae origine dalla tauromachia, come detto in apertura di articolo, ma da un’espressione tipica del vernacolo piemontese, traducibile con un “perbacco”, proferita in continuazione da un profilista della Bertone, storica carrozzeria italiana che

collaborò, appunto, anche con Lamborghini. Ferruccio verrà a mancare nella sua villa di Panicarola, in provincia di Perugia, nel 1993; il suo nome non è stato per nulla disonorato anzi, la bellezza delle auto permette ancora di tenere vivo il duello con Ferrari anche se qualcuno può pensare, come disse Frank Sinistra che: “Se vuoi essere qualcuno compra una Ferrari, se sei già qualcuno compra una Lamborghini”.

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Le donne del passato di Alice Vettorata

Rosalba Carriera

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'artista settecentesca Rosalba Carriera si discosta un po’ dalle figure che ci siamo abituati a incontrare in questa rubrica. Una donna non propriamente offuscata da un’ombra maschile, bensì dalla collettività postuma alla sua esistenza, alla storia che è stata narrata del periodo nel quale è vissuta, il Rococò. È stata una delle prime donne ad essere ammessa alle Accademie d’arte, principalmente indirizzate agli studenti uomini e nonostante ciò, raramente citata tra i grandi. Fortunatamente però oggi possiamo ammirare alcune sue tele presso i più noti musei al mondo. Una figura poliedrica che ha iniziato lavorando minuziosamente tabacchiere con l’avorio, specializzatasi infine in ritratti rappresentanti i personaggi salienti della società veneziana. Andiamo per gradi. Le tabacchiere, piccoli contenitori pieghevoli porta tabacco

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da fiuto, la Carriera le decorava con motivi floreali, piccoli cammei e intarsi d’avorio, materiale che lei spesso utilizzò facendo divenire questa caratteristica la sua firma. Quei piccoli ritratti presenti nei cammei delle tabacchiere divennero più avanti i protagonisti delle sue opere più grandi. Non abbandonò l’avorio e le tabacchiere, ma iniziò a servirsi anche di un altro materiale che invece era caduto in disuso. Andò un po’ controcorrente adottando l’utilizzo dei pastelli, dei pigmenti luminosi e che permettevano una stesura rapida, ma particolarmente efficace nel rendere vividi gli incarnati. L'ideale quindi per ritrarre i committenti sempre più influenti che rimanevano ammaliati dai lavori così eterei di Rosalba Carriera. Sì, perché ciò che le permise di affermarsi fu la sua abilità nel trovare il modo e il mezzo ideali per rappresentare le donne e gli uomini della sua epoca, il Rococò. Una corrente artistica decorativa nata in Francia che si contraddistinse per esser stata una ventata d’aria spensierata e leggera nel mondo dell’arte, nella quale temi religiosi e politici non sono ammessi. Motivo per cui spesso troviamo come protagonisti delle opere

nate nel periodo Rococò ritratti o scene pastorali, idilliache. Rosalba sfruttò al meglio lo stato d’animo del periodo e lo rappresentò in modo altrettanto etereo, con i pastelli. Jean-Antoine Watteau, pittore portavoce del Rococò francese strinse una forte amicizia con la Carriera e ne ammirò l’arte, tanto da richiedere alla pittrice, ancor prima di conoscerla di persona, uno scambio d’opere, proprio come si è soliti fare tra pittori ritenuti al pari successo. Rosalba fece addirittura uno dei pochi ritratti che ci sono pervenuti di Jean Antoine. La Francia però aveva ancora molte altre opportunità da offrirle. Nella capitale francese la Carriera fu ospite di un amico di Watteau, il collezionista d’arte Pierre Crozat. Qui ebbe modo di ritrarre personalità di spicco della società parigina, incluse la categoria dei reali, la nobiltà e Re Luigi XV. Soggiornò a Parigi diciotto mesi facendosi aiutare dalla sorella Giovanna a completare le numerose commissioni che le venivano affidate, tenendo anche un diario delle oltre cento tele portate a termine. Grazie alla preziosa testimonianza è possibile oggi conoscere i lavori realizzati dalle Carriera a Parigi, dato che nel 1793


Le donne del passato

il diario venne pubblicato postumo. Rosalba nel frattempo venne eletta membro della prestigiosa Accademia di Francia, condizione che, finalmente, le consentì di far accrescere il proprio valore in quanto artista anche nella propria patria. Dinamica che tende a ripetersi ancor oggi sfortunatamente.

Quasi contemporaneamente venne accolta tra i membri dell’accademia di Bologna. Per questi motivi la Corte di Modena la invitò ad alloggiare lì per qualche mese per poter ritrarre le proprie dame. Non da meno furono Parma e la sua Venezia, città che la riaccolse con rinnovata ammirazione visti i suoi successi. All’estero Rosalba Carriera incuriosì anche la Corte polacca e successivamente la Corte viennese, sede in cui ebbe la possibilità di ritrarre anche l’Imperatore austriaco e il librettista Metastasio. Osservando le opere realizzate dalla Carriera cronologicamente, è possibile notare alcuni cambiamenti. L'utilizzo dei pastelli è rimasto sì immutato; le carni sono sempre vivide ed eteree, ma con il susseguirsi dell’esperienza pittorica e vitale si nota l’assenza di un guizzo negli sguardi, soprattutto negli

autoritratti, i quali diventano sempre più malinconici. La capacità della pittrice di incorniciare un’attenta visione psicologica di chi stava ritraendo è stato uno degli aspetti più apprezzati della sua arte. Rosalba Carriera è stata un pioniere dell’arte per le donne, un’ispirazione. Come il suo collega e amico Watteau sostenne: “quella signorina Rosalba, può discutere d’arte come un maestro”.

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La legge e il cittadino di Erica Vicentini*

I reati in materia di sostanze dopanti:

questi poco conosciuti

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e pensiamo alle sostanze stupefacenti, siamo abituati a far correre la mente a situazioni di degrado urbano, spaccio di quartiere o grandi feste, nei quali le droghe vengono condivise fra giovani e meno giovani per lo “sballo”. Queste condotte sono punite gravemente nel nostro sistema, con reati che prevedono la reclusione fino a 20 anni. Esiste poi il mondo, forse un po’ meno conosciuto, del doping sportivo, connesso all’assunzione di anabolizzanti o sostanze psicoattive utili a migliorare le prestazioni sportive in modo artificiale. Si tratta, pur sempre, di droghe, nel senso di sostanze psicoattive, la cui diffusione e commercializzazione è punita come reato. E le condotte connesse alla loro circolazione sono punite come reato a prescindere dalle sanzioni eventualmente comminate dagli Organismi ed Enti di

giustizia sportiva (es. una squalifica). L’art. 586 bis c.p., inserito nel codice penale con la riforma Orlando del 2018 nell’ambito del progetto che intendeva riportare nel codice penale quanti più reati possibili (d.lgs 21/2018) sanziona l’utilizzo, la somministrazione o la commercializzazione di farmaci o di altre sostanze dopanti, con entrata in vigore al 6 aprile 2018. Prima di tale delitto, le stesse condotte erano punite dall’art. 9 della Legge 376/2000, abrogato conseguentemente nel 2018. Se, da un lato, la giurisprudenza ha avuto modo di specificare come la modifica normativa non abbia determinato l’abrogazione del reato, vanno fatte alcune precisazioni: la nuova formulazione del delitto, infatti, non è perfettamente identica a quella previgente. Le condotte contemplate riguardano tutte le forme di diffusione, assunzio-

ne e commercializzazione di sostanze dopanti così previste dalla legge, con il fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti. Solo nella formulazione dell’art. 586 bis c.p.p., si è previsto in modo univoco oggi il dolo specifico del fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, con la scelta di limitare l’operatività della norma – appunto – ai soggetti atleti professionisti, che svolgono attività sportiva a livello agonistico. Si tratta di un dato perfettamente coerente con la ratio della fattispecie, volta a presidiare, più che la salute pubblica in generale, il regolare e corretto svolgimento delle gare sportive di livello non amatoriale, nella consapevolezza degli interessi commerciali ed economici sottesi. Il commercio clandestino di tali sostanze viene punito in modo più grave, indipendentemente dal fine specifico per71


la legge e il cittadino seguito dal soggetto agente e configura un reato di pericolo, diretto a prevenire il rischio derivante dalla messa in circolazione di tali farmaci, al di fuori delle prescrizioni imposte dalla legge, per la tutela sanitaria delle attività sportive; in altri termini, in tal caso non è richiesta la verifica del fine di alterare una competizione sportiva, proprio perché lo scopo della norma è limitare al massimo grado la circolazione “imprenditoriale” di tali sostanze. Attenzione, però, che per la configurabilità del delitto di detenzione di sostanze farmacologicamente o biologicamente attive (cosiddetti anabolizzanti) non è richiesto dalla legge che l'attività sportiva sia svolta a livello professionistico o comunque agonistico: ciò significa quindi che è sufficiente essere iscritti ad un club sportivo e partecipare regolarmente a gare per trovarsi in una situazione delicata.

In questo contesto, va citata una recente sentenza molto interessante del Tribunale di Milano che stabilisce, per quanto in obiter, l’irrilevanza penale dell’assunzione strettamente personale di anabolizzante, senza il fine di alterare le prestazioni sportive (sent. d.d. 25/06/2021). Seppur la sentenza giudichi in via principale un fatto di ricettazione, approfondisce l’argomento del doping personale ritenendolo insussistente se privo dell’elemento del dolo specifico previsto dall’art. 586 bis c.p.: “occorre chiedersi se la punibilità della condotta di chi acquisti sostanze anabolizzanti per farne uso esclusivamente personale ed al di fuori di qualsiasi contesto di attività sportiva agonistica sia stata mai anche indirettamente contemplata dal legislatore, nonostante lo stesso sia intervenuto sulla materia de qua attraverso una legge speciale […]” e la mancanza di una previsione di punibilità specifica

dell’uso personale avulso dal contesto agonistico deve ritenersi “chiaramente indicativa di della irrilevanza penale implicitamente attribuita a tali condotte dal legislatore”. Si badi, infine, che questa nuova formulazione del delitto ha condotto alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 586 bis c.p. che risulta tuttora pendente.

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Tra poeti, scrittori e letteratura di Silvana Poli

Francesco Petrarca il poeta che cantò l’amore

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rancesco Petrarca è da tutti conosciuto come il padre della poesia amorosa: l’opera che l’ha reso immortale è il Canzoniere, una raccolta di 366 poesie quasi tutte dedicate a Laura. Petrarca nasce nel 1304 ad Arezzo da una famiglia fiorentina in esilio per motivi politici. Nel Medioevo due erano i “partiti” che animavano la vita comunale, i ghibellini e guelfi: gli uni riconoscevano il potere all’Imperatore, mentre gli altri vedevano nel papa l’unica vera autorità. A Firenze, una città ricca di attività e di cultura, tra il Duecento e il Trecento si sono alternati i governi dei guelfi e dei ghibellini. Allora succedeva che, quando un partito vinceva, a volte si

limitava a cacciare gli esponenti dell'altra parte, altre li condannava a morte, requisiva i loro beni o faceva bruciare le loro case. Nel 1260 i ghibellini avevano sconfitto i guelfi, ma nel 1267 i guelfi si erano ripresi Firenze. I fiorentini però erano un popolo rissoso; infatti non passò molto tempo che iniziarono a litigare tra loro e la città si trovò nuovamente divisa tra due fazioni: i guelfi bianchi e i guelfi neri. I bianchi sostenevano che il papa non dovesse entrare nelle questioni politiche della città per interessarsi solo alle questioni spirituali, mentre i neri volevano mantenere i legami politici con il papato. E così le lotte a Firenze erano continuate, il contrasto tra le due fazioni sempre più lacerante. Nel 1301 i bianchi vennero cacciati e furono mandati in esilio; questa fu quindi la sorte del padre di Petrarca e anche di un altro famosissimo poeta, Dante Alighieri. Per questo motivo Francesco Petrarca nasce lontano dalla sua Firenze, sotto il segno dell’esilio. La condizione di esule lascerà in lui un segno indelebile, tanto che lui, durante tutta la vita, dichiarerà di sentirsi «straniero ovunque». Quando Francesco ha 8 anni la sua famiglia si trasferisce ad Avignone, in Francia, perché il padre è chiamato a lavorare alla corte del papa; ricordiamo che nel corso del Trecento la sede

papale, per una settantina d'anni circa, è spostata ad Avignone, sotto la tutela del sovrano francese. Nel 1316, obbligato dal padre, Francesco inizia a studiare legge a Montpelier e quattro anni dopo prosegue gli studi a Bologna. Quando suo padre muore, Petrarca può finalmente abbandonare gli studi di legge, per dedicarsi alle amate lettere; si trova però di fronte alla necessità di trovare un sostegno economico. Nel Trecento, nessuna attività, al di fuori del mondo clericale, permetteva di dedicarsi allo studio; per questo, a 22 anni Petrarca decide di abbracciare la carriera ecclesiastica, non per chiamata divina (lui è uomo di mondo, attratto sia dalla fama, che deriva

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Tra poeti, scrittori e letteratura

dall’essere poeta, che dal gentil sesso) ma per seguire la sua vocazione letteraria e filosofica. Il poeta trascorre gli anni successivi come cappellano della famiglia Colonna: una condizione che gli permette sia di viaggiare, che di cercare pace e isolamento per i suoi studi.

Il 6 aprile del 1327 accade un fatto che segnerà per sempre la vita del poeta. Francesco si trova ad Avignone, nella chiesa di santa Chiara, alla celebrazione del Venerdì Santo quando i suoi occhi incontrano quelli di una giovane donna. Lui rimane agganciato a quello sguardo, si innamora perdutamente di lei e, come dichiara in un sonetto, i suoi guai iniziano lì: mentre tutta la Chiesa soffre per la morte di Cristo, Francesco conosce le pene d’amore. Lui, uomo di chiesa e di lettere, si innamora di Laura, giovane donna bionda, con occhi luminosi e voce angelica. Inizia così il dissidio che lacera l’anima del poeta per tutta la vita: da un lato la scelta religiosa, dall’altra la passione per le cose del mondo, l’amore e la gloria. Sul fronte letterario moltissime sono le opere che gli danno notorietà.

Convinto di ottenere fama e gloria attraverso le opere in latino, ci si dedica con passione e nel 1341 il suo impegno intellettuale viene premiato: è incoronato “poeta” in Campidoglio, dal re di Napoli. Ma all’amore per le lettere, si affianca la sua passione per le donne: non solo è innamorato di Laura, alla quale dedica centinaia di poesie, ma ha anche due figli. Queste due tensioni, che lo portano verso direzioni opposte, provocano una lacerazione nell’animo del poeta. Francesco si sente incoerente perché l’amore per Laura lo allontana da Dio, a cui, per scelta ha consacrato la vita, ma non riesce a fare diversamente. E come ne esce? Petrarca trova una straordinaria via d’uscita a questo suo dissidio: scrivere. Alla scrittura Francesco affida le pene del suo animo e crea delle liriche in cui mira alla perfe-

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Tra poeti, scrittori e letteratura zione della forma poetica. Continua a lavorare alle sue poesie per tutta la vita, le lima fino a raggiungere una raffinatezza assoluta e, in quella perfezione, la lacerazione della sua anima si placa, l'istanza terrena e l'istanza spirituale trovano finalmente la pace. Le liriche che compongono il Canzoniere sono per la maggior parte dedicate a Laura. Le poesie sono scritte tutte in volgare, la lingua che il popolo parlava nel Trecento. Petrarca non im-

maginava che l’opera che gli avrebbe dato l’immortalità sarebbe stata una delle due che aveva scritto in volgare, ma è andata proprio così; infatti oggi solo pochi ricordano le sue opere latine ma moltissimi di noi hanno letto almeno un suo sonetto. Nelle sue liriche il poeta racconta le gioie dell’innamoramento, il dolore per la distanza da una donna che gli concede solo qualche sorriso, la speranza che si accende quando i loro sguardi si incrociano, il dolore per la

morte di lei e la consolazione che gli deriva dal pensiero dell’amata. Dopo una vita di viaggi, Petrarca muore a settant’anni, ad Arquà Petrarca. Le sue poesie sono diventate il modello della poesia amorosa e da allora i poeti di tutti i tempi si sono misurati con le sue liriche. Se volessimo oggi chiedergli un consiglio, io immagino che ci direbbe: “Scrivete, aprite la vostra anima, dedicatevi con amore alla scrittura e lì troverete pace.”

Inizia con questo numero la collaborazione della dott.ssa Silvana Poli, Laureata in Lettere Moderne e in Didattica della Musica, coach e counselor, è certa che la bellezza sia una via verso il benessere. Insegnante per passione e per professione, nel corso di un trentennio ha insegnato in tutti gli ordini di scuola, dalle Scuole dell’Infanzia fino ai Corsi Superiori per Adulti. Dai suoi studenti ha imparato che si può insegnare qualsiasi cosa a chiunque, basta saper trovare la via giusta, che non è mai troppo tardi per farsi una cultura e che quando si scopre il piacere di imparare, si aprono orizzonti infiniti. Per questo si dedica alla diffusione della bellezza attraverso la lettura di opere letterarie, la spiegazione di testi scritti in italiano del passato, in modo da permettere, a studenti e appassionati, di godere delle meraviglie della nostra tradizione letteraria. Ha aperto il canale YouTube "Testi della letteratura" https://www.youtube.com/channel/UCBAJrdROwiOSDSyO2e4iiUg in cui legge e presenta i più famosi testi della letteratura italiana.

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Squid Game: la serie Netflix più discussa del momento

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utti ne parlano, tutti lo criticano, per alcuni è indifferente mentre per altri è un capolavoro. Stiamo parlando di Squid Game, la serie Netflix che ha letteralmente spezzato la critica mondiale. Nove in tutti gli episodi (i primi, dato che è stata annunciata una seconda stagione) del programma sudcoreano, che ha saputo veramente sconvolgere il mondo delle serie tv negli ultimi due mesi. Sì perché quella di Squid Game è una storia cupa, violenta, ma anche un racconto in cui emerge qualche valore portante della società, dall’amicizia alla difesa degli altri. Squid Game: la trama Ben 456 persone accettano (di loro spontanea volontà) di partecipare a quello che, inizialmente, credono sia un semplice gioco per bambini. Viene spiegato loro che potranno vincere una grossa somma di denaro ed essendo tutte persone letteralmente “sommerse” dai debiti, la prospettiva di un guadagno facile spinge i partecipanti ad iniziare il gioco. Ben presto si renderanno conto però che ogni sfida è pericolosa e mortale, in cui i partecipanti che vengono “eliminati” dal gioco si trovano in effetti a perdere la vita. I personaggi Come detto, si tratta principalmente di persone con numerosi ed ingenti debiti, che vengono contattate da specifici agenti (come nel caso del protagonista Seong Gi-hun) e decidono di prendere

parte al gioco. Abbiamo poi altri personaggi, come Cho Sang-woo (amico d’infanzia del protagonista), Hwang Jun-ho (poliziotto che cerca di portare alla luce i segreti di questo gioco mortale) e Oh Il-nam (il numero 001, il primo a prendere parte al gioco, persona anziana e malata). Ognuno di loro è disposto a rischiare tutto per vincere il montepremi finale o accendere i riflettori sulla verità del game, ma per tanti di loro la situazione precipiterà nel giro di poche puntate. Perchè Squid Game ha smosso la critica mondiale Squid Game, a distanza di poche settimane dalla propria uscita, ha inanellato una serie di valutazioni negative. Non tanto per la trama, per certi aspetti innovativa (anche se i giochi richiamano le dinamiche di Saw – L’enigmista e le guardie dei partecipanti sembrano i prota-

gonisti della serie La Casa di Carta), quanto per ciò che accade durante gli episodi. Sono stati mossi diversi appelli infatti alle famiglie perché contengano il più possibile la visione di Squid Game ai propri figli, soprattutto in età più giovane. Quelli che la serie richiama sono infatti giochi per bambini: “Un, due, tre, stella!” ad esempio, ma anche giochi con le biglie, tiro alla fune o quello che nella serie viene chiamato “Gioco del calamaro”. Insomma, giochi che solitamente divertono i ragazzi ma che, all’interno di Squid Game, prendono una deriva macabra e mortale. Non a caso infatti sono state numerose le petizioni e le raccolte di firme per ottenere la cancellazione della serie, tuttavia Netflix non ha fatto marcia indietro. Anzi, è in programma ufficialmente l’uscita di una seconda parte. Sicuramente, per quanto visto in questi primi episodi, Squid Game ha certamente focalizzato su di sé l’attenzione dei telespettatori.

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Freddo e gelo d’inverno... ...nostri veri nemici

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ramai è risaputo che i mesi invernali sono motivo di molti problemi per la nostra salute quali l’influenza, raffreddore e altri “malanni” di stagione. Ed è anche in questo periodo che, purtroppo, si manifestano anche complicazioni che hanno come soggetto la nostra pelle, specialmente quella più esposta quale quella delle mani e del viso. Purtroppo il gelo e il freddo sono nemici conclamati della nostra pelle specialmente in quelle persone maggiormente sensibili o portatoti di patologie cutanee. E non è difficile, infatti, essere colpiti da fenomeni d’irritazione, secchezza, fastidiosi pruriti o addirittura screpolature anche gravi. Le basse temperature provocano un restringimento dei vasi sanguigni con una conseguente minore ossigenazione dei tessuti. Il ricambio cellulare quindi rallenta e la superficie cutanea si screpola con facilità e causa una fastidiosa sintomatologia. Ecco perché, con l’arrivo dei primi freddi e con gli sbalzi di temperatura, tipici del periodo invernale, è necessario difendersi e quindi proteggere la nostra pelle. Secondo gli studiosi di dermatologia una pelle non curata e non protetta può dare origine a ulteriori problemi quali l’invecchiamento

precoce, la perdita di tono, di elasticità e poca resistenza ai fenomeni atmosferici. Da qui la necessità di servirsi dei ritrovati che la ricerca, legata alla dermatologia, mette a nostra disposizione. E buona pratica è anche quella di coprire le parti più vulnerabili del nostro corpo con tessuti particolarmente idonei a proteggerci dal freddo e dagli sbalzi di temperatura mentre le zone più delicate del viso, quali occhi, naso, bocca e orecchie, andrebbero protette, oltre che con le creme, anche con occhiali, cappelli, para-orecchi e quanto di utile e appropriato. Medici, farmacisti e studiosi del settore sottolineano che nei periodi freddi e invernali è fondamentale idratare la pelle, specialmente quella di mani e viso, con particolari creme o prodotti. A tal

proposito è bene sapere che le creme per il viso devono essere più consistenti rispetto a quelle che normalmente si usano negli altri periodi dell’anno. Un buon consiglio, per nutrire, dare compattezza alla pelle e per meglio proteggerla, secondo pareri e consigli di studiosi, è quello di utilizzare oli e burri vegetali, soprattutto se ricchi di acidi grassi essenziali, prodotti con glicerina e anche con acido ialuronico mentre per la secchezza cutanea posso essere usati prodotti in grado di svolgere una azione emolliente e addolcente. Anche per questi problemi, di apparente semplicità, è sempre da evitare il famoso “fai da te” e quindi, buona regola, è quella di rivolgersi al proprio medico o al proprio farmacista che certamente saranno in grado di dare giusti e appropriati consigli. 81


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Stai attenta che poi prende il vizio.

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uante volte abbiamo sentito pronunciare questa frase. Tanti neo genitori o comunque genitori di bambini piccoli si saranno sentiti ripetere questa espressione, in più occasioni. Di solito quella principe è quando si ha in braccio il proprio figlio. Ma è proprio vera questa cosa? Veramente possiamo paragonare un atto d’amore, di coccola come questa, a un vizio? La scienza dice di no, si possono leggere svariati studi sul tema su come un adulto responsivo ai bisogni del minore nel breve ma, soprattutto nel lungo temine, sia promotore per lo sviluppo di una serie di capacità indispensabili per il benessere personale. Uno su tutti, la teoria dell’attaccamento di Bowlby, ma possiamo anche leggere qualche studio più recente di etnopediatria per esempio. Comunque il fulcro di queste ricerche sta proprio ad indicare che ci sarebbero

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molti benefici per il bambino a essere preso in braccio, coccolato o comunque in generale tenuto a stretto contato con la propria figura di riferimento, che di solito è la madre ma, non esclude che in alcuni casi questo ruolo possa essere ricoperto da un’altra figura di accudimento. Perché questo? Perché il bisogno di contatto è un bisogno primario, innato e che non abbiamo solo noi essere umani (lo possiamo infatti trovare, anche nel mondo animale). Si riscontra in tutti i bimbi del mondo, al di là dell’origine o della cultura, insomma possiamo escludere che sia un’abitudine appresa. E soprattutto sappiate che può influenzare anche il successivo sviluppo del bambino.

Un bimbo che sente di aver a disposizione un adulto emotivamente connesso e che risponde ai suoi bisogni più intimi ed emotivi sarà un bambino che costruirà una rappresentazione di sé come un essere umano degno di fiducia e di amore degli altri. Al contrario un bambino a cui non verrà data risposta ai suoi bisogni di contatto e/o rassicurazione sarà un minore che crescerà con l’idea di non essere meritevole di attenzione e d’amore. Anche perché quando un bambino piange o manifesta la necessità di avere una vicinanza col proprio cargiver di riferimento è in un momento dove si è attivato un bisogno, un malessere. Spesso e volentieri alla base della paura di viziarlo c’è la convinzione che per favorire lo sviluppo dell’indipendenza del bambino sia opportuno un precoce distacco del genitore. Ma non è così, non c’è nessuna evidenza scientifica che confermi che bambini cresciuti ad alto contatto creino danni o ritardi al bambino, anzi dobbiamo ricordarci che lo sviluppo dell’indipendenza di un figlio parte proprio da un legame che naturalmente e fisiologicamente è di dipendenza dall’adulto. Il


Medicina & Salute

contatto è un bisogno primario pari al necessità di nutrirsi.Solo nel momento in cui il bambino ha sviluppato una relazione sicura/amorevole può andare a scoprire il mondo e quindi affrontare i primi distacchi o mettersi in gioco con i primi atti di indipendenza. Quello che ho scritto non vuol dire che dobbiamo avere sempre e comunque il bambino in braccio, o entrare in crisi

quando in quel momento non è possibile rispondere repentinamente al suo bisogno. Come ogni cosa la verità sta nel mezzo, ovvero essere sufficientemente responsivi al bisogno di accudimento del bambino e nel momento in cui leggiamo nel suo comportamento disagio, aiutarlo e sostenerlo emotivamente quando possibile. Questo è un passaggio fondamentale ma, anche molto complicato, soprattutto per le mamme, che spesso sono le figure di riferimento del bambino per due motivi principali: - il primo perché se non sono stata io una bambina supportata, ascoltata è difficile

rimanere in contatto con i bisogni del proprio figlio; - due perché sicuramente i ritmi della nostra società non aiutano. Ritmi troppo serrati, aspettative irrealistiche e giornate che comunque durano ventiquattro ore. Le mamme o chi si occupa principalmente dell’accudimento dei bambini, spesso e volentieri si devono districare tra mille compiti giornalieri e non è semplice assolvere tutto. Sarebbe bello che l’intera società mettesse in discussione il tutto e capire quanto di questo sia pregiudizio culturale e quali invece, sono e saranno sempre i bisogni delle generazioni future che dovrebbero avere la priorità su tutto. Dott.ssa Erica Zanghellini Psicologa-Psicoterapeuta Tel- 3884828675

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Leggende natalizie di Adelina Valcanover

La BEFANA L

a Befana è un personaggio avvolto nelle leggende, collegata spesso ai riti precristiani con riferimento al sole e al solstizio d’inverno e di conseguenza all’allungamento della luce del giorno. Il proverbio più noto riferito a questo: “De Nadal en pass de en gal, del prim del’an en pas de en cagn e del’Epifania en pas de na stria” che tradotto, a Natale già i giorni si allungano un poco, a Capodanno già un po’ di più, (un passo di cane) e dell’Epifania il passo di una strega, più lungo ancora. La Befana si sovrappone quindi a figure magiche, ma hanno anche riferimento alle feste appena trascorse (Epifania tutte le feste si porta via). Tanti i riti, come quello di bruciare una vecchia su una pira nella piazza del paese. Tornando alle leggende, vorrei raccontarne un paio, la prima

abbastanza conosciuta, è la seguente: Quando i Re Magi, grandi sapienti che venivano dai Monti Zagros, a Oriente, guidati da una stella cometa si recarono a cercare il neonato Re dei Re, con ricchi doni: oro, incenso e mirra. Lungo il loro cammino quando ormai erano quasi a Gerusalemme cominciarono a bussare alle porte e invitare a seguirli per andare a omaggiarlo. Bussarono anche alla porta di un vecchia. Costei però non volle seguirli, accampando la scusa che aveva da fare, non aveva tempo da perdere lei! E si rimise a sfaccendare. Ma un pensiero, come un tarlo la rodeva. Forse era stata precipitosa, forse era meglio andare, forse aveva perso un’occasione unica per una sciocchezza. Non erano poi tanto urgenti le faccende. Ad un certo punto si decise, prese una cesta con della frutta e piccoli giocattoli e uscì, cercando di vedere dove si fossero diretti quegli strani personaggi sopra dei cammelli, i Magi. Ma non li vide da nessuna parte e nessuno sapeva indicarle dove si erano diretti. Allora cominciò a bussare a tutte le porte e dove c’erano bambini regalava loro qualcosa, sperando che uno di loro fosse il Re dei Re. Da quel momento ogni anno arriva la vecchia, chiamata Befana, e porta ai bambini piccoli doni e dato che viaggia di notte, entra nelle case per la cappa del camino e, nelle calze appese ad asciugare, mette i suoi regali. L’altra leggenda è più drammatica e l’ho trovata su un libro di lettura degli anni ’50. Quando i Magi, che credevano che

il Re dei Re nascesse a Gerusalemme, andarono a chiedere nella reggia di Erode. Costui disse che secondo gli scritti sarebbe nato a Betlemme. Desiderava, qualora lo avessero trovato, si fossero fermati da lui per dirgli chi fosse e dove di preciso si trovasse il Bambino. I Magi ripartirono e, come è noto, avvertiti di non tornare da Erode che aveva cattive intenzioni, presero un’altra strada. Erode si avvide di essere stato giocato e crudelmente ordinò di uccidere tutti i bambini sotto i due anni. Pianti e disperazione si levarono in quella terra, una donna che si chiamava Rachele, tentò di fuggire e mettere in salvo il suo piccolo, ma venne intercettata da un soldato che glielo uccise tra le braccia. Per il dolore, impazzì. E andò per anni vagando dappertutto cercando il suo bambino. Il Signore, davanti a tanto strazio, volle che avesse una consolazione. Ogni anno, il sei gennaio, porta doni, frutta e giocattoli ai bambini, in questo modo può illudersi la gioia negli occhi dei piccoli, fosse quella del suo, perduto tragicamente una notte.

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Racconti d'arte di Daniela Zangrando*

UN LUNGO INVERNO IN MONTAGNA

V

i porto con me a guardare un video. Il titolo è LE GRAND VIVEUR e l’autrice è una documentarista, Perla Sardella. Sedetevi comodi. Saranno circa venti minuti di totale immersione. Andremo in montagna, in luoghi così simili a quelli che conoscete che vi sembrerà di esserci sempre stati. Inizio a conoscervi, e lo so che volete subito qualche informazione per capire chi sia LE GRAND VIVEUR. State già cercando di tradurre il titolo in italiano, per farvi un’idea. Chi è le grand viveur? È uno che fa vita mondana? Che si abbandona ai piaceri, ai divertimenti? Uno che si gode la vita, e che magari spende un sacco di tempo tra una cotta amorosa e l’altra? Ridacchiate. Ssssstttttt, silenzio. Il film sta iniziando. Perla Sardella vi spiega subito di chi si tratta. Ha nome e cognome le grand viveur. Si chiama Mario Lorenzini. È un walser, un operaio, un cacciatore, un escursionista, e un cineamatore. Un tipo strano, pare. A raccontarci di lui, dopo questa scarna presentazione, saranno in due. Mario stesso e Perla. Il loro incontro è avvenuto in un modo del tutto particolare. Lei è entrata in contatto con il suo archivio video. Circa tre ore di girato. A fine anni Sessanta Mario Lorenzini si è comprato una

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videocamera e ha iniziato a filmare in Super 8. E Perla Sardella ha guardato attraverso i suoi occhi, tutto quanto. Si è assunta la responsabilità di prendere tra le mani quei materiali, di farli propri, di darsi delle regole, imporsi un metodo, e poi tagliare, montare, capire, rileggere, e mostrare. Ha lavorato con un duo musicale e dato una forma sonora al girato, una sorta di brusio denso, di tappeto sonoro intervallato da sonorità inaspettate, minime eppure importanti. Ha deciso di non inserire la sua di voce, che però si fa sentire chiara, chiarissima anzi, nei sottotitoli che accompagnano tutto il video. In questo film, aggiungerebbe lei prendendo a prestito le parole di un libro di Lalla Romano, “le immagini sono il testo e lo scritto un’illustrazione”. Non credo di dovervi dire di più. Mi siedo e lo vediamo insieme. Ci troviamo in Piemonte, in un posto dove sembrano finire tutte le strade. Oltre, solo rocce, e cielo. In realtà è un’impressione: dopo quei paesi, dopo Rima San Giuseppe, Rimasco e Priami, finisce solo l’Italia, e si apre la Svizzera. Mario non ha una famiglia, o almeno non ne ha una nel

senso convenzionale del termine. E allora osserva, attraverso l’occhio della cinepresa, la sua comunità. L’uccisione del maiale, una cerimonia di premiazione, le donne e gli uomini di un paesino di montagna, la loro vita. Ne fa talmente parte da non destare alcun sospetto mentre cammina in mezzo alle persone, e le riprende. È assolutamente invisibile. Il paesaggio di Mario vi è familiare, ne sono certa. Quei muri di neve fanno parte di qualche ricordo, sono custoditi in un album di fotografie che tiene vostra madre nel cassetto del comò in camera, o si fan vedere appesi ai muri della taverna. E sapete bene che gli inverni in montagna sono lunghissimi, e che la luce è poca, e, quando c’è preziosissima. Annuite. Conoscete l’isolamento che si può provare nei paesi vicini alle cime, un isolamento profondo, ma che in qualche modo accomuna gli esseri umani. Vostri sono quei prati in salita, quelle case, le loro pietre, i rivestimenti di legno. I larici che volgono alla primavera, e all’estate. La fienagione e la preparazione dei formaggi. Le capre. L’acqua impetuosa dei torrenti. La bava d’aria che vi massaggia il viso mentre mangiate fuori dalla baita di un amico. I camosci e la caccia. E allora perché dovreste ascoltarmi e vedere assieme a me questo video,


Racconti d'arte se in qualche modo lo conoscete già? Ecco, è qui che entra in campo l’arte. L’atteggiamento di Perla non è nostalgico. Non ci fa vedere cumuli di neve, scampagnate, donne che ridono in mezzo alla via, feste paesane, bambini intenti a divorare un piatto di pasta dopo una camminata per farci concludere che si stava meglio nell’Alta Valsesia (o nel Cadore, nell’Agordino?) degli Anni Sessanta. Non le interessa ritrarre le montagne, dipingerle e basta, facendo in modo che se ne stiano lì, proiettate sulla parete di un museo, a ricordo di un tempo passato. C’è qualcosa di importante in questo video. Ha a che fare col tempo. Ci mette di fronte all’impronta di un tempo passato per interrogarci, come uomini che abitano l’oggi. Ci chiede delle nostre profonde solitudini, dei dispositivi che utilizziamo per avvicinarci all’altro. O per prendere le

distanze. Ci domanda degli uomini, e delle donne. Dell’invisibilità. E, perché no, anche del potere evocativo e misterioso delle montagne. Senza sentimentalismo e senza retorica. Presentandoci questo Mario Lorenzini che altro non è se non un uomo, un essere umano forse solo, ma con

un gusto vivissimo della vita e del piacere. È Perla a dircelo, e io mi fido. *Daniela Zangrando è Direttrice del Museo d'Arte Contemporanea Burel di Belluno

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Tradizioni diverse che si incontrano

NATALE NEL MONDO

“Il Natale muove una bacchetta magica sul mondo ed ecco, tutto è più dolce e più bello!”

Norman Vincent Peale

M

i piacerebbe introdurre il viaggio del Natale dall’Europa nel mondo rammentando le parole di un noto regista: “Tutto quello che siamo lo portiamo con noi nel viaggio. Portiamo con noi la casa della nostra anima, come fa una tartaruga con la sua corazza.” Nel mese di dicembre se noi andiamo da una parte all’altra dell’emisfero, portiamo un pezzo della nostra usanza e tradizione, rendendo il periodo natalizio multietnico e diversificato in ogni paese lontano. Si conservano nonostante questo la consuetudine del posto stesso. Da un luogo di appartenenza ad un altro gli

ingredienti del Natale si aggiungono e si tolgono, rendendolo speciale in ogni dove, custodendo un qualcosa che però riesce ad accomunare qualunque popolo; ognuno celebra il proprio credo, ma nell’idea comune di considerarlo un momento di condivisione e rinnovamento dello spirito, portatore di emozioni, sogni e intima famigliarità. Da un’Europa tradizionalista e conservatrice di un passato che vive la festività in un clima raccolto di processioni e piccoli usi da lasciare in ricordo ai bambini, allo sfarzo decorativo reso imponente e frenesia commerciale tipica degli

Usa, ad un Natale australiano che ricalca fedelmente l’idea europea riadottandola al clima estivo proprio, ad un Asia maggiormente concentrata al capodanno che seppur nello sfarzo impregna ogni cosa di mistica spiritualità. Gli americani impegnati nella corsa ai regali, a partire dal periodo Black Friday, stagione della caccia al regalo, affollano in massa i negozi addobbati sfarzosamente da luci e colori che vanno oltre l’immaginario; crescente frenesia che si arresta il 25 dicembre con “public holiday”, le metropoli si fermano per far riappropriare la gente del carattere più caldo della

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Tradizioni diverse che si incontrano festività: le famiglie si riuniscono e il tipico tacchino farcito di castagne è servito. Noi europei, seppur con delle particolarità in ogni Paese diverso, viviamo il Natale con tradizione rituale pregna di emozioni intime che lo rendono magico agli occhi di grandi e piccini, le case si profumano di dolci tipici appena sfornati e in alcuni luoghi i bambini in una processione portano con sé lanterne, la luce dove c’è il buio; in attesa dell’arrivo di Cristkindl alcuni cantano attorno all’albero di Natale appezzandolo di candele, altri piccoli vestiti da folletti ballano attorno a questo e leggono favole natalizie passate aspettando i doni. Famiglia raccolta tiene vivo un passato di tradizione. Là dove invece si crede che ogni cosa, animata e meno, sia provvista di spirito proprio, al di là dello scambio di doni, si attende con trepidazione l’ultima notte di dicembre, dove ci si reca in un tempio

e secondo rituale lo si addobba con festoni e decori di bambù per tenere lontani gli spiriti maligni, mentre i più piccoli sistemano sotto i cuscini un sacchettino rosso contenente i buoni propositi. Chi si trova nell’emisfero sud del globo, pur mantenendo le tradizioni invernali europee, usa dopo il pranzo natalizio fare il bagno al mare, dove è possibile imbattersi in un Babbo Natale con cappello, barba e canoa,

oppure un nuotatore con occhialini, barba e cappello o su una tavola da surf con un sacco pieno di doni. Così accomunati dalla bacchetta magica del Natale le tradizioni si incontrano per arricchirsi delle proprie reciproche differenze.

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Il giardino d'inverno di Nicolò Sovilla

UN DONO DI NATALE ALLA NATURA

I

n inverno la natura muore, per poi rinascere in primavera. Non è vero, ma quanti di voi, in questa stagione, osservando sconsolati il proprio giardino senza foglie e fiori, lo credono senza vita? La natura può sembrare più “pigra” quando le temperature si abbassano, ma il suo apparente letargo non è totale. Se è vero che i giardini ora richiedono manutenzioni scarse, o addirittura non le richiedono affatto, è altrettanto vero che, con certi accorgimenti, potete fare sì che il vostro piccolo Eden personale risulti “un po’ più vivace”, anche quando la maggior parte delle piante ha ormai perso le foglie, aiutando contemporaneamente la piccola fauna selvatica a svernare e trovare cibo. Affinché sia voi che la natura possiate goderne in inverno, il “dono di Natale” di cui si parla nel titolo va preparato in primavera-autunno: si tratta di scegliere le giuste piante e di mettere in pratica certi semplici trucchi. Edera (Hedera helix) Dalle nostre parti, l’edera cresce

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ovunque, anche – e soprattutto! – dove non vorreste. Ma quanto può risultare decorativa in un giardino innevato! Essendo un rampicante, potreste impiegarla per ricoprire uno steccato, una pergola, un muro. E poiché non perde le foglie, durante l’inverno sarà uno spettacolo tutto da ammirare. Non richiede particolari cure, se non una sfoltita ogni tanto, data la sua tendenza colonizzatrice. Un consiglio: non potate l’edera fino a marzo inoltrato, altrimenti non produrrà le sue preziose bacche! Molti forse non sanno, infatti, che l’edera fiorisce in autunno e produce una miriade di piccole bacche scure in inverno. Molte specie di farfalle e falene ne apprezzano le foglie, utilizzandole come alimento per le larve o per svernare. I suoi fiori attirano gli insetti impollinatori. Le sue bacche forniscono ristoro a tante specie di uccelli in un periodo in cui il cibo scarseggia. Tra i volatili che amano questo frutto troviamo il merlo, che spesso utilizza l’edera per nidificare. Agrifoglio (Ilex aquifolium) Cosa c’è di più

natalizio dell’agrifoglio? Ecco un altro sempreverde del sottobosco molto decorativo – non solo come centrotavola! – e altrettanto utile. L’agrifoglio (anche chiamato “alloro spinoso”), tradizionalmente impiegato per scacciare gli spiriti maligni, in inverno è una vera calamita per merli e tordi grazie alle sue tipiche bacche rosse. Non solo: come l’edera, i suoi fiori attireranno tanti impollinatori, fondamentali per l’ecosistema. Mettere a dimora un agrifoglio è un investimento a lungo termine: può raggiungere i 10 m di altezza e i 500 anni di vita! Attenzione: trattandosi di una pianta dioica, per favorire l’impollinazione e la conseguente produzione di bacche bisogna avere sia una pianta con fiori maschili che una con fiori femminili. Accertatevene chiedendo al vostro vivaista di fiducia. Rosa canina Largamente impiegata per infusi e cosmetici, la rosa canina, in natura, è una risorsa importante per merli e tordi sasselli, che da ottobre a dicembre ne divorano le bacche, un falso frutto dal colore rosso acceso. Attorno ai fiori


Il giardino d'inverno (maggio – luglio) ronzano moltitudini di impollinatori. Dal punto di vista “umano”, la rosa canina è una pianta che in estate ci regala fiori eleganti e in inverno dà un tocco di colore ad un angolo del giardino. Tasso (Taxus baccata) Se ritenete che ci voglia un po’ di verde in giardino anche in inverno, perché limitarvi alle siepi di tuia e leylandii, tanto “alla moda” quanto ecologicamente “inutili”? Utilizzate piuttosto il tasso, pianta da sempre presente in Italia ed ampiamente impiegata nell’ars topiaria. In questo modo otterrete una siepe molto fitta, sempreverde, che ben si presta alle potature, perfetta sia per la vostra privacy che per l’alimentazione degli uccelli, i quali vanno ghiotti degli arilli (le sue tipiche “bacche” rosse). Come molti sempreverdi, un tasso ben cresciuto offre anche riparo per la nidificazione di alcune specie. Foglie secche

Cosa fare con le foglie che in autunno rendono spettacolari molti alberi ma poi, invariabilmente, finiscono per accumularsi a terra? Alcuni dicono di rimuoverle tutte, altri di lasciarle stare. Come spesso accade, il giusto sta nel mezzo. Un eccesso di foglie rischia di soffocare l’erba e di favorire la proliferazione di funghi e parassiti. D’altra parte, tra le foglie secche merli e tordi troveranno una gran quantità di insetti prelibati. Inoltre, la decomposizione delle foglie arricchirà il terreno. Il consiglio

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è quindi di lasciarne un po’ al loro posto e di spargere le altre in giro per il giardino “tritandole” con un tagliaerba privo di sistema di raccolta, di quelli con la funzione “mulching”, ossia lo sminuzzamento dei fili d’erba e il loro rilascio sul prato.

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Una storia dimenticata che viaggia dall’antichità

APRIAMO I REGALI

Nella grigia luce del mattino di Natale, la prima a svegliarsi fu Jo; rimase delusa nel vedere che non vi erano calze appese al camino ma, ricordandosi della promessa della mamma, cercò sotto il cuscino e ne trasse un libretto rilegato in rosso. Era la bellissima storia della vita del miglior Uomo che fosse vissuto; Jo la conosceva bene e sapeva che non poteva esistere un miglior libro-guida per un pellegrino in cammino.” Da "Piccole donne" di Lousia May Alcott nel capitolo un lieto Natale. La tradizione di lasciare un dono sotto la luce dell’albero di Natale perdura nel tempo, dal 1800 quando l’autrice racconta la storia di quattro sorelle alle prese con la povertà del periodo e della guerra, alla società moderna della tecnologia e

della crisi. Per i bambini è un momento magico e l’atmosfera natalizia con le sue piccole usanze vuole lasciare una traccia di ricordi emotivi che restano nel tempo e si ritrovano di anno in anno nella nostalgia dei Natali passati. Stare insieme alla famiglia, addobbare l’albero, scrivere la letterina a Babbo Natale e aspettare con trepidazione l’arrivo dei regali: una pratica che si tramanda, ma cambia cosa ci si aspetta. Basta un semplice libro sotto il cuscino per stupire? L’aspettativa di ricevere un regalo che si vuole a tutti i costi, di una certa qualità e grandezza sembrano trasformare un’usanza passata impregnata di storia in un gesto d’obbligo. Nell’era moderna spesso dimentichiamo che ogni piccolo e grande pacco sotto l’albero appezzato di luci, oltre a rappresentare

un gesto relazionale che dà un influsso emotivo a chi lo riceve, serve assieme al contesto circostante a costruire memorie e ricordi di significato. La consuetudine di scambiarsi doni ha origini molto antiche; infatti risale all’epoca della Strenna dei Romani. Si narra che quando Romolo cinse Roma di mura, in segno di riconoscenza e prosperità, i cittadini gli offrirono un fascio di rami verdi, tagliati nel bosco vicino della dea Strenua e così avvenne ogni nuovo anno. Nel tempo questo rito decadde, ma non tra i cittadini che nel primo giorno di gennaio si scambiavano ramoscelli sacri d’ulivo e alloro, insieme a fichi e mele, nella speranza di un nuovo anno dolce come quei frutti. Molto più tardi i regali scambiati a Capodanno iniziarono ad essere rito proprio del Natale, siamo nel

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Una storia dimenticata che viaggia dall’antichità diciannovesimo secolo, periodo Vittoriano. La regina Vittoria, sposata al tedesco Alberto di Saxe Coburg Gotha, pubblicò un’illustrazione della famiglia reale riunita attorno ad un albero addobbato. La popolazione colpita da quell’immagine calda e famigliare decise di replicare quel quadretto nella loro realtà domestica. Così in ogni casa adornato un albero con dolcetti e decori fatti a mano, messi tutt’intorno una serie di piccoli regali ben confezionati, diedero vita a una nuova atmosfera natalizia. I regali erano opera di madri e figli che con attenzione sceglievano il pensiero più adatto; mentre i meno abbienti trascorrevano i mesi realizzando ricami e dipinti come dono per i cari. Una volta preparato il tutto la sera della Vigilia o al mattino di Natale il capofamiglia dava l’avvio per l’apertura dei pensieri: l’antichità viaggiava con loro. Ad oggi l’usanza di scambiarsi un dono rimane, ma forse il significato passato si è dissolto.

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Le tradizioni natalizie di Mario Pacher

Perché si usa un abete come simbolo del Natale?

L

'albero di Natale è, insieme con la tradizione del presepe, una delle più diffuse usanze natalizie. L'albero di Natale è un uso di origine nordica, particolarmente diffuso nell'area tedesca. Si tratta in genere di un abete o un sempreverde addobbato con palline, piccoli oggetti colorati, luci, festoni, dolciumi; alla base o sui rami si pongono piccoli regali impacchettati. Un tempo l'albero era sempre di origine naturale, di solito un piccolo abete che veniva tagliato nel bosco e portato in casa come addobbo natalizio. In epoca industriale iniziarono il commercio degli abeti coltivati e degli abeti di materiale plastico, in vari formati e colori. L'abete può essere portato in casa o

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tenuto all'aperto, viene preparato qualche giorno o qualche settimana prima di Natale e rimosso dopo l’Epifania. Nelle grandi città è d'uso abbellire una delle piazze principali con un grande abete. Quando l'albero viene collocato in casa, è tradizione in Italia che nei pressi o ai suoi piedi venga collocato anche il presepe, come pure siano collocati anche i regali di Natale ben impacchettati, in attesa del giorno della festa in cui potranno essere aperti. Nella tradizione milanese l'albero di natale viene preparato a Sant’Ambrogio, patrono di Milano, il 7 dicembre; mentre nella tradizione barese è allestito a San Nicola, patrono di Bari, il 6 dicembre. Un'altra

usanza ne prevede la preparazione l'8 dicembre, ovvero durante la festività cattolica dell' Immacolata Concezione. L'immagine dell'albero come simbolo dell' axis mundi che collega il Cielo supremo sede della Divinità (specificamente la stella polare) e la Terra, ha origini molto antiche e trova riscontri in diverse religioni.


Le tradizioni natalizie

La leggenda del vischio raccontattami più di 70 anni fa

I

l vecchio mercante si girava e rigirava, senza poter prendere sonno. Gli affari, quel giorno, erano andati benissimo: comprando a dieci, vendendo a venti, moneta su moneta, aveva fatto un bel mucchietto di denari. Si levò. Li volle contare. Erano monete passate chissà in quante mani, guadagnate chissà con quanta fatica. Ma quelle mani e quella fatica a lui non dicevano niente. Il mercante non poteva dormire. Uscì di casa e vide gente che andava da tutte le parti verso lo stesso luogo. Preva che tutti si fossero passati la parola per partecipare a una festa. Qualche mano si tese verso di lui. Qualche voce si levò: – Fratello, – gli gridarono – non vieni? Fratello, a lui fratello? Ma

che erano questi matti? Lui non aveva fratelli. Era un mercante; e per lui non c’erano che clienti: chi comprava e chi vendeva. Ma dove andavano? Si mosse un po’ curioso. Si unì a un gruppo di vecchi e di fanciulli. Fratello! Oh, certo, sarebbe stato anche bello avere tanti fratelli! Ma lui cuore gli sussurrava che non poteva essere loro fratello. Quante volte li aveva ingannati? Comprava a dieci e rivendeva a venti. E rubava sul peso. E piangeva miseria per vender più caro. E speculava sul bisogno dei poveri. E mai la sua mano si apriva per donare. No, lui non poteva essere fratello a quella povera gente che aveva sempre sfruttata, ingannata, tradita. Eppure tutti gli camminavano a fianco. Ed

era giunto, con loro, davanti alla Grotta di Betlemme. Ora li vedeva entrare e nessuno era a mani vuote; anche i poveri avevano qualcosa. E lui non aveva niente, lui che era ricco. Entrò nella grotta insieme con gli altri; s’inginocchio insieme agli altri. – Signore, – esclamò – ho trattato male i miei fratelli. Perdonami. E proruppe in pianto. Appoggiato a un albero, davanti alla grotta, il mercante continuò a piangere, e il suo cuore cambiò. Alla prima luce dell’alba quelle lacrime splendettero come perle, in mezzo a due foglioline. Era nato il vischio. (M.P.)

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I segni dello Zodiaco di Paolo Stefani

Il CAPRICORNO 22 DICEMBRE – 20 GENNAIO

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l Capricorno, insieme al Toro e alla Vergine forma i segni di Terra. I nati sotto il segno del Capricorno presentano caratteristiche particolari quali la responsabilità delle loro azioni, delle scelte che fanno e, non ultimo il fatto che, nel lavoro, desiderano raggiungere vette alte e posti di comando nella società. La loro costante pazienza gli permette di coltivare rapporti solidi di amicizia e non di rado raggiungono i loro scopi attraverso contatti che nel tempo hanno saputo stabilire grazie alloro comportamento sempre positivo. Non sono mai impulsivi e non di rado si dimostrano in possesso di buona educazione che li aiuta a raggiungere quanto si sono prefissati. Nella vita amorosa tendono a rimanere celibi in quanto la loro personalità evidenzia egoismo e riservatezza, elementi questi che poco si addicono alla vita coniugale. I nati sotto il Capricorno sono sicuri di sé e nel dialogo lo evidenziano a volte anche in maniera sfacciata.

Le donne Capricorno sono molto simili all’uomo nel quotidiano e nei comportamenti sociali. A volte possono apparire fredde e distanti dal legame intimo, altre invece si dimostrano molto disinibite e profondamente sessuali. Cercano sempre un partner economicamente molto indipendente in quanto amano la bella vita e i divertimenti. Spessissimo dimostrano di essere sono molto possessive e non di rado si dimostrano anche dotate di un egoismo calcolato e a volte anche immorale. Il Capricorno, sia uomo o donna, è dell’idea che le promesse di vita, una volta fatte e dette, devono essere sempre mantenute e, ad ogni costo rispettate e realizzate. In questo senso sono persone non volubili che tengono molto alla parola data e alla fiducia accordata. Nelle amicizie sono molto diffidenti e non è facile per loro stabilire un rapporto duraturo. Quando però ci riescono sono affidabilissimi e si dimostrano persone

oneste e concrete. Per l’uomo Capricorno la donna ideate oltre a una buona fisicità deve dimostrare una certa classe e una buona predisposizione ai rapporti sociali e lavorativi. Per la donna Capricorno invece, il partner deve possedere una straordinaria simpatia, essere brillante e solare. Il pianeta dominante è Saturno Il colore da portare: il nero La pietra Portafortuna: l'onice Il metallo: il piombo Il giorno favorevole: il Sabato

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Le Costellazioni di Paolo Stefani

La Costellazione del

CAPRICORNO La costellazione del Capricorno, in latino Capricornus, si trova tra il Sagittario a ovest e l’Acquario a Nord e a Est. E’ molto visibile da metà estate a metà autunno. Il Capricorno è la più piccola costellazione dello zodiaco e una delle più deboli come luminosità. Il Capricorno possiede inoltre un buon numero di stelle di quarta grandezza concatenate e relativamente vicine fra loro, che ne facilitano l'individuazione anche in cieli non troppo bui. La costellazione del Capricorno appare come un triangolo e alcuni studiosi di astronomia l'hanno descritta anche come gli slip di un bikini. Le sue stelle più importanti del sono: Deneb Algedi (la coda del capro) una stella bianca, distante da noi circa 40 anni luce (da ricordare che un anno luce corrisponde a 9.460 miliardi di Km) 39 anni luce da noi ed è posizionata all’estremità nord-orientale della costellazione; Dabih, una stella bianca multipla, distante 344 anni luce e si trova nella

parte occidentale; Algedi ( che significa capro o stambecco) è una stella doppia, composta dalle due componenti primarie di colore giallo e arancio pallido; Nashira (detta anche la fortunata), una stella bianca che dista dalla Terra 140 anni luce. È utile ricordare che l’anno luce è la misura astronomica kilometrica che quantifica la distanza percorsa da un raggio di luce in un anno. La luce si muove con una velocità, oggi accertata, di 299.792,5 chilometri al secondo, per cui un anno luce equivale a 9,460 milioni di milioni di chilometri. Nel Capricorno è visibile anche l’ammasso globulare M30, mentre le galassie sono poco presenti. In questa costellazione si trova anche una stella nana, chiamata HD 202206, che possiede un sistema planetario dove si trova un pianeta che ha una

massa due volte superiore a Giove. Il capricorno è un animale che esiste veramente ed è un ruminante della famiglia dei Bovidi molto simile a una capra selvatica. I capricorni sono alti circa 80/90 centimetri e lunghi circa un metro e mezzo con un potente collo sopra il quale si trova la testa con corna di forma conica, curvate all'indietro e molto lunghe. Sono animali poco conosciuti, molto timidi e paurosi vivono nelle zone montuose più impervie dai gradini di roccia più scoscesi.

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Ricette facili e veloci di Veronica Gianello

CHILOMETRO ZERO LIGHT

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lunghi pomeriggi invernali spesso ci offrono momenti di tranquillità, tutto all’imbrunire sembra più silenzioso. I paesaggi, oltre la finestra, avvolti dal freddo pungente, ci regalano spettacoli che alle volte non apprezziamo. Siamo circondati di bellezza e di una terra che vive. Perché non proviamo a conciliare le due cose, nel lungo inverno che ci aspetta? Il tepore della casa, l’aroma di un dolce che si espande per la cucina, e la felicità di realizzare qualcosa con le nostre mani, rispettando quello che il nostro territorio ci offre. Vi proponiamo in queste pagine delle ricette facilissime che vi scalderanno il cuore e profumeranno di mani sapienti che lavorano una terra, la nostra. Così, mentre saremo sul divano davanti a un buon libro o mentre il nostro film natalizio preferito ci scorrerà davanti agli occhi, assaporeremo i pigri pomeriggi che ci aspettano a dolcissime cucchiaiate. Sono ricette velocissime, da preparare al volo ma da assaporare lentamente. PORRIDGE ALLE MELE COTTE, MIELE E CANNELLA Per me il Natale ha un sapore chiaro e preciso: cannella. Quando poi riesco ad

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abbinare questa spezia alle dolcissime mele dei coltivatori locali l’acquolina è assicurata. Il porridge poi è in assoluto la mia colazione preferita. Che vogliate quindi un lentissimo risveglio o una sfiziosa merenda, il porridge di mele, miele e cannella fa il caso vostro, ed è pronto in pochi minuti. Prendete 30 gr di fiocchi d’avena tritati, metteteli in un pentolino a fuoco medio, aggiungete 250 ml di latte vaccino o vegetale, oppure di acqua per una versione ancora più light. Aggiungete una mela tagliata a tocchetti molto piccoli e, se piace dell’uvetta. Continuate fino a portare a bollore. Togliete quindi il composto dal fuoco, aggiungete dello yogurt bianco magro, una spolverata (per me sempre abbondante) di cannella e una colata di dolcissimo miele dei nostri apicoltori. Prendete un cucchiaio e affondate nel piacere della semplicità. TORTAZZA AL CIOCCOLATO CON CUORE DI LAMPONE Sono tanti i prodotti locali, reperibili a chilometro zero, che portiamo in giro per l’Italia e per il mondo. Tra i più noti e apprezzati troviamo sicuramente i piccoli

frutti. La cura e la dedizione di chi, con pazienza, passa i caldi pomeriggi estivi a raccogliere questi piccoli gioielli, o a bollire marmellata di lamponi, di mirtilli piuttosto che di altri frutti va premiata con ricette che rendano loro onore. Per non parlare delle piccole e grandi aziende agricole che esportano con orgoglio composte e preparati fatti con la frutta coltivata e raccolta nei nostri campi. Un ricordo delle scorpacciate estive di lamponi, anche in inverno? Perché no? Con questa ricetta dal cuore morbido, in due minuti sarà possibile. Vi basteranno una tazza e un cucchiaio. Con quest’ultimo versate due cucchiai di farina (io la preferisco d’avena), due cucchiai di miele locale, un cucchiaio di cacao amaro e mezza bustina di lievito. Aggiungete il vostro latte preferito fino a che, mescolando, non si forma una cremina densa, simile alla cioccolata calda. Ora prendete un bel cucchiaio di marmellata di lamponi e fatela scivolare nella tazza senza poi mescolare. In microonde per 2 minuti e accomodatevi sul divano, il film sta per iniziare!


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Il NUOVO CODICE DELLA STRADA

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l 10 novembre u.s. sono entrate in vigore le nuove regole che riguardano il codice della strada. E più esattamente: Foglio Rosa: durerà non più sei mesi bensì un anno e l’ esame per il conseguimento della patenta si potrà ripetere tre volte. Divieto dell’uso di telefonini e tablet e l’uso di qualsiasi dispositivo che comporti l’allontanamento delle mani dal volante. Le multe non aumentano e alla prima infrazione non ci sarà la sospensione della patente. Ciò avverrà se la persona commette una ulteriore violazione nel corso di due anni. Parcheggi per disabili: dal 1° gennaio 2022 i disabili potranno usare gratuitamente le strisce blu, qualora risultino già occupati o indisponibili gli stalli loro riservati. Raddoppia la multa per chi occupa uno spazio abusivamente senza

avere il contrassegno e triplicano i punti decurtati dalla patente per gli abusivi (da 2 passano a 6).Moto e motorini: la nuova versione del codice della strada, a differenza del precedente, prevede che se il trasportato, a prescindere dell’età, non indossa il casco scatterà la sanzione amministrativa. Monopattini: niente casco per i maggiorenni e niente obbligo della targa, mentre vi è l’obbligo delle frecce e dei freni in entrambe le ruote. Nelle aree urbane è vietata superare i 6 km/h. Parcheggi “Rosa”: su ordinanza del sindaco si potranno creare posti riservati per le donne in stato di gravidanza o per genitori con figli di età inferiore ai 2 anni. In questo caso è previsto un contrassegno esposto. Pubblicità stradale: è vietata la pubblicità dal contenuto considerato sessista o violento e per i “messaggi lesivi del rispetto delle libertà individuali,

dei diritti civili e politici, religiosi, dell’appartenenza etnica o discriminatori con riferimento all’orientamento sessuale, all’identità di genere o alle abilità fisiche e psichiche”. Proventi delle multe: i comuni e gli enti locali dovranno pubblicare una relazione annuale sulla destinazione dei relativi proventi e rendere noti tali dati sul loro sito istituzionale. - Ricorsi contro le multe: il ricorso al prefetto contestare infrazioni del codice della strada può essere effettuato anche per via telematica, attraverso la posta elettronica certificata. E’ vietato gettare rifiuti dal finestrino dell’auto, sia in sosta sia in movimento. Per i trasgressori multe salatissime. Attraversamento della strada: e’ obbligatorio dare la precedenza non solo ai pedoni che stanno attraversando la strada, ma anche a quelli che si accingono a farlo.

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