Indice
Introduzione di Domenica Borriello e Gianfranca Ranisio
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Una cascata di fiori. Comunicare infiorando di Domenica Borriello
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Puzzle votivi sul territorio campano: le edicole in ceramica di Domenica Borriello
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«Mettici la mano Tu!». Emergenza e commemorazione: vecchi e nuovi riti vesuviani di Giovanni Gugg La devozione in rete: tra siti e social network di Gianfranca Ranisio
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Uno storytelling per la ceramica sacra. Dalla collezione al museo, una proposta comunicativa di Susanna Romano
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Non “freddi documenti” ma “cuori di carne”. La devozione alla Santissima Trinità di Vallepietra di Paola Elisabetta Simeoni
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Gli Autori
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Introduzione
di Domenica Borriello e Gianfranca Ranisio*
1. Patrimoni e pratiche rituali L’ampio dibattito sui patrimoni culturali introdotto già all’inizio degli anni Ottanta, in seguito alla World Conference on Cultural Policies, tenutasi a Città del Messico nel 1982, ha posto da tempo l’attenzione sulle tradizioni, sulle manifestazioni culturali di un gruppo e sulla definizione e gestione dei patrimoni culturali delle comunità locali, di ciò che sul piano giuridico esse ritengono essere espressione culturale rilevante per la propria identità1. Il patrimonio culturale può essere assunto come una versione particolare del passato che appartiene a uno specifico gruppo ma che non esaurisce né l’intera e complessa vita culturale, né le aspirazioni ovunque presenti al cambiamento e alla trasformazione2. Esso è stato ridotto spesso, negli ultimi anni, a una sorta di bene di consumo, una semplice icona da utilizzare per fini turistico-imprenditoriali, dal momento che la Convenzione sul valore del patrimonio culturale per la società, del 20053, ha accen* La stesura dell’introduzione è stata pensata e discussa da entrambe le autrici, tuttavia il paragrafo 1 è stato scritto da Gianfranca Ranisio e il paragrafo 2 da Domenica Borriello. 1 Cfr. L. Bindi, Il futuro del passato. Il valore dei beni immateriali tra turismo e mercato della cultura in «Voci», X, 2013, pp. 36-48. 2 Cfr. anche F. Mirizzi, Storie di oggetti, scritture di musei. Riflessioni ed esperienze tra Puglia e Basilicata, Edizioni di Pagina, Bari 2008. Nel quadro della teoria museografica demoetnoantropologica il testo si sofferma sulla funzione evocativa degli oggetti e sul patrimonio. 3 La Convenzione, promossa dal Consiglio d’Europa e nota come convenzione di Faro, è entrata in vigore nel 2011.
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tuato il ruolo delle comunità locali e il loro coinvolgimento nel processo di valorizzazione del proprio patrimonio. Ciò che sembra concretamente essersi annebbiata è la complessità degli approcci e delle molteplici potenziali possibilità di valorizzazione di un patrimonio culturale, la necessità di una sinergia di specializzazioni e competenze di categorie, anche antropologiche4. La ricerca antropologica, sia per i paradigmi di riferimento sul mondo globale, come quelli elaborati da Appadurai5, sia per le ricerche sul campo che molti studiosi, tra cui Herzfeld6, hanno condotto, come rileva Clemente, dimostra «la possibilità di usare il patrimonio, e l’ambito che l’Unesco apre, sia come oggetto di nuovi studi antropologici sia come campo di pratiche, di poetiche e di politiche dell’antropologia»7. Ciò vale anche e soprattutto per il complesso e ricco ambito della sfera devozionale che trova espressione in patrimoni materiali ed immateriali estremamente vari. Come per altri ambiti dei beni Dea, gli aspetti devozionali, possono essere inseriti in progetti di valorizzazione e rifunzionalizzazione, legati a obiettivi di patrimonializzazione e di marketing territoriale, all’interno di un’ottica che presuppone la promozione delle risorse locali, nella loro accezione più ampia di risorse culturali, ambientali, paesaggistiche, enogastronomiche, religiose, folkloriche. Nei progetti presentati dagli attori locali e che richiedono investimenti finanziari, spesso infatti il patrimonio devozionale è presentato come una risorsa per lo sviluppo locale, rientra nei piani di valorizzazione che si accompagnano, per lo più, alla costruzione di offerte turistiche e pongono in rilievo le peculiarità territoriali. 4 L. Mariotti, La Convenzione sul patrimonio intangibile e i suoi criteri tra valorizzazione, tutela e protezione, in «Voci», X, 2013, pp. 88-97. 5 A. Appadurai, Modernità in polvere (1996), Raffaello Cortina, Milano 2012. 6 M. Herzfeld, The Body Impolitic. Artisans and Artifice in the Global Hierarchy of Value, The University of Chicago Press, London-Chicago 2004. 7 P. Clemente, L’antropologia del patrimonio culturale, in www.fareantropologia. it, 21 luglio 2010. Cfr. anche L. Faldini, E. Pili (a cura di), Saperi antropologici, media e società civile nell’Italia contemporanea, Cisu, Roma 2011; I. Maffi, Introduzione, in «Antropologia»,VI, 7, 2006. Il numero della rivista è dedicato al patrimonio culturale. Un ampio dibattito su queste tematiche è presente nei numeri della rivista «AM. Antropologia Museale».
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Negli approcci legati al marketing tradizioni e rituali sono analizzati come prodotti vendibili, costruiti per lo spazio dell’incontro turistico. Gli interventi antropologici hanno in questi anni inteso sottolineare la necessità di una problematizzazione, che non può prescindere dall’attuale panorama di commercializzazione della cultura, spesso reificata e considerata in un’ottica essenzialista. Il confronto internazionale su questi temi ha avuto inizio già tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta del Novecento, anni che hanno rappresentato un periodo di dibattiti intensi sulla concezione del folklore e sul rapporto tra cultura popolare e cultura di massa, presenti non solo negli studi europei ma anche in quelli nordamericani8. L’interesse sul modo in cui nella cultura di massa trovavano spazio elementi folklorici e come questi, a loro volta, potevano diffondersi e trasmettersi attraverso i media e la stampa ha portato a prendere le distanze da alcune posizioni teoriche che relegavano il folklore all’interno di una produzione contadina o subalterna in rapido declino, rivedendone i rapporti con i media e considerando i processi di rivitalizzazione e di diffusione realizzati attraverso di essi9. Altre impostazioni di studio si sono rivolte al modo in cui si manifesta la partecipazione dal basso, al modo in cui i progetti di valorizzazione locale contribuiscono alla costruzione e ridefinizione della località e con essa a processi di rielaborazione identitaria, tutti aspetti che richiedono un’accurata etnografia sul campo. L’analisi delle spinte verso il localismo, e del modo in cui queste si articolano rispetto al globale, è un tema rilevante, tenendo conto sia delle aspettative, che dei vincoli. Particolarmente avvertite a livello locale sono le opportunità, che si verrebbero a determinare, in seguito al riconoscimento di un bene culturale da parte dell’Unesco, ovvero quando un de8 Cfr. B. Palumbo, A carte scoperte. Considerazioni a posteriori su un percorso di ricerca a rischio di “patrimonializzazione”, in «Voci», X, 2013, pp. 123-152; L. Bindi, Rileggendo “Folklore e profitto”. Patrimoni immateriali, mercati, turismo, in «Etnoantropologia», 2, 2014, pp. 151-166. Sul rapporto tra cultura popolare e cultura di massa cfr. il numero della «Ricerca Folklorica» curato nel 1983 da A. Signorelli, Cultura popolare e cultura di massa («La Ricerca Folklorica», 7, 1983). 9 Bindi, Rileggendo Folklore e profitto” cit.
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terminato bene è inserito nel programma per la salvaguardia della diversità del patrimonio culturale, come bene che le generazioni presenti devono trasmettere alle future10. Emerge nel dibattito antropologico l’esigenza di una problematizzazione di queste esperienze, che ponga in luce alcuni nodi concettuali insiti in questo tipo di operazioni e sottolinei come intorno alla località si attivano forme di rappresentazione, poteri, strategie di costruzione dell’identità e della memoria, ma questo si realizza all’interno di processi politico-economici globali e locali insieme11 . L’antropologo deve perciò tenere conto del modo in cui si producono le retoriche della “tradizione”, del modo in cui in tale operazione sono impegnate le comunità locali e gli organismi nazionali e sovranazionali, del tipo di partecipazione che si attiva intorno a questi progetti, analizzando gli indirizzi, le modalità attraverso cui si creano scenari condivisi, quali sono i soggetti che sul piano locale gestiscono i progetti, attraverso il proposito, sempre più manifesto, ma non sempre riuscito, di porsi come imprenditori della propria “cultura”12. Ponendo l’accento sui processi di rivitalizzazione della tradizione, si può analizzare in che modo e con quali finalità tali processi riprendano il concetto di tradizione come patrimonio e come risorsa a cui attingere all’interno delle attuali strategie di valorizzazione e patrimonializzazione dei siti, dei paesaggi, dei patrimoni cosiddetti immateriali, tra i quali le feste. Nel momento in cui ci si propone di indagare un particolare tipo di patrimonio, quale quello devozionale, analizzandolo sotto il profilo demoetnoantropologico, siamo consapevoli che ci si deve confrontare 10 Anche l’Unesco, nelle sue dichiarazioni, ha più volte sostenuto l’importanza della salvaguardia della diversità del patrimonio culturale (dichiarazione del 1997, art. 7) e, in particolare, con la Convenzione del 2003 ha riconosciuto l’importanza del patrimonio culturale immateriale, definendo i criteri per la sua tutela e valorizzazione. Cfr. G.L. Bravo, R.Tucci, I beni culturali demoetnoantropologici, Carocci, Roma 2006, p. 84; L. Bindi, Volatili misteri. Festa e città a Campobasso e altre divagazioni immateriali, Armando, Roma 2009, p. 157. 11 B. Palumbo, L’Unesco e il campanile, Meltemi, Roma 2003; Id., Le alterne fortune di un immaginario patrimoniale, in «AM. Antropologia Museale», 28-29, 2011, pp. 8-23. 12 U. Fabietti L’identità etnica, Carocci, Roma 2013.
Introduzione
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con un settore, che richiede particolare attenzione e cautela metodologica. La devozione, con le sue pratiche e i suoi rituali, non può essere esclusivamente riportata entro i processi di patrimonializzazione, senza tener conto dei significati complessi che sono affidati a riti e simboli. La religione, infatti, trascende l’aspetto stesso del comunicare. Da un lato essa è funzionale all’esigenza di autorappresentazione all’interno di una comunità, dall’altro ha ampi significati e risvolti, poiché spesso è rivolta all’esterno e può essere indirizzata a perseguire finalità non solo di condivisione ma anche di proselitismo. Inoltre i rituali, le pratiche devozionali sono elementi costitutivi delle feste popolari, che sono spesso rivitalizzate, reinventate, celebrate nei loro aspetti “tradizionali”, che rappresentano non solo momenti di rafforzamento del senso comunitario e identitario, parte della dimensione ludica e della socialità locale13, ma sono anche al centro di molti processi di valorizzazione e promozione della località, attivati da parte dei gruppi locali. Si aprono delle riflessioni perciò non solo sui rapporti tra processi di patrimonializzazione, forme di costruzione/rivendicazione identitaria e comunicazione ma anche sui rischi di prospettive di essenzializzazione e oggettivazione dei fatti culturali.
2. Comportamenti, codici espressivi, devozione In questo testo sono proposti differenti “linguaggi” della devozione, ossia si considerano diverse forme espressive/comunicative che si esplicano secondo modalità proprie dell’ampio e variegato patrimonio culturale devozionale: da quello della ritualità festiva, commemorativa, a quello dell’iconografia, dell’oralità, della museografia o delle nuove produzioni del web e della multimedialità. 13 L.M. Lombardi Satriani, Lo sguardo della festa, in A. Ariño, L.M. Lombardi Satriani (a cura di), L’utopia di Dioniso. Festa tra tradizione e modernità, Meltemi, Roma 1997; L. Bonato (a cura di), Festa viva. Tradizione, territorio e turismo, Omega, Torino 2006.
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Il percorso di lettura trasversale nei vari patrimoni della devozione, come quello che ci proponiamo di presentare nel volume, è allo stesso tempo diretto sia alla analisi delle modalità comunicative e divulgative proprie della tematica sacra, che delle forme espressive pertinenti allo specifico ambito patrimoniale di riferimento. La trasmissione e la comunicazione di un messaggio devozionale possono infatti esprimersi, perseguendo la vitalità della tradizione o la memoria, ma anche con differenti finalità e con modalità divulgative e comunicative conseguenti ad inevitabili e vitali processi di rifunzionalizzazione, di riproposizione e/o di reinvenzione collegati non solo ad un uso turistico, a finalità imprenditoriali o di marketing territoriale, ma anche a una funzione autonoma, propria del patrimonio devozionale e, più in generale, demoetnoantropologico14. Tali aspetti rappresentano il filo conduttore dei diversi saggi di questo volume, per il quale potremmo individuare come specifiche parole chiave: patrimonio; devozione; comunicazione; divulgazione. I contributi, qui presentati attraverso case-studies, intendono indagare una pluralità di linguaggi che attengono alla sfera del sacro e a i suoi vari patrimoni devozionali, attraverso i quali si esplicano pratiche e rituali devozionali. I differenti saggi ci consentono anche di indagare, nel contempo, sul passaggio di campo di oggetti rituali dal sacro alla collezione e alla patrimonializzazione e pongono in evidenza alcune specifiche modalità comunicative, alcuni codici linguistici espressivi propri di patrimoni che afferiscono in modo diverso alla sfera devozionale15. La devozione, nel suo collocarsi in un determinato territorio e all’interno di determinate comunità locali, elabora specifici linguaggi, attraverso cui le comunità esprimono il proprio rapportarsi con la sfera del sacro e che rivelano esigenze di partecipazione, coesione, solidarietà di fronte alla precarietà esistenziale16. Per una larga parte del Novecento, la tecnica fotografica e poi
14 I.E. Buttitta, La memoria lunga. Simboli e riti della religiosità tradizionale, Meltemi, Roma 2002; M.M. Satta, Le feste: teorie e interpretazioni, Carocci, Roma 2007. 15 Cfr. Mirizzi, Storie di oggetti cit. 16 V. Lanternari, Dai primitivi al post-moderno.Tre percorsi di saggi storico-antropologici, Liguori, Napoli 2006, p. 101.
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quella audiovisiva restituiscono e fissano nel tempo tali linguaggi17. Lo sguardo fotografico diventa perciò esso stesso una componente di questo testo, nel riportare e fissare inquadrature e comportamenti devozionali, che permettono di ripercorrere la storia dei culti stessi, restituendocene anche la dimensione diacronica18. Dalla documentazione prodotta si può rilevare da un lato il rapporto con il territorio, dall’altra la deterritorializzazione dei culti e delle pratiche devozionali attraverso il web, che mette in rapporto, il locale con il globale, aprendo dialoghi fecondi e inediti. Il saggio Una cascata di fiori. Comunicare infiorando, di Domenica Borriello ripercorre la storia dell’Infiorata per soffermarsi sulle modalità di comunicazione aperte da questa pratica rituale, sui linguaggi comunicativi che attraverso l’uso sapiente dei fiori e dei colori si tratteggiano. Con vari livelli di complessità e di tecniche in evoluzione nel tempo, anziani, giovani, bambini e maestri infioratori organizzati in gruppi realizzano mosaici pavimentali composti da quadri, figure religiose, scritte, motivi ornamentali di vario genere realizzati mediante l’utilizzo di fiori e di altri vegetali, utilizzando precise regole non scritte ma socialmente approvate, come quelle del “linguaggio” dei colori e degli odori primaverili. 17 Cfr. P. Resta (a cura di), Belle da vedere. Immagini etnografiche dei patrimoni festivi locali, Franco Angeli, Milano 2010. 18 Sulla fotografia e sulla ricerca audiovisiva nella pratica antropologica si possono in questa sede fare solo alcuni rimandi bibliografici, tra i quali: F. Faeta, Le ragioni dello sguardo. Pratiche dell’osservazione, della rappresentazione e della memoria, Bollati Boringhieri, Torino 2011; Id., Fotografi e fotografie. Uno sguardo antropologico, Franco Angeli, Milano 2007; Id., Strategie dell’occhio. Saggi di antropologia visiva, Franco Angeli, Milano 2003; L. Mazzacane, Dalla collezione alla Rete, dal Museo al Territorio, in A. e L. Mazzacane (a cura di), La collezione Mazzacane, Prismi Editrice Politecnica, Napoli 2012, pp. 48-55; Id., Busto mezzo busto, figura intera. Il corpo ritratto come fonte per l’antropologia visuale, in AA.VV., Il tessuto del mondo. Immagini e rappresentazioni del corpo, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2007, pp. 107-120; Id., Ritorno a Vallepietra. Ricerca sulle foto e foto di ricerca: il duplice approccio alla festa dell’antropologia visuale, in P.E. Simeoni (a cura di), Fede e Tradizione alla Santissima Trinità di Vallepietra 1881-2006, Artemide, Roma 2006, pp. 91-97; Id., I Linguaggi multimediali e la rete. Nuove frontiere della comunicazione museale, in J. Cuisenier, J. Vibaek, Museo e cultura, Sellerio, Palermo 2002, pp. 259-267; A. Baldi, Scatti per sognare. Avigliano nelle fotografie dell’Archivio Pinto, Electa, Napoli 2004; F. Mirizzi (a cura di), Da vicino e da lontano. Fotografi e fotografia in Lucania, Franco Angeli, Milano 2010; F. Marano, Camera etnografica. Storie e teorie di antropologia visuale, Franco Angeli, Milano 2007.
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Nel saggio Puzzle votivi sul territorio campano: le edicole in ceramica è descritto da Domenica Borriello il ricco patrimonio devozionale delle edicole votive maiolicate presente in Campania, che si è diffuso in un arco di tempo che va dal secolo XVII ai nostri giorni, con particolare rilievo quantitativo e qualitativo tra il XVIII e la prima metà del XX secolo. Come in un attraente puzzle, ritroviamo raffigurati su una o più piastrelle (le riggiole) la Vergine o i santi solitamente venerati in loco, cui sono dirette pratiche votive e devozionali. Le potenzialità comunicative e divulgative proprie di tale patrimonio, presente sul territorio con collocazioni spaziali spesso strategiche, sono molteplici, da quelle della comunicazione territoriale a quelle della “comunicazione dello sguardo”. In questo specifico ambito patrimoniale si possono individuare anche significativi processi di rifunzionalizzazione e reinvenzione: molto spesso le piastrelle votive scompaiono dagli originari luoghi di ubicazione per essere illecitamente vendute o trasferite presso nuove strutture abitative o espositive, ma anche riprodotte fotograficamente per nuove proposte museali e multimediali, un chiaro segno di mutate realtà ed esigenze socioculturali e comunicative. Il saggio di Giovanni Gugg,«Mettici la mano Tu!». Emergenza e commemorazione: vecchi e nuovi riti vesuviani, pone in evidenza come, per quanto la memoria collettiva locale relativa agli eventi vulcanici sia elaborata attraverso una forma di oblio, emergano elementi al contempo di continuità e di rielaborazione rispetto a quell’incessante processo di attribuzione di senso che è il vivere il proprio territorio. A settant’anni dall’ultima eruzione vesuviana nel marzo del 1944, indagando la relazione tra gli abitanti e il loro spazio emerge che gli anziani orientano le loro memorie in maniera frammentata e selettiva: non trasmettono la conoscenza delle manifestazioni più fortemente pericolose, ma, al contrario, pongono l’accento sugli avvenimenti positivi della ricostruzione, in una scelta funzionale al presente, ovvero al restare in un luogo notoriamente “a rischio”. La devozione popolare rappresenta un aspetto importante per penetrare il complesso rapporto che lega gli abitanti al territorio; le stesse leggende collegate ai riti, che parlano di interventi miracolosi, rispetto alla minaccia proveniente dal vulcano, testimoniano del rafforzamento di questa visione positiva.
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Gianfranca Ranisio, nel saggio La devozione in rete: tra siti e social network, affronta il tema delle nuove forme di comunicazione che, nelle società contemporanee, permettono il prodursi di spazi e messaggi dalle modalità nuove e dai contenuti inediti. Ci troviamo, oggi, di fronte a una situazione articolata e complessa che vede l’intrecciarsi di altre modalità comunicative, accanto a quelle già consolidate, e che richiama a un interscambio tra modalità online e offline e questo riguarda anche la religione, come emerge dall’analisi dell’utilizzo del web da parte di un culto di recente formazione (quale quello della Madonna di Zaro) e dall’analisi di altri siti di contenuto religioso. Il saggio di Susanna Romano, Uno storytelling per la ceramica sacra. Dalla collezione al museo, una proposta comunicativa, partendo dal dato che nei secoli XVIII e XIX la maiolica si diffuse anche nei ceti medi e mediobassi dando luogo a una produzione di oggetti d’uso, che fanno parte oggi di collezioni significative, si sofferma sui numerosi oggetti per uso devoto, presenti nella Collezione Mazzacane, tra i quali acquasantiere, targhe ed edicole votive, vasi ed altri oggetti decorati con immagini sacre. L’eterogeneità tipologica del materiale collezionato e poi musealizzato fornisce un ampio quadro d’insieme, sull’estrema varietà di declinazioni che la ceramica di carattere religioso ha assunto e può ancora assumere. L’autrice sottolinea il mutamento della funzione comunicativa di oggetti destinati originariamente alla devozione pubblica o privata e, successivamente, ad altre funzioni collegate al loro divenire parte di un patrimonio da collezionare o da esporre in un museo, quando l’oggetto sacro si spoglia della sacralità devozionale per assumere nuove vesti identitarie: quella di un oggetto raro e prezioso da conservare ma, al tempo stesso, anche testimonianza e memoria da custodire, attestazione e veicolo di identità locali da ricostruire o da affermare. Nel saggio Non “freddi documenti” ma “cuori di carne”. La devozione alla Santissima Trinità di Vallepietra, Paola Elisabetta Simeoni descrive il culto della Trinità a Vallepietra, attraverso l’opera di fotografi e studiosi che lo hanno documentato. Attraverso le immagini l’occhio del fotografo e/o dello studioso incrocia quelli dei devoti. Diventano importanti in questo senso gli scatti con lo “sguardo” ravvicinato come i primi piani o lo sguardo intermedio o quello “da lontano”. Ad una fotografia d’epoca, quale è quella di
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Morpurgo, è interessante comparare anche quella di alcuni degli studiosi che, direttamente o indirettamente, attraverso i fotografi che hanno lavorato per loro, si sono avvicinati al culto cogliendo aspetti che un occhio non “professionale” avrebbe ignorato, divulgandone i contenuti secondo modalità scientifiche e tagli di analisi diversi. In questo modo, la devozione alla Santissima Trinità assume il linguaggio comunicativo dell’“occhio esterno”, che vede ciò che percepisce e vuole che sia comunicato. Da questi contributi emergono gli stretti rapporti dell’ambito devozionale con la storia e la cultura di un gruppo, la varietà ma anche la polisemicità dei linguaggi, che producono e utilizzano modalità espressive tradizionali, ma sono anche fonte di rielaborazioni, rivitalizzazioni e innovazioni. Infatti le forme espressive, così come le performances nel caso dei sistemi festivi e cerimoniali, rappresentano la memorizzazione e la documentazione delle pratiche e dei rituali devozionali e, allo stesso tempo, le trasformazioni e l’assunzione di nuove modalità comunicative.
Ringraziamenti Sinceri ringraziamenti vanno ad Alberto Baldi, direttore del Centro Interdipartimentale di Ricerca Audiovisiva, che si è adoperato perché questa pubblicazione fosse possibile, e a Lello Mazzacane che con il suo sostegno ha incoraggiato il nostro progetto. Un ringraziamento particolare va a Ferdinando Mirizzi che ha accolto questo testo nella sua collana. Per il saggio Una cascata di fiori. Comunicare infiorando, si ringraziano l’Amministrazione del Comune di Cusano Mutri, in particolare Lucia Franco, e gli intervistati per la disponibilità dimostrata. Per le fotografie inserite nel saggio Non “freddi documenti” ma “cuori di carne”. La devozione alla Santissima Trinità di Vallepietra di Paola Elisabetta Simeoni, la nostra gratitudine va ad Angelo Palma, alla Famiglia Lenti e a Daniele Baldassarre (Archivio Coluzzi). Infine, per il saggio «Mettici la mano Tu!». Emergenza e commemorazione: vecchi e nuovi riti vesuviani di Giovanni Gugg, si ringraziano Arnaud Halloy della Université de Nice-Sophia Antipolis (Francia) e Claudia Merli della Durham University (Regno Unito) per le sollecitazioni e i suggerimenti.
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Domenica Borriello
Fig. 1. Infioratori di Buenos Aires al lavoro; Cusano Mutri (Bn), 17 maggio 2014 (foto D. Borriello). Fig. 2. Petali sinfonia, bozzetto dell’associazione El pampillo di Castropol (Spagna); Cusano Mutri, I Festival Internazionale dell’Infiorata, 11-18 maggio 2014.
Fig. 3 (a fronte, in alto). Roma, 29 giugno 2014, “Concorso Internazionale delle Arti Effimere”; realizzazione Pro loco di Cusano Mutri. Fig. 4 (a fronte, in basso). Geisha, bozzetto del Gruppo Infioratori Versiliesi di Camaiore (Lu) per il festival di Cusano Mutri dell’11-18 maggio 2014.
Una cascata di fiori. Comunicare infiorando
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Domenica Borriello Fig. 5. Festa della sedia, bozzetto del Gruppo Infioratori di Poggio Moiano (Rm); Cusano Mutri, 18 maggio 2014. Fig. 6 (in basso). Semi e fiori freschi per i maestri infioratori di Buenos Aires; Cusano Mutri, 17 maggio 2014 (foto D. Borriello).
Fig. 7 (a fronte, in alto). Una fase di realizzazione del bozzetto Geisha; infioratori versiliesi di Camaiore, Cusano Mutri 17 maggio 2014 (foto D. Borriello). Fig. 8. (a fronte, in basso). Particolare del tappeto Carpe Roi dell’associazione La Fenice di San Pier Niceto; Cusano Mutri, I Festival Internazionale dell’Infiorata (foto D. Borriello).
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Domenica Borriello
Una cascata di fiori. Comunicare infiorando Fig. 9 (a fronte, in alto). Tango Argentino, Cusano Mutri, 11-18 maggio 2014 (foto D. Borriello). Fig. 10 (a fronte, in basso). Tango argentino, particolare (foto D. Borriello).
Fig. 11. Corpus Domini; Cusano Mutri, Infiorata 2013.
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Domenica Borriello
Fig. 12. Gruppo infioratori di Tokyo, particolare; Cusano Mutri, 18 maggio 2014 (foto D. Borriello).
Fig. 13. Pisoniano (Rm), Infiorata 2006 (foto D. Borriello).
Fig. 14. Infiorata in via Roma, particolare; Pisoniano, 18 giugno 2006 (foto D. Borriello).
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Fig. 15. Un quadro tematico; Pisoniano, Infiorata 2006 (foto D. Borriello).
Fig. 16. Addobbo di un piccolo altare, al termine dei tappeti di fiori; Pisoniano, Corpus Domini 2006 (foto D. Borriello).
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Fig. 1. Preghiera dinnanzi alla lava del Vesuvio (tavola di Beltrame, 1906?).
Fig. 2 (in basso a sinistra). I contadini di Boscotrecase portano la statua di sant’Anna, in processione, davanti alla lava (1906). Fig. 3 (in basso a destra). La strada da Napoli a Resina l’11 aprile 1906 (quadro di Eduardo Dalbono).
Fig. 4. Cartolina litografica del 1909: gli stabiesi in processione con san Catello rivolto al Vesuvio, 1906.
Fig. 5. Prima pagina dell’edizione speciale del Mattino Illustrato (15-22 aprile 1906) con il busto di san Gennaro in processione, trasportato a spalla dai fedeli a contrastare il Vesuvio infuriato.
Fig. 6 (in alto a sinistra). Eruzione del Vesuvio del 21 maggio 1855 (litografia, XIX sec.). Archivio della SocietĂ Napoletana di Storia Patria. Fig. 7 (in alto a destra). San Gennaro di Boscotrecase (itografia, XIX sec.). Centro Interdipartimentale di Ricerca Audiovisuale (CRA), Napoli.
Fig. 8. Maria Santissima della Neve, Torre Annunziata. Archivio privato U. Maggio.
Gli Autori
Domenica Borriello è docente a contratto di Discipline demoetnoantropologiche presso il Dipartimento di Lettere e Beni culturali della Seconda Università degli Studi di Napoli. Da anni collabora con le cattedre di Storia delle tradizioni popolari e Antropologia culturale del Dipartimento di Scienze sociali dell’Università di Napoli “Federico II” e con il Centro Interdipartimentale di Ricerca Audiovisuale (Cra) del medesimo Ateneo. Si occupa di fonti orali, di patrimonializzazione e di religiosità popolare, intrecciando la ricerca di campo con l’analisi delle fonti documentarie archivistiche e iconografiche. Tra le sue ultime pubblicazioni, si segnalano: Rappresentazioni visive. Il fascino intrigante dei dipinti votivi campani (2007); Das Volksfest von Piedigrotta (2008); Trasformazione, persistenze e rivitalizzazione di simboli e pratiche alimentari festive (2011); Medicine non convenzionali, medicine popolari e medicine etniche (2014). Giovanni Gugg è dottore di ricerca in Antropologia Culturale presso l’Università di Napoli “L’Orientale”, dove ha discusso la tesi All’ombra del vulcano. Antropologia del rischio di un paese vesuviano (2013). Attualmente è chercheur associé presso il Laboratoire d’Anthropologie et de Psycologie cognitives et sociales dell’Université de Nice-Sophia Antipolis (Francia) ed è “cultore della materia” in Antropologia Visuale presso l’Università “Federico II” di Napoli. Il rapporto che le comunità umane hanno con i loro luoghi e il loro paesaggio, soprattutto nel Sud Italia, è al centro delle sue ricerche. Si occupa, inoltre, di museografia e multimedialità: tra i progetti cui ha partecipato ci sono la mostra sui 200 anni della Provincia di Napoli (2007) e l’allestimento dell’Herculanense Museum presso la Reggia di Portici (Na) (2009).Tra le sue pubblicazioni: Il Vesuvio come logo: tra visibile e invisibile (2014); Sciascia, Pasqualino e le feste popolari siciliane. Uno sguardo antropologico (2012).
206 Gli Autori
Gianfranca Ranisio è docente di Antropologia Culturale, presso il Dipartimento di Scienze sociali dell’Università di Napoli “Federico II”. Accanto agli interessi scientifici sviluppati nel campo dell’antropologia medica e dei gender studies, ha impostato studi e ricerche sulle pratiche rituali e le forme di devozione popolare, presenti soprattutto nell’Italia meridionale. Tra le sue pubblicazioni: Venire al mondo. Pratiche, credenze e rituali del parto (1998); Quando le donne hanno la luna. Credenze e tabù (2006) e Culture della nascita. Orizzonti della maternità tra saperi e servizi (2012; in curatela). Susanna Romano è esperta in conservazione e valorizzazione dei beni demo-etno-antropologici. Progettista culturale e socia fondatrice della Cooperativa culturale onlus Artetica, ha collaborato e collabora all’allestimento di esposizioni museali, con particolare riguardo ai corredi multimediali e audiovisuali. Lavora attualmente alla organizzazione del sistema comunicativo dei Musei del sito reale di Portici (Musa) che include i Musei delle scienze agrarie della “Federico II” di Napoli , L’Herculanense Museum e l’Orto botanico presso la Reggia di Portici (Na).Tra le sue esperienze significative, la collaborazione con il Cra (Centro di ricerca audiovisuale) dell’Università “Federico II” di Napoli per la progettazione e l’allestimento dell’Herculanense Museum; la realizzazione del corredo espositivo per la Collezione di ceramiche di Vincenzo Mazzacane presso il Museo civico della ceramica cerretese e (con Aldo Mazzacane) la schedatura per il catalogo a stampa: La Collezione di ceramiche ‘Vincenzo Mazzacane’ (2012). Paola Elisabetta Simeoni è socia dell’Etnolaboratorio per il patrimonio culturale immateriale (Eolo). Già Direttrice coordinatrice etnoantropologa presso il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari e l’Iccd (Mibact), ha progettato, allestito e diretto due musei locali Dea in provincia di Roma. Svolge ricerche sul terreno in Italia sulla cultura del lavoro contadino e sull’antropologia religiosa. Tra le sue pubblicazioni: Ricerca e territorio. Lavoro, storia, religiosità nella valle dell’Aniene (con F. Fedeli Bernardini; 1991); Essere donna essere uomo nella valle dell’Aniene (2006); Fede e Tradizione alla Santissima Trinità di Vallepietra. 1881-2006 (2006).