Una ragione inquieta

Page 1


Prefazione

Quando l’editore mi ha proposto di raccogliere alcuni testi – articoli, interventi, relazioni – scritti negli ultimi anni, ho francamente temuto che si potesse rischiare un passo falso, qualcosa a metà fra l’ingenuità e la presunzione (e chissà se poi il rischio è stato del tutto scongiurato). Ma infine ho deciso di accettare la proposta – starei per dire la sfida – soprattutto per un motivo. Ripercorrendo infatti questi miei tentativi ho visto come dipanarsi un filo conduttore, pur in modi e flessioni differenti: quello di un pensiero per così dire “al lavoro”, in cui non si tratta appena di esporre tesi, sostenere opinioni o elaborare “punti di vista”, quanto piuttosto di fare attenzione e riconoscere quando, e come, gli eventi, gli incontri, le idee mettano – loro – in questione la nostra ragione, la provochino a domandare, a cercare il significato di sé e del mondo. E solo grazie a questa messa in questione della nostra ragione essa si scopre a sua volta capace di porre e di mantenere aperte le questioni decisive per il nostro tempo. Questo libro, dunque, non vuole proporsi semplicemente come l’esposizione di una serie di idee o l’analisi di determinate questioni, ma soprattutto come un tentativo di accettare la provocazione della realtà mettendo in gioco se stessi, e scoprendo in che modo i temi ed i problemi di volta in volta affrontati trovino nell’impatto con la propria esperienza il luogo più adeguato per essere intesi, attraversati, condivisi. Non è tanto in una più scaltrita capacità di analisi, allora, che si dovrà cercare il contributo di questi scritti, ma – se mai


VI

Prefazione

ce ne fosse uno – nella scoperta di una “sintesi”: una sintesi, però, che non va pensata solo come il risultato finale degli sforzi analitici, ma come un punto di partenza, quello in cui scopriamo che l’essere ci tocca e chiede di noi per potersi mostrare nella sua “verità”. Per questo l’inquietudine non è uno stato d’animo particolare in cui il nostro io venga a trovarsi in determinate situazioni o di fronte a certi problemi, ma costituisce per così dire la stoffa della nostra ragione, vale a dire il suo dinamismo più proprio e il suo metodo permanente. Certo, l’inquietudine può essere esperita come l’insoddisfazione per una mancanza ed essere come il segno di una nostra incapacità (soprattutto quando una certezza o una verità sembrano distanti, se non impossibili); ma potrebbe anche essere l’attestazione della presenza, in noi, di una domanda che è sempre più grande di noi, e quindi il segno del nostro essere in rapporto costitutivo con il significato di noi stessi e del mondo (per quanto opaco o limpido esso possa risultare alla nostra coscienza). Appunto per questo parlo di una “ragione inquieta”, per indicare non un mero disagio psicologico, ma il dramma che sperimentiamo tutte le volte che tentiamo di costruire strategicamente noi, con le nostre misure concettuali, il senso della realtà, considerandolo appunto un prodotto della nostra mente o della cultura e della struttura sociale in cui viviamo; ma anche tutte le volte che lo dichiariamo impossibile, quel senso, perché semplicemente immaginato, illusorio, inesistente. Una condizione drammatica, dicevo, perché dietro ogni presunzione e attraverso ogni disincanto torna sempre a farsi vivo – inevitabilmente, ostinatamente – il desiderio di capire, di conoscere, di aderire a ciò che ci accade e, in definitiva, a ciò che noi stessi siamo, senza mai riuscire a coincidere con esso. Secondo il modo più consueto di pensare, l’inquietudine degli esseri umani troverebbe il suo “arresto” necessario di fronte alla certezza di una risposta, e sarebbe destinato a scomparire quanto più il sapere si rivelasse esatto e controllabile da parte nostra; al contrario, nell’incerto accadere degli eventi e nell’imprevisto della storia del mondo e dell’esperienza individuale tale inquietudine restereb-


Prefazione

VII

be, sì – come potrebbe non restare? –, ma come un campo in cui non potrà mai essere raggiunta una certezza possibile. È come dire che, quanto più siamo capaci di possedere nelle nostre misure il mondo e la vita, tanto più “risolviamo” la nostra inquietudine; e viceversa, quanto più sperimentiamo il carattere inquieto del nostro io, della nostra intelligenza e del nostro cuore, tanto più dobbiamo prendere congedo anche solo dall’ipotesi di una certezza per l’esistenza e per la ragione. Questo libro prova a seguire un’altra ipotesi, e cioè che solo quando ci si imbatte in una possibile risposta alla nostra inquieta ricerca, solo allora si comincia veramente a domandare. Ogni domanda è già in qualche modo il contraccolpo di una risposta, e quest’ultima, per paradossale che possa sembrare, non è semplicemente o meccanicamente il punto di arrivo o il prodotto delle nostre domande, ma è ciò che sin dall’inizio le rende possibili. Si domanda rispondendo a ciò che ci viene incontro – eventi, persone, cose –; e una risposta può essere conosciuta come “vera” e “reale” solo nella misura in cui permette alla nostra ricerca di continuare, di approfondirsi, di compiersi come ricerca. E questo non per enfatizzare – come pure si fa di frequente – la ricerca per la ricerca, bensì per sottolineare che si cerca solo se si è trovato, anzi solo se si è trovati. La vera soddisfazione del nostro bisogno di senso e del nostro desiderio dell’essere e del vero non consiste – così mi pare – nella loro estinzione da parte di ciò che li soddisfa, bensì nella richiesta che il significato delle cose continui a venirci incontro, e cioè che accada sempre di nuovo nello spazio della nostra attenzione. Così potremmo descrivere la dinamica dell’inquietudine che sempre accompagna la ragione, e che anzi ne costituisce il volto più proprio, con i versi con cui Dante comincia a riconoscere negli occhi di Beatrice un nutrimento che non toglie l’appetito, ma anzi si rivela come il principio stesso del desiderio: «Mentre che piena di stupore e lieta / l’anima mia gustava di quel cibo / che, saziando di sé, di sé asseta…» (Purgatorio, XXXI, 127-129).


VIII

Prefazione

I testi che seguono sono quasi sempre nati su richiesta di amici e di colleghi, e portano in sé ogni volta, ben più che gli sparsi “pensieri” dell’autore, la traccia di un dialogo molto franco, di un confronto serrato e di un lavoro comune. E ogni volta il punto di sfida per me è stato quello di non guardare o giudicare gli eventi, le esperienze, i dibattiti messi a tema nelle diverse occasioni con una posizione già acquisita e collaudata in partenza, ma cercare di attraversare e “far mie” le questioni che emergevano, con il desiderio di comprendere in che modo e in quale prospettiva tornasse sempre ad emergere, dall’interno di esse, l’esigenza del senso, il bisogno del giudizio, l’imminenza del vero. Le quattro parti in cui è articolato il materiale raccolto hanno ciascuna un fuoco tematico e prospettico particolare. La prima («L’io, la razionalità, l’educazione») si concentra sulla difficoltà contemporanea – ma di ascendenza schiettamente “moderna” – a decifrare la struttura oggettiva dell’io, che viene per lo più ridotta ai meccanismi naturali (cerebrali ed emotivi) o alle strutture culturali in cui viene di volta in volta costruita la propria relativa identità. Ma questa crisi di identificazione dell’io non è solo un fenomeno storico-culturale tipico delle società post-moderne, segnate profondamente dall’ombra lunga del nichilismo, poiché essa appartiene strutturalmente alla fisionomia dello stesso soggetto moderno, di cui ciascuno di noi è, a suo modo, un erede. Come spesso succede, la “crisi del soggetto” è insieme un momento di dissoluzione di antichi modelli, ma anche un’occasione per comprendere con maggiore urgenza quale sia il “soggetto della crisi”. Ed è parso opportuno ripartire da quel nucleo fondamentale che è la ragione umana, intesa soprattutto nel suo uso concreto, vale a dire nella sua capacità di accusare il colpo delle cose e di chiederne il senso ultimo. Fare esperienza della razionalità è l’unica possibilità di verifica di cosa ne sia dell’identità del soggetto umano nel suo rapporto con se stesso e con il mondo, non semplicemente appellandosi ad una funzione astratta della conoscenza, o ad un altrettanto astratto dover essere morale, ma percorrendo spassionatamente la traiettoria delle


Prefazione

IX

domande provocate dall’essere, il nostro e quello altro da noi. Per scoprire dunque la natura, il valore e la dinamica della ragione umana nell’esperienza effettiva di un io personale, è necessaria non semplicemente una teoria sulla razionalità, ma una concreta educazione ad essa. Un’educazione della razionalità, vale a dire un esercizio consapevole e critico del domandare e – insieme – un’educazione alla razionalità, cioè a riconoscere che la ragione, come facoltà conoscitiva del soggetto umano, chiede e anzi è mossa dall’ipotesi di una spiegazione ultima del reale. Ma l’educazione non può mai essere un’attività autoreferenziale, se è vero che un io può scoprire la sua capacità autonoma di giudizio nella misura in cui domanda il perché della realtà, e quindi risponde a qualcos’altro o a qualcun altro che lo interpella. Quante volte invece una pretesa auto-formazione si è rivelata come lo schermo illusorio della più pervasiva omologazione? Il percorso della ragione ha sempre bisogno – proprio per divenire criticamente se stessi – dell’attestazione di un lavoro e di una scoperta già in atto. Nel mio percorso è stato l’incontro con un’esperienza cristiana vissuta l’occasione decisiva per comprendere cosa sia e cosa implichi effettivamente la ricerca della ragione. Per quanto paradossale possa sembrare agli occhi di chi identifica senz’altro ciò che è razionale con ciò che è a priori, è un dato di fatto che noi scopriamo la struttura del nostro io e il carattere universale di alcuni suoi fattori in un’esperienza storica particolare. A sua volta, però, un’esperienza storica particolare può farci scoprire qualcosa come un “volto” originario dell’io e un suo senso razionale, nella misura in cui essa vale come un invito o, di più, come una provocazione a prendere coscienza di tutte le nostre esigenze, senza ridurle a soluzioni inadeguate, e tenendole aperte in tutta la loro portata. Solo questo può evitare che si prenda una via (o meglio una scorciatoia) ideologica, applicando un senso precostituito alla materia sconnessa della storia o sublimando gli eventi accidentali in un piano generale del mondo. Il razionalismo è in qualche modo l’ostacolo più serio a comprendere cosa sia e come funzioni la nostra ragione.


X

Prefazione

A tale problematica si collega la seconda parte di questo libro («Libertà vs verità?»), comprendente due testi che cercano di attraversare alcune delle parole e delle idee più praticate – e forse più consumate – nel discorso pubblico del nostro tempo, come relativismo e fondamentalismo, diritti individuali e cittadinanza nell’ordine statale, sfera pubblica e sfera privata, motivazioni etiche della vita sociale e uso pubblico della religione, integrazione e multiculturalismo. Qui il lavoro è consistito nel rimettere in questione l’ormai invalsa identificazione del “relativo” con il “relativistico”, cercando di evidenziare il significato sedimentato – ma anche smarrito – nel primo termine, vale a dire l’esperienza di una relazione costitutiva dell’io individuale, dell’essere in rapporto con altro da sé, come il senso primario di ogni relativo. Al tempo stesso si trattava di contestare l’identificazione tra la verità, cioè il senso ultimo riconosciuto come adeguato alla vita e all’esistenza, come un mero “assoluto”, l’immutabile e l’intemporale, ciò che al massimo può essere inteso come un ideale regolativo o utopico, ma non si dà mai in carne ed ossa nella storia, la quale invece rimane il regno del transeunte. Ma forse bisogna ripensare la verità non come un “assoluto”, ciò che è sciolto (ab-solutus) da ogni rapporto all’esperienza temporale, bensì come un “accaduto”, come la scoperta e l’adesione ad un significato che, proprio per essere ultimo, è sempre portato da un presente: ultimo perché accade nel presente, ed emerge nell’esperienza finita e temporale dell’io. Sarà infine possibile superare (questa l’ipotesi di fondo che ho cercato di mettere a fuoco) lo iato, apparentemente incolmabile, tra un io individuale considerato in senso relativistico, senza alcun rapporto con il vero, e un vero inteso in senso fondamentalista, senza alcun rapporto con l’io? Peraltro in entrambi i casi, paradossalmente, è nella legge dello Stato che viene riconosciuto l’unico agente di verità pubblica per gli individui, sia nel senso che l’ordine statale debba prevenire e reprimere gli sconfinamenti del relativismo individuale, sia nel senso che gli individui debbano “per legge” diventare buoni, in virtù di un comando di tipo religioso e di un obbligo morale assolu-


Prefazione

XI

to. E se invece l’ordine della verità non fosse innanzitutto quello del comando e del dovere, ma quello di un bisogno, del desiderio peculiare della ragione umana? E se il diritto fondamentale della libertà fosse soprattutto il diritto al senso del vivere e al significato dell’essere? Anche in questo caso non si trattava però di ribadire princìpi astratti, inevitabilmente sbiaditi nell’epoca del nichilismo realizzato – e realizzato proprio perché divenuto, da inquietante patologia, tranquilla fisiologia del senso comune –, bensì di reimparare a domandare, di prendere sul serio la propria inquietudine, di corrispondere al richiamo del reale. Nella terza parte del volume, intitolata «La sfida del nichilismo», si vuole considerare appunto in che modo questo fenomeno, che intesse ed impregna di sé il nostro tempo, è una provocazione che va attraversata e condivisa, e in definitiva considerata come una chance per la nostra coscienza e la nostra azione. Facendo leva sull’ipotesi che il centro problematico del nichilismo non è tanto di carattere etico (la perdita dei valori, lo smarrimento delle certezze tradizionali), ma conoscitivo (che cosa realmente esiste, che cosa sono io) e metafisico (che cosa significa esistere, a cosa siamo chiamati). Si può affrontare il nichilismo in questa prospettiva, in cui ad essere in gioco, ancora una volta, non è un assetto socio-culturale ma la stessa possibilità di poter identificare il mio io? A me è sembrato di poter trovare tracce di una risposta positiva a questa domanda attraverso il lavoro dello sguardo e dell’ascolto testimoniato da alcuni personaggi che in qualche modo erano anche “interpreti” singolari di sé, e che hanno patito il peso del nichilismo, ma anche conosciuto ciò che è in gioco in esso: da Agostino (colui che ha compreso forse più di ogni altro il dramma dell’inquietudine dell’io) a Pavese, da Svevo a Virginia Woolf, da Cézanne a Eliot, da Stravinskij a Schrödinger. Non si tratta né di esempi edificanti né di modelli retorici, ma di altrettanti inviti a riconoscere e a seguire la strada che ad ogni nuova generazione e a ciascuno di noi, personalmente, è data per rispondere alla vocazione del proprio tempo.


XII

Prefazione

E il proprio tempo interpella sempre, attraverso le occasioni, i volti, gli incontri e gli scontri, gli eventi naturali e i problemi sociali e politici. La quarta e ultima parte di questo libro («Accogliere il reale, desiderare l’infinito») comprende soprattutto interventi di riflessione e di giudizio su altrettanti “casi” di ordine e natura diversi tra loro – naturali, scientifici, culturali, ecclesiali, politici – in cui si è cercato di mettere a fuoco ogni volta ciò che mi sembrava venisse richiesto a ciascuno di noi, e cioè in che modo ciò che accadeva dovesse essere compreso come una possibilità perché si acuisse la coscienza del nostro bisogno e del nostro compito. L’esercizio spassionato del giudizio a me pare che possa evitare il rischio sempre incombente della posizione ideologica pre-giudiziale o la tentazione assai diffusa di “chiudere” i singoli casi una volta appurate le cause, gli imputati e i colpevoli, solo se costituisce – proprio in quanto giudizio, e non rinunciando ad esso – uno spazio di apertura, un’insistenza nell’interrogazione, una chiarezza guadagnata attraverso la considerazione che non tutto è in nostro potere, anzi, che il nostro potere e la nostra capacità di comprensione e di azione dipendono dal riconoscere che vi è sempre un fattore “misterioso” nel gioco del reale. Mistero non è una parola irrazionale, non rappresenta un’etichetta da appiccicare ai nostri insuccessi o una sublimazione che serva da conforto alla nostra irrecuperabile finitezza, ma è un’evidenza ragionevole che viene per così dire avanzata dalla stessa realtà. Senza considerare questo fattore – non al di là del mondo, ma dentro di esso – è la stessa conoscenza della realtà nella sua concretezza a risultare impedita. Non perché si debba aggiungere qualcosa di misterioso al visibile, ma perché senza di esso non vedremmo tutto ciò che è visibile, e allo sguardo mancherebbe quella profondità che rende il vero spessore delle cose. Non è un caso che l’ultimo testo della raccolta torni sul tema del desiderio, perché è proprio quest’ultimo a mostrare l’evidente ragionevolezza del mistero: un infinito che si lascia pensare e desiderare dall’io dubitante, per usare i termini di Descartes. È come riconoscere che questo desiderio strutturale, che attraversa tutti i nostri


Prefazione

XIII

bisogni, e anzi a ben vedere li precede e li rende possibili, ha la stessa dinamica di un’attrazione magnetica: noi avvertiamo questa “forza” o energia, ma senza arrivare a riconoscere il magnete che l’attrae essa resterebbe una forza senza più coscienza, e soprattutto priva di libertà. E anche nell’ipotesi estrema del nichilismo, e cioè che, alla fine, si tratterebbe solo di un impulso cieco, sarebbe sempre il nostro desiderare, la nostra inquietudine, a rammentarci dell’esistenza della nostra ragione, e la nostra ragione a farci fare memoria dell’esistenza dell’infinito. Alcune delle tematiche affrontate nei contributi che seguono, e soprattutto una certa direzione di lettura e di interrogazione critica, erano già state messe alla prova – mi preme sottolinearlo – in una serie di letture pubbliche di filosofia realizzate con Giovanni Maddalena, Paolo Ponzio e Massimiliano Savini, e che hanno dato origine ad altrettanti volumetti pubblicati nella stessa collana “Accenti” delle Edizioni di Pagina, nella quale appare anche questo libro. Ad essi rimando volentieri sia per esplicitare ulteriormente le opzioni critiche esercitate nel presente volume, sia per verificare in maniera più dettagliata il confronto con alcuni autori particolarmente decisivi nella storia del pensiero. Il lettore va anche avvertito del fatto che alcune questioni di fondo, nonché il confronto con certi autori ritornano in più di un testo, tra quelli che compongono il volume: l’augurio è che questa inevitabile ripresa possa valere, ben più di una ripetizione, come segno di un lavoro che – almeno per me – ha bisogno continuamente di essere ripreso e ricompreso. Devo infine ammettere che, senza la cura intelligente e la paziente disponibilità della Dottoressa Stefania Scardicchio le pagine che seguono sarebbero rimaste probabilmente una disordinata raccolta di testi, e non ancora un libro: per questo la ringrazio vivamente. Bari, marzo 2011

C. E.


Indice

Prefazione

V

Introduzione L’età dell’incertezza

3

Parte prima L’io, la razionalità, l’educazione 1. Il dramma del soggetto moderno

13

La modernità e il problema del nichilismo, p. 13 • Il soggetto della crisi, p. 16 • La disputa contemporanea sul senso dell’educare, p. 24

2. Sul valore conoscitivo dell’educazione

27

Educazione: una questione aperta, p. 27 • Tra cognitivismo ed emotivismo, p. 30 • Educazione e ragione, p. 33

3. Senso religioso e razionalità nel pensiero di Luigi Giussani

41

La vita in questione, p. 41 • Il criterio della ragionevolezza, p. 45 • Il desiderio del vero, p. 47 • Seguendo il contraccolpo dell’essere, p. 51 • L’estrema possibilità della ragione, p. 55

4. Educare e convivere. La sfida dell’identità nel tempo delle differenze L’appartenenza in gioco, p. 59 • Tra la politica e il niente, p. 65 • “Natura umana”: identità e differenze, p. 70

59


256

Indice

Parte seconda Libertà vs verità? 5. Il soggetto, la verità, la libertà. Su alcune parole chiave del discorso pubblico contemporaneo

79

L’“assoluto” e il “relativo”, p. 79 • La libertà bifronte, p. 85 • Individualità naturalistica e ordine etico, p. 91 • Natura umana ed essere statale, p. 101 • Ragione e religione nella sfera pubblica, p. 106

6. Il nesso tra “fondamentalismo” e “relativismo”

113

Una teoria che produce un fatto, p. 113 • Il rapporto tra il soggetto e la verità come banco di prova di fondamentalismo e relativismo, p. 114 • Nichilismo: il problema del dato, p. 117 • Europa, o della ragione, p. 119 • Oltre il multiculturalismo, p. 121

Parte terza La sfida del nichilismo 7. «Quella mia certa assenza continua ch’è il mio destino». Il pensiero di Italo Svevo

131

Il pensiero «isolato da me», p. 132 • L’inettitudine come malattia conoscitiva, p. 134 • L’eliminazione del dato: dall’adesione al proposito; dalla certezza alla convinzione, p. 138 • L’io come dato: voluntas e noluntas in Svevo e Schopenhauer, p. 143 • Guardare le Pleiadi, p. 148

8. «Qualcuno ci ha mai promesso qualcosa? E allora perché attendiamo?» Leggere Pavese con Agostino

153

L’esistenza come inquietudine, p. 154 • L’inquietudine come desiderio amoroso, p. 158 • L’apertura alle cose, p. 164

9. La nostra ragione? Può scoprire il Mistero perché capisce il mondo Vedere la natura: Paul Cézanne, p. 174 • Appartenere ad una storia: Thomas S. Eliot, p. 180 • Udire il significato del mondo: Igor Stravinskij, p. 184 • Conoscere la coscienza: Erwin Schrödinger, p. 188

171


Indice

10. Chesterton, Tolkien e Virginia Woolf: l’imprevedibile sorpresa del nichilismo 11. L’impossibilità è il nostro ultimo destino? 12. Le meraviglie del verbo “essere” 13. Franco Volpi, un grande traduttore di quel misterioso senso all’origine del pensiero

257

194 197 201 206

Parte quarta Accogliere il reale, desiderare l’infinito 14. La sfida della “Sapienza” 15. Non bastano i neuroni per spiegare quella domanda che abita nella nostra testa 16. Benedetto XVI in Francia, nuova lezione di modernità 17. Un Fatto irriducibile a ogni moralismo 18. La riforma del cuore, motore nascosto del cambiamento 19. La legge formale e il prezzo della libertà 20. I sommersi e i salvati dallo “tsunami” 21. Di che cosa abbiamo veramente bisogno? 22. Così il nostro desiderio può sfuggire alla trappola dell’inganno Fonti

211 215 219 223 227 230 233 237 245 251


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.