Il libro Tutto scompare, tutto muore, ma il teatro resta il posto dove anche gli esseri più anonimi hanno la possibilità di diventare personaggi. In questa monografia, la storia e gli spettacoli di Eugenio Barba e dell’Odin Teatret raccontati da un critico-spettatore vicino alla più antica e attiva formazione del teatro sperimentale contemporaneo, attraverso testimonianze dirette, fonti scandinave poco note in Italia e fotografie inedite di Tony D’Urso.
L’autore Franco Perrelli è ordinario di Discipline dello Spettacolo presso il DAMS dell’Università di Torino. Fra le sue pubblicazioni: I maestri della ricerca teatrale. Il Living, Grotowski, Barba e Brook, Roma-Bari, Laterza, 2007 (III ed.; Premio Pirandello 2009); per le Edizioni di Pagina Henrik Ibsen. Un profilo (2006), La terra della sera. Scritti di Pär Lagerkvist (2007) e Bricks to Build a Teaterlaboratorium. Odin Teatret and Chr. Ludvigsen (2013).
Indice
Premessa di Franco Perrelli
VII
Macchie scure di Tony D’Urso
X
Capitolo primo La rotta segreta
3
Capitolo secondo Lo spettatore e la sfinge
30
Capitolo terzo Gli anni del furore
57
Capitolo quarto L’infinito teatrale
78
Capitolo quinto Il teatro perduto e ritrovato
98
Capitolo sesto La casa danese
118
Note
149
Spettacoli dell’Odin Teatret
166
Bibliografia essenziale
167
Premessa
Il 1° ottobre 1964, Eugenio Barba fondava a Oslo l’Odin Teatret. L’anno successivo presentava il primo spettacolo della nuova formazione, Ornitofilene. Sul programma di sala, si poteva leggere: Il nome del nostro teatro non è fortuito. Ci sembra naturale che sia quello della forza che ha lasciato la sua impronta nel nostro secolo: il dio della guerra Odino, il grande berserk [guerriero feroce]. Allo stesso modo in cui i nostri antenati evocavano e combattevano i demoni dando loro libero corso in cerimonie collettive, siamo qui riuniti – attori e spettatori – per far emergere e combatterla in piena luce, «la parte Odin» in agguato nella nostra oscurità. Questa lotta contro l’altro nascosto in noi diviene lo strumento d’una più profonda conoscenza delle forze segrete che sorgono inattese e ci investono quando le circostanze sono loro favorevoli. [...] La veemenza della lotta interiore ci guida verso una nuova nascita. Così lo sciamano Odin, poco a poco, una pietra dopo l’altra, ci guida ad allargare il campo della nostra coscienza1.
Mago, protettore degli eroi e dio dei poeti, Dioniso nordico, si può dire che Odino abbia davvero propiziato il lungo lavoro dell’Odin Teatret, caratterizzato da un’organizzazione e una disciplina quasi militari, abbinate a una tensione poetica intensissima che trasfigura magicamente il linguaggio scenico e il rapporto con lo spettatore. Si tratta di una delle più straordinarie e appassionanti esperienze della scena contemporanea, ormai riconosciuta a livello monVII
diale come il nesso più diretto che il teatro possa attualmente intrattenere con la rivoluzionaria stagione legata ai nomi di Stanislavskij, Mejerchol’d, Brecht, Artaud, rispetto ai quali l’Odin si pone in una posizione di originale continuità. Dal 1972 ho seguito Eugenio Barba e il suo gruppo. Nell’ottobre del 2004 sono stato invitato per il quarantennale dell’Odin nella sua sede permanente, la cittadina danese di Holstebro, e ho avuto l’idea di raccogliere le mie note, pubblicate e no, sugli spettacoli e le attività della formazione scandinava in una specie di libero e composito itinerario di studio, di critica, di eventi osservati, di colloqui con Barba. Quarant’anni di lavoro mi sono parsi un anniversario abbastanza memorabile ed emblematico. È infatti un’età incredibile per un gruppo teatrale, non saprei da quanti raggiunta in tutta la storia del teatro. Una volta, ho sentito Jerzy Grotowski affermare che di regola una compagnia esaurisce il suo ciclo creativo nell’arco di due o tre lustri. Non era un’opinione, sappiamo che in effetti è così che va; ma l’Odin, sotto questo profilo, è un caso straordinario di longevità, un rilancio continuo d’inventiva e, sebbene questo libro si fermi al Sogno di Andersen del 2004-5, si sa che è già in gestazione, per il 2006, davvero in una prospettiva lunghissima, un visionario Amleto (Il Principe) con danzatori balinesi per suggestivi spazi all’aperto. Ogni libro ha un titolo alternativo, più o meno occulto. Gli spettacoli di Odino potrebbe avere quello di Diario critico o, meglio, Diario di uno spettatore. Grotowski confidava a Raymonde Temkine che un buon critico era, a suo parere, chi descriveva uno spettacolo in modo tale che coloro che non l’avevano visto se ne potevano fare un’idea adeguata, offrendo contemporaneamente i pertinenti ragguagli tecnici2. In una conferenza a Parigi del 1968, sempre Grotowski definiva lo spettatore qualcuno con la «vocazione» di «essere osservatore, ma soprattutto essere testimone. [...] Il testimone si tiene un po’ in disparte, non vuole intromettersi, desidera essere cosciente, guardare ciò che avviene dall’inizio fino alla fine e conVIII
servarlo nella memoria; l’immagine degli avvenimenti deve rimanere in lui stesso»3. Nei miei resoconti, ho cercato di attenermi a queste funzioni di critico e spettatore e, in più, per la mia conoscenza professionale della cultura scandinava, ho cercato di innestare nella testimonianza un contributo forse meno presente nei pur validi libri sull’Odin che si possono correntemente leggere in Italia: il forte rapporto della storia personale e teatrale di Eugenio Barba con l’ambiente nordico, sul quale, fin dagli anni Sessanta, il regista italiano ha esercitato una profonda attiva influenza, che non è stata forse a sufficienza sottolineata. Per quanto riguarda i materiali che compongono il libro, il secondo capitolo coincide con un intervento tenuto nell’ambito di un seminario presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia, il 4 dicembre 2003, poi pubblicato in Sacrifici al femminile. Alcesti in scena da Euripide a Raboni, a cura di M.P. Pattoni e R. Carpani, «Comunicazioni Sociali», n. 3 (n.s.), settembre-dicembre 2004; nel terzo capitolo ci sono alcuni brani che derivano dai capp. II e VII di F. Perrelli, Un quaderno teatrale. Anni Settanta e oltre, Bari, Adriatica, 1986. Il quarto capitolo assembla articoli pubblicati su «Linea d’Ombra», n. 37, aprile 1989 (Conti aperti. Il teatro di Eugenio Barba) e «Il Castello di Elsinore», n. 46, 2003 (Barba e l’infinito teatrale); il quinto ingloba un pezzo presentato su «Teatro/Pubblico», febbraio-marzo 2005 (Alla ricerca dello spettacolo perduto). Il resto è materiale inedito, ma la parte edita è stata in ogni caso ampiamente rielaborata e integrata. Franco Perrelli
IX
Min Fars Hus (1972)
1-2. Gli attori di Min Fars Hus: Jens Christensen, Ragnar Louis Christiansen, Tage Larsen, Else Marie Laukvik, Iben Nagel Rasmussen, Ulrik Skeel, Torgeir Wethal.
5. Torgeir Wethal.
6. Torgeir Wethal e Tage Larsen.
1974-1976. Baratti da realtĂ senza teatro
7. Il libro delle danze, Carpignano Salentino 1974. 8. Eugenio Barba e Iben Nagel Rasmussen a Carpignano Salentino nel 1974.
9-11. Orgosolo, Sardegna, 1975.
12-14. Sarule, Sardegna, 1975 (Iben Nagel Rasmussen).
15. Ollolai, Sardegna, 1975 (Iben Nagel Rasmussen e Torgeir Wethal).
16. Ollolai, Sardegna, 1975 (Torgeir Wethal, Iben Nagel Rasmussen, Else Marie Laukvik e Tom Fjordefalk).
21. Come! and the Day Will Be Ours (1976). Iben Nagel Rasmussen (lo Sciamano) e Else Marie Laukvik.
I Brecht dell’Odin
22. Le ceneri di Brecht (1980). Torgeir Wethal e Roberta Carreri.
23. Ulrik Skeel, Roberta Carreri, Francis Pardeilhan, Tage Larsen.
24. Silvia Ricciardelli.
25. Le grandi cittĂ sotto la luna (2003). Augusto OmolĂş. Sullo sfondo da sinistra a destra: Julia Varley, Frans Winther, Kai Bredholt, Jan Ferslev, Tage Larsen, Roberta Carreri, Iben Nagel Rasmussen, Torgeir Wethal. 26. Julia Varley e Iben Nagel Rasmussen.
27. Iben Nagel Rasmussen (Kattrin la muta) e Torgeir Wethal.
I Kammerspiele dell’Odin
30. Judith (1987). Roberta Carreri.
31. Itsi-Bitsi (1991). Iben Nagel Rasmussen e Jan Ferslev.
32. Le farfalle di Do単a Musica (1997). Julia Varley. 33. Sale (2002). Roberta Carreri.