Stoa, Ellenismo e catastrofe tedesca, di Luciano Bossina

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Profilo dell’opera Anche la Stoa dovette fare i conti con la Shoah. Avvenne quando la grande opera di Max Pohlenz approdò dopo la guerra all’attenzione internazionale. La filosofia stoica vi era descritta come incrocio tra pensiero greco e sostrato semitico, in un fitto dialogo tra filologia e teologia, ma con rozze distinzioni razziali che piombavano in piena persecuzione nazista. A questa lettura si oppose per tempo Eduard Schwartz, rileggendo in senso politico l’orientalismo degli Stoici e misurando il rapporto tra grecità e semitismo sul conflitto franco-tedesco per Strasburgo e l’Alsazia-Lorena. Sullo sfondo delle due guerre mondiali lo studio della Stoa si apre dunque a un articolato processo di attualizzazione che questo libro descrive rendendo pubbliche per la prima volta pagine inedite dei due illustri filologi: il rapporto tra ellenismo e semitismo come tra germanesimo e protestantesimo, l’analogia tra la caduta del Reich e l’affermazione di Roma su Atene, l’orgoglioso ma nostalgico parallelo tra la grande scienza ellenistica e la moderna università tedesca.

Autore Luciano Bossina (Torino, 1975) si è formato a Torino, ha lavorato per anni presso il Septuaginta-Unternehmen dell’Accademia delle Scienze di Göttingen ed è ora ricercatore di Filologia Classica presso l’Università di Padova. Si interessa in particolare di letteratura greca ellenistica e tardo-antica, di autori cristiani, di storia della filologia e della tradizione classica. Ha tra l’altro pubblicato Teodoreto restituito (Alessandria 2008) e, in questa collana, Ma come fa a essere un papiro di Artemidoro? – Wie kann das ein Artemidor-Papyrus sein? (nel 2008, con Luciano Canfora).


Indice del volume

Premessa

vii

1.

Apologia a Lucerna

3

2.

Stoa, Uomo greco e ritocchi

10

3.

Stoicismo e semitismo

20

1. Elementi semitici nella Stoa, p. 20 - 2. Tra Germania e Italia, p. 29

4.

«Considerazioni d’ordine tattico»

43

5.

Libertà greca: tra teologia protestante e guerra fredda

62

1. Un ricordo di Karl Barth, p. 62 - 2. Un dialogo a distanza, p. 65 - 3. Pericle alla radio, p. 72 - 4. Libertà, grazia, obbedienza, p. 79

6.

«Etichette razziali»

98

7.

Un’altra Stoa: la critica di Eduard Schwartz

107

8.

Ellenismo: plurilinguismo e profezia

117

1. Gottinga ellenistica, p. 117 - 2. L’Ellenismo trilingue di Schwartz, p. 121 - 3. Ellenismo come profezia, p. 129

9.

Una Cipro moderna: l’Alsazia-Lorena

10. Università ‘ellenistica’

135 143

Appendice

I. Ellenismo e Nuovo Testamento: E. Schwartz a H. Lietzmann [8 gennaio 1906] v

153


II. E. Schwartz, Die staatliche Zukunft der Reichslande [1917]

155

III. E. Schwartz, Die deutschen Elsässer [ottobre 1919]

160

IV. L’appello per Paul Maas: M. Pohlenz a W. Theiler [15 giugno 1934]

164

V. L’appello per Kurt von Fritz: B. Snell a M. Pohlenz [11 maggio 1935]

165

VI. La Stoa in America: due lettere di H. Fränkel a M. Pohlenz [marzo-aprile 1949]

166

VII. M. Pohlenz, Weltanschauliche Kämpfe im Hellenismus [6-8 ottobre 1952]

169

213

Indice dei nomi

vi


Premessa

a Carl Joachim Classen

Non è intenzione di questo libro tracciare una storia dell’interpretazione moderna della Stoa, nemmeno limitata alla Germania. La ricerca si è sviluppata intorno all’opera capitale di Max Pohlenz, e vi si è allontanata quel tanto ch’è servito a comprenderne meglio l’origine, gli interlocutori e qualche snodo forse meno ovvio. Die Stoa nacque tra gli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso per fornire una summa complessiva della filosofia ellenistica (ciò che almeno in parte continua a essere), ma anche come tentativo di mettere a confronto mondo greco e mondo semitico. Una scelta che in quegli anni non poteva passare inosservata. Chi collochi le sue pagine nel dibattito che sollevarono, chi un poco si addentri negli ambienti da cui scaturirono, s’accorge non a caso di un singolare ancorché non isolato cortocircuito: e cioè che l’autore venne aspramente criticato per questo e per altri libri (L’uomo greco soprattutto) per gli stessi motivi che costituivano invece ai suoi occhi un attestato di merito. A lui, che sapeva d’essersi adoperato per proteggere il più possibile allievi e colleghi ebrei negli anni del nazismo, veniva gettata addosso l’accusa d’essere antisemita. Della sentenza postuma che volessimo emettere, e più ancora del processo che potremmo istruire, ci liberiamo volentieri: interessa però il problema storico, e i riflessi diretti che ne possono venire alla comprensione dell’Ellenismo – e dei suoi interpreti. vii


Pohlenz era convinto che la Stoa fosse il prodotto di uomini semiti in terra, e in pensiero, di Grecia. Un prodotto in tal senso perfettamente ellenistico. Nella connessione dei due mondi egli doveva del resto vedere anche il primo esperimento di un incontro che i semiti grecofoni del Nuovo Testamento avrebbero portato a miglior esito. Per il filologo, e per il luterano, questo era importante. Anche la dominante analogia tra ellenismo e germanesimo, che ha condizionato tra XIX e XX secolo tutta la produzione tedesca, doveva riarticolarsi su questo aspetto: se il punto d’arrivo dell’ellenismo è la Stoa, e se lo stoicismo non è senza il semitismo, come si declina sull’altro fronte la triplice parentela tra ellenismo, germanesimo e protestantesimo? E che ruolo vi svolge, per un filologo, il dialogo con la teologia? È chiaro che il problema non reclama una soluzione: ma ha forse il merito, una volta posto, di chiarire meglio perché uno dei più attrezzati e autorevoli critici dell’ipotesi semitica di Pohlenz fosse Eduard Schwartz: il dissenso che li divideva tra stoicismo e semitismo era lo stesso che doveva dividerli nel rapporto con la teologia. V’era d’altronde tra i due una ben diversa disponibilità nel misurare gli effetti dell’ellenizzazione sul mondo semitico (non solo in Palestina ma anche a Cipro), una diversa lettura del senso di appartenenza, diremmo oggi identitario, dei semiti alla grecità. Così per Schwartz l’origine semitica dei fondatori determinò nella Stoa l’appli­ cazione realpolitica al centro dell’accomodatio tipicamente frontie­rasca della periferia; per Pohlenz rappresentò invece il primo banco di prova nell’incontro tra l’«Evangelo greco della libertà» e la concezione vetero­testamentaria dell’uomo e dei suoi rapporti col divino. Non era una differenza da poco. Alle spalle di questi vasti scenari, ovviamente, le due guerre mondiali: la prima influenzò l’interpretazione della Stoa e dell’Ellenismo di Schwartz tanto quanto la seconda condizionò la nascita e poi soprattutto la ricezione di quella di Pohlenz. Il titolo parla per questo, come ne parlava Meinecke, di «catastrofe tedesca»: ma a rigore si userebbe meglio il plurale. viii


Risultati parziali di questa ricerca ho presentato tra l’agosto e il novembre del 2011 in seminari tenuti al Centro de Estudios Clásicos della UNAM di Città del Messico e alla Scuola di Dottorato di Filologia dell’Università di Padova. In entrambi i casi si destò una discussione assai vivace, di cui sono grato a partecipanti e ospiti. Ricordo in particolare a Città del Messico l’appassionato ritratto che Hugo Francisco Bauzá seppe tracciare – a proposito di semitismo, esilio e filosofia – di Rodolfo Mondolfo. Ho un debito di gratitudine, non limitato a questo libro e temo non estinguibile, con la «Niedersächsische Staats- und Universitätsbibliothek» di Gottinga, con il direttore Helmut Rohlfing e con tutto il personale, alla cui competenza non fa mai difetto la cortesia. Senza i cataloghi di Bärbel Mund non avrei potuto lavorare. Un grato pensiero rivolgo all’Accademia della Crusca per la generosa accoglienza: così al presidente Nicoletta Maraschio e così all’amico Domenico De Martino, italianista che ama Pasquali, come a lui sarebbe piaciuto. Sostegno sempre valido, e simpatia molteplice, ho ricevuto nella «Biblioteca Interdipartimentale ‘Tito Livio’» dell’Università di Padova. Vicende italiane recenti spiegano bene la bontà della sua qualifica: in effetti i dipartimenti trapassano, le biblioteche (sperabilmente) restano. Nella «Bibliothèque nationale et universitaire» di Strasburgo ho trovato la gentilezza di Aude Therstappen. In varie forme e premure mi sono stati d’aiuto Christian Schäfer, Felix Albrecht, Benjamin Apsel, Franziska Heimann. Queste ricerche, quantunque valgano, e in generale le mie saltuarie peregrinazioni nella storia della filologia, non sarebbero state nemmeno concepibili senza l’esempio, gli scritti, le conversazioni e gli stimoli di Luciano Canfora e di Bernhard Neuschäfer. Sorveglio ad ogni frase quel che ne potrebbero dir loro: ma non è un esercizio salutare all’amor proprio. La dedica va all’uomo e allo studioso che moltissimo si è speso per tener desta e proseguire la tradizione filologica di Gotix


tinga, che per primo mi aprì le porte della sua casa quando vi giunsi studente, che nell’antica biblioteca più volte mi ha accompagnato a leggere gli autografi, che persino si prese lo scrupolo che io avessi in casa una mobilia comoda. Ricordo l’ironia con cui riuscì a vincere le mie resistenze a prendere in dono, tra l’altro, un suo tappeto: «Quand’erano miei ospiti» – insistette – «lo calcarono anche Marcello Gigante e Piero Treves». Provai a ribattere che quello era semmai un motivo in più per non accettare: come esserne degni? «Li vede però quei graffi, laggiù, nell’angolo? Quelli sono del cane di Piero Treves». – Rassicurato sulla mia dignità, accettai. Padova-Gottinga, ottobre 2012

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2

Stoa, Uomo greco e ritocchi

Pasquali fu tra i primi a ricevere una copia dell’Uomo greco. Il 17 novembre del 1947 Pohlenz gliene annuncia la spedizione con una cartolina altrettanto breve quanto drammatica. «Cibo e riscaldamento» sono diventati un problema serio. Ha dovuto affittare alcune stanze della propria casa («In meiner Wohnung 5 fremde Personen»), lui e sua moglie si sono ritirati nello studio, che funge ora da camera da letto. La vita però riprende: all’età di 75 anni è tornato a tenere lezione. A sentirlo parlare della tragedia greca si raccoglie un pubblico di 250 persone. Per la copia dell’Uomo greco, «vista l’attuale emergenza» chiede un contraccambio: gli farebbe piacere ricevere il Sofocle di Perrotta1. Pasquali risponde il 2 dicembre: garantisce che farà da tramite con Perrotta, chiede notizie della biblioteca di Gottinga e dei vecchi colleghi. Pohlenz gli risponde poco prima della fine dell’anno (20 dicembre), abbozzando un confronto tra Italia e Germania dai toni tristemente profetici: «I tempi in Italia per Lei devono essere difficili, e lo rimarranno ancora a lungo. Ma almeno voi siete in pace, siete riconosciuti come Stato sovrano e riuscirete a dominare le difficoltà interne. In 1 G. Perrotta, Sofocle, Principato, Messina 1935. L’interesse per la tragedia dipende dal desiderio di portare a termine la seconda edizione di Die griechische Tragödie, che uscirà poi nel 1954 (Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen). La prima era del 1930 (Teubner, Leipzig-Berlin).

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Germania dovremo aspettare ancora a lungo, a lungo avremo ancora l’occupazione, e proprio qui vicino a Gottinga, appena dietro Bremke, comincia la zona sotto controllo russo, con la quale i contatti sono stati fino ad oggi difficili e minacciano di recidersi del tutto dopo il fallimento della Conferenza di Londra». (La minaccia si avverò). «Eppure la fede nella rinascita che ho formulato nella dedica del mio libro l’ho confessata di tutto cuore». Alla rinascita Pohlenz cerca di contribuire come può: la sua produzione non deflette. Dopo il libro sull’Uomo greco dedicato all’«uomo tedesco», può finalmente approdare a stampa la Stoa: «Nelle difficoltà quotidiane non ho altro conforto che il lavoro, che pure mi diventa sempre più gravoso per la perdita della vista e dell’udito. Fino a quando durerà? Stampo ora la mia Stoa: il primo volume è pronto, il secondo, con note e schiarimenti, uscirà dopo Natale». In altri tempi Pasquali si era detto espressamente contrario alle traduzioni in italiano di libri stranieri (perché non scemasse la conoscenza delle lingue), ma ormai il clima è mutato ed egli è anzi al centro di un turbinoso programma di traduzioni che ha nella Nuova Italia l’editore di riferimento: i due libri di Pohlenz meritano ai suoi occhi di essere immediatamente offerti al pubblico italiano e se ne fa subito portavoce con l’attivissimo editore fiorentino. Dal carteggio, e soprattutto dalle successive querimonie di Pohlenz, si apprende che per L’uomo greco il traduttore inizialmente designato fu Alfredo Rizzo. Per chi ricordi il ritratto che, proprio in quel torno di tempo, Pasquali ha lasciato di Pohlenz – «può adirarsi un momento, ma non può serbare rancore», «ha la letizia e l’umorismo mite»2 – sarà difficile riconoscerlo nelle lettere in cui sfoga il suo dispetto contro il traduttore. Le colpe che gli imputa sono del resto le stesse che di lì a qualche anno gli avrebbe imputato anche Eduard Fraenkel3: Rizzo non risponde alle lettere, si dilegua per settimane e settimane, non lavora, 2

Pasquali, Per l’ottantesimo anno di Max Pohlenz cit., pp. 783-784.

3 Si vedano le molte testimonianze raccolte in S. Rizzo, Eduard Fraen-

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ignora solleciti e accessi d’ira, per poi riprendere la comunicazione come se nulla fosse accaduto. «È la gentilezza in persona, sorride, s’inchina, ma fa quello che vuole lui, come vuole lui»4. Pochi anni dopo Fraenkel lo chiamerà «Carissimo Ὄκνος», ora scherzando col libro di Geremia («Si mutare potest Aethiops pellem suam, aut pardus varietates suas, Alfredus amicus epistolis sine mora respondebit»), ora sdegnandosi violentemente («Avessi pure trent’anni di meno, Lei non dovrebbe permettersi di trattarmi come continua a fare»)5. Per Fraenkel la questione riguardava prima l’edizione delle Ausgewählte kleine Schriften di Leo e poi dei suoi stessi Kleine Beiträge6. Due monumenti a cui Rizzo consacrò fatiche premurosissime e pluriennali, e che nonostante le more e i rinvii giunsero infine a compimento con piena e generale soddisfazione7. Nel caso dell’Uomo greco le cose andarono diversamente. Pohlenz lamenta l’assoluta inaffidabilità del traduttore, che si comporta in maniera «inaudita», «che per lettera ha promesso mari e monti» e poi invece si defila, non restituisce il materiale affidatogli, non risponde alle lettere né sue né dell’editore: «Der Herr ist für mich erledigt», scrive senza mezzi termikel, Alfredo Rizzo e le Edizioni di Storia e Letteratura, in «Seminari Romani di Cultura Greca», VI, 2003, pp. 119-142. 4 Definizione data da Giuseppe De Luca e subito fatta propria da Fraenkel: Rizzo, Eduard Fraenkel cit., p. 126. 5 Poco prima gli scrive: «Non smetto di meravigliarmi per come Lei riesca a unire l’impeccabile, persino esagerata cortesia della forma alla più completa inadempienza nella sostanza». Questa e molte altre lettere nel citato saggio di S. Rizzo. 6 F. Leo, Ausgewählte kleine Schriften, hrsg. und eingel. von E. Fraenkel, I-II, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1960; E. Fraenkel, Kleine Beiträge zur klassischen Philologie, I-II, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1964. 7 Basti il caloroso, non convenzionale omaggio che Fraenkel dedica a Rizzo nel ricchissimo Vorwort alle Ausgewählte kleine Schriften di Leo. La lunga storia di queste due raccolte si trova ancora in Rizzo, Eduard Fraenkel, cit.

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ni il 1° aprile del 1950. A quel punto Pasquali sarà intervenuto: Rizzo torna in gioco e si mette a tradurre. Ma Pohlenz continua a non averne fiducia, nemmeno quando si provvede ad affiancargli un aiuto, nemmeno quando il 24 settembre del ’51 riceve assicurazioni che la traduzione sarà ultimata entro il 31 ottobre («finché non sarà consegnata, io non ci credo»). Di fatto il libro uscirà più di dieci anni dopo, e per mano di un altro traduttore. Quanto alla Stoa, pare invece che La Nuova Italia, «per suggerimento di Diano», avesse preso contatti con Benedetto Marzullo. Pohlenz non lo conosce (e scrive «Manzullo») e ne chiede notizie a Pasquali: «Ist er zuverlässig und gut?». La secchezza del mezzo epistolare – spesso ridotto a cartoline postali stipate di scrittura – aumenta l’impressione che al desiderio e all’impazienza (Pohlenz è vecchio) si aggiungesse un’apprensione non di rado scomposta8, l’istintuale tendenza a ridurre tutto, come direbbe lui, al Volkstum: «Dopo tutto questo la mia stima per i Siciliani non è certo aumentata»9; «Grandi speranze in Rizzo non ne ripongo, e l’ho anche scritto all’editore. Er ist eben ein Sizilianer»10. Il refrain è fastidioso. Lo avvertono che a Rizzo è stato affiancato il «Dr. Luppino aus Neapel»? «Sono curioso di vedere se il Napoletano riuscirà a trascinare il Siciliano»11, e via così. Segnali di questa attitudine non rimangono confinati alla corrispondenza privata: «Ancor oggi nell’Italia meridionale» – scriverà pochi anni dopo nella Libertà greca – «vediamo sulla riva i ‘lazzaroni’ che consumano a pranzo un paio di fichi e si sentono così 8 Tornano alla mente gli «scoppi d’ira» (ancorché «benevola») di Eduard Fraenkel a cui Salvatore Lilla racconta di aver assistito mentre traduceva il suo Orazio. Anche in quel caso il progetto si protrasse per un tempo al principio inimmaginabile: si veda E. Fraenkel, Orazio. Edizione italiana a cura di S. Lilla, premessa di S. Mariotti, Salerno Editrice, Roma 1993, p. xii. 9 Lettera a Pasquali del 14 febbraio 1950. 10 Lettera a Pasquali del 19 febbraio 1951. 11 Lettera a Pasquali del 30 luglio 1951.

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infinitamente bene, che l’uomo civile [sic] è tentato d’esclamare con rammarico, come un giorno il re Tolomeo: “Fossi potuto nascere come uno di loro!”». Tutto questo per spiegare la filosofia di Diogene: «Solo nel caldo meridione, solo in una popolazione per sua natura priva di bisogni il cinismo poteva attecchire come forma di vita»12. Una «visione della terra degli Zitronen» a dir poco «anacronistica» e «oleografica», che non è passata inosservata13. Ma a irritare più di tutto Pohlenz è che Rizzo abbia ricevuto una lista di modifiche e integrazioni da introdursi «necessariamente» nell’edizione italiana, e ometta non solo di metterle a frutto, ma finanche di restituirle. Il 14 febbraio del ’50 scrive a Pasquali: «Persino le mie indicazioni per le modifiche da introdursi necessariamente nell’edizione italiana, che gli avevo spedito, e che gli ho richiesto indietro, non me le ha mandate». Il 1° aprile torna a lagnarsi: «La Nuova Italia mi ha scritto che Rizzo continua a non dar notizie di sé. Io ormai fo già conto di dover riscrivere daccapo le modifiche da introdursi nell’edizione italiana che gli avevo spedito». È chiaro che le «modifiche» sono un problema serio. Ma che cosa contenevano? Si veda questo ben noto passo all’inizio del libro, in cui Pohlenz presenta «scopo e disegno dell’opera»: La meta deve consistere nel penetrare fino nel profondo dell’anima, donde quei fatti sono scaturiti, fino all’uomo greco, dalla cui singolarità sono determinate tutte le manifestazioni della vita di quel popolo. Giacché l’«uomo greco» non è un’idea romantica, ma un fenomeno biologico storicamente dato, con cui la scienza deve fare i conti se vuole comprendere i singoli Elleni. Pohlenz, La libertà greca, p. 104. Si veda la misurata e attenta recensione all’originale tedesco di Italo Lana in «Rivista di Filologia e Istruzione Classica», LXXXIII, 1955, pp. 425-432. Qui, p. 431, n. 1: «Oggi l’uomo di cultura non rimpiange quella supposta felicità che egli non gode, bensì si vergogna che così poco sia stato fatto in passato per migliorare le condizioni di vita di quelle popolazioni». 12 13

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Accade all’uomo come a un nobile cavallo arabo, di mostrare ben marcati certi tratti della sua razza, e non costituisce un attentato alla grandezza del genio ricordare che egli porta in sé i caratteri distintivi del popolo cui appartiene. L’impresa che ci sta di fronte è grande e bella, e risponde nello stesso tempo ad un naturale bisogno della scienza14.

Le parole che abbiamo evidenziato hanno una loro triste notorietà: i riferimenti alla grecità come «fenomeno biologico», il paragone col «nobile cavallo arabo», il ricorso ai sinistri «tratti della razza» non sfuggiranno a recensori, e detteranno reazioni oscillanti tra l’imbarazzo e lo sdegno15. Ciò che tuttavia è assai meno noto è che queste parole non ci sono nell’originale tedesco: tutta la parte in corsivo è stata pensata e aggiunta apposta per l’edizione italiana. Ecco una delle Änderungen che Pohlenz aveva spedito a Rizzo. Le quali volevano essere evidentemente uno schiarimento contro ogni equivoco, un contributo a sgombare il campo, un ribadimento composto e sereno di tesi ch’egli temeva venissero fraintese. Ma certo non si può dire che «modifiche» come queste potessero davvero stornare da Pohlenz l’accusa di «Rassismus» che tanto lo affliggeva. Anche per la traduzione della Stoa le cose procedettero al 14 Pohlenz, L’uomo greco cit., pp. 3-4. L’originale suonava così: «das Ziel muß sein, bis zu der seelischen Tiefe vorzustoßen, aus der sie emporgetrieben sind, bis zu dem hellenischen Menschen, durch dessen Eigenart auch alle Lebensäußerungen des Volkstums bestimmt sind. Die Aufgabe ist groß und schön und zugleich eine selbstverständliche Forderung der Wissenschaft» (Pohlenz, Der hellenische Mensch cit., p. 5). 15 Sulla diffusione di questo lessico, e soprattutto di queste idee, si veda L. Canfora, Cultura classica e crisi tedesca. Gli scritti politici di Wilamowitz 1914-1931, De Donato, Bari 1977, p. 42 e ss. (e nota corrispondente, p. 249), che ricorda al proposito non solo una lunga pagina del Wilamowitz di Der Glaube der Hellenen, ma anche le ferme convinzioni di Kurt von Fritz, assertore convinto della «culturale [si badi: non razziale] disuguaglianza degli uomini».

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di là e contro i programmi. A incaricarsi del gravoso compito sarà di fatto Ottone de Gregorio. Pohlenz continua a pressare su Pasquali: «Arbeitet Gregorio an der Stoa?». A Gottinga arriva una cartolina di rassicurazioni: «si tranquillizzi sullo zelo del Signor De Gregorio e sul destino della Sua Stoa» – gli scrive Pasquali – «Rivediamo insieme proprio ora passi difficili dalle prime 200 pagine del Suo libro». In calce si aggiunge la penna dello stesso De Gregorio, che porge a Pohlenz «i migliori saluti, pur senza conoscerla», e fornisce ulteriori assicurazioni: «Lavorerò con sempre maggiore zelo alla traduzione, che spero di finire entro l’anno»16. È il 2 marzo del 1952: l’opera uscirà quindici anni dopo! In quegli stessi mesi Pasquali patrocinava (e sorvegliava) anche la traduzione italiana della Textkritik di Maas17. Ma certo la poderosa Stoa comportava un lavoro incomparabilmente più gravoso di quel pur densissimo «libriccino». La Critica del testo riuscì infatti a vedere la luce prima della morte di Pasquali, la quale dové invece causare un deleterio rallentamento nella versione dei due libri di Pohlenz. Nessun dubbio, tuttavia, che al ritardo dell’impresa concorse anche la complessa stratigrafia del secondo volume della Stoa. Qui Pohlenz aveva raccolto tutte le note al testo: ma il tomo, come s’è visto, era uscito più tardi, e in tiratura ridotta. Così quando nel 1955 si rese opportuna anche in Germania una seconda edizione, Pohlenz lasciò 16 Cod. Ms. M. Pohlenz 51, 16: «Herrn Prof. Dr. Max Pohlenz / Friedländerweg / Göttingen / Germania occidentale / Land Niedersachsen / Florenz, 2 März [1952]. Lieber Pohlenz, Beruhigen Sie sich über den Fleiß Herrn De Gregorio u. das Schicksal Ihrer Stoa. Wir revidieren eben gemeinsam schwierige Stellen aus den 200. ersten Seiten Ihres Buches. [...] Ihr G[iorgio] P[asquali]». Poco sotto: «Unbekannterweise sende ich meine besten Grüsse. Werde weiter fleissig an der Übersetzung arbeiten und hoffe diesen Jahr fertig zu werden. De Gregorio». 17 Sia lecito anche qui il rimando a L. Bossina, «Textkritik». Lettere inedite di Paul Maas a Giorgio Pasquali, in «Quaderni di Storia», LXXII, 2010, pp. 257-306.

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intatto il primo volume, e concentrò tutti gli aggiornamenti nel secondo. L’esito in Italia fu che De Gregorio si limitò a tradurre il primo. Intervenne quindi un secondo (o terzo o quarto) traduttore, Beniamino Proto, che portò a termine questa doppia fabbrica da cattedrale medievale: prima traducendo una volta per tutte L’uomo greco rimasto sepolto chissà dove (1962), quindi il secondo volume della Stoa (1967), entrambi arricchiti dagli ultimi voleri dell’autore, dettati ormai in articulo mortis e usciti largamente postumi. Ma che cosa c’era di tanto urgente da dover inserire a tutti i costi in un libro che pure si estendeva per centinaia e centinaia di pagine, e copriva mezzo millennio di filosofia? In seguito anche l’originale tedesco sarebbe lievitato per suo conto, con periodici aggiornamenti di bibliografia e indici18, e vi trovarono posto anche alcune precisazioni (non tutte19) dettate parallelamente all’edizione italiana. Ma ciò che Pohlenz non poté, o non volle, inserire nella nuova edizione tedesca, fece tuttavia rifluire in «Gnomon», sfruttando una recensione scopertamente accessoria per tornare di nuovo al problema che lo assillava20. Anche la scelta della rivista, a parte l’autorevolezza della sede, era dettata da motivi contin-

18 Aggiornamento bibliografico fino al 1962 a cura di un devoto discepolo di Pohlenz, Heinrich Dörrie, per la terza edizione. Nuovo aggiornamento fino al 1979, e soprattutto dettagliati indici delle fonti, a cura di Horst-Theodor Johann per la quarta. Da allora in poi la Stoa fu ristampata in Germania con cadenza periodica (l’ultima edizione, l’ottava, è del 2010). 19 Come le osservazioni polemiche contro Schwartz (vedi infra). 20 Nella recensione a É. Bréhier, Chrysippe et l’ancien stoicisme (Paris 1951), in «Gnomon», XXIII, 1951, pp. 382-383. Qui conviene notare tre cose: la prima, che il libro di Bréhier, uscito allora in seconda edizione, era in realtà vecchio di quarant’anni (1910); la seconda, che Pohlenz non avrebbe mai più recensito alcun altro volume; la terza, che il testo non si occupa del libro recensito se non in misura modesta. Tutto ciò dimostra che la recensione a Bréhier non era che un pretesto per tornare sui punti dolenti.

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genti: proprio lì erano usciti contro di lui rilievi assai critici di Walther Kraus21 e di Hans Joachim Mette22. Il problema, sia in Germania sia in Italia, era sempre lo stesso. Se si riscontrano le correzioni e le aggiunte, tanto all’edizione tedesca quanto a quella italiana, se si guarda alla recensione su «Gnomon», se si leggono le inedite conferenze di Lucerna, si vedrà che il complesso corredo integrativo dispiegato ad ogni occasione utile a parlare di stoicismo (aggiornamenti bibliografici a parte) persegue sempre lo stesso fine: attenuare le ricadute dell’interpretazione “semitica”, parare i colpi, rispondere agli addebiti di chi lo accusava di essersi anche lui abbassato, se non proprio all’antisemitismo, certo a un’interpretazione ingenuamente e pericolosamente razziale del mondo antico. Ecco un’altra «modifica»23: Poiché le mie considerazioni sui rapporti tra la Stoa ed il mondo semitico sono state falsate o fraintese da alcuni recensori, preciso qui di nuovo – riprendendo quanto è pure esposto nell’introduzione a questa ediz. italiana – il mio punto di vista. Che Zenone, Crisippo e numerosi altri seguaci della Stoa fossero di origine semitica è un dato di fatto che non può essere messo in discussione. Ciò, a chiunque voglia occuparsi con metodo scientifico di storia della filosofia, pone un problema che non diviene meno serio per il fatto che non possiamo dargli una soluzione pienamente soddisfacente. Tanto è comunque sicuro, che la filosofia stoica presenta alcuni tratti che appaiono estranei al mondo dell’antica grecità. [...] Il problema storico non ha nulla a che vedere con teorie razziali o, peggio, con l’esaltazione di una determinata razza. Già nel 1940, nella rivista «Das neue Bild der Antike» (I, p. 361)24, io affermai che i 21 Recensione a Der hellenische Mensch, in «Gnomon», XXI, 1949, pp. 363-365. 22 Recensione a Die Stoa, in «Gnomon», XXIII, 1951, pp. 27-39. 23 Pohlenz, La Stoa cit., I, pp. 328-329, n. 9 (stesse considerazioni nei Nachträge confluiti nella ristampa tedesca del 1955: Die Stoa cit., II, p. 236). 24 Il riferimento alla collezione di scritti di Das neue Bild der Antike

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fondatori di razza semitica della Stoa esercitarono un influsso importante e salutare sulla vita spirituale dell’età ellenistica, creando con la loro etica idealistica e con la loro filosofia del logos, impregnata di religiosità, un valido contrappeso alla filosofia di Epicuro, nelle cui vene scorreva puro sangue greco.

È il grande cruccio dell’ultimo Pohlenz. Dopo la guerra, tra «base morale» e «pace interiore», anche la Stoa deve fare i conti con la Shoah.

è tanto più significativa, se si considera ch’essa agì di fatto come «summa ufficiale del classicismo nazista» (L. Canfora, Intellettuali in Germania tra reazione e rivoluzione, De Donato, Bari 1979, p. 127, n. 268).

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