GialloVerde: un'opera in 500 minuti

Page 1

FREEBOOK AMBIENTE Biblioteca gratuita on line di

a cura della Fondazione Per Leggere

GialloVerde: un’opera in 500 minuti



FREEBOOK AMBIENTE Biblioteca gratuita on line di

a cura della Fondazione Per Leggere

GialloVerde: un’opera in 500 minuti


a cura della Fondazione Per Leggere GIALLOVERDE: UN’OPERA IN 500 MINUTI Edizioni Ambiente srl www.edizioniambiente.it coordinamento redazionale: Anna Satolli progetto grafico: GrafCo3 Milano impaginazione: Roberto Gurdo, Chiara Terruzzin copertina: © Phasmageist/DeviantART © 2013, Edizioni Ambiente via Natale Battaglia 10, 20127 Milano tel. 02.45487277, fax 02.45487333 L’autore del racconto nono classificato ha deciso di non partecipare a questa pubblicazione. Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, comprese fotocopie, registrazioni o qualsiasi supporto senza il permesso scritto dell’editore.

I siti di Edizioni Ambiente www.edizioniambiente.it www.nextville.it www.reteambiente.it www.freebook.edizioniambiente.it Seguici anche su: Facebook.com/EdizioniAmbiente Twitter.com/EdAmbiente


SOMMARIO

introduzione di Federico Scarioni

4

Concorso letterario GialloVerde

5

inCIPIT dei racconti

8

I PRIMI 10 CLASSIFICATI

12

1° tesoro mio Laura Pace

12

2° Il prezzo dell’ossessione Giulio Roffi

32

3° Racconto senza titolo Carmen Granato

40

4° Racconto senza titolo Tomas Carosella

44

5° Bare d’oro Elisa Crisci

50

6° Bare d’oro Nicola Bruno

55

7° Il fiuto di Buk Oreste Fasano

63

8° Bare d’oro Renato Garavaglia

70

10° Racconto senza titolo Mario Mocci

74

11° Reati ambientali assurdi: surrealismo creativo Ivan Baldi

78

FUORI CONCORSO

85

Accanto a te Federica Gemma

85

Il fax Roberto Cavallo

96

Racconto senza titolo Mohamed Shaaban

108


1° classificato

Tesoro mio di Laura Pace Incipit di Paolo Roversi “Cazzo Buk, fermo!” e strattonò il cane per fargli mollare la presa. Il cane obbedì all’istante e lasciò cadere il braccio come fosse un vecchio giocattolo, poi andò a sedersi vicino al suo padrone che armeggiava nelle tasche del giubbotto per trovare il cellulare. Enrico compose velocemente un numero guardandosi intorno. Nessuno per fortuna si era accorto del macabro ritrovamento di Buk, che nel frattempo aspettava scodinzolando una ricompensa che tardava ad arrivare. “Vorrei parlare con l’ispettore Di Lorenzo: sono Radeschi, e gli dica che è urgente.” Poi, tenendo Buk fermo al guinzaglio, aprì il giornale e lo appoggiò per terra per coprire l’arto. “Ispettore buongiorno, sono in Via Montenapoleone a passeggio con il mio cane...” “E mi fa piacere per lei Radeschi, io invece avrei da fare. Saltiamo i convenevoli, che ne dice?” lo interruppe con tono ironico Di Lorenzo. Enrico guardò per un attimo la gabbia d’acciaio gialla: da cassonetto d’improvviso orrida tomba. Tuttavia continuò la telefonata in tono risoluto. “Saltiamoli ispettore. Il mio cane ha appena tirato fuori da un cassonetto un braccio e lo ha posato in mezzo al marciapiede. Mi dica lei ora, ho fatto bene ad avvertirla?” Dall’altra parte ci fu un momento di silenzio, poi Di Lorenzo dopo essersi schiarito la voce disse sbrigativo: “Stia lì Radeschi, arriviamo. Proprio lei lo doveva fare questo ritrovamento” e chiuse. Enrico diede al cane qualche crocchetta e compose il numero del suo amico Caputo, il fotografo del Giorno. 12


“Ciao, sono Radeschi, dove sei? Hai con te la digitale? Allora ti aspetto, sono all’inizio di Via Montenapoleone. Ma sbrigati, se vuoi fare le foto devi arrivare prima dell’ispettore Di Lorenzo” e chiuse la comunicazione. In quella mattina di primavera l’aria era frizzante e il vento gli scompigliava i capelli e le idee. Il giornale non ne voleva sapere di stare fermo per terra così Enrico, fingendo di giocare con il cane, lo teneva bloccato tentando di sopprimere l’avversione che gli procurava la sagoma del braccio immobile e abbandonato sotto alla carta. Si trovò a pensare a quanta vita era passata in quella mano, a quante carezze aveva regalato e a chi le aveva ricevute. La pena a tratti superava l’orrore. Dopo poco arrivò Caputo sulla sua inconfondibile Transalp verde e si avvicinò guardandosi intorno alla ricerca di uno scoop. “Enrico che succede? Mi hai chiamato per fare le foto al tuo cane? Qui a me sembra tutto tranquillo.” Enrico allentò lievemente la presa sul giornale che con il vento si alzò, mostrando a Caputo una mano pallida e immobile, le unghie violacee. “Oddio ma è vera? Cioè voglio dire... Cristo è una mano quella” urlò maldestro Caputo facendo un passo indietro. “Zitto! Lo vuoi far sapere a tutti? Aspettiamo che non passi nessuno e fotografa! Poi ti racconto, anzi te lo leggi domani sul giornale” disse sbrigativo. Caputo gli fece un cenno con la testa e fingendo di fotografare il cane per non dare nell’occhio, fece il suo servizio, veloce e professionale. Poi salutò frettolosamente Enrico, inforcò la sua moto e sparì rombando. A Enrico, durante il servizio fotografico non sfuggirono i particolari più significativi: la mano poteva appartenere a un uomo di mezz’età, aveva una fede al dito e un Rolex Submariner con la ghiera verde. La camicia azzurra con un sottile righino bianco era strappata all’altezza dell’ascella; sembrava abbastanza pulita e presentava qualche leggero alone di sangue rappreso proprio in prossimità dello strappo. L’arrivo dell’ispettore Di Lorenzo fu preannunciato dall’eco delle si13


rene, poi lampeggianti, uomini in divisa, strisce di plastica bianche e rosse che delimitarono la zona. Alcuni passanti si fermarono incuriositi senza sapere bene cosa fosse successo mentre altri, distratti e frenetici, continuarono il loro cammino. Il giorno dopo sul giornale c’era una mezza pagina che riportava la notizia: “Orribile! Trovato il braccio di un cadavere in via Montenapoleone” era il titolo. La foto in bianco e nero non rendeva bene il brivido che aveva percorso la sua schiena e nemmeno il senso di mal di stomaco che gli era venuto, quando aveva visto Buk, con quella mano pallida tra i denti. Enrico aveva deciso di non comparire in prima persona nell’articolo ma di limitarsi a scriverlo. Quando avevano svuotato il contenitore, nonostante anni e anni di servizio, era rimasto con il fiato sospeso, ma niente... nessun cadavere, solo quel braccio. Di Lorenzo si era avvicinato per chiedergli alcuni dettagli ed era stato restio a dargli informazioni ben sapendo che sarebbe finito tutto sul giornale; tuttavia era chiaro: la mancanza di sangue sulla camicia faceva pensare che quell’arto fosse stato tagliato quando lo sventurato era già morto. L’assenza del resto del corpo invece faceva presupporre che lo sconosciuto fosse stato fatto a pezzi e ora non restava che trovare le parti mancanti. Due ore dopo il ritrovamento, sul marciapiede di Via Montenapoleone era rimasto solo un piccolo disegno bianco, destinato a scomparire presto, calpestato da mille passi frettolosi. Enrico Radeschi seguì l’ispettore Di Lorenzo in ufficio per rilasciare la sua testimonianza, e seduto nella stretta sala d’aspetto seguiva, per quanto poteva, lo sviluppo delle indagini mentre Buk, incurante della confusione, sonnecchiava col muso appoggiato a una scarpa di Enrico. Nessuna delle persone scomparse era compatibile con quel braccio e l’ispettore Di Lorenzo si trovava a dover risolvere un enigma più complicato del solito. Ma la sua attesa non fu poi così lunga. 14


La settimana successiva, un camionista trovò in un cassonetto presso l’Autogrill di Sestri Levante, un piede con annessa scarpa di cuoio, taglio inglese. La scarpa misura 43 era quasi nuova, mai risuolata e il calzino di filo di scozia blu era privo, almeno apparentemente, di macchie di sangue. All’esame autoptico, anche il piede sembrava appartenere a un uomo sulla cinquantina. “Ispettore, buongiorno, sono Radeschi, ha letto il Secolo XIX ?” Seduto nel suo ufficio Carlo Di Lorenzo, un uomo sbrigativo e sarcastico, non era certo in vena di indovinelli. Sua moglie se ne era appena andata millantando un’incompatibilità di carattere che non si poteva certo negare. Sprovvisto di figli e parenti aveva solo il suo lavoro, ladro di tempo e di energie. Fin troppo facile, per lui trovare un alibi all’assenza di amici e relazioni nella sua frenetica vita. Insomma era solo: Radeschi gli era antipatico anche per questo. Quel giornalista era noto soprattutto per la sua vita mondana, era costantemente contornato da donne, talvolta molto belle e le cronache cittadine lo vedevano animare feste e qualsiasi evento gli capitasse a tiro, insomma era un presenzialista. “Non l’ho letto Radeschi, ma se si riferisce al ritrovamento del piede a Sestri Levante ho già predisposto un’analisi comparativa” rispose sbrigativo. “Non avevo dubbi, ma nel caso volevo darle la notizia, è il mio mestiere le pare?” Di Lorenzo sorrise. “Già, mi pare. Mi compiaccio che oltre alla vita mondana lei trovi il tempo per stare sulle notizie. Mi ascolti bene Enrico, se per caso il vostro giornale ricevesse una qualche telefonata che potesse anche lontanamente essere collegata con il nostro uomo, vorrei essere il primo a saperlo. Posso contare su di lei?” Enrico pensò: ma che faccia tosta. Prima mi sfotte e poi mi chiede informazioni di prima mano. “Se ho qualche notizia sarete il primo a saperle ispettore e anch’io ci conto. Siamo sicuri che il morto è morto? Voglio dire, non lo staranno 15


Fuori concorso

Il fax di Roberto Cavallo Incipit di Roberto Cavallo Si guardò nello specchio con la faccia rivolta verso la finestra. Con gli occhi da un lato la sclerotica lasciava trasparire tutta la stanchezza di quei mesi. Nulla da fare. Un appalto per un inceneritore è solo burocrazia. Chiedere alla gente di differenziare meglio; convocare la grande distribuzione per introdurre la vendita di prodotti sfusi, convincere le mamme a usare pannolini lavabili, imporre ai geometri dei comuni di rilasciare concessioni edilizie solo a fronte di un sufficiente spazio verde per fare il compostaggio domestico: tutto, troppa fatica. Per un appalto scrivi un capitolato, lo pubblichi, aspetti le telefonate dei commerciali o degli amministratori delegati delle società, ti portano pure in Svezia o Austria a vedere impianti in mezzo alle città che i cittadini sono pure contenti, al massimo ti fai un paio di ricorsi al Tar, ma tanto le cose vanno avanti lo stesso, un paio di comitati di sfigati che sbraitano, ma non se li caga nessuno, e la cosa è fatta senza grossi patemi d’animo. Con questi pensieri Matteo cercava di smacchiare la guancia che nel frattempo era diventata una mescola tra schiuma bianca del sapone e blu della biro, con la pelle arrossata sullo sfondo, il tutto pareva una bandiera francese... o forse cubana. “Chiudi l’acqua se non la usi!” Arrivò forte la voce di Andrea dall’altra stanza. Già poi ti capita sempre così, predichi predichi e poi manco tu riesci davvero a essere coerente. La stanchezza fisica diventava mentale. Matteo sognava un qualche rifugio sulle Marittime, magari quello tra 96


i laghi del Claus e Fremamorta: non c’è mai tanta gente lì – neanche in stagione – si fermano sotto, al Valasco. Matteo tornò verso la sua scrivania. Cristina lo incrociò, ma questa volta si limitò a sorridere, a labbra strette, con uno sguardo un po’ trasognato e gli occhi socchiusi a fessura: Matteo era proprio un bel collega, non solo dal bel carattere! Stava per sedersi, anzi in pratica aveva già pesantemente appoggiato la schiena alla sua poltrona da lavoro, che si ricordò del fax. Si rialzò, controvoglia, non che la fatica fisica lo preoccupasse, anzi, abituato com’era a ascensioni in giornata, non erano certo i cinque metri che lo separavano dal fax a essere da ostacolo, piuttosto c’era in quella spinta dei gomiti sui braccioli tutto il carico emotivo di partite troppo grandi per essere combattute. Erano due fogli. Senza intestazione. Il primo una tabella. Sembrava un documento di trasporto, una volta si sarebbe detto una bolla di accompagnamento; poi forse dopo altri tipi di bolle, che hanno lasciato in ginocchio un’intera economia mondiale, di bolle non si parlava più. Certo che Ddt, documento di trasporto, non evocava nulla di migliore! L’intestazione, in alto a destra, era chiaramente stata bianchettata prima di inviare il fax. Un bianchetto di quelli a rullo, a strisce larghe non più di mezzo centimetro. Impossibile capirne l’origine. In realtà era rimasta scoperta un’ultima lettera seguita da una parentesi di quello che poteva essere l’indirizzo, forse la sigla della Provincia. Sede legale? O sede operativa. Impossibile. Era una N. Apparentemente meglio di una vocale. Certo che tra Trento, Mantova, Pordenone, Rimini e Cuneo di possibilità ce n’erano. Tutte al nord. Poi anche Ancona e Benevento, un po’ più al sud. La tabella aveva tre colonne. Una serie di numeri, un codice sulla sinistra. Matteo riconobbe senza troppe difficoltà i numeri di quelli che dovevano essere rifiuti. Il codice Cer: catalogo europeo dei rifiuti. In mezzo una descrizione sommaria. A destra un altro numero, dovevano essere le quantità, in litri? O chili? O tonnellate? Il secondo foglio era manoscritto. Una scrittura sicura, allungata, pulita. Difficile però fare un’analisi calligrafica precisa, troppo poche le 97


parole: “Per Matteo. Entrano in un modo escono in un altro, facili da far sparire. Cercami. 335 6197928”. Matteo si fece scuro in volto. La guancia gli faceva male, doveva aver premuto troppo forte con la Bic. In azienda erano in quindici, ma di Matteo c’era solo lui. Intanto era tornato alla scrivania. Cristina lo salutò con la speranza di vederlo in faccia al ricambio del saluto, ma Matteo sembrò non accorgersi della collega e non alzò la testa, appoggiata tra le mani, a loro volta sospese su gomiti appoggiati sui bordi del Pc portatile; si vedeva così costretta ad aspettare adolescienzialmente l’indomani per guardare, con pudore, il bel collega. Matteo con uno scatto scostò una serie di fogli A4 e prese il cellulare. Schiacciò il menù e fece scorrere la rubrica. La chiuse. Prese il secondo foglio del fax e digitò il numero. Senza lanciare alcuna chiamata, potenza dei nuovi smartphone, constatò che il numero non era associato a nessun nome in memoria. Non dovette attendere alcuno squillo e mise in stanby il cellulare. Riprese il fax e incominciò a guardare i contorni dei fogli, come alla ricerca di qualcosa. Stranamente anche il numero mittente era criptato. Solo il numero del destinatario. Anche l’ora era sbagliata, segnava le 9.12, mentre erano le 18.12. A meno che non provenisse dall’estero. Nove ore di differenza. Come dalla California. Strano. Lasciò i fogli del fax e tornò all’Excel, aperto sul computer. Tornò ai suoi conti. Mettendo insieme le azioni del primo foglio, battezzato bani di produzione complessiva. Nel secondo foglio scorreva una lunga serie di Comuni, ordinati per numero di abitanti, da 236 a 187mila, accorpati per gruppi. A ogni gruppo corrispondeva una percentuale di raccolta differenziata, nella seconda colonna, e una percentuale di scarto atteso nella terza colonna. In fondo una media: 88% di differenziata, 8% circa di scarti per una media di avvio al riciclo dell’81% effettivo. Nel terzo foglio una catarsi di numeri. In fondo al foglio un numero più grande, in grassetto, rosso: 84.000 tonnellate. Accanto al numero 98



FREEBOOK AMBIENTE Biblioteca gratuita on line di

Scrivere una storia. Scriverla in mezzo ad altri scrittori, in biblioteca e in un parco. Scriverla partendo da un incipit di un altro autore. Scriverla rispettando il tema, l’ambiente. Scriverla senza dimenticare le regole della scrittura gialla. Scriverla dando un senso stilistico e di trama al tutto. Infine, scriverla in 500 minuti. Se non fosse il regolamento di un concorso letterario, sembrerebbe il rompicapo iniziale di un romanzo giallo. Invece, i racconti contenuti in questo FreeBook, sono nati così. I partecipanti si sono trovati in un giorno di giugno e avevano a disposizione alcuni elementi di partenza. L’idea del “flash mob” letterario in 500 minuti è nata dalla volontà di costringere gli aspiranti scrittori a dare il meglio di sé in poco tempo. L’ambiente ha ispirato la produzione delle opere: una bella giornata calda con un po’ di venticello, un bel parco e una biblioteca. La prova non è stata delle più semplici e forse è per questo che, come tutte le cose non semplici, il risultato è più vissuto, passionale e pregno d’arte.

Fondazione Per Leggere – Biblioteche sud ovest Milano È l’ente che svolge la funzione di sistema bibliotecario per conto delle 55 amministrazioni comunali del sud ovest milanese. Gli obiettivi principali sono quelli di: - favorire e facilitare il pieno accesso all’informazione, alla cultura e alla conoscenza; - promuovere la lettura in tutte le sue forme; - promuovere l’utilizzo della biblioteca pubblica; - incrementare la qualità e il valore dei servizi bibliotecari. www.fondazioneperleggere.it

www.edizioniambiente.it www.nextville.it www.reteambiente.it www.freebook.edizioniambiente.it

Pubblicazione elettronica gratuita

Seguici anche su: Facebook.com/Edizioni Ambiente Twitter.com/EdAmbiente


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.