Rimini IN Magazine 03 2025

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ISABELLA SANTACROCE

LA TRAMA DELL’INVISIBILE
ANDREA ALBANI
GIOCO DI SQUADRA
CIRCOLO TENNIS
UN SECOLO IN CAMPO
Leggi la rivista online

Strada

EDITORIALE

Torna alla scrittura con Magnificat Amour, ‘commedia umana’ dai tratti dannunziani, tra estetismo e passioni, la scrittrice riccionese Isabella Santacroce; il futuro del territorio nella visione di Andrea Albani, managing director del Misano World Circuit e vicepresidente di Confindustria; il Circolo Tennis di Rimini festeggia i cento anni di attività; lo youtuber Filippo Capriotti e i suoi amici a quattro zampe; Demetra è la start-up agricola, etica e sostenibile, che alleva lumache sulle colline riminesi; educare al valore dello sport, il Pedale Riminese taglia il traguardo degli 80 anni; alla scoperta dei segreti del fiume Conca, tra sentieri e borghi; l’associazione Il Palloncino Rosso e la cura dei luoghi; in un libro il sapere antico di Nicola Gambetti, memoria viva dell’Alta Valmarecchia. Buona lettura!

DI ANDREA MASOTTI

Edizioni IN Magazine s.r.l. Via Napoleone Bonaparte, 50 - 47122 Forlì | T. 0543.798463 www.inmagazine.it | info@inmagazine.it

Anno XXV N. 3 agosto/settembre Reg. di Tribunale di Forlì il 20/12/2000 n.34

Direttore Responsabile: Andrea Masotti Redazione centrale: Clarissa Costa, Paola Francia Coordinamento di redazione: Lucia Lombardi Artwork e impaginazione: Francesca Fantini Ufficio commerciale: Gianluca Braga Stampa: La Pieve Poligrafica Villa Verucchio (RN) Chiuso per la stampa il 29/08/2025

Collaboratori: Rita Celli, Milena Massani, Marco Montemaggi, Tommaso Panozzo, Cristina Righi, Emilio Salvatori, Flavio Semprini, Cristina Zoli.

Fotografi: Collezione Alessandro Catrani, Enrico De Luigi, Fabio Gervasoni, Tommaso Morosetti, Eloise Nania - Obiettivo Limone, Enrico Pacassoni, Fabrizio Petrangeli.

Tutti i diritti sono riservati. Foto e articoli possono essere riprodotti solo con l’autorizzazione dell’editore e citando la fonte. In ottemperanza a quanto stabilito dal Regolamento UE 2016/679 (GDPR) sulla privacy, se non vuoi più ricevere questa rivista in formato elettronico e/o cartaceo puoi chiedere la cancellazione del tuo nominativo dal nostro database scrivendo a privacy@inmagazine.it

PILLOLE

RIMINI | In crescita il gelato artigianale in Italia: secondo l’Osservatorio Sigep Estate 2025, le vendite dovrebbero crescere del 4%. Il settore, con quasi 3 miliardi di euro di fatturato nel 2024, si prepara al ritorno di Sigep – The World Dolce Expo, alla Fiera di Rimini dal 16 al 20 gennaio 2026. La 47a edizione ospiterà il meglio di gelato, pasticceria, cioccolato, caffè, panificazione e pizza, con focus su innovazione e nuove tecnologie. Tra le novità: la Gelato European Cup e la nuova Pastry Arena per i giovani talenti. Tornano anche i grandi concorsi internazionali: Gelato World Cup e Juniores Pastry World Cup, dedicata agli under 26. In scena anche Pizza e Bakery R(evolution), per raccontare nuove sinergie tra ingredienti, tecnologie e format di consumo.

DOMUS MEDICA, NUOVE PROSPETTIVE

SAN MARINO | Due importanti novità per Domus Medica, la clinica del gruppo Valpharma ad Acquaviva. Alberto Vitez, attuale Chief Operating Officer di Valpharma Group, è il nuovo amministratore unico e la struttura ha ottenuto l’accreditamento ufficiale per attività chirurgica, medicina rigenerativa e ambulatoriale. Il riconoscimento dell’Autorità sanitaria sammarinese consente alla clinica di operare anche in convenzione con il Sistema sanitario nazionale italiano e quello sammarinese. “Domus Medica è un’eccellenza sanitaria per tutto il territorio romagnolo,” commenta Vitez. Fondata nel 1992, la clinica si distingue per il Centro di Medicina Iperbarica, la Chirurgia Funzionale e la Medicina Rigenerativa.

ROTARY CLUB RIMINI RIVIERA, PASSAGGIO DELLA CAMPANA

RIMINI | “Cercherò di condurre questa annata al meglio delle mie possibilità rotariane. E tra vent’anni, mi piacerebbe sentirvi sussurrare: ‘È stata una buona annata, è stato un buon presidente’.” Con queste parole, Daniele Bedogni ha ricordato la serata del suo insediamento alla guida del Rotary Club Rimini Riviera per l’annata 2025/2026. Emozione, “nella consapevolezza di poter contare sul sostegno del Consiglio direttivo, dei presidenti di commissione e di tutti i soci per costruire un anno al servizio del territorio.” Il Club, attivo da oltre 45 anni, è partecipe nella promozione in ambito sanitario, culturale e in situazioni emergenziali, in collaborazione con la Protezione civile.

ISABELLA

LA MODERNA

COMMEDIA

UMANA

DELLA

SCRITTRICE

RICCIONESE

SANTACROCE

È nata a Riccione, città spesso associata alla sua dimensione turistica, ma per Isabella Santacroce è molto più di questo. “Amo profondamente Riccione, è una parte del mio lessico interiore, un punto cardinale della mia esistenza. Ho vissuto altrove, ma è sempre qui che ritorno. Qui è cominciato il mio dialogo con la scrittura, ed è qui che sono le mie radici,” dice.

Nel 1995, con Fluo. Storie di giovani a Riccione, Santacroce esordisce nel panorama letterario italiano. È il primo capitolo della cosiddetta ‘trilogia dell’incoscienza’ – seguito da Destroy e Luminal – oggi ripubblicato nel trentennale della sua uscita. Un romanzo diventato cult, capace di restituire la Riccione degli anni Novanta con un linguaggio acceso e febbrile: notti elettriche, discoteche, eccessi, vertigini.

“Esistono luoghi che si impongono per l’intensità con cui li si è vissuti,” afferma. “Riccione, in quegli anni, era una sorta di paese delle meraviglie e dei balocchi. Accoglieva

il fermento giovanile con benevolenza, offrendo volti, occasioni, ricordi indelebili. In quell’insieme tumultuoso di musica, desideri, velocità e voglia di vivere, si creava la materia incandescente della giovinezza. Per questo ho ambientato il mio primo libro in un’estate riccionese e l’ho intitolato Fluo.”

Di quella Riccione estrema e sensuale, nella memoria e nella scrittura di Santacroce non resta la nostalgia, ma qualcosa di più profondo. “La consapevolezza di aver attraversato una stagione in cui la vita traboccava da sé e di averla trattenuta in forma di parola. Riccione non è mai stata solo un fondale turistico, è stata il crocevia in cui giovinezza e incoscienza si sono incontrate, dando origine all’essenza dei miei primi libri.”

Per il TTV Festival 2024, ha partecipato al progetto Anemoia. Immagini di una riviera senza tempo, rassegna fotografica con scatti dagli anni Ottanta in poi di Ghirri, Nori e Vitali, allestita nella Perla Verde. “La mostra è stata curata da Massimo Giorgetti. Io ho PROFILI

DI LUCIA LOMBARDI FOTO OBIETTIVO LIMONE/ELOISE NANIA

prestato la mia voce registrando brani tratti da Fluo, creando un sottofondo letterario, una presenza incorporea che accompagnava le immagini. Mi ha colpito come foto e testi, pur nati in momenti diversi, si siano rispecchiati. C’è sempre una sottile armonia tra le arti quando si accostano con rispetto.”

Dopo anni di silenzio, Santacroce è tornata alla scrittura con Magnificat Amour (Il Saggiatore), una ‘commedia umana’ dai tratti dannunziani, tra estetismo e passioni. Protagoniste, due cugine, lontane eppure vicine. Quanto c’è di autobiografico in questa storia? “Tutto ciò che uno scrittore produce è, in ultima istanza, autobiografico. Non perché racconti se stesso in modo diretto, ma perché ogni immagine evocata, ogni sentimento articolato, nasce da una ferita o da un’illuminazione personale. In questo romanzo ci

sono gesti che mi hanno percorsa, parole che ho pronunciato interiormente, passioni che conosco. Le ho affidate ai personaggi, perché parlassero per me, senza essere me. Ho sempre pensato alla scrittura come a un modo per distillare dalla confusione dell’esistenza una sorta di ordine, che non è né pace né felicità, ma chiarezza. In ciò che scrivo c’è tutto quello che mi ha fatto brillare l’anima. Ogni autore scrive per dire: ‘Io so che questo esiste, l’ho sentito, l’ho attraversato’.”

Nel romanzo, l’amore assume una dimensione quasi mistica. Che significato ha oggi per lei l’amore nella sua forma più estrema?

“L’amore, nella sua forma più radicale, è una tensione verso l’eternità. Ci trascende, pur essendo profondamente umano. Nella sua forma più pura, ci spinge fuori da noi stessi senza farci perdere. È al tempo stesso il luogo

LA SCRITTRICE

RICCIONESE ISABELLA

SANTACROCE TORNA

A SCUOTERE LE COSCIENZE: DOPO

30 ANNI RIPUBBLICA

LA ‘TRILOGIA

DELL’INCOSCIENZA’

E FIRMA MAGNIFICAT AMOUR, UNA NUOVA

COMMEDIA UMANA

TRA ESTETISMO E DANNUNZIANE PASSIONI.

del massimo rischio e della massima rivelazione. Come nella scrittura, anche nell’amore si accede a un’altra dimensione dell’essere, in un altrove dove ogni gesto è sacro e crudele e ogni parola sfida la finitudine.”

E la scrittura, come è cambiata nel tempo?

“Non è cambiata nella sua essenza, ha mutato postura. Prima assomigliava a un grido, ora è una voce che sussurra, con più precisione. È diventata più esigente, più attenta all’invisibile, a ciò che può essere detto solo con il massimo rigore.”

La poesia attraversa Magnificat Amour, dai livelli più sottili fino ai versi espliciti, come quelli della poetessa Antonia Pozzi. Che ruolo ha nella sua vita?

“La poesia, se intesa come funzione dello spirito, è l’istante in cui la lingua tocca la verità. È la massima concentrazione spirituale nella

parola. Accade quando il linguaggio si avvicina al suo punto di rottura e, al tempo stesso, alla sua maggiore intensità. Non è un ornamento, è una necessità. Nella scrittura, la poesia si manifesta come esigenza di struttura interna. Non ho mai separato poesia e prosa: cerco sempre ritmo, bellezza nella disposizione delle parole, tensione verso l’essenziale. Nella mia vita, la poesia è il modo in cui il silenzio riesce a farsi ascoltare.”

Ha anche scritto testi per Gianna Nannini, tra cui quelli dell’album Aria. Che esperienza è stata?

“Ho scritto non solo per Aria, ma per altri suoi dischi, in una collaborazione durata dieci anni. Scrivere per la musica è un esercizio d’ascolto: bisogna sottrarsi alla propria voce, entrare in quella di un altro. E soprattutto rinunciare all’ultima parola. Ma è proprio da quella rinuncia che nasce la libertà. La parola deve piegarsi al ritmo, diventare corpo sonoro. Con Gianna ho condiviso una visione del suono come forza elementare. Le sue canzoni, come le antiche leggende, chiedono parole che non spiegano, ma incarnano. È un’esperienza che mi ha insegnato che le parole possono vibrare in una voce diversa dalla mia, e restare autentiche.”

Scrivere è anche un modo per restare fedeli a sé stessi. Cosa resta della ragazza cresciuta a Riccione e cosa ha scelto di lasciare per diventare la scrittrice che è oggi?

“Resta lo sguardo interrogativo, il desiderio di capire l’invisibile attraverso il visibile, il senso della bellezza, anche quando si manifesta nel dolore. Resta una disposizione al raccoglimento, l’attenzione, la sete di assoluto. Col tempo, tutto questo ha assunto nuove forme, non si è estinto: si è sublimato. Ho lasciato la confusione tra vita e destino, tra intensità e verità, l’impazienza e l’aspettativa. Ma non ho mai abbandonato la fedeltà alla mia voce, anche quando è scomoda. In fondo, sono rimasta la stessa scrittrice che vive e scrive come se l’uno fosse inseparabile dall’altro.”

GIOCO

ANDREA ALBANI VICEPRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA

DI SQUADRA

Mentre passeggio all’interno del circuito di Misano, nell’atmosfera rarefatta di una mattina d’inizio estate, mi viene da pensare che Andrea Albani, managing director della struttura, incarni le doti migliori del nostro territorio romagnolo. Ci conosciamo da una vita e da sempre ho riconosciuto in lui dei tratti caratteriali specifici: intraprendenza, decisione e la ricerca costante della mediazione che permetta di lavorare insieme.

Quella stessa ricerca di uno ‘spirito di gruppo’ – lavorare insieme per raggiungere risultati più alti – che hanno fatto grande questa porzione del Paese. Probabilmente proprio questo spirito lo ha portato ad accettare una nuova sfida per la sua carriera, che si va a sommare all’incarico attuale, quella di vicepresidente di Confindustria Romagna, con delega su territorio riminese, attrattività territoriale e turismo.

Perché accettare questa nuova sfida in questo momento della sua vita lavorativa?

“Ritengo che il mio percorso di crescita pro-

fessionale e come persona mi abbiano maturato e preparato per cogliere una sfida importante e stimolante per il distretto romagnolo e certamente per il Misano World Circuit. Nel 2009 sono arrivato in circuito e ho iniziato occupandomi di marketing e commerciale. Con il tempo ho acquisito competenze più ampie, fino a diventare direttore generale nel 2014, con deleghe in consiglio d’amministrazione. Insieme al gruppo Financo – ringrazio il presidente Luca Colaiacovo e l’amministratore Mariano Spigarelli – abbiamo trasformato il circuito in un vero parco del motorsport, quale modello innovativo di essere per un autodromo e personalmente ritengo siano stati, e tuttora lo sono, anni molto formativi.

L’esperienza che ho maturato nella delegazione riminese mi ha permesso di comprendere meglio il territorio e di acquisire una maggiore conoscenza per il ruolo che andrò a svolgere. Penso che il mio approccio – basato su dialogo, cultura d’impresa, esperienza

DI MARCO MONTEMAGGI
FOTO FABRIZIO PETRANGELI

concreta – sia stato riconosciuto e sono altrettanto convinto che possa essere replicato anche in contesti associativi e pubblici.”

Quali sono, a suo parere, i settori o gli ambiti su cui c’è ancora da fare, nell’ambito del suo incarico, e quali invece i punti di forza da cui partire?

“Bisogna costruire reti tra eccellenze: turismo, manifattura, farmaceutico, termale. Serve un modello integrato, come quello della Motor Valley. Penso a progetti simili a ‘Entreprise et Découverte’ in Francia: valorizzare realtà locali d’eccellenza attraverso un marketing territoriale trasversale. Abbiamo aziende leader nel settore manifatturiero e il turismo rappresenta una grande industria per il territorio. Sono i pilastri sui cui costruire nuovi percorsi, ma accompagnati da progetti

DEL MISANO WORLD CIRCUIT MARCO SIMONCELLI, È

DI CONFINDUSTRIA

ROMAGNA, CON DELEGA SU TERRITORIO RIMINESE, ATTRATTIVITÀ

TERRITORIALE E TURISMO.

e investimenti concreti, non solo comunicazione.”

Quali sono le principali strategie, e di conseguenza le azioni, che pensa la guideranno in questo incarico triennale per Confindustria Romagna?

“Servono qualità, autenticità e innovazione. L’offerta deve essere attuale e internazionale ma radicata. Le esperienze devono parlare a chi cerca contenuti veri. E serve rete: tra turismo, impresa, formazione. È così che si sviluppa davvero un territorio. E questo è anche il mio obiettivo in Confindustria: contribuire a rafforzare il distretto romagnolo sotto ogni punto di vista.”

Evidentemente ricoprire questo ruolo presuppone una visione rispetto al futuro economico ma anche sociale del territorio

L’architetto Luca Gangemi inaugura la nuova, prestigiosa sede del suo studio itinerante di progettazione in un affascinante villino liberty affacciato sul mare di Rimini.

“SERVONO QUALITÀ, AUTENTICITÀ E INNOVAZIONE. E SERVE RETE: TRA TURISMO, IMPRESA, FORMAZIONE. È COSÌ CHE SI SVILUPPA UN TERRITORIO. E QUESTO È ANCHE IL MIO OBIETTIVO IN CONFINDUSTRIA: RAFFORZARE IL DISTRETTO ROMAGNOLO SOTTO OGNI PUNTO DI VISTA.”

romagnolo. Ci può spiegare qual è la sua?

“Il grande tema oggi è la mancanza di competenze, soprattutto tecniche. Le aziende faticano a trovare figure adeguate. C’è stato uno spostamento culturale: per anni era più ‘cool’ andare fuori. Oggi dobbiamo trattenere i giovani qui. Servono percorsi formativi specifici e rafforzare il distretto per farlo crescere per generare una maggiore benessere diffuso su un territorio che, da sempre, si contraddistingue per la qualità della vita.”

Infine, terminiamo con una battuta. Quali sono le peculiarità dei romagnoli che hanno portato questa terra a superare un difficile dopoguerra, fino ad arrivare a essere uno dei territori più ricchi e prolifici d’Italia?

“Siamo una terra operosa, abbiamo un animo libero e quel sorriso che esprime la bellezza del territorio in cui viviamo.”

UN SECOLO

I CENTO ANNI DEL CIRCOLO TENNIS DI RIMINI

IN CAMPO

Spegnere cento candeline non è scontato nel mondo dello sport. Società – anche di successo –spesso non resistono alla prova del tempo, travolte da mutamenti sociali e politici, dilaniate da dissidi insanabili tra i soci e, soprattutto, soffocate dalle difficoltà economiche. A Rimini però c’è un sodalizio che va avanti da un secolo e che, dall’estate del 1925, coinvolge abitanti e turisti: il Circolo Tennis. “Non sono molti i circoli ad aver tagliato il traguardo del centenario,” afferma con orgoglio il presidente, Gilberto Fantini, “poco più di una decina in tutta Italia. E nel 2025 a questa ristretta cerchia si aggiungono (insieme a Rimini) altri due club, il CT Palermo e la Virtus Bologna.”

A inizio Novecento, il tennis era uno sport di origine inglese praticato da aristocratici e ricchi borghesi che, anche in villeggiatura, non erano disposti a rinunciare al loro passatempo preferito. “I circoli più antichi d’Italia

IL CIRCOLO TENNIS

DI RIMINI FESTEGGIA

I CENTO ANNI.

FONDATO NEL 1925,

È UNO DEI PUNTI DI

RIFERIMENTO DELLO

SPORT CITTADINO

E NAZIONALE, CON

UNA SCUOLA TENNIS

RICONOSCIUTA E UN’ATTIVITÀ SOCIALE

CHE COINVOLGE

CENTINAIA DI APPASSIONATI.

si trovano in grandi città oppure in storiche località turistiche, come Alassio, Bordighera e appunto Rimini,” ricorda Fantini. Non a caso, nella nostra città, la storia del tennis si lega strettamente a quella del turismo: il tennis fu portato a Rimini nel

1900 da Dimitri de Gravenhoff, un russo innamorato della riviera, proprietario dell’hotel Hungaria, mentre il Circolo fu fondato da un romano, il commendator Cornelio Peragallo, che negli anni Venti era solito trascorrere la bella stagione nella sua villa in viale Regina Elena. I campi di villa Peragallo, e il relativo chalet, furono la prima sede del club e qui negli anni Trenta si avvicendarono alcuni tra i giocatori più importanti del mondo. E, nel dopoguerra, quando i turisti ritornarono in una riviera ridotta in macerie, la voglia di tennis ricomparve in città, portando alla costruzione, nel 1951, dell’attuale complesso sito nel ‘Triangolone’ in prossimità del porto, che da quasi settantacinque anni ospita il Circolo Tennis e i grandi tornei estivi che da allora qui vengono organizzati. E poi, quando il turismo riminese, inizialmente riservato a un’élite, divenne un fenomeno di massa, anche il Circolo seppe modi-

DI TOMMASO PANOZZO FOTO TOMMASO MOROSETTI

“È UN GRANDE ONORE GUIDARE IL CIRCOLO IN OCCASIONE DEL PRESTIGIOSO TRAGUARDO,” DICE IL PRESIDENTE GILBERTO FANTINI. PER CELEBRARE IL CENTENARIO, UN VOLUME CHE NE RICOSTRUISCE LA STORIA.

PAGINA PRECEDENTE, IL PRESIDENTE

CIRCOLO TENNIS DI RIMINI GILBERTO FANTINI. IN ALTO, LA PARTITA ITALIAAUSTRALIA (1937). A DESTRA, ORNELLA FIORINI È RITRATTA MENTRE CHIACCHIERA CON ALCUNI CONOSCENTI AI TAVOLINI

CLUB SPORTIVO (RIMINI 1933).

ficarsi adattandosi alle nuove esigenze: nel giro di pochi anni i campi passarono da tre a sette, venne inaugurato un moderno impianto di illuminazione, permettendo a un numero sempre più vasto di persone (uomini e donne di tutte le età) di avvicinarsi a questo sport, giocando anche d’inverno grazie all’introduzione dei palloni pressostatici. “È un grande onore guidare il Circolo in occasione del prestigioso traguardo dei cento anni,” afferma Fantini, che ricopre la carica di presidente da quasi trent’anni. E, per celebrare il centenario, è in corso di pubblicazione un volume in uscita nel mese di settembre. Il libro è frutto di una ricerca che ha condotto insieme ad Alessandro Catrani, tra archivi, biblioteche

e giornali d’epoca e che si propone di ricostruire la storia del Circolo dalla fondazione fino ai giorni nostri, evidenziando la

profonda interconnessione tra le vicende che hanno riguardato il Circolo Tennis e la storia della Rimini degli ultimi cento anni Particolare attenzione è poi riservata all’apparato fotografico, in buona parte composto da immagini inedite, che testimonia il passaggio per i campi riminesi di numerosi campioni del passato, come i terribili australiani John Bromwich e Jack Crowford nel 1937, la giovanissima Sabina Simmonds negli anni Settanta, fino ai grandi nomi degli anni Duemila come Amelie Mauresmo, Francesca Schiavone e Gaël Monfils.

NELLA
PH COLLEZIONE ALESSANDRO CATRANI

A SPASSO

GLI AMICI A 4 ZAMPE

DELLO

YOUTUBER

FILIPPO

CAPRIOTTI

PER LITZ

Celebrare l’amore per tutti gli amici a quattro zampe dentro e fuori dai social. È la storia del riccionese Filippo Capriotti, noto creator che, con i suoi Pastori Scozzesi, trasmette messaggi importanti sul rispetto e l’amore per gli animali. Sui suoi canali Capriotti oggi conta complessivamente più di 500.000 iscritti e una media di 3 milioni di visualizzazioni a video. Come ha iniziato?

“Ho sempre fatto piccoli video con i miei cani. Prima li facevo per me condividendoli con la mia famiglia, un po’ come fanno tutti. Un giorno ho sperimentato e pubblicato sui social e ho registrato molto successo. Era un simpatico video in cui lasciavo un mio cane da solo con un biscotto davanti, chiedendo di non mangiarlo, per poi vedere come andava a finire. È stato molto divertente. Un amico, Aka, esperto di YouTube e del mondo creator, mi ha coinvolto così in alcuni progetti. Abbiamo

FILIPPO CAPRIOTTI,

YOUTUBER RICCIONESE,

CON I SUOI PASTORI

SCOZZESI TRASMETTE

MESSAGGI SUL

RISPETTO PER GLI

ANIMALI. SUI SUOI

CANALI CONTA PIÙ DI

500.000 ISCRITTI E UNA

MEDIA DI 3 MILIONI DI

VISUALIZZAZIONI A VIDEO.

organizzato una serie di avventure con i miei cagnoloni ed è partito tutto. Abbiamo iniziato a pubblicare su TikTok, poi su Instagram.”

Ha subito capito che era la sua strada o voleva fare altro?

“Non ho mai avuto le idee chiare. Ho fatto molte esperienze, sia in ambito formativo che lavora-

tivo. Sono laureato in Scienze motorie e diplomato in Osteopatia. Ho studiato 10 anni dopo il liceo e ho iniziato a fare video quando questo mio percorso era quasi al termine. Non ho abbandonato tutto il resto, che mi piace tanto, ma diciamo che sto concentrando le mie forze maggiormente sul mondo creator. È una sfida più stimolante. A trasferirmi in studio per fare l’osteopata faccio sempre in tempo. Mi faccio poche domande.”

Com’è cambiata la sua vita dopo che ha iniziato a fare numeri così importanti?

“La cosa più difficile è autogestire il tempo. Non puoi fermarti un secondo perché è un mondo in cui più fai meglio è. E io sono uno che non sa stare fermo. Prima mi venivano dettati i tempi, ora li decido io e devo essere bravo a organizzarmi. Fuori casa non è cambiato quasi nulla: ora ogni tanto qualcuno mi chiede una foto, credo di essere sempre gentile e solare con tutti.”

DI RITA CELLI
FOTO FABRIZIO PETRANGELI

Cosa consiglia ai ragazzi che vogliono intraprendere questo tipo di attività?

“Studiate, non importa cosa, basta che vi piaccia. Lo studio insegna a vivere, a prescindere dalla materia. Devo ringraziare i miei genitori per avermi dato questa possibilità e questa mentalità. Pianificate, cercate di avere un piano b. Siate determinati e te-

stardi ma autocritici. A essere umili non si sbaglia mai. I complimenti arriveranno dagli altri.”

Quanto ama i suoi cani e cosa trasmette nei suoi video?

“Amo da morire le mie bimbe. Ho sempre avuto cani e sono sempre stato così. Le cose sono molto cambiate dopo che la mia prima cagnolona Litz è scomparsa qualche mese fa. Ora ci sono

Mery e Shirley, assieme alla nuova arrivata Blue. Sono un normale proprietario di cani e racconto la nostra vita, tutto qui.” Com’è nata l’idea di uscire dalla piattaforma per incontrare i fan con altri cani?

“Sono sempre stato a contatto con le persone e con i bambini in particolare, nella vita. Mi piace divertirmi, far divertire e stare in mezzo alla gente. Il momento dell’evento è la concretizzazione di quello che ho costruito sui social: mi permette di vedere coi miei occhi che cosa ho costruito e ricordarmi quanto è vero e autentico. Non devi mai perdere di vista che stai parlando a tantissima gente e che comporta delle responsabilità.”

Qualcuno dei suoi fan, guardando i suoi video, ha deciso di adottare qualche amico quattro zampe?

“Alcuni sì ed è la cosa più bella. Nell’ultima passeggiata 100 cani, compresi due cagnolini del canile di Rimini, hanno trovato casa. La cosa che mi rende più orgoglioso è quando si riesce a cambiare la vita a qualcuno.”

Progetti futuri?

“Voglio continuare a divertirmi e divertire il più possibile. E non smettere di organizzare eventi e progetti anche al di fuori dei social, per continuare a coinvolgere persone e cani nella vita reale.

I miei cani mi regalano dei momenti davanti alla telecamera e sono sempre io che ringrazio loro per quello che fanno per me ogni giorno.”

ADVERTORIAL

GIOIELLERIA ALDO TAMBURINI

50 ANNI D’ORO, TRA PASSIONE E FAMIGLIA

PASSIONE DI FAMIGLIA: LA STORICA

GIOIELLERIA ALDO

TAMBURINI DI

RIMINI CELEBRA

QUEST’ANNO I SUOI

PRIMI 50 ANNI DI ATTIVITÀ

“Mio padre Aldo ha iniziato quasi per caso, nel 1958. Era un ragazzino, e fu mia nonna a spingerlo verso questo mondo, chiedendo alla famiglia di gioiellieri Restani e Tagliatti di poter assumere lui e il fratello. Così ha cominciato come garzone di bottega.” Racconta con stima Barbara Tamburini, primogenita del fondatore della storica Gioielleria

Aldo Tamburini di Rimini , che quest’anno celebra i suoi primi 50 anni di attività in proprio –anche se la vera avventura iniziò ben prima, nel cuore degli anni Cinquanta.

Aldo, autodidatta appassionato, già a vent’anni veniva promosso responsabile di negozio stagionale sul mare. “Era una Rimini piena di turisti stranieri, e lui, da solo, ha imparato il tedesco sul campo. È l’unico di noi che lo parla ancora oggi.”

Nel 1975, Aldo decide di aprire il primo negozio insieme al fratello, in via Mentana. “Un successo immediato,” ricorda Barbara, “nonostante l’altissima concorrenza di allora. Ma la passione, la serietà, la cortesia hanno fatto la differenza.” L’offerta? Fin da subito orologi e gioielli, come ancora oggi. “Allora si buttavano i movimenti meccanici per montare quelli al quarzo, oggi faremmo l’opposto, tempi che cambiano!”

Nel 1989 arriva una svolta fondamentale: l’apertura della storica sede in via IV Novembre 24. Con Aldo ci sono sua moglie Iliana, e Leonardo, futuro genero, marito di Barbara, e oggi venditore di punta dell’azienda. Barbara arriva appena diplomata: “Mio padre mi volle subito con sé in negozio. Il giorno del mio diploma subimmo anche un furto. Fu un inizio avventuroso, ma la nostra storia

è fatta anche di questo.”

La famiglia Tamburini incarna lo spirito del lavoro. Dei veri venditori di emozioni, dotati di grandi conoscenze. Barbara cura da sempre l’estetica, le vetrine, i dettagli artistici. “Disegno supporti, scelgo stoffe, studio le luci. Anche se non sono architetto, ho sempre avuto questa passione.” Aldo, oggi 80enne, è ancora presente, soprattutto nel laboratorio. “La sua semplicità e competenza colpiscono i giovani che lo ascoltano incantati,” racconta. Il fratello di Barbara, Alessandro, è un esperto gemmologo. “È entrato più tardi, per questioni anagrafiche, ma è diventato un punto di riferimento.” La moglie di Alessandro, Catia, ha gestito il negozio Pandora a Pesaro e attualmente dirige il negozio DoDo in via IV Novembre, 4. Il figlio di Barbara e Leonardo, Federico, è

NEL TEMPO LA GIOIELLERIA HA SAPUTO EVOLVERSI, RESTANDO FEDELE A SE STESSA.

DALLA STORICA SEDE IN VIA IV NOVEMBRE, A PANDORA NEL 2012

A RIMINI E PESARO, POI LA BOUTIQUE

XPETUO NEL 2016, NEL 2021 LA BOUTIQUE

DODO E, NEL 2023, LA NUOVA BOUTIQUE, CON IL LABORATORIO OROLOGIERO E ORAFO.

oggi parte attiva nell’attività, in particolare nel settore del ‘secondo polso’.

Nel tempo, la Aldo Tamburini ha saputo evolversi, restando fedele a se stessa. Dalla storica sede in via IV Novembre, a Pandora nel 2012 a Rimini, una delle prime aperture in franchising della famiglia, prima in regione, e Pesaro. Poi la boutique Xpetuo by Gioielleria Aldo Tamburini nel 2016, interamente dedicata agli orologi di ‘secondo polso’ e infine nel 2021 la boutique DoDo Fino al più recente progetto del

2023, di cui Barbara racconta con orgoglio: “Avevo adocchiato un grande negozio proprio di fronte a noi in via IV Novembre, chiuso da anni. L’ho immaginato già finito. E oggi è la nostra nuova boutique, comprensiva di laboratorio orologiero e orafo: un negozio dallo stile internazionale, spazioso e luminoso, che ospita eleganti corner dedicati ai brand più rinomati di orologeria e gioielleria.

La visione per il futuro è chiara “Consolidare tutto ciò che abbiamo costruito e continuare a

evolverci, restando fedeli ai nostri valori: cortesia, attenzione al cliente, professionalità, con uno sguardo sempre più attento allo sviluppo dell’e-commerce, ormai elemento imprescindibile per crescere in un mondo sempre più digitale.” I negozi oggi contano 18 persone tra familiari e collaboratori. Due i tecnici orologiai. C’è chi porta con sé oltre 40 anni di esperienza e chi, giovane ma competente, contribuisce con uno sguardo nuovo: il risultato è un servizio sempre impeccabile. “Abbiamo anche clienti interna-

zionali che ci seguono sui social, partecipano ai nostri eventi, e tornano da noi negli anni. Dalla signora che vuole montare uno zaffiro, al ragazzino che compra il suo primo orologio, offriamo sempre la stessa dedizione. È questo il nostro vero marchio di fabbrica.” Mezzo secolo di attività, migliaia di clienti serviti, tre generazioni coinvolte. Aldo Tamburini non è solo una gioielleria: è una storia di famiglia, di passione, di crescita, di Rimini. E guardando ai prossimi 50 anni, è chiaro che continuerà a brillare.

IL LUOGO

UN HUB RURALE E CREATIVO NELLE COLLINE

DI SANTARCANGELO

DELL’ANIMA

Dalla musica alla cucina, passando per l’arte dell’organizzazione: Lucia Chiavari è un’anima creativa e riservata, che ha sempre amato stare dietro le quinte. Dalle notti indimenticabili del Velvet, accanto a Thomas Balsamini, all’esperienza nella ristorazione d’autore tra Milano e Santarcangelo di Romagna, il suo percorso è stato guidato da una visione precisa, fatta di bellezza, cura e autenticità. Oggi, con Cavallara, il suo nuovo progetto immerso nelle colline santarcangiolesi, Lucia compie un passo nuovo: si mette in gioco in prima persona, dà volto e voce a un luogo che è molto più di uno spazio fisico. Cavallara è un hub rurale, elegante e accogliente, composto da un b&b a tema musicale, un home restaurant e un parco verde per gli eventi, che si fa contenitore di esperienze olistiche, pratiche yoga, corsi e workshop di varia natura, iniziative culturali e residenze artistiche, tutte accomunate dalla ricerca della condivisione nella semplicità e nella qualità.

Il progetto ha preso forma in anni di silenzioso lavoro e da gennaio del 2025 pulsa di vita e incontri. Un luogo dal sapore d’altri tempi, con tocchi di essenziale eleganza, pensato per accogliere e far star bene. E poi c’è anche una ‘discoteca’ molto particolare: una collezione privata di 13.000 vinili e cd, l’archivio storico dello Slego e del Velvet club di Rimini e fotografie d’autore che raccontano un pezzo di storia personale e collettiva. Abbiamo incontrato la padrona di casa per farci raccontare il suo percorso, la nascita di Cavallara, e cosa significa oggi, per lei, accogliere.

Il suo percorso parte dai ruggenti anni del Velvet club, accanto a Thomas Balsamini, per poi approdare alla ristorazione ricercata tra Milano e Santarcangelo di Romagna. Ora con Cavallara si mette in prima linea, dopo anni dietro le quinte: com’è stato questo passaggio e cosa l’ha spinta a uscire allo scoperto?

“È stato un passaggio obbligato da vicende

DI LUCIA LOMBARDI FOTO ENRICO DE LUIGI

personali e dalla volontà di non rinunciare per questo a un sogno. Per tanti anni ho lavorato dietro le quinte, curando i dettagli, sostenendo progetti altrui, occupandomi di gestione d’azienda e organizzazione eventi. Il Velvet, Carlo e Camilla in Segheria, Osteria da Oreste, Santabago e la Malvina sono state per me esperienze uniche, di valore e bellezza. Cavallara nasce proprio dall’intreccio di tutte queste esperienze. È il primo progetto in cui metto nome, volto e cuore. Uscire allo scoperto ha significato accettare la fragilità che questo comporta e lavorare su me stessa per superare le insicurezze.”

Cavallara è un luogo che sembra sospe-

so nel tempo: colline morbide, semplicità, esperienze olistiche e una cura del dettaglio che racconta molto di lei. Come nasce questa idea e perché proprio qui, e chi ha progettato gli interni?

“Cavallara nasce dal desiderio di condividere un luogo, secondo me, straordinario e dalla necessità di far convergere vita famigliare, con tre figli da crescere, e lavoro. Casa e fucina creativa dove mettere a frutto le mie competenze e le mie passioni: la musica, il cibo, gli eventi, la coltivazione di fiori, la natura e l’accoglienza. Thomas abitava già in questa casa quando ci siamo conosciuti e ricordo lo stupore e la meraviglia che provai la prima volta svalicando la collina in vista della casa. Un luogo immerso nella natura, sospeso tra il mare e la Valmarecchia. Nell’ultima ristrutturazione del 2022, che ha coinvolto l’intero edificio, gli interni sono stati pensati e curati dall’amico e interior Alessandro Gotti con il quale abbiamo condiviso, per qualche anno, la bellissima esperienza di Santabago. Adoro e mi fido ciecamente del suo gusto innato e della sua ricerca della bellezza nell’essenziale.”

Ha una visione molto precisa dell’accoglienza, che va oltre l’ospitalità classica: è quasi una forma di racconto. Cosa significa per lei ‘accogliere’ oggi e in che modo Cavallara incarna questa sua visione?

“Si tratta di un progetto molto personale, nel quale mi sento a mio agio. Credo che questa naturalezza si traduca per gli ospiti in immediata famigliarità e senso di condivisione della storia. Desidero che Cavallara sia per gli ospiti un’oasi di pace e connessione con sé stessi. Un ‘luogo dell’anima’, come direbbe Tonino Guerra.”

Cavallara è anche un contenitore di espe-

IN QUESTE PAGINE, ALCUNI PARTICOLARI DI CAVALLARA, HUB RURALE E CULTURALE NELLE COLLINE DI SANTARCANGELO. A PAGINA 30, IN BASSO, L’IDEATRICE DEL PROGETTO, LUCIA CHIAVARI.

DALLA MUSICA

ALLA CUCINA, PASSANDO PER L’ARTE DELL’ORGANIZZAZIONE.

CAVALLARA È IL NUOVO PROGETTO CREATIVO DI LUCIA CHIAVARI, IMMERSO NELLE COLLINE DI SANTARCANGELO, TRA OSPITALITÀ, ESPERIENZE OLISTICHE.

rienze: yoga, home restaurant, eventi curati e mai scontati. Cosa guida la sua selezione delle attività? C’è un filo conduttore tra tutte le proposte?

“In questa fase sono molto aperta alla sperimentazione e alla scoperta delle potenzialità del progetto. Cavallara non è un format ma un’esperienza che cresce e si modifica attraverso le relazioni e le energie che la attraversano. Mi entusiasmo per ogni richiesta di collaborazione, evento o iniziativa che ricevo ma poi seleziono solo le attività nelle quali trovo cura, passione e professionalità, perché sono quelle che poi riescono a catturare il giusto target di ospiti: rispettosi, curiosi, empatici.”

Tra le tante anime di Cavallara ce n’è una che incuriosisce molto: una ‘discoteca’ d’autore con vinili rari e fotografie d’autore. Che ruolo ha la musica in questo progetto?

“La musica, a Cavallara, non è solo sottofondo: è una presenza viva, che custodisce memoria e accende immaginazione. Gli ospiti del b&b hanno a disposizione una consolle attrezzata per l’ascolto, un pianoforte e una chitarra. Questa discoteca non è un vezzo nostalgico, ma una vera e propria dichiarazione d’amore per una stagione culturale che ha lasciato un segno profondo. Penso che condividerla sia il modo migliore per mantenere viva la memoria di Thomas.”

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FILIERA

DEMETRA, LA START-UP AGRICOLA SULLE COLLINE RIMINESI

ETICA

Le chiocciole non hanno fretta, ma arrivano lontano. Se pensate però che cambiare vita sia una passeggiata, potreste rimanere delusi. Lo sa bene Daniele Bartocci, under 40 che, dopo aver girato mezzo mondo con la compagna Martina Ermeti, “portando con noi ogni volta idee, prospettive e stimoli,” ha deciso di piantare letteralmente radici sulle colline di Rimini. Lì è nata Demetra, una start-up agricola e zootecnica che alleva lumache in modo etico e sostenibile, secondo i principi dell’economia circolare.

Un ettaro di terra, otto recinti, bietola, ravizzone, girasole coltivati in loco e una filosofia chiara: nutrire le chiocciole solo con ciò che si coltiva. “Prima di essere allevatori, siamo diventati agricoltori,” racconta Daniele, mentre le sue lumache dormono in estivazione sotto il sole di fine estate. “Volevamo un ciclo davvero sostenibile, dal seme al prodotto finale.”

NUTRIRE LE

CHIOCCIOLE SOLO

CON CIÒ CHE SI

COLTIVA: DANIELE

BARTOCCI E LA SUA

START-UP AGRICOLA

E ZOOTECNICA CHE

ALLEVA LUMACHE

IN MODO ETICO

E SOSTENIBILE

SECONDO I PRINCIPI

DELL’ECONOMIA

CIRCOLARE SULLE

COLLINE RIMINESI.

L’idea nasce nel 2020, in pieno lockdown. “È stato un momento di svolta, ci ha spinti a chiederci che tipo di vita volevamo. Avevamo già vissuto in vari paesi e ogni esperienza ci ha lasciato qualcosa.” In Tasmania, ad esempio, hanno lavorato in

una farm dove hanno imparato il valore del rispetto per i ritmi naturali. In Sicilia, invece, si sono imbattuti per la prima volta nell’elicicoltura.

Nel 2021 Demetra prende forma e già l’anno successivo nascono i primi cosmetici. La scelta della Helix Aspersa Müller non è casuale: è una specie rustica, adatta all’allevamento all’aperto, che produce una bava ricca di allantoina, collagene, elastina e acido glicolico, tutti ingredienti preziosi nei trattamenti viso. La lavorazione della bava avviene in un laboratorio siciliano che rispetta l’animale e ne estrae il principio attivo senza stress. L’allevamento, che si estende su 10.000 mq, è partito con circa 100 kg di riproduttori per recinto e ogni anno le chiocciole si riproducono naturalmente nel terreno. Una singola lumaca può deporre tra le 60 e le 120 uova a stagione, ma solo il 10% circa arriva a maturazione. “È un ciclo delicato, che richiede co-

DI MILENA MASSANI
FOTO TOMMASO MOROSETTI

SOSTENIBILITÀ

stante attenzione. Alcune lumache diventano nuovi riproduttori, altre completano il ciclo e ci permettono di proseguire senza forzature.” All’idea un po’ romantica dell’allevamento domenicale, Daniele oppone la realtà e sfata un mito. “È un lavoro a tempo pieno. Bisogna monitorare costantemente le condizioni climatiche, fare manutenzione, gestire l’allevamento, le coltivazioni e la trasformazione.”

E poi ci sono gli imprevisti. “In quattro anni abbiamo affrontato alluvioni, siccità, gelate. Serve determinazione, ma anche

competenze, energie e persone giuste accanto.” Ma è proprio l’ostinazione a fare la differenza. “All’inizio abbiamo cercato di apprendere da chi c’era già. Poi ci siamo resi conto che ogni terreno, ogni microclima, ha regole tutte sue. Così abbiamo costruito il nostro metodo: a forza di tentativi, errori e correzioni sul campo.”

Ogni aspetto del progetto – dal campo al packaging – è interamente made in Italy. Un impegno che nel 2023 è stato premiato con il Fonti Awards, riconoscimento alle eccellenze

OGNI ASPETTO DEL PROGETTO È INTERAMENTE MADE IN ITALY. “È UN LAVORO A TEMPO PIENO. BISOGNA MONITORARE COSTANTEMENTE LE CONDIZIONI CLIMATICHE, FARE MANUTENZIONE, GESTIRE L’ALLEVAMENTO.”

italiane nell’innovazione cosmetica. Oggi per Daniele ciò che conta è “restare fedele all’idea iniziale: un allevamento etico e una filiera corta che porti valore, non solo profitto.”

A colpire non è solo la qualità del prodotto finale, ma la coerenza di un percorso che parte dalla terra. “Non è solo un lavoro, è un progetto di vita. Le lumache insegnano tanto: la pazienza, il rispetto dei tempi, la cura quotidiana. Se le forzi, non funzionano. Se le ascolti, ti sorprendono. Un po’ come la vita.”

SALONE MIMMO TORTOLA

ENTRI PROGETTO, ESCI STORIA

IL SALONE MIMMO

TORTOLA È UN

LUOGO OVATTATO DOVE IL TEMPO SI DILATA. UNA

COCCOLA CHE

COINVOLGE TUTTI

I SENSI: PROFUMI

ESSENZIALI, MUSICA

ACCURATA, MANI

SAPIENTI

Una storia romantica, fatta di cuore e visione. Il sogno di Mimmo Tortola nasce da lontano, tra studio, sacrifici e speranze. Giovane hair stylist, lascia la sua terra e parte con una valigia carica di sogni: destinazione Romagna. Sono gli anni Novanta, Rimini è al centro del mondo, dove lui inizia un’avventura decisiva “Avevo poco più di vent’anni. Ho avuto la fortuna di iniziare al Grand Hotel. Un’esperienza che mi ha fatto crescere, non solo professionalmente, ma anche umanamente, grazie all’incontro

con culture e persone diverse. Devo molto a quel periodo e a chi ha creduto in me,” racconta Mimmo. Dopo quell’esperienza, prende forma l’idea di un salone che sia più di un luogo estetico: un rifugio, un abbraccio, un’esperienza . “Volevo che fosse un posto dove sentirsi accolti, ascoltati, valorizzati. Dove entrare per un taglio, ma uscire con qualcosa in più. Ho costruito un team che condivide i miei valori: professionalità, rispetto, ascolto Ogni lavoro nasce dal confronto, con un unico obiettivo: creare bellezza ed emozione.”

Nasce così il Salone Mimmo Tortola, a pochi passi dal centro di Rimini, nel cuore del Borgo Mazzini. Un luogo ovattato dove il tempo si dilata, dove nulla è frettoloso. Una coccola che coinvolge tutti i sensi: profumi essenziali, musica accurata, mani sapienti. I capelli non si tagliano, si acca-

rezzano. Il tempo non si misura, si vive. Ogni cliente è un valore, un racconto, una scoperta . E ogni giorno è un diario di bordo, condiviso con un team affiatato: Elena, Arianna, Solomia, Giorgia, Sonia, Anastasia, Federica. Volti gentili, sorrisi veri, mani esperte. Ma Mimmo non si ferma. La sua esperienza viaggia tra scuole, accademie, eventi formativi

Dall’Accademia Aldo Coppola di Milano alla Sassoon Academy di Londra, condivide la sua arte in seminari e workshop per importanti brand dell’hairstyling Oggi, quel giovane partito con una valigia è un punto di riferimento. Ma resta sempre in cammino: tra innovazione, passione e ricerca. Perché ogni giorno nel suo salone si crea qualcosa che va oltre l’acconciatura: si sperimenta, si ride, si vive. E ogni cliente che entra porta una storia nuova.

PASSIONE

SPORT E VALORI: IL PEDALE RIMINESE COMPIE 80 ANNI

IN SELLA

DI CRISTINA RIGHI
FOTO TOMMASO MOROSETTI

Immagina la tua vita sospesa su una montagna di macerie. È il 1945, la guerra è appena finita, Rimini è una città ferita con un futuro tutto da ricostruire. In una fiaschetteria di via Mentana, alcuni amici decidono di ripartire da ciò che resta intatto: la passione. Così il 5 novembre, Giordano e Libero Battistini, Alfredo Masinelli, Otello Croci e i fratelli Somigli, danno vita al Pedale Riminese, con l’idea semplice e potente di ritrovare speranza e dignità in sella ad una bicicletta.

Negli anni Cinquanta arrivano Angiolino Piscaglia e Sante Lombardi, i primi professionisti; nei Settanta brillano Glauco Santoni e Alfio Vandi; negli Ottanta la Stella Artois fa emergere talenti come Collinelli e Grisandi. I Novanta portano podi tricolore con Brunelli, Pepoli e i fratelli Vecchi.

NEL 1945 UN GRUPPO

DI APPASSIONATI DELLA

BICICLETTA DÀ VITA

AL PEDALE RIMINESE

IN VIA MENTANA CON

L’IDEA DI RITROVARE

SPERANZA E IN SELLA

AD UNA BICICLETTA.

OGGI LA SOCIETÀ

CICLISTICA COMPIE

80 ANNI.

Dal 2000 cresce il vivaio giovanile e nasce la pista ‘Masinelli’, riferimento per l’attività dei più piccoli. Dopo ottant’anni, il sogno continua, non solo nelle gare, ma nel ruolo sociale ed educativo che il Pedale Riminese ha saputo ritagliarsi.

Una piccola comunità fatta d’impegno e tenacia, capace di educare alla fatica, al rispetto, e di trasmettere valori attraverso lo sport. Oggi alla guida della società c’è Barbara Gamberini,

subentrata al padre Giovanni, recentemente insignita della medaglia di bronzo al valore sportivo, la prima donna alla presidenza. “Raccogliere questo testimone è una meravigliosa responsabilità,” racconta. “Vivo il Pedale Riminese da tanti anni e conosco il percorso fatto, gli ostacoli superati e la grande comunità che ci ha permesso di essere ancora qui dopo 80 anni ininterrotti. La prima emozione è la gratitudine, poi però, bisogna ‘pedalare’ ogni giorno, perché anche alle piccole realtà come la nostra oggi si chiede professionalità. Oggi il ciclismo pretende competenza e i nostri tecnici si aggiornano costantemente. È un dovere verso bambini, bambine, ragazzi e ragazze che inseguono il sogno di diventare ciclisti. E noi dirigenti, per essere all’altezza, dobbiamo essere preparati. Si ruba tempo alle famiglie, allo svago, a sé stessi. Siamo tutti volontari accomunati da passione Ci rispettiamo e stimiamo, ogni

IL PEDALE RIMINESE È ATTIVO CON TRE CATEGORIE: 22 GIOVANISSIMI, 10 ESORDIENTI E UNA TRENTINA DI CICLOTURISTI. NEGLI ULTIMI ANNI È NATA LA COLLABORAZIONE CON LE FRECCE ROSSE CYCLING.

ANNIVERSARI

ruolo ha valore. A me riconoscono la dote di saper aggregare e lasciare spazio a tutti.”

Oggi il Pedale Riminese è attivo con tre categorie: 22 giovanissimi (5–12 anni), 10 esordienti (13–14) e una trentina di cicloturisti. Negli ultimi anni è nata la collaborazione con le Frecce Rosse Cycling, per un progetto volto a offrire nuove opportunità di crescita sportiva. La società è impegnata anche sul fronte organizzativo, celebre la Coppa della

Pace – Trofeo F.lli Anelli, gara internazionale under 23 realizzata con la Polisportiva Sant’Ermete e la famiglia Anelli. Non

mancano collaborazioni per la promozione dello sport e della mobilità sostenibile, con realtà come Fiab e Rimini Wellness. Il futuro presenta incognite. “La nostra attività si svolge per lo più nella pista ‘Masinelli’,” spiega Barbara, “ma dai 12 anni è necessario spostarsi fuori, in mezzo a un traffico sempre più nervoso e intollerante.” A questo si aggiunge la difficoltà di reperire risorse economiche in un contesto in cui lo sport di base soffre.” Ecco che è il gruppo a fare la differenza. “Quando vedi una mamma probabilmente mai salita su una bici da corsa, diventare

fotoreporter ufficiale di ogni trasferta... ti rendi conto che puoi farcela.”

Per festeggiare l’ottantesimo anniversario, il Pedale Riminese ha ideato un logo celebrativo e il ‘Trofeo degli 80 anni’, assegnato ad ogni gara alla società proveniente da più lontano. Inoltre, grazie alla collaborazione con il Comune di Rimini e la Biblioteca Gambalunga, a novembre sarà allestita una mostra con fotografie e testimonianze, che ripercorre la storia della società. Perché il ciclismo, a Rimini, è da sempre molto più di uno sport. È un modo di crescere, insieme.

IN APERTURA, UN GRUPPO DI CICLISTI DEL PEDALE RIMINESE. A PAGINA 37, BARBARA GAMBERINI, ALLA GUIDA DELLA SOCIETÀ, E IL PADRE GIOVANNI. IN QUESTA PAGINA DA SINISTRA, GIOVANNI SAPONI PREMIATO DA UNA GIOVANISSIMA RAFFAELLA CARRÀ; FOTO DI SQUADRA (1950); UNA RIUNIONE DEL CONSIGLIO DEL 1947 IN CUI SONO RICONOSCIBILI CERASO, LINO ROSSI, LEOPOLDO ALESSI, ARMANDO MULAZZANI, ANGELO ZAMPARINI, ALFREDO MASINELLI; SQUADRA ALLIEVI DEL 1967 AL CENTRO GLAUCO SANTONI.

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I SEGRETI

DALLE SORGIVE

DEL FIUME AL MARE

TRA BORGHI E SENTIERI

DEL CONCA

Coi suoi fianchi striati che precipitano a valle, già da lontano fa mostra di sé il Monte Carpegna. Precipitano a valle proprio come le prime acque del fiume Conca che, complice la morfologia del terreno, inizia qui tra le sorgive del monte il suo cammino che, in una cinquantina di chilometri scarsi, lo porterà verso il mare. Sulla sommità l’eremo della Madonna del Faggio, dove da tempo immemorabile si venera la Beata Vergine.

A poca distanza dall’eremo, un sentiero si inoltra nel bosco di abeti e faggi fino a incontrare il primo tratto del fiume che, raccolte le prime acque dalle sorgive, inizia anche in modo vigoroso la sua corsa verso valle. Oltrepassate le prime case, per incontrarlo nuovamente bisognerà raggiungere il fiume all’altezza di Caprile dove, a qualche centinaio di metri dal ponte

Conca sulla provinciale che lega Villagrande a Carpegna, si può ammirare lo spettacolare salto

ALLA SCOPERTA DEL FIUME CONCA, LUNGO

IL PERCORSO CHE

DALLE SORGIVE DEL MONTE CARPEGNA

CONDUCE AL MARE, ATTRAVERSO

BOSCHI, SENTIERI E UN SUSSEGUIRSI DI BORGHI ARROCCATI:

MONTE GRIMANO, MONTESCUDO, MONTE COLOMBO, MONTEFIORE CONCA.

del fiume con le sue cascatelle. Sono solo una ventina di metri (forse) ma di grande suggestione, specie quando la stagione favorisce con le piogge il flusso delle acque.

Più che a seguirne il corso, le strade percorribili lo tagliano e

rendono quasi impossibile godere da vicino della bellezza del fiume. Con un paio di eccezioni legate alla viabilità minore, bisognerà dunque giungere fino a Monte Cerignone per tentare l’inizio di un viaggio in comunione. Nella difficoltà accontentiamoci delle bellezze della storia e anche delle storie. Monte Cerignone, appunto, col suo borgo quasi immacolato che si erge con la sua rocca su un alto costone di tufo. Un profilo che è riuscito a incantare anche Umberto Eco che qui, dopo un fortuito incontro, prese casa –una casa padronale appartenuta anche ai Gesuiti – eleggendo il luogo a buen retiro Fu qui che, immerso nella tranquilla atmosfera di un luogo senza tempo sembra – ‘sembra’ è d’obbligo – sia nato Il nome della rosa, tradotto in più di 40 lingue e venduto in oltre di 50 milioni di copie in tutto il mondo. Con Monte Cerignone inizia un susseguirsi di piccoli bor-

TESTO E FOTO DI EMILIO SALVATORI E CRISTINA ZOLI

MONTE CERIGNONE,

COL SUO BORGO,

SI ERGE SU UN ALTO COSTONE DI TUFO:

UN PROFILO CHE È

RIUSCITO A INCANTARE

UMBERTO ECO CHE LO ELESSE A BUEN RETIRO DALL’ATMOSFERA

DI UN LUOGO SENZA TEMPO.

ghi sull’altura che dall’alto della sponda di sinistra seguono il fiume, tutti contrassegnati dal toponimo ‘monte’, quasi a evidenziarne il ruolo. Monte Grimano, ad esempio, ma anche Montescudo o Monte Colombo, o, magnificenza tra le magnificenze, Montefiore Conca che, con il suo castello imperioso, è visibile da lunga distanza. Lungo tutto il suo percorso il fiume Conca ha continuato ad alimentare un gran numero di ‘fosse’, quei canali artificiali paralleli al fiume

utilizzati, oltre che per irrigare i campi, per attivare i mulini. I toponimi ancora presenti sul territorio non lasciano dubbi ed è certo che nel 1662 fossero ben 66 i mulini alimentati dal Conca per un’attività fondamentale dell’economia del riminese proseguita fino al secolo scorso. Ormai, dell’originario torrente che abbiamo iniziato a seguire più a monte non vi è traccia e quello che, raggiunta Morciano, scorre verso il mare, è un fiume ampio e – nella stagione pro-

pizia – ricco d’acqua, capace di alimentare l’attività dell’uomo, con le acque raccolte nel bacino del Conca poco prima della foce, ma anche di rovinose piene. ‘Crustumium rapax’ aveva definito il fiume il poeta romano Lucano poco meno di 2000 anni fa, evidenziandone il carattere distruttivo, rapace. Sì Crustumium, dall’antico nome latino del fiume che, come altri, per cause ancora non definite già prima dell’VIII sec. cambiò denominazione in Conca, proprio

come l’Ariminus divenne il Marecchia e il Pisaurus il Foglia. In prossimità del moderno complesso turistico di Porto Verde, il viaggio è in procinto di finire, ma non le emozioni che l’hanno accompagnato. Anzi, ecco, sono proprio là dove le acque del fiume e del mare si intrecciano con un ultimo regalo

“Sotto Focara, verso Rimini, vi è un vico chiamato Cattolica presso il quale – quando il mare è tranquillo – si vedono sott’acqua le tracce di mura e di torri di una città inghiot-

tita dal mare e che era chiamata Conca.”

Sono le parole lasciateci dallo storico e umanista italiano del Rinascimento Flavio Biondo di Forlì attorno alla metà del 1400, riprese anche dall’Adimari, dal Cimarelli e, nei secoli, da una quantità considerevole di studiosi tra cui nell’Ottocento, pur senza convinzione, il Tonini

Una nuova ‘Atlantide’? Anche se oggi sappiamo che quasi certamente non è così, continuiamo a sognare ancor un po’.

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IL PALLONCINO

ROSSO: CURA E

CULTURA

DEI LUOGHI

POSSIBILI

Per i riminesi della mia generazione, l’Astoria è stato il primo cinema ‘moderno’ cittadino, con due sale, belle e comode poltrone e grandi schermi. Quando i tempi sono mutati, non molti avrebbero pensato di vederlo risorgere come uno spazio culturale utilizzabile a 360 gradi. Invece questo è quello che sta succedendo. Ma chi è protagonista di questa rinascita? Come ci si sta riuscendo? Lo abbiamo chiesto a Paola Russo de Il Palloncino Rosso, l’associazione che è artefice di questa rinascita. Paola, ci può raccontare com’è nata quest’associazione e per quale motivo?

“Il Palloncino Rosso nasce a Rimini nel 2015 con una convinzione semplice ma potente: che anche i luoghi, come le persone, abbiano bisogno di cura e ascolto. L’associazione lavora nel campo della rigenerazione urbana e dell’innovazione sociale, riportando vita e senso in spazi abbandonati o dimenticati. Con un approccio basato sulla partecipazione attiva dei cittadini, promuove progetti che intrecciano cultura, welfare di prossimità

DI FLAVIO SEMPRINI FOTO TOMMASO MOROSETTI

e comunità. Negli anni abbiamo imparato che rigenerare un luogo non è un maquillage urbano, ma un processo profondo di riappropriazione simbolica, capace di ricostruire legami e identità.

Oggi Il Palloncino è una rete di volontari e di professionisti di diversi ambiti, guidata dal presidente Francesco Piersimoni, e affianca anche le amministrazioni locali nella progettazione di politiche partecipative.”

Quando avete preso in gestione l’Astoria?

“L’ex Cinema Astoria è un luogo che abbiamo iniziato a ‘frequentare’ nel 2017, con eventi e riaperture simboliche, come il flash mob con Novensemble o la proiezione storica Riutilizzasi Cinema. Nel 2022, grazie a un primo accordo con il Comune di Rimini, è nato Ritorno all’Astoria, un progetto virtuoso di riuso culturale partecipato. In questo 2025, con una nuova concessione triennale, entriamo in una fase più matura: l’Astoria diventa un hub culturale di comunità, accessibile, vivo e aperto. Il progetto è promosso dal Comune di Rimini ed è curato da Il Pal-

L’ASSOCIAZIONE IL PALLONCINO ROSSO

NASCE A RIMINI

NEL 2015 E LAVORA

NEL CAMPO DELLA

RIGENERAZIONE

URBANA E

DELL’INNOVAZIONE

SOCIALE, RIPORTANDO

VITA E SENSO IN SPAZI

ABBANDONATI O DIMENTICATI, COME

NEL CASO DELL’EX CINEMA ASTORIA.

loncino Rosso Aps insieme a Le Città Visibili, Alcantara Teatro e altri partner del territorio. Ha ottenuto il sostegno del bando per i progetti di rilevanza locale 2024/2026 nell’ambito dell’Accordo di programma tra il ministero del Lavoro e la Regione Emilia-Romagna.”

Lei che ruolo ha all’interno del Palloncino Rosso?

“Sono entrata nel gruppo nel 2018, dopo la prima estate del

progetto Riutilizzasi Bolognese Ho portato la mia passione per le storie, cercando le tracce di chi da bambino aveva vissuto quelle estati di colonia: ne è nato Storie di Colonia, un progetto corale diventato mostra, film, libro, e soprattutto una comunità narrante. Con un video che racconta quella magnifica esperienza di partecipazione, fino a novembre siamo presenti nella mostra TerræAquæ. L’Italia e l’Intelligenza del Mare, alla 19a Mostra Internazionale di Architettura, a La Biennale di Venezia 2025. Per il Palloncino seguo la parte di progettazione culturale e storytelling, alla ricerca delle parole che aiutino i luoghi a raccontarsi e le persone a riconoscersi. In Ritorno all’Astoria curo l’identità narrativa del progetto e la comunicazione partecipata, in collaborazione con tutte le realtà coinvolte.”

Ci può dire quali saranno le nuove attività che gestirete all’Astoria?

“Ritorno all’Astoria è un processo vivo e in divenire, che mette al centro il protagonismo della comunità. Lo spazio accoglierà proposte culturali, sociali e ar-

“I LUOGHI, COME LE PERSONE, HANNO BISOGNO DI CURA E ASCOLTO,” DICE PAOLA RUSSO. “CON LA PARTECIPAZIONE ATTIVA DEI CITTADINI, PROMUOVIAMO

PROGETTI CHE INTRECCIANO CULTURA E COMUNITÀ.”

tistiche provenienti da associazioni, scuole, gruppi informali, cittadini. Un esempio emblematico è stato quello degli Spicy Knots, giovane band riminese che grazie al progetto ha potuto inaspettatamente presentare Astoria, il suo album di esordio, proprio nel luogo a cui quel titolo s’ispira. Quasi la trama di un film che ben rappresenta lo spirito di tutto il progetto: trasformare l’Astoria in un luogo generativo, dove le visioni prendono forma e diventano esperienza

condivisa. Un percorso che ha coinvolto anche gli studenti e le studentesse di UniRSM Design, impegnati nell’immaginare la nuova identità visiva di questa trasformazione da cinema a hub. Oltre al festival Le Città Visibili, che lo scorso anno ha riaperto la storica Sala Jolly dopo vent’anni, anche rassegne, laboratori, incontri, spettacoli: sempre con la convinzione, ogni volta confermata, che la cultura, se condivisa, è un bene – e un benessere – comune.”

IN APERTURA, IL PRESIDENTE

DELL’ASSOCIAZIONE IL PALLONCINO ROSSO, FRANCESCO PIERSIMONI, E LA PORTAVOCE

PAOLA RUSSO. A PAGINA 45, FOTO DI GRUPPO

DAVANTI ALL’EX CINEMA ASTORIA. IN ALTO, LA COLONIA BOLOGNESE. A FIANCO, IL POLITEAMA ASTORIA-JOLLY APPENA

TERMINATO (DA LUOGHI E ARCHITETTURE DEL CINEMA IN ITALIA, A CURA DI S. CACCIA, ETS).

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“Non era uno stregone. Era un uomo di scienza, di fede e di straordinaria umanità.” Così Simona Andreani, erborista e guida ambientale, introduce la figura di Nicola Gambetti, protagonista del libro Nicola guaritore.

Una vita per gli altri, scritto a più mani con Manlio Flenghi, Lorenza Bonifazi, Alice Cesarini e Luciana Romanelli, pubblicato da Botticelli Novafeltria, 2025.

Un’opera nata da anni di ricerca e passione, per riportare alla luce la vicenda di un uomo capace di coniugare conoscenze mediche e tradizione popolare, vissuto in Alta Valmarecchia tra il 1832 e il 1921 nell’antico e misterioso palazzo di Monterotondo. Simona, perché oggi è importante raccontare la storia di Nicola Gambetti?

“Perché non è solo una figura storica, è una memoria viva del territorio sul quale ancora aleggiano storie tra verità e fantasia. In lui si incarnano una sapienza antica e una visione moderna della cura che parlano ancora oggi. Abbiamo voluto restituirgli

DI LUCIA LOMBARDI
PH LUCIA LOMBARDI

NICOLA GUARITORE.

UNA VITA PER GLI ALTRI È IL TITOLO DELL’OPERA CHE FONDE

RIGORE STORICO E NARRAZIONE

APPASSIONATA PER RESTITUIRE VOCE A UNA DELLE FIGURE

PIÙ AFFASCINANTI DELL’ALTA VALMARECCHIA, VISSUTA NELL’ANTICO PALAZZO DI MONTEROTONDO.

dignità storica, andando oltre la leggenda: Nicola era un uomo che ha dedicato interamente la sua vita alla cura dell’altro, gratuitamente, mettendo a disposizione il proprio sapere, le sue erbe, la sua casa e perfino il suo patrimonio.”

Il titolo del libro parla chiaro: Una vita per gli altri. “Assolutamente. Nicola proveniva da una famiglia di farmacisti e notabili, ma a un certo punto ha smesso di vedere la medicina come fonte di reddito. Le sue cure non erano vendute, erano donate. E questo non per carenza di mezzi, ma per scelta. Aveva un dono – forse ricevuto, forse coltivato – che lo ha spinto a mettere tutto se stesso al servizio delle persone.”

Quali erano le sue conoscenze e come le applicava?

“Aveva un sapere vastissimo. Sapeva preparare medicamenti con erbe spontanee, ma usava anche spezie e resine provenienti da lontano – mirra, aloe, incenso, pepe di Cubebe – che ci parlano di una rete di scambi e di una cultura ben più ampia di quella che si immagina. Cono-

sceva i minerali, la chimica, i cicli lunari e i tempi balsamici. Ma soprattutto aveva un approccio olistico.”

Possiamo dire che fu anche un precursore della medicina psicosomatica?

“Sì. Certe ricette erano rivolte a mali interiori: ‘contro il dolore e la passione di cuore’, si legge. Curava gli stati emotivi, non solo quelli fisici. Era uno scienziato con un’anima spirituale.”

Cosa c’è di nuovo in questo libro rispetto agli studi precedenti su Gambetti, come il primo libro di Flenghi?

“Abbiamo scavato in archivi, ricettari e testimonianze orali per portare alla luce dettagli finora mai indagati: il rapporto con la nipote che ruppe il patto di trasmissione del sapere, la reale presenza a Roma durante il parto della regina Elena, probabilmente assistita proprio da lui. Così come la laurea ad honorem attribuitagli dal re, il cui documento ufficiale non è stato ancora ritrovato, ma molti racconti e indizi ne confermano la veridicità. Però la vera novità è la profondità umana che emerge

da queste pagine: un uomo burbero ma generoso.”

Un sapere evidentemente vasto e misterioso, che sembrava sfiorare la magia…

“Certo. Ma erano saperi veri, sperimentati, documentati. Usava le parole, le segnature, le ritualità legate al calendario contadino. Alcune ricette sembravano magie: ‘far fuoco carda sott’acqua’ era un gioco chimico per incantare, per trasmettere fiducia e rispetto. Per chi non sapeva leggere né scrivere, Nicola era una figura quasi sacra. Quel ‘timore reverenziale’ che si ha verso chi può salvarti la vita.”

Oggi, nel tuo lavoro di erborista e guida, quanto ti ha cambiata questa ricerca?

“Tantissimo. Mi ha insegnato che la cura parte dall’ascolto e dal rispetto profondo dell’altro. Che il sapere non è potere, ma dono. E che in ogni pianta, come in ogni racconto tramandato, c’è una radice di verità da riscoprire. Nicola non è solo un personaggio storico: è un esempio, un modello di umanità e competenza che abbiamo bisogno di ritrovare.”

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