Faenza IN Magazine 05 2023

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fa e n z a

n.5 2023 w w w. i n m a g a z i n e . i t

ANDREA SPADA

NEL NOME DEL VINO

FEDERICO MARCHETTI INNOVATORE VISIONARIO

LE MURA CITTADINE

IL NUOVO CIRCUITO PERCORRIBILE



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EDITORIALE

04 PILLOLE NOTIZIE DALLA PROVINCIA

06 PROFILI FEDERICO MARCHETTI

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Una visione d’impresa che porta lontano, e fa storia. È quella condivisa dai due personaggi di copertina di questo numero: il ravennate Federico Marchetti, fondatore di Yoox, il primo e-commerce di lifestyle al mondo, e il faentino Andrea Spada, sommelier, imprenditore e consulente. Per Ravenna, il 2024 preannuncia importanti novità, tra cui la riqualificazione del circuito delle mura cittadine. Pensa al futuro anche l’associazione ‘Grazia Deledda’ che punta alla valorizzazione di Villa Caravella. Incontriamo Dusciana Bravura, che ci racconta dei suoi gioielli e accessori ispirati al mosaico, e il liutaio Marco Minozzi. E ancora: il negozio Kazuma; Matteo Farinelli e il suo miele Millefiori; la storia della Ravenna imperiale; il ceramista Carlo Zoli; il Circolo Ravennate della Spada; il NOAM Film Festival. Buona lettura! DI ANDREA MASOTTI

Edizioni IN Magazine s.r.l. Via Napoleone Bonaparte, 50 - 47122 Forlì | T. 0543.798463 www.inmagazine.it | info@inmagazine.it Anno XXII N. 5 dicembre/gennaio Reg. di Tribunale di Forlì il 16/01/2002 n.1 Direttore Responsabile: Andrea Masotti Redazione centrale: Clarissa Costa Coordinamento di redazione: Roberta Bezzi Artwork e impaginazione: Sabrina Cella, Francesca Fantini Ufficio commerciale: Gianluca Braga Stampa: La Pieve Poligrafica Villa Verucchio (RN) Chiuso per la stampa il 7/12/2023 Collaboratori: Alessandra Albarello, Chiara Bissi, Andrea Casadio, Anna De Lutiis, Massimo Montanari, Serena Onofri. Fotografi: Lidia Bagnara, Massimo Fiorentini, Alex Majoli, David Needleman.

Tutti i diritti sono riservati. Foto e articoli possono essere riprodotti solo con l’autorizzazione dell’editore e citando la fonte. In ottemperanza a quanto stabilito dal Regolamento UE 2016/679 (GDPR) sulla privacy, se non vuoi più ricevere questa rivista in formato elettronico e/o cartaceo puoi chiedere la cancellazione del tuo nominativo dal nostro database scrivendo a privacy@inmagazine.it

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34 MUSICA MARCO MINNOZZI

38 FUMETTI KAZUMA A RAVENNA

12 PROFILI

45 GUSTO

ANDREA SPADA

IL MIGLIOR MILLEFIORI

18 RIQUALIFICAZIONE LE MURA CITTADINE

48 STORIA RAVENNA IMPERIALE

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24 CULTURA UN NOBEL A CERVIA

28 DESIGN DUSCIANA BRAVURA

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55 ARTE CARLO ZOLI

58 SPORT LA FORZA DELLA SPADA


PILLOLE

FESTIVAL ARGILLÀ 2024 FAENZA | Già aperte a Faenza le iscrizioni al Festival internazionale della ceramica Argillà, in programma dal 30 agosto all’1 settembre 2024. Per aderire e partecipare come espositori c’è tempo fino al 10 gennaio 2024. Nella prossima edizione, i Paesi Baltici (Estonia, Lettonia, Lituania) sono gli attesi ospiti, con un ricco programma culturale dedicato, fra mostre, eventi e conferenze. Argillà Italia offre a tutti i visitatori una piacevole passeggiata per le strade del centro storico, fra gli stand degli espositori internazionale, che presentano una produzione di ceramiche artistiche e artigianali di alta qualità, spaziando tra arte, scultura, design, complementi d’arredo, oggetti per la casa e accessori moda.

STAGIONE OPERA E DANZA RAVENNA | Con tre titoli d’opera e tre appuntamenti con la danza, dal 19 gennaio al 21 aprile 2024, torna la Stagione d’opera e danza di Ravenna. Sul palcoscenico del Teatro Alighieri, si avvicenderanno così prime, coproduzioni, compagnie di calibro internazionale e formazioni che rappresentano la ricchezza musicale e artistica di tutto il territorio. I titoli dell’opera? L’incoronazione di Poppea con l’Orchestra Monteverdi Festival, Il turco in Italia con l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini e Turandot con l’Orchestra dell’Emilia-Romagna Arturo Toscanini. Ricco anche il cartellone della danza con la compagnia di Wayne McGregor in Autobiography, il Nuovo Balletto di Toscana in The Red Shoes e Spellbound Contemporary Ballet impegnata in L’arte della fuga.

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ASTORIA ATTESA RIAPERTURA RAVENNA | Riaprirà già poco prima di Natale l’ex cinema Astoria di via Trieste a Ravenna, dopo sette anni di chiusura. Le prime a partire saranno le attività culturali e di intrattenimento a cura di un gruppo di giovani imprenditori che da tempo lavorano in locali del territorio. A disposizione ci sono tre sale per eventi a 360 gradi: concerti, spettacoli comici, convention e convegni. L’idea è dunque quella di fare dell’ex Astoria un grande contenitore multiuso, un polo culturale della città. Gli organizzatori puntano a fare rete, a ospitare eventi di Ravenna Festival e Bronson Produzioni. Le sale cinema, a cura del gruppo Eufente che già gestisce il Cinemacity, riapriranno invece nei prossimi mesi.



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PROFILI

FEDERICO MARCHETTI DA YOOX ALLA TASK FORCE ON FASHION DI RE CARLO III

DI ALESSANDRA ALBARELLO

Unico italiano presente all’Incoronazione di Re Carlo III, oltre al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, Federico Marchetti è partito da Ravenna per conquistare il mondo attraverso progetti visionari e coraggiosi. E lui, che si è sempre sentito romagnolo per nascita, italiano per Dna e americano per scelta, lo racconta ora nel suo libro autobiografico Le avventure di un innovatore, edito da Longanesi. Nel 2000 ha creato Yoox, la prima azienda italiana unicorno, diventata poi Yoox NetA-Porter Group. Com’è nata l’idea? “Appena tornato dagli Stati Uniti ho cercato di capire quale fosse un vantaggio competitivo dell’Italia e ho pensato subito alla moda. Non avevo soldi per poter finanziare un mio progetto ma internet, che era agli albori, per un certo periodo ha permesso a tutti di accedere a dei capitali. Ho unito i puntini e il risultato è stato: la moda su internet. Così è nato Yoox.” Si è ispirato a qualcuno o a qualcosa?

FOTO DAVID NEEDLEMAN

“No, perché era una cosa completamente nuova e sono stato il primo al mondo a vendere la moda su internet. Yoox è nato partendo dalle collezioni precedenti con l’obiettivo di allungare la vita ai capi di moda di buona qualità. Ventitré anni dopo sembra la cosa più sostenibile del mondo...” Il passaggio dalla moda e dal lusso all’impegno ambientale è stato quindi più un cambiamento o un’evoluzione? “Un’evoluzione, perché quando ho cominciato non pensavo alla sostenibilità, ma a un modello di business che potesse funzionare per tutti. Allora non mi era ancora chiaro il concetto di ambiente e di moda longeva, andavo solo incontro alle esigenze dei consumatori, chiedendomi perché un prodotto dovesse finire dopo una sola stagione. Nel 2001 ho aggiunto anche il vintage e nel 2008 ho lanciato il megaprogetto Yooxygen, ristrutturando tutta l’azienda secondo i principi della sostenibilità. Un progetto vastissimo, in anticipo sui tempi: basti pensare che la Camera 7


PROFILI

della Moda Italiana ha annunciato il primo manifesto sulla sostenibilità solo nel 2011.” Com’è cresciuta, negli ultimi 20 anni, la coscienza sostenibile delle aziende? “È ormai chiaro a tutti, soprattutto alle nuove generazioni, che diventare sempre più sostenibili non sia solo una questione di marketing ma anche di sopravvivenza. Con il progetto che ho lanciato con Re Carlo III sulla moda sostenibile, ho riunito un gruppo di amministratori delegati di grandi brand internazionali per cercare di velocizzare questo processo. Ma come si fa a innescare questa accelerazione? Secondo me la ricetta vincente è l’innovazione.”

“CON IL PROGETTO CHE HO LANCIATO CON RE CARLO III SULLA MODA SOSTENIBILE, HO RIUNITO UN GRUPPO DI AMMINISTRATORI DELEGATI DI GRANDI BRAND INTERNAZIONALI PER CERCARE DI VELOCIZZARE IL PROCESSO.”

PH COURTESY OF FEDERICO MARCHETTI

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Nel 2021 infatti l’allora principe Carlo la nomina Chair of HRH Sustainable Initiative Task Force on Fashion. In che cosa consiste il suo incarico? “La Task Force è composta da una quindicina di membri ai quali ho trasmesso le mie due visioni del futuro sulla moda sostenibile: il passaporto digitale e la moda rigenerativa. In particolare, il passaporto digitale riguarda le informazioni che vengono veicolate ai clienti finali quando acquistano un articolo di un determinato brand, dandogli così gli strumenti necessari per fare acquisti più consapevoli. Ho iniziato a lavorare al passaporto digitale nel 2018 e non a caso nel 2022 la Commissione Europea ha annunciato che sarebbe diventato obbligatorio per tutti.” E invece The Modern Artisan? “È stato il mio primo progetto realizzato con Re Carlo. Lo avevo incontrato in Scozia ed essendo un grande amante dell’Italia mi chiese di inventarmi un progetto che unisse l’Italia all’Inghilterra. Anche qui ho collegato tutti i puntini, pensando a quali fossero le nostre passioni comuni: l’Italia e l’Inghilterra, i giovani, l’educazione, la sostenibilità, la moda… L’ho chiamato The Modern Artisan perché l’obiettivo era di mettere a disposizione di giovani artigiani degli strumenti moderni per poter affrontare al meglio il loro lavoro, avvalendosi di dati, dell’Intelligenza Artificiale, del web marketing e rendendo così più contemporaneo un lavoro tradizionale. Con The Modern Artisan abbiamo messo assieme due gruppi di studenti italiani e inglesi che hanno realizzato una collezione incrociando tutti i dati di Yoox. Questa prima collezione, che ha riscosso un grande successo, aveva in sé anche il primo embrione del passaporto digitale. Dopo questo progetto Re Carlo ha deciso di affidarmi l’incarico della Task Force e sono entrato poi a far parte sia del Board della sua Fondazione sia di Highgrove Garden, la residenza reale dove viene prodotto cibo sostenibile.” The Modern Artisan ha avuto un seguito? “Dopo la mia uscita nel 2021 da Yoox Net-


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NEL SUO LIBRO LE AVVENTURE DI UN INNOVATORE SI RIVOLGE ALLE NUOVE GENERAZIONI: “HO NOTATO CHE TRA I GIOVANI PREVALE LA PAURA E VORREI QUINDI CHE IL MIO LIBRO SERVISSE A INFONDERE IN LORO UN PO’ DI CORAGGIO, PER GUARDARE AL FUTURO CON OTTIMISMO.”

IN QUESTE PAGINE, L’IMPRENDITORE FEDERICO MARCHETTI. NELLA PAGINA PRECEDENTE, INSIEME A RE CARLO III IN OCCASIONE DEL PROGETTO SUSTAINABLE INITIATIVE TASK FORCE ON FASHION. IN ALTO, IL SUO LIBRO PUBBLICATO CON LONGANESI.

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A-Porter, sono state fatte altre due edizioni e mi fa quindi molto piacere che questa sia l’eredità che ho lasciato. Penso che questo progetto sia davvero un modello di moda futura, di artigianalità mischiata alla tecnologia e all’innovazione. Passato e futuro insieme. Oltre a questo ho lasciato a Yoox NetA-Porter Infinity, un piano decennale sulla sostenibilità, l’ultimo mio progetto firmato come amministratore delegato.” Ritornando al clima, qual è stata la sua impressione su ciò che è accaduto in Emilia-Romagna? Ne ha parlato anche con Re Carlo? “Con Re Carlo ci scriviamo regolarmente delle lettere e quindi gliene ho scritta una parlandogli dell’alluvione dell’Emilia-Romagna. La sua risposta è stata di grande tristezza ma la cosa che gli ha dato più fastidio, non solo riguardo all’Emilia-Romagna, è che ci siano tante chiacchiere e poche azioni concrete. Questo è un pensiero che continua ad accomunarci perché troppo spesso si parla di ambiente ma si fa ancora poco a tutti i livelli.” Il suo libro l’ha dedicato a sua madre e a

sua figlia Maggie. Qual è il invece messaggio che rivolge alle nuove generazioni? “Ho notato che tra i giovani prevale la paura e vorrei quindi che il mio libro servisse a infondere in loro un po’ di coraggio, per guardare al futuro con ottimismo. Da sempre mi occupo dei giovani perché anch’io lo ero quando ho iniziato con Yoox – avevo 29 anni – e ho dato poi lavoro a 5.000 ragazzi intorno ai 30 anni, quelli di Yoox Net-A-Porter.” Quali qualità le sono servite per essere un innovatore? C’entrano un po’ anche le sue origini? “Sicuramente la romagnolità appartiene al mio Dna, ma per passare dalle radici al futuro occorre usare tanta immaginazione. E per immaginarsi il futuro bisogna iniziare a sognare, cercando poi di mettere in pratica i sogni. Questa è la parte dove ci vuole propensione al rischio e molto coraggio.” Il suo prossimo sogno? “Che tutti facciano qualcosa per l’ambiente, perché è arrivato il momento di cambiare rotta.”


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PROFILI

ANDREA SPADA

NEL NOME DEL VINO: DA PRIMO SOMMELIER A IMPRENDITORE E CONSULENTE

DI ROBERTA BEZZI

FOTO MASSIMO FIORENTINI

Sommelier, imprenditore, consulente. Sotto tante vesti, il faentino Andrea Spada è presente da anni nel mondo della ristorazione e dell’enogastronomia, dove è stato protagonista di locali storici o che hanno segnato i tempi. Dal 2015 è consulente sommelier per Casa Spadoni, e dal 2019 anche del Mercato Coperto di Ravenna, con cui condivide la visione eclettica per la ristorazione, il forte legame con il territorio, l’attenzione nella cura del prodotto. A livello personale, è una forza della natura, nato per stare in mezzo alle persone, con quella vocazione naturale a mettere a proprio agio tutti per consentire di passare momenti piacevoli insieme. Un simbolo indiscusso della migliore ospitalità in Romagna, con ottime doti di intrattenimento visto che di recente è arrivato anche secondo al Faenza Cabaret dedicato al grande Alberto Sordi. Si può dire che il suo percorso professionale sia nato già quando frequentava la scuola alberghiera? “Sì. Negli ultimi anni ho avuto la fortuna 12

di conoscere Nevio Raccagni, patron de La Grotta di Brisighella, una stella Michelin, che chiamava mia madre ogni volta che mi portava con sé in giro per l’Italia. Così, qualche volta saltavo la scuola, in compenso avevo la grande opportunità di ascoltare, di confrontarmi con grandi maestri e di assaggiare i primi vini.” Poi, finita la scuola tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, si sono spalancate le porte di due ristoranti stellati... “Sì. Ho iniziato subito a lavorare come sommelier prima al Notai di Bologna, una stella Michelin, e poi a La Frasca di Castrocaro Terme, due stelle Michelin per ben 26 anni, dove sono rimasto cinque anni. Alla corte del patron Gianfranco Bolognesi ho imparato davvero tanto: finalmente potevo vedere dal vivo, sulla carta, i vini che avevo studiato e che in quegli anni non era facile trovare in giro. Fu un’ottima palestra.” Ed è lì che ha maturato l’ambizione di diventare primo sommelier d’Italia...


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PROFILI

“Sì, lo stretto contatto con Bolognesi, primo sommelier d’Italia nel 1974, è stato estremamente stimolante. Ricordo ancora il giorno in cui l’ho visto con la fascia tricolore e il tastevin e ho pensato che un giorno lo sarei diventato anch’io. A distanza di tempo posso dire di essere stato molto fortunato ad avere sin da giovane grandi maestri, cosa che non capita così spesso al personale di sala oggi. Il maître mi ha preso sotto la sua ala e mi ha insegnato la psicologia di sala, tutti i segreti del mestiere. Ricordo che aveva lo stesso aplomb di un maggiordomo inglese, capace di gestire con eleganza ogni tipo di cliente, da chi amava ostentare i soldi che ha a chi invece entrava timoroso in un ristorante rinomato per concedersi un regalo, con l’unico scopo di fare sentire tutti a proprio agio.” A soli 25 anni decide di mettersi in proprio con lo chef Remo Camurani, aprendo la Trattoria di Strada Casale. Com’è andata?

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IL FAENTINO ANDREA SPADA È PRESENTE DA ANNI NEL MONDO DELLA RISTORAZIONE E DELL’ENOGASTRONOMIA, DOVE È STATO PROTAGONISTA DI LOCALI STORICI O CHE HANNO SEGNATO I TEMPI. DAL 2015 È CONSULENTE SOMMELIER PER CASA SPADONI, E DAL 2019 ANCHE DEL MERCATO COPERTO DI RAVENNA.

“All’epoca Brisighella, piccola località di sole 5.000 anime, vantava ben due ristoranti stellati, era quindi una meta molto apprezzata a livello gastronomico. Il nostro locale era un po’ fuori dal paese, per questo ci siamo subito preoccupati di segnalare ‘a 8 km da Brisighella’ sul biglietto da visita. Dovendo riassumere, è stata un’esperienza magnifica di ‘fanta ristorazione’: avevamo un menù che cambiava ogni giorno e che prevedeva un antipasto, un primo, un secondo, un dolce e tre vini. Tutto era fatto rigorosamente in casa e in giornata, dalla pasta ai conigli e alle faraone, il congelatore non ci serviva. Avevamo una bella carta dei vini. Ci siamo molto divertiti, abbiamo preso subito la chiocciolina di Slow Food.” Proprio in quel periodo, per la precisione nel 1994, è arrivato il premio di Primo Sommelier d’Italia che ha confermato anche l’anno successivo...


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“IL MIO SOGNO NEL CASSETTO? HO 56 ANNI E, GUARDANDO AL FUTURO, MI IMMAGINO IN UN POSTO CON SEI TAVOLINI, 5 PIATTI E QUALCHE VINO, PER CONTINUARE A STARE IN MEZZO ALLA GENTE E A FARLA STARE BENE. LA MIA VITA È QUESTA, È CONVIVIO.”

IN QUESTE PAGINE, ANDREA SPADA, SOMMELIER E IMPRENDITORE FAENTINO.

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“Sì. Non è stato così scontato perché l’anno precedente aveva vinto Roberto Gardini, anche lui romagnolo. Proprio la sera prima della proclamazione sono stato informato che in genere una regione non vinceva mai per due volte consecutive a parità di punti. Dentro di me, da buon scorpione come sono, mi dicevo che avrei ottenuto più punti. E così è stato. Il premio ha chiaramente portato molta pubblicità al mio locale, c’era gente che veniva anche da Ravenna, disposta a farsi 50 km per mangiare. In parallelo ero molto richiesto per corsi da sommelier.” Prima ha parlato di ‘fanta ristorazione’. Cos’è cambiato oggi? “Un po’ tutto. Oggi la gente non sceglie più i menù degustazione, al massimo due piatti e un dolce diviso in due. Anche il bere è diventato un problema con le nuove leggi, non tutti possono permettersi l’autista per rientrare o contare su un amico astemio.” Alla ricerca di nuovi stimoli dal 2000 al 2003, apre il Circolo degli Artisti a Faenza, locale cult che ha visto sul palco artisti come Fabrizio Bosso, Stefano Bollani e Paolo Fresu. Poi è stata la volta del Noè... “Con il primo locale ho abbracciato la mia passione per l’arte e lo spettacolo dal vivo. Con il secondo mi sono divertito a fare una carta delle esperienze organolettiche, in cui associavo a ogni vino un determinato piatto.” In seguito è arrivata la chiamata di Leonardo Spadoni che l’ha coinvolta in un grande progetto di valorizzazione del territorio. Cosa l’ha spinta ad accettare? “Come sempre la voglia di diversificare e

mettermi in gioco, restando legato al meglio di ciò che la Romagna può offrire. Casa Spadoni a Faenza, che è un po’ la casa madre, è un locale molto impegnativo. I primi tempi, ricordo che di notte mi sognavo la gente perché dovevo gestire 400-500 persone e non era facile trovare personale all’altezza. Poi sono arrivate l’apertura a Ravenna di Ca’ del Pino, Casa Spadoni San Vitale e Mercato Coperto. Fra poco apriremo in centro storico a Bologna.” Lei si è anche inventato l’Albana Day insieme a Carlo Catani. Perché? “Ci sembrava un peccato che l’Albana non fosse conosciuta e inserita in menù fuori regione. Così abbiamo pensato a un concorso con due premi, quello della critica e quello del popolo.” Il miglior vino per lei? “Non esiste, un po’ come per le belle donne. C’è un giorno che ne assaggi uno ed è perfetto per quella situazione. Comunque amo il Sangiovese, il Nebbiolo e il Nerello Mascalese, tre grandi vitigni italiani.” Cosa pensa dei vini naturali? “Se ne parla molto ma molti cavalcano solo l’onda. Mio nonno era biodinamico e non lo sapeva! Ne ho assaggiati alcuni ma li trovo difettosi, bisogna fare qualcosa per aggiustarli.” Il suo sogno nel cassetto? “Ho 56 anni e, guardando al futuro, mi immagino in un posto con sei tavolini, 5 piatti e qualche vino, per continuare a stare in mezzo alla gente e a farle stare bene, con esperienze organolettiche. La mia vita è questa, è convivio.”


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RIQUALIFICAZIONE

LE MURA CITTADINE IL NUOVO CIRCUITO PERCORRIBILE CHE ARRICCHISCE L’OFFERTA TURISTICA

DI CHIARA BISSI

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FOTO MASSIMO FIORENTINI


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“L’IMPEGNO È QUELLO DI FARE UN INTERVENTO OGNI ANNO,” SPIEGA L’ASSESSORA FEDERICA DEL CONTE. “L’OBIETTIVO È RICOSTRUIRE DOVE POSSIBILE I PERCORSI SULLE MURA, ANCHE IN CHIAVE TURISTICA.”

IN APERTURA, IL PERCORSO TRA LE ANTICHE MURA IN VIA FIUME MONTONE ABBANDONATO. SOPRA, PORTA ADRIANA, CONOSCIUTA ANCHE COME PORTA CAVOUR.

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L’impianto delle mura cittadine raggiunse nell’età tardo antica, con gli imperatori Onorio e Valentiniano III, la misura massima di cinque chilometri con diverse torri di guardia: oggi il sogno è quello di rendere percorribile il tratto che dal limitare dell’ex Caserma Dante e dai resti di Port’Aurea arriva alla Rocca Brancaleone e, anche se per porzioni frammentate, raggiunge Porta Nuova. Tanti i progetti e gli impegni presi negli anni, ma i frutti sono arrivati con l’attuazione di una strategia per stralci che punta a un recupero graduale dei 2.500 metri rimasti, dopo le tante demolizioni avvenute a partire dal Settecento fino a quelle novecentesche per cause belliche e per scarsa tutela a fronte di frenetiche attività edilizie. Il circuito delle mura una volta riqualificato rientrerà così nell’offerta turistica con tratti percorribili, comprendendo come fulcro la Rocca Brancaleone costruita tra il 1457 e il 1470, anch’essa oggetto di ripetuti interventi. “L’impegno,” spiega l’assessora all’Urbanistica e lavori pubblici Federica Del Conte, “è quello ogni anno di fare un inter-

vento. Compiuto il tratto di mura di via circonvallazione piazza d’Armi e quello di Porta Teguriense, in prossimità di Porta Adriana, nel 2024 sarà la volta della porzione che va dal monumento del Ponte degli Allocchi fino a Port’Aurea. L’obiettivo è ricostruire dove possibile i percorsi sulle mura, anche in chiave turistica per ritrovare un patrimonio vissuto e frequentato, allontanando la percezione di degrado e insicurezza. Per quanto riguarda il tratto che corre nel comparto ex Amga, vicino a Porta Serrata, con il piano attuativo (Pua) approvato e i permessi di costruire, il recupero delle mura sarà a carico del privato.” Infine la Rocca Brancaleone, che rappresenta il punto di maggior interesse del circuito delle mura, e per la quale c’è un intervento finanziato con risorse statali per 4 milioni di euro. “Nel 2024 partirà il cantiere della parte interna della Rocca, dopo che nel 2023 si è compiuto il restauro degli apparati murari dell’intero fortilizio.” La parte della rocca vera e propria, da tempo adibita a spettacoli e proiezioni, subirà un intervento


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NEL 2024 PARTIRÀ ANCHE IL CANTIERE DELLA PARTE INTERNA DELLA ROCCA, FULCRO DEL CIRCUITO DELLE MURA: SUBIRÀ UN INTERVENTO CHE VA DALLA PAVIMENTAZIONE ALL’ALLESTIMENTO DI UN’ARENA PER 1.400 SPETTATORI.

IN ALTO, PORTA TEGURIENSE SOTTOPOSTA DI RECENTE A UN LAVORO DI RECUPERO.

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complesso che va dalla pavimentazione all’allestimento di un’arena per 1.400 spettatori, la costruzione dei servizi igienici e della cabina di regia, il rifacimento del palco e dello schermo per le proiezioni cinematografiche. Scomparsa dalle previsioni invece la copertura e la ricostruzione della parte sommitale dei torrioni. Anche l’area esterna oggi utilizzata come parcheggio verrà riqualificata. Per finire con Porta Adriana per la quale era previsto un utilizzo come locale pubblico, ma il bando di gara è andato deserto più volte, ed è quindi in attesa di una futura destinazione pubblica; e poi Largo Giustiniano e in futuro la ricucitura del percorso che da lì raggiunge il parcheggio di Porta Cybo. Prima del 2020 era stata la volta del tratto che da via Oberdan arriva a via Cura e, più precisamente, la parte che dalla chiesa del Torrione si snoda verso via Cura. Per aumentare la sicurezza, grazie a un accordo tra Comune e Regione, lì verrà potenziata la videosorveglianza e l’illuminazione pubblica, e ripensato l’arredo urbano. Con un progetto da 98.500 euro, coperto dalla Regione con 78.000 euro e per la somma restante dall’amministrazione comunale, sono previsti inoltre attività educative di strada per affrontare i fenomeni di insicurezza. Per secoli le mura cittadine hanno svolto una funzione di difesa non solo dagli eserciti nemici ma anche dalle bande di banditi che infestavano il territorio, mentre nulla poterono contro le ricorrenti inondazioni dei fiumi Ronco e Montone fino all’anno 1735 quando ne venne ordinata la diversione. Gli ultimi lavori di riparazione si ebbero negli anni tra il 1778 e il 1795 quando con l’epoca moder-

na persero la funzione difensiva per assumere quella di cinta daziaria, fino alle grandi distruzioni dovute alla costruzione della linea ferroviaria a partire dal 1863. Durante i lavori di realizzazione del prolungamento del sottopasso ferroviario con approdo in Darsena di città nel 2020 è emersa una porzione di mura. Le indagini archeologiche confermano uno spessore di circa 3 metri per un’altezza che poteva raggiungere in antico i 10 metri. Nel 2022 è giunto a compimento il restauro di Porta Teguriense, promosso dalla Soprintendenza e sostenuto dal Comune e della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna, lungo il tratto di mura cittadine che va da Porta Adriana a Porta Serrata, nell’area verde in via Mura di San Vitale dedicata a Teresa Gamba Guiccioli. Lungamente coperta e non leggibile, per la restituzione è stato eseguito un rinforzo statico degli archi mentre i paramenti murari sono stati interessati da un intervento di pulizia, diserbo e consolidamento nonché da interventi di ‘cuci-scuci’. Da ultimo, sarà realizzata una passerella pedonale che collegherà il giardino Teresa Gamba alla porzione di mura che va da via San Vitale a Largo Giustiniano e che consentirà, nel tratto centrale, di poter osservare l’antica porta da un punto di vista privilegiato. Questo stralcio si inserisce in un più vasto programma di valorizzazione che vede come prossimo intervento il restauro del Torrione della Polveriera. Poco distante dalla Porta Adriana, la Porta Teguriense, dal nome del fiume Tegurio (Lamone), che scorreva a nord era uno degli accessi più importanti della città per raggiungere la zona monumentale.


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CULTURA

UN NOBEL A CERVIA L’ASSOCIAZIONE DI MARISA OSTOLANI DEDICATA A GRAZIA DELEDDA

DI CHIARA BISSI

FOTO MASSIMO FIORENTINI

La grandezza dell’opera di Grazia Deledda è sotto gli occhi di tutti: riconosciuta tra le grandi voci della letteratura del Novecento, ma mai veramente amata dalla critica, esempio di donna libera, in un mondo senza diritti al femminile. Eppure ancora oggi la sua memoria stenta ad affermarsi anche nei luoghi che le erano più cari, come Cervia, dove per lunghi anni ha trascorso le vacanze estive, scrivendo e cercando la quiete di un ambiente allora ancora incontaminato e appartato. A distanza di 87 anni dalla morte, avvenuta nel 1936, a rinnovare il mestiere della memoria ci ha pensato Marisa Ostolani, fondatrice dell’associazione ‘Grazia Deledda, un Nobel a Cervia’ insieme ad altre 9 donne. Cervese di origine, dopo una vita lavorativa trascorsa lontano dalla Romagna, ha deciso di recuperare le proprie origini e tornare a casa. Ostolani, giornalista di lungo corso, è stata caporedattore aggiunto 24

TRA LE IDEE DELL’ASSOCIAZIONE CERVESE, UN FESTIVAL DEDICATO ALLA SCRITTRICE SARDA, LA PUBBLICAZIONE DI UN VOLUME E LA VALORIZZAZIONE DI VILLA CARAVELLA, DIMORA COMPRATA DALLA SCRITTRICE NEL 1928 CON I SOLDI DEL PREMIO NOBEL RICEVUTO NEL 1926.

alla redazione centrale Esteri dell’Ansa, a Roma; due mandati a Bruxelles come corrispondente europea sempre dell’Ansa per la politica Estera e la Difesa; segue lavori della Commissione presieduta da Romano Prodi e i lavori dell’Ecofin; in precedenza

corrispondente per La Stampa e per La Repubblica. “Quando sono andata in pensione,” ricorda, “con mio marito si è posto il problema di dove abitare e insieme abbiamo deciso per Cervia, dove ci sono la mia famiglia e le radici. Arrivata qui, mi sono chiesta perché ci fossero poche tracce della Deledda. Non che fosse stata dimenticata, ma non c’era niente che la ricordasse nel tempo. Come mai una città turistica non sente il bisogno di legare il suo nome a una donna coraggiosa ancora in grado di ispirare i giovani, una self made woman, come la considerano gli americani? Deve renderci orgogliosi il fatto che scelse la nostra città come luogo di elezione per 15 anni.” Da qui l’idea di recuperare la memoria organizzando un festival dedicato alla scrittrice sarda, di promuovere la pubblicazione di un volume e di valorizzare Villa Caravella, dimora comprata dalla scrittrice nel 1928 con i soldi del premio


Nobel ricevuto nel 1926. La villa fu venduta dagli eredi nel 1979 e ora la proprietà, che possiede anche l’hotel accanto, si è resa disponibile ad aprire durante l’anno il giardino per iniziative pubbliche, spazio utilizzato in estate come parcheggio per i clienti. Su impulso dell’associazione, il Comune si è impegnato a restaurare la targa che ricorda la presenza in quel luogo della Deledda, inaugurata il giorno di Ferragosto, e a predisporre la cartellonistica stradale per raggiungere la villa. Tra i primi passi anche il patto di amicizia stretto tra i Comuni di Cervia e di Nuoro,

città di nascita della scrittrice, frutto del lascito delle celebrazioni dei 150 anni della nascita avvenute nel 2021. “Nel mese di maggio abbiamo promosso la prima edizione del nostro festival che ha raccolto un successo notevole di pubblico. Tra i cittadini c’è ancora forte la consapevolezza di essere orgogliosamente la città scelta da un premio Nobel, una donna che ha intessuto una fitta rete di relazioni, ha scritto libri di ambientazione marina, descrivendo paesaggi, figure e personaggi incontrati ogni giorno, come pescatori e salinari. Un motivo orgoglio identitario. Per 15 anni

ci ha voluto bene. È sbagliato relegarla in un angolino, merita di più. Sappiamo che purtroppo non si studia a scuola. Mi ci sono voluti anni per capire l’intensità della grande scrittrice di Cenere, Canne al vento e La Madre.” Deledda scelse Cervia, lasciando Viareggio e prima la costa laziale, troppo mondane, per rigenerare la vena creativa anche per merito del solido legame con Marino Moretti; coltivò in seguito l’amicizia con l’educatrice Lina Sacchetti e con Isotta Gervasi, la dottoressa degli ultimi, scrivendo i romanzi della maturità, Il paese del vento e Il segreto dell’uomo solitario e Fuga

IN ALTO, MARISA OSTOLANI, FONDATRICE DELL’ASSOCIAZIONE, PRESSO VILLA CARAVELLA, DIMORA COMPRATA DALLA SCRITTRICE NEL 1928.

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CULTURA

DELEDDA SCELSE CERVIA PER RIGENERARE LA VENA CREATIVA ANCHE PER MERITO DEL SOLIDO LEGAME CON MARINO MORETTI; COLTIVÒ IN SEGUITO L’AMICIZIA CON L’EDUCATRICE LINA SACCHETTI E CON ISOTTA GERVASI, LA DOTTORESSA DEGLI ULTIMI.

IN QUESTA PAGINA, LE TARGHE CHE RICORDANO LA PRESENZA DI GRAZIA DELEDDA A VILLA CARAVELLA E A CERVIA.

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in Egitto dove compare la descrizione della stazione di Cervia. “La città ha un debito di riconoscenza verso la scrittrice, grazie a una ricchissima corrispondenza agli Elzeviri per il Corriere della Sera scritta da Cervia in estate, il nome della città rimbalzava in tutta Europa.” Nel 1928 ricevette la cittadinanza onoraria, una parte del lungomare a lei dedicato, come un monumento commemorativo realizzato dallo scultore Angelo Biancini nei pressi della Villa Caravella. Il 2023 si concluderà per l’associazione con la presentazione di un libro edito da Longo dal titolo Sguardo di Grazia Deledda su Cervia, curato dalle socie fondatrici con il contributo di Rossana Dedola, ricercatrice e curatrice di una biografia della scrittrice, e la sponsorizzazione del Circolo dei pescatori. Nel mese di luglio l’associazione con Ravenna Festival ha promosso lo spettacolo Con Grazia con Sandra Petrignani e Francesca Gatto. Per il 2024 si rinnoverà nel mese di maggio la manifestazione nel giardino di Villa Caravella, mentre si pensa al futuro. “Siamo grate alla famiglia Poggi che ha dato la piena collaborazione per valorizzare la villa e il giardino,” conclude Ostolani. “Il nostro auspicio è che il Comune apra un dialogo con la proprietà per trasferire il parcheggio in un’area vicina, in modo tale da togliere le auto anche durante la stagione estiva e recuperare il giardino come oasi verde e stazione culturale, anche in vista del progetto di pedonalizzazione del lungomare. L’interno completamente trasformato nel tempo, potrebbe ospitare mostre. Si potrebbe realizzare il Giardino di Grazia e un salotto letterario con presentazione di libri, conferenze.”


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DESIGN

ISPIRAZIONE MOSAICO

GLI ATELIER DI DUSCIANA BRAVURA SONO UN’ESPERIENZA SENSORIALE

DI ANNA DE LUTIIS

FOTO LIDIA BAGNARA

Dusciana Bravura, benché figlia d’arte, da sempre segue le proprie scelte senza farsi influenzare dal padre Marco, noto a livello internazionale. Nel suo nuovo atelier ravennate in via Mentana è circondata dalle sue creazioni. Un viso minuto e occhi molto vivaci, risponde quasi divertita alla prima domanda... Nella scelta iniziale di fare mosaico, non ha in qualche modo contribuito suo padre? “Assolutamente no. Scelsi la scuola di mosaico perché sentivo di avere un’attitudine creativa e perché era la più vicina a casa. Non posso dire di essere stata suggestionata da mio padre perché lui, a quei tempi, dipingeva. Cominciammo a fare mosaico insieme, nei miei vent’anni! Aveva fatto anche lui la scuola di mosaico ma aveva scelto la pittura con cui aveva sperimentato parecchie tecniche.” A Ravenna, lei ha cominciato eseguendo parecchie opere in mosaico.

FIGLIA D’ARTE, DOPO ESSERSI FORMATA ALLA SCUOLA DI MOSAICO, HA SCOPERTO LA PASSIONE PER LE STOFFE DOVE SIMULA LA TRIDIMENSIONALITÀ DEL MOSAICO. CREA INOLTRE GIOIELLI E ACCESSORI VARI, FRA CUI ANCHE LE SCARPETTE ‘FRIULANE’, RITORNATE DI MODA PROPRIO DI RECENTE.

“Sì, c’erano tante opportunità in città. Nei primi anni ho affiancato mio padre anche se eseguivo lavori diversi dai suoi: un periodo molto formativo. A 25 anni, mi sono sentita pronta per aprire un atelier tutto mio. Il primo è stato a Ravenna, il secondo a

Venezia. Per questo motivo sono sempre in movimento tra questi due punti di lavoro.” Per alcuni anni, ha seguito i suoi genitori in Russia, dove ancora oggi loro si recano per alcuni mesi ogni anno. Lì ha prodotto alcuni mosaici. Poi? “Avevo desiderio di creare cose diverse quindi ho abbandonato il mosaico per tornare all’idea che avevo fin dall’inizio: portare la brillantezza del mosaico nelle stoffe, una mia antica passione. Le cercavo e le osservavo nei vari musei in tutto il mondo e oggi sono contenta di quanto, con i tessuti, riesco a produrre.” Vari linguaggi, l’arte declinata in tante versioni diverse. Lei è riuscita a esprimere la creatività nei mosaici ma oggi ancor di più nella sua produzione che varia da splendidi oggetti ornamentali a quelli di abbigliamento... “Con l’avvento del digitale ho potuto dedicarmi ai tessuti facendo in modo di simulare su questi quella tridimensionalità 29


DESIGN

IN QUESTE PAGINE, DUSCIANA BRAVURA NEL SUO NUOVO ATELIER IN VIA MENTANA A RAVENNA.

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del mosaico con in più la morbidezza del tessuto. Il mio patrimonio musivo lo trasporto sui tessuti.” Guardando l’allestimento della vetrina si notano spille e orecchini che, comunque, conservano il ricordo del mosaico. “Sì. Negli oggetti mi piace aggiungere piccolissime tessere che completano la luminosità del materiale rigorosamente bagnato in oro 23 carati. Le sciarpe, i portamonete, le borse, invece, mettono in risalto la scelta dei colori assemblati a formare un insieme fatto di morbidezza. Sono colori che si abbinano facilmente ai capi di abbigliamento. Scelgo i materiali che uso a New York e a Murano. La base degli oggetti è assolutamente italiana e per la parte ornamentale uso piccoli Swarovski, cristalli, pietre semipreziose. Mi è rimasta anche la passione per gli animali, i volatili di diverse dimensioni e tutti molto colorati, ma anche per gli insetti che riproduco sulle stoffe. Tra un capo che ho riscoperto

c’è la scarpetta ‘friulana’, molto colorata e tornata di moda. Nascono circa nell’Ottocento nelle campagne friulane come ‘scarpa da festa’. Usate anche come scarpe da sposa del giorno delle nozze, le friulane erano inizialmente realizzate con materiali di scarto e riciclo e usate dai gondolieri.” Come si svolgono le sue giornate? “Ho una vita un po’ frenetica,

ogni settimana c’è un viaggio per lavoro; una volta amavo visitare varie aziende, le fiere, perché mi piaceva vedere cosa facevano gli altri artigiani. Oggi, l’avvento della globalizzazione mi ha resa un po’ triste. Nel tempo libero amo tantissimo la lettura: mi piacciono in particolare Aldo Carotenuto, psicoanalista, e James Hillman, psicoanalista, saggista e filosofo statunitense.”


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MUSICA

MANI PER LA MUSICA IL LIUTAIO MARCO MINNOZZI CREA STRUMENTI UNICI

DI SERENA ONOFRI

Viene da entrare in punta di piedi nello studio, ormai unico nel suo genere, del liutaio Marco Minnozzi, ravennate di adozione dall’età di 8 anni. Appare come un piccolo laboratorio di falegnameria: un banco di legno, strumenti di intaglio e resine per fare vernici. Qualche quadro e libro d’arte ma soprattutto violini, viole e violoncelli ancora da completare e rifinire. Domina il silenzio e la tranquillità. Arte, maestria e dedizione creano strumenti che verranno poi suonati in tutto il mondo. Nel raccontare come si diventa liutai si scopre che la prima scintilla, quella per la musica, è scoccata proprio in una scuola media di Ravenna, grazie alla professoressa Silvana Ballanti. Nessuno in famiglia, infatti, era particolarmente attratto dalla musica e quella scintilla ha acceso una passione che è via via cresciuta fino a diventare una scelta di vita. Nel tempo è poi cresciuto l’interesse per le arti in generale, la poesia, la letteratura, la pittura, la scultura, il teatro che, insieme a una istintiva capaci34

FOTO MASSIMO FIORENTINI

tà manuale, lo indirizzano verso la Scuola di Liuteria del Conservatorio di Parma, unica in Italia, frequentata da non più di 9 allievi provenienti da tutto il mondo e guidata dal maestro Renato Scrollavezza. Cosa le ha insegnato Scrollavezza? “A guardare e apprezzare le cose belle, dai quadri alle automobili. Tutto era giudicato insieme. Era una scuola ‘rinascimentale’ dove con il Maestro ogni cosa utile era approfondita: la fisica, la chimica e il disegno. Tutto serviva a formare sia la capacità tecnica che la sensibilità artistica. Dopo il Conservatorio ho studiato con maestri straordinari come Giancarlo Guicciardi e Giampaolo Savini che mi hanno fatto conoscere la liuteria del loro maestro Ansaldo Poggi, il più grande liutaio del Novecento. Ho studiato anche restauro negli Stati Uniti.” Come hai cominciato questa professione? “Ho iniziato a costruire strumenti nel 1982. I miei primi clienti venivano dal Giappone e da allora collaboro stabilmente con musicisti,


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NEL 2009, INSIEME ALL’ARTIGIANO ZAMPIGA, IL LIUTAIO MINNOZZI HA RICOSTRUITO LA CLAVIVIOLA, CONSIDERATO UN ‘PROGETTO UNICO E SENZA UGUALI’ DI LEONARDO DA VINCI, POI ESPOSTO A NEW YORK.

IN QUESTE PAGINE, IL LIUTAIO MARCO MINNOZZI NEL LABORATORIO IN CUI CREA STRUMENTI MUSICALI CHE VENGONO SUONATI IN TUTTO IL MONDO.

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collezionisti e gallerie di ogni parte del mondo. Fra i miei clienti più importanti, ci tengo a citare innanzitutto proprio due ravennati che suonano regolarmente i miei violini: Enrico Onofri e Alessandro Tampieri, entrambi solisti di fama internazionale. Ma ciò che più mi rende orgoglioso è la gioia di tanti musicisti, magari sconosciuti, che suonano con soddisfazione i miei strumenti e la cui vita è stata cambiata grazie ad essi.” Come si realizza uno strumento? “Posso consegnare uno strumento dopo non meno di un anno. È un lavoro paziente che parte dalla sensibilità dei musicisti. Ognuno di questi cerca il ‘proprio suono’ per poter raccontare sé stessi. Solo dopo si passa alla scelta del legno e alle scelte tecniche di realizzazione. Utilizzo legni che provengono dalle nostre valli dolomitiche come l’abete della Val di Fiemme, ma anche aceri delle foreste della Bosnia, dove mi reco personalmente a scegliere i pezzi uno per uno, per poi usarli dopo una stagionatura di circa 20 anni.” Come prende ispirazione? “L’ispirazione è innanzitutto un modo di guardare. Per questo amo la lettura delle biografie dei grandi artisti siano essi pittori o scultori. In questo periodo sto leggendo un libro intervista di Frank Gehry (Ndr, architetto che ha disegnato la Walt Disney Concert Hall di Los Angeles e il Guggenheim Museum di Bilbao). Sono particolarmente attratto dalla pittura americana degli anni

Cinquanta che ha tra i maggiori esponenti Jackson Pollock e Mark Rothko. L’arte non è solo un’espressione della propria capacità ma serve per ‘raccontare’ sentimenti ed emozioni attraverso ciò che si fa. Per questi grandi artisti il lavoro è un ‘evento’, è qualcosa che succede. Il mio approccio alla liuteria è il medesimo. Ovviamente quando comincio un lavoro parto da tutto ciò che ho imparato ma poi finisco per seguire ciò che sta nascendo dalle mie mani. E quando termino uno strumento mi sorprendo sempre.” Cosa prova al momento della consegna di uno strumento? “Sempre una grande emozione perché è come realizzare un vestito su misura. Personalizzare il suono per ogni musicista è qualcosa di affascinante.” Passioni parallele? “Ho un grande interesse per i manoscritti di Leonardo da Vinci e ho partecipato alla ricostruzione, per la prima volta, di uno strumento musicale di Leonardo chiamato Clavi-Viola che è stato presentato in prima mondiale a Times Square a New York e successivamente al Castello Sforzesco a Milano. Un lavoro molto complesso che ho realizzato con Pino Zampiga, anch’egli ravennate.” Cosa consiglia a un giovane aspirante liutaio? “Di seguire il fascino dei grandi maestri. Dove sono loro c’è bellezza. Da questi non si impara solo ‘il mestiere’ ma anche a vivere.”



FUMETTI

NON SOLO MANGA KAZUMA, UN ANGOLO DI GIAPPONE CON COMICS, GAMES & FUN-FOOD

DI ALESSANDRA ALBARELLO

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Nelle vetrine delle librerie campeggia ancora l’iconico 300 di Frank Miller, quest’anno ospite d’onore a Lucca Comics. Uno dei massimi fumettisti del mondo diventa così il simbolo di un fenomeno sociale e culturale trasversale che sta sempre più coinvolgendo intere generazioni e molteplici generi di persone, e non più solo quelli che un tempo venivano chiamati Nerd. Ne sa qualcosa Federico Cortesi, socio fondatore di Kazuma, negozio di ‘Comics, Games & Fun-Food’ approdato nel 2021 a Ravenna, dopo la prima apertura a Cesena nel 2018. Anche lui a 15 anni frequentava le fumetterie e veniva spesso preso in giro dai compagni di scuola. Ma allora tutto era diverso e le fumetterie erano semplicemente angoli riadattati di librerie. Dopo essere stato designer e insegnante, con Kazuma ora Federico si sta prendendo la sua rivincita, affiancato nella sede di Ravenna da un’altra socia, Valentina Campoli, e

PER IL SOCIO FONDATORE, FEDERICO CORTESI, “KAZUMA NON VUOLE ESSERE SOLO UN NEGOZIO MA UN PUNTO DI AGGREGAZIONE E RIFERIMENTO PER TUTTA LA CULTURA CHE RUOTA ATTORNO AL FUMETTO E AI VARI GIOCHI DA TAVOLO. E LA CULTURA È SOPRATTUTTO QUELLA GIAPPONESE.”

da Matteo Puletti (dipendente). Lui e i suoi soci ci avevano infatti visto lontano in quel lungo viaggio in Giappone, durante il quale avevano cercato di decifrare gli stilemi dell’affascinante e misterioso mondo orientale.

Kazuma è uno spazio di quasi 400 mq che racchiude l’intera essenza dell’universo dei fumetti e dei giochi, inoltrandosi però in altri linguaggi e atmosfere per rendere questo luogo ancora più inclusivo e aggregante. Si passa quindi dai manga ai fumetti americani e italiani, dai giochi di ruolo alle light novel e agli artbook, fino ai manuali per imparare a disegnare e ai set per costruire model kit… E poi tutta una sezione è dedicata ai gadget, ai Funko Pop, alle Art Figures, ma anche ai videogiochi e al cibo importato da Giappone, Cina, Corea e America. Una full immersion esperienziale in mondi paralleli, un viaggio virtuale e reale in altri stili di vita. “Abbiamo scelto lo spazio più grande disponibile in centro a Ravenna per dare maggiore risalto ai prodotti e creare un’ampia zona dove i nostri clienti potessero incontrarsi e giocare,” rivela Federico Cortesi e prosegue: “Kazuma non vuole infatti essere 39


IN QUESTE PAGINE, IL NEGOZIO KAZUMA DI COMIC, GAMES & FUN-FOOD APPRODATO NEL 2021 A RAVENNA. IN ALTO, LA FESTA DI COMPLEANNO DI KAZUMA, SVOLTASI A NOVEMBRE 2023.

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solo un negozio ma un punto di aggregazione e riferimento per tutta la cultura che ruota attorno al fumetto e ai vari giochi da tavolo.” E la cultura è soprattutto quella giapponese, un immaginario lontano, complesso e veloce che attrae bambini, ragazzi e adulti senza limiti di età spingendoli ad approfondire la loro conoscenza grazie anche alle molteplici attività promosse da Kazuma. Come i corsi di lingua giapponese o di disegno, tenuti da Guglielmo Signora, editor di Star Comics e illustratore di Lupin, ma anche presentazioni di libri come quello di cucina e cibo giapponesi ispirato ai film di Hayao Miyazaki, o quello sul sakè con annessa degustazione, intrecciando anche un legame con la città e il territorio. Durante i weekend si organizzano tornei di carte e ogni giovedì il negozio apre anche la sera alle 21. Ma l’evento clou è la festa di compleanno di Kazuma che quest’anno si è svolta il 19 novembre e che nel corso del tempo ha visto un’affluenza così straordinaria (sempre a ingresso libero) da spingere gli organizzatori a scegliere come location due padiglioni della fiera di Forlì. Tra gli ospiti anche Giorgio Vanni, interprete delle canzoni di Dragon Ball e di altre famose sigle di film di animazione. Non

c’è quindi alcun dubbio che stiamo parlando di una realtà culturale emergente, di cui anche gli insegnanti stanno prendendo atto, integrandola nel percorso formativo. “L’anno scorso un insegnante ha dato infatti come compito delle vacanze ai suoi allievi la lettura di un fumetto consigliato da me, mentre il liceo artistico di Ravenna tiene spesso da Kazuma lezioni di manga ai suoi studenti,” racconta Federico. A questo punto le contaminazioni tra oriente e occidente sono ormai inevitabili, tanto che perfino la Divina Commedia è stata ‘tradotta’ in manga.

“Un altro esempio emblematico è quello di Gou Tanabe, che ha trasposto in manga i racconti dello scrittore e poeta inglese Lovecraft, apparentemente così lontani dalla cultura giapponese,” aggiunge il titolare del negozio. In un pomeriggio qualunque i ragazzi cominciano ad arrivare, entrano liberamente, salutano dando il cinque, si siedono ai tavoli, sicuri che tra poco condivideranno il loro immaginario con altre persone con i loro stessi interessi e passioni, con la loro stessa voglia di fare nuove amicizie, di creare community, in un ambiente in cui si sentono compresi e a proprio agio.


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GUSTO

IL MIGLIOR MILLEFIORI

IL MIELE PLURIPREMIATO DELL’APICOLTORE MATTEO FARINELLI DI BRISIGHELLA

DI ROBERTA BEZZI

Il miglior millefiori italiano? È il Granfavo dell’apicoltore Matteo Farinelli di Brisighella, in Romagna, secondo il concorso nazionale promosso da Generazione Honey e realizzato da Agri Rete Service. Per la prima volta sono stati premiati i mieli millefiori prodotti da apicoltori che allevano solo api italiane, con l’obiettivo di rivalutare un prodotto che, meglio di qualsiasi altro, è in grado di raccontare la specificità dei diversi territori di produzione. “Sono molto orgoglioso del premio,” afferma Farinelli. “I millefiori hanno delle straordinarie specificità che, troppo spesso, vengono sottovalutate in favore dei più noti mieli monofloreali. In Italia abbiamo un consumo opposto a quello del Nord Europa, con una prevalenza dei mieli chiari, tipo acacia, rispetto a quelli scuri, i millefiori appunto. In più, almeno per ora, non abbiamo un’etichettature stringente sul millefiori, in grado di dare ai consumatori le giuste informazioni. Ma è arrivato il momento di cambiare direzione.” Secondo Farinelli la preferenza dei mieli monofloreali in Italia è legata al loro aspetto liquido e, quindi, alla minore propensione alla cristallizzazio-

ne. Eppure quest’ultimo è un processo che ne testimonia la qualità, la minor presenza di acqua e fruttosio. “La gente vuole il miele liquido per una questione di comodità, per metterlo nelle bevande,” spiega. “Questa è la vera ragione per cui il millefiori è di nicchia. C’è poi un altro luogo comune da abbattere:

quello secondo cui il millefiori sia un miele tutto uguale, mentre al contrario può avere diversi colori e aromi perché dentro ha tanti pollini diversi a seconda che sia fatto in collina oppure in pianura.” Dopo la laurea in Scienze e tecnologie forestali e ambientali all’università di Bologna e un 45


GUSTO

COME SI PUÒ DIFENDERE IL CONSUMATORE? ACQUISTANDO DA PRODUTTORI LOCALI. “NOI APICOLTORI CI METTIAMO LA FACCIA E SE SI HA UN PROBLEMA, SI SA DOVE ANDARE. SIAMO GARANZIA DI QUALITÀ.”

IN APERTURA, L’APICOLTORE MATTEO FARINELLI, VINCITORE DEL PREMIO PER IL MIGLIOR MIELE MILLEFIORI ITALIANO. IN QUESTA PAGINE, LE API DELLA SOCIETÀ AGRICOLA GRANFAVO DI CUI FARINELLI È TITOLARE.

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periodo di formazione nel settore, Farinelli ha aperto la società agricola Granfavo nel 2013, insieme al compagno di studi e socio Stefano Malagotti. Hanno iniziato con circa cento alveari, approfittando anche di un contributo per giovani interessati a progetti legati all’agricoltura. Nel tempo l’attività è cresciuta sino ad arrivare agli attuali 300 alveari che, forse, avrebbero potuto anche essere il doppio se Malagotti non fosse deceduto all’improvviso a soli 35 anni nel 2020, a causa di un incidente. Insieme hanno fatto in tempo però a vincere nel 2015, con il loro miele, il premio ‘Due gocce’ del prestigioso concorso Grandi

Mieli d’Italia. “A causa del cambiamento climatico,” racconta Farinelli, “già a partire dal 2018, la produzione del miele è calata del 70%, con evidenti difficoltà a soddisfare il fabbisogno nazionale. Le frequenti gelate primaverili infatti impediscono la seconda fioritura dell’acacia, del tiglio e di altre piante. Un altro problema è stato poi l’arrivo sul mercato europeo di miele dalla Cina a 1,50 euro al chilo all’ingrosso, che nulla ha a che vedere con il nostro miele in quanto altro non è che una sofisticazione frutto di allevamenti forzati degli alveari. Una concorrenza sleale.” Per questo c’è molta attesa per il voto della Commissione europea

di una legge, su invito di Miele in Cooperativa, che obbliga a scrivere la provenienza del miele e le percentuali. Non è possibile infatti, secondo i promotori, che un miele estero al 90% ma miscelato in Italia possa ‘passare’ come italiano. Come si può difendere il consumatore? Acquistando da produttori locali che sono obbligati a fare analisi in laboratorio sui lotti di miele in vendita. “Noi apicoltori ci mettiamo la faccia e se si ha un problema, si sa dove andare. Siamo garanzia di qualità,” commenta Farinelli. Uno sguardo ai prezzi. Il miele di acacia è il più ricercato e anche il più costoso, 1820 euro al chilo, gli altri intorno ai 15 euro al chilo. “A livello personale,” conclude Farinelli, “adoro il miele di castagno con il suo retrogusto amaro che pulisce la bocca. Ma ogni persona ha il suo gusto particolare. In base al coltivato nelle nostre zone, e per evitare lo spostamento che rappresenta sempre un costo, ci sono i mieli di tiglio, medica, rovo, girasole e coriandolo, oltre ovviamente al millefiori.”



STORIA

RAVENNA IMPERIALE IL CICLO MILLENARIO DEL PASSAGGIO DI IMPERATORI E SOVRANI NELLA CITTÀ

DI ANDREA CASADIO

Dame, cavalieri, vessilli multicolori, armature scintillanti. E poi banchetti, cortei, musici e saltimbanchi. In mancanza di resoconti precisi che ci descrivano il passaggio di Federico III d’Asburgo a Ravenna nel 1469, è necessario uno sforzo di fantasia per immaginare come si dovette presentare la città nei giorni in cui, per l’ultima volta, un imperatore fece sosta dentro le sue mura. Ma quale fu il motivo che indusse il sovrano del Sacro Romano Impero a portare la sua corte in quella che era allora una modesta città di provincia della Repubblica di Venezia? La risposta è difficilmente comprensibile per la nostra mentalità moderna, ma perfettamente naturale per quella di un mondo in cui la potenza dei simboli e i tempi lunghi della tradizione erano almeno altrettanto importanti della realtà materiale del momento. La visita di Federico in quel 1469 era infatti l’ultima tappa 48

LA GRANDE CONSACRAZIONE DELLA RAVENNA IMPERIALE AVVENNE NEL SECOLO DEL, SACRO ROMANO IMPERO ‘GERMANICO’ RICOSTITUITO NEL 962 SOTTO LA DINASTIA TEDESCA DEGLI OTTONI, CHE VI RISIEDETTERO PIÙ VOLTE.

di un percorso iniziato mille anni prima, e cioè il giorno in cui Onorio, nel 402 d.C., aveva preso la decisione di fare di Ravenna la capitale dell’impero romano d’Occidente. Un impero in decadenza, certo, e che proprio qui trovò la sua fine settantaquattro anni dopo. Tuttavia, da quei decenni Raven-

na ereditò un rango che non l’abbandonò per molti secoli, e che anzi riemerse ogni volta che l’istituzione imperiale tornò a comparire nel proscenio della storia europea. Non a caso Carlo Magno, che di quell’istituzione fu il rifondatore in veste cristiana, passò di qui per tre volte, anche se con esiti infausti per il patrimonio monumentale della città, depredato di marmi e opere d’arte. Nei decenni successivi Ravenna fu teatro di eventi la cui memoria è oggi confinata allo studio degli storici, ma che pure dicono molto del suo prestigio nell’Europa dell’epoca: concili che videro la presenza simultanea di pontefici e sovrani carolingi, e perfino l’incoronazione di un imperatore, Lamberto di Spoleto, da parte di papa Formoso nell’892. La grande consacrazione della Ravenna imperiale avvenne però nel secolo seguente, quello del Sacro Romano Impero ‘germanico’ ricostituito nel


IN ALTO, SANT’APPOLLINARE NUOVO DI EPOCA TEODORICIANA.

962 sotto la dinastia tedesca degli Ottoni. I tre sovrani che portarono questo nome fecero della città la loro base privilegiata in Italia, risiedendovi più volte, organizzandovi concili, costruendovi anche un nuovo palazzo, oggi purtroppo completamente scomparso, nella zona dell’attuale via dei Poggi. Ottone III, l’ultimo del casato, nominò il proprio precettore Gerberto d’Aurillac arcivescovo (e poi Papa col nome di Silvestro II), e collaborò con il ra-

vennate San Romualdo nel suo ambizioso progetto di radicale rinnovamento politico e religioso dell’Europa. Anche se destinata a finire presto, con la morte di Ottone appena ventiduenne nel 1002, quella stagione lasciò a Ravenna un’eredità duratura. Per tutto il secolo seguente, infatti, la città restò una delle basi principali del potere degli imperatori germanici in Italia, condizione che si manifestò principalmente in due modi: da una parte, il pe-

riodico passaggio della corte nel palazzo ravennate; dall’altra, la nomina di arcivescovi fedeli al sovrano, spesso tedeschi, sulla cattedra di Sant’Apollinare. Fra di loro, il più importante fu quel Guiberto da Parma che nel 1081 fu nominato ‘antipapa’ da Enrico IV con il nome di Clemente III, nel contesto della ‘lotta per le investiture’ che in quei decenni contrapponeva l’impero e il papato di Roma. Anche quando, nel secolo seguente, la dinastia degli Svevi si trovò ad affrontare la nuova sfida dei comuni dell’Italia settentrionale, alleati del Papa nello schieramento guelfo, Ravenna mantenne a lungo la sua tradizionale fedeltà. Nel 1158 un contingente di cavalieri ravennati partecipò all’assedio di Milano al fianco di Federico Barbarossa, che a sua volta nel 1177 passò in città ospitato dalla famiglia Traversari. Il nipote Federico II, il grande sovrano che riprese il progetto dell’unione fra Italia 49


STORIA

DIVERSI FURONO GLI IMPERATORI CHE PASSARONO PER RAVENNA: DAI ROMANI AI TEDESCHI, DAGLI OTTONI A BARBAROSSA, FINO ALL’ULTIMO PASSAGGIO DELL’IMPERATORE FEDERICO III D’ASBURGO NEL 1469I.

A LATO, UNA RAFFIGURAZIONE DELL’IMPERATORE OTTONE III ALL’INTERNO DELL’EVANGELIARIO DI OTTONE III.

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e Germania, fu a Ravenna una prima volta nel 1226 e poi per diversi mesi nel 1231-32, quando vi convocò un’assemblea dei principi e delle città dell’impero (peraltro destinata al fallimento) con il fine di riaffermare la propria autorità. Per questi motivi fu davvero clamoroso, e interpretato dal sovrano come un tradimento imperdonabile, il voltafaccia con cui nel 1239 i Traversari portarono Ravenna nello schieramento nemico. La risposta fu implacabile: risalito dalla Puglia alla testa del suo esercito, Federico riconquistò la città dopo pochi giorni d’assedio, condannando i colpevoli all’esilio. Fu però una riscossa effimera, perché dopo la sua morte, nel 1250, i guelfi ripresero il sopravvento per non lasciarlo più. D’altra parte, a quel punto Ravenna, in procinto di cadere sotto la signoria dei Polentani, era ormai una normale città dell’Italia comunale, e anzi in progressiva decadenza. Eppure l’eco del passato continuava a riverberarsi nella memoria di un mondo che, come abbiamo detto, al carisma conferito dalla storia attribuiva grande significato. Solo in questo modo sembra spiegarsi, dopo una lunga pausa, il nuovo passaggio di un imperatore, quello di Sigismondo di Lussemburgo nel 1431. A due secoli esatti dall’ultima presenza ‘pacifica’ di Federico II, il titolare del trono più alto riprendeva un filo che evidentemente non

si era interrotto nelle menti di quegli uomini dell’autunno del Medioevo’. E così torniamo al punto da cui siamo partiti. Qualche decennio dopo, Federico III passò ‘con gran pompa’ da Ravenna nel 1468 e nel 1469, rispettivamente all’andata e al ritorno da Roma. In entrambi i casi si recò a rendere omaggio alla Madonna di Porto Fuori, una meta di pellegrinaggio allora assai celebre. In città alloggiò

nel palazzo comunale, in una stanza che da allora, per molto tempo, fu chiamata ‘la camera dell’imperatore’, e conferì il titolo di conte e cavaliere a molti nobili della città. Ma questa volta era davvero l’ultima. Quando il corteo del sovrano uscì dalle mura e anche l’ultimo vessillo scomparve all’orizzonte, il ciclo millenario della storia della Ravenna ‘imperiale’ si chiuse per sempre.



ADVERTORIAL

BOUTIQUE GAUDENZI SPAZIO ALLO CHARME E ALLA MODA

CON L’INAUGURAZIONE DEL NUOVO NEGOZIO, LA STORICA GALLERIA FABBRI SI È TRASFORMATA NEL NUOVO POLO DELLA MODA.

La storica galleria Fabbri di via Diaz 16 a Ravenna si è trasformata nel nuovo polo del lusso della moda, con l’apertura della Boutique Gaudenzi nel settembre 2021. A disposizione del pubblico oltre mille metri quadrati, con un’ampia selezione di capi di abbigliamento, accessori e calzature di griffe iconiche e brand emergenti, per uomo e donna. Uno spazio importante è dedicato anche al settore ‘Home’ con un focus di ricerca su componenti di arredo e oggettistica di design. Si tratta della sesta boutique in Romagna dopo la prima apertura nel 1976, due spazi a Cattolica e tre a Riccione, oltre all’online store www.gaudenziboutique. com. “La scelta di aprire a Ravenna,” spiega Francesca Meletti,

figlia dei fondatori Attilio Meletti e Giovanna Gaudenzi, “è legata anzitutto al fatto che la città è bellissima, con un bel potenziale visto che è la capitale economica e culturale della Romagna. Abbiamo subito compreso che mancava sul territorio una realtà in grado di offrire alla clientela il nostro tipo di prodotto, ci siamo focalizzati sulla ricerca di uno spazio ‘importante’, in linea con la città. Con la Galleria Fabbri è stato un colpo di fulmine e ci siamo subito impegnati in un progetto di recupero che ne valorizzasse le caratteristiche, come le arcate e gli originali pilastri in ghisa, la balconata del piano superiore, valorizzando uno spazio meraviglioso per proiettarlo nel futuro.” L’attività di Gaudenzi si è gradualmente ampliata sino ad arrivare

alla realtà attuale che conta circa sessanta dipendenti, al 90% donne, motivo per cui l’azienda ha di recente ottenuto un importante bando al femminile. Crescendo e solidificando il business, mantenendo sempre una gestione familiare che prevede una precisa ripartizione dei ruoli: Giovanna si occupa principalmente del buying, Attilio dell’amministrazione, Francesca dell’online, della logistica, dei processi di magazzino, e suo marito Giuseppe Di Giovanni della parte commerciale. “A più di un anno di distanza,” aggiunge Francesca Meletti, “siamo molto soddisfatti del nuovo grande spazio. Ravenna è una città piena di risorse e di arte, è più riservata rispetto alla realtà spumeggiante della Riviera, ma regala piacevoli sorprese. L’acco-


CON TENACIA E PASSIONE, FEDERICA MELETTI PORTA AVANTI L’ATTIVITÀ INIZIATA NEL 1976 DAI GENITORI ATTILIO E GIOVANNA GAUDENZI PRIMA A CATTOLICA E POI A RICCIONE. NEL COMPLESSO SEI BOUTIQUE IN CUI TROVARE UN MIX DI GRIFFE ICONICHE E BRAND EMERGENTI.

glienza dei nostri nuovi clienti è stata ottima e il turismo risponde con crescente interesse. Siamo molto soddisfatti.” Nell’ottica di meglio integrarsi con il tessuto sociale della città, grazie agli ampi e luminosi spazi della galleria, Boutique Gaudenzi organizza eventi e mostre, come già capitato con l’esposizione di successo dedicata a Andy Warhol – con le opere di Rosini Gutman Collections e i trunk show in collaborazione con i brand del lusso. Inevitabile chiedersi com’è stato per Francesca entrare nel mondo della moda. “Potrei dire di essere nata in boutique,” ricorda, “perciò farne parte è stato un percorso del tutto naturale. Sin da ragazzina ho aiutato i miei genitori, poi ai tempi dell’università, quando studiavo Economia aziendale, mi sono occupata del buying. Successivamente dopo la laurea ho fatto delle esperienze formative all’estero, in particolare a New York, per accrescere il mio bagaglio sapendo di voler essere pronta per occuparmi totalmente dell’azienda.” L’immaginazione, la creatività e la rapidità che caratterizzano le dinamiche del settore moda, la affascinano da sempre. Il fatto che ogni sei mesi tutto cambi e si rinnovi senza mai fermarsi, è

per lei è un irrinunciabile stimolo. Qual è, da quasi 50 anni a questa parte, la caratteristica principale dell’offerta di Boutique Gaudenzi? “Non focalizzarsi solo su pochi brand di lusso ma proporre un mix fresco e funzionale,” afferma. “Ciò che più ci sta a cuore è fare stare bene le persone. Per noi l’importante è farle sentire belle, felici e a proprio agio. Un risultato che si raggiunge accostando a marchi blasonati anche piccoli brand da tutto il mondo con il giusto rapporto qualità-prezzoimmagine. Svolgiamo un attento lavoro di ricerca che porta a inserire nella nostra offerta una selezione di brand emergenti ogni stagione per dare nuovi spunti ai clienti.” Le tendenze dell’inverno? Sicuramente il mocassino con una para più alta, i pantaloni a gamba larga, le gonne non solo corte ma anche lunghe, le borse a secchiello o l’intramontabile shopping bag. “Personalmente,” conclude Francesca, “credo che una bella giacca e una camicia non debbano mai mancare nel guardaroba di una donna, così come un caldo cappotto, una borsa grande e capiente per il giorno o una pochette per la sera. Ogni occasione ha il suo look e noi donne amiamo farci trovare pronte!”

www.gaudenziboutique.com


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ARTE

SCULTURA EPICA

IL CERAMISTA FAENTINO CARLO ZOLI TRA ‘QUIETE’ E ‘TEMPESTA’

DI ALDO SAVINI

FOTO LIDIA BAGNARA

A conclusione della XIV edizione della Florence Biennale, mostra internazionale di Arte e Design, tenuta alla Fortezza da Basso dal 14 al 22 ottobre scorso, la giuria internazionale ha assegnato il Primo Premio ‘Lorenzo il Magnifico’ per la sezione Ceramica all’artista faentino Carlo Zoli per l’opera I sacri fratelli, terracotta policroma, patinata con velature bronzee e rifinita a foglia d’oro. Zoli appartiene a una famiglia di ceramisti: il bisnonno, di cui riprende il nome come usava in Romagna, lavorava in borgo Dulbecco e il nonno Paolo, lasciata la fabbrica Minardi, si mise in proprio nel 1919 insieme ad altri ceramisti faentini. Carlo invece nasce a Bari nel 1959, nel periodo in cui il padre Francesco insegnava decorazione artistica a Molfetta, ma già a otto anni torna con la famiglia a Faenza e, pertanto, si considera a tutti gli effetti romagnolo. Riconoscendo le sue capacità nel modellare l’argilla fin da ragazzo, il padre gli trasmette la passione per l’arte anche senza fargli vedere il lavoro che faceva come scultore. Infatti, impedendogli di andare in studio, lo spinge a frequentare l’Istituto d’Arte per la Ceramica 55


ARTE

SI CONSIDERA UN MODELLATORE CHE PLASMA LA MATERIA. AMA L’ARGILLA, MA ANCHE METALLI, RESINE E GESSO. IL CAVALLO È STATO IL SUO PRIMO AMORE E NON LO HA MAI ABBANDONATO, TANTO DA ESSERE RICONOSCIUTO COME L’ARTISTA DEI CAVALLI.

IN QUESTE PAGINE, L’ARTISTA FAENTINO CARLO ZOLI POSA INSIEME ALLA SUA OPERA, I SACRI FRATELLI.

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e successivamente ad avviare una propria attività. In quegli anni giovanili Carlo guarda ai grandi scultori del Novecento, Henry Moore, Arturo Martini e Marino Marini per la vitalità, tra ‘quiete e tempesta’, che esprimono i loro lavori. Pur venendo spesso definito scultore ceramista, si considera un modellatore che plasma la materia levando e aggiungendo. Ama l’argilla, un materiale molto duttile, caldo e morbido che ha una sua dolcezza, mentre lo scolpire è solo togliere e comporta un rumore che non sopporta. Nell’atto del modellare entra la mente ma anche il corpo e le mani che riescono a creare la forma seguendo il pensiero; accetta l’imperfezione, la scivolata, un movimento incerto e non previsto, per questo nella sua poetica entra anche il caso e l’improvvisazione ed è quindi lontano dalla ceramica tradizionale che nasce

come oggetto per il consumo – piatti, stoviglie e vasellame – e che richiede la levigatura collegata alla tornitura e poi lo smalto. Oltre all’argilla fermata nella terracotta, in tempi recenti Zoli usa altri materiali, metalli, resine e gesso. Le sue sculture si sviluppano verso l’alto, in verticale, raramente in orizzontale, in equilibri apparentemente precari ma che mantengono una straordinaria stabilità. Una volta cotta, la scultura di color biscotto viene immersa in una sostanza scura che asciugandosi si presta per esser trattata con caolini colorati, bronzo di campana, oro pallido, perché assuma l’aspetto del bronzo. Esteticamente non si allontana dalla figurazione, rimanendo molto legato alla mitologia greca e al mondo omerico dell’Odissea, un mondo passato eppure attuale. Il cavallo è stato il suo primo amore e non lo ha mai abbandonato, tanto da

essere riconosciuto come l’artista dei cavalli. Il cavallo evoca imprese, lotte, sfide da affrontare nel vivere quotidiano: è il simbolo dell’energia che si sprigiona dentro di noi. Il cavallo è un animale nobile che dà tutto se stesso per l’uomo e per lo sviluppo della civiltà, è forza, vigore ed eleganza. Poi, oltre al mito, nella sua produzione è entrata la figura del guerriero vigoroso e atletico, che combatte l’ingiustizia, simbolo dell’aspirazione alla libertà. Ottavio Borghi, in occasione di una mostra a Gmunden, città austriaca della ceramica gemellata con Faenza, scrive: “La sua scultura è lo specchio dell’eterno contrasto fra il plasticismo mimetico, il culto romantico dell’immagine, la tendenza modernizzante alla sintesi e a un’ardita e complessa elaborazione che possa conferire slancio e senso del divenire alle figure.”


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SPORT

LA FORZA DELLA SPADA LA CRESCITA DEL CIRCOLO RAVENNATE CON 80 ATLETI E UNO STAFF DI QUALITÀ

DI MASSIMO MONTANARI

C’è un momento importante anche quest’anno nella stagione sportiva del Circolo Ravennate della Spada: l’organizzazione della tappa nazionale del Kinder Joy of Moving Under 14. Un evento che l’anno scorso ha portato al Pala De André 1.262 tra spadisti e spadiste. Numeri che sono già stati superati quest’anno nell’appuntamento dal 15 al 17 dicembre, con quasi 1.500 atleti, e che certificano la solidità organizzativa del circolo di via Falconieri che in Italia però è conosciuto anche per la bontà della sua scuola di spada. “Oggi abbiamo quasi un’ottantina di atleti,” spiega Alessandro Mucciarella, vicepresidente e direttore tecnico del Circolo, “e tre tecnici federali di prim’ordine Pavlo Putyatin, Michela Mancinelli e Devis Brunello, che tutti ci invidiano. L’attuale gruppo dirigente, di cui faccio parte, ha rilevato la gestione del club e della palestra da alcuni anni, durante il periodo del Co58

“REALISTICAMENTE POSSIAMO SOGNARE DI AVERE UN RAVENNATE ALLE OLIMPIADI NEL 2028 O NEL 2032,” AFFERMA ALESSANDRO MUCCIARELLA, “È UNO DEI NOSTRI OBIETTIVI FORTI A LIVELLO GIOVANILE. IL VERO SALTO DI QUALITÀ AVVERRÀ QUANDO RIUSCIREMO A PORTARE NOSTRI ATLETI FINO ALLA NAZIONALE MAGGIORE.”

vid, e in poco tempo è riuscita a incrementare il numero degli spadisti passando da 50 a 80. Abbiamo voluto dare una svolta soprattutto dal punto di vista

FOTO MASSIMO FIORENTINI

tecnico cercando di elevare la qualità sia dello staff di istruttori che degli atleti, con ricadute positive sul versante dei tesseramenti e su quello dei risultati.” Il gruppo si completa con due aiuti tecnici, che seguono le categorie delle fasce più basse d’età, Lucia Mazzini e Giacomo Lontani, con due preparatori atletici Guido Mazzini e Matteo Minardi, uno dedicato alla psicomotricità e l’altro alle performance agonistiche, e dall’anno scorso con una mental coach Simonetta Polastri, “una figura abbastanza inusuale per la scherma,” sottolinea Mucciarella. Sul versante agonistico, l’annata sportiva è iniziata al meglio: nei tre campionati regionali disputati, Assoluti, Under 20 e Under 14, quest’ultima categoria a livello interregionale, sono arrivati “un primo posto con Maria Sole Romanini nell’Under 14, attuale campionessa italiana di categoria, due argenti e due bronzi nell’Under 20.”


IN QUESTE PAGINE, I GIOVANI ATLETI SI ALLENANO PRESSO IL CIRCOLO RAVENNATE DELLA SPADA.

Nomi nuovi che si affacciano nel panorama della scherma italiana e che si affiancano agli atleti che sono già nel giro della nazionale maggiore, come Francesco Delfino, le gemelle Anna e Alice Casamenti e Elena Antonucci, “che quest’anno hanno come obiettivo la partecipazione agli Europei e ai Mondiali.” A loro poi si aggiunge un gruppo di una decina di schermidori “che possono arrivare alle finali dei campionati nazionali Gold cadetti e Giovani che si svol-

geranno dal 10 al 13 maggio a Riccione, stessa località dove si disputerà, dall’1 all’8 maggio, la finale del Gran premio Giovanissimi (Ndr, intitolato a Renzo Nostini, pluricampione del mondo e dirigente sportivo morto nel 2005) e dove la nostra Maria Sole ha conquistato il titolo italiano.” Sui numeri incidono anche due fattori non trascurabili: il traino esercitato dalla scherma, lo sport italiano più medagliato, e la promozione costante svolta

dal Circolo Ravennate. “Abbiamo spinto molto su quest’ultimo aspetto in questi anni,” conferma Mucciarella, “sia con l’organizzazione di eventi sia partecipando a manifestazioni come Sport in Darsena sia entrando nei Cre. L’anno scorso ne abbiamo organizzato uno interno, nel 2024 ci ripromettiamo di riproporlo.” Quanto invece alla spinta che arriva dal vertice del movimento, Mucciarella non ha dubbi. “Questo aiuta parecchio. Gli anni olimpici portano 59


SPORT

nuova linfa, ma quest’anno anche i Mondiali a Milano hanno dato notevole visibilità al nostro sport. Il lavoro che si fa al vertice è rilevante ma è importante che anche la base, a livello di società territoriali, assecondi questa spinta.” Parigi 2024 è l’evento clou di questa annata sportiva

IN ALTO, ANGELO MARRI, PRESIDENTE DEL CIRCOLO, E ALESSANDRO MUCCIARELLA, VICEPRESIDENTE E DIRETTORE TECNICO.

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“ma realisticamente possiamo sognare di avere un ravennate alle Olimpiadi nel 2028 o nel 2032: è uno dei nostri obiettivi forti a livello giovanile. Il vero salto di qualità avverrà quando riusciremo a portare nostri atleti fino alla nazionale maggiore. Ora siamo in piena ricostruzio-

ne dell’intero settore giovanile e stiamo proseguendo in quel difficile ma fondamentale lavoro di fidelizzazione degli atleti al nostro circolo, sfruttando anche il fatto che esistono sedi universitarie decentrate che, dopo la scuola superiore, evitano la dispersione degli atleti.”


DISINFESTAZIONI

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BARCHI AUTO PASSIONE PER L’AUTO DAL 1963

L’AZIENDA FESTEGGIA 60 ANNI DI ATTIVITÀ. IL PUNTO DI FORZA? SODDISFARE E MANTENERE I CLIENTI PER GENERAZIONI.

Quella per le quattro ruote è una passione che è iniziata nel lontano 1963 per Barchi Auto a Faenza. La storica azienda festeggia quest’anno i suoi primi sessant’anni. Tutto è cominciato su iniziativa di Luigi Barchi, classe 1939, che aveva un sogno e pochi soldi in tasca: commerciare automobili. Tutto prende il via con l’acquisto con cambiali di un’auto che prepara e lucida in un piccolo garage al lume di una lampadina. Una volta venduta, ne acquista altre due e così di seguito per diverso tempo. Poi apre un piccolo autosalone in via Sant’Ippolito che ospita due auto e, insieme alla moglie Lina e al primogenito Loris, anche un autolavaggio per

la preparazione delle auto. “A quei tempi,” ricorda Mirko Barchi, il secondogenito, “la vendita avveniva per lo più in piazza nei mercati e nei caffè del centro dove bastava una stretta di mano per concludere l’affare. In alcuni casi si andava anche a casa delle persone che avevano bisogno di auto, senza preoccuparsi molto di colori e allestimenti come si fa oggi anche perché la disponibilità era scarsa. Mio padre mi portava con lui, vedevo le trattative, spesso precedute da qualche battuta mentre si beveva un bicchiere di vino. Di soldi ce n’erano pochi per cui, visto che ancora non esistevano le finanziarie, i pagamenti avvenivano sempre

in cambiali che l’azienda anticipava.” Il vero e proprio boom delle auto in Italia scoppia con l’uscita della Fiat Uno nel 1984 e della Fiat Tipo nel 1988. La soddisfazione di Luigi Barchi, che riesce a vendere più di 100 Fiat nuove all’anno da solo, senza neanche avere un salone vero e proprio, è grande. “Mio padre era sempre in giro, non aveva tempo di stare nel saloncino,” racconta Mirko. “Erano tempi diversi, non come oggi che è necessario stare ore e ore in concessionaria.” Negli anni si passa quindi a locali sempre più grandi per la rivendita. Dal 1985, la rivendita è in via Ravegnana, dove c’è anche un deposito per lo stoccaggio dell’u-


BARCHI AUTO PROPONE SIA IL NUOVO CHE L’USATO: “GIÀ DAGLI ANNI NOVANTA PROPONIAMO SUZUKI, CHE È LA PIÙ ‘ITALIANA’ DELLE GIAPPONESI, OLTRE A MAZDA E CHEVROLET. PIÙ DI RECENTE ABBIAMO ACQUISITO HYUNDAI. NON HA POI BISOGNO DI PRESENTAZIONI LAND ROVER, NOTO PER LA SUA ELEGANZA E AFFIDABILITÀ.”

sato con il motto ‘Nuovo e usato di ogni marca’. Dieci anni dopo la sede si sposta in via Boaria, un periodo che corrisponde all’ingresso in azienda di Mirko, mentre dal 2005 in via San Silvestro: una sede più grande ancora dove ci sono anche officina interna e punto assistenza. Diversi i marchi trattati da Barchi Auto. “Dopo il quasi monopolio dei grandi nomi italiani, Fiat e Alfa Romeo prima di tutti,” precisa Mirko Barchi, “sono arrivate le case straniere, senza contare che con la globalizzazione ormai tutto si produce fuori dall’Italia. Già dagli anni No-

vanta proponiamo Suzuki, che è la più ‘italiana’ delle giapponesi, conosciuta nel nostro Paese dal 1978, oltre a Mazda e Chevrolet. Più di recente abbiamo acquisito Hyundai che ha saputo imporsi per i 5 anni di garanzia. Non ha poi bisogno di presentazioni Land Rover, noto per la sua eleganza e affidabilità. Molto apprezzati anche Subaru e Honda.” Barchi Auto propone sia il nuovo che l’usato, riuscendo a coprire tutta Italia e anche l’estero grazie alla presenza su note piattaforme di settore sul web. L’approccio verso l’auto è molto cambiato:

se un tempo era vista principalmente come un mezzo di locomozione, al massimo si prestava attenzione al fatto che avesse cinque porte, oggi il cliente è attento a ogni dettaglio, al colore, agli allestimenti, ed è disposto anche a spostarsi per ottenere ciò che desidera. Una volta le auto disponibili erano poche, ora ce ne sono di tutti i modelli. Solo durante il Covid è stato come tornare indietro nel tempo perché, a causa della carenza di pezzi di ricambio, la consegna di un’auto poteva richiedere anche 12-16 mesi. “Questo ha in parte

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favorito il mercato dell’usato che si è ulteriormente rinvigorito,” spiega Mirko Barchi. “In generale, i prezzi delle auto sono cresciuti in questi anni. I tanti che si rivolgono all’usato non lo fanno solo per esigenze di risparmio, ma anche perché scettici verso i nuovi prodotti, in particolare l’elettrico. Il ‘termico’ in Romagna e in Italia continua a piacere molto.” Barchi Auto ha saputo ‘attraversare’ i vari cambiamenti, facendo della storicità e della fidelizzazione un punto di forza. Mantenere clienti per generazioni è la più grande soddisfazione.


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CINEMA

SPAZIO AL CINEMA LA NUOVA EDIZIONE DEL NOAM FILM FESTIVAL

DI ROBERTA BEZZI

Con circa 3.000 presenze in 5 giornate, la prima edizione di NOAM Film Festival a Faenza (1-5 marzo), che prometteva un avvincente viaggio verso ovest, è andato in archivio come un successo. Motivo per cui i riflettori sono già puntati sul futuro, sul ritorno della manifestazione che avverrà nella seconda metà di ottobre 2024 ma con un’interessante anteprima il prossimo marzo. Qual è la particolarità di questo evento? Si tratta del primo festival pensato in Italia per la promozione del cinema NOrd-AMericano – da cui deriva il nome stesso – con una particolare attenzione alla produzione indipendente. Non solo cinema statunitense che nasce all’ombra di Hollywood, ma anche cinema dei Paesi che si trovano alla periferia del più grande impero cinematografico mondiale: Canada e Messico su tutti, ma anche le isole come Cuba e Haiti. Partendo da una selezione di film dai grandi circuiti festivalieri indipendenti nordamericani (Sundance Film Festival, Tribeca, Toronto International e molti altri), l’obiettivo è stato quello di portare nella città delle ceramiche grandi film, ospiti internazionali, scoprire nuovi talenti e, soprattutto,

offrire uno spettacolo nuovo e innovativo per il territorio. Il progetto, contraddistinto dal suo tratto culturale e popolare, è pensato dall’associazione di giovani Filmeeting, a cui piace ‘ibridare’ il cinema con altri ambiti della cultura come letteratura, musica e fotografia e aprirsi alle contaminazioni di sport, scienza, filosofia

e tecnologia. “Quest’idea ambiziosa deve essere balenata nella testa di tanti,” racconta il direttore artistico, Andrea Valmori. “La pandemia in questo senso ha giocato, almeno per noi, un ruolo fondamentale spingendoci a prendere l’iniziativa e a farlo nel minor tempo possibile. Sin da subito siamo partiti con l’obietti65


CINEMA

SI TRATTA DEL PRIMO FESTIVAL PENSATO IN ITALIA PER LA PROMOZIONE DEL CINEMA NORDAMERICANO INDIPENDENTE. NON SOLO CINEMA STATUNITENSE, MA ANCHE DA CANADA E MESSICO, DA CUBA E HAITI.

IN QUESTE PAGINE, IL DIRETTORE ARTISTICO ANDREA VALMORI SUL PALCO PER LE PREMIAZIONI DELLA PRIMA EDIZIONE DEL FESTIVAL: DALL’ALTO, ‘PREMIO SPECIALE’ AD ANDREA PALLAORO, IL ‘PREMIO CITTÀ DI FAENZA’ A HUESERA DI MICHELLE GARZA, E IL ‘PREMIO GIOVANI’ PER THERAPY DOGS DI ETHAN ENG.

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vo di stabilizzarci sul territorio e con la speranza di rinnovarci di anno in anno. Fare un festival di lungometraggi nordamericani è stata una sfida per Faenza, perché è una nicchia mai toccata prima nell’ambito dell’attivismo giovanile. Con un budget di circa 50.000 euro, siamo riusciti a coinvolgere un ampio pubblico grazie anche a grandi eventi a ingresso libero. Cosa ci preme per il futuro? Approfondire ancora di più il rapporto culturale tra Faenza e il Nordamerica.” Durante la prima edizione del festival, tutto è iniziato con la mostra fotografica di Francesco Lusa – a cura di Fototeca Manfrediana – a partire dal progetto realizzato in pellicola 35mm, durante un viaggio on the road del 2017 tra i paesaggi sconfinati di California, Nevada, Arizona e Utah. In vista della prossima edizione, si sta già lavorando su una mostra alla Molinella di opere di illustratori internazionali, grazie ad Alice Iuri – classe 1986, creatrice dell’immagine del festival – che già collabora con alcune testate canadesi, oltre che per Linus, L’Espresso, ed editori quali Salani e Mondadori. Poi, chiaramente, spazio ai film, suddivisi sempre nelle tre sezioni: Classic, Concorso e Special. “Ci siamo resi conto,” aggiunge Valmori, “che il cinema ha avuto un ruolo davvero da protagonista anche attraverso gli incontri con gli ospiti che hanno coinvolto gli spettatori. Quindi abbiamo deciso di investire ancora di più sulla qualità, concentrandoci in particolare sulle commedie e sul cinema-documentario. Cercheremo inoltre di avviare un rapporto con le scuole visto che per noi è molto importante il punto di vista dei ragazzi. NOAM parte infatti dall’idea che i giovani possano fare la differenza.”


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