La pulce nell’orecchio
di Simone Filippetti
In Veneto si litiga per Save (e Amber si prepara a brindare)
“
Amber, chi è costui”? A Venezia, quelli di Save, si saranno fatti la stessa domanda che nel ‘600 Don Abbondio si chiedeva a proposito del filosofo greco Carneade, istanti prima che scoppiasse la tempesta del matrimonio a sorpresa tra Renzo e Lucia. Anche sull’aeroporto Marco Polo, che fa capo a Save, incombe la tempesta. Non che sia una novità. È da quasi dieci anni, da quando la Save di Enrico Marchi è sbarcata in Borsa, che sull’aeroporto di Venezia (terzo scalo italiano dopo Roma e Milano) vanno in scena la Baruffe Chiozzotte tra i tanti poteri (più o meno forti) locali. Da sempre lo scalo è un feudo dove interessi privati e la politica si disputano il comando. All’inizio furono le beghe interne al momento della quotazione. I soci privati raccolti attorno alla holding NordEst Avio (ora Agorà) contro i soci pubblici (allora più folti di oggi perché molti hanno fatto cassa con il collocamento in Borsa), a loro volta spaccati. Dietro le quinte si agitava una battaglia tra Giancarlo Galan, fondatore di Forza Italia e allora potente super-governatore della Regione, contro gli “ulivisti” Davide Zoggia, presidente della Provincia di Venezia, e Paolo Costa, sindaco prodiano della città della laguna. Galan appoggiava Marchi e i privati per la quotazione; provincia e comune, di opposto colore politico, erano contrari
72 retail&food - giugno 2013
e impugnarono la delibera. Save riuscì alla fine a quotarsi. Ma non fu la fine dei battibecchi. Poi fu la volta della guerra con i conterranei Benetton, padroni di Autogrill (concorrente di Save che gestisce anche la ristorazione in concessione con Airest). Verrebbe da dire che se non litigano, i veneti non sono contenti. Solo che in quel caso le liti non andavano in scena a Chioggia, emblema della campagna veneziana dove Goldoni inscena le sue Baruffe, ma più di mille chilometri più a sud. A Palermo, dove la concessione per gestire i servizi di ristorazione dell’aeroporto Falcone e Borsellino era stata messa all’asta. Vince Airest, cioè Marchi. Ma i Benetton non ci stanno e fanno ricorso, appellandosi al Decreto Bersani, che vieta a società con soci pubblici locali di operare fuori dai loro confini. Battaglie legali a non finire, fino ad arrivare alla corte europea di Bruxelles. Quella dell’aeroporto Marco Polo sa tanto di una lotta di poteri in salsa lagunare, buona appunto per una commedia di Goldoni. In mezzo il dominus Enrico Marchi, una sorta di Enrico Cuccia veneto, a gestire un equilibrio sempre precario. Se non fosse che è comparso sulla scena un elemento estraneo: il fondo Amber è salito al 14% di Save. Un pacchetto che ne fa il secondo socio singolo. Dietro a Finanziaria Internazionale (Finint).
Ma tra i privati le acque sono agitate. Generali, uno dei soci forti della holding Agorà che ruota attorno a Finint e dove un patto di sindacato blinda i vari soci, ha deciso di uscire. In palio c’è un pacchetto pesante (il 13%). Il Leone di Trieste ha avviato un nuovo corso, sotto la gestione di Mario Greco. Via dalle partecipazioni nocore, basta fare la merchant bank. E gli aeroporti non sono più contemplati nel nuovo corso. Chi compra la quota Generali? Con l’aria (di crisi nera) che tira, difficile trovare un socio italiano pronto a sborsare. I due cervelli di Finint, Andrea Devido ed Enrico Marchi, vorrebbero giocare il jolly di Morgan Stanley, anch’esso socio di Agorà. D’altronde Venezia è forse la città più famosa al mondo e il traffico di turisti, soprattutto americani, è un fiume sempre in piena, incurante di recessione, crisi dell’euro, default della Grecia e quant’altro. Fuori dal patto, ci sono gli altri outsider della partita e tutti pesi massimi: la Banca Popolare di Vicenza, potentato di Gianni Zonin, imprenditore del vino e banchiere. Più tutta la ragnatela di soggetti pubblici, dal comune di Treviso alla Provincia di Venezia, alla fondazione di Venezia. Save è un ginepraio di politica locale, sempre alla ricerca di denaro per i suoi bilanci in affanno. A prima vista, quella sul Marco Polo, sembra dunque una partita troppo grande e complicata
per Amber, stretta com’è nel risiko tra i tanti poteri in campo. Ma chi segue le cronache di Piazza Affari, a vedere Amber in Save ha subito drizzato le orecchie. Dove c’è Amber, c’è sempre odore di soldi. Il fondo è una sorta di Re Mida: quello che tocca diventa oro. Basato a New York, Amber è la creatura di un potente ma sconosciuto personaggio: Joseph Ourghulian, finanziere armeno ma con passaporto americano. Ma in Italia il pro-console ed eminenza grigia è Umberto Mosetti. Un po’ hedge fund, un po’ attivista, un po’ investitore opportunista, Amber in qualsiasi partita è entrata, ne è uscita con il portafoglio pieno, regalando anche al mercato belle soddisfazioni (e plusvalenze milionarie). E quando si parla di “schei”, i Veneti fanno sul serio. Con loro non si scherza, ma Mosetti sa bene di che pasta sono fatti. I dotati di buona memoria ricordano che Amber ha una certa familiarità con il Nord-est. Anni fa mise a segno un colpo, con Permasteelisa. Ricordate l’azienda di facciate architettoniche famosa in tutto il mondo (suo l’Hearst Building di New York e la Opera House di Sidney)? La classica multinazionale tascabile, quotata in Borsa. Anche lì c’erano dei soci ai ferri corti: il fondo Investindustrial di Andrea Bonomi, che controllava la società tramite un asse di ferro con Lucio Maffesanti. Dall’altra, il presidente Luigi Cimolai che voleva scalare la società. Amber s’infilò nella partita e alla fine costrinse un finanziere navigato ed esperto come Bonomi a lanciare un’Opa. Sapete quanto aveva comprato Amber di Permasteelisa? Il 15%, più o meno la stessa quota che oggi detiene in Save. All’epoca di Permasteelisa Amber disse che si sarebbe schierata in assemblea con il piano industriale giudicato migliore. Stesso copione, in tempi più recenti, con Impregilo. Ancora due litiganti, il socio storico Beniamino Gavio e lo sfidante Pietro Salini. E Amber che in assemblea ha fatto da ago della bilancia, facendo vincere Salini. Lo stesso sta provando a fare in Parmalat, dove Mosetti ha sfidato il colosso francese Lactalis e da tempo il mercato subodora aria di delisting (con Opa milionaria). Vuoi vedere che anche in Save tra i (tanti) litiganti, il terzo gode? •