Artù 11-12 2014

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In caso di mancato recapito inviare al CMP di Milano Roserio per la restituzione al mittente previo pagamento resi

Artù n°65 - Novembre - Dicembre 2014

www.artumagazine.it

Gusto ⦁ Tendenze ⦁ Mercati

San Michele Appiano presenta Appius, il superbianco voluto da Hans Terzer Francesca Terragni, il prestigio si divide in tre: Krug, Ruinart e Veuve Clicquot Il napoletano Gino Sorbillo finalmente apre a Milano la sua pizzeria-gourmet Caffè: i segreti della torrefazione rivivono grazie a Fabrizio Nicali, di Incas A Parigi la crisi si sente poco, grazie agli interpreti contemporanei del fine dining

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EDITORIALE n°65

E dopo i blogger? Che fine hanno fatto i giornalisti? Viene spesso da chiederselo, visto che la gran parte degli eventi food o beverage vedono il protagonismo (talvolta apparente, più spesso soltanto esibito, in alcuni casi sostanziale) di blogger, che vantano (o ai quali viene attribuita) una presunta conoscenza del settore. Un tempo, i (o le, molto più numerose) food blogger sarebbero state definite impietosamente “massaie con la passione della cucina” o “dilettanti appassionati”, o “geniali imitatori di altri”. I tempi, però, sono cambiati e le competenze sono frequenti anche in questo mondo molto variegato, bisogna ammetterlo. Oggi – non solo nel mondo del food – il cosiddetto blog sembra essere diventato un nuovo modo di comunicare, di raccontare e condividere le proprie opinioni: sui social network, da Facebook a Twitter, è un florilegio di ricette, foto di piatti, racconti di esperienze memorabili, dalle quali anche chi scrive non è del tutto immune. Un fenomeno che sicuramente ha il suo peso. E che fa leva sulla assoluta libertà delle opinioni espresse. Ma che porta con sè anche una discreta dose di confusione. Cerco di spiegarmi meglio. E torno alla domanda iniziale: che fine han fatto i giornalisti, oscurati da blogger e social o, a loro volta, riconvertitisi in guru del web? Poiché non credo che la crisi dell’informazione sia irreversibile, resta da chiarire quale ne sarà il destino nei tempi a venire. E, forse, sarebbe il caso di fare un po’ di chiarezza. Personalmente penso che il giornalismo di qualità abbia un futuro comunque radioso, a condizione che chi scrive sappia raccontare (bene) storie vere, capaci di attirare attenzione, curiosità, confronti. C’è grande bisogno di buone penne, mai come in questi tempi di asservimenti ed esibizione di muscoli. Purtroppo, la “deriva” del copia e incolla, che ha ridotto molti giornalisti,

o pseudo tali, a un mero ruolo di gazzettieri (come li definiva Carmelo Bene con rara efficacia), non ha certo giovato alla qualità dell’informazione. E ha portato molti giornalisti ad essere dei “ripetitori” banali di interessi altrui. Una condizione molto presente nell’informazione politica, che vede stuoli di yesmen plaudere a questo o quello schieramento, in cambio di apparenti vantaggi personali. Nel nostro campo, oltre al copia e incolla, ci sono parecchi altri vizi, congeniti e acquisiti (uno per tutti, la recensione compiacente e/o interessata): solamente una profonda rivoluzione morale, visto che si è toccato il fondo, potrà risollevare la categoria e, con essa, il comparto dell’informazione di qualità. Il mondo delle imprese, a sua volta, dovrebbe prestare più attenzione al valore di chi scrive per professione, selezionando criticamente, individuando priorità, senza mettere tutti nello stesso mazzo. Certo non è facile, bisogna investire del tempo per operare scelte ponderate: in un mondo in cui tutti si sentono food blogger o wine writer diventa imbarazzante (o controproducente, forse) prendere decisioni che escludano qualcuno. Ma, quando il fenomeno del blogging si affievolirà (e già ci sono i primi segnali) tornerà d’attualità il “vecchio”, sano modo di fare giornalismo: inchieste, interviste, prodotti, tendenze. E taccuini aperti su cui scrivere dati, informazioni, numeri. Storie vere, insomma. Di fatti e di persone, di materie prime e di aziende. Lontani dall’intimismo surreale e vicini alla realtà, alle materie prime, ai professionisti appassionati, nelle cucine dei ristoranti ma anche davanti ai fornelli di casa. Perché nella qualità del lavoro e dei prodotti, e di chi ne informa correttamente, sta la vera crescita della nostra economia. Alberto P. Schieppati Artù n°65

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In copertina: un sogno nel cassetto che diventa realtà: Hans Terzer, winemaker di San Michele Appiano, il creatore di Sanct Valentin, pensava da tempo a un grande vino, che esprimesse il meglio di un’annata e di un territorio. Presentato durante Wine Festival, Appius si è subito rivelato un grande vino, all’altezza delle attese.

Info people Hostelco: nuove sinergie verso l'internazionalità di Elisa Facchetti Info brand Da Lucas Carton debutta l’Enoteca Pinchiorri di Elisa Facchetti Festival Franciacorta Villa in Rosa 2014 di Rocco Lettieri Cecchi sceglie Essentiel di Elisa Facchetti Focus wine Gerardo Cesari, Amarone in degustazione di Elisa Facchetti Protagonisti wine Appius 2010, lo stile di Hans Terzer di Alberto P. Schieppati Quando il prestigio si divide per tre di Alberto P. Schieppati Casale del mare, il Sorpasso di Fortulla di Alberto P. Schieppati Protagonisti caffè Caffè Incas, torrefattori a Milano di Theo Smith Protagonisti food Gino Sorbillo. All’ombra della Madonnina O’ “professore” della pizza di Luisa Contri Le riflessioni della Piazzetta lombarda di Fiorenza Auriemma Il coraggio di cambiare si serve à la carte di Stefania Zolotti Tartufo a Gubbio, vince la creatività di Claudio Zeni Corporesano Raw food di Corporesano Magazine Format locali The Ordinary Market. Testaroli e Birramisù di Luisa Contri Accueil Fonteverde, dopo la chianina un tuffo nella spa di Gualtiero Spotti Dal mondo A Parigi niente crisi i ristoranti sono strapieni di Gualtiero Spotti Isola di Lanzarote, vino e carajacas di Maurizio Forte Equipment Lainox: Naboo e la tecnologia del 2.0 di Elisa Facchetti News Chef, champagne, riso. Eventi e prodotti alla ribalta Libri Alfabeti del gusto, Alma, Santa Lucia, M.me Clicquot di Elisa Facchetti Secondo Alberto Cia, I Valtellina, Mosto Selvatico. Ragionevoli a Gubbio e Milano di Alberto P. Schieppati

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Hostelco: nuove sinergie verso l’internazionalità di Elisa Facchetti Hostelco chiude la sua 17ª edizione festeggiando il debutto di Barcelona Hosting Week (BHW), in contemporanea con Fòrum Gastronòmic e BarForum. Il Salone si è confermato ancora una volta punto di riferimento internazionale di prodotti, conoscenze e networking al servizio di un settore che guarda sempre più all'innovazione e a nuove strategie. Attrezzature e macchinari per hotel, ristoranti e comunità, articoli per la tavola, gestione controllo informatica e sicurezza, divise e uniformi, arredamento e decora- zioni, cibo e bevande, comunicazione e servizi. Queste alcune delle categorie in mostra a Hostelco alla "Fira de Barcelona", cha ha accolto in contemporanea Fòrum Gastronòmic e BarForum puntando al recupero del settore dell’ospitalità attraverso la prima edizione di Barcelona Hosting Week. Secondo Jordi Roure, presidente di Hostelco e della Federación Española de Asociaciones de Fabricantes de Maquinaria para Hostelería, Colectividades e Industrias Afines (FELAC), "Hostelco 2014 ha dimostrato la buona salute del settore. Durante i quattro giorni abbiamo avuto l’opportunità di ve-

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dere concretamente che il nostro settore mostra sintomi inequivocabili di recupero. Inoltre, la prima edizione di Barcelona Hosting Week, ha dimostrato di essere una scelta vincente per aumentare l’attrattività di uno degli appuntamenti più importanti in Europa”. Luci puntate sull'aspetto sempre più internazionale della manifestazione, come ribadito anche da Isabel Piñol, direttrice del Salone: "Gli espositori si sono dimostrati molto soddisfatti dalle attività registrate e hanno fatto sapere che il profilo più internazionale dei visitatori ed il numero dei contatti realizzati e delle trattative concluse durante lo svolgimento del Salone, certificano la ripresa del settore". E i numeri lo confermano: Hostelco e Barcelona Hosting Week hanno ospitato i prodotti di 518 aziende provenienti da 33 paesi, con oltre 1.200 marchi rappresentati. A questa grande offerta vanno sommati oltre 600 Vip buyer e 57.000 visitatori professionali. Prossimo appuntamento con Hostelco a ottobre 2016.



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Da Lucas Carton debutta l’Enoteca Pinchiorri

di Elisa Facchetti

Qui sopra: Mimma Posca ad Vranken Pommery Italia con Annie Féolde, chef executive Enoteca Pinchiorri. A lato: Riccardo Monco chef Enoteca Pinchiorri, Annie Féolde chef executive Enoteca Pinchiorri e Julien Dumas chef Lucas Carton. Sotto: risotto al brodo di piccione con fave di cacao tostate alle spezie.

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Il famoso ristorante parigino Lucas Carton, proprietà della famiglia Vranken, accoglie nella sua cucina le eccellenze interpretative dai migliori chef stellati. Debutta per l'occasione l'Enoteca Pinchiorri, con una proposta gourmet omaggio alla prestigiosa Cuvée Louise Pommery. Il Ristorante Lucas Carton, dal 1939 anima del cuore parigino, apre la sua cucina alle prelibatezze dei migliori chef del mondo. L'evento "Les Diners Etoilés", dal 4 all'8 novembre, è stato dedicato all'Enoteca Picnhiorri di Firenze, tre stelle Michelin, Chef Gourmand Relais&Chateaux, associato a Les Grands Tables du Monde, nonchè rinomata per la sua cantina di oltre 150.000 etichette di vini e distillati di pregio. L'evento è sta-

tradizionale toscana rivisitati per l'occasione. Da ricordare l'attuale proprietà del Ristorante Lucas Carton, oggi della famiglia Vranken, a cui è stato dedicato il famoso "Risotto al brodo di piccione con fave di cacao tostate alle spezie", preparato dallo chef Riccardo Monco sotto la guida di Annie Féolde, pensato per omaggiare la Cuvée Louise Pommery millesimo 2002. Il celebre piatto è stato proposto per la prima volta in occasione della Verticale Cuvée Luise celebrata a Firenze lo scorso aprile, proprio all'Enoteca Pinchiorri: ampio il gradimento per genialità e originalità riconosciuta della Guida de L'Espresso, un piatto unico e tale da essere riproposto ed esportato a Parigi al Ristorante Lucas Carton. Lo champagne in questione ha fatto "touchè" nel cuore di Annie Féolde, ispirata dalla Cuvée Louise, simbolo del forte valore di artiginalità che nasce dai tre più importanti Grands Cru: Avizé e Cramant per gli Chardonnay, Aÿ per il Pinot Noir. Seguito attentamente dallo Chef to animato dalla chef executive del- de Cave della Maison Pommery Thierry l'Enoteca Pinchiorri Annie Féolde e Gasco, l'assemblaggio iniziale ragdallo chef Riccardo Monco, che hanno giunge l'equilibrio ricercato per espripresenteto insieme allo chef maison mere al meglio la cifra stilistica della Julien Dumas, alcuni piatti della cucina Maison Pommery.



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Festival Franciacorta Villa in Rosa 2014 di Rocco Lettieri Durante il Festival di Franciacorta di settembre scorso, l’azienda Villa di Monticelli Brusati è tornata a ospitare Villa in Rosa, giunta alla terza edizione, affrontando la tematica della donna con riflessioni e spunti importanti. Qui a lato: Nancy Cooklin con Roberta Bianchi e Paolo Pizziol.

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Villa in Rosa nasce dalla voglia di rendere la donna protagonista per una sera in un ambito, quello del vino, che fino a non molti anni fa era quasi esclusivamente maschile. Alla donna, quindi, è stata offerta la facoltà e la gioia di invitare un uomo a visitare la cantina e degustare i suoi preziosi vini. Con ciò non si è voluto discriminare, ma sottolineare come sempre più spesso la donna si avvicina al mondo del vino con competenza. Finalmente ci si è vestiti di rosa senza problemi, anche in ambienti maschili dove, fino a qualche anno fa, per essere accettata e riconosciuta nel proprio ruolo, una donna doveva vestirsi con austeri tailleur neri senza nessun vezzo, rinunciando alla propria femminilità. “Oggi vestire rosa, l’essere femminile, non rappresenta una nota di colore, ma identifica una donna sicura di sé, delle proprie capacità, sicura di portare, proprio perché donna, caratteristiche tipiche del proprio genere. La quasi naturale predisposizione alla degustazione, la capacità di ascolto ed empatia, di accoglienza unite alla competenza, fanno della donna colei che sa fare squadra, una squadra che opera per coinvolgimento più che per obiettivi”, ha commentato con un certo orgoglio Roberta Bianchi, titolare dell’azienda Villa Franciacorta. In questa edizione, Villa in Rosa ha voluto essere uno

spunto per le donne a credere in sé stesse e di questo ha ben parlato Anna Maria Gandolfi, promotrice della “Carta per le pari opportunità” che grazie al suo impegno si trova ad affrontare quotidianamente tematiche che ruotano attorno al mondo femminile e la scrittrice spagnola (nata a Lima in Perù) Nancy Cooklin con il suo libro “Crea te stessa” (pubblicato da Sperling & Kupfer. Euro 16,00, pagine 210). La donna, secondo Nancy, ha in sé la forza per “autogenerarsi”, giorno dopo giorno, imparando a conoscersi e rispettarsi. Durante la serata Nancy ha sollecitato a ricordare quanto loro, donne, ogni giorno, siano speciali e uniche. Questa sicurezza genererà una positività contagiosa che aiuterà la donna a cambiare prospettiva ridimensionando le difficoltà e imparando a gioire delle piccole cose. “La felicità non è un traguardo, ma un cammino” parole di Roberta Bianchi citando Madre Teresa di Calcutta e che ha continuato a dire: “In sala c’è una sedia in prima fila con un fiocco rosso con la scritta: posto occupato. Ho voluto con questo gesto ricordare la donna che avrebbe potuto essere con noi in una serata gioiosa, parlare, brindare con noi alla vita. Purtroppo quella donna, quelle donne, lasciano una sedia, cento, mille sedie vuote perché vittime di violenza. Spero che questa serata, questo gesto abbia la dovuta risonanza e contribuisca a far capire alle donne che devono amarsi e rispettarsi di più, devono imparare a

saper dire di no, solo così la violenza potrà diventare solo un triste ricordo”. L’incontro con l’autrice Nancy Cooklin è stato possibile grazie alla collaborazione di Villa Franciacorta con l’associazione culturale Whoopsie Daisy. “Una serata speciale, durante la quale tutti gli invitati hanno potuto conoscere una scrittrice di spessore, sperimentando un nuovo modo di stare insieme, chiacchierare, divertirsi, scoprendo qualcosa in più su di sé”, secondo le parole di Silvia Del Re fondatrice, insieme a Roberta Bianchi, di Whoopsie Daisy. L’associazione ha offerto ai presenti la possibilità di tesserarsi gratuitamente ed è stato subito entusiasmo nel chiedere informazioni in merito alle varie attività, dai corsi di scrittura creativa, allo yoga e alla cucina inglese. Nancy, inoltre, ha promesso che terrà presso l’associazione, una giornata di


corso “Crea te stessa”. Da vera coaching c’è da credere che riuscirà davvero a far sbocciare il bocciolo di rosa che c’è in ogni donna. La serata è proseguita con un raffinatissimo light dinner, i cui sapori, come vuole la tradizione, sono stati esaltati dai Franciacorta Rosè. Novità assoluta di quest’anno sono state le eleganti bollicine in un nuovo packaging: in degustazione per la prima volta dopo la presentazione alla scorsa edizione del Vinitaly, Bokè Rosè Brut 2010 e Briolette

Rosè Demi-Sec che hanno piacevolmente sorpreso gli ospiti per l’eleganza e la freschezza aromatica. Nomi evocativi e magici, che esprimono con uno stile unico l’essenza femminile, ponendosi quindi in perfetta armonia con il tema della serata: Bokè, nome di un rarissimo corallo rosa, segno di un’eleganza senza tempo, e Briolette, taglio a forma di goccia applicato alle pietre preziose dei diademi di regine e principesse. Una serata allegra e gioiosa che non ha trascurato

l’importanza di valorizzare il ruolo della donna. Una serata in rosa che ha elettrizzato e ha permesso a tutti di salutarsi esclamando: “Whoopsie Daisy! Che bella serata!” e ricordando una citazione di Mae West riportata in “Crea te stessa”: “Si vive solo una volta, ma se lo si fa bene, è sufficiente”. www.villafranciacorta.it www.whoopsiedaisy.it

Qui a lato: da sinistra Roberta Bianchi, Silvia Cusmai, Silvia Del Re, Anna Maria Gandolfi e Nancy Cooklin. Artù n°65

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Cecchi sceglie Essentiel

di Elisa Facchetti Dopo aver proposto per oltre un secolo vini con il nome di famiglia, Cecchi lancia sul mercato italiano gli champagne francesi Collard-Picard. Una svolta inziata già nel 2011, un progetto interessante che ha portato Cecchi a distribuire, nel 2012, anche Castiglion del Bosco, azienda di proprietà di Massimo Ferragamo, a cui seguiranno senza dubbio nuove interessanti partnership commerciali sia italiane, sia estere. Dalle colline del Chianti alla Champagne. È questo il viaggio intrapreso da Cecchi, grande azienda di Castellina in Chianti fondata sulla tradizione famigliare che ha saputo conquistare il mercato italiano ed estero. Cecchi, rappresentata da Andrea e Cesari Cecchi, realizza vini capaci di esprimere tutte le caratteristiche del territorio di provenienza. Una produzione che dal 2011 porta con sé grande fer-

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essenziale come indica il nome stesso, dedicato ai veri cultori e conoscitori di champagne, composto da 50% di Chardonnay, 25% di Pinot Nero e 25% di Meunier. Di recente Olivier Collard ha "raccontato" la sua produzione durante una splendida degustazione organizzata da Cecchi al Ristorante Borgo San Jacopo, a Firenze, anteprima esclusiva della gamma di champagne francesi. Per l'occasione Olivier Collard ha selezionato i preziosi Millesimée '79, '76, '69 Rosé della collezione René Collard, suo nonno, regalando ad Andrea e Cesare Cecchi momenti di degustazione di altissimo livello. Per l'occasione gli invitati, tra cui anche il direttore di Artù Alberto P. Schieppati, hanno potuto gustare un menu preparato dallo chef Peter Brunel, piatti memorabili accompagnati dai preziosi champagne Collard-Picard. Un assaggio? Riso mantecato con porcini, fonduta di caprino, briciole di tartufo autunnale abbinato alla Cuvée Dom Picard Grand Blanc de Blancs; carrè d'agnello alla colatura di fieno, crema di sedano rapa, castagne affumicate con Cuvée Des Archieves Millésime 2002; mousse cotta di ciocmento, facendosi ambasciatrice di un colato fondente su coulis di fragole, vino non italiano, ma questa volta fran- menta, caviale abbinato a Brut Rosé. cese, proveniente dalla Champagne. Stiamo parlando della passione dei fratelli Andrea a Cesare per i grandi vini, una passione che ha permesso loro di spingersi nel piccolo villaggio di Villers sous Chatillon, per distribuire in Italia tutti i valori trovati in CollardPicard, maison condotta da Olivier Collard con la moglie Caroline Picard. Su una produzione totale di 120 mila bottiglie, Cecchi ne distribuirà in Italia 14 mila, declinate in sei prestigiose etichette: Cuvée Sélection – la più richiesta dai wine bar –, Cuvée Prestige e Cuvée Dom Picard – le più richieste per il settore ristorazione –, Cuvée Rosée, Cuvée Prestige Essentiel e Cuvée Des Archieves. Etichette prestigiose, tra cui vale la pena segnalare in dettaglio la grande Cuvée Essentiel 2006, annata di qualità eccezionale grazie a un grandissimo equilibrio tra gli zuccheri e l'acidità. Si tratta di un Dosage Zero,



focus

Gerardo Cesari Amarone in degustazione

reno esposto a temperature sempre fresche, con clima ventilato. 18 anni di vita è l'età minima delle viti presenti La cantina di Cavaion Veronese ha nel piccolo vigneto, da cui ne sorgerà aperto le porte ad un pubblico seleun Amarone, Il Bosco, in bottiglie nuzionato di addetti ai lavori, un edumerate. Pazienza, attesa, ma anche cational per scoprire il percorso che la lungimiranza di saper leggere oltre. compie un grande vino, l'Amarone Il Il percorso di degustazione organizzato Bosco, in tutte le fasi della sua vita. da Gerardo Cesari ha infatti voluto Ma non solo. Sono tante le inziative coinvolgere gli ospiti in tutte le fasi di che la Gerardo Cesari ha in serbo lavorazione, dall'assaggio dell'uva in per gli amanti del "bere elegante", appassimento al vino nella fasi di afficon una nota di romanticismo. di Elisa Facchetti

L'Amarone è per eccellenza il simbolo della Valpolicella e lo è ancor di più se il pensiero vola alla cantina Gerardo Cesari, 100 ettari di pura eleganza nel cuore delle zone più vocate della Valpolicella e del Lugana, dove sono stati selezionati quattro cru destinati a regalare al mercato le produzioni di punta della cantina: sono i vigneti Bosan, Jèma, Centofilari e infine Bosco, da cui nasce il grande Amarone. Il vigneto, con un'esposizione ottimale, si estende per cinque ettari, con vitigni di Corvina per l'80% e Rondinella per il 20% che si alimentano su un suolo calcareo, dal buon drenaggio, un ter-

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namento, dall'acciaio al legno, fino alla degustazione dalla bottiglia e, nota aggiuntiva di pregio, una degustazione guidata di un'annata storica di Amarone. Dal 2013, inoltre, la cifra stilistica Gerardo Cesari sostiene il Premio letterario internazionale "Scrivere per amore", giunto quest'anno alla sua XIX edizione. Curato dal Club di Giulietta, il premio viene conferito ogni anno alla più bella storia d'amore scritta, italiana o straniera. 19 i libri proposti per l'edizione 2014, giudicati da un 'attenta giuria composta da 10 giornaliste italiane che al Teatro Nuovo di Verona hanno decretato il vincitore. Dal canto suo, la cantina Gerardo Cesari ha omaggiato il vincitore con una doppia magnum di Amarone Bosan, uno dei vini più premiati nei concorsi internazionali e che rappresenta la passione della cantina di Cavaion Veronese. Il Premio Lettarario "Scirvere per Amore", nato nel 1996, non solo

Amarone Il Bosco: una rivelazione La giornata dedicata alla degustazione dell'Amarone Il Bosco prevedeva una verticale sui vini definiti "mai usciti dalla cantina". Al vaglio degli ospiti invitati l'assaggio delle annate 2013, 2012, 2011, 2010 e 2009. Eccole nel dettaglio: buona l'annata del 2013, leggermente anticipata e di media produzione, nonostante il vino sia ancora da affinare in legno rilevando la mancanza delle note di vaniglia, anche se si possono avvertire note fruttate, di ciliegia e prugna; in bocca la disarmonia è data dal tannino e dall’acidità tartarica, che determina una leggera asprezza, segno che questo vino deve ancora maturare. Permane anche nell'annate 2012 la sensazione acidula, nonostante al naso il vino risulti più complesso e balsamico. Buona, ma poco produttiva, è invece l'annata 2011 che sviluppa note evidenti di vaniglia, fruttate e floreali, per un vino equilibrato sebbene il tannino sia ancora vivace. Vendemmia quasi eccezionale - classificata 4 stelle dal Consorzio quella del 2010 evidenzia un vino con profumi più evoluti, quali il ribes, caffè, liquirizia, mentre la bocca è rotonda, leggermente amarognola. Ottima annata anche la 2009, raccolta anticipata. Dimostra già da ora una grande armonia e l'affinamento in bottilglia sarà sicuramente un valore aggiunto per maturità e pienezza. La degustazione della giornata ha visto all'assaggio e alla critica i vini corrispondenti alle annate in commercio: la 2008 si è distinta per un'estate calda che ha premesso una maturazione equilibrata e una produzione sostenuta. Ne deriva un vino rotondo capace di esaltatare le note di frutta secca e confettura, un'annata molto apprezzata e vincente anche sui mercati esteri. 5 stelle invece per l'annata 2004 da cui ne nasce un ottimo Amarone: i profumi virano a note evolute di minerale, fungo, sottobosco e cacao; i tannini perdono il loro carattere acidulo per cedere il passo alla morbidezza, grazie alla maturazione che porta rotondità e persitenza aromatica. A conclusione del tasting dell'Amarone Il Bosco la degustazione delle uve del 2014, oggi in appassimento. La varietà che dona salinità e piacevolezza al vino è senza dubbio la Molinare, uva dolce, dal colore scarico e dalla buccia fine; la Rondinella è invece un'uva tardiva e dalla buccia più dura, ma generosa nel colore e nel tannino. Riconoscibile per l'acino leggermente ovale è la Corvina che presenta tracce di Botrytis con la buccia più dura e meno porosa, adatta quindi all’appassimento. Il Corvinone, anch'esso vitigno, deve ancora dare prova della sua potenzialità, in questa annata dall'esito incerto. La presenza di uve sane fa ancora sperare, nonostante sia stata la vendemmia peggiore degli ultimi decenni.

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Club di Verona: un momento magico in cui alle emozioni suscitate dalle lettere vengono abbinate le note emozionali dei vini scelti in abbinamento da Gerardo Cesari. Qualche esempio? Alla lettera di Amber, proveniente dall'Australia, che descrive l'amore tragode del Patrocinio del Comune di Ve- dito, è stato abbinato il rona-Assessorato alla Cultura, ma dal Lugana Cento Filari; alla 2013 vede il sostegno della cantina lettera di Beth, dal Sud Gerardo Cesari nell'ambito, tra l'altro, Africa, i profumi del Ridi una collaborazione con il celebre paso Bosan hanno fatClub di Giulietta, con lo scopo di pro- to rivivere le emozioni muovere il territorio veronese, a cui la contenute nello scritto cantina è fortemente legata, così come dedicato al ritorno di alle sue tradizioni e alla sua cultura. un amore, un ventaL'eleganza dello stile di Gerardo Cesari glio di emozioni si è si può anche leggere nei giorni di dunque unito a una festa che precedono il Natale. Nel degustazione altrettanmese di dicembre, come di consueto, to emozionante, in cui l'azienda apre le porte a degustazioni, è prevalsa come semin particolare offre la possibilità di pre l'eleganza di un viscoprire il "Lover's Drop", inedito per- no che si riflette anche corso degustativo dedicato anche alla nella gestualità, oggi lettura di alcune lettere destinate a forse insolita, di aprire Giulietta, concesse per l'occasione dal e leggere una missiva.

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protagonisti

Appius 2010, lo stile di Hans Terzer

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di Alberto P. Schieppati La Cantina di San Michele Appiano presenta Appius, il superbianco nato dall'intuizione del wine marker che, con la linea Sanct Valentin, ha creato un polo di eccellenza nel mondo vitivinicolo, italiano e internazionale. Appius 2010 nasce da una sfida ambiziosa, quella di produrre un vino unico, che sia frutto "del meglio delle nostre uve, delle nostre viti e dei nostri terroir". Ogni anno diverso, ma sempre ineguagliabile. Un sogno nel cassetto che diventa realtà. Una sfida, quella di Hans Terzer, l'enologo ritenuto un vero e proprio guru della produzione vitivinicola di qualità estrema, destinata a creare una sorta di benchmark nella produzione di vini di alto profilo. Amante da sempre del concetto di "non plus ultra", applicato alla produzione vinicola, questa volta ha inanellato un altro successo, concretizzando compiutamente il suo sogno. Quasi trent'anni di lavoro, ma alla fine Hans ce l'ha fatta, ha raggiunto e centrato l'obiettivo. E che obiettivo! Il celebre winemaker di St. Michael - Eppan, grazie a un lavoro di ricerca e selezione che ha coinvolto, in un gioco di squadra davvero speciale, tutte le figure chiave della Cantina di Eppan sulla Weinstrasse, ha realizzato un progetto

destinato a sorprendere e a stupire il mondo degli enoappassionati, ma anche e soprattutto i mercati più esigenti della ristorazione di prestigio. È in una grigia giornata di novembre, in un Alto Adige fervido e inquieto per l'imminente apertura di Wine Festival, la creatura di Helmut Kocher, che Hans Terzer presenta, non senza una malcelata e comprensibile emozione, il nuovo vino della Cantina. È il superbianco Appius, un vino da sogno che Hans aveva in mente da tempo, la creatura destinata a creare un punto di riferimento nel panorama dei top wine di caratura internazionale. Appius ha un nome latino, che rimanda alla radice del toponimo Appiano, e che al tempo stesso sottolinea con fermezza la propria origine italiana, tanto per chiarire... Celebre nel mondo per avere saputo creare, fra l'altro, la linea Sanct Valentin, Hans Terzer ha alle spalle quarant'anni di lavoro duro e meticoloso, finalizzato esclusivamente alla realizzazione di vini di grande qualità. Come ci siamo arrivati, al vino dei suoi sogni? "Grazie al terroir ma anche all'uomo che ne ha saputo interpretare le potenzialità... Appius può essere prodotto solo con uve di qualità eccellente, provenienti da vecchi vigneti, e ogni anno sarà una sorpresa...". Una risposta chiara, come è nello stile del personaggio, che non ama fronzoli

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né giri di parole. Hans Terzer è qui dal 1977, quando l'Alto Adige era ancora poco conosciuto sul fronte vinicolo... O meglio, era noto soprattutto per produrre Vernatsch, la "Schiava" che occupava un ruolo da protagonista nel panorama dei vini rossi della provincia di Bolzano e che era, in un certo senso, il prodotto che rappresentava l'espressione vinicola più schietta del territorio del Sudtirolo. "Eppure il nostro terroir aveva potenzialità immense ed era un errore non sperimentare strade diverse, in grado di esprimere livelli qualitativi sempre più elevati".

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E così accadde. "Negli Anni Ottanta, come previsto, abbiamo iniziato a fare qualità, con Sanct Valentin e non solo...". Non a caso, la serata di presentazione di Appius comincia proprio con una degustazione di Sauvignon, Chardonnay, Pinot bianco della linea Sanct Valentin. Millesimi importanti, che hanno riconfermato un valore indiscusso e creato dibattito fra i giornalisti presenti, stimolando punti di vista e opinioni da


presentato nel millesimo 2010, è una interpretazione esclusiva dell'annata, il simbolo concreto delle massime potenzialità che si possono raggiungere... Il 2010 era l'anno giusto: condizioni climatiche ottime, vecchie viti che producono pochi grappoli, uve completamente mature. E poi il lavoro superlativo delle persone impegnate in vigna e in parte dei più preparati fra i wine writer cantina. Ecco i presupposti ideali per coinvolti. un vino di primissima qualità". Sanct Valentin, che nel 1990 rappresen- Sarà, ovviamente, il vino di eccellenza tava un volume produttivo di 25.000 dell'azienda? bottiglie, ora ha raggiunto quota 350.000, "Sarà soprattutto l'espressione solo per dire qualche numero. tangibile delle possibilità di I vini, abbinati a una cena memorabile un territorio unico. Verrà prodi Herbert Hintner, il geniale chef di dotto nelle annate migliori, Zur Rose, hanno fatto da degna intro- ma anche in quelle diffiduzione ad Appius. cili, quando si è obbliMa che cos'è Appius? E, soprattutto, gati a fare minori properché Appius? duzioni. La visione della

"È semplicemente il vino da sogno di una singola annata, un vino che non si rifà ad un solo vitigno né ad un solo vigneto - ci dice Terzer -. Appius è un grande vino di assemblaggio, nel quale vitigni diversi del comune di Appiano esprimono il meglio di se stessi in quella determinata annata". Insomma, The best of... "Esattamente. Appius, che viene oggi

qualità, insieme alle potenzialità dei terroir e al minuzioso lavoro dell'uomo, sono il vero leitmotiv di Appius". Un vino, dunque, che viene realizzato in ossequio ai caratteri specifici della vendemmia, senza scendere a compromessi sul Artù n°65

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simo possibile, sarà conseguenza diretta di rigorose selezioni in vigna, di meticolosa attenzione ai dettagli, di tutto quanto consenta di produrre il meglio". Strepitose selezioni in vigna, dunque, per raggiungere il vertice... "La mano dell'uomo è fondamentale. Per la grande qualità ci vogliono il ceppo giusto, il clone più adatto, la conoscenza profonda del territorio, insomma. In Alto Adige abbiamo microzone incredibili, dove è necessario effettuare sperimentazioni mirate, selezioni attente, in grado di valorizzare potenfronte della qualità... "Ripeto, i nostri territori consentono di zialità inespresse. Spesso mi capita di esprimere straordinari risultati, ma non imbattermi in partite di Sauvignon ecdappertutto e non sempre. Appius è la cezionali, ma di quantità minime. dimostrazione che si possono fare vini Quante volte mi dico e mi sono detto, ancora migliori, in risposta alla vocazione in questi casi, che avrebbe senso utilizdi un grande territorio. E in linea con la zare questi vini con intelligenza, rispettandone le caratteristiche uniche e reastilistica della nostra Cantina". Questo 2010 vede lo Chardonnay fare lizzando, in combinazione con altre picla parte del leone, con circa il 70%, cole partite di altri vitigni, un prodotto mentre l'altro 30% è rappresentato da unico e irripetibile. Una cuvée senza Sauvignon, Pinot bianco, Pinot grigio. regole precise, che sarà una sorpresa Ma non necessariamente i vitigni saranno ogni anno e nella quale la proporzione sempre gli stessi: addirittura, dice Terzer, delle singole quantità di uve utilizzate “in futuro si potrà anche pensare a un varierà a seconda dell'annata. rosso, se ve ne saranno le condizioni. Appius 2010, al suo esordio, ha letteAppius è un vino che ogni anno può es- ralmente stupito per l'emozione che sere diverso. Volendo esprimere il mas- ha suscitato, per la sua armonia, ma

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anche per la profondità gustativa, la sapidità, la persistenza e l'ampiezza. Un bianco capace di competere a pieno titolo con i grandi vini bianchi anche d'Oltralpe, comunque destinato a tracciare una linea di demarcazione netta con il passato”. Aggiunge con orgoglio Terzer: "Ho voluto esprimere al meglio le sensazioni che una determinata annata può dare. Il 2010, per esempio, fu un'annata strepitosa per i bianchi. Decisi allora di scegliere le migliori piccole partite, di affinarle in barrique e tonneau, poi tre anni in acciaio. Il risultato è sotto i nostri occhi. Un vino destinato a lunga vita, capace di rispettare profondamente ogni singolo vitigno e di rappresentare lo stile della cantina e mio personale". Appius 2010 è stato prodotto in quantità super selezionata, vale a dire 4.000 bottiglie, più 300 magnum, a sottolinearne il carattere prezioso e la unicità, caratteristiche che lo rendono particolarmente ambito dalla sommellerie più qualificata e dalla ristorazione importante. Un vino elegante, ricco di personalità, equilibrato e armonico, "destinato a stupire". Nessuna sbavatura o spigolosità in bocca, dove risulta cremoso e rotondo. Insomma, un campione di qualità eccelsa, espressione dello stile di Hans Terzer, enologo appassionato, per il quale le sfide costituiscono il sale della vita e per le quali vale la pena di battersi per affrontarle e vincerle. Appius andrà, secondo il nostro punto di vista, ad occupare uno spazio da protagonista nello scenario blasonato ed esclusivo dell'alta cultura vinicola, italiana ed internazionale. E, ne siamo certi, lascerà il segno.



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di Alberto P. Schieppati Francesca Terragni, nel suo ruolo all’interno del gruppo LVMH, sviluppa e dirige le attività di marketing e comunicazione che promuovono sul mercato italiano due prestigiosi brand di champagne, Krug e Veuve Clicquot. A questi si è aggiunto nelle scorse settimane anche lo champagne Ruinart con Estate&Wines, ovvero la divisione vini del gruppo. Una sfida molto impegnativa e complessa, che deve necessariamente tenere conto di caratteristiche diverse dei singoli prodotti e dei rispettivi posizionamenti sui mercati della ristorazione. Giovane ma con grande esperienza alle spalle, Francesca Terragni ha un percorso professionale che la vede attiva nel gruppo Louis Vuitton Moet Hennessy dal 1998. Approdata nel 2003 al mondo dello champagne, con Veuve Clicquot, ha sempre amato le sfide complesse e stimolanti. Grazie al suo talento e alla sua esperienza, nonché alla passione per il marketing e la comunicazione, ha dato grande impulso a brand prestigiosi, posizionandoli con coraggio e determinazione sui mercati della ristorazione e dei consumi fuori casa. Incontriamo Francesca Terragni durante un evento-degustazione a Milano, in un ristorante di via Solferino, il Dry. Un locale definibile di tendenza, che fa parte del "gruppo Berton" e che propone, fra l'altro, una serie di pizze davvero ottime, preparate con cura e materie prime di alta qualità e destinate alla clientela gourmet. Al Dry, non a caso, abbiamo degustato grandi bollicine francesi, insieme a Olivier Krug, il patron della

maison di Reims, che ha ribadito, con la passione che lo contaddistingue, il posizionamento "magico" della Grande Cuvèe, il prodotto di punta della maison, oltre a confermare - attraverso una degustazione memorabile - le caratteristiche uniche del Clos du Mesnil, in questo caso millesimo 2003: uno champagne leggendario, prodotto da uve chardonnay di un unico appezzamento, nel villaggio di Mesnil sur Oger. Un vino dal carattere espressivo ed equilibrato, capace di regalare emozioni inedite, prodotto in 8671 bottiglie e in 659 magnum. Francesca Terragni, che segue da lungo tempo per il mercato italiano due marchi storici dello champagne, Krug e Veuve Clicquot, da poco tempo è anche brand manager Italia di Ruinart. Una e trina, verrebbe da dire, visto l'impegno su tre fronti, e che fronti... Artù ha voluto incontrare Francesca Terragni innanzitutto per chiederle con quali strategie/obiettivi intende occuparsi di brand sicuramente accomunati dalla appartenenza ad un gruppo di prestigio come LVMH, ma certamente diversi l'uno dall'altro ed ognuno con caratteristiche proprie. Qual è il posizionamento, ma anche l'immagine, che intende trasmettere per ognuno dei brand rappresentati? Per quanto riguarda il posizionamento delle marche, direi che sono alquanto facilitata nel mio lavoro, perché tutti e tre i prodotti sono ben caratterizzati e

hanno stile e identità ben definiti. Ruinart, infatti, è un vero gioiello nel segmento di champagne che potremmo definire Premium. Il legame con l'arte, tra cui spicca la partnership ufficiale con il Miart di Milano, lo ha reso un brand carismatico e ben riconoscibile, con una identitá ben definita, grazie anche all'autorevolezza e al blasone che Ruinart da sempre detiene nel mondo del vino, insieme all'elemento prezzo, decisamente indovinato per il segmento di mercato al quale si rivolge. Ruinart impersonifica uno stile del tutto proprio, grazie ad un'alchimia straordinaria, che vede il marchio in prima linea nel sostenere eventi culturali di eccezione, combinati con l'immagine di una bottiglia unica e al packaging inimitabile. Dal canto suo, Krug rappresenta la filosofia del Luxury contemporaneo... Non a caso gli sforzi recenti della maison di Reims, guidata da un personaggio del calibro di Olivier Krug (v. Artù n, 64), hanno puntato sugli aspetti di convivialità connessi alle diverse occasioni di consumo, uscendo dal posizionamento da icona 'fredda' che ha parzialmente connotato in passato la percezione del brand e, in generale, degli champagne di fascia alta. L'ultimo passo verso la contemporaneità riguarda, oltre alla partecipazione da protagonista ad eventi e alla forte presenza sui social (i 'Krug lovers' sono un fenomeno in costante espansione), il legame con la musica, Artù n°65

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in una dimensione di ascolto conviviale e qualificato, attraverso degustazioni ed eventi che vedono Krug come creatore esclusivo di 'musica in bottiglia'. Veuve Clicquot, a sua volta, è una vera e propria icona contemporanea: sembra uno slogan ma più che uno champagne è un'attitudine, un elemento del lifestyle: Veuve Clicquot è una grande maison che mantiene nel tempo una dimensione qualitativa elevata, con una forte tensione verso l'innovazione nel packaging e una grande ricercatezza sul fronte del design, con collaborazioni illustri. Sono molti i momenti in cui Veuve Clicquot è protagonista indiscusso di manifestazioni legate alla cultura del design di avanguardia, in linea con l'innovazione e i cambiamenti degli stili di vita.

Qui sotto: la pizza alle uova di quaglie e tartufo del ristorante Dry di via Solferino - Milano.

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un certo segmento di offerta, formale e solenne, quasi il consumo di champagne fosse un fatto liturgico. Oggi, e lo abbiamo visto qui al Dry, un grande champagne si abbina perfettamente anche con pizze straordinarie, destinate a veri Gourmet.

Immaginiamo la sua attività, intensa e talvolta frenetica... È una caratteristica dello stile del gruppo LVMH, in Italia e nel mondo, quella di lavorare molto su obiettivi strategici. Osservandomi dall'esterno, certamente mi vedo molto attiva, organizzo e seguo personalmente una notevole quantità di eventi per professionisti e consumatori finali. Siamo molto dinamici, crediamo fortemente in questo contatto stretto con il mondo del lifestyle: la nostra mission strategica è di lavorare sull' universo variegato della contemporaneità, riuscenCi sembra che lei ami le sfide: se pen- do nell'impresa di creare un equilibrio siamo che quando entrò nel gruppo fra heritage e tradizione, tenendo conto Louis Vuitton Moet Hennessy, nel 1998, delle tensioni contemporanee presenti era responsabile marketing “Fragranze” nella società e lavorando per armonizzare (a Francesca Terragni si deve il lancio in un contesto di prestigio e piacevolezza. sul mercato italiano di profumi come La forte presenza sui Social network, Poison, J’adore, Dior Addict e Higher, poi, rafforza la percezione di semplificaancora oggi ai vertici delle classifiche zione del messaggio complessivo. di vendita in profumeria), in questi anni ne ha fatta di strada. Dalle sen- Come vede il futuro per il comparto sazioni olfattive delle fragranze fino dello champagne in Italia? alle note gustative dei grandi cham- Sicuramente ci sono grandi spazi di pagne, immagino che il percorso crescita, ma c'è molto lavoro da fare. sia stato ricco di soddisfazioni... La soddisfazione di chiunque lavori in questo mondo affascinante è data dal fatto che i consumatori, e la ristorazione nel suo complesso, abbiano finalmente compreso che lo champagne non è un prodotto solo da ricorrenza, ma che può abbinarsi anche alle esperienze quotidiane, rendendole più gradevoli e importanti, direi memorabili, pur in un contesto di maggiore informalità rispetto ad un passato che, diciamocelo, rischiava di essere penalizzante. Una volta gli abbinamenti riguardavano solo

Alludo a un lavoro finalizzato soprattutto alla crescita culturale, continuando sulla strada della semplificazione. È fondamentale comunicare in modo diverso e mirato, ribadendo con forza che lo champagne non è (solamente) il calice di capodanno, ma il protagonista di occasioni di consumo diverse, che mettano al primo posto l'aspetto della convivialità e della festa, diventando prodotto di riferimento per ogni momento di piacevolezza esistenziale. Una sfida, quella raccolta da Francesca Terragni, in linea con il suo carattere e la sua passione: una passione che Francesca sa anche comunicare e trasmettere con competenza, come abbiamo avuto modo di vedere durante alcuni suoi momenti di docenza presso le facoltà di economia e dei corsi di marketing management all'Università di Parma o alla Bocconi, dove ha insegnato al Master of fashion management allo Sda.



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Casale del mare, il Sorpasso di Fortulla

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Castiglioncello è un posto speciale. O meglio, è reso speciale, molto speciale, da alcuni fattori come la posizione unica sul mar Tirreno, le frequentazioni illustri dei decenni scorsi (la villa di Alberto Sordi, acquattata dolcemente sulla collina prospiciente il mare, è stata per anni il ritrovo della società bene romana, con annessi e connessi), l'essere stata prescelta da grandi registi di Alberto P. Schieppati come luogo ideale per ambientarvi film Eccoli, gli ingredienti del successo: passati alla storia. Ma a questo "essere innanzitutto il luogo, uno splendido un posto speciale" ha contribuito forlembo di Toscana, poi l'ospitalità, temente, negli ultimi vent'anni, un imsemplice e raffinata, di una struttura prenditore del calibro di Fulvio Martini. in armonia col paesaggio. Ancora, "Razza" padana Doc, Martini è leader la ristorazione, che esprime una cu- nel settore dei prodotti per la cura del cina superlativa di sapori autentici. corpo e della casa e, forse anche per Ma anche e soprattutto un'azienda questo suo amore per il benessere, ha vinicola, Fortulla, che punta decisa sempre inseguito un sogno: quello di sulla qualità, in un ambito territoriale far stare bene le persone, non solo dalle notevoli potenzialità, capace con i suoi prodotti, ma anche con vini di produrre vini all'insegna di fre- di qualità, cibo buono e ospitalità di schezza e modernità. Ristorazione e alto livello. A metà degli anni Novanta vini sono così, grazie a imprenditori il suo sogno è diventato realtà, con di razza come Fulvio Martini e Laura l'acquisizione di un luogo unico, sospeso Marzari, espressione di un'offerta al fra terra e mare, destinato a risorgere dall'abbandono in cui si trovava e a dipasso con i tempi. ventare un polo di eccellenza nel campo dell'ospitalità. Grazie poi alla determinazione della moglie di Fulvio, Laura, innamorata della qualità e dotata di un quid, si è affermato un polo indiscusso della produzione vinicola di alta qualità. Nasce così Agrilandia, nel 1994: un progetto di riqualificazione territoriale senza precedenti, un investimento di energia, cultura di impresa e lungimiranza dal quale dovrebbero imparare in tanti, soprattutto i nostri politici, molto bravi nell'arte del dire ma decisamente scarsi in quella del fare. Nel rispetto della natura, Fulvio Martini ha creato un'azienda agricola che opera nel pieno rispetto dell'ambiente: "Con la messa a dimora di sette ettari di vigneto, di cui due a uva bianca per la produzione di Vermentino e cinque di ulivi, con la creazione di due invasi per la raccolta dell'acqua piovana, con la ristrutturazione dell'antico casale, ora accogliente relais di campagna, la collina è ritornata a vivere, integrando la presenza dell'uomo e delle colture Artù n°65

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nell'armonia di questa natura incontaminata". Fulvio e Laura sono orgogliosi dei risultati raggiunti su tutti i fronti, innanzitutto su quello dell'ospitalità “nel pieno rispetto della natura”, sottolinea Laura Marzari. Ad Agrilandia, tutte le acque potenzialmente riciclabili vengono depurate e riutilizzate per l'irrigazione, l'energia elettrica viene creata direttamente dal calore del sole: così olio, vino e distillati esprimono questa forza naturale, che non ha bisogno di particolari interventi ma si esprime in produzioni assolutamente biologiche (con tanto di certificazione CCPB). La linea di vini a marchio Fortulla nasce dalla ricerca costante e ossessiva della qualità, ma anche dalla capacità di sapersi distinguere, per caratterizzazione e immagine. Molto indovinata la grafica del brand, con le due Elle di Fortulla che rappresentano la forma di due cipressi, che hanno dato lo spunto per un nuovo contenitore in vetro che ospita

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due vini della gamma: il Fortulla Rosè e il Fortulla Bianco, vini dalla particolare impronta moderna, concepiti grazie alla volontà di Laura di offrire al mercato prodotti tradizionali ma anche innovativi, che mantenessero le caratteristiche dei vitigni ma che comunicassero occasioni di consumo contemporanee, in linea con i nostri tempi, più amici del gusto e dei profumi che di antiche liturgie. Abbiamo apprezzato particolarmente il Rosè, che nasce da uve di Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon, vendemmiate a mano, presenti nel vino in quantità uguali (50% ciascun vitigno). Colore rosso tenue, all'olfatto sprigiona intensi profumi fruttati, pompelmo, fragole, rosa canina. Fresco e persistente, si presta molto bene come aperitivo ma è perfetto anche a tutto pasto. Il Fortulla bianco, Vermentino e Viognier, è un vino di impronta altrettanto moderna, fresco e sapido, adatto a menù di pesce, carni bianche e crostacei. Vini che, come tutti gli altri della vasta gamma Fortulla, rivelano una visione produttiva coraggiosa, figlia della lucida passione di Laura e sostenuta da una mano illustre, quella del

wine marker Luca D'Attoma, enologo di Fortulla. Una gamma vasta e articolata, frutto di scelte ponderate e un pizzico audaci, come nel caso del vino-bandiera dell'azienda, il Sorpasso, un grande rosso, ottenuto da una accurata selezione di uve Cabernet Sauvignon (47%), Cabernet Franc (47%) e Merlot (6%). Un vino che fa non poca barrique - 14 mesi -, a cui segue un affinamento di circa un anno in bottiglia. Interessante segnalare che le barrique sono nuove al 50%, di secondo passaggio al 35%, e di terzo al 15%... Sorpasso è un vino molto strutturato, come si desume ovviamente dalle premesse legate a vitigni e affinamento, destinato a sicuro invecchiamento. All'olfatto presenta intensi profumi di frutta rossa, erbe aromatiche della macchia mediterranea e note speziate, evidenziando poi al palato opulenza ed eleganza, grazie anche ai suoi tannini avvolgenti. Sorpasso è adatto ad abbinamenti con primi piatti, carni rosse, selvaggina, brasati ma anche a pregiati formaggi erborinati, italiani (gorgonzola) e francesi (Mors d'Auvergne ecc). Abbiamo degustato Sorpasso 2009 in abbinamento alla grande cucina del ristorante di Casale del mare, una rivelazione inattesa, che ci ha fatto conoscere professionalità inedite: Marco Parrillo e Monica Franchi, in cucina hanno preparato portate di gusto, mostrando solido mestiere e spiccate capacità culinarie, confermate dal gradimento della clientela, che arriva anche da lontano, Firenze, Roma, Bologna, persino da Milano. Una cucina di terra e di mare, in grado di competere con quella di chef più blasonati e famosi, molto caratterizzata e concreta. La sala è presidiata dai bravi Andrea Saletti e Marta Panicucci, sommelier. Ma su tutta l'organizzazione della cucina e del raffinato relais di campagna aleggia la personalissima supervisione di Laura, raffinata amante del vino, sommelier preparata, produttrice caparbia e determinata, pronta a conquistare nuovi mercati in Italia e nel mondo e a comunicare il valore di Fortulla alla ristorazione più qualificata.



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Caffè Incas Torrefattori a Milano

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America. Una ricerca incessante del meglio, quella messa in atto da Fabrizio NiLe migliori miscele si incontrano qui, cali, titolare dell'azienda che ha coraggrazie a un imprenditore che ha sa- giosamente e responsabilmente raccolto puto raccogliere l'eredità paterna e il testimone dal padre Alfredo, una volta continuare sulla strada della qualità venuto a mancare. Quest'ultimo, un totale, al bar e al ristorante. Il segreto, vero pioniere dell'attività di torrefazione, oltre che nella tipologia e provenienza avviò l'attività nel 1959, aprendo una delle miscele, è nella tostatura, che piccola torrefazione in zona Vittoria, in deve essere "tradizionale", sottolinea via Bonvesin de la Riva: a pochi passi da dove, qualche anno dopo, il maestro Fabrizio Nicali. Gualtiero Marchesi avrebbe iniziato la C'è profumo di caffè nell'aria di Milano, sua attività di cuoco destinato a ragsoprattutto all'inizio di viale Forlanini, giungere celebrità internazionale. Alfredo sulla strada "che porta all'Idroscalo", Nicali, insieme alla moglie Marina, come cantava magistralmente Enzo Ian- partito in sordina e senza pretese altinacci in una delle sue canzoni più fa- sonanti, se non mosso dalla priorità asmose. Qui, dove una volta era periferia soluta di fare qualità, arrivò in breve e oggi quasi centro, si trova la sede di tempo, grazie alla sua competenza e Caffè Incas, nella quale vengono torrefatte professionalità, ad occupare uno spazio artigianalmente miscele di caffè che significativo nel panorama caffeicolo provengono dalle zone più vocate del cittadino. Abbiamo incontrato Fabrizio mondo: Africa, India, Indonesia, Vietnam, Nicali in una mattinata autunnale e ne ma anche - le più pregiate - Centro abbiamo colto, ascoltando i suoi racconti, di Theo Smith

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talvolta romantici, talvolta fortemente proiettati verso il futuro, l'animo decisamente umano, imprenditorialmente attento ma senza spregiudicatezza, con un rispetto totale verso le materie prime e, in modo particolare, verso i suoi clienti, ovvero baristi e ristoratori di qualità, più inclini a soddisfare la clientela che a realizzare facili business. Oggi il bacino di mercato di Caffè Incas è molto più vasto di un tempo: non è soltanto la piazza milanese a fare la parte del leone, ma un po' tutto il Nord Italia, che vede la presenza di Incas presso molte gestioni vocate alla qualità dell'offerta. Ed è proprio sul concetto di qualità che insiste Fabrizio Nicali, che conduce l'azienda insieme alla moglie Monica: una coppia appassionata, che sa trasmettere il valore del prodotto e lo stile dell'impresa di famiglia. "Trattiamo solo i migliori caffè di tutto il mondo, come il Santos brasiliano, ottima base per le miscele, ma anche il Colombia,

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Guatemala, Costarica, Porto Rico... La tipologia Brasile, come tutta quella del Centro America, è una ottima base, perché dà vita a un caffè neutro, senza acidità. Una volta arrivati in torrefazione, vengono controllati e dosati secondo proporzioni equilibrate, prestando molta attenzione a evitare che si vengano a creare miscele troppo nere, amare o esageratamente cremose, che risulterebbero squilibrate. Nella miscelatura seguiamo riti antichi, tradizionali, come quelli che caratterizzavano l'attività di mio padre". Ascoltare Fabrizio Nicali aiuta a comprendere fino in fondo i segreti della torrefazione, arte che si ispira a regole antiche, ma che necessita di forti aggiornamenti tecnologici e di investimenti mirati. Non a caso, i moderni impianti di Viale Forlanini rispondono a certificazioni di qualità che, grazie a processi computerizzati, consentono di rispettare standard di qualità necessari a offrire un caffè dal gusto riconoscibile. "Anche se il naso è fondamentale nella distinzione degli aromi, una componente insostituibile che 'lavora' a fianco dei vari sensori", sottolinea con orgoglio Fabrizio Nicali. E di fronte all'eterna disputa fra arabica e robusta, Fabrizio Nicali risponde con oggettività, senza tifare per l'una o per l'altra. "Esistono tre varietà di caffè principali in commercio: la robusta che arriva da Africa, Vietnam, India. Poi la arabica, che sembra essere diventata la più ambita, dal Centro America, e poi la Liberica, sempre meno uti-

lizzata. È naturale che ogni mercato abbia le sue preferenze: nei bar tradizionali generalmente si consumano vari tipi di miscela, anche per non depistare il cliente e fidelizzare sulla base di una continuità di proposte. Nella ristorazione di qualità, ad esempio, c'è una discreta richiesta di arabica, ritenuta più suadente e più in linea con le aspettative di una cliente raffinata. Ma sopra tutto deve dominare la qualità del caffè nella tazzina, prima ancora di farsi condizionare dall'omologazione del gusto. Perciò amo ripetere che il miglior posizionamento dei miei prodotti è dato principalmente dalla qualità finale del caffè, qualità che viene a maggior ragione garantita dalla selezione ossessiva dei chicchi che, insieme alla miscelatura attenta e rigorosa, è la migliore garanzia per il consumatore. Perché la torrefazione è un'arte antica che ha bisogno di passione, cura, meticolosità. E molto, moltissimo amore. Insieme alla certificazione di qualità, a una attenta rete di assistenza, alla tracciabilità delle miscele, abbiamo creato un polo caffeicolo di tutto riguardo - aggiunge Fabrizio Nicali -. Poi, non va dimenticato che siamo forti sul fronte del 'bio'". Una scelta in linea con le aspettative della clientela della ristorazione, ma anche di molti bar... Artù n°65

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Gino Sorbillo All’ombra della Madonnina O’ “professore” della pizza

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di Luisa Contri Sotto i portici di largo Corsia dei Servi, in pieno centro a Milano, ha aperto una pizzeria: Gino Sorbillo Lievito Madre al Duomo. La cosa non farebbe notizia in una città che di pizzerie ne conta già un migliaio, se non fosse che... a inaugurare questo nuovo locale, è una celebrità nel mondo della pizza napoletana: Gino Sorbillo. Nell’impresa, è affiancato dal fratello Toto, 28 anni, che si occuperà dell’organizzazione dei punti vendita.

ampliamento) sul lungomare di Napoli, anche quella milanese giocherà sul numero sette. In carta ci saranno, infatti, sette pizze, sette vini bianchi e altrettanti rossi, sette birre artigianali, sette bevande analcoliche, sette dessert, sette liquori. "A Milano però - anticipa ad Artù Sorbillo -, non ho voluto Qui sotto: l’Antica Pizzeria Sorbillo inserire gli antipasti, che ho invece ri- di Via dei Tribunali 32 a Napoli.

40 anni, pizzaiolo di terza generazione, da 20 anni alla guida di una delle pizzerie più rinomate di Napoli, quella in via dei Tribunali 32 (tre spicchi del Gambero Rosso); dallo scorso anno titolare di una seconda pizzeria a un passo da piazza Vittoria, in via Partenope 1 all’inizio del lungomare di Chiaia: Gino Sorbillo Lievito Madre al Mare; e con progetti di dar vita a una catena, che raggiungerà anche gli States.... Il format della nuova pizzeria Gino Sorbillo Lievito Madre al Duomo - sarà distintivo, seppur non del tutto inedito. L’aspetto già visto del nuovo locale riguarda l’impostazione del menu. Come nella pizzeria (in fase di Artù n°65

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Nella pagina a lato: rendering 3D della nuova pizzeria di largo Corsia dei Servi a Milano. Qui sotto: margherita gialla con conciato romano stagionato.

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tenuto indispensabili nel locale sul lungomare di Napoli. E questo perché all’ombra della Madonnina preferisco che la clientela si concentri sulla pizza, che mangi direttamente quella". L’aspetto inedito, per Milano e per lo stesso Sorbillo, è che il nuovo locale proporrà 400 pizze al giorno, non una di più. Un contatore, sistemato all’esterno del locale, si accenderà all’apertura della pizzeria, a mezzogiorno, e terrà il conto delle pizze ancora disponibili

nell’arco della giornata. "Questo tetto massimo - spiega Sorbillo -, l’ho pensato per garantire una gestione ottimale del locale da parte della squadra che ci lavorerà e che si comporrà di 20 persone sui due turni: due persone al banco, una al forno, una all’accoglienza e sei camerieri, tre nella sala al piano terreno e tre in quella al primo piano. Produrre un numero costante di pizze consentirà loro di lavorare con serenità. Potranno tenere sotto controllo l’impasto, così da garantire che sia sempre lievitato al punto giusto; gestire meglio gli approvvigionamenti e la preparazione e conservazione delle materie prime; far sì che il forno sia sempre alla giusta temperatura; assicurare un servizio al tavolo sempre curato e tempestivo". Sicuro del fatto suo e della qualità del prodotto e del servizio che andrà a offrire ai milanesi, Sorbillo pare disposto a correre il rischio di lasciare a stomaco vuoto i nottambuli e la clientela all’uscita dallo spettacolo


delle 20,00 dei cinema del centro. Quando la quattrocentesima pizza del giorno sarà stata consumata, il locale chiuderà, fossero anche le nove di sera. Ci fosse anche una coda lunga così fuori dal locale. Un rischio non elevatissimo, considerato che Sorbillo si aspetta di fare più lavoro a mezzogiorno con i turisti di passaggio e gli impiegati degli uffici del centro, che non a cena. "La mia previsione - afferma -, è di fare 250 pizze a pranzo, tenendo aperto dalle 12,00 alle 15,30, e 150 pizze la sera, nel turno dalle 19,00 alle 23,30". Soltanto per il servizio serale, che potrebbe svolgersi su due turni, il primo intorno alle 19,00 e il secondo alle 21,00, sarà gradita la prenotazione. Quanto all’ambientazione del locale, che avrà circa 90-95 sedute (con la bella stagione 4-5 tavoli saranno sistemati fuori del locale sotto i portici), sarà moderna, sobria, pulita. Niente fotografie di personaggi famosi alle pareti o decori folcloristici

che richiamino Napoli. I colori prevalenti saranno il grigio e il legno naturale, inframmezzati dal rosso, bianco e verde della nostra bandiera. Pulizia e sobrietà prevarranno anche nella mise en place. "Il menu - racconta Sorbillo -, sarà riportato sulla tovaglietta di carta all’americana. Ho optato per questa formula piuttosto che sul menu a libro, nonostante comporterà costi elevati di tipografia, per una questione igienica. È anche un modo per dare al cliente la possibilità di fare una scelta informata. Sulle tovagliette, infatti, saranno specificati uno per uno gli ingredienti d’ogni pizza. E anche le caratteristiche delle birre, dei vini, delle bibite". Per Artù n°65

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Qui sopra: altri rendering 3D della nuova pizzeria di largo Corsia dei Servi a Milano.

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la verità, l’elenco degli ingredienti per ciascuna delle sette pizze in menu sarà breve. "Per le mie pizze uso al massimo due, tre ingredienti - puntualizza Sorbillo -, perché i loro gusti si devono poter distinguere. La pizza non è uno scarabocchio in cui la pasta spianata fa da supporto a cinque, sei, sette ingredienti che ti devono solo riempire lo stomaco". L’impasto della pizza sarà preparato dalle abili mani di Gennaro Salvo, otto-dieci ore prima dell’apertura e senza ricorrere all’impastatrice, con sola farina “0”, acqua, sale marino e lievito madre. E gli ingredienti che Sorbillo userà, saranno tutti di qualità, in gran parte di provenienza campana, ma non per questo le pizze costeranno uno sproposito. Quelle base saranno proposte a 7/8 euro o poco più. Nel menu dei prossimi tre mesi figureranno la pizza antica margherita, con gli antichi pomodori di Napoli, un presidio Slow Food, la mozzarella fior di latte misto bufala del caseificio Il Casolare di Alvignano e un filo d’olio extravergine d’oliva Terre Francescane Bio di Andrea Gradassi. "Ritengo questo fiordilatte misto bufala un ottimo compromesso - racconta Sorbillo -, perché ha un tocco in più rispetto a un fiordilatte di solo latte vaccino e rilascia meno umidità rispetto a una mozzarella di bufala". La mar-

gherita gialla sarà invece fatta con pomodorini gialli della piana del Sele, basilico fresco, mozzarella di bufala dell’Associazione Terre Libere dalle Mafie di Don Peppe Diana e olio extravergine di Villa Santa Croce. Nella pizza salame i pomodori San Marzano e il fiordilatte misto bufala saranno accompagnati da un salame dell’alta Irpinia in budello naturale, a richiesta anche in versione piccante, e da un extravergiene dell’alto casertano. La vegetariana sarà con la torzella, un’antica varietà di cavolo che si usa normalmente per la minestra maritata, il fiordilatte misto bufala. A cottura ultimata sarà completata con conciato romano, il formaggio più antico d’Italia dell’azienda Lombardi di Castel di Sasso. Sulla pizza con mozzarella di bufala, che Sorbillo userà dopo averla fatta scolare ben bene, andranno i pomodorini spunzillo coltivati sulle falde del Vesuvio, nell’agro nocerino-sarnese, e il basilico fresco. "Avrò poi una pizza bianca dedicata alla Calabria - specifica Sorbillo -. La farò con mozzarella, provola dell’azienda Maiorano di Crotone e ’nduia di Luigi Caccamo di Spilinga. Di produzione artigianale saranno i dolci: due tipi di babà (liquido e composto). Va ricordato che le pizze vengono prodotte con farine da agricoltura biologica, insieme ad una farina integrale, sempre bio, del Molino Agugiaro e Figna. Una garanzia di artigianalità e di attenzione alle esigenze di naturalità dei consumatori. Per quanto riguarda le birre, tre rimarranno in carta costantemente: saranno la Nastro Azzurro, lager italiana di qualità superiore, prodotta con esclusivo mais nostrano, la Karma Alvignano (Casa Sorbillo), al frumento, la Pilsner Urquell, le due Grolsh, Weizen e Herfstbok, olandesi. Notevole anche la selezione di vini con le bollicine di Contadi Castaldi in pole position, più una ricca proposta di vini campani: Cantina Russo, Terre del Principe, Quintodecimo, Villa Matilde, Casa d’Ambra e Grotte del Sole. Con Sorbillo, insomma, la pizza si fa nobile, senza perdere in schiettezza e caratterizzazione.



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Le riflessioni della

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di Fiorenza Auriemma Sono passati ormai quattro anni da quando lo chef Michele Mauri ha scelto di entrare nella mischia gastronomica italiana legando il proprio nome all’insegna di un ristorante. Era il dicembre del 2010, e La Piazzetta, a Origgio (Va), riapriva i battenti dopo una profonda operazione di rinnovamento, e ovviamente con una nuova gestione. Quella di Mauri, appunto. Michele Mauri aveva 34 anni e una solida esperienza ai fornelli. Infatti, non appena messo in tasca il diploma della Scuola Alberghiera, nel 1995 ha iniziato a lavorare presso diversi ristoranti in tutta Italia, sfruttando ogni occasione per imparare qualche cosa di nuovo e/o affinare le conoscenze già acquisite, riuscendo così a specializzarsi in molti dei diversi settori che compongono l’universo della cucina professionale. Chef, docente di cucina a domicilio, consulente per la ristorazione, responsabile di servizio catering di alto livello: in una manciata di anni, Mauri ha trasformato il proprio bagaglio culturale ed esperienziale in uno stile di cucina molto personale. Il che gli ha permesso di offrire un ventaglio di servizi su misura per soddisfare le esigenze di diversi tipi di clientela, compresi i palati più esigenti. Tutto questo, ovviamente, è confluito

poi nella sua attuale attività principale, ovvero la gestione de La Piazzetta. “La mia cucina propone idee culinarie che rispondono a principi molto personali racconta lo chef -. Primo fra tutti, la tutela della salute dei miei clienti, da cui deriva il rispetto delle materie prime e della stagionalità dei prodotti, uso intensivo di verdure, erbe e frutta e olio extravergine d’oliva”. A questo va aggiunto il sano debole che Mauri ha per le cotture semplici – in primo luogo, al vapore - che nella sua cucina hanno una corsia preferenziale rispetto ad altre. Con alcune altrettanto sane eccezioni: “Nei miei piatti, il burro trova posto solo per la classica cotoletta alla milanese, che preparo poco battuta e cotta esclusivamente nel burro chiarificato, come da tradizione. E poi per mantecare i miei risotti”, specifica lo chef. La filosofia gastronomica di Mauri è lineare. Si parte innanzitutto dalla scelta delle materie prime - stagionali e locali - con le quali lo chef costruisce un puzzle mentale secondo un principio di individuazione: i pezzi che lo compongono sono i colori, i profumi, le consistenze, il grado di maturazione di ogni singolo alimento fresco. “Perché ogni prodotto è un singolo esemplare, con una propria varietà, struttura, essenza”, sottolinea Mauri. Questa ricerca dell’“ingrediente perfetto” va comunque di pari passo con il rispetto per la tradizione gastro-

Nella pagina accanto: baccalà al vapore, crema di piselli e battuto di olive taggiasche. Sopra: risottino Carnaroli invecchiato, fiori di zucchina, tonno e gelatina di birra. Accanto: lo staff de La Piazzetta, da sinistra Davide Marzullo, Davide Rizza, Michele Mauri, Chiara Castelnovo e Matteo Bosani.

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Sopra: gelato al Baileys, meringa al limone e crema al mango. Sotto: passatelli in brodo ristretto di canocchie, bottarga, lime e grissini integrali croccanti.

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de La Piazzetta, e provare la cucina autunno/invernale di Mauri. Cominciando ad esempio con un antipasto dal nome essenziale, 3 P., che sta per porcini, Parmigiano e pane croccante; oppure con le frittelle di cipolla rossa alla soja, crema di zucca, germogli e gelato al sedano. Per proseguire poi con un orzotto alla milanese con cubi di prosciutto di Parma e castagne caramellate, o in alternativa con i passatelli in brodo ristretto di canocchie, bottarga, lime e grissini integrali croccanti. Arrivati al momento della portata principale, la carta permette di scegliere tra secondi di pesce (tra cui il tonno vitellato con capperi, acciughe e germogli, o baccalà scottato, gallinacci e zucca) e di carne (oltre alla già citata cotoletta cotta nel burro chiarificato, segnaliamo il petto d’anatra al rosa con crema di fagioli, cavolini e vino rosso). Per chi preferisce un assaggio guidato, La Piazzetta propone alcuni menu degustazione: uno di sei portate, un secondo di quattro piatti denominato “Una via di mezzo”, un “Italian Tasting” (cinque portate pensate per la clientela straniera, ma non solo), e infine il “Creativo a sorpresa”, dove è lo stesso chef a decidere di volta in volta quali piatti scegliere per comporre le sette portate previste da quel menu. Dal mese di settembre di quest’anno, Mauri ha deciso di mettere a disposizione la propria esperienza organizzando lezioni di cucina. Durante questi incontri, gli “alunni” potranno cimentarsi a preparare un piatto insieme allo chef, imparando da lui abbinamenti, tecniche, consistenze e sapori.

nomica italiana, in particolare quella lombarda e del Nord Italia, con una particolare predilezione per alcuni prodotti del Trentino. Inutile dire che lo chef studia i suoi piatti nei minimi dettagli, stando però ben attento a non portare in tavola proposte cervellotiche: al contrario, le sue creature culinarie tendono a essere semplici e sorprendenti al tempo stesso, e soprattutto mai banali. “Nei piatti, mi intriga dar vita a giochi di contrasti cromatici e gustativi. L’armonia dei sapori, ma anche la composizione rigorosa e quasi geometrica di alcune delle mie proposte, permette di ottenere piatti dai sapori ben distinti e riconoscibili”, aggiunge lo chef. Che, nel formare la squadra per cucina e sala, ha preferito dare opportunità e fiducia ai giovani, tra cui Chiara Castelnovo (24 anni), responsabile della sala; Matteo Bosani (20 anni), responsabile della cantina e sommelier; Davide Rizza (19 anni), ai primi piatti; Davide Marzullo (18 anni), ai dolci e piccola pasticceria. E dunque, non resta che sedersi al tavolo dell’accogliente e luminosa sala www.lapiazzettaoriggio.it



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Il coraggio di cambiare si serve à la carte di Stefania Zolotti Ogni volta che ci raccontano la loro storia, ascoltiamo quasi sempre aneddoti che partono da molto lontano perché diventare chef è un percorso a ostacoli oltre che una corsa di resistenza. È per questo che, quando arriva l’affermazione di notorietà, mantenere la posizione è la regola più comune e anche la più legittima. Altre volte, invece, gli chef sanno scardinare la normalità e con quegli istinti di coraggio fanno evolvere un mestiere. Il mondo del food ha fame di storie divergenti. Parola d’ordine: cambiare, accettando il rischio. Roland Trettl è il nome che per associazione di idee porta a Ikarus, il ristorante stellato da lui diretto per oltre dieci anni dentro l’Hangar 7, dell’aeroporto di Salisburgo: aperto la sera, 60

coperti, sempre al completo. Lì, dove Dieter Mateschitz - fondatore della Red Bull - ha raccolto la sua collezione privata di aeroplani storici e dove tra architetture potenti di acero e cristallo l’arte la fa da padrona, lo chef altoatesino ha creato il progetto più originale della ristorazione mondiale. Guest Chef Concept, per dirla in breve. Ogni mese uno chef internazionale è pronto a trasferire i suoi piatti più sim-

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bolici e con essi anche lo stile, la tecnica, il servizio. Ci vogliono coraggio e apertura, tanta, per mescolarsi fuori dalla sicurezza della propria brigata e svelare un po’ la propria cifra culinaria. Lì sono passati 120 chef e migliaia di ricette da ogni pezzo di mondo, ma il materiale più vivo che lui ha saputo gestire sono stati i caratteri e le personalità. “Il concept nasceva con uno scopo preciso: riproporre il piatto nello stesso modo in cui veniva servito nel ristorante di origine, col massimo rispetto nella realizzazione e presentazione. Volevamo offrire la possibilità di viaggiare stando fermi nello stesso ristorante. Il maggiore ostacolo era reperire l'ingrediente giusto, quello che lo avrebbe reso fedele e confesso che all’inizio è stato il mio più grande timore: la tecnica in cucina si impara, ma la materia prima non si inventa. Temevo poi la reazione dei clienti davanti a menu ogni mese così diversi e scollegati, oltre che espressioni di gusti e culture distanti dai nostri. Il risultato è stato incredibile perché la gente vuole misurarsi in esperienze insolite anche al ristorante e, se capisce che gli stai dando gli ingredienti migliori e la massima professionalità, poco conta da dove viene il piatto e dalle mani di quale chef. Un concept funziona solo se è sincero e questa esperienza mi ha fatto conoscere la grande apertura dei colleghi che di volta in volta accettavano l’invito, pur rischiando, per

un’idea nuova di ristorazione fatta di scambi e alternanze. Più che il paese di provenienza ha contato la sensibilità e i migliori si sono rivelati quelli meno complicati, i più liberi”. L’intervista a Pino Lavarra viaggia su skype, mentre passeggia durante una pausa a due passi dal mercato di Hong Kong. Il ristorante Tosca, al The Ritz Carlton, è la sua dimensione attuale, dopo la guida del celebre Rossellinis al Palazzo Sasso di Ravello, costiera amalfitana. Ti arriva subito, da alcuni, quella spinta al movimento che non è solo viaggio fisico, ma soprattutto matrice mentale. La sua grandezza è stata la pazienza con cui azzeccare i tempi: davanti ai ripetuti corteggiamenti del Ritz Carlton, non tutti avrebbero saputo impostare così bene il timer della scelta e di chef scottati per eccesso di velocità ce ne sono. Con il giusto tempo, invece ha detto si. “Per me il Rossellinis era tutto, c’ero io lì dentro. Lasciarlo dopo 15 anni non è stato facile, ma sono sereno. Ognuno ha dentro la voglia di cambiare, ma a fare la differenza è il coraggio con cui abbandoni tutto e ti butti, lasciando anche l’idea perfetta di te. Torno ogni sei mesi in quel mio Sud italiano che è una seconda pelle anche quando lo riverso nelle sfumature della cucina asiatica. L’apertura che ho trovato qui a Hong Kong non ha prezzo per il mio lavoro,

sembra di vivere in uno stato compresso in una città. Molti dei migliori chef internazionali hanno già aperto o lo faranno perché si tratta di un nodo strategico nell’asse vincente tra Cina e Giappone. Non pochi italiani hanno un proprio avamposto ed è un bene per la nostra cultura. Se voglio parlare e confrontarmi con i migliori del panorama internazionale, li trovo a due passi da me, in questa piazza che è un continuo scambio e arricchimento. Del resto cambiamo e cresciamo solo se ci mescoliamo coi migliori e coi diversi da noi, senza la paura di non essere all’altezza o di rinunciare al successo incamerato. L’Italia è un’altra cosa, siamo consapevoli delle nostre abilità, ma siamo in una dimensione locale, ogni chef è il migliore nel suo territorio e il confronto è sempre su un metro nazionale. Essere i migliori in casa è più facile, ma fuori si cresce meglio: la scelta è tra queste due vie e io sono fiero di essere andato oltre rispetto a ciò che ero diventato”. Artù n°65

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Premiazione: al centro il sindaco di Gubbio Filippo Maria Stirati con i vincitori Alessandro Trovato (a sinistra) e Giovanni Luca Di Pirro (a destra). A sinistra di Trovato, Giancarlo Colombo.

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di Claudio Zeni Concorso "Tartufo di Gubbio": vincono ex aequo Toscana e Romagna, con Alessandro Trovato (Grand Hotel Da Vinci - Cesenatico) e Giovanni Luca Di Pirro (Hotel Castello del Nero - Tavarnelle Val di Pesa). Premiato anche il duo comico "7 Cervelli". Un “ex aequo” all'insegna del gusto, della prelibatezza e dell'originalità quello decretato dalla giuria della sesta edizione del concorso gastronomico premio “Tartufo di Gubbio”. Sul podio, dopo tre sessioni di gara intorno ai fornelli, in tavola e con identico punteggio i cuochi Alessandro Trovato del ristorante “Monnalisa” del Grand Hotel Da Vinci di Cesenatico e Giovanni Luca Di Pirro del ristorante “La Torre” dell’Hotel Castello del Nero di Tavarnelle Val di Pesa (Fi). Lo chef romagnolo è arrivato alla vittoria con “Riccioli di sogliole dell’Adriatico su vellutata di zucca violina, cime di rapa e tartufo bianco” (antipasto); “Passatelli al tartufo bianco con foglioline di spinaci e spuma di pecorino di fossa” (primo); “Ventaglio di spigola d’amo al tartufo bianco su chips di patate rosse e insalatina di carciofi alla menta” (secondo), mentre il cuoco toscano ha proposto “Cappesante tostate

in padella farcite di tartufo bianco, topinambur e purea di patate viola” (antipasto); “Tortelli di piccione su clorofilla di cavolo nero, polvere d’olio e tartufo bianco” (primo); “Faraona del Valdarno al forno ripiena della sua carne e cicoria royale di porcini e tartufo bianco” (secondo). Un primo posto a pari merito conquistato sul filo di lana davanti ad altri tre concorrenti che mette l’una accanto all’altra due ricche e interessanti cucine regionali italiane, quella toscana e quella romagnola, grazie all’interpretazione di due cuochi molto quotati, visto che Di Pirro, oltre ad un ottimo punteggio nelle principali guide dei ristoranti italiani può fregiarsi da quest'anno anche della prima stella Michelin, mentre Trovato delizia nel ristorante Monnalisa del celebre “Cinque stelle” di Cesenatico i palati di vip e gourmand italiani e stranieri. Tutti e dieci i cuochi in gara hanno realizzato, come da regolamento del concorso, le loro proposte con il tartufo bianco di Gubbio, prelibato fungo ipogeo al quale sono andati i complimenti unanimi dei cuochi in gara e dei giurati, trifola che non ha nulla da invidiare a quella di altri territori italiani. La squadra delle “berrette bianche” schierata ai fornelli per l’edizione 2014, oltre a Trovato e Di Pirro, era composta dai portacolori eugubini Claudio Ramacci del ristorante “Taverna del Lupo”, Paolo Pascolini del ristorante “La Cia”, Adilgerio Tosti del Park Hotel “Ai Cappuccini”, Andrea Cesari del country resort “Coldimolino” e Stefano Salvi Marchetti dell’Agriturismo Guinzano, mentre i cuochi extra-moenia erano: Filippo Scapecchi del ristorante “Vespasia” di Palazzo Seneca di Norcia (Pg), Aniello Di Lieto del ristorante “Le Colonne” del Grand Hotel Des Bains di Riccione (Rn) e Ireneusz Koniuszek del ristorante “Refektarz” dell’Hotel Zamek Ryn di Ryn (Polonia) proveniente dalla

Qui sopra: ventaglio di spigola d’amo al tartufo bianco su chips di patate rosse e insalatina di carciofi alla menta di Alessandro Trovato.

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Albo d’oro del Premio Tartufo Bianco di Gubbio 2010 - I° edizione 2010 - II° edizione 2011 - III° edizione 2012 - IV° edizione 2013 - V° edizione 2014 - VI° edizione

Gilberto Rossi del ristorante Pepe Nero di San Miniato (Pi) Mattia Spadone del ristorante La Bandiera di Civitella Casanova (Pe) Alessio Rossi dell’Hotel Splendide Royal di Lugano Paolo Pascolini del ristorante La Cia di Gubbio (Pg) Claudio Di Bernardo del ristorante Fellini del Grand Hotel di Rimini. ex aequo Alessandro Trovato del ristorante Monnalisa del Grand Hotel Da Vinci di Cesenatico (FC) e Giovanni Luca Di Pirro del ristorante La Torre dell'Hotel Castello del Nero di Tavarnelle Val di Pesa (Fi)

al Park Hotel Ai Cappuccini, è stato anche conferito il premio “Hanno onorato l’Umbria” ai “7 Cervelli”, il duo satirico perugino che ha fatto del dialetto e delle parodie di film famosi un divertente mezzo di comunicazione, capace di parlare in maniera trasversale a tutte le generazioni. Il video tormentone dell’estate 2014, “Lassa gì”, con l’allenatore Serse Cosmi e il dj Ralf, ha ottenuto uno straordinario successo su YouTube, raggiungendo quasi un milione di visualizzazioni, nelle differenti versioni. Alla cerimonia di premiazione hanno partecipato il Sindaco di Gubbio Filippo Maria Stirati, l'Assessore alla Cultura Augusto Ancillotti e l'Assessore al Turismo Lorenzo Rughi. Organizzatori, patrocinatori e sponsor del premio: Comune di Gubbio, Camera di Commercio di Perugia, Gal Alta Umbria, Gubbio Cultura Multiservizi, Park Hotel Ai Cappuccini, Mencarelli Group, Papa Tartufi, Associazione Tartufiamo, Tartufi Jimmy, Birra Flea, Cancelloni Food Service spa, La Vera Crescia di Gubbio. Tutti coordinati da Serena D’Ubaldo e Lucia Monacelli di E20 Comunicazione. Apprezzati - durante le sessioni di gara del concorso - anche i vini della Cantina storica Torrevilla 1907 Oltrepò Pavese (rappresentata dal manager Giancarlo Colombo), che ha messo a disposizione della manifestazione le sue eccellenze vinicole.

Qui sopra: Giancarlo Colombo e il tartufaio Artan Papa. A lato: lo chef Giovanni Luca Di Pirro e il suo piatto di tortelli di piccione su clorofilla di cavolo nero, polvere d’olio e tartufo bianco.

regione polacca gemellata con la Provincia di Perugia, detta dei Grandi Laghi. I vari piatti presentati dai cuochi in gara sono stati valutati da una giuria presieduta dal nostro direttore Alberto Schieppati e composta da Roberto Vitali (L’Eco di Bergamo, Italia a Tavola, Turismo del Gusto), Fabrizio Salce (Agrisapori), Paolo Capresi (Mediaset), Sandro Capitani (Radio Rai), Rosalba Carbutti (La Nazione, Il Resto del Carlino, Il Giorno), Salvatore Marchese (Guida dei Ristoranti L’Espresso, Barolo & Co., rivista Chef), Giancarlo Colombo (Gran Maestro di Enogastronomia). Nel corso della cerimonia di premiazione, tenutasi

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Raw food Dopo le celebrities anche chef e catene in franchising si dedicano al crudismo, il tormentone alimentare 2014. La cucina stellata e la gastronomia scoprono il crudo. La nuova moda culinaria è il cibo non cotto. Lanciata, come sempre più spesso succede, dalle star. Oltre che per i litigi sugli ascensori e le presunte crisi matrimoniali, Beyoncé e il marito Jay-Z, per esempio, avevano fatto parlare di sé l’anno scorso perché dopo 22 giorni di dieta rigorosamente raw e vegan erano apparsi più magri e in forma che mai. Soprattutto lei. Ma dopo questo regime strettissimo di crudismo, come si chiama in Italia, in versione vegana, si sono fatti trovare a mangiare pappardelle con l’aragosta a Miami. Non proprio raw e nemmeno vegan. Ma almeno hanno contribuito a lanciare, insieme ad altre celebrities, come Demi Moore, la principessa Kate Middleton e perfino la burrosa Scarlett Johansson, il trend di una dieta che, insieme ai green smoothies a cui è spesso associata, verrà ricordata come tormentone alimentare-salutista del 2014. Anche a New York, ovviamente.

a mangiare anche meno. Tuttavia, Silverman, anche se vegano al 100% ma non del tutto crudista per quanto riguarda ciò che lui mette personalmente nel suo piatto, garantisce che mangiando almeno un pasto raw al giorno - e con un’insalata si è già risolto il problema è già possibile vedere la differenza. In fondo, ammette, “soprattutto se si è agli inizi di una transizione a una dieta raw è difficile e triste rinunciare del tutto a cibi che sono legati alla propria memoria. Bisogna sempre mettere anche un po’ di felicità in ciò che si mangia”.

Ma cosa dice la scienza a proposito dei presunti benefici di un crudismo rigoroso? In uno studio pubblicato nel 2003 il Da luglio la catena Juice Generation, dottor David Jenkins della University of che offre un nutrito menu raw oltre a Toronto aveva fatto notare come l’obesità centrifughe e frullati, ha aperto il e problemi di colesterolo siano inesistenti suo dodicesimo punto vendita nella tra vegani-crudisti. Anche sottoponendo Grande Mela. un gruppo di persone a ben 63 porzioni E parte di questo successo è dovuto di frutta e verdura al giorno, il loro coleanche allo chef Matteo Silverman che sterolo si abbassava come se stessero si dedica ai piatti raw del franchising prendendo medicinali per questo scopo. dal 2009. Silverman, come tutti i soste- Perfino artrite e reumatismi minitori della raw diet, è convinto che gliorano con una dieta raw, come mangiare frutta e verdura crude, o sot- è emerso da diversi studi condotti toponendo i cibi a temperature che dalla università di Kuopio a Helsinki, non superano mai i 45 gradi, è possibile in Finlandia. Oltretutto, fanno notare mantenere inalterati gli enzimi naturali i sostenitori di questo regime, è e in tal modo a ogni pasto si immagaz- innegabile che una dieta zinano molti più nutrienti. E grazie alla con frutta e verdura gran quantità di fibre ingerite si è portati cruda è più ricca di

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antiossidanti e fitochimici perfino rispetto a una dieta vegana tradizionale e il cibo, non essendo in alcun modo cotto, non presenta sostanze cancerogene come ad esempio quelle che si trovano in alimenti grigliati. Alcuni scienziati, però, come Jutta Huebner, del dipartimento di oncologia della Goethe University di Francoforte, in Germania, fanno notare come alcuni alimenti diventino più preziosi da un punto di vista nutritivo se cotti. È il caso del pomodoro, importante fonte di licopene (fitochimico associato alla prevenzione del cancro alla prostata), ma solo se viene cotto. E comunque, per quanto ricca di antiossidanti, non esistono dati che provino quanto il crudismo sia efficace contro il cancro, hanno scritto Huebner e colleghi in un articolo pubblicato quest’anno sull’In-


Consigli di lettura Titolo: Le virtù terapeutiche dei frullati verdi Autore: Victoria Boutenko Edizioni: Macroedizioni Anno: 2014 Costo: 14,50 euro Se è vero che la stragrande maggioranza di noi storce il naso di fronte ad insalata & affini, è anche vero che esiste un metodo per renderceli meno "indigesti". Ce lo propone Victoria Boutenko, personaggio famoso nel mondo vegan e crudista, autrice del libro "Le virtù terapeutiche dei frullati verdi" tradotto in ben 26 lingue ed ora finalmente disponibile anche in italiano. L'idea dei frullati a base di verdure a foglie verdi è nata dalla insoddisfazione dell'autrice per l'alimentazione crudista abbracciata insieme alla famiglia 20 anni fa per problemi di salute di vario tipo. Sebbene con la dieta crudista molti problemi fossero scomparsi o si fossero attenuati, rimaneva ancora qualcosa da fare. Mancava qualcosa alla loro dieta, le verdure a foglie verdi, appunto, per le quali nessuno in famiglia provava grande simpatia. Lungi dal proporre il consumo di un piattone di lattuga al dì, cosa che scoraggerebbe anche i più motivati di noi, Victoria prova con "i frullati verdi". Niente centrifughe nè estratti o succhi - che non contengono fibre preziose - ma solo frullati preparati con verdure a foglie verdi, anche con frutta e radici o erbe aromatiche che li rendono piacevoli al palato. Perché leggerlo? Indipendentemente dal fatto che si segua una dieta crudista, vegana, vegetariana o mediterranea, bere regolarmente frullati verdi può migliorare notevolmente la nostra salute. L'autrice del libro sostiene che questa straordinaria dieta a basi di frullati è utile per curare malattie quali depressione, perdita di memoria, dipendenze, obesità, colesterolo alto, malattie cardiovascolari, infiammazioni, infezioni respiratorie, disturbi intestinali ecc. Provare per credere.

ternational Journal of Cancer Research and Treatment. Piuttosto, sottolinea un altro studio tedesco, si possono rischiare serie carenze alimentari e spesso le donne crudiste perdono il ciclo mestruale a causa di una percentuale di grasso corporeo troppo bassa. Danni anche ai denti, sottoposti a micro traumi per la masticazione frequente di noci e semi o per l’alto consumo di frutti acidi. Che fare allora? Magari aumentate il consumo d’insalate e frullati e consolatevi sapendo che, secondo diverse ricerche, la famosa regola delle cinque porzioni al giorno di

(compreso il breakfast) meglio se green, ossia con spinaci o kale, alias cavolo riccio che negli States sembra il nuovo toccasana buono per ogni occasione e in ogni salsa, e ancora cetrioli e perfino sedano o qualsiasi altra cosa vi venga in mente che sia verde, che appartenga alla categoria “verdure” e che sia piena di fibre. Il punto, infatti, sta proprio qui: cercare di ottenere un alimento che sia un concentrato di vitamine e minerali ma che non abbondi troppo con gli zuccheri. C’è addirittura chi consiglia di sostituire la banana - tra gli ingredienti preferiti anche per la densità che dona al frullato - con dell’avocado, altrettanto pastoso, ma meno zuccherino e ricco di omega 3 e altri grassi “buoni”. Le ricette per ottenere il migliore e più salutare “green smoothie” abbondano sia online che in libreria. Tra le ultime pubblicazioni in America segnalo “The Healthy Smoothie Bible”, uscito ad aprile, in cui la salutista di origine iraniana Farnoosh Brock, già autrice di una “Bibbia” sui succhi, in 108 ricette spiega come disintossicarsi, perdere peso, combattere le malattie e vivere più a lungo a suon di frullati. Oppure l’ultimissimo “10-Day Green Smoothie Cleanse: Lose Up to 15 Pounds in 10 Days” della New York Times bestseller e nutrizionista JJ Smith. Benché sia uscito solo il 1 luglio, su Amazon ha già oltre 1800 recensioni di cui più di 1500 sono da “5 stelle” ovvero massimo gradimento. Nei commenti si legge di gente che grazie a questa dieta disintossicante

frutta e verdura è più che sufficiente per diminuire il rischio di malattie cardiovascolari. FRULLATI VERDI Spinaci, cavolo riccio, cetrioli: questi alcuni dei "verdi" ingredienti per ottenere un alimento che sia un concentrato di vitamine e minerali ma che non abbondi troppo con gli zuccheri. Smoothies a ogni ora del giorno Artù n°65

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Verde wasabi Piccante ma non solo. Tra i benefici per la salute che vanta il wasabi ci sono proprietà antimicrobiche, antinfiammatorie e anticancerogene Sebbene la maggior parte della gente pensa solo a quella pasta verde servita insieme al sushi, il wasabi è uno dei prodotti dietetici più importanti sul mercato. La Wasabia Japonica, conosciuta anche come rafano giapponese, vanta una vasta gamma di benefici per la salute. Che cosa rende il wasabi così sano? I benefici per la salute del wasabi non dovrebbero sorprendere se si considerano i suoi legami familiari. Il wasabi proviene da una cricca di élite: la famiglia Cruciferae, che include star per la salute come broccoli, cavolini di Bruxelles e cavoli. Tutti i membri della famiglia Cruciferae sono disintossicanti ma il wasabi sembra avere una marcia in più. Ecco alcuni dei più importanti benefici per la salute del wasabi: anticancerogeno. Il wasabi è ricco di precursori di sostanze fitochimiche chiamate isotiocianati. Queste sostanze chimiche non solo danno al wasabi il potere di “infuocare” la lingua al primo assagggio, ma proteggono l’organismo contro le malattie. Gli isotiocianati sono le stesse sostanze chimiche presenti nei broccoli e nei cavoli che combattono il cancro in modo naturale. Queste sostanze chimiche attivano degli enzimi nel fegato che disintossicano dagli agenti cancerogeni prima che possano danneggiare il corpo. Inoltre possono interferire con altre fasi nella formazione e diffusione delle cellule tumorali. Antimicrobico: il wasabi è anche un agente antibatterico naturale e contribuisce in tal modo a proteggere contro intossicazione alimentare, che torna utile quando stai mangiando pesce crudo. Il wasabi può mettere fuori gioco alcune forme di e. coli e stafilococco, ed uno studio sudcoreano del 2004 condotto dalla Kangrung National University, dimostra che può prevenire l’ulcera. Iinoltre, può anche aiutare a proteggere la salute dei denti inibendo la crescita dei batteri che si formano nel cavo orale. Antinfiammatorio: oltre alle proprietà anticancerogene e antibatteriche, il wasabi è anche un rimedio antinfiammatorio naturale. L'infiammazione è la causa principale nella comparsa delle malattie croniche degenerative, quindi è fondamentale consumare un'ampia varietà di alimenti anti-infiammatori ogni giorno. Grazie agli effetti anti-infiammatori del wasabi e la sua capacità di inibire l'aggregazione delle piastrine del sangue (che potrebbe portare alla formazione di pericolosi coaguli), questa radice di origine asiatica offre una protezione significativa anche contro infarto e ictus. Detox: disintossicante naturale. Per mettere la ciliegina sulla torta (o il wasabi sul tonno, per così dire), il wasabi ha anche potenti proprietà disintossicanti, in particolare per il fegato. Aiuta a rimuovere le sostanze tossiche immagazzinate nei tessuti grassi del fegato. Real wasabi Purtroppo, la maggior parte dei "wasabi" servito al sushi-bar è fatto di senape, rafano, e coloranti alimentari. Il vero wasabi è costoso, e non è detto che si trovi nei ristoranti giapponesi, anche nei migliori. Tradizionalmente, il wasabi fresco viene grattugiato al momento al tavolo, perché il sapore - e la maggior parte dei benefici per la salute - si perdono in 15 minuti. A meno che non si aggiunge subito l'aceto o un altro acido al wasabi grattugiato per preservarli. Ecco perché oggi il wasabi viene prima congelato, poi liofilizzato e trasformato in una polvere: in questo modo non avviene la reazione chimica e si mantengono il “piccante” e i benefici. Se volete il vero wasabi assicuratevi di leggere con attenzione l'etichetta di qualsiasi prodotto "wasabi" che trovate sugli scaffali.

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a base di frullati è riuscita a perdere anche sette chili in 10 giorni. Certo, bisogna vedere da che base partivano e non ci sono dubbi che, per chi vive di fastfood, passare a un regime di smoothies al cetriolo sia uno shock metabolico non indifferente. ABC DELLO SMOOTHIE Ma qual è l’abc dello smoothie? A frutta e verdura potete aggiungere proteine in polvere per dare una carica in più e latte a vostra scelta, da quello classico a quello di soia e mandorla se siete intolleranti al lattosio. Anche yogurt se preferite. Chi vuole contenere le calorie può diluirlo anche solo con un po’ d’acqua o di tè, in modo che risulti più diuretico. Ogni smoothie che si rispetti prevede ghiaccio da frullare con tutto il resto, ma per non bere qualcosa di troppo freddo al mattino è preferibile usare frutta congelata (potete pelarla, tagliarla e congelarla voi oppure prendere le buste già confezionate). Ma alla fantasia e al gusto personale non ci sono limiti, perciò sbizzarritevi. Non ci sono grandi controindicazioni. Tuttavia, la prima obiezione che muovono i più pignoli è che lo smoothie rischia di essere un concentrato di calorie che non saziano a lungo in quanto, essendo le fibre frullate e quindi più fini, passano attraverso l’apparato digerente troppo alla svelta. È molto soggettivo. Di sicuro si ha un’immediata sensazione di pienezza per il volume del liquido, ma dopo due o tre ore alcune persone possono avvertire fame anche se la versione “green” e alcuni grassi presenti come avocado o semi tritati insieme al resto aiutano a resistere più a lungo. Secondo alcuni studi la differenza nel

livello di sazietà tra fibre frullate e non è solo del 2% e anzi, se sono più fini, danno meno problemi a chi soffre di disturbi intestinali come la colite. A fare la differenza è piuttosto la mancanza di masticazione che, come si sa, aiuta a sentirsi pieni più a lungo e induce a mangiare di meno. Per alcuni, poi, frullare gli alimenti ne compromette le proprietà nutrizionali. Su questo mi sento di dissentire in pieno. L’unica accortezza da rispettare è di consumare il frullato nel minor tempo possibile da quando lo si ha fatto perché più rimane in frigo, più le vitamine se ne vanno. Ma questo vale anche solo per la frutta o la verdura semplicemente tagliata. E, magari, evitate di lasciare a mollo la frutta perché vitamine solubili come la B e la A vanno perse se non si utilizza il liquido. Infine, meglio non frullare troppo a lungo in quanto con il possibile calore dell’attrito si possono alterare soprattutto vitamine come la C, l’acido pantotenico (vitamina B5) e talvolta la A anche se è più stabile. Per il resto, enjoy your smoothie! Seguiteci anche su www.corporesanomgazine.it



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The Ordinary Market Testaroli e Birramis첫

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di Luisa Contri Food, drink & music. Sono i tre ingredienti di Tom, locale aperto il 18 settembre scorso a Milano, in via Molino delle Armi angolo via Chiusa, da un gruppo di soci, per lo più giovani e con alle spalle esperienze nel mondo del food e dei locali della sera e della notte. Tom è al tempo stesso il nome del “cliente tipo” del locale e l’acronimo di The Ordinary Market, inteso a esplicitarne il concept. Frequentatore ideale del Tom è un giovane che ha girato il mondo e i locali delle città più vivaci e che nel suo tempo libero ricerca un luogo accogliente e informale per spizzicare, mangiare, bere un drink, ascoltare musica di tendenza, intrattenersi con gli amici. “La clientela che pensiamo di poter attrarre - spiega ad Artù Marco Sala, il socio che più direttamente si occuperà degli appuntamenti musicali del Tom - non è però necessariamente solo giovane. Va dai 20 ai 50 anni. Puntiamo a un pubblico trasversale, anche se, soprattutto inizialmente per i contatti personali che già abbiamo, buona parte dei frequentatori proviene dagli ambienti della moda e del design”. Tom, The Ordinary Artù n°65

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Market, come anticipato, vuol essere un locale dall’impronta cosmopolita, ma anche un luogo accogliente come un ambiente domestico, fruibile in modi diversi a seconda dell’orario. L’apertura sarà prolungata dalle 11,00 del mattino fino alle 3,00 di notte nei giorni infrasettimanali, e dalle 18,00 alle 3,00 di sabato e domenica. Due le sale pronte ad accogliere la clientela: quella più esterna svolge la funzione di bar-ristorante, con una settantina di sedute tra sgabelli lungo il bancone del bar, divani e puf che ricreano un'ambientazione da salotto di casa. Come in un’abitazione regnano stili e materiali diversi: sia vintage anni Sessanta e Settanta che di foggia più classica, sia in pelle che in legno. L’ambiente più interno e leggermente sopraelevato, separato da pareti in legno e da una tenda fonoassorbente, è invece arredato in stile wharehouse e ospita il club The stock con il suo bancone bar indipendente, la postazione per il dj e uno spazio anche per ballare. La sera, infatti, dalle 23,00 in poi, si suonerà musica dal vivo: elettronica, houseseed, deep house e altri generi. “Nel 90% dei casi - precisa Sala - l’ingresso sarà libero. Non si pagherà insomma un biglietto per ascoltare la musica. Abbiamo comunque voluto separare i due ambienti per farli vivere in modo indipendente e far sì che chi sta cenando possa farlo in piena tranquillità. Soltanto dopo mezzanotte, mezzanotte e mezza, alzeremo un po’ il volume della musica dell’area club. Di giorno, invece, anche la sala club sarà a disposizione della clientela che vorrà consumare un pasto. Da 70 coperti potremo salire così a 100”. Marco Sala rivela dunque tutta la sua expertise nel campo musicale, e forse sarebbe stato diverso se avessimo parlato con Davide Zerbi (Divina, Bar Bianco) o con Marco Mottolese, ex responsabile controllo qualità food della società di catering DO&CO, gli altri due soci del Tom. L'impressione generale è che il locale sia stato studiato nei minimi dettagli per quanto riguarda il concept, e che invece si sia

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voluto caratterizzare un po’ meno, in attesa dei feed back che arriveranno dalla clientela, l’offerta food e drink. “Oltre a essere un locale unico nel suo genere nel panorama milanese si limita a dire Sala - Tom si propone come un’alternativa rispetto alla 'ristorazione sedentaria' (è in questi termini che Sala si riferisce ai ristoranti dall’impostazione classica, ndr) che ci pare sia un po’ finita, almeno per un particolare tipo di pubblico. Certo, è sempre bello andare a cena, sedersi in compagnia, ma lo si fa una, due volte la settimana. Tendenzialmente la gente ha sempre più voglia di condividere dei piatti, di bere un drink in un ambiente più movimentato”. Sia come sia, Tom sembra aver fatto una scelta di qualità delle materie prime, in cucina come dietro al bancone bar, e del capitale umano. Oltre che una scelta d’internazionalità. La cucina è stata affidata a un giovane chef italiano con alle spalle importanti esperienze in Spagna. “Per dare internazionalità al menu, senza per questo rinnegare le nostre origini italiane - racconta Sala - abbiamo chiamato lo chef Ales-


sandro Cresta, che ha collaborato per tre anni a Madrid con Sergi Aiola, due stelle Michelin. Non so con che frequenza cambieremo il menu, ma abbiamo una carta, a mio avviso, molto interessante e ricca. Si tratta di una trentina di proposte fra tapas, street food, piatti forti e dessert, con la possibilità di scegliere fra piatti della cucina internazionale e specialità tipiche italiane a costi contenuti. I nostri piatti e cocktail più cari, alla carta, costano 15 euro. La spesa media, sempre à la carte, prendendo un paio di drink e tre piatti, si aggira sui 35 euro. Mentre a pranzo l’offerta business si articola in tre fasce: da 9 o 12 euro e à la carte”. Restando in ambito food, fra i crudi si può spaziare geograficamente con il Cevice di cernia marinata al lime, peperoncino, cipolla rossa e coriandolo, con shot di leche de tigre o con la tartare di tonno thai condita con vinaigrette di lime, zenzero, soia, olio evo e olio di sesamo, oppure restare in patria col filetto di fassona battuto al coltello condito con olio evo, sale, pepe, tuorlo d’uovo e pane tostato. In alternativa il

capocollo della Valle d’Itria, fiocchetto di Parma e bresaola della Valtellina con stick di formaggio e confettura di stagione. Stesso discorso vale, nei piatti forti, col risotto light con gamberi, lime e avocado, Tom’s idea! o col Lomo saltado condito con soia, coriandolo, cipollotto e pomodoro su patate fritte oppure con le bombette della valle d’Itria, Tom dice “wow”!!! o col Testarolo della Lunigiana, olio evo e parmigiano vs pesto genovese fatto in casa. Italiani, ma non troppo, gli street food Stereosandwich con roastbeef, capocollo della Valle d’Itria, salsa caesar, pomodori, lattuga e fontina e il filoncino al sesamo con stracciatella pugliese, acciuga del cantabrico, pomodoro disidratato e basilico. E i dessert Birramisù con shot di birra artigianale e spuma catalana, mousse di biscotti al miglio e gelato al mandarino. Se la brigata di cucina si compone di cinque-sei persone e in sala sono in tre o quattro, dietro i banchi del bar è previsto che a regime ci siano tre persone, coordinati da Cristiano Tito, 26 anni, già direttore al Marc Jacobs Cafe di piazza del Carmine a Milano. Grazie alla sua esperienza l’offerta di cocktail sarà ampia e di qualità, affiancata da spirits premium, champagne e da una scelta di vini per lo più biologici e birre artigianali. Artù n°65

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Fonteverde, dopo la chianina un tuffo nella spa di Gualtiero Spotti È la zona forse più selvaggia e meno conosciuta della Toscana. Quell’area di confine con il Lazio e l’Umbria dove si mescolano culture e sapori, dove si respira quasi l’aria della capitale, ma al tempo stesso il paesaggio si rivela dolce e rilassante tra ulivi, campi coltivati, colline e strade tortuose tutte da scoprire. Senza dimenticare l’acqua termale che qui è da millenni, forse, la risorsa principale di questo prezioso e inaspettato territorio. Il centro abitato più importante e il fulcro dell’intera zona rimane certamente San Casciano dei Bagni, un paesino arroccato in quest’angolo sud della Toscana dove si rivela appieno un’anima wellness particolarmente spiccata, grazie alla presenza sul territorio, ormai da diversi anni, di uno Spa Resort la cui fama supera ampiamente i confini nazionali. Una

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destinazione che, nonostante l’attitudine rurale, attira l’attenzione di una clientela decisamente internazionale, sempre piuttosto facile da incrociare a Fonteverde, in una delle innumerevoli piscine all’aria aperta (ma riscaldate, visto che la struttura è aperta tutto l’anno) o nelle sale trattamenti e massaggi di un albergo con centro benessere tra i più completi della regione. Fonteverde è anche parte di una “collection” di hotel che comprende in Toscana anche Bagni di Pisa e Grotta Giusti, e che si pone come centrale a un progetto capace di andare oltre la semplice idea di destinazione finale per gli amanti delle terme. L'offerta delinea un ventaglio di servizi capaci di attirare una clientela variegata, che ama il relax e il senso di pace, il gusto per il bello: il palazzo che ospita l’albergo è infatti un'antica dimora medicea del diciassettesimo secolo, dove si può godere delle cure dedicate al corpo e alla propria bellezza (basta provare un semplice massaggio all’olio

o uno dei trattamenti legati alle discipline orientali per rendersene conto) oppure usufruire dei benefici dell’acqua calda termale nella quale immergersi in ben sette piscine e che, volendo, si può anche bere da una fontana per depurare l'organismo. Fonteverde è aperto anche alla clientela esterna, ma il flusso di presenze è opportunamente regolato per mantenere la massima discrezione nei confronti di coloro che, invece, soggiornano in una delle stanze dell’albergo. Inutile quasi dire che altre possibilità vengono dalle pratiche fisioterapiche presenti nel menu della spa o dall’ampia area fitness messa a disposizione degli ospiti. Meno scontato invece che la cucina rappresenti uno dei punti di forza, grazie alle qualità di Salvatore Quarto, cuoco dalle origini pugliesi ma dai trascorsi unicamente toscani. Qui è ormai alla guida del ristorante Ferdinando I da qualche stagione e sa come stimolare la curiosità offrendo una selezione di piatti giustamente


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calibrati sulle tipicità locali. Anche se, tra una chianina e l’altra (che in menu non manca certo), spicca la doverosa attenzione verso le esigenze della clientela wellness grazie a un percorso denominato Equilibrium, magari da abbinare allo stesso già presente nella Spa. I piatti in questo caso sono più leggeri e sono preparati con l’idea di prevenire gli effetti negativi dello stress e favorire l’equilibrio psicofisico. Ad esempio, degustando il pesce spada alla griglia con capperi e olive o il baccalà fritto con maionese al lime. Per tutti gli altri, invece, rimane la possibilità di spaziare e di scegliere tra qualche piatto del giorno e diverse preparazioni della classica tradizione toscana. Dal cinghiale in umido alle

bacche di ginepro ai pici fatti a mano con salsiccia, broccoli e mollica di pane rosolata, passando per il tonno di coniglio sott’olio con patate al ramerino. Oppure nei due intriganti percorsi denominati Monte Cetona e Monte Amiata, che omaggiano le buone cose dell’area intorno a San Casciano. È una cucina sicuramente più carnivora e di terra, nonostante le origini del cuoco, e che sa lasciare ampio spazio al gusto e al piacere di stare a tavola in un ambiente raffinato e discreto. I mesi di novembre e dicembre, poi, vedono come protagonisti proprio i tre cuochi della Fonteverde collection: Salvatore Quarto, Giuseppe Argentino (di Grotta Giusti) e Umberto Toscano (di Bagni di Pisa) che a turno incroceranno le padelle nei tre Spa Resort in una gourmet festival itinerante, per mettere in scena cene a “quattro mani” dedicate alla cultura del mangiar sano e all’utilizzo di ingredienti genuini. Protagonisti del mese di novembre le castagne dell’Amiata e la cinta senese proprio a Fonteverde, mentre a dicembre ci si sposterà a Bagni di Pisa per andare alla scoperta del Mucco pisano e del tartufo di San Miniato, prima di concludere la kermesse a Grotta Giusti con il cinghiale e il pecorino scoppolato della Garfagnana. Fonteverde rimane una destinazione perfetta per un weekend di stile, un Leading Hotel per riscoprire se stessi, concedersi una full immersion nella natura e rigenerare il proprio corpo. www.fonteverdecollection.com

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A Parigi niente crisi i ristoranti sono strapieni

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di Gualtiero Spotti Parigi è una città che vive diversamente il momento delicato della ristorazione, dato dal perdurare della crisi economica presente in buona parte del continente. Lo si avverte girando per la città, frequentando i numerosi bistrot o semplicemente buttando l’occhio nei grandi ristoranti da fine dining degli arrondissement centrali. La grande massa di turisti, unita alla ben nota e sviluppata cultura francese per il bien vivre e per il buon cibo, in qualche modo assorbe agilmente i problemi che la ristorazione sta vivendo ormai da lungo tempo.

alcuni dei ristoranti parigini presenti nella guida Chateaux&Hotels Collection, quella presieduta da uno dei guru della cucina d’oltralpe, Alain Ducasse, per rendersene conto. Lo charme, quello vero, come dice bene il motto della guida, viene sostenuto da una capacità di migliorarsi continuamente, di sedurre in qualche modo il cliente, di offrire A questo, poi, va aggiunta una capacità, sempre un’esperienza unica. Per questa più recente, di rinnovamento che ha in- ragione un tour gastronomico nella cavestito molti bistrot e persino qualche pitale francese può essere affrontato a indirizzo storico. Basta scegliere a caso più livelli seguendo qualche opportuna

indicazione, per farsi un’idea chiara di quello che sta succedendo. Tra i tanti ristoranti presenti nella Chateau&Hotels Collection ne abbiamo così selezionati alcuni che consentono di affrontare un percorso stimolante tra le meraviglie della cucina locale. Partendo con una sorpresa, il ristorante Kei, a due passi dal Beaubourg. Questo è il regno bistellato del trentasettenne Kei Kobayashi, cuoco di chiara origine giapponese ma cresciuto professionalmente in Francia alla corte di cucine importanti. Il suo ristorante è di un’eleganza lineare e quasi femminile, da sala da te, con i colori tenui e l’ambiente ovattato che

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creano un originale gusto armonico capace perfino di superare lo zen. Qui sarà un piacere mescolarsi tra una clientela mista (ma molto asiatica in termini di presenze e distribuiti su soli trenta coperti) per stupirsi di fronte a una cucina creativa e al tempo stesso ricca di sapori. E attenzione, tutto tranne che di matrice asiatica. Kei è francese al cento per cento e il suo rigore si manifesta soprattutto nell’estetica e nella cura maniacale dedicata alla presentazione. I suoi sono piatti che vivono di graziose variazioni di sapore al palato, ma anche di qualche incisiva sferzata tipica dello stile di chi ama andare alla ricerca dei migliori prodotti sul mercato globale reinterpretandoli poi a proprio modo. Si passa dal maialino iberico con fagioli e arachidi al risotto al vino rosso con foie gras, tartufo e parmigiano, fino a un piacevolissimo piatto di verdure croccanti accompagnate dal salmone affumicato e da una schiuma di limone. Il risultato però è straordinariamente equilibrato e rivela il talento di un cuoco che ha sapu-

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1912 e permette di vivere la vera atmosfera del bistrot di un tempo. Il cuoco Eric Azoug, trentenne, presenta un menu di specialità francesi, solo in parte rivisitate. Il gusto e i sapori di una volta vengono mantenuti intatti anche se le porzioni si sono sicuramente alleggerite to assimilare bene la lezione della cucina - ma non poi più di tanto - e ci si francese appresa nelle prime scorribande aspetta da un momento all’altro che giovanili in Giappone e che prepara i dalla cucina spunti un’oca inseguita dal piatti basandosi sempre su un dogma cuoco. In carta non mancano la testina assoluto, la presenza di tre diverse tex- di vitello, le lumache (con aglio e erbe), tures. Diverso invece è il mondo di un la zuppa cremosa di gamberetti con cialtro ristorante imperdibile per chi vuole polla, il cassoulet della casa e l’immanentrare a contatto con la grandeur della cabile e gustosissimo filet de boeuf. Un cucina francese. Da Lasserre, in avenue vero tempio del mangiare parigino così Franklin Roosevelt, si tocca la storia, come lo è Allard, sulla Rive Gauche, quella di René Lasserre, il fondatore, e nato nel 1932. Qui lavora la simpatica di un ristorante che ha molte frecce al Laetitia Rouabah, giovane executive chef suo arco. Innanzitutto quella, mitica, del (e unica donna a capo di un ristorante tetto che si apre di fronte ai vostri occhi firmato da Ducasse), formatasi al Plaza stupefatti lasciando entrare la luce pari- e al Jules Verne prima di affrontare i gina mentre consumate il pasto. E poi classici di Allard. La cucina è anche qui le tante sorprese che vi vengono raccon- generosa e ricca di suggestioni e perfino tate prima di accedere alla sala del più casalinga, anche solo per gli spazi, primo piano dove ci si siede a tavoli di che sono più ristretti e dove l’accesso grande eleganza. La storia delle piccole “padelline” che un tempo venivano lasciate ai clienti e che permettevano di accedere, dopo averne possedute un certo numero, ad alcuni sconti; l’imponente parete affrescata che scompare alla vista raddoppiando come per incanto la sala al pianterreno, oppure i piccioni (vivi) nella gabbia all’ingresso. Le sorprese non mancano neanche una volta usciti dall’ascensore che conduce al ristorante. Christophe Moret, un tempo delfino di Ducasse, qui si destreggia alle prese con la storia, insieme alla talentuosa pasticcera Claire Heitzler. Anche perché la sosta impone di affrontare almeno qualche piatto classico della casa, come calamari, ricci di mare, caviale e royale, o la t-bone di rombo bretone con carciofi, olive nere e limone, anche se non si può dimenticare il piacere unico di vedersi preparare l’agnello dell’Aveyrion direttamente al tavolo, come accade anche per la definitiva e spettacolare Crêpe Suzette al Grand Marnier. Diverso invece è il discorso per due locali a firma Ducasse, entrambi mitici ed entrambi molto parigini. Il primo, Benoit, è nato nel Artù n°65

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ai fornelli si trova quasi all’ingresso del locale. Si apre il cuore di fronte alle grenouilles (le rane) con patate in cocotte che arrivano al tavolo, all’anatra di Challans con olive o al rognone di vitello in salsa Madeira. Difficile la scelta anche al momento del dolce, tra l’Ile Flottante alla vaniglia e il gustoso Savarin al Rhum (vengono portate al tavolo tre diverse bottiglie e si può scegliere con quale liquore bagnare la torta) accompagnato dalla crema Chantilly. Il percorso parigino, infine, e facendo sempre riferimento alla Chateaux&Hotels Collection, presenta anche una nutrita lista di hotel dove pernottare. Vista la dislocazione centrale dei ristoranti un paio di suggestioni comode riguardano innanzitutto il nuovissimo

Eugène en Ville, un albergo che unisce stili barocco e industriale, contemporaneità e Grand Siècle in un mélange davvero singolare. Qui, in 66 camere, alcune con terrazze su interni di quartiere, si respira un’aria internazionale eppure intima e rilassante. Un quattro stelle di grande effetto con un piccolo spazio fitness, una biblioteca e una “cantine” che da sala breakfast mattutina si trasforma per i pasti in un agile ristorante aperto anche alla clientela esterna. Più business come approccio, ma con altre buone carte da giocare, è il Wilson Opéra, albergo con sole trenta stanze a due passi dalla Gare Saint-Lazare. Tra queste le più appetibili sono quelle all’ultimo piano del grande palazzo, dalle quali si gode la vista di Parigi dall’alto, magari sostando su un piccolo balconcino privato. Vi sembrerà di entrare in una dimensione vagamente bohemienne con il centro della città a portata di mano, e alle spalle dell’albergo la curiosa Rue de Madrid, ricca di negozi di strumenti musicali. www.chateauxhotels.com www.restaurant-kei.fr www.restaurant-lasserre.com www.benoit-paris.com www.restaurant-allard.fr www.hotelwo.com www.eugeneenville.fr/en

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Isola di Lanzarote vino e carajacas

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di Maurizio Forte Forse ciò che racconta meglio Lanzarote sono le sue vigne. Questa isola di vulcani, persa nell’Atlantico al largo delle coste africane, battuta dal vento, fatta di una lava appena rappresa e colonizzata solo dai licheni, ha una storia strana e contraddittoria. Sino all’ottocento fu scalo di navigatori e avventurieri, esposta al continuo attacco di pirati e a ricorrenti massacri che hanno lasciato una scia di sangue lunga quattro secoli. Oggi Lanzarote riesce a vivere di turismo senza avervi venduto l’anima, soprattutto grazie al più celebre artista locale, Cesar Manrique. E grazie alla sua coraggiosa battaglia per preservare le caratteristiche e la natura del luogo, Lanzarote si è in gran misura salvata dalla cementificazione selvaggia e dal turismo charter per rimanere una chicca da intenditori. L’unicità dei paesaggi vulcanici, il sapore autentico dei suoi paesini bianchi, la bellezza ruvida delle baie frustate dal vento e dalle onde, ne fanno una meta più adatta ad un viaggiatore in cerca di immagini e sensazioni robuste che ai turisti amanti della movida notturna. Ma torniamo alle vigne, anche se chiamare vigne una serie di conche scavate nella lava sbri-

ciolata e con una sola vite bassa al centro, è un azzardo. Gli zocos, muretti semicircolari costruiti sul ciglio di queste buche con pietre vulcaniche, completano la difesa della pianta dal vento incessante, lasciando la vite libera di crogiolarsi al sole e di assorbire dal suolo straordinariamente ricco di minerali un nutrimento davvero unico. Questi bizzarri vigneti ricoprono le pendici dei vulcani spenti nella parte centrale dell’isola, in particolare si può ammirarli percorrendo la zona della Geria lungo la LZ30 che scorre serpeggiando in direzione NordOvest-SudEst e costeggia le più importanti aziende vinicole dell’isola, tra cui El Grifo, fondata nel 1775, che ospita anche un simpatico museo del vino. Il vino di Lanzarote è particolare come l’atmosfera dell’isola. Si producono, tutti da viti non innestate dato che la fillossera non si è spinta fin là, rossi come il Listan Negra, bianchi dolci come il Moscatel e qualche rosato. Ma è nei bianchi secchi che l’isola esprime il meglio di sé, e non tanto nel fresco ma un po' evanescente Diego quanto nella Malvasia Volcanica. Questo vitigno, giunto dalla Grecia nel XVI secolo, si è adattato splendidamente al terreno lavico: il risultato è un vino di delicati profumi fruttati e di fiori bianchi ma secco e minerale in bocca, perfetto per accompagnare i sapori della cucina

dell’isola. Nel nostro viaggio un incontro particolarmente fortunato è stato con il Malvasia seco Bermejo, complice forse il fatto di averlo gustato sotto un pergolato di fronte alle onde dell’oceano e accompagnato da un delizioso spuntino di mare. Indubbiamente anche il momento ha la sua parte, ma comunque, questo vino chiaro dalle iridescenze verdognole, fresco ma solido, merita certamente più di un assaggio. Un'altra interessante scoperta è la cucina canaria, molto lontana dagli stereotipi di quella spagnola, sia come ritualità (qui

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La ricetta: carajacas

le “tapas” ad esempio non sono di casa, e neppure le cene a tarda ora), che come piatti e sapori. È una cucina mista di terra e di mare, semplice e gustosa, con alcuni elementi tipici che accompagnano ovunque il visitatore, come il curioso “gofio”, una polentina molto morbida di farina di mais macinata finissima e abbrustolita, servita sia come contorno salato che in versione dessert. O le onnipresenti “papas arrugadas”, patatine novelle cotte con la buccia, sbiancate nel sale marino e accompagnate da “mojo verde”, a base di prezzemolo o coriandolo, e “mojo picon” a base di peperone. Queste salse, ottime anche con la carne o col pesce, hanno solo il nome in comune coi più celebri (e piccanti) mojos sudamericani, d’altra parte il termine deriva semplicemente da “molho”, salsa in portoghese. I sapori contadini della cucina di terra si esprimono anche nelle ricche e abbondanti zuppe di carne, verdura e legumi, come il tipico “puchero canario” l’imperdibile “ropa vieja”, il cui nome poco attraente ne esalta tuttavia la natura tradizionale. Piatti che danno il meglio di sé gustati nei

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ristoranti a conduzione famigliare ancora diffusi a Lanzarote, come “La Tegala” nel tranquillo e verace paesino agricolo di Haria, nel NordEst dell’isola, contemporaneamente taverna e centro della vita sociale del borgo, con una sala a lato del ristorante in cui si alternano lezioni di musica, riunioni politiche e partite di carte. Un’esperienza particolare è anche il ristorante “El Diablo”, all’interno del parco vulcanico di Timanfaya, famoso per i barbecue alimentati dal calore sprigionato dalle viscere della terra (anche se per la verità, assieme all’odore stuzzicante di carne grigliata qui si avverte l’inconfondibile aroma di gita di massa…). Scendendo dalle montagne c’è solo l’imbarazzo della scelta tra i molti paesini affacciati sull’oceano e non ancora colonizzati dai tour operator. È sufficiente spingersi nelle baie di El Golfo, Playa Quemada o Famarà per trovare semplici ristorantini dove è possibile gustare eccellenti piatti di mare. Ricordiamo con una certa nostalgia un “caldo de arroz con bogavante”, un piatto di riso leggermente brodoso sormontato da una superba aragosta, da gustarsi senza fretta. Difficile consigliare un indirizzo in particolare ma altrettanto difficili le cattive sorprese se si tengono i sensi all’erta e si presta un po' di attenzione all’ambiente ed agli aromi della cucina. Il piacere della scoperta ripaga la ricerca, quel che è certo è che il ricordo di una pausa ristoratrice a base di pesci e crostacei freschissimi, con la maestosa vista e la possente colonna sonora dell’oceano, è un qualcosa che porterete con voi.

Si puo’ utilizzare come antipasto o come secondo ma… deve piacere il fegato! Marinare del fegato di vitello a fettine per alcune ore in olio, aceto, sale, pepe, prezzemolo fresco tritato, origano, paprika dolce, semi di cumino. Scolarlo bene e saltarlo brevemente in padella senza aggiungere altro olio. Tagliare il fegato in tocchetti di 3-4 cm e terminare la cottura in casseruola, unendo la marinatura rimasta, per una decina di minuti avendo cura di ridurre ma non consumare tutto il liquido. Servire il fegato condendolo con la salsina così ottenuta e guarnendo con qualche foglia di prezzemolo fresco.


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Lainox: Naboo e la tecnologia del 2.0 di Elisa Facchetti Il mondo della ristorazione professionale deve affidarsi ogni giorno a strumenti di lavoro integrati che sappiano gestire al meglio i tempi e i ritmi delle grandi cucine. Lainox, una delle aziende di punta del Gruppo Ali Spa, si distingue con i propri sistemi universali di cottura, forte di una trentennale esperienza nella realizzazione e progettazione di forni misti, e oggi più che mai con il sistema Naboo e le nuove opportunità della tecnologia applicata al Cloud. L'eccellenza, ambizioso obiettivo, può essere raggiunta affidandosi a strumenti d'avanguardia, soprattutto nell'ambito della cottura. Con i propri sistemi universali di cottura, già nel 1981, Lainox lanciava la prima versione del forno ad aria calda ventilata proiettandosi nel mercato italiano ed estero grazie al forte spirito di imprenditorialità e innovazione. Con Lainox Cooking System, si possono infatti gestire tutti i percorsi caldi e freddi in cucina: cottura, servizio, mantenimento caldo, abbattimento, conservazione fredda, rimessa in temperatura, funzioni indispensabili per gestire al meglio l'organizzazione durante la preparazione delle pietanze. Da impresa manifatturiera ad "application company", l'azienda di Vittorio Veneto si è evoluta nel tempo con l'obiettivo di trasformare i propri strumenti di cottura in "device for cooking", veri e propri collaboratori in aiuto agli chef. Un'evoluzione tale da considerarla rivoluzione con la nuova generazione di forni combinati: nel 2013 nasce Naboo, pura tecnologia al servizio della praticità e del mondo in rete, grazie al costante collegamento a internet, tramite wi-fi, e al Cloud Lainox, ovvero un'enciclopedia di ricette di chef di tutto il mondo. Nel dettaglio Naboo, il primo forno 2.0, utilizza la tecnologia web per rendere il lavoro dello chef più semplice, veloce e ottenere i risultati desiderati, con un semplice click: il Cloud Lainox rappresenta una guida gastronomica realizzata con

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la collaborazione di moltissimi chef di tutto il mondo che hanno contribuito a creare un vasta collezione di ricette. Non solo ingredienti e step delle preparazioni, nel Cloud Lainox è possibile risalire anche alla storia del piatto, le motivazioni per inserirlo nel proprio menu, le indicazioni sugli ingredienti e le quantità, fino alla presentazione finale. Ogni ricetta è corredata di testo, immagini e filmati. Il Cloud Lainox, sistema sempre più apprezzato nel mondo della ristorazione professionale, offre oggi, ad appena un anno dalla sua nascita, nuove grandi opportunità di utilizzo sfruttando tutte le potenzialità della tecnologia Cloud e per fornire, quindi, a tutti gli utenti Naboo, nuove oppurtunità di utilizzo, senza costi aggiuntivi: lo Scrigno Creativo, il Portale del Cuoco, la Sincronizzazione e il Service Remoto. Lo Scrigno Creativo permette allo chef di conservare tutte le sue ricette nel Cloud Lainox e farne una copia delle impostazioni, in modo da utilizzare il proprio "bagaglio culinario" in un secondo Naboo collocato in qualsiasi altra cucina nel mondo. Di grande utilità, la nuova applicazione Portale del Cuoco consente ad ogni utente Naboo di sfruttare un portale creato ad hoc dove modificare o consultare le ricette presenti nel proprio Naboo anche da tablet o smart phone, controllando il funzionamento dell'apparecchio anche a distanza e controllandone l'accensione nonchè effettuare direttamente dal portale il download di tutti i dati. In qualità di fornitore di Artù n°65

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catene di ristorazione, Lainox ha elaborato il servizio gratuito della Sincronizzazione che permette, con un semplice click da qualsiasi parte del mondo, di inviare una nuova ricetta a tutti i ristoranti della catena di ristorazione direttamete al proprio Naboo. Per chi si occupa di ristorazione è fondamentale ricevere nell'immediato, durante il servizio, feedback di natura tecnica. La funzione di Service Remoto sfrutta la tecnologia Cloud anche per il service, garantendo all'utente Naboo la tranquillità di contattare il proprio service, in caso di necessità, da tablet, pc e smart phone. Con la nuova gestione del Cloud, Lainox ha battezzato una nuova generazione di device di cottura in costante aggiornamento ed evoluzione, senza perdere di vista l'alta tecnologia intrinseca a Naboo che ne rafforza ulteriormente l'immagine per elevati standard qualitativi e di design. A rendere perfetta la riuscita di ogni pietanza è compito dei processori tecnici di Naboo e dei sistemi ad esso integrati: cottura Multilivello, sistema Smokegrill che assicura una cottura alla griglia come su barbecue; l'Affumicatura avviene senza combustione garantendo, nel corso della cottura, ottimi risultati; il sistema di Aromatizzazione evita di intervenire manualmente impostando in principio gli aromi più svariati da inserire, mentre la funzione Just In Time indica i tempi di inserimento dei vari cibi per sfornare diverse pietanza nello stesso tempo nonostante tempi di cottura differenti. Facile anche il sistema di lavaggio automatico, che utilizza capsule pluridose di detergente gestite in completa autonomia. Accorgimenti di design hanno reso Naboo ancora più apprezzabile: la maniglia, in alcuni modelli, è sostituita da un'apertura automatica a pulsante; migliorata anche l'ergonomia degli spazi interni e l'interfaccia utente, che grazie a uno studio di visual design appare più intuitiva e facile da utilizzare.

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Chef, champagne, riso Eventi e prodotti alla ribalta Shalai, spumante di Pantelleria Vinisola debutta nel mondo degli spumanti con un moscato demi-sec millesimato nato unicamente da uve Zibibbo. Il suo perlage è un invito a scoprire la meravigliosa isola di Pantelleria, luogo tanto amato dai fondatori di questa nuova cantina siciliana. E se la si ama così tanto si può perfino credere nelle sue contraddizioni e contribuire a valorizzare il territorio e la tradizione. Così è stato per Vinisola, al fine di saldare il legame con questa terra elevando i valori di territorialità in campo enologico, grazie a una produzione in loco di un prodotto simbolo dell'agricoltura pantesca: l'uva Zibibbo. Autoctona dell'isola, da quest'uva ne derivano tre vini Doc: l'Arbaria, un Passito di Pantelleria in purezza, lo Zefiro, un Pantelleria Bianco e Pantelleria, moscato liquoroso. La gamma degli Igp si compone di due vini, quali il Margana, vino bianco, fermo e Barbacane, il rosso da uve di vitigni Nero d'Avola. Capperi, uva zibibbo, pomodoro ciliegino, origano, completano la gamma dei prodotti tipici di questo straordinario territorio, che ha ispirato i fondatori a intraprendere la strada delle bollicine. Nasce Shalai, un moscato demi-sec millesimato da uve Zibibbo, spumante equilibrato e caldo con un perlage esuberante. Testimonianza del rispetto della tradizione è l'utilizzo del metodo MartinottiCharmat, che prevede la rifermentazione controllata in grandi recipienti. Coltivata in piccoli appezzamenti protetti da muretti per ripararla dal vento, l'uva viene raccolta e vinifcata con i metodi tradizionali dei contadini dell'isola, sotto la supervisione dell'enologo Antonio

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D'Aietti. Ne traspare tutta la forza dei fiori mediterranei, degli agrumi, con note di pesca e salvia. Il moscato spumante Shalai è indicato per accompagnare antipasti di pesce crudo e crudités, perfetto con le ostriche e anche con i dolci.

Selezione 7 Stelle, la nuova linea Ho.Re.Ca. di Lucano

L’Amaro Lucano, prodotto a Pisticci, in Lucania, sin dall'ormai lontano 1894, per celebrare 120 anni di storia e successi, presenta la prestigiosa Selezione 7 Stelle destinata a ristoranti, bar ed enoteche, composta da due linee di prodotti: la Linea Anniversario e Fratelli Vena. Testimonial d'eccezione per tutta la campagna pubblicitaria 2015 il pluristellato chef Bruno Barbieri. La Linea Anniversario, creata nell’anno in cui ricorrono i 120 anni dalla fondazione dell’azienda, ripropone in una versione speciale con nuove etichette i classici del marchio: Amaro, Cordial Caffè, Limoncello, Sambuca. L’Amaro Anniversario, riproposto con una gradazione alcolica aumentata per esaltare le note erbacee amaricanti dell’assenzio, del cardo santo e della genziana, è da gustare liscio con ghiaccio oppure con una scorza d’arancia per esaltare il suo caratteristico sapore. Il Limoncello, ottenuto dall’infuso di scorze dei più pregiati limoni provenienti dalle regioni mediterranee italiane, è

da gustare freddo. Nuova versione anche per la Sambuca dove il sapiente equilibrio della ricetta esalta la nota dell’anice stellato, i delicati sentori di spezie e fiori, rendendo il liquore corposo e rotondo. Da assaporare liscia, con ghiaccio, con la mosca (uno o due chicchi di caffè aggiunti) oppure come correzione per l’espresso. Completa la gamma il Cordial Caffè dove il gusto autentico dell’espresso, ottenuto da miscele pregiate, è aromatizzato da vaniglia e cacao. La linea Fratelli Vena comprende tre liquori tradizionali italiani – Liquirizia, Mirto e Nocino - rivisitati in chiave contemporanea sia nella ricetta così come nell’etichetta. Lucano, azienda che rappresenta tradizione e innovazione al tempo stesso, ha recentemente conquistato al Superior Taste Brand Awards 2014 di Bruxelles Tre stelle con l’Amaro e la Sambuca, Due stelle con il Limoncello. Al Concours Mondial, tenutosi nella stessa città, ha ottenuto inoltre la medaglia d’oro per il Caffè, quella d’argento per l’Amaro nella categoria dedicata. Premi che confermano la qualità e la lavorazione di pregio della Selezione 7 Stelle e di tutti i prodotti Lucano. G.M. e G.A.

Con Biscaldi il cacao è da bere Il Gruppo Biscaldi, società genovese dedicata all'importazione esclusiva per il mercato italiano di bevande alcoliche e analcoliche, tra cui eccellenti birre, ha selezionato per il Bel Paese Cacaolat, frullato al cacao realizzato con le migliori fave di cacao, da consumarsi sia freddo che caldo. La sua ricetta, un segreto dal 1933, è stata così apprezzata da diventare una delle bevande più note in Spagna. Da oggi, grazie a Biscaldi, la gamma di Cacaolat sarà presente anche in Italia, nei vari formati in PET da un litro con tappo a chiusura ermetica e il sigillo di sicurezza per garantire una maggiore igiene, e il formato da 200 ml "ready to go".

Entrambi i formati sono disponibili nella versione tradizionale e nella versione 0: 0% zuccheri aggiunti, 0,5% grassi.

Veuve Clicquot e Ferrari connubio perfetto La partenrship tra Veuve Clicquot e Ferrari è nata dal desiderio comune di valorizzare l’eccellenza nella tradizione e soprattutto nell’innovazione. Per celebrare i valori delle due Maison sono stati creati per l’occasione venti set di Jéroboam Veuve Clicquot Maranello Edition, realizzate in edizione limitata con il prezioso contributo, per la realizzazione dei set, di Ferrari che con i suoi artigiani abili nel lavorare


RisotTIAMO Nella foto: Valeria Righetti, Antonio Ghini, Francesca Terragni e Aurora Mazzucchelli. le lussuose pelli, hanno utilizzato le stesse impiegate nell’allestimento degli interni di Ferrari per rivestire manualmente i Jéroboam. Il connubio perfetto è stato presentato alla stampa specializzata il 23 settembre a Maranello, all’interno del Museo Enzo Ferrari. Gli ospiti, tra cui anche il direttore di Artù Alberto P. Schieppati, hanno degustato una cena a cura dello chef Aurora Mazzucchelli, del Ristorante Marconi di Sasso Marconi (Bo), in abbinamento ai diversi Veuve Clicquot: gambero rosso con mortadella e pistacchi accompagnato da Yellow Label; bottoni di rapa rossa e aceto balsamico di Modena con il Vintage 2004; tortello di Parmigiano Reggiano 24 mesi con lavanda, mandorle e noce moscata con il Vintage 2004; maialino con fave secche alla brace e limone accompagnato da Veuve Clicquot Vintage Rosé 2004 e per concludere ravioli d’ananas con ricotta, caffè, uvetta e pinoli in abbinamento a Veuve Clicquot Vintage Rich 2004. A presenziare la serata, Francesca Terragni, Brand Director Veuve Clicquot, Valeria Righetti, Brand Manager Veuve Clicquot e Antonio Ghini, oggi consulente, dopo anni in cui ha rivestito la carica di Direttore Comunicazione e Brand della Ferrari, di comunicazione e direttore di The Official Ferrari Magazine. Photo credits immagini della serata e piatto di Aurora Mazzucchelli: Claudia Calegari.

Barilla Selezione Oro Chef sempre più sostenibile Grande soddisfazione in casa Barilla per i traguardi raggiunti in ambito di sostenibilità ambientale nel settore foodservice. Nello specifico la pasta Barilla Selezione Oro Chef, studiata per la ristorazione, ha ottenuto la Di-

chiarazione Ambientale di Prodotto validata secondo i requisiti del sistema Internazionale EPD® (Environmental Product Declaration), ovvero considerando l’impronta ambientale che il prodotto genera nell’intera filiera di produzione. Emerge dai risultati l’importante traguardo raggiunto: l’emissione di soli 810 gCO2eq per ogni kilo di pasta Selezione Oro Chef nel consumo locale. Infine è stata aggiornata all’agosto 2014 anche la Dichiarazione Ambientale di Prodotto EPD® della Pasta di Semola Barilla FoodService 5kg, che ha raggiunto ulteriori traguardi nelle performance ambientali sul prodotto (www.environdec.com). “L’impegno di creare ogni giorno prodotti 'Buoni per le Persone' e contemporaneamente 'Buoni per il Pianeta' fa parte della mission stessa del Gruppo Barilla - ha dichiarato Marco Gandolfi, Marketing Senior Manager Out Of Home - e la Dichiarazione Ambientale di prodotto EPD® credo sia un elemento distintivo rilevante e contemporaneamente di creazione valore per il mercato business-to-business dei prodotti per la ristorazione”.

Con Riso Gallo la fantasia in cucina non manca mai. Lo sanno bene i numerosi candidati al contest RisotTIAMO, giudicati da una giuria di tutto rispetto composta da Bruno Barbieri, Guido Barendson e Leonardo Romanelli, che hanno decretato le tre migliori ricette. La premiazione, avvenuta davanti a un pubblico di giornalisti e critici enogastronomici, ha visto i finalisti preparare live le loro nove ricette, fino alla tanto attesa scelta dei tre piatti vincitori: per la categoria

3 Cereali Riso, Farro e Orzo vince Simona Deschino, da Cagliari, con il piatto “Profumo di mare”; per la categoria Riso Venere Vincenzo Lozito, da Triggiano (Ba), convince la giuria con il piatto “Anelli di seppia scaloppati al porro e mandorle”; Zahira Fenouri, da Torino, si distingue invece nella categoria Riserva Gallo Carnaroli con il piatto “Risotto con fiori di zucca e granella di pistacchi”. Dopo la premiazione Bruno Barbieri è stato protagonista di uno showcooking con la partecipazione inattesa del maestro Gualtiero Marchesi e della giornalista Roberta Schira. I tre vincitori vedranno la loro ricetta pubblicata sul pack del prodotto Riso Gallo.

Cuvée William Deutz 2002 equilibrio perfetto Storica cantina di champagne, fondata nel 1838, la Maison Deutz ha presentato in anteprima lo Champagne Cuvée William Deutz 2002. Palazzo Parigi, a Milano, ha accolto l'evento alla presenza di Fabrice Rosset, Presidente e Direttore Generale della Maison Deutz, Caterina Boerci e Federico Boerci, rispettivamente Presidente e Amministratore Delegato D&C, distributore in Italia degli Champagne della Maison. La Cuvée William

Deutz 2002 si caratterizza per il perfetto equilibrio tra rotondità e finezze di tre vitigni della Champagne, Pinot Nero, Chardonnay, Pinot Meunier, che danno vita a un perlage fine ed elegante. Al naso il vino presenta aromi floreali e fruttati, dove emerge la pesca bianca, seguiti da note di miele, spezie e zenzero candito. In bocca sprigiona aromi delicati, nei quali si mescolano ciliegie bianche, pesche di vigna e miele. Perfetto abbinato a caviale, il salmerino o la spigola, il foie gras spadellato o con carni bianche leggermente insaporite da aromi esotici. Accompagna il sushi, e in generale tutti i piatti della cucina asiatica, come l'anatra alla pechinese. Artù n°65

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news

In vino “Veritas” Riedel In quale bicchiere bevete champagne? La risposta si cela dietro l'emblema della flûte, "sfruttata", per così dire, anche per altri tipi di bollicine. Uno status symbol che può e vuole essere cambiato, per valorizzare al meglio il superbo bouquet di uno champagne. Nasce da queste osservazioni la creazione di Veritas, la linea di bicchieri ideata da Maximilian Riedel, 11° generazione alla guida di Riedel Crystal: cristallo al piombo, soffiato a macchina, sottilissimo e leggero, prodotto attraverso tecnologie d'avanguardia. Il calice "Champagne" della nuova collezione permette agli aromi dei Blanc de Blancs di svilupparsi grazie al bordo dal diametro più largo, esaltando i profumi in modo più intenso. Il design innovativo del bicchiere si avvale dell'inedito "sparkling point" necessario per esaltare al massimo l’effervescenza di uno champagne. Per gli spumanti Blanc de Noirs derivanti da uva di Pinot Noir vinificate in bianco - Riedel propone invece il calice "Rosé Champagne" di Veritas. La forma si sposa con le caratteristiche organolettiche di questa varietà di champagne per l’ampiezza, generosa, del bevante.

Il “Puro” di Astoria Nei terreni ciottolosi e sassosi dell’entroterra del veneto orientale, soprattutto lungo il corso del fiume Piave, le viti di Merlot hanno trovato nei secoli un terreno ideale

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dove esprimersi. Prova ne è il nuovo Merlot “Il Puro” di Astoria, caratterizzato da sole uve Merlot, una peculiarità che fa di questo rosso un vino morbido ma intenso, dal colore scuro con sfumature violacee, dal profumo di spezie e frutti rossi. La bottiglia che lo contiene ricalca le stesse caratteristiche di solidità, una bordolese imperiale bassa di colore nero. Disponibile nei migliori ristoranti, wine bar ed enoteche a partire da 9 euro.

San Benedetto nominata “Kids Best Campaign 2014”

te protettivo e alle ricette senza conservanti, coloranti e glutine. Le immagine accattivanti delle bottigliette con i protagonisti di Baby Looney Tunes di Warner Bros, rendono i pack divertenti come un cartone animato e tutti da collezionare.

Ais: in “Vitae” l’Italia del vino Si intitola Vitae la nuova Guida di Ais, l'Associazione Italiana Sommelier, prezioso volume - 2.160 pagine - dedicato alla conoscenza del territorio, delle vigne e dei vini che ha coinvolto ben 900 esperti degustatori su un cam-

il Presidente Maietta, volto a far emergere tanto le grandi case vitivinicole d'Italia, quanto i tantissimi piccoli produttori che animano con fermento il territorio nazionale. La guida assegna anche i celebri “Tastevin”, inediti riconoscimenti attribuiti a vini intesi come modelli di riferimento indiscusso o vini che hanno saputo riportare alla luce vitigni dimenticati. Quest'anno sono 25 i Tastevin, prestigioso riconoscimento a chi a saputo custodire e rilanciare l'Italia del vino. Sul sito www.aisitalia.it l'elenco dei vini premiati con “quattro viti” e con il “Tastevin”.

A Napoli la cucina di Mimmo Alba

Nel corso della Licensing Awards Night 2014 organizzata da Warner Bros Consumer Products, al Teatro Vetra di Milano, Acqua Minerale San Benedetto si è aggiudicata il premio Best Campaign 2014 con la linea di prodotti “San Benedetto Kids”. Premiata per la perfetta interpretazione del brand Baby Looney Tunes su un’ampia gamma di prodotti dedicati ai bambini, Acqua Minerale San Benedetto ha saputo infatti sviluppare una campagna di comunicazione di grande impatto e a sostegno del brand Baby Looney Tunes. La linea incontra il gusto dei più piccoli e il gradimento dei più grandi, grazie all’esclusiva bottiglia “Pull&Push”, all’imbottigliamento in ambien-

pione di 28.000 etichette per arrivare a selezionarne 10.000 di circa 2.000 cantina. 400 i premiati con il massimo riconoscimento delle "quattro viti". "La Guida Vitae - spiega Antonello Maietta, Presidente Ais - narra l’Italia del vino comprendendo tutte le realtà, dai grandi vini rossi toscani e piemontesi agli affascinanti bianchi del NordEst, agli spumanti delle aree più vocate, fino ai generosi vini passiti del Sud Italia. In generale, si delinea un panorama caratterizzato da una grande frammentazione che, se da un lato è un forte limite, specie nella comunicazione verso i mercati esteri e comporta un’evidente difficoltà nel fare sistema, dall’altro rappresenta un tesoro inestimabile, da valorizzare con sempre maggiore convinzione”. Una valorizzazione veicolata grazie a un linguaggio chiaro e fruibile, “scritto in stampatello”, come ama sottolineare

Si chiama Cantina San Teodoro il nuovo ristorante dello chef Mimmo Alba, inaugurato nel 2013 nel quaritiere Chiaia di Napoli, nello storico pallazzo San Teodoro. Qui si può ripercorrere la celebre storia delle Due Sicilie grazie ai sapori che suscitano le ricette originali proposte in versione gourmet: timballi di pasta, sartù di riso, sarde, rotolini di baccalà, polpetta di melenzane oltre ad abbinamenti dolci e salati di carni e verdure. In cucina solo materie prime di stagione: il pesce, per esempio, arriva ogni giorno fresco dalla Sicilia, l’olio extravergine d’oliva è quello della Masseria delle Sorgenti Ferrarelle. L’estro dello chef si riflette non solo nello stile in cui il cibo viene cucinato, ma anche nella presentazione, sempre di impeccabile eleganza. Qualche esempio? Pomodoro destrutturato su ricotta salata e crema di basilico, panino sulla caponata e raviolo “pasta alla norma” sono i cavalli di battaglia di Alba. La carta dei vini propone per lo più etichette di provenienza napoletana e campana, con buone referenze italiane, in continuo aggiornamento.



libri

Alfabeti del gusto, Alma, Santa Lucia, M.me Clicquot

Titolo: Italian Taste Alphabet Autore: Alma Editore: Edizioni Plan Pagine: 64 Prezzo: distribuzione mirata

Titolo: A Santa Lucia Autore: Claudio Guagnini e Gaetano Afeltra, a cura di Enrico Guagnini Editore: Intergrafica Verona Pagine: 66

Titolo: I panettoni del sole. Luoghi, volti, storie e sapori del panettone artigianale in Campania Autore: Donatella Bernabò Silorata Editore: Malvarosa Pagine: 200 Prezzo: 25,50 €

Titolo: Vita effervescente di Madame Clicquot Autore: Fabienne Moreau Editore: Skira Pagine: 224 Prezzo: 17,00 €

L’abc gastronomico È appena uscita l’ultima fatica editoriale di Alma. Pubblicato in occasione della presidenza italiana all’Unione Europea e nell'imminenza di Expo 2015, il volume è dedicato al “gusto italiano”: ingredienti in ordine alfabetico e la descrizione di una ricetta, curata da uno chef di meritata fama. Una sorta di abc del nostro grande patrimonio gastronomico. Così, se per la Nocciola Piemonte Igp troviamo le indicazioni del tristellato Massimo Bottura con la ricetta del “foie gras croccantino”, per il Grana Padano Dop ci imbattiamo nei “tortelli piacentini con la coda”, ad opera della stellata Isa Mazzocchi, e non mancano i contributi di Massimiliano Alajmo, Giovanni Ciresa (ora Coordinatore didattico di Alma), Pino Cuttaia, Paolo Donei, Antonia Klugmann, Valeria Piccini, Gaetano Trovato, Luciano Tona e molti altri. Il volume, tutto in inglese, è presentato da Andrea Sinigaglia, deus ex machina di Alma, che si è avvalsa per l’occasione degli importanti contributi di ITA, l’agenzia dell’Ice per la promozione dell’Italia, del ministero dello sviluppo economico e dell’Expo di Milano.

Imprenditore di se stesso Con la prefazione di Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio, questo libro di memorie storiche (ma anche di attuale contemporaneità) è dedicato a uno dei locali storici di Milano, il Santa Lucia, in occasione dei suoi primi 85 anni di vita. Saldamente in mano ad Alberto Cortesi e alla sua famiglia (la moglie Mariuccia guida il Charleston con la figlia Silvia, mentre il figlio Fabio conduce, appunto, il Santa Lucia) di ristoratori che hanno disegnato la storia della città, il Santa Lucia è un ristorante straordinario, “per i personaggi che ha messo a tavola in decenni di attività, ma anche per l’atmosfera familiare che vi si respira”. Di qui sono passati grandi personaggi. Il volume, presentato in una serata speciale, tutta milanese, si è sviluppata sul filo della memoria, di una memoria molto concreta che è stata capace di essere il motore di progetti molto ambiziosi. Non a caso il “toscano” Alberto Cortesi ha saputo creare un network ristorativo di tutto rispetto che comprende, oltre al Santa Lucia, il Torre di Pisa, il Charleston, il Quattro Mori e il Coco Pazzo.

Il panettone campano Per il periodo natalizio non poteva mancare un libro dedicato al dolce più classico, il panettone. A realizzarlo Donatella Barnabò Silorata, giornalista napoletana che ha voltuo rendere omaggio al lievitato per eccellenza, parlando della sua terra, la Campania, dove i pasticceri campani ribaltano i vertici delle classifiche nazionali in fatto di panettoni artigianali, arricchiti con ingredienti tipici del territorio. A seguire entrano in scena 11 pasticceri campani, di cui viene raccontata storia e produzioni: Anna Chiavazzo, Salvatore De Riso, Pietro Macellaro, Giuseppe Manilia, Rosanna Marziale, Vincenzo Mennella, Alfonso Pepe, Stella Ricci, Sabatino Sirica, Carmen Vecchione, Raffaele Vignola. Non mancano informazioni sul rigido disciplinare, questa volta milanese, e alcuni consigli per realizzare un panettone a casa. In chiusura per ogni panettone proposto un vino in abbinamento: 14 etichette di vini dolci di cantine campane suggerite da Tommaso Luongo, sommelier delegato Ais Napoli. Foto di Enzo Rando e prefazione di Alfonso Iaccarino, celebre chef del Don Alfonso 1890 di Sant’Agata sui Due Golfi.

Il lato femminile dello champagne Tutto ha inzio con il ritrovamento, nel 2010, di alcune bottiglie di champagne nel relitto di una nave al largo di un arcipelago tra Svezia e Finlandia. Le bottiglie, risalenti ai primi anni quanranta dell''800, contenevano ancora vino: champagne della Maison Veuve Clicquot. Da qui l'interesse dell'autrice, storica e archivista della Maison, ad indagare sulla vita "effervescente" di Madame Clicquot, che rimasta vedova si arma di un grande spirito imprenditoriale alla conquista di nuovi mercati e del primo champagne millesimato. Tra amicizie, avventure, guerre, lettere e amori, il romanzo dipinge i tratti salienti della vita di Madame Clicquot e del suo spirito combattivo. Delicata e allo stesso tempo intensa, la rappresentazione teatrale organizzata a Milano al Teatro Parenti per debutto dell'"effervescente romanzo": a cura di Andrée Ruth Shammah con gli allestimenti di Elena Martucci, gli attori Anna Della Rosa, Linda Gennari e Corrado Tedeschi hanno fatto rivivere alcuni passi della vita leggendaria di Madame Clicquot, simbolo di champagne eccellente.

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Cia, I Valtellina, Mosto Selvatico Ragionevoli a Gubbio e Milano RISTORANTE LA CIA Via Sant’Ubaldo 06024 Gubbio (Pg) www.lacia.it

Sarà per l’albero di Natale più grande del mondo, sarà per la bellezza del paesaggio e del patrimonio artistico unico, sarà per il tartufo bianco che fa invidia a quello “di Alba”, qui a Gubbio ci si viene sempre volentieri. L’Umbria, sotto il profilo dell’offerta di ristorazione, è forse una delle regioni più “ragionevoli” d’Italia. Ed è per questo che Artù, in questo numero, sceglie proprio un locale eugubino per aprire la sua rubrica fissa. Parliamo della Cia, un nome che ricorda l’agenzia americana di controspionaggio, ma che rappresenta in realtà il nome di un vero e proprio riferimento per i gourmand umbri e non solo, visto che il territorio è meta di un turismo internazionale di tutto riguardo. Alla Cia, ubicata in suggestiva posizione a due passi dalla basilica romanica di Sant’Ubaldo, Paolo Pascolini propone una cucina di puro territorio, che definire a km zero rischierebbe di apparire banale. Qui, infatti, siamo in una sorta di bacino naturale che può offrire il meglio in termini di verdure, erbe, salumi, carni e formaggi, per non dire del tartufo bianco (in autunno) e del nero (in estate). Al netto di una tendenza “acchiappaturisti” che caratterizza un po’ tutta l’Umbria, con le sue botteghe finto antico che vendono tristi bottigliette di olio aromatizzato e paste all’uovo dai nomi pseudomedioevali, va detto che per fortuna - gli artefici di qualità vera sono ancora tanti. Magari un po’ defilati dagli itinerari canonici del turismo di massa, ma ci sono e resistono. La qualità dell’offerta fa la differenza: e il richiamo dell’autenticità vince sempre, soprattutto presso chi è mosso da “curiosità gastronomica”. Il giovane Pascolini, simpatico e cordiale, affiancato dalla sorella Michela, è uno di questi valorosi testimoni della cucina di qualità: fresca, gustosa, succulenta certo, ma equilibrata e armonica nel suo proporsi attraverso piatti di tradizione e di geniale “rivisitazione”. Paolo

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Pascolini è stato il vincitore assoluto, un paio di edizioni fa, del Premio Tartufo di Gubbio, che vede ogni anno chef di tutta Italia concentrati nella preparazione di piatti che elevano il bianco tubero a protagonista assoluto. Bravi. E bravo Paolo Pascolini, che nel suo ristorante di Sant’Ubaldo propone in menu piatti entusiasmanti nella loro semplicità, come i veri strangozzi all’eugubina con pomodoro, pancetta e funghi, o le pappardelle con lenticchie, pomodorini, salvia, o gli agnolotti freschi alle castagne su fonduta di caciotta e tartufo bianco di Gubbio. Piatti di sapori ma non esageratamente sapidi, come i ravioli ripieni di broccoletti e porcini o le lasagne alla farina di canapa con carciofi freschi, speck e scorze di arancia. Dimenticavo gli antipasti, di struggente spessore regionale: i salumi e i formaggi umbri vengono serviti con la crescia calda, appena sfornata, il Bottaccio (pane gratinato al forno con verza, salsicce e formaggi locali) è sorprendente e, quando Pascolini indulge alla creatività, regala emozioni con la zeppola con crema di patate viola e rosso di uovo croccante al tartufo bianco (o nero) di Gubbio. I secondi piatti sono un inno alla tradizione, pur con qualche slancio che non delude: tagliata di vitello al mosto d’uva cotto, fondente di vitello con soffice di patate e verdurine, petto di faraona con foie gras, tartufo bianco e pan brioche. Il capitolo dei dolci ha il suo apice nel ventaglio di crespella farcita con crema alla vaniglia in salsa ai marroni. La cucina di Paolo Pascolini è chiara e netta nel suo sviluppo, non ama le microporzioni, è solida e concreta. Ma sa anche misurarsi con una moderata creatività, che non vuole scimmiottare i grandi chef stellati (qui una stelletta non ci starebbe male, a premiare la correttezza della semplicità, valore sempre più raro) ma che ha una sua impronta personale: il lombetto di maiale con pecorino alla canapa all’agro di limone ne è la conferma. Un ristorante che per la posizione e il numero di coperti, si presta anche a banchetti. Ovviamente, se ne gode meglio la proposta culinaria al di fuori da eventi numerosi, ma è comunque un valore non trascurabile quello di riuscire a “fare

monico e rotondo, aiutato nella sua pienezza dalla qualità dell’olio extravergine di oliva. Il Mosto Selvatico, ubicato in una zona strategica per Milano, dietro quel viale Papiniano giustamente famoso per pizze spontiniane, Esselunga, mercatone rionale e, ahimé, carcere di San Vittore, è un ristorante da una cinquantina di coperti, con un’ottima acustica, elegante negli arredi ma senza ostentazioni nella RISTORANTE mise en place. La forza del ristorante è IL MOSTO SELVATICO l’attenzione ai particolari, nell’ambiente Via Cesare da Sesto 13 ma anche, e soprattutto, nella scelta 20123 Milano delle materie prime: solo freschissime e 02 89406172 www.ristoranteilmostoselvatico.com stagionali, in ossequio alle origini pugliesi del proprietario. Nicola Colella, chef chiuso domenica geniale e innovativo, ha pensato ad una cucina che si ispirasse soprattutto al mare, con piatti di forte carica “evocativa Che bella accoppiata, Nicola Colella, e mediterranea”, ma non ha disdegnato chef, ed Ermanno Gafforini, responsabile gli altri grandi ingredienti della sua terra, di sala! Insieme, grazie a estro culinario come per esempio mozzarella, burrata, e supercollaudata esperienza di ospitalità, stracciatella. Con interessanti divagazioni hanno rivitalizzato questo locale intimo, verso l’offerta casearia di Lombardia e accogliente, raffinato in zona Porta Genova, pianura Padana. Qualche esempio dal a Milano. Colella, chef patron del Mosto menu: fra gli antipasti, tartare di spigola Selvatico, è brindisino e, in quanto tale, e gamberi rossi con erba cipollina, fiore ha notevole padronanza in materia di cu- di zucca ripieno di stracciatella con scamcina di pesce: qui ho gustato alcuni fra i petti in tempura, flan di parmigiano con migliori spaghetti moscardini e cozze fonduta di taleggio Igp; fra i primi, cavatelli degli ultimi tempi. Giusta cottura, perfetta all’astice spadellati con pomodori datterini aderenza del sugo alla pasta, gusto ar- e basilico, trenette con vongole veraci,

numeri” preservando la qualità della linea di cucina, senza asservirsi a facili successi. Riuscire, insomma, a fare l’uno e l’altro, con dignità, correttezza e prezzi onestissimi (si raggiungono a fatica i 30 euro di conto, vini esclusi). La carta contiene tutti i vertici regionali, con una buona selezione di etichette extraregionali.

LEGENDA Cervello incoronato = Memorabile, coerente, ineccepibile per qualità delle materie prime e ragionevolezza dell’offerta Tre corone = Ottima cucina, perfetta esposizione delle voci in menù, ambiente e servizio all’altezza Due corone = Linea di cucina corretta Una corona = Cucina dignitosa e affidabile Corona nera = C’è ancora molto da fare Tre cervelli = Il massimo della ragionevolezza Due cervelli = Ragionevole Un cervello = Abbastanza ragionevole Cervello nero = Scarsamente ragionevole



Numero 65 novembre/dicembre 2014

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Direttore editoriale Alberto P. Schieppati - alberto.schieppati@edifis.it Direttore responsabile Andrea Aiello In redazione Elisa Facchetti - elisa.facchetti@edifis.it Contatti artu@edifis.it - www.artumagazine.it _______________________________________________________________________________________________________

co lo ph o

Hanno collaborato Fiorenza Auriemma, Denise Battistin, Guido Bernardi, Stefano Bonini, Luisa Contri, Davide Deponti, Antonio Ezio, Maurizio Forte, Beppe Francese, Angelo Gaja, Elio Ghisalberti, Isa Grassano, Rocco Lettieri, Alberto Lupetti, Emilio Magni, Gianni Mercatali, Giovanna Moldenhauer, Aldo Nenzi, Anna Pesenti, Alessandra Piubello, Roger Sesto, Gualtiero Spotti, Theo Smith, Claudio Zeni, Stefania Zolotti _______________________________________________________________________________________________________

Art director Claudio Rossi Oldrati

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Foto Richard Haughton e Ryusuke Hayashi (dal mondo Parigi - Kei), Fred Laures (Enoteca Pinchiorri), Pierre Monetta (dal mondo Parigi - Allard, Benoit), C. Sarramon (dal mondo Parigi - Benoit), Stefano Secchi (Casale del mare - Fortulla) _______________________________________________________________________________________________________

Pubblicità dircom@edifis.it

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polpa di riccio, bottarga, gnocchi di bietole rosse con leggera fonduta di Montasio; fra i secondi, rombo chiodato con olive taggiasche, frittura leggera di calamaretti, gamberi e scampi in cialda di parmigiano reggiano. Un menu completo, a base di pesce, non supera i cinquanta euro, una rarità per Milano, possibile solo riducendo al massimo i margini di profitto, pur scegliendo materie prime di qualità indiscutibile. La presenza in sala di un professionista come Ermanno Gafforini, allievo “storico” della Scuola di Stresa, per anni patron dell’Hotel Verbano sull’Isola dei Pescatori, è garanzia di serietà ed efficienza. A pranzo il ristorante si riempie di coppie, uomini d’affari e professionisti, richiamati da una cucina proposta a prezzi davvero ragionevoli: un menu composto da primo, secondo, caffè e acqua minerale è venduto a 15 euro, cifra di assoluta coerenza, se pensiamo che nel menu del giorno hanno ampio spazio preparazioni a base di pesce, come - ad esempio - il primo piatto con i moscardini, memorabile, citato all’inizio. A conferma dell’attenzione verso il momento economico e della volontà del consumatore di trattarsi bene senza sprecare tempo e denaro in esperienze prive dell’ormai fondamentale rapporto fra qualità e prezzo.

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Artù n°65

Sono passati quasi 30 anni da quando la famiglia Manfredi nel 1986 apriva i

battenti de I Valtellina, nella periferia est di Milano. Con l’intento di riprodurre, in un tranquillo angolo di “campagna meneghina”, l’atmosfera della famosa vallata lombarda, e di offrire i piatti della gastronomia valtellinese. La regia dei fornelli è ora affidata al figlio Paolo Manfredi, autore di un menu rispettoso sia della tradizione, sia delle esigenze attuali. Ecco perché sarebbe riduttivo pensare che I Valtellina siano un indirizzo adatto solo ai mesi invernali. Infatti, nella bella stagione si può cenare nel giardino ombreggiato, con una carta che prevede piatti adatti anche alle serate estive. A cominciare dai pizzoccheri, un piatto diventato ormai una vera icona: “Li prepariamo freschi ogni giorno, a mano e con farina di grano saraceno certificata senza glutine di un mulino della Valtellina”, racconta Paolo. “Al posto della verza, usiamo le coste che crescono nel nostro orto di fianco al giardino, condendo il tutto con formaggio Bitto e Casera, e - da un paio di anni - solo con burro chiarificato”. Un’alternativa estiva a questa versione leggera dei pizzoccheri (in carta tutto l’anno) è l’ottimo risotto di stagione con funghi porcini e mirtilli. Indipendentemente dalla scelta del primo piatto (per il secondo, è da provare lo Zigeuner: una sottile fetta di carne di manzo arrotolata su grosso spiedo in legno e cotta sulla pietra ollare); consigliamo di iniziare il pasto con un tagliere con bresaola artigianale (da accompagnare volendo con burro al ginepro preparato in casa), slinzega e violino di capra serviti con brazzadelle, le tipiche ciambelle di pane di segale. Salumi, farine, pane arrivano da piccoli produttori della Valtellina, mentre le verdure provengono dall’orto dei I Valtellina e da una cascina vicina.




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