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Add-on e internazionalizzazione, il fil-rouge del private equity italiano

Nei 5 anni dal 2018 al 2022 BeBeez ha mappato 572 operazioni di add-on su aziende target italiane e altri 137 su aziende estere. Lo sviluppo di piattaforme è un approccio comune sia agli operatori più piccoli sia a quelli più grandi, sia che si tratti di operatori growth sia di buyout.

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Di Stefania Peveraro

Sono oltre 1900 le operazioni di private equity relative ad aziende italiane, tra investimenti e disinvestimenti condotte nei 5 anni dal 2018 al 2022, secondo il database di BeBeez, che oltre ai deal condotti da fondi, include anche operazioni condotte da holding di investimento, Spac, club deal di investitori privati e i disinvestimenti. Un dato che è il risultato di una crescita esponenziale dell’attività: nel 2022 sono state mappate 549 operazioni dalle 497 del 2021 e dalle 360 del 2020. Contestualmente, quello che emerge chiaro è un incremento importante del contributo alle statistiche delle cosiddette operazioni di add-on, cioè acquisizioni parte di aziende già in portafoglio agli investitori di private equity (nel 2022 ben

203 deal su aziende target italiane e altri 45 deal su aziende estere, contro rispettivamente 140 e 50 in tutto il 2021), il tutto in presenza comunque di un sempre significativo contributo dell’attività di investimento diretta dei fondi e delle holding di investimento (204 operazioni da 205 operazioni di tutto il 2021). Le operazioni di add-on peraltro sono un’attività trasversale, che riguarda sia gli operatori di buyout sia quelli growth, sia i fondi di grandi dimensioni sia quelli più piccoli. Sempre nei 5 anni dal 2018 al 2022 BeBeez ha mappato 572 operazioni di add-on su aziende target italiane e altri 137 su aziende estere.

Quello degli add-on è il forte filrouge del private equity italiano, accanto a quello dell’accompagnamento degli imprenditori e/o del management nella fase di internazionalizzazione del business. Così, si va da operatori di mid-market che costruiscono gruppi didimensionidi tutto rispetto, partendo dall’aggregazione di piccole imprese, a grandi operatori che fanno la stessa cosa su scala più larga. Sul primo fronte ci sono così per esempio i casi di build-up nel settore ceramico (Italcer) e dei surgelati (Italian Frozen Foods) creati da Mindful Capital o quello di Italian Design Brands, polo dell’arredamento design nato nel 2015 su iniziativa di un club deal di investitori costituito da Private Equity Partners spa (guidata da Fabio Sattin e Giovanni Campolo), del pioniere italiano del private equity, Paolo Colonna, e degli industriali del settore Giovanni e Michele Gervasoni, affiancati da un gruppo selezionato di investitori privati. Quest’ultimo è ora in procinto di quotarsi a Piazza Affari il prossimo 18 maggio, con per di più Tamburi Investment Partners che acquisirà il 50,7% della holding, facendo quindi da pivot dell’azionariato. Mentre sul fronte delle grandi operazioni, c’è l’esempio del gruppo IT Lutech, controllato da Apax Partners, che ha condotto innumerevoli acquisizioni di cui l’ultima ha riguardato Atos Italia. Un altro esempio è quello dell’altro gruppo software Engineering, controllato da Bain Capital e NB Renaissance, con una partecipazione di NB Aurora, che a sua volta ha chiuso ben oltre 20 acquisizioni.

La crescita per acquisizioni e soprattutto l’affiancamento di imprenditori e manager nel processo di internazionalizzazione è un’attività in cui è poi maestro Maurizio Tamagnini, alla guida di FSI sgr. Costituita da CDP nel 2016, contestualmente alla costituzione di CDP Equity, nell’ambito della riorganizzazione di quello che era il Fondo Strategico Italiano, allora guidato dallo stesso Tamagnini (si veda altro articolo di BeBeez), mentre CDP Equity era nata con il compito di gestire partecipazioni in aziende di grande dimensione a rilevanza sistemica, in un’ottica di lungo periodo, FSI sgr aveva invece l’obiettivo di supportare i piani di crescita di aziende medio-grandi con significative prospettive di sviluppo anche attraverso l’attrazione di capitali esteri e privati

FSI era inizialmente controllata al 100% da CDP, ma già da subito era stato previsto che aprisse il proprio capitale ad altri azionisti e al management. E infatti erano poi entrati

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