Investire Marzo 2020

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Marzo 2020 Euro 5,00

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INVESTIRE | ANNO II | N.14 | MENSILE | MARZO | DATA DI USCITA IN EDICOLA: 6 MARZO 2020 | POSTE ITALIANE S.P.A. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONVERTITO IN LEGGE 27/02/2004 N° 46) ART. 1, COMMA 1, LO/MI

Conoscere, rischiare, guadagnare

SILVER

INSTINCT

Il risparmio si riscopre a 60 anni • La longevità è tutto business per la previdenza e alimenta gli investimenti a lungo termine. • Gli over 65 sono l’unico gruppo anagrafico a non essersi impoverito dal 2008 a oggi. • Pianificazione e successioni, Banca Mediolanum crea una “cabina di regia”. • Fondi aperti in manovra. Casse private, Enasarco si avvicina al rinnovamento

INVESTIRE SPECIALIST

ETICA & BUSINESS, PARLA IL NOBEL SPENCE: «CONCILIARE REDDITIVITÀ E SOSTENIBILITÀ»

LA SECONDA VITA DEI PIR, L’AIM SI PREPARA

• ORO - Molte buone ragioni per comprarlo • MODA - Le griffe pagano il conto dell’epidemia • STATI UNITI - Le elezioni tirano Wall Street

• TALENT - Un portafoglio a prova di virus • TRADING - I robot e la contesa tra mercati • CONSULENTI - Anasf all’ultima curva



EDITORIALE

L’economia oltre il Coronavirus di Sergio Luciano

S

to scrivendo quest’articolo, condiviso con i colleghi della redazione, nel pomeriggio di lunedì 24 febbraio. Stiamo chiudendo questo numero cartaceo di Investire che ora avete tra le mani, stampato. Lo facciamo in un ufficio mezzo vuoto per l’effetto-Coronavirus: stiamo tutti bene, per carità, ma chi lo preferiva ha avuto naturalmente l’ok per lavorare da remoto. Nei giorni che separano questo momento in cui scriviamo dal momento in cui voi state leggendo, ci produrremo sul nostro sito investiremag.it con aggiornamenti di news di ogni genere, soprattutto relative al Coronavirus e alla sue conseguenze, ma la domanda che ci siamo posti, per decidere se cambiare in modo sostanziale questo numero cartaceo oppure no, era obbligata: possiamo scrivere oggi qualcosa che tra dieci giorni abbia ancora un po’ di senso? Sì, ma poche cose. Quindi sarebbe stato sbagliato sovvertire i contenuti predisposti: la coverstory sulla silver economy, le interviste sull’etica nella finanza, tutto il resto. Sono temi importanti, e tali restano, indipendentemente dalla pandemia. La vita continua, ci mancherebbe: ogni crisi ha la sua evoluzione e poi un suo termine. Proviamo allora, e piuttosto, a fissare qualche concetto chiaro sulla crisi e i suoi sviluppi. 1) L’epidemia. A quanto comunicato a oggi dalle autorità sanitarie, il Coronavirus 19 è un’infezione dalla bassa nocività, la percentuale dei decessi è del 2%: una comune influenza, a dispetto dei vaccini, uccide molto di più. 2) La psicosi. Il dato realmente impressionante, e nuovo, è che però non esiste ancora né un vaccino né una cura specifica e che il contagio sembra essere molto facile. I pessimisti dicono che probabilmente si contageranno (ci contageremo) in tanti e che il 4-5% dei contagiati andrà in terapia intensiva… Prospettive indimostrate ma che giustificano la psicosi: infatti, puntualmente scoppiata. 3) Le conseguenze economiche. A risentirne gravemente – inutile farsi illusioni contrarie – sarà l’economia. I contatti interpersonali vengono considerati come imprudenti, anche

quelli necessari; le occasioni di consumo tipiche dei nostri tempi – spettacoli, eventi sportivi, il mangiar fuori – sconsigliate. Gli scambi commerciali internazionali, tanto più. Tutto questo non può che riflettersi in una frenata dell’economia: di quale portata non sappiamo, ma non irrilevante. Sta in noi – in ciascuno di noi – moderare l’effetto psicosi che sta dilagando, appellandosi all’evidenza dei fatti e al buon senso. Non possiamo contare sulle autorità: è normale che seguano il criterio della massima prevenzione. 4) Le contromosse. Il fenomeno conferma uno degli ovvi ma sottovalutati effetti della globalizzazione: l’altissima interconnessione anche fisica che ci lega gli uni agli altri in tutto il mondo. E questa pandemia deve valere come una sorta di monito alla corresponsabilità che l’interconnessione deve indurre nelle autorità sovranazionali. Se l’economia di una serie di Paesi subisce una battuta d’arresto grave come minaccia di rivelarsi quella in atto, le autorità non possono fingere di non vedere. Dovrebbero predisporre compensazioni dei danni: usando le leve della politica monetaria e fiscale per aiutare tutti a superare questa crisi certamente transitoria ma ancora lunga. Le avvisaglie, però, non sono le migliori: l’Europa tace. 5) Un insegnamento. L’origine cinese della pandemia, fatalmente, viene vista in scia con la guerra doganale scatenata da Trump contro Pechino. Niente dietrologie: ma è così, e le polemiche sui dati resi noti da Xi Jinping sull’epidemia sono già esplose. È un fatto che la crisi economica peserà su tutti, non solo sulla Cina in cui è esplosa. Significa che sarebbe stato meglio limitare gli scambi con Pechino? No, o meglio: l’epidemia non c’entra niente. È solo un’evenienza che ci fa riflettere su quanto sia rischioso aver creato un’interdipendenza così profonda con uno Stato totalitario e civilmente lontano anni luce dal resto del mondo, cedendogli sovranità produttiva per il piatto di lenticchie speculativo sui costi rasoterra offerti dal legal-dumping cinese. Ora tutto questo presenta il conto. Con grande scandalo proprio di quelli che ieri speculavano e oggi vogliono chiudersi a Pechino. Speriamo solo che a pagare siano gli speculatori e non chi non c’entrava nulla.

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Registrazione Tribunale di Milano N. 126 del 27/3/1982 Numero iscrizione ROC: 29993 Direttore responsabile Sergio Luciano Caporedattore Marco Muffato Newsroom Marina Marinetti, Davide Passoni, Marco Scotti, Riccardo Venturi,

Raffaela Jada Gobbi, Liliana Nori Hanno collaborato Antonio Quaglio (Consulente del direttore), Rosaria Barrile, Ugo Bertone, Giacomo Damian, Francesco Di Ciommo, Giuseppe D’Orta, Fabiana Giacomotti, Emanuela Notari, Francesco Priore, Monica Setta, Claudio Riva, Nicola Ronchetti, Gloria Valdonio Contributors Enrico Cisnetto, Anna Gervasoni, Andrea Margelletti,

Marco Onado, Matteo Ramenghi, Giulio Sapelli, Franco Tatò Partnership Editoriali Anasf, Assoimmobiliare Redazione info@economymag.it Segreteria di redazione Monia Manzoni Presidente e A.D. Giuseppe Caroccia Editore incaricato Domenico Marasco

Responsabile commerciale Luca Ronzoni Casa editrice Economy Group s.r.l. Piazza Borromeo 1, 20123 Milano Tel. 02/89767777 Distribuzione Pressdi - Via Mondadori, 1 Segrate - 02 7542097 Stampa Stampa Rotolito. S.p.a 20063 - Cernusco S.N. (MI)

marzo 2020

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SOMMARIO Marzo 2020

09 WATCHDOG 11 IL GERMANISTA

di marco onado

La Cina dopo il Coronavirus, un enigma

12 FINANZA REALE 14 III REPUBBLICA

di a.gervasoni

Investire sul capitale umano (e in tecnologia)

di franco tatò

Dopo Merkel: tra i tre litiganti, il quarto gode

di e.cisnetto

Recessione in Italia? Reagiremo e sarà un bene

COVERSTORY LONGEVITY RISK

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RETI

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Benvenuti nell’era della Silver Economy

Smart Ageing: chi ben pianifica è alla metà dell’opera

ENASARCO

BANCA MEDIOLANUM

Mei (Fare Presto): «Così rilanceremo l’Ente»

Il passaggio generazionale va affrontato in modo strutturato

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24

FOCUS PIR MONDO 26 29 30 32 SARÀ BOOM PER L’AIM?

L’Aim si prepara al record di Ipo con il carburante dei nuovi Piani di risparmio

74

L’ANALISI DI RONCHETTI

Riparte la saga dei Pir, la leva fiscale per il secondo boom (illiquidi permettendo)

OBIETTIVO CRESCITA

De Gasperis (Mediolanum Gestione Fondi): «Che assist per l’economia reale»

ISTRUZIONI PER L’USO

Covelli (Ersel): «Che ruolo devono avere i Pir nell’asset allocation strategica»

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76 77 78

COSMOPOLITICA di Andrea Margelletti

Il Coronavirus insegna: nessuno è invulnerabile

QUI PARIGI di Giuseppe Corsentino

La Chiesa anglicana si fa il suo “indice verde”

QUI NEW YORK di Glauco Maggi

Per Wall Street, Sanders è più letale del virus

IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

Big Tech, l’antitrust Usa le accusa di monopolio


PRIVATE BANKING DAL 1973 Banca Euromobiliare, firma storica della finanza italiana, è la boutique finanziaria del Gruppo Credem, focalizzata nella gestione degli investimenti e nell’advisory di alta gamma per imprenditori, investitori istituzionali, professionisti e clientela private.

www.bancaeuro.it Messaggio pubblicitario con finalità promozionale che non costituisce offerta né consulenza finanziaria o raccomandazione d’investimento. Banca Euromobiliare S.p.A. - società autorizzata all’attività di intermediazione assicurativa che distribuisce i prodotti assicurativi emessi da Credemvita S.p.A. Sede legale: via S. Margherita 9, 20121 Milano Iscritta all’Albo delle Banche (al n. 4999) e all’Albo dei Gruppi Bancari tenuto dalla Banca d’Italia - Società soggetta ad attività di direzione e coordinamento (ex art. 2497 bis c.c.) da parte di Credito Emiliano S.p.A. - Aderente al Fondo interbancario di Tutela dei Depositi e al Fondo Nazionale di Garanzia - Società autorizzata e vigilata da Banca d’Italia, CONSOB ed IVASS - www.bancaeuro.it, info@bancaeuro.it. Al fine di assumere una consapevole decisione d’investimento e di comprendere le caratteristiche, i termini, i costi, i rischi e le condizioni relativi ai prodotti, ai servizi ed ai rapporti, prima dell’adesione leggere attentamente i fogli informativi nonché la documentazione informativa, d’offerta e contrattuale, messi a disposizione o consegnati dal consulente di riferimento e/o disponibili sul sito www.bancaeuro.it. Prima di procedere con gli investimenti è necessario valutare l’adeguatezza delle operazioni anche tramite il proprio consulente di riferimento. Gli obiettivi di rendimento non costituiscono garanzia di ottenimento dei medesimi.


SOMMARIO

INVESTIRE SPECIALIST 34 35 36 38 40 42 46 48 50

ANASF/ L’XI Congresso deciderà il nuovo ponte di

comando dell’associazione dei consulenti finanziari

INTEK/ Parla Diva Moriani: Esg, la svolta etica che cambierà il sistema economico e le imprese

INTERVISTA AL NOBEL/ Michael Spence: «Le imprese concilino redditività e sostenibilità» BANOR/ Il fondatore Massimiliano Cagliero:

«Le imprese Esg ottengono rendimenti migliori»

CREDITO & SUD/ Popolare di Bari, una crisi isolata che non riflette la situazione delle banche CERTIFICATI/ D’investimento o per il trading, sono l’antidoto ai tassi bassi dell’obbligazionario

RISIKO BANCARIO/ Con l’Ops di Intesa Sanpaolo su Ubi Banca riparte la stagione delle acquisizioni L’ANALISI DI RAMENGHI/ Chissà se la Lagarde riscriverà le regole Bce del Capital Key?

ELEZIONI USA/ Per tradizione fanno volare lo S&P500. Sarà così anche questa volta?

52 54 58 60 62 64 65 66 68

ASSET CLASS/ Il private capital punta tutte le fiche sullo sviluppo del capitale umano

ORO/ Comprare un Etc, un conto denominato in metallo giallo o monete d’oro? Guida all’acquisto TRADING AUTOMATICO/ Liquidità fantasma e robo-trading: si gioca qui la contesa dei mercati

CONSOB/ Broker abusivi e (non) sul web: ora la Consob può fare finalmente sul serio

BPER/ L’istituto bancario spinge l’acceleratore sulla finanza sostenibile

SEDIE&POLTRONE/ Fabio Dossena è il nuovo investment director di Mainstreet Partners PROFESSIONE CONSULENTE/ Il cf non

è un medico di famiglia ma un architetto. Ecco perchè

POLE POSITION/ Tesla ed Elon Musk, un grande enigma di sorprendente successo

UNA POLTRONA PER TRE/ Sfida sul portafoglio

a prova di Coronavirus

82 IMMOBILIARE

90 WHISKY

83 ASTE IMMOBILIARI

92 AUTOAPPASSIONATI

84 FASHION

94 BIBLIOTECA

86 COLLEZIONISMO

96 EDUCAZIONE FINANZIARIA

88 IL DENARO DEI VIP

98 MALALINGUA

Sorpresa, il vecchio mattone torna di moda

I consigli di due avvocati specializzati

Anche la moda fa i conti col Coronavirus

Sfida Italia-Francia sui vini da investimento

Fanny Cadeo va sul sicuro: Btp e polizze

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marzo 2020

Il ritorno delle micro-distillerie domestiche

Hyundai I10, la tecnologica citycar coreana

Il libro di Greco e Tombari sulle fondazioni

Il denaro è ancora “lo sterco del diavolo”?

E Amadeus disertò gli stati generali grillini


PIANI DI ACCUMULO DEL CAPITALE

MSIM azzera i costi del PAC a partire dal 3 febbraio 2020 Scopri la campagna promozionale sul nostro sito www.morganstanley.com/im Il valore degli investimenti e i proventi da essi derivanti possono aumentare come diminuire e il capitale restituito può essere inferiore a quello inizialmente investito. Ad uso esclusivo dei clienti professionali. Comunicazione di marketing pubblicata da Morgan Stanley Investment Management Limited (“MSIM”). Società autorizzata e regolamentata nel Regno Unito dalla Financial Conduct Authority. Sede legale:25 Cabot Square, Canary Wharf, Londra E14 4QA. Registrata in Inghilterra e Galles al n. 1981121. La promozione potrebbe non essere attiva su tutti i distributori, si prega di verificare l'applicabilità prima della sottoscrizione. © 2020 Morgan Stanley. Tutti i diritti riservati.

2913033 Scad. 01/02/2021 9776612



WATCHDOG Marco Onado È professore senior di Economia degli intermediari finanziari nella Università Bocconi di Milano. È stato Commissario Consob. Collabora con “Il Sole - 24 Ore”, “Lavoce.info” e “voxeu.org”.

LA CINA DOPO IL CORONAVIRUS, CAUTELA D’OBBLIGO

I

l 2020 si è aperto con uno scenario non entusiasmante di crescita globale e dunque con la paura di una minaccia per un lungo ciclo positivo dei mercati, soprattutto azionari, visto che in quelli obbligazionari aumentano continuamente i titoli che offrono rendimenti negativi: ormai il 25 per cento del complesso dei titoli pubblici. E quando si pensa che anche Italia e Grecia si stanno avvicinando a quel mondo irreale, si capisce quanto eccezionale (e preoccupante) sia la fase che stiamo vivendo e che non sembra destinata a finire presto. Lower for longer, più bassi per più tempo (ovviamente i tassi), aveva titolato il suo rapporto il Fondo monetario l’ottobre scorso. Qualcuno recentemente si è chiesto: for ever? L’epidemia del coronavirus non poteva quindi arrivare in un momento peggiore, perché di tutto l’economia mondiale (e cinese in particolare) aveva bisogno tranne che di un ulteriore effetto negativo sulla crescita dell’anno in corso. Nessuno è in grado di quantificare con certezza l’impatto perché ogni epidemia fa storia a sé ed è quindi impossibile prevedere per quanto tempo si protrarrà l’effetto negativo, ma le fabbriche già chiuse in Asia ed Europa sono ormai tante, con fatali conseguenze sulla lunga supply chain dell’economia globalizzata. Quasi certamente dell’ordine di almeno un punto percentuale di crescita in meno per la Cina che è già in rallentamento. L’impatto sulla crescita globale sarà significativo, anche se probabilmente inferiore: si pensi che l’economia cinese oggi è quattro volte più grande rispetto ai tempi dell’epidemia della Sars. E’ il secondo importatore dopo gli Stati Uniti e conta per il 30 per cento nella catena del valore globale, con punte del 40 per Giappone e Stati Uniti. Non si tratta di buone notizie anche per la vecchia Europa. Innanzitutto perché già prima dello scoppio dell’epidemia, il tasso di crescita era crollato al livello più basso degli ultimi sette anni, cioè da quando è esplosa la crisi del debito sovrano. In secondo luogo perché la Germania, che esporta il 4 per cento del suo prodotto in Cina (contro il 2 di Francia e Italia) subirà un ulteriore contraccolpo negativo per la sua industria, già in condizioni non particolarmente brillanti. Tutto questo significa che le scelte di portafoglio che già apparivano così difficili all’inizio dell’anno, si sono ulteriormente complicate, soprattutto per quanto riguarda proprio la Cina, per tanti tempi considerata una certezza di alti rendimenti vista la fantastica crescita della sua economia. Ma come è noto, la crescita cinese è stata caratterizzata anche da un’eccezionale espansione del debito delle sue imprese e dalla proliferazione di un sistema bancario “ombra”. Il guaio è che, dopo l’epidemia, le autorità cinesi, nel tentativo di contrastare gli effetti depressivi, non solo hanno favorito un’ulteriore riduzione dei tassi di interesse, ma hanno “consigliato” alle banche di continuare a concedere prestiti anche a imprese in difficoltà.

GIUSEPPE CONTE E XI JINPING

«Un indovinello, avvolto in un mistero, all’interno di un enigma». Così Churchill definiva l’Urss. Vale ora anche per la Cina Il livello dei crediti deteriorati è oggi al 2 per cento del totale, ma S&P prevede che possa aumentare di quattro volte, vista la grande quantità di piccole e medie imprese che già era considerata ufficialmente in condizioni critiche: più di 30 milioni di imprese (quando si parla di Cina, gli zeri sono sempre tanti) che contano per un terzo del prodotto nazionale. Il rischio quindi che si crei una situazione non lontana da quella del Giappone degli anni ‘90 del secolo scorso, con banche paralizzate dai crediti deteriorati potenziali (si parlò allora di zombie banks) è quindi assolutamente concreto. Dunque un motivo in più per accentuare le cautele ed essere molto selettivi quando si parla di investire nel mercato cinese. Anche perché – come ha proprio dimostrato la gestione dell’epidemia - le caratteristiche di stato totalitario sono sempre presenti, con tutte le conseguenze che ne derivano per la completezza dell’informazione pubblica. Alla Cina si applica benissimo la definizione che Churchill diede dell’Unione Sovietica: «Un indovinello, avvolto in un mistero, all’interno di un enigma». Dovrebbe essere stampato a caratteri cubitali nelle istruzioni per l’uso degli investimenti in Cina. marzo 2020

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IL GERMANISTA Franco Tatò Manager eclettico e innovativo, è tra i pochissimi italiani ad aver diretto aziende in Germania, paese (e cultura) che ama ed è l’unico ad essere stato amministratore delegato sia di Rizzoli che di Mondadori

TRA I TRE LITIGANTI PER IL POSTO DELLA MERKEL, IL QUARTO GODE?

I

l Governo Federale tedesco è alle prese con un crescente numero di problemi politici, economici e finanziari. E c’è minor fiducia, all’interno e all’estero, che sappia affrontare e risolvere le indubbie difficoltà del periodo attuale. Le principali componenti di questa mancanza di fiducia sono l’indebolimento elettorale del partito socialista, ancora partner del governo, ma non si sa per quanto, anche perché si è dotato di una leadership duale orientata decisamente a sinistra e contraria al proseguimento della Grande Coalizione; e soprattutto l’indubbio indebolimento della leadership di Angela Merkel. Il problema è stato evidente fin dal congresso del partito ad Amburgo nell’ottobre 2019, quando i risultati delle ultime elezioni e la divisione dell’opinione pubblica circa la politica di immigrazione, costrinsero la Cancelliera, per mantenere il suo ruolo, ad abbandonare la presidenza del partito affidandola infelicemente alla sua protetta Annegret Kraft-Karrenbauer, poi nominata ministro della difesa e costretta a dimettersi nel febbraio 2020 in seguito alla pessima gestione del disastro elettorale in Turingia e per una evidente carenza di visione e di carisma. Ora la partita si gioca tra i tre validi candidati alla successione alla Merkel come capo del governo, al più tardi nel 2021. Si tratta di Friedrich Merz, sconfitto al congresso per un pugno di voti, di Arnim Laschet, Presidente del Nord Reno Vestfalia e del ministro della Sanità Jens Spahn. A sorpresa si è aggiunto ora Norbert Roettgen, Presidente della commissione esteri della Camera, con una conferenza stampa durata un’ora e mezza, estremamente approfondita nelle analisi e articolata nei contenuti: in sintesi una serrata critica dei ritardi e degli errori di Angela Merkel e una signorile resa dei conti con NORBERT ROETTGEN la Cancelliera che nel 2014 lo aveva cacciato dal Ministero dell’ambiente perché troppo bravo. La carriera politica di Roettgen è caratterizzata da una grande capacità di anticipare i problemi e gli orientamenti dell’opinione pubblica, come nel caso della politica ambientale. Ovviamente non mancano le voci critiche che dubitano delle possibilità di successo di questo candidato indubbiamente pregevole, ma di livello forse troppo elevato. Proprio per il livello dei contendenti ritengo però che non assisteremo a un prolungato lavaggio dei panni sporchi come quello che sperimentiamo oggi nelle primarie americane. Questo, naturalmente, se si potrà arrivare in tempi ragionevolmente brevi all’elezione del nuovo presidente del partito e candidato alla cancelleria alle prossime elezioni, evitando l’esperienza infelice della separazione delle due cariche accettata strumentalmente dal congresso del partito per rispetto di Angela Merkel. Potremmo dire che tutto è cominciato dalla Turingia e che niente sarà più come prima. Il caso Turingia è interessante perché alla chiusura dei seggi, la Cdu

locale, con una fulminea trattativa, ha accettato o addirittura proposto, di formare un nuovo governo con i liberali della Fdp e con l’Afd, facendo crollare autonomamente il muro di sbarramento a destra, assioma inviolabile di un partito cristiano di centro. Su questa base si arrivò all’elezione di un capo del governo liberale, espressione però di un partito che non è più quello di Genscher, ma un imitazione pallida del partito liberale austriaco, che ai tempi di Hader rischiò di condurre al collasso il paese. L’intervento energico e immediato di Angela Merkel ha dissolto questa costruzione e, in mancanza di maggioranze alternative, ha aperto a nuove elezioni, offrendo però ai suoi critici - soprattutto a destra - l’occasione per rimproverarle la violazione delle più elementari regole democratiche, in quanto il presidente era stato regolarmente eletto. Questo disastro è costato il posto ad Annegret Kraft- Karrenbauer, personaggio senza visione e carisma, aprendo una stagione di instabilità politica alla quale gli elettori tedeschi non sono preparati pur essendone i responsabili ultimi. Questo governo, che ha presentato nel 2019 risultati eccezionali, affronta ora un 2020 nel quale fin dall’inizio emergono problemi che scuotono l’intera struttura economica del paese. Mi riferisco all’evidente ritardo nell’economia digitale, alla grave crisi dell’industria automobilistica e alla sensibile diminuzione degli ordini per le industrie che costituivano la struttura portante delle esportazioni tedesche. Malgrado questo, le previsioni per il 2020 non sono catastrofiche. Il governo prevede un aumento del Pil dell’1%, previsione che è considerata generalmente accettabile se non da coloro che ritengono di percepire scosse sotterranee che potranno portare a uno sconvolgimento difficile da affrontare per una leadership diviso e incerto, guidato da una Cancelliera azzoppata. La nomina di Roettgen o di Merz alla successione, sarà il primo segnale dell’accettazione da parte della base del partito di potenziale maggioranza della necessità di interventi radicali per la soluzione dei problemi e per un riposizionamento della politica economica. La situazione più difficile oggi è quella finanziaria, nella quale non si può ignorare un evidente disorientamento delle banche tedesche, anche delle più importanti e rispettate. Se le avvisaglie di crisi dovessero toccare il mondo assicurativo allora saranno necessari interventi urgenti e di carattere innovativo, anche a livello europeo. Sarà la prova del nove per le istituzioni finanziarie europee, che finalmente dovrebbero affondare con decisione una lama nel cuore del sistema bancario e costringere gli istituti ad abbandonare la burocrazia e usare le tecnologie più avanzate per gestire le attività e proteggere gli interessi dei clienti. E’ finito il tempo degli ispettori e delle comunicazioni rituali. marzo 2020

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FINANZA REALE Anna Gervasoni Professore Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese alla Liuc di Castellanza. È anche direttore generale dell’Aifi (Associazione italiana del private equity, venture capital e private debt)

INVESTIRE SUL CAPITALE UMANO, NON SOLO IN TECNOLOGIA

S

i è spesso parlato del ruolo dei grandi investitori in impresa, cioè degli operatori di private capital, come di importanti soggetti finanziari e si è discusso in merito alla necessità di un loro approccio industriale e anche al ruolo e alla filosofia del loro intervento. Quando un operatore di private equity, di venture capital e di private debt porta capitali in azienda, vuole e deve creare valore a prescindere dalla tipologia di operazione che fa. Questo è necessario per ottenere risultati economici e finanziari che giustifichino il loro intervento. Oggi si pone grande attenzione al sostegno dell’economia reale: intendiamo quel grandissimo numero di imprese non quotate che devono nascere, crescere o riorganizzarsi e le opere infrastrutturali di cui ha tanto bisogno il nostro Paese. Il mondo delle aziende italiane è ricco di competenze e di valori che spesso si riconducono a schemi di governance non più coerenti con le sfide contemporanee. Va posta attenzione alla valorizzazione dei profili professionali interni, all’inclusione di nuovi skill utili allo sviluppo. Così come ad accogliere e valorizzare le diversità all’interno dell’azienda. E per diversità non intendiamo solo ed esclusivamente la differenza di genere. Questo sarebbe un errore di prospettiva. Pensiamo anche alla inclusione e alla ritenzione di persone di diverse generazioni che devono convivere in un mondo dove esperienza e sfide tecnologiche devono combinarsi al meglio. È proprio nel mettere insieme persone di differenti culture e competenze che si possono trovare intrecci che creano valore. I nostri giovani fanno percorsi formativi molto diversi dai loro predecessori e questo contribuisce ad ampliare gli orizzonti, soprattutto internazionali. Ma serve anche la profonda conoscenza dei settori e l’esperienza. Quindi contaminazione inserita in un clima aziendale diverso. Nelle complesse sfide in cui si cimentano imprenditori e manager che i fondi di private capital finanziano, si ridisegna l’impresa e il contesto organizzativo. Si investe in imprese innovative e non solo e non tanto perché inglobano nuove tecnologie, ma perché si pongono in modo nuovo sul mercato. Quando si parla di attenzione e rispetto dell’ambiente, dobbiamo guardare innanzitutto ai suoi protagonisti e cioè donne e uomini che lavorano in azienda. Nascono nuovi paradigmi per comprendere le dimensioni dei tempi e dei luoghi di lavoro. Rinnovare, avviare schemi di formazione continua, di reskilling e upskilling vuol dire investire, ripensare le organizzazioADRIANO OLIVETTI ni, motivare le risorse anche con diversi 12

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Sarà il tema dell’anno per Aifi. Perchè oggi, più che in passato, per gli imprenditori è indispensabile ispirarsi alla figura di Adriano Olivetti schemi di remunerazione e allineamento degli interessi. I nuovi azionisti, chi mette capitali in azienda, pongono attenzione alla valorizzazione della risorsa più importante che è il capitale umano. E questo proprio in una società dove la tecnologia spezza tanti schemi operativi. Si creano opportunità. Pensiamo a scienziati e ricercatori che non potrebbero condividere progetti imprenditoriali se non ci fossero operatori di venture capital. A imprenditori che hanno bisogno di una successione organizzata e di attrarre nuove e adeguate competenze professionali o che hanno piani di sviluppo sfidanti che non potrebbero continuare senza il private capital e il private debt. I nuovi capitalisti finanziari devono essere orientati al lungo termine e devono essere capaci di accompagnare attraverso percorsi accelerati di sviluppo e innovazione necessariamente inclusivi di questi temi. Per questo motivo, dopo aver enfatizzato la variabile finanziaria e aver approfondito i temi di internazionalizzazione e di innovazione, quest’anno Aifi, l’associazione che raduna gli operatori di private capital attivi in Italia, si dedica al tema del capitale umano. La maggior attenzione allo Human Capital, non sarà un percorso così complicato nel nostro Paese. In modo non formalizzato gli imprenditori che hanno fatto grande l’Italia, hanno avuto una grande attenzione al capitale umano, sono spesso stati padri di famiglie allargate, i loro dipendenti. Ovviamente i tempi erano diversi ma la nostra cultura va ed è sempre andata in questa direzione. Oggi abbiamo bisogno di crescere e far nascere tanti Adriano Olivetti, imprenditore che in un contesto completamente diverso e con mercati finanziari che poco somigliano agli attuali, incarna molto bene questo concetto. Maggiore soddisfazione e coinvolgimento si traduce in migliori risultati.


www.schroders.it MESSAGGIO PUBBLICITARIO A FINI PROMOZIONALI. PRIMA DELL’ADESIONE LEGGERE IL PROSPETTO INFORMATIVO. Le informazioni fornite non costituiscono un’offerta, né un invito all’acquisto o alla vendita di qualsiasi strumento finanziario. Per saperne di più e per consultare l’elenco dei collocatori autorizzati visita il sito www.schroders.it.


TERZA REPUBBLICA Enrico Cisnetto È un editorialista, economista e conduttore televisivo italiano, ideatore della trasmissione televisiva Roma InConTra. È conferenziere, consulente politico-strategico e tifoso della Sampdoria

RECESSIONE IN ITALIA? POTREBBE NON ESSERE SOLO DANNOSA

A

iuto, ritorna la recessione e non abbiamo (di nuovo) nulla da metterci. Complici una lunga fase di stagnazione cui gli italiani sembrano aver fatto il callo e la cattiva abitudine dei politici di occuparsi d’altro e dei media di andargli dietro, il tema dell’andamento della nostra economia era da tempo sparito dai radar dell’opinione pubblica. “Dobbiamo crescere di più”, era il massimo di focus concesso, fermo restando che al governo, da quasi due anni, c’è anche chi sostiene, o si comporta come se lo sostenesse, che la crescita non è un dogma e che anche la decrescita può essere felice. Ora, però, le cose stanno per cambiare. Intanto è arrivata la notizia (Istat) che l’ultimo trimestre dell’anno scorso il pil è regredito di tre decimi di punto. E questo significa che il 2019 ha chiuso con una crescita dello 0,2% — risultato quattro volte inferiore al +0,8% del 2018 — ma soprattutto che lascia un’eredità negativa al 2020 perché la variazione acquisita per quest’anno è già ora di -0,2%, dato che si otterrebbe su base annua se tutti e quattro i trimestri facessero registrare una crescita congiunturale pari a zero. Poi sono arrivate le previsioni della Commissione europea, che sia per quest’anno che per il prossimo ci assegnano un misero +0,3%, piazzandoci ultimi in Europa, distanziati dal +1,1% della Germania (+286% rispetto a noi) e dal +,14% della media europea (+366%). E infine la banca giapponese Nomura ha per prima parlato di “un’Italia in recessione” nel 2020. D’altra parte, gli indizi si moltiplicano. Per esempio, oltre al -1,3% registrato dalla produzione industriale nel 2019 (“anno nero dell’industria italiana”, ha detto l’Istat) ha lasciato il segno il crollo del comparto delle macchine utensili – uno dei fiori all’occhiello della nostra industria – cosa che rischia di riportare il nostro manifatturiero indietro di anni, vanificando quanto di buono è stato fatto con il piano Industria 4.0 proprio mentre, invece, l’epocale processo di trasformazione tecnologica in atto richiederebbe una grande spinta. A tutto questo va aggiunto l’effetto depressivo sull’economia, nostra e mondiale, che sta introducendo la vicenda del virus cinese, che purtroppo ben presto trasformerà il contagio sanitario in contagio economico. Non si tratta di fare dell’allarmismo, che è già stato profuso a piene mani sia per l’effetto micidiale dei social media sia perché qualcuno ci sguazza, ma a essere realisti il blocco delle 14 province cruciali della manifattura cinese, che producono il 70% del pil nazionale e il 76% delle esportazioni, non potrà che ripercuotersi sulla crescita europea, e su quella italiana in particolare. Anche perché, per esempio, circa metà della doman14

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IL MINISTRO DELLA SALUTE ROBERTO SPERANZA

Se il virus e il ritorno della parola “recessione” spaventeranno un po’ tutti, come fece lo spread nell’autunno nero del 2011, allora ci potrà essere la giusta reazione da di beni di lusso targati “made in Italy” proviene proprio dalla Cina e soltanto nel 2018 sono stati 5 milioni i turisti cinesi arrivati in Italia (il 36% del mercato dello shopping tax free è cinese). E gli esempi potrebbero continuare, considerato che l’interscambio Roma-Pechino conta 13 miliardi di esportazioni italiane e 30 miliardi di importazioni. Inoltre la diffusione del virus in Italia, e i provvedimenti che ne sono seguiti, non potranno non avere un contagio negativo: sui trasporti, sulle attività ricreative, sul turismo, ma anche in termini di rallentamento del business e del lavoro. Chi dunque oggi mette in conto un 2020 italiano all’insegna della recessione non fa dell’allarmismo, ma pratica un sano realismo. Tuttavia, se il ritorno della parola recessione nel linguaggio quotidiano spaventerà a sufficienza – un po’ come fece lo spread nell’autunno nero del 2011 – allora, forse, ci potrà essere la giusta reazione e non tutto il male sarà venuto solo per nuocere. Se invece la crisi economica incombente sarà, come è per il coronavirus, un’altra e più grave occasione di scontro, allora saranno dolori veri. Incrociamo le dita. (twitter @ecisnetto)



LONGEVITY RISK

BENVENUTI NELL’ERA DELLA SILVER ECONOMY di Emanuela Notari e Francesco Priore*

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ongevità è un termine diventato comune di recente per indicare una direzione demografica verso una vita molto più lunga che in passato e un mutamento sociologico verso una popolazione sempre più anziana. Ma dovrebbe anche diventare sinonimo di “business” e non di problemi previdenziali. Perché di fatto un business lo è già... Andiamo per ordine: pur essendo l’Italia il Paese più vecchio al mondo insieme con il Giappone, al contrario di quanto accade in molti Paesi la longevità da noi non è ancora un tema ricorrente, forse perché tendiamo a farla coincidere con la vecchiaia. Ma mentre la longevità è un concetto in movimento, in divenire, la vecchiaia ha un’accezione statica. Ciò che ci sfugge è che tra la longevità e la vecchiaia c’è un vasto territorio abitato da over 60 perfettamente in forma, attivi e produttivi, lavoratori, spesso in carriera o imprenditori, che se non lo stanno già facendo dovrebbero pensare a cosa vogliono essere in futuro, consapevoli che sfioreranno mediamente i 90 anni. Scenario L’aspettativa di vita è cresciuta di 15/20 16

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LA LONGEVITÀ DEGLI ITALIANI NON È SOLO UN PROBLEMA PREVIDENZIALE MA ANCHE UN’OPPORTUNITÀ DI BUSINESS anni dalla metà del 900 a oggi: i 65/69 anni, aspettativa di vita di uomini e donne nel 1950, sono stati sostituiti dagli 80/85 anni di oggi e in prospettiva 90. Ciò significa che a 50 anni una persona in Italia ha davanti ancora poco meno della metà della sua vita e a 65 anni, l’età con cui si fa ancora coincidere l’inizio della vecchiaia, può vivere ancora 20/25 anni. Un quarto della sua vita. Con la capacità di sintesi che gli è propria, Joe Coughlin dell’AgeLab dell’MIT, grande precursore e comunicatore della longevity, dice che chi va in pensione oggi ha davanti qualcosa come 8.000 giorni… da riempire e consumare, possibilmente con soddisfazione. Gli aspetti previdenziali La longevità è prima di tutto una conquista, ma come molte conquiste ha un suo rovescio della medaglia. L’Italia associa a una vasta popolazione di anziani, tendenzialmente sempre più anziani, un tasso di natalità tra i più bassi. Tanti anziani e pochi giovani mettono in difficoltà il sistema pensionistico che per tanto tempo


COVERSTORY si occupa di questioni legate alla longevità, gli Usa e molti Paesi del Nord Europa sono già avanzati su queste tematiche, con centri di studio e città che sperimentano soluzioni innovative come Newcastle in Inghilterra, per esempio, mentre da noi è un tema toccato solo sul versante della vulnerabilità e della necessità di cura. Quello che in questi Paesi hanno compreso è che la fascia di popolazione over 60 è la generazione più numerosa della storia, i Baby Boomers nati nel dopoguerra, cresciuti nel ’68 e protagonisti della rivoluzione digitale, in pratica gli artefici del mondo come lo conosciamo oggi. Una generazione numerosa ed esigente, che arriva all’età che una volta era considerata la porta di entrata della vecchiaia con le energie e la forma fisica, le curiosità e gli interessi che sono normalmente tipici di persone di 10-15 anni più giovani. E che nel nostro occidente, ma non solo, detiene la maggior parte della ricchezza, senza contare quanti di loro stanno per ereditarla dai propri genitori. Le fasi del ciclo di vita si sono infatti allungate e molti imprenditori o professionisti non hanno intenzione di mollare il Nuova linfa per il mercato assicurativo Un mercato assicurativo depresso come quello italiano avrebbe controllo sulle proprie attività fino a età molto avanzate. Ciò porta ampio margine di azione con prodotti assicurativi specifici di lon- le statistiche a dire che gli attuali over 65 negli USA erediteranno gevità, ma sembra che siamo destinati a continuare ad aspettare in ritardo qualcosa come 36 miliardi di euro. Prima di diventare che la domanda stimoli l’offerta. In questo caso forse le aziende vulnerabili e bisognosi di cure, questi over 65, patrimonializzati che guidano il mercato potrebbero creare la consapevolezza e o futuri patrimonializzati, hanno ancora svariati anni davanti in per una volta stimolare la domanda. Lo stesso vale per i prodotti cui possono e vogliono continuare ad avere lo stesso tenore di di previdenza integrativa. Anche le polizze di long term care non vita di sempre, viaggiare, andare al cinema o a teatro, consumare, sono ancora diffuse in Italia, un po’ perché la nostra sanità pub- lavorare, anche se con ritmi diversi, o aprire finalmente quell’atblica, checché se ne dica, è ancora eccellente, un po’ perché è abi- tività che hanno sognato di fare tutta la vita. Questo è il mercato tudine italiana occuparsi in famiglia dei propri anziani e, quando della silver economy (o longevity economy) che si studia all’esteciò non è possibile, unire le forze tra i parenti più stretti per per- ro: prodotti e servizi che aiutino i longevi a vivere al meglio una mettersi una badante. Ma la continua denatalità fa pensare che serie di età – terza, quarta e forse quinta – sapendo di contare in in futuro sarà sempre più difficile mantenere questa abitudine e termini di consumi, di produzione di ricchezza e di sviluppo di che pertanto il settore della assicurazioni sanitarie ha grandi pos- una nuova cultura dell’invecchiamento. I numeri sono eccezionasibilità di crescita. La longevità è un bene, ma può costare molto li: 674 milioni gli over 65 nel mondo nel 2018, saranno 1 miliardo caro se non viene pianificata. E non solo sul piano previdenziale nel 2030, 1,5 miliardi nel 2050; 16mila miliardi di dollari il valore e assicurativo. Ci siamo mai soffermati a pensare cosa vogliamo della Silver Economy oggi, la seconda economia mondiale dopo gli Usa e la Cina. In Italia il patrimonio defare della nostra vita per un periodo così gli over 65 si aggira tra i 3mila e i 4mila lungo? Se la nostra casa è adeguata ad miliardi di euro: 13,7 milioni le persone ospitarci quando avremo 85 anni? Di chi A.L.I. STUDIA LE ESIGENZE over 65 oggi, 19 milioni previsti per metà o cosa avremo bisogno o semplicemente DEI “LONGEVI ATTIVI” secolo. Ma se dovessimo considerare, voglia per continuare a vivere bene? Ma come ormai si fa all’estero, gli over 60 in anche che verosimilmente dovremo e/o A.L.I. Active Longevity Institute è una generale, o addirittura gli over 50 perché vorremo lavorare più a lungo: il lavoro che la vecchiaia va pianificata e immaginata in facciamo oggi ci permetterà di continuare startup di ricerca e consulenza per anticipo, avremmo numeri ancora più alti. a farlo fino a 70-75 anni? Come possiaimprese, organizzazioni, istituzioni Quanti profili di consumatori, cittadini, mo adeguare il nostro lavoro alle nostre ed enti che vogliano comprendere le lavoratori, elettori diversi ci sono in quei aspettative? Cosa possono fare le aziende esigenze e le aspettative dei longevi 25-30 anni di vita media residua? Eppure in questo senso? attivi che, al netto della componente il mercato li tratta tutti allo stesso modo, non autosufficiente, sono circa 11 come se tutti avessero problemi di denUna rivoluzione nell’economia milioni di individui, persone che in Italia tiera o di prostata, un po’ suonati quando Molti sono i Paesi coinvolti dal fenomeno non sono ancora osservate e ascoltate non del tutto sordi. Se il mercato guardasdella crescita esponenziale dell’aspettatiin modo sistematico. se a queste persone con lo stesso interesva di vita e dell’invecchiamento generale www.activelongevity.eu se che riserva ai Millennials, si creerebbe della popolazione. Il Giappone da tempo è stato a ripartizione, cioè le pensioni correnti sono pagate dai lavoratori correnti. Le riforme previdenziali che, per consentire la tenuta del sistema, hanno cambiato la modalità di calcolo della pensione da retributivo a contributivo portano a prevedere che il reddito pensionistico sarà sempre meno adeguato a sostenere il tenore di vita per un periodo così lungo. Ciò nonostante, secondo il rapporto della Banca d’Italia sulla ricchezza italiana del 2018, solo in circa il 15% delle famiglie almeno un componente ha dichiarato di aderire a fondi pensione o assicurazioni vita per integrare la pensione pubblica; la quota più elevata è del Centro Nord con il 17,9%; l’11% nel Mezzogiorno. Tra i lavoratori dipendenti, queste forme di previdenza integrativa sono più diffuse tra i dirigenti con il 43%; circa il 25% e il 14%, rispettivamente, tra gli impiegati e gli operai. Tra i lavoratori autonomi, quelli che avranno il montante contributivo più basso, vi aderisce solo il 17%.

L’ITALIA AL LAVORO SU UNO SVILUPPO DELLA CULTURA DELL’INVECCHIAMENTO

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un boost per l’economia del paese, oltre a migliorare il modo in cui queste persone vivono la propria seniority.

Un’opportunità per i mercati finanziari Ignorando le esigenze e le aspettative di questa fascia di popolazione, stiamo ignorando una grande chance di rilancio della nostra economica, di creazione di ricchezza e di ricambio generazionale. In un Paese che non ha speranza, stiamo ignorando una certezza: quella di una popolazione di adulti detentori di know-how e ricchezza destinati a passare di mano. O a essere dispersi, se non facciamo niente. In anticipo su quel passaggio generazionale tanto importante, esiste già l’opportunità di sviluppare mercati che si dirigano agli over 60 in modo più personalizzato, per esempio offrendo prodotti finanziari che sostituiscano il mattone, da sempre investimento di punta degli italiani ma oggi non più redditizio come in passato e, soprattutto, prodotti assicurativi di decumulo e di garanzia. L’aumento dell’aspettativa di vita crea infatti la necessità di pensare a prodotti che garantiscano una rendita per un certo numero di anni, il contrario dei piani di accumulo: veri e propri piani di decumulo e la copertura del cosiddetto “rischio longevity”, cioè il rischio di sopravvivere ai propri risparmi. L’enorme ricchezza accumulata dai risparmiatori italiani oggi è in parte in stand by in forma liquida e in parte alimenta le altre economie: la percentuale di risparmi investiti dai fondi su titoli esteri è multipla rispetto a quella dei risparmi investiti in titoli italiani. Se si riuscisse a realizzare un circolo virtuoso, con nuovi strumenti, e incanalare la ricchezza inoperosa nell’economia reale, nel potenziamento e nello sviluppo di nuove imprese, nella creazione di un mercato della longevity, nel rilancio dell’occupazione e dei consumi, si creerebbe a sua volta nuova ricchezza. I longevi attivi che hanno accumulato ricchezza col loro lavoro potrebbero contribuire in maniera determinante al benessere duraturo delle nuove generazioni, invece di lasciar loro eredità che verrebbero investite, come oggi, nelle economie estere per le quali il risparmio italiano è una miniera a cielo aperto. Alla recente edizione di Consulentia 2020 si è parlato giustamente di ricambio generazionale dei consulenti finanziari, ma nulla o quasi è stato proposto concretamente per una rigenerazione proficua degli investimenti nell’economia reale. 18

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Un possibile rilancio del mercato immobiliare In questo quadro esiste una grande opportunità anche per il mercato immobiliare, sia per la creazione di un mercato specializzato in interventi di adeguamento degli appartamenti esistenti per accogliere in modo più confortevole inquilini di età avanzata, sia per lo sviluppo di residenze di prossimità per anziani autosufficienti, condomini con spazi interni disegnati per persone potenzialmente molto anziane, servizi in outsourcing condivisi e luoghi di intrattenimento in comune per combattere il rischio solitudine che, insieme con il rischio di sopravvivere ai propri risparmi, è la minaccia più grande della longevità. Risorse umane e longevità lavorativa Il longevity risk, cioè il rischio di sopravvivere ai propri risparmi, non è però il solo rischio legato alla longevità. Esiste un altro rischio, il business risk, che interessa le imprese che stanno ancora ignorando il progressivo invecchiamento della loro forza lavoro. Una pianificazione industriale che tenesse conto dell’opportunità rappresentata dalla collaborazione tra generazioni diverse sul posto di lavoro sarebbe una leva di grande stimolo della nostra produttività, oltre a dare ai senior la possibilità di continuare a contribuire all’economia del paese e ai giovani l’accesso a quella formazione informale che è data dall’esperienza di tutti i giorni moltiplicata per anni. Pensare che i bisogni della silver economy siano solo concentrati su assistenza medica e che pertanto competano allo Stato, ignorando gli interessi dei longevi attivi come sport, viaggi, servizi culturali, musei, teatri, cinema, prodotti ricreativi, wellness, domotica, alimentazione è una visione limitata. I longevi attivi hanno bisogno di restare attivi e coinvolti più a lungo, anche con nuove forme di lavoro più elastiche negli orari e nelle mansioni e di nuovi servizi d’investimento, assicurativi e immobiliari. Le industrie e le istituzioni ne prendano atto. * partner A.L.I., Active Longevity Institute

GLI OVER-65, I SOLI A NON ESSERSI IMPOVERITI DAL 2008 AD OGGI Gli over-65 sono l’unica categoria demografica sopravvissuta bene alla crisi economica del 2008-2009: ed è l’unica classe il cui rischio di povertà e la condizione effettiva di povertà sono diminuiti negli ultimi 10 anni. E’ una delle “chicche” presentate da Alberto Brambilla, economista e Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, che ha presentato una sua ricerca ad un

convegno organizzato a Genova dalla Confcommercio, con la partecipazione di Andrea Granelli, dal titolo ambizioso: “Silver & The City - Più consumi, più turismo, più crescita: La terza età “ringiovanisce” l’economia”. Gli over 65 italiani sono 14 milioni, sono cresciuti di oltre mezzo milione dal 2015 a oggi, hanno una ricchezza media più alta del 13,5% di quella nazionale, i loro

consumi vanno a gonfie vele, spendono per musei, mostre, cinema e viaggi, il 17,4% di loro lavora e il 40% addirittura sostiene i figli e le loro famiglie, non vogliono essere chiamati vecchi o anziani, ma “persone mature”. In termini di speranza di vita, negli ultimi 40 anni gli uomini hanno “guadagnato” oltre 11 anni e le donne 9, dati che collocano l’Italia tra i Paesi più longevi al mondo.


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onostante si stia per verificare uno dei più consistenti trasferimenti di ricchezza tra generazioni, gli Italiani che hanno scelto consapevolmente di definire le modalità di questo passaggio sono ancora pochi. Il tema della pianificazione patrimoniale è infatti spesso affrontato in maniera tardiva e su sollecitazione del proprio consulente più che per un’intima convinzione. Allianz Bank Financial Advisors ha adottato un approccio di tipo olistico che considera il lifecycle del cliente e della sua famiglia. «Ci concentriamo sui progetti del cliente nelle diverse fasi di vita e sul tenore di vita che desidera avere attraverso una valutazione della rendita pensionistica e una stima dei redditi e delle spese», precisa Carlo Balzarini, direttore wealth management & marketing. «Il nostro modello comprende la pianificazione successoria per aiutare il cliente ad affrontare il delicato tema del

LE RETI PUNTANO A SVEGLIARE LA CONSAPEVOLEZZA DEI CLIENTI benessere futuro dei propri cari anche in ottica di ottimizzazione fiscale. Come parte del gruppo Allianz rivolgiamo particolare attenzione al mondo della previdenza. Dal 2019 portiamo avanti due iniziative: Casa Allianz, un progetto in cui financial advisors e agenti Allianz collaborano per una gestione complessiva dei rischi, e il progetto Link che promuove la creazione di diversi team di competenza tra financial advisor al fine di coprire i diversi ambiti di interesse del cliente». Secondo Luca Romano, deputy head Bnl-Bnp Paribas Life Banker, nella scala delle priorità la generazione dei Boomers mette al primo posto la protezione del capitale, poi la ricerca di rendimen-

GIOVANNI MAGGI (ASSOFONDIPENSIONE): «DOBBIAMO INVESTIRE NELLA SILVER ECONOMY»

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i vive più a lungo, per fortuna, e il trend continuerà. Quindi bisogna fare di tutto per dare un futuro sereno a chi invecchia: investire nella cosiddetta silver economy, dalle residenze per anziani all’assistenza evoluta, mi sembra un’opportunità preziosa. E d’altra parte i fondi pensione devono programmare prestazioni più sostenibili nel lungo termine. Una sfida impegnativa ma appassionante»: Giovanni Maggi è un industriale di Lecco che presiede Assofondipensione, l’associazione dei fondi pensione negoziali. E ha posto al centro del suo mandato l’estensione delle modalità d’investimento possibili ai fondi rappresentati e l’ottimizzazione del trattamento fiscale. Varando un esperimento rivoluzionario: il Progetto Economia Reale. Maggi, di cosa si tratta? E’ il Progetto Economia Reale, che abbiamo varato in tandem con la Cassa depositi e prestiti. In sostanza, una piattaforma costituita da fondi di fondi, gestita dal Fondo Italiano di investimento Sgr (Fii Sgr, controllata da Cdp Equity) che vuole convogliare in parte le risorse dei nostri fondi pensione anche sull’economia reale italiana, tramite investimenti in fondi di private equity, private debt e potenzialmente anche in altre

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asset class, come le infrastrutture. Un modo concreto per dare un contributo diretto alla crescita dell’economia reale nazionale. Bell’ideale, ma stiamo parlando di asset illiquidi… non sono troppo rischiosi per dei fondi pensione? Al contrario, nei prodotti illiquidi vedo uno dei settori dove dal nostro punto di vista è logico diversificare. Vede, oggi la maggior fetta del patrimonio dei nostri fondi è investita in investimenti liquidi, per il 95% in titoli di Stato soprattutto nazionali, ed era logico aprire anche ad altre asset class. Abbiamo cominciato con sette fondi coinvolti, ma da subito accanto alla Cassa, un partner che significa Ministero dell’Economia. Non una Sgr qualsiasi… Come funzionerà? Il Progetto prevede sostanzialmente che la Sgr di Cdp costruirà 3 fondi di fondi, uno specializzato nel private equity, uno nel private debt e uno nelle infrastrutture. Le risorse saranno investite in Sgr italiane che a loro volta le investiranno in aziende italiane. Rispettando i principi Esg e perseguendo benefici di natura sociale e occupazionale. Il progetto sta decollando, abbiamo un piano di presentazioni a numerosi soggetti interessati. Il nostro obiettivo è di raccogliere entro


COVERSTORY

ENRICO VACCA

ANDREA RAGAINI

to, infine il passaggio generazionale. «La ricchezza italiana è molto concentrata tra gli over 65 mentre il concetto di famiglia è ormai cambiato: situazioni di litigiosità attorno ai temi ereditari, piuttosto che post separazioni, sono un fenomeno purtroppo crescente. Le imprese familiari, pari a circa l’85% del tessuto imprenditoriale italiano, nel 30% dei casi non superano la terza generazione. Nonostante ciò è bassissimo il ricorso alla pianificazione patrimoniale che rappresenta un bisogno, spesso latente, dei nostri clienti. Nel nostro concetto di pianificazione si spazia dalla gestione delle esigenze pensionistiche alla tutela del patrimonio che contempla gli aspetti finanziari, immobiliari, fiscali, aziendali e successori. I nostri Life Banker godono dell’integrazione in un sistema di competenze di Bnl e Bnp Paribas. Abbiamo per esempio la possibilità di individuare soluzioni sulle piattaforme assicurative di Cardif ed Eurovita che permettono di modulare le proposte in modo coerente con le diverse fasi della vita, incluso il decumulo». Per Moris Franzoni, responsabile rete consulenti finanziari Credem, «per come è strutturato il risparmio domestico, gli over fine anno 500 milioni cui la Cassa ne aggiungerà altrettanti. Tutto ciò aiuterà i fondi pensione negoziali ad attrarre più aventi diritto dell’attuale 30% che già avete? Per aumentare quel 30% di adesioni, tenuto conto dell’inefficienza o almeno dell’insufficienza del primo settore previdenziale, quello obbligatorio pubblico, occorre anche lanciare una grande campagna istituzionale sull’importanza di aderire ai fondi, promossa dai ministeri di riferimento, Lavoro e Mef. Una buona impennata la avemmo nel 2007 grazie al semestre del silenzio-assenso. Ecco, servirebbe un’iniziativa di pari forza. Portare il tasso di adesioni sopra il 30% sarebbe necessario per integrare sul serio il primo pilastro. Di buono c’è però da sottolineare che il patrimonio dei fondi negoziali, che cuba 56 miliardi, nel 2019 è cresciuto dell’11% rispetto al 2018. Forse la politica non ritiene

ANDREA DI SALLE

65 rappresentano la prima fonte di “finanziamento implicito” di figli e nipoti. Pertanto la tendenza prevalente nella gestione degli investimenti è quella di un approccio prudente affiancato a una duration media più limitata. Per questa fascia di clientela è centrale la protezione del patrimonio in vista di una pianificazione del passaggio generazionale. Il nostro servizio di family planning offre un quadro informativo completo sulla situazione patrimoniale prospettica del cliente. L’offerta spazia dalle polizze assicurative ai fondi patrimoniali, trust, polizze vita sino alla consulenza fornita da professionisti esterni sulle tematiche fiscali collegate». Occorre tuttavia precisare che mentre le esigenze dei clienti mostrano dei punti in comune, le soluzioni non possono che essere disegnate su misura, come precisa Enrico Vacca, del private banking di Deutsche Bank Italia. «Le priorità e l’implementazione delle soluzioni sono funzione di una molteplicità di elementi quali la complessità del patrimonio, la composizione del nucleo familiare e la situazione reddituale. Siamo impegnati nell’organizzazione di momenti formativi con i clienti al fine di far emer-

GIOVANNI MAGGI

prioritario questo potenziamento? Negli ultimi anni c’è stata scarsa attenzione al tema, perché probabilmente non si ragiona sul lungo termine, ma questo depone male sull’atteggiamento di fondo della politica nel nostro Paese, mentre questi sono gli unici strumenti che possono garantire la copertura delle esigenze economiche dell’ultima fase della vita. Un po’ di autocritica non ve la fate? Non è che diffidate troppo dalla Borsa? Non credo, penso che si investa già abbastanza in Borsa, sia pure indirettamente, come la legge ci impone.

E nel 2019 i rendimenti sono stati buoni. Peraltro, le Casse, che sono il primo pilastro previdenziale possono investire direttamente in Borsa, i fondi invece no. E perché? E’ una norma prudenziale, per proteggere maggiormente le risorse previdenziali. Parallelamente ci sarebbe da fare anche un discorso nuovo sulla governance dei fondi, che devono attenersi a un regolamento molto più stringente di quello riservato alle Casse. E sul fronte fiscale, cosa chiedete? Una richiesta specifica sul nostro ultimo progetto, di cui parlavamo prima: una tassazione agevolata. Sarebbe bene che si riconoscesse in questo modo il contributo che i nostri fondi possono dare all’economia reale. Su un progetto di sistema dove la previdenza si mette insieme e fa rete, per dare benefici al sistema Paese, sarebbe corretta una tassazione sui rendimenti più competitiva rispetto all’attuale…(s.l.)

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gere i bisogni anche con la collaborazione di partner esterni. Nel 2019 abbiamo promosso diversi momenti di incontro, su tutto il territorio nazionale, in quanto riteniamo che il banker possa rivestire un ruolo importante nello stimolare una maggiore consapevolezza circa l’importanza la pianificazione generazionale. Tanto più in un quadro complessivo in cui circa il 50% dei clienti private è concentrato nella fascia d’età 55-74 anni«. Nonostante l’approccio al ciclo di vita del cliente sia da preferire per una corretta pianificazione patrimoniale, non sempre si rivela però attuabile. «Molto spesso capita che la clientela tenda a dare priorità al quotidiano rimandando il momento di effettuare scelte chiave per una corretta organizzazione del patrimonio», spiega Andrea Ragaini, vice direttore generale di Banca Generali. «Per questo motivo, siamo stati tra i primi a creare un vero e proprio team interno dedicato alla “family protection” che oggi è a sostegno della nostra rete di private banker per tutto ciò che riguarda le dinamiche legate alla pianificazione del passaggio generazionale e alla gestione delle successioni, valutandone i rischi fiscali, legali ed imprenditoriali. Abbiamo inoltre stipulato partnership con primari studi legali a livello nazionale e internazionale che si affiancano alla nostra fiduciaria – Generfid – per riuscire a riordinare secondo le esigenze del cliente anche le situazioni patrimoniali più complesse. Questo approccio ha caratterizzato anche la sfera della liquidità. Abbiamo sviluppato soluzioni di breve periodo che consentono di ottenere rendimenti tenendo sempre sotto controllo l’obiettivo primario di protezione del capitale e prodotti con una forte componente assicurativa per la tutela degli eredi». La decisione di estendere l’attività anche alla gestione di ambiti extrafinanziari, per affrontare meglio la sfida posta dalla silver economy, ha spinto IwBank Private Investments a rinnovare il proprio paradigma di servizio. «Sulla base della nostra esperienza per il cliente risulta assai difficile non solo dare un ordine, ma anche individuare le priorità, perché variano da persona a persona in funzione dell’universo che la circonda», commenta Andrea Di Salle, responsabile wealth management. «Quello che sicuramente può risultare fondamentale è individuare regole di governo a tutela dell’armonia del nucleo familiare e della continuità 22

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CARLO BALZARINI

MORIS FRANZONI

aziendale, evitando potenziali liti. Rimane quindi centrale un’attenta valutazione dei rischi, considerando non solo l’evoluzione della normativa in materia di responsabilità personale ma anche il contesto economico-finanziario. Nell’ottica di mettere a disposizione della clientela un servizio professionale di consulenza per la tutela del patrimonio familiare e aziendale, all’inizio di quest’anno abbiamo lanciato IWProAdvice. Il cambio di paradigma segna il passaggio da una remunerazione basata sul prodotto a una sul servizio».

CASSE DI PREVIDENZA

«PENSIONI DEGLI AGENTI DA GESTIRE BENE. ECCO LA NOSTRA MISSIONE» di Sergio Luciano

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uando avremo assunto la guida di Enasarco metteremo finalmente mano, ma con serietà e determinazione e nell’interesse esclusivo di tutti gli iscritti, a ogni ambito della gestione dell’ente: dal patrimonio immobiliare a quello mobiliare alla macchina degli uffici»: è un fiume in piena Alfonso Mei, per gli amici Alfonsino, frontman della lista “Fare presto, fare bene” che corre alle prossime elezioni del Consiglio di Enasarco costituita da un’inedita e trasversalissima alleanza tra l’Anasf, l’associazione dei consulenti finanziari, la Federagenti, la Fiarc e la Confesercenti. Per lui, consigliere Enasarco nel vertice in scadenza, il terreno da recuperare è tanto e il tempo da perdere è zero, se si vuole che la Cassa possa erogare i servizi necessari ai suoi iscritti, recuperare quella floridezza patrimoniale che aveva e che è stata messa a dura prova da anni di finanza allegra non adeguatamente curati dal primo vertice eletto democraticamente, quello che sta per cessare il suo mandato ed è stato guidato dall’esponente di Confcommercio Gianroberto Costa.


COVERSTORY Dunque Mei: andiamo con ordine. Ha parlato degli immobili. Che farete, se vincerete? È un patrimonio che vale circa tre miliardi ma non rende, anzi ci costa 18 milioni l’anno. Un’assurdità cui porremo rimedio. I nostri criteri ispiratori saranno sempre unicamente quelli della qualità gestionale, siamo ancora su valori fermi all’inizio del 2011, mentre noi vogliamo riqualificare il valore immobiliare che c’è in Enasarco: attualizzandolo. La gestione uscente ha fatto poco e niente. Ma non riconosce niente di buono alla gestione uscente di Costa? Guardi, a confronto col passato sicuramente un miglioramento c’è stato: dal disastro siamo passati al nulla. È ora di cominciare a progredire! Costa non ha mai seriamente approcciato le istituzioni per portare a casa quei vantaggi cui le nostre categorie hanno diritto. Nulla che fosse utile agli agenti. Esempi? Enasarco è tra i grandi investitori in debito pubblico. Bene: quando il governo ci ha raccomandato di comprare Btp, l’abbiamo fatto senza nemmeno cogliere l’occasione di negoziare una contropartita. Ma è pensabile una simile passività? E voi, invece? Noi, anche oggi che non siamo ancora al vertice, abbiamo raccolto 5000 firme che porteremo quanto prima al viceministro Misiani per chiedergli gli sgravi sulle auto per gli agenti. Solo una delle tante migliorie da conquistare per riqualificare le ALFONSINO MEI condizioni di lavoro della categoria e le prestazioni della nostra Cassa. E sul fronte della gestione finanziaria, che è poi un po’ il pane della sua categoria, rappresentata dall’Anasf? Vareremo un progetto organico, con la consulenza di operatori internazionali di assoluto standing, per riqualificare la gestione del patrimonio, valorizzando il portafoglio e mettendolo a reddito in modo completamente diverso… E poi saremo sempre trasparenti: basta con l’opacità gestionale! Cioè? Noi non faremo come ha fatto pochi giorni fa l’attuale vertice, per fortuna uscente. Hanno presentato in consiglio scelte di investimento per ingentissimi importi, tutte insieme, senza dare il tempo per valutarle approfonditamente, a due mesi dal rinnovo del consiglio! E alle nostre rimostranze hanno avuto la faccia tosta di far votare la delibera a maggioranza! Come inciderete sull’Enasarco in quanto azienda? Nessun progetta epurazioni. L’Enasarco è stata mal condotta ma conserva al proprio interno in tutti gli uffici delle ottime professionalità, che possono e debbono essere valorizzate. Semmai ci sono alcune posizioni chiave – il direttore finan-

ziario e il capo del personale - che vanno integrate, funzioni cruciali lasciate vacanti per l’incapacità di scegliere: questi interventi saranno fatti. E a tutti chiedere trasparenza, lealtà, professionalità e dedizione agli interessi della Cassa e di tutti i suoi iscritti. Contando che tutti si adeguino: diversamente, interverremo. Anche perché si attendono gli esiti dell’ultima indagine ministeriale… Certamente: saranno un punto di riferimento da seguire. Quale sarà la filosofia gestionale? Alta competenza e nuova attenzione all’economia reale, secondo quello che sta succedendo sul mercato, con alcune sperimentazioni di grande interesse. Nell’interesse della crescita complessiva delle nostre categorie. È sul tavolo anche la distinzione tra le funzioni previdenziali e assistenziali… È sul tavolo, sì, eppure un piano non c’è, perché è un altro fronte sul quale il vertice in scadenza ha perso tempo. Immagini che stanno decidendo di regalare un corso di guida sicura agli agenti quando ancora dobbiamo pagare molte prestazioni dell’anno scorso! Insomma, siamo alla propaganda pura… per noi prima bisogna mettersi in regola con le prestazioni del passato non pagate e poi intervenire sul nuovo, risanando e chiarendo anche le logiche gestionali, per esempio applicando l’Isee familiare, non come adesso che è una corsa al plafond… E le attuali fasce reddituali? Vanno abbassate. Oggi il reddito per fruire di determinate prestazioni è a 70mila euro, significa avere proventi di 120-130 mila euro, troppo alti per molti agenti. E d’altra parte non ha senso che chi guadagna 10mila euro al mese abbia il rimborso dei libri di scuola dei figli… E il limite minimo di contribuzioni per avere diritto alle prestazioni? Vogliamo abbassarlo a 5 anni, come per l’Inps. Sarebbe anche il modo per risolvere la maggior parte dei casi dei silenti… un bancario che esce da una banca a 50 anni e va a fare il consulente deve lavorare fino a 70-72 anni per prendersi una pensione Enasarco. Invece io vorrei che la soglia per maturare un primo assegno scendesse a 5 anni di contribuzione, ovviamente con il metodo contributivo…. Non crede che sia un po’ …rivoluzionario? Forse, ma sarebbe sano e onesto. Non andremmo a mettere a rischio la stabilità dell’ente, perché attualmente queste risorse finanziarie accumulate sulle contribuzioni dei silenti sono accontanate in un fondo, non ancora attribuito a bilancio ordinario. Noi diciamo che vanno cambiate le regole per il futuro e poi sistemato il pregresso.

PARLA ALFONSINO MEI: «COSÌ RILANCEREMO LA GESTIONE ENASARCO»

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PIANIFICARE IL PASSAGGIO GENERAZIONALE

UNA CABINA DI REGIA PER IL WEALTH PLANNING di Rosaria Barrile

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a necessità di affrontare temi strategici lungo il ciclo di vita del cliente, e non solo all’approssimarsi della fase d’età più avanzata, richiede la capacità di avviare in tempo utile una pianificazione su tutti gli aspetti inerenti la trasmissione efficiente del patrimonio o eventualmente dell’attività di impresa. Per questo Banca Mediolanum ha adottato un approccio basato sulla valorizzazione delle sinergie con i diversi professionisti che già operano per conto del cliente e sulla sensibilizzazione anche delle giovani generazioni, quelle destinate a ricevere il testimone da parte di chi li ha preceduti. «Il passaggio generazionale non deve essere considerato come un unico momento, una sorta di spartiacque tra un prima e un dopo, bensì come un percorso in grado di accompagnare il cliente nell’individuare soluzioni che possono essere modificate nel tempo, a seconda dei bisogni e dell’evoluzione familiare», precisa Cesare Lanati, responsabile wealth planning di Banca Mediolanum. «Per questo collaboriamo nel rispetto delle reciproche competenze con i professionisti già al servizio del cliente per definire soluzioni in linea con i suoi obiettivi». Quali sono le basi del rapporto con gli altri professionisti? Non si pone un problema di sovrapposizione in termini di servizio per il cliente? Ci poniamo come alleati dei professionisti assumendo in modo informale la veste di “aggregatori” di competenze e di ruoli necessari per supportare i clienti. Il wealth planning consente in sostanza di organizzare i contenuti e di ingaggiare dei professionisti per 24

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l’implementazione delle soluzioni inerenti il passaggio generazionale. Il rischio infatti è che ogni singolo professionista, sia esso notaio, commercialista, avvocato o consulente finanziario, lavorando per compartimenti stagni, non sia più in grado di cogliere la visione di insieme del patrimonio del cliente. Dall’altra parte il consulente finanziario da solo non potrebbe fornire un contributo basato esclusivamente sugli aspetti tecnici, legali e fiscali: il fattore chiave di successo è costituito dal fatto di avere dei team in sede in grado di fornire competenze specialistiche nei vari ambiti e che affiancano il consulente finanziario. Il family banker rappresenta il fulcro della relazione con il cliente e ne conosce la storia, le caratteristiche della famiglia e le dinamiche. Affinché poi si crei la giusta alchimia, occorre comunicare sulla base di un linguaggio condiviso e riconoscersi come colleghi.

LANATI (BANCA MEDIOLANUM): «COSÌ AFFRONTIAMO IN MODO STRUTTURATO UNO DEI TEMI CLOU DELLA SILVER ECONOMY» In questo lavoro di squadra quando entra in gioco il consulente finanziario e come? Prima di interfacciarsi con gli altri professionisti per la definizione degli aspetti tecnici, i family banker e i wealth planner di Banca Mediolanum analizzano la situazione patrimoniale e familiare del cliente e ne individuano gli obiettivi. L’errore più frequente infatti è quello di voler proporre soluzioni efficienti dal punto di vista fiscale e legale ma poco coerenti con le criticità familiari e personali del titolare del patrimonio o dell’azienda. Occorre poi calibrare le soluzioni anche sulla base dell’età del cliente, lasciando la flessibilità necessaria per modificarle a seconda anche, ma non solo, dell’evoluzione delle dinamiche familiari. Per questo è importante stabilire un rapporto di lunga durata con il cliente, perché la sfera dei rapporti familiari rappresenta un argomento in cui entrano in gioco fattori quali la riservatezza e


COVERSTORY

«LA SUCCESSIONE VA GESTITA PER TEMPO CON L’AIUTO DEL CONSULENTE FINANZIARIO»

la fiducia nel professionista che si ha di fronte. Il tema della pianificazione richiede da parte del mondo della consulenza una maggiore proattività e sensibilità rispetto al passato. L’età media degli italiani si sta alzando ma la maggior parte della clientela servita dal mondo della consulenza e dal private banking non ha ancora compreso i limiti derivanti dall’abituale approccio che si traduce in una mera gestione dell’emergenza. Il rischio è che sia troppo tardi infatti per consentire la necessaria preparazione degli eredi oppure per individuare l’assetto societario o la distribuzione delle cariche attive nell’impresa in linea con i desiderata del cliente e con la predisposizione o la preparazione degli eredi. La ricchezza oggi rappresentata dal mondo delle imprese familiari per il sistema economico del nostro Paese può essere preservata solo a condizione che si vada a pianificare il passaggio generazionale. Solo in questo modo è possibile arrivare a soluzioni efficaci, elaborate in un contesto di armonia familiare. Le stesse difficoltà si possono riscontrare nel caso di trasferimento non solo dell’azienda, ma anche del patrimonio immobiliare. Occorre anche in questo caso capire quale possa essere l’assetto opportuno in grado di garantire la fruibilità delle scelte evitando che il patrimonio vada in successione in maniera indivisa.

Secondo un’indagine realizzata da Global Data (“Intergenerational Wealth Transfer: Seizing the Hnw Opportunity” diffuso nello scorso mese di ottobre, n.d.r.), nei prossimi 10 anni, circa 8,6 mila miliardi di dollari di ricchezza globale degli High net worth individuals cambieranno di mano. Secondo le stime di questo report oltre il 28% circa dei figli dei clienti Hnwi potrebbe interrompere il rapporto con il gestore patrimoniale dei loro genitori al momento dell’eredità. Quanto è elevato questo rischio in Italia? Per lungo tempo le banche hanno relegato il servizio di wealth planning in coda alla relazione con il cliente. Ma è la stessa evoluzione dei modelli di famiglia che impone di anteporre la pianificazione dei bisogni, anche latenti, all’inizio della relazione. In particolare è lo stesso modello di famiglia dell’Europa occidentale a essere oggetto di evoluzione: stiamo infatti tendendo verso modelli familiari, e conseguentemente di governance, tipici dell’Europa del Nord. Ciò

CESARE LANATI

inevitabilmente non solo influenzerà la tipologia di prestazioni consulenziali fornite al cliente ma darà al wealth plannning un ruolo ancor più centrale e strategico nello sviluppo di relazione di lungo termine banca cliente. Nonostante le implicazioni anche commerciali legate al passaggio generazionale in termini di spostamenti di masse, il nostro compito in questo momento è quello di promuovere un tema che è di fondo culturale dato che in Italia persino il ricorso al testamento è molto limitato. Per questo abbiamo deciso di proporre occasioni di formazione anche ai figli dei clienti che un giorno dovranno essere pronti a ricevere quanto costruito dalla generazione precedente. Questo ci consente di instaurare un legame con la prossima generazione proprio in virtù del ricambio generazionale ormai alle porte. L’anno scorso abbiamo organizzato sul territorio diversi eventi per spiegare la necessità di pianificare questo momento fondamentale nella vita di una famiglia. A ogni evento hanno partecipato decine di imprenditori, a cui è seguito, nelle settimane successive, un momento formativo per i figli dei presenti all’evento. Quest’anno replicheremo questi incontri sul passaggio generazionale con una prima tappa a Mantova, il 7 aprile, a cui seguirà un’altra tappa a Cremona a fine aprile e altre nel corso dell’anno. marzo 2020

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FOCUS PIR SCENARIO

L’Aim si prepara al record di Ipo con il carburante dei nuovi Pir di Gloria Valdonio

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ercepito dai risparmiatori come una piccola oasi fiscale (zero tasse sul capital gain, sui dividendi, su successione e donazioni se l’investimento, con tetto massimo 30mila euro, rimane fermo per almeno cinque anni), il cantiere dei Piani di risparmio individuali (Pir) riprende i lavori per la gioia di banche e società di gestione dopo la pausa del 2019 dovuta al fallimento dei cosiddetti Pir 2.0. L’intento è drenare danaro dai conti correnti e dirottare i riscatti dei titoli di Stato verso questa soluzione di investimento innovativa che - come spiega Pierluigi Giverso, vice direttore generale e direttore commerciale di Anima – nella versione originaria del 2017 aveva ottenuto successo grazie alla combinazione di due aspetti. «Da una parte la possibilità di indirizzare i risparmi delle famiglie verso la crescita delle società a piccola e media capitalizzazione del made in Italy e quindi verso l’economia reale e lo sviluppo del nostro Paese». «Dall’altra», aggiunge Giverso, «l’opportunità di costituire una sorta di “piano di accumulo” che, insieme al vantaggio di una certa diversificazione degli investimenti, assicura significative agevolazioni fiscali».

ANCHE L’INDUSTRIA DEI FONDI BENEFICIERÀ DEL RESTYLING DEI PIANI DI RISPARMIO INDIVIDUALI

Le pmi del made in Italy A beneficiare del restyling quindi non sarà solo l’industria dei fondi comuni, ma secondo gli operatori intervistati da Investire, anche le piccole aziende pronte a entrare nei radar dei fondi e fare quindi il famoso salto del collocamento in Borsa. A sostegno di questa tesi il fatto che la nuova formulazione coinvolge potenzialmente anche i clienti istituzionali, permettendo anche ai fon-

Quotazioni Rispetto ai Pir 1.0 e quelli 2.0 (di fatto mai nati), i Piani individuali di risparmio 3.0 hanno l’obbligo di investire il 5% del 70% (ovvero il 3,5%) del valore complessivo del patrimonio in strumenti finanziari di imprese diverse da quelle inserite nell’indice Ftse Mib e Ftse Mid della Borsa italiana o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati. Queste modifiche hanno reso gli strumenti maggiormente compatibili con la gestione e l’operatività dei fondi aperti rispetto al vincolo sul venture capital, previsto con la Finanziaria 2019. Il Pir riuscirà quindi a dare nuovo slancio

PIERLUIGI GIVERSO

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di pensione italiani di investire fino al 10% del loro patrimonio in fondi Pir, non prevedendo obblighi di investimento in quote o azioni di fondi per il venture capital. Secondo una ricerca di IR Top Consulting (leader in Italia nella consulenza direzionale per i capital markets) l’impatto dei nuovi Pir sulle aziende quotate dell’Aim potrebbe essere di ben 231 milioni di euro, pari all’8% della previsione di impatto complessiva di 3 miliardi già nel 2020 con 126 titoli potenziali target di investimento di nuovi fondi. Non solo. Si stima che nel triennio 2020-2022 l’aumento del numero delle Ipo potrebbe arrivare al 30% (medio annuo) e che l’incremento dell’afflusso di capitali e liquidità per lo sviluppo delle aziende possa essere del 69% (raccolta media) rispetto al 2019, con un ampliamento del flottante medio in fase di Ipo che passa dal 24% del 2019 al 30 per cento. «La nostra stima positiva si fonda su una metodologia di ponderazione che valuta variabili di mercato statiche e variabili dinamiche in relazione all’universo investibile», spiega Anna Lambiase, fondatore e ceo di IR Top Consulting. Che aggiunge: «Le nostre proiezioni derivano dall’analisi storica effettuata sul mercato Aim Italia, in particolare nel biennio 2017-2018, periodo che ha beneficiato degli effetti dei Pir introdotti per la prima volta a fine 2016: la dimensione media della pmi quotata tra il 2017 e il 2018 è stata pari a 39 milioni di euro in termini di ricavi, segnando una crescita di circa tre volte rispetto a 14 milioni di euro del 2016, la raccolta media si è attestata a 9,8 milioni di euro (6,4 milioni di nel 2016, n.d.r.) e il flottante medio in Ipo è stato pari al 26% contro il 15% del 2016”.

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L’evoluzione delle Ipo e il capitale raccolto

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s N. d Ipo

FONTE: ACOMEA

alla raccolta di capitali privati da indirizzare all’investimento nell’economia reale e in particolare nelle pmi quotate e da quotare? «Questo dipenderà dai flussi che i Pir riusciranno a catalizzare», risponde Andrea Sanguinetto, responsabile area commerciale e vice direttore generale di Pramerica Sgr. «È probabile che i Pir rinnoveranno l’interesse delle aziende nei confronti della quotazione, e quello degli investitori per le small e le mid cap quotate che lo scorso anno hanno sottoperformato e oggi scambiano a prezzi molto interessanti».

I benefici per l’Aim Nonostante l’incognita rappresentata dalla risposta del risparmiatore, l’idea prevalente è che sia ragionevole aspettarsi quest’anno flussi simili a quelli del 2018. In base a questa considerazione e immaginando come probabile uno scenario di tassi prossimi allo zero, nel 2020 è possibile ipotizzare che circa due terzi delle risorse, pari a 2 miliardi di euro, possano confluire nel mercato azionario. In generale si prevede una rilevanza maggiore per Aim Italia in considerazione di una molteplicità di elementi: l’elevato numero di pmi che potrebbero valutare l’ipotesi di quotazione in Borsa, un processo di Ipo più snello rispetto all’Mta, e la doppia incentivazione legata alle agevolazioni fisca-

li per le pmi innovative. «Le nuove regole per la composizione del portafoglio dei Pir daranno un forte contributo alla quotazione in Borsa di piccole e medie imprese italiane volta a finanziare progetti di sviluppo», è il commento di Lambiase. «L’afflusso di nuovi capitali privati a sostegno dell’economia reale, unitamente all’incentivo alla quotazione nella forma del credito d’imposta sul 50% dei costi di Ipo, rappresentano per il 2020 le basi di un ulteriore sviluppo per il mercato Aim Italia, che ha registrato negli ultimi anni il maggior numero di collocamenti e nel 2019 – con 32 Ipo e 187 milioni di raccolta – rappresenta il primo hub finanziario europeo per numero di quotazioni tra i mercati non regolamentati con una quota di mercato del 20% a livello europeo, secondo solo al mercato UK”. Un dato, secondo Lambiase, che dimostra la qualità dello Sme Growth Market italiano come strumento finanziario per la raccolta di capitale volta a sostenere la crescita delle pmi del nostro Paese: il taglio medio delle operazioni nel 2019 ha

ANNA LAMBIASE

ANDREA SANGUINETTO

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FOCUS PIR raggiunto 5,8 milioni di euro di raccolta di capitale coerente con una dimensione di aziende con fatturato medio pari a 21 milioni di euro.

Le commissioni Ma è proprio vero che investendo sui Pir si canalizza il riparmio delle famiglie verso l’economia reale rappresentata soprattutto dalla piccola e media impresa? In due anni ben 23 miliardi di risparmi sono andati a finanziare le pmi imprese attraverso fondi di investimento specializzati soprattutto di Intesa San paolo e Banca Mediolanum, che sono i leader di mercato. Ma, come spiega in un report Salvatore Gaziano, responsabile strategie d’investimento di SoldiExpert Scf, se le intenzioni sono nobili, la pratica ha dimostrato che all’economia reale sono arrivate solo un po’ di briciole, cioè poco più dell’1% secondo una ricerca realizzata da Cfo sim. Piuttosto alte in compenso sono le spese di gestione medie annue applicate dalle società di gestione ai sottoscrittori, che si attestano in media oltre il 2%, percentuale che sale al 10% se consideriamo che il prodotto resterà nel portafoglio del risparmiatore per almento cinque anni per poter godere dei benefici fiscali previsti. Insomma l’idea di molti osservatori è che il Governo avrebbe potuto fare ben altro, sul modello per esempio dei Pir francesi e inglesi se l’intenzione era quella di pompare denaro nell’economia reale, «senza spompare a suon di commissioni di cinque volte più alte rispetto a prodotti comparabili i poveri risparmiatori italiani», è scritto nel report. Le dimensioni dei Pir C’è poi un altro aspetto che alcuni operatori portano alla luce. I Pir hanno effettivamente il merito di spingere il gestore ad analizzare le aziende più piccole che rappresentano l’ossatura del made in Italy e che prima erano trascurate. Ma, come spiega Gianluca Parenti, partner di Intermonte e responsabile di T.I.E, questo provvedimento ha un punto di debolezza: «Era già evidente con il Pir 1 che sul mercato si stanno creando distorsioni rappresentate da fondi di dimensioni molto grandi (il fondo più grande ha 2,5 miliardi in gestione, n.d.r.) che non riescono a investire in maniera dinamica e per i quali l’impatto del 3,5% da destinare alle small e mid cap è davvero trascurabile», spiega Parenti. In altre parole, per un’azienda non sarebbe così facile avere compratori con i Pir, che al contrario sarebbero un volano ecce-

ANTONIO AMENDOLA

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GIANLUCA PARENTI

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Migliori performance AIM 2019 Innovatec

382%

Gruppo Green Power

227%

Iervolino Entertainment

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Mondo TV Suisse

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Eles

175%

Expert System

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Neosperience

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Confinvest

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EdiliziAcrobatica

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MailUp

104%

MAPS

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Portobello

86%

FONTE: OSSERVATORIO AIM - IR TOP CONSULTING, AGGIORNATO AL 31 DICEMBRE 2019

zionale se fossero più piccoli e soprattutto se fossero più numerosi. La soluzione, secondo Parenti, sarebbe ampliare il numero di operatori e, anche se ciò non è certo vietato dalla regolamentazione, un mercato finanziario di fatto estremamente concentrato non lo consente. «Sarebbe utile per l’efficacia di questo strumento fare modifiche sul lato dell’offerta e favorire la costituzione di fondi più piccoli», dice ancora Parenti. «L’Aim rappresenta un importante veicolo di sbocco per le pmi Italiane. Questo mercato ha tuttavia profili di liquidità e di rischio diversi dagli altri segmenti di Borsa Italiana, dati i diversi requisiti di accesso». «In ogni caso», avverte Giverso, «gli investitori istituzionali avranno certamente un ruolo nel favorire il suo sviluppo, ancorché dovrà essere mantenuta una grande attenzione e selettività nella valutazione e nella selezione delle società che vi avranno accesso». Anche secondo Antonio Amendola, gestore dei fondi Pir di AcomeA, il risparmiatore dovrebbe orientarsi verso fondi gestiti attivamente da società fortemente specializzate per stile di gestione, tralasciando quelle più generaliste o dedicate alla gestione passiva. Secondo Amendola c’è poi un ulteriore elemento che non è stato inserito nella nuova normativa, ma che avrebbe potuto dare un ulteriore impatto positivo all’industria dei Pir: l’innalzamento della quota annuale investibile, che avrebbe dovuto essere portata come minimo a quota 100mila euro. «In questo modo si sarebbe coinvolto anche il canale del private banking con ricadute positive per tutti», conclude Amendola.


I PIANI INDIVIDUALI DI RISPARMIO

Riparte la saga dei Pir La leva fiscale per il secondo boom

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orreva il 2017 e nascevano i Piani individuali di risparmio (Pir), con l’obiettivo di convertire l’enorme stock di risparmio degli italiani a sostegno dell’economia reale costituita dalle piccole medie imprese italiane (Pmi) che in Italia sono quasi 6 milioni. Per rendere il piatto ancora più ghiotto si introduceva la detassazione totale sui rendimenti derivanti da capital gain e dividendi relativi ai Pir, a condizione che l’investimento non fosse liquidato prima di 5 anni. Il mercato coglie l’opportunità e avvia un imponente lavoro di raccolta usando le reti e gli asset manager. Il livello di conoscenza dei Pir da parte dei risparmiatori italiani cresce passando dal 29% di giugno 2017 al 52% di gennaio 2018, la raccolta raggiunge 20 miliardi e si stimano 50 miliardi nel giro di tre anni. Tecnicamente lo strumento scelto per la raccolta è l’Organismo di investimento collettivo in valori mobiliari (Oicvm). Un fondo che deve investire almeno il 90% delle risorse in borsa e mercati regolamentati, cioè in prodotti cosiddetti liquidi. Risultato: dei quasi 20 miliardi raccolti la stragrande maggioranza sono stati investiti in titoli esteri quotati su mercati internazionali, sul debt capital market, in titoli sovrani e prodotti misti non collegati alla economia reale del nostro paese. Da qui le limitazioni introdotte un anno fa, che hanno frenato l’avanzata dei Pir: almeno il 3,5% degli investimenti da destinare a società quotate sull’Aim e un altro 3,5% al venture capital. Il 2020 si apre con un nuovo capitolo della saga dei Pil: l’entrata in vigore del Dl fiscale collegato alla legge di bilancio rimuove queste limitazioni, e le sostituisce con un unico obbligo, destinare il 3,5% dell’intero patrimonio in strumenti finanziari di imprese a bassa capitalizzazione e quindi al di fuori dell’indice Ftse Mib e Ftse Mid di Borsa Italiana o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati.

di Nicola Ronchetti*

EPPURE LA CONCORRENZA DEGLI ILLIQUIDI POTREBBE OSTACOLARNE LA CORSA

NICOLA RONCHETTI

È indubbio che la saga dei Pir e chi l’ha saputa cavalcare e promuovere adeguatamente ha reso più frizzante e vivace l’operatività del nostro mercato finanziario. Qualche numero: dal lancio dei Pir nel 2017 ci sono state quasi 70 Ipo che hanno raccolto 2,5 miliardi di euro, le partecipazioni detenute dai Pir rappresentano oltre il 10% del flottante dell’Aim e poco meno di quello relativo al segmento small cap, il tutto per un controvalore di poco inferiore agli 800 milioni di euro. L’economia reale del nostro Paese – quella delle Pmi – dunque sembra avere beneficiato solo in parte dalle prime puntate della saga dei Pir, vediamo cosa succederà ora con il cambio di regia e il nuovo copione. Rimane solo un dubbio di sottofondo. Le motivazioni di chi ha sottoscritto i Pir sono essenzialmente riconducibili a due fattori: 1) l’incentivo fiscale (69% delle citazioni), 2) il contributo all’economia reale del nostro Paese (47%) (fonti: FINER® Finance Mirror). Sul contributo all’economia reale, rispetto al loro esordio, i Pir non possono più contare su un elemento di unicità: il proliferare dell’offerta di prodotti illiquidi dichiaratamente destinati alla nostra economia reale toglierà indubbiamente ai “nuovi” Pir un po’ di smalto. Certamente rimane l’incentivo fiscale, e sapendo quanto noi italiani siamo attratti dalla possibilità di non pagare le tasse, questo rimane sicuramente un punto di forza. La detassazione vincolata alla attesa dei cinque anni ha inoltre un vantaggio sulla cronica fretta degli italiani che normalmente, quando investono, non sanno attendere, vogliono tutto subito, salvo, nella maggior parte dei casi entrare in borsa ai massimi e uscire ai minimi. Se l’unico driver alla sottoscrizione dovesse rimanere quello dello sconto fiscale sorge una domanda spontanea: ma quando si fa un acquisto ragionato lo si fa solo perché c’è lo sconto o perché si ha bisogno di un prodotto di qualità? Ai posteri l’ardua sentenza. *Founder e ceo di Finer

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FOCUS PIR INTERVISTA A LUCIO DE GASPERIS

Con queste nuove regole un bell’«assist» all’economia reale di Marco Muffato

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anca Mediolanum è la realtà che per prima ha scommesso sul successo dei Pir ottenendo uno straordinario riscontro. Al 30 settembre 2019, secondo i dati Assogestioni, l’istituto guidato dall’ad Massimo Doris vanta oltre 4 miliardi (precisamente 4.088 milioni) di patrimonio sui fondi Pir e una quota di mercato del 22,1%, con 212.700 clienti, dato che li pone come primi investitori sul mercato Aim e tra i primi investitori domestici sul segmento star di Borsa Italiana. Ma quali sono le prospettive di questi strumenti? Lo chiediamo a Lucio De Gasperis, ad di Mediolanum Gestione Fondi.

De Gasperis, perché i Pir sono così importanti? La Francia ha un mercato dei capitali che è quattro volte il nostro, sono riuscite in questo obiettivo anche perché per tempo hanno introdotto il prodotto Pir che ha valorizzato il tessuto imprenditoriale. L’obiettivo della legge sui Pir è fare arrivare risorse finanziarie a tutte le nostre imprese, grandi medie e piccole al fine di assicurare la crescita delle piccole ma allo stesso tempo di rafforzare il mercato dei capitali dell’intero Paese. La capitalizzazione di Borsa Italiana è pari al 32% del Pil a fronte del 95% di Francia e del 56% della Germania. Questi ultimi due Paesi, avendo un mercato dei capitali più solido, in presenza di un rallentamento economico sono in grado di affrontare meglio le difficoltà di breve periodo. I Pir sono dunque vitali per il futuro del Paese. Ci spiega perchè i Pir hanno avuto una battuta d’arresto? Il legislatore nel 2019 aveva una intenzione condivisibile per spingere ancora di più gli investitori verso le pmi e l’economia reale del Paese. Le regole prevedevano che i Pir investissero per il 70% In Italia, per il 21% fuori dal Ftse Mib, di cui almeno un 3,5% sui sistemi multilaterali di negoziazione cioè l’Aim e per un ulteriore 3,5% in fondi di venture capital. La legge però era di difficile applicazione per i fondi, che di fatto erano nell’impossibilità di applicare le direttive comunitarie in materia di fondi Ucits, che la normativa fiscale impone per fruire dei relativi benefici. Un impedimento che sembra finalmente risolto… Infatti, il 1 gennaio 2020 il legislatore è nuovamente intervenuto e ha riformulato le indicazioni questa volta in maniera applicabile per gli investitori professionali e cioè: il 70% degli investimenti devono riguardare l’Italia, il 21% devono interessare aziende non comprese nel paniere del Ftse Mib di cui 3,5% diretto su small cap e Aim. Si può anche presentare così: 70% di cui un 3,5% fuori da Ftse Mib e Ftse Mid più 17,5% fuori dal Ftse Mib. Il fondo di venture capital non è più contemplato perché nel frattempo il legislatore è intervenuto sugli strumenti illiquidi attraverso gli Eltif. A proposito di Eltif, si tratta di un concorrente temibile per i Pir… Gli Eltif non sono strumenti concorrenti, c’è bisogno dell’uno e 30

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«LA CONCORRENZA DEGLI ELTIF NON FA PAURA. I PIR HANNO UN GRANDE FUTURO» dell’altro, sono complementari. Nel senso che all’interno di una corretta allocazione del risparmio ognuna delle due asset class crea valore con il proprio orizzonte temporale. Entrambe è vero sono di lungo periodo però il fonLUCIO DE GASPERIS do aperto Pir può essere disinvestito in qualunque momento, mentre l’Eltif che è un fondo chiuso deve essere portato a scadenza. Quale scegliere? Ancora una volta diventa cruciale il ruolo del consulente finanziario nell’analisi dei bisogni del risparmiatore. Novità in arrivo nella vostra gamma prodotti sui Pir? In questo momento la gamma è completa: abbiamo un fondo flessibile a prevalente contenuto azionario, un fondo flessibile con una prevalenza di investimenti obbligazionari e una contenuta presenza azionaria, e poi ci sono le Unit linked Pir. Che obiettivi di raccolta avete nei piani individuali di risparmio? L’industria nel 2020 stima una raccolta netta di 3,5 miliardi di euro, che crescerà negli anni a seguire: le previsioni reputano infatti in 4 miliardi di euro la raccolta possibile nel 2021. Come Mediolanum stimiamo possibile una raccolta di 700 milioni di euro, in linea con la quota di mercato oggi detenuta. Come organizzate il vostro lavoro di scouting sulle pmi? In portafoglio abbiamo oltre 200 società, il mio team è composto da oltre 20 persone tra analisti e gestori che monitorano costantemente i mercati e incontrano il management e gli imprenditori. Quando selezioniamo una società esaminiamo le prospettive del business, il modello organizzativo, l’internazionalizzazione della società, la qualità del management e soprattutto la qualità della governance.


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FOCUS PIR PIANIFICAZIONE

Programmi Pir 3.0, tutte le istruzioni per l’uso di Marco Muffato

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l ritorno in grande stile dei Pir non sorprende gli operatori della prima ora, quelli che nei piani individuali di risparmio hanno sempre creduto. E può essere foriero di altrettante soddisfazioni per tutti i protagonisti: intermediari e clienti in primis. Investire ne ha parlato con Marco Covelli, direttore investimenti di Ersel Asset Management Sgr.

COVELLI (ERSEL): «DEVONO INSERIRSI AL MEGLIO NELL’ASSET ALLOCATION STRATEGICA»

Covelli, le novità della normativa sui prodotti di punta di Ersel da oltre 20 anni, Pir possono a suo avviso determinamentre il fondo flessibile è nato alla fine re un rilancio dello strumento e una del 2016 per offrire una soluzione di invedomanda pari a quella registrata nel stimento anche ai clienti con una propen2017, l’anno del boom dei piani indivisione al rischio minore rispetto all’azionaduali di risparmio? rio direzionale. La capogruppo Ersel Sim La prima versione dei Pir, varata alla fine offre ai propri clienti l’opportunità di avedel 2016, ha indubbiamente riscosso re il proprio “conto Pir” dove, senza alcun grande successo. Le modifiche introdotonere aggiuntivo, far confluire gli investite nel 2018 si sono invece dimostrate di menti in Oicr Pir compliant, per almeno difficile implementazione, in particolare il 70% e, nel rispetto del limite massimo per la quota minima prevista di investidel 30% previsto dalla normativa, in Oicr menti in venture capital, e di fatto hanno anche non Pir compliant. comportato l’interruzione dei flussi di Sono previste novità nell’offerta? MARCO COVELLI, DIRETTORE INVESTIMENTI ERSEL nuove sottoscrizioni. La versione 3.0, pur Al momento non è previsto il varo di altre introducendo un ulteriore vincolo d’investimento minimo sulle soluzioni. aziende escluse dagli indici delle big e delle mid cap, ha visto in Uno degli obiettivi indiretti dell’investimento in Pir è di aiusostanza un ritorno alla versione precedente e ci è sembrata una tare l’economia reale e in particolare il segmento delle Pmi soluzione pragmatica e opportuna per far ripartire le sottoscri- italiane. Con quali criteri state inserendo le imprese all’inzioni. Ci aspettiamo quindi che gli investitori tornino a premiare terno dei vostri prodotti? questa soluzione d’investimento con flussi che potrebbero rag- Crediamo che tutti gli investimenti, quindi anche quelli Pir comgiungere i 3,5 miliardi di euro all’anno. pliant, dovrebbero premiare le aziende più meritevoli e non arQuali sono oggi i numeri di Ersel nei Pir? rivare a pioggia su tutto il mercato. Coerentemente con questa Ersel Asset Management gestisce due programmi già Pir Com- filosofia di investimento, la nostra selezione avviene sempre sulla pliant rispetto alla versione 3.0 con asset per complessivi 200 base di un’attenta analisi bottom up e i titoli in portafoglio vengono poi monitorati tramite periodici incontri con il management milioni. e un continuo confronto con gli analisti sell side. In generale tenPer quale tipo di risparmiatore è adatto il prodotto Pir? Partendo dal presupposto che l’investimento Pir non deve stra- diamo a scegliere aziende leader di segmenti di mercato o che volgere una corretta asset allocation di portafoglio, sicuramente operano in mercati in forte espansione, ma non disdegniamo può raccogliere la quota destinata all’azionario domestico e al- scelte legate alla stabilità e visibilità dei risultati. meno una parte di quella destinata all’azionario internazionale. Quali sono i vostri obiettivi sui piani individuali di risparLa gradualità delle sottoscrizioni e l’orizzonte di investimento di mio? Ersel è stata tra le prime Sgr a offrire fondi Pir compliant perché almeno cinque anni, riducono il rischio di un errore nel timing. l’azionario Italia, e in particolare la selezione delle migliori azienIn cosa consiste oggi la vostra offerta in Pir? Ersel oggi offre due fondi Pir compliant: un fondo azionario long de small e mid cap, è da sempre uno dei nostri punti di forza. Il only di diritto italiano, Fondersel Pmi e uno flessibile, di diritto nostro obiettivo è quindi di continuare su questa strada dimolussemburghese, Leadersel Pmi Hd. Il fondo italiano è uno dei strando, numeri alla mano, la nostra competenza. 32

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CONSULENTI FINANZIARI

Elezioni Anasf, atto finale di Marco Muffato

L’

appuntamento elettorale in casa Anasf è all’atto finale. È previsto (salvo spostamenti di data dovuti all’epidemia di Coronavirus in Italia) questo mese, dal 13 al 15 marzo, a Solbiate Olona (Varese) il decisivo evento dei consulenti finanziari, l’XI Congresso Nazionale dove saranno poste le fondamenta dell’associazione che verrà.

I risultati del voto Accantonata la prima fase di votazione, come ha affermato il presidente uscente dell’Anasf Maurizio Bufi, «Per la prima volta a un Congresso Nazionale i nostri associati hanno potuto esprimere la propria preferenza attraverso il voto elettronico. L’adesione è stata molto alta, a dimostrazione di una forte democrazia associativa e di un rilevante senso di appartenenza degli iscritti, che rafforza anche la rappresentatività di Anasf all’esterno. Al Congresso Nazionale, che si svolgerà dal 13 al 15 marzo a Solbiate Olona, saranno definite le linee guida dell’Associazione per il prossimo mandato e sono certo che Anasf continuerà a lavorare con impegno e determinazione per affrontare le future sfide». Ricordiamo che le liste in gara erano cinque:

VA IN SCENA QUESTO MESE L’XI CONGRESSO NAZIONALE DELL’ASSOCIAZIONE DA CUI USCIRANNO I 25 CONSIGLIERI NAZIONALI E SOPRATTUTTO IL NUOVO PRESIDENTE

la favorita lista 1 (“Insieme per crescere”), con candidato presidente Luigi Conte, che ha ottenuto la maggioranza dei delegati (89 su 161); la lista 3 (“Anasf Riparte”, con candidato presidente Alma Foti, forte di 46 delegati, l’apparentata lista 2 (“Consulenti con Anasf”), con 14 delegati; la lista a 4 (“#senonoraquando – Diamo valore al nostro futuro”) e la lista 5 (“Professione e partecipazione”) ciascuna con 6 delegati.

A Solbiate Olona, nomine chiave e non solo Oltre ai 161 delegati chi sarà presente all’XI Congresso Nazionale Anasf? A titolo solamente consultivo e senza diritto di voto, se non eletti come delegati, possono partecipare anche i componenti uscenti del Consiglio nazionale, i componenti uscenti del Comitato esecutivo, il Collegio dei probiviri, i coordinatori dei Comitati territoriali, i componenti, designati da Anasf, dell’Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo unico dei consulenti finanziari, il Comitato dei garanti. Quali sono i compiti che spettano al Congresso Nazionale? In primo luogo fissare gli indirizzi 34

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generali dell’associazione, poi approvare le eventuali modifiche dello Statuto con la maggioranza dei 2/3 dei delegati presenti al Congresso, compresa la definizione territoriale dei Comitati territoriali. Infine approvare le delibere sulle altre materiesottoposte dal Consiglio Nazionale, dai delegati o dai Comitati territoriali. Dulcis in fundo, nominare il Consiglio nazionale e quindi il presidente. Come? Saranno costituite in sede congressuale liste dei candidati per il Consiglio nazionale che dovranno essere omologhe a quelle presentate per l’elezione dei delegati al Congresso e verranno depositate, dopo il dibattito, presso la presidenza del Congresso da uno dei delegati per ogni lista. L’elezione avverrà mediante voto segreto nel seggio allestito al Congresso aperto alla fine dei lavorie secondo il regolamento generale si potranno esprimere due preferenze. I consiglieri eletti dovranno essere 25, le proporzioni in base alle quali eleggere i componenti del Consiglio nazionale resteranno le stesse emerse nella votazione dei delegati al Congresso. Non saranno possibili nuovi apparentamenti e saranno eletti i candidati che nell’ambito di ciascuna lista riporteranno il maggior numero di voti sino alla concorrenza dei seggi spettanti alla lista stessa. Il nuovo Consiglio nazionale, presieduto dal consigliere eletto con la maggiore anzianità di iscrizione in Anasf, si riunirà in sede di Congresso immediatamente dopo la sua proclamazione, e voterà per l’elezione del nuovo presidente, previa presentazione delle candidature e dichiarazione di adesione alle linee programmatiche approvate dal Congresso, così come previsto dal regolamento generale.


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INTERVISTA A DIVA MORIANI

Esg, la svolta etica cambia le imprese di Sergio Luciano

«S

arò ottimista, ma io rilevo nei fatti che il mondo della finanza e delle imprese sta cambiando, si sono diffuse ormai tra i consumatori come tra i lavoratori e gli investitori nuove idee e nuove sensibilità sul fronte dei diritti umani, delle regole, dell’ambiente. In sostanza possiamo riconoscere che i nostri figli, più illuminati di noi, preferiscono prodotti e servizi che vengano offerti da aziende che si comportano con correttezza secondo nuove regole e nuovi valori, o meglio valori riscoperti»: Diva Moriani, tra le più autorevoli manager non soltanto finanziarie del nostro Paese non ha dubbi. Si occupa intensamente di finanza etica e di solidarietà, sia nell’attività privata che nel suo ruolo vicepresidente esecutivo di Intek Group , della Kme – di cui è anche stata amministratore delegato – e di consigliere indipendente di colossi come Eni o Generali o di gruppi dinamici come Moncler. «È insomma molto aumentata», aggiunge, «la quantità di persone che cercano nelle imprese con cui si interfacciano dei valori e dei contenuti nuovi. A parità di prodotto o di rapporto prezzo/ qualità, il mercato preferisce le aziende che sanno anche impegnarsi nel sociale o nell’ambiente, grazie alle nuove generazioni!»

Dunque quella dei principi Esg (Enviromental, social and government) non è una moda ma una svolta, secondo lei? Sicuramente. E dunque da una parte è una svolta etica, dall’altra è proprio una svolta culturale. Io credo che la finanza stia giocando un ruolo estremamente importante nelle aziende, nell’indurle a questa metamorfosi. E la direzione verso cui il mercato finanziario spinge, conta in modo determinante nella trasformazione delle aziende stesse. In questo momento l’azienda è stata tirata per la giacca dalla finanza, ma per fortuna nella direzione giusta. Perché la finanza mondiale ha iniziato a mettere i puntini sulle “i” su tutta una serie di comportamenti, non si accontenta più di una buona governance ma va su tutto, richiede rendicontazione di tutto, e tutte le aziende evolute sono coscienti che sarà sempre così, ormai, per cui si sono messe a fare sul serio. La finanza ha dato il là, la gestione sta seguendo. Non negherà che dietro questa metamorfosi ci sono anche considerazioni di marketing, dunque… Sicuramente tutte le aziende si stanno interrogando se questa trasformazione vada fatta per ragioni di opportunità o di marketing – come dice lei – o se vada vissuta come una scelta sostanziale. E io le dico che le più illuminate hanno pensato che questo nuovo atteggiamento dovesse diventare parte integrante della loro strategia, ci sono settori interi che oggi rischiano di essere sconvolti da questa sensibilità nuova sui valori Esg, e che si rendono

conto di dover cambiare addirittura per sopravvivere. Non più una facoltà, ma proprio una necessità. E sui mercati finanziari, molti di noi non prendono in considerazione quelli che simulano di adeguarsi ai nuovi criteri ma lo fanno visibilmente per ragioni di marketing. Quel che ci interessa sono coloro che inseriscono i nuovi DIVA MORIANI valori nelle loro strategie a lungo termine. E questa scelta, ci diceva, premia… Ci sono tante ricerche che dimostrano come ad esempio nel lusso e nell’abbigliamento oltre il 40% dei consumatori sia disponibile a pagare un premium price anche del 10% per avere in cambio la sicurezza che certi beni arrivino da filiere produttive e distributive corrette, o da aziende che comunque abbiano determinate caratteristiche. C’è una richiesta da parte dei consumatori in questo senso, che sarà sempre più importante. E c’è dell’altro: le aziende che rispettano i principi Esg sono anche quelle capaci di attrarre i migliori talenti. Sta entrando sul mercato del lavoro una generazione che sceglie dove andare a lavorare anche in base a questi valori. Ma adeguarsi ai principi Esg non comporta costi eccessivi? Al contrario, può condurre a un grande miglioramento globale e delle performance, purchè si smetta di vederli come costi e limitazioni. Senza contare l’impatto positivo che l’adozione di questi comportamenti ha sull’ambiente che gira intorno all’azienda stessa, sulla comunità dei suoi stakeholder. Voi di Intek che a queste cose avete iniziato a lavorare molti e molti anni fa non siete un po’ colpiti dal fatto che oggi siano di moda? Secondo me le mode, se positive, mettono radici col tempo, e quindi va bene…Ma questa non è una moda, né deve impressionarci qualche inevitabile fake. Siamo di fronte a un passaggio evolutivo del sistema economico. Senza il quale il sistema imploderebbe. A breve si definiranno degli standard riconosciuti e dei controlli adeguati, e chi non si sarà attrezzato o chi avrà soltanto millantato di farlo, scomparirà…

«SIAMO DI FRONTE A UN PASSAGGIO EVOLUTIVO DEL SISTEMA ECONOMICO CHE COSÌ EVITERÀ DI IMPLODERE»

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INTERVISTA A MICHAEL SPENCE

«Le imprese devono conciliare redditività e sostenibilità» di Sergio Luciano

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«

on dobbiamo commettere l’errore di passare dalla vecchia formula secondo cui ‘le aziende devono massimizzare il valore per gli azionisti e nient’altro’ a una nuova formula che dicesse: ‘le aziende devono risolvere da sole i problemi della società’. La prima non funziona, ma neanche la seconda. Ciò di cui abbiamo bisogno è un modello in cui le aziende siano impegnate, innovino nello sviluppo dei loro modelli di business e lavorino in partnership con gli altri settori della società per affrontare al meglio tutte queste sfide, sia la sfida della redditività che quella sostenibilità, ambientale e sociale»: Michael Spence, economista statunitense - insignito del Premio Nobel per l’economia nel 2001 insieme a Joseph E. Stiglitz e George A. Akerlof “per le loro analisi dei mercati con informazione asimmetrica” - dal 2011 docente di economia alla Scuola di Direzione Aziendale della Bocconi di Milano, commenta con Investire questa inedita “febbre buonista” che ha contagiato, o sembra aver contagiato, gli ambienti finanziari americani. E – sin dall’esordio – colloca il dibattito su un piano di sostanza, al riparo dalle mode e proiettate sul futuro. Professore, è stata sorprendente per molti la dichiarazione del capo di Blackrock, Larry Fink, secondo cui il suo gruppo non investirà più in società che non applicano i principi Esg (Enviromental, social, government). Come giudica questo annuncio? È un annuncio che segue la dichiarazione dell’American Roundtable dell’estate scorsa, quella secondo cui le società non dovrebbero più concentrarsi esclusivamente sulla massimizzazione del valore per gli azionisti. Dal mio punto di vista, faccio due osservazioni. La prima è che i principali stakeholder - dipendenti, inve36

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ORMAI INVESTITORI, DIPENDENTI, CLIENTI SI ATTENDONO CHE LE AZIENDE SI IMPEGNINO AD AFFRONTARE LE PRINCIPALI SFIDE ECONOMICHE, SOCIALI E AMBIENTALI Nella foto Michael Spence, Premio Nobel per l’economia nel 2001

stitori, clienti - chiedono e si aspettano che le aziende si impegnino ad affrontare le principali sfide economiche, sociali e ambientali. E dunque penso che le scelte delle aziende rifletteranno queste nuove esigenze, le aziende stanno rispondendo positivamente e spostando in modo coerente i loro valori. Molti analisti si chiedono se sia possibile e sostenibile, per un’azienda occidentale, rispettare i principi Esg e rimanere competitiva con le aziende dei paesi che non li rispettano, come molte potenze economiche dell’Estremo Oriente. Lei cosa ne pensa? Penso che sia un problema reale. E, man mano che il tema diventerà più pressante, si ripercuotera sui necessari cambiamenti della politica economica. Il sostegno alla riduzione delle emissioni di carbonio e una politica fiscale attenta ad attutire le conseguenze di quest’impegno saranno un esempio. Intendo dire, cioè, che i governi saranno spinti a cambiare le loro politiche fiscali per consentire il rispetto delle nuove norme e l’adozione dei nuovi comportamenti senza indebite conseguenze negative per la concorrenza. Altri analisti sospettano però che dietro questa grande


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attenzione ai principi Esg ci sia solo o per lo meno anche una moda passeggera e molta ipocrisia. Lei cosa ne pensa? Io non lo credo. Le generazioni più giovani mi sembrano fare sul serio e il loro comportamento sul mercato avrà un effetto negativo sulle aziende e sugli investitori che dovessero commettere l’errore di ignorarno come se fosse un fenomeno passeggero, o appunto una moda. Ha causato scalpore, però, la recente affermazione di Warren Buffett secondo cui il compito di ogni impresa è solo quello di produrre profitti nel rispetto della legge, e nient’altro. Questo rilanciato da Buffett è il vecchio modello: le imprese massimizzano i profitti senza altri vincoli o scopi, e i governi regolano l’amministrazione pubblica per assicurare l’allineamento dei risultati delle aziende private a obiettivi economici e sociali più ampi. Secondo questa visione, il cambiamento climatico è un problema del governo. In realtà, se la società di oggi vuole passare a modelli di crescita sostenibile, il compito del governo è quello di stabilire le regole e gli incentivi, anche per le aziende. Ma il problema è che l’espletamento di questo compito da parte del governo probabilmente non funzionerà, cioè non basterà a migliorare le cose. Il governo ha un ruolo, certo. Ma lo stesso vale per gli altri attori della società, e per il cambiamento dei valori collettivi. Per questo penso che ci stiamo allontanando dal vecchio modello. Circa vent’anni fa, negli Usa e in Europa, la Responsabilità Sociale d’Impresa è diventata di moda e possiamo considerarla il precursore dei principi Esg. Poi non se ne è più parlato e anche recentemente ogni volta che un’azienda quotata a Wall Street annuncia che taglierà il personale, vede crescere la sua quotazione in Borsa. Ma allora queste tensioni morali delle società americane sono false? Ci sono tensioni e spinte diverse, insite nel modello multi-stakeholder. Non esiste un’unica formulal, blindata, che dica a una società come conciliare gli interessi dei vari stakeholder, compresi gli azionisti, con quelli della società in generale. E naturalmente i vari interessi non sono sempre allineati. A volte un’azienda deve ridimensionare i propri impegni e ridurre l’organico. L’importante in questi casi è quando e come lo fanno. Se li riqualificano, se cercano con impegno un’occupazione alternativa; oppure se si limitano a chiudere semplicemente lo stabilimento, magari trasferendolo in Asia, e lasciando disoccupati i lavoratori. In Europa c’è molta esperienza di cambiamenti strutturali responsabili. Per andare avanti sulla strada corretta, l’esperienza europea suggerisce che bisogna lavorare in modo cooperativo, cioè che è necessario che il governo, le imprese, le istituzioni che regolano il lavoro, il mondo della formazione e tutti gli altri soggetti coinvolti lavorino insieme. Poco fa parlava della necessità che i governi adattino le regole alla necessità delle imprese di rispettare i parametri Esg anche se questo comporta la perdita di competitività. Facciamo un esempio concreto: sarebbe giusto, secondo lei, applicare dazi speciali contro i beni prodotti in Paesi che non rispettano i principi Esg? In linea di principio, sì. Ma non credo che questa dovrebbe essere la prima risposta di un governo. Il dialogo è utile nelle relazioni internazionali. E poi io credo che non esiste una globalizzazione che funzioni grazie al fatto di essere priva di valore. Non sempre occorre imporre i comportamenti attraverso leggi. Basta il

mercato. Se per esempio un’azienda abusa del lavoro minorile in un paese povero per realizzare i suoi prodotti, i consumatori probabilmente la abbandoneranno per dissociarsi dal suo comportamento in un numero tale da scaricare su di essa un costo anche superiore agli eventuali dazi che potrebberlo esserle imposti. Allora lei sarà anche d’accordo con chi pensa che le aziende che rispettano i principi Esg possano, a lungo termine, vedere i loro risultati crescere di più? Sì, lo sono. Mi colpisce il fatto che alcune delle aziende più valide al mondo, che hanno maggiormente premiato i loro azionisti, adottano sin dalla loro fondazione, finalità e missioni che hanno a che fare con lo sviluppo economico e sociale. Alibaba ne è un esempio. E’ stata creata per sfruttare la tecnologia digitale in modo da aumentare le opportunità per le piccole imprese, ed ha ancora questa missione.

L’ERA DELLA MASSIMIZZAZIONE DEL VALORE PER GLI AZIONISTI COME UNICO CRITERIO GESTIONALE STA VOLGENDO AL TERMINE

Non pensa che il Ceo-capitalismo, orientato alla massimizzazione delle quotazioni di Borsa, non sia adatto allo sviluppo e al rispetto dei principi Esg? Penso che l’era della massimizzazione del valore per gli azionisti, soprattutto nel breve periodo (il tipo di creazione di valore che piace di più ai trader), stia volgendo al termine. Con questo non arrivo al punto di credere che la redditività e la creazione di valore per gli azionisti scomparirà come metrica di valutazione delle imprese, perché le aziende hanno bisogno di capitale e gli azionisti (soprattutto quelli a lungo termine) sono gli stakeholder da cui dipende il loro finanziamento. Ma credo che questa creazione di valore non sarà più l’unico metro di misura. Infine, come valuta l’Italia in questo campi: rispettiamo sufficientemente i principi Esg? L’italia mi sembra molto in linea con queste tendenze. Con molte aziende che avanzano verso obiettivi più ambiziosi soprattutto nell’area della sostenibilità. marzo 2020

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INTERVISTA A MASSIMILIANO CAGLIERO

«Non c’è dubbio, le imprese Esg ottengono rendimenti migliori» di Sergio Luciano

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IL FONDATORE DI BANOR: «LE SCELTE OTTIMALI SONO QUELLE CHE COMBINANO I RATING ESG CON I CRITERI DELL’ANALISI FONDAMENTALE»

e imprese caratterizzate da rating Esg più elevati ottengono rendimenti differenziali superiori rispetto alle altre. E il mercato azionario sembra premiare in particolare le società che perseguono buone pratiche complessivamente nei tre elementi (environment, social e governance), piuttosto che in uno dei singoli. Lo rivela uno studio sviluppato dal professor Giancarlo Giudici, del Politecnico di Milano, con il team di ricerche di Banor Sim. Particolare importante: lo studio è stato costruito sui dati dei titoli dell’indice Stoxx® Europe 600, considerati nel periodo dal 2012 al 2017, quando ancora non imperversava la moda dei principi Esg. E dunque è possibile affermare che essere gestionalmente corretti e sensibili verso i valori sociali ambientali e dalla buona governance è una specie di marcia in più per le società? «Noi di Banor siamo convinti di sì, ma lo studio dimostra anche che le migliori strategie di investimento di portafoglio sono quelle che combinano i rating Esg con considerazioni legate all’analisi fondamentale», risponde Massimiliano Cagliero, fondatore ed amministratore delegato di Banor: «In particolare il rapporto prezzo su utile per azione resta un indicatore essenziale, a ulteriore dimostrazione dei vantaggi ottenibili nell’asset allocation da un approccio integrato». L’analisi approfondita sulle determinanti della performance per i titoli industriali dell’indice rivela che le imprese con alto rating Esg sono state più efficienti sia nell’aumentare i volumi di fatturato, sia nel miglioramento della marginalità operativa (che in valore mediano è invece negativa per le altre imprese), sia nel dividend yield. L’evidenza è coerente con l’ipotesi che l’adozione delle migliori pratiche Esg sia la fonte di un vantaggio competitivo di lungo termine. Dunque l’ideale, nella valutazione di un investimento, è aggiungere ai principi della buona gestione orientata al “value” con quelli Esg? Sì, l’integrazione di valutazioni Esg nell’asset allocation è potenzialmente in grado di migliorare la qualità delle analisi value-based. Comprendere il legame fra vantaggio competitivo, redditività e buone pratiche nel campo ambientale, sociale e della governance è quindi utile sia per le imprese, che potranno meglio comunicare con tutti i loro stakeholders e valorizzare gli investimenti nelle buone pratiche Esg, sia per gli investitori, sempre più selettivi nello stock picking. E penso che sia importante per tutti mantenere su un piano di sostanza, e di sostenibilità economica per l’azienda, l’impegno verso le tematiche ESG delle società. Non teme che il fattore moda inflazioni e dunque distorca 38

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Nella foto Massimiliano Cagliero

il concetto stesso di gestione Esg? Intanto vorrei ricordare che, storicamente, è sempre stata apprezzata un’attenzione alle tematiche sociali e di buona governance; di nuovo negli ultimi anni c’è l’attenzione alla sostenibilità ambientale. Comunque è suonato sorprendente a molti la dichiarazione del capo di Blackrock, Larry Fink, secondo cui il suo gruppo non investirà più in società che non applicano i principi Esg (Enviromental, social, government). Io giudico quest’annuncio molto positivo nel medio lungo termine. Ci sarà ancora parecchia ipocrisia e greenwashing nel breve termine – costa di meno organizzare una serata per parlare di Esg che cam-


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biare effettivamente dei processi aziendali – ma il trend è comunque segnato, e – con alti e bassi – verrà seguito. Molto dipenderà naturalmente anche dall’andamento dell’economia globale e dalle risorse che genererà e che potranno essere indirizzate a investimenti Esg. E dipenderà anche dalla forza dei movimenti politici verdi nel panorama globale. Ecco, restiamo sulla politica. Molti analisti si chiedono se sia possibile e sostenibile, per un’azienda occidentale, rispettare i principi Esg e rimanere competitiva con le aziende dei paesi che non li rispettano, come fanno molte potenze economiche dell’Estremo Oriente. Lei cosa ne pensa? È un tema molto importante e reale, ma più generale, che non si riferisce solo al discorso dell’Esg, ed alle limitazioni che una politica di rispetto di questi criteri possa comportare per certe aziende, e non per altre. Stesso discorso si potrebbe fare per il dumping fiscale di certi stati, o per certe facilitazioni che le aziende hanno in certi mercati rispetto ad altri. C’è un problema da risolvere, però, in sede anche politica: quello dell’attuale mancanza di un ente certificatore a livello mondiale, riconosciuto in questo campo.

«LA RIDUZIONE DEL FATTORE LAVORO PER AUMENTARE IL PREMIO AL FATTORE CAPITALE LA CONSIDERO INACCETTABILE» Si potrebbe secondo lei usare dazi speciali contro i beni prodotti in Paesi che non rispettano i principi Esg? Concordo, in linea di principio. L’applicazione di dazi potrebbe essere una risposta concettualmente accettabile. Sarebbe però difficilissimo metterla in pratica, in assenza di una modalità oggettiva di valutazione dell’applicazione dei criteri Esg. E anche se si trovasse il modo di applicarla, nel lungo termine non sarebbe sostenibile. È la mentalità del consumatore che determinerà il successo o meno di un’azienda. Torniamo alla psicologia sociale, e quindi alla moda. Quanto c’è di fanatico, e quindi transitorio, nella ventata di sensibilità in atto sui principi Esg?

Per me non si tratta di una moda passeggera. È un cambiamento di mentalità, anche molto veloce, che si sta imponendo. La mia è stata l’ultima generazione a cui non importava molto, almeno non istintivamente, dei principi Esg. Oggi noi, come gestori, sentiamo molto la pressione in questo senso. Avremo prova di questo nel primo periodo di crisi; in quel momento vedremo quanto sono veramente importanti le tematiche Esg per le aziende. Fino a che le cose vanno bene, come negli ultimi 10 anni, è facile “fare i signori”! Peraltro ritengo si possa essere ottimisti e prevedere un rafforzamento della sensibilità collettiva su questi valori. Le nuove generazioni sono molto sensibili ad essi. Lei apprezza il metodo gestionale di Warren Buffett. Il quale però ha recentemente ribadito, a proposito del dibattito sugli Esg, che il compito di ogni impresa è solo quello di produrre profitti nel rispetto della legge, e nient’altro. Warren Buffet lo dice, ma poi effettivamente non si comporta così. Lui stesso scrive sempre che la qualità del management delle aziende in cui si investe è un elemento di importanza fondamentale. Quello a cui si riferisce – ed in questo concordo – è la destinazione dell’utile; le aziende massimizzino la produzione di utile, in modo etico. Poi ci pensano gli azionisti, quando ricevono tale utile, ad utilizzarlo nel modo a loro più consono. Per massimizzare però l’utile, devono oggi – e dovranno ancora di più in seguito – seguire criteri Esg. E le aziende che predicano bene e razzolano male? Come quelle che osano comunicare al mercato, contemporaneamente, l’aumento di utili e dividendi programmati e i tagli all’organico? Il fatto che un’azienda licenzi, soprattutto in un mercato fluido come quello americano, non è una prova contraria all’idea che quella stessa impresa pratichi la responsabilità sociale. Diverso è il caso in una situazione di mercato più rigido, come quello europeo, dove infatti sono molto più rari i licenziamenti di massa frequenti negli Stati Uniti. Certo, il fattore lavoro è entrato in una fase di turbolenza che richiederà un intenso reskilling, che potrà anche condurre a grandi trasformazioni ma magari nel corso di una generazione. La riduzione della forza lavoro per salvarne quella superstite sì, la comprendo. La riduzione per aumentare il premio al fattore-capitale la considero inaccettabile… Quindi non pensa che il Ceo-capitalismo, orientato alla massimizzazione delle quotazioni di Borsa, non sia adatto allo sviluppo e al rispetto dei principi Esg? Assolutamente no. Anzi, l’applicazione dei criteri Esg sarà, nel tempo e con “ups and downs”, la chiave per la massimizzazione del valore di Borsa delle aziende. Lo dimostra lo studio Banor- Politecnico. E lo dimostrano i nostri risultati nella gestione dell’asset allocation ispirata ai principi Esg. Concludiamo sull’Italia: come valuta l nostro Paese in questo campo? Siamo in una prima fase di adozione di questi principi; quindi molti annunci, convegni, e parecchio greenwashing. Ma che sia per convenienza o per convinzione comunque la gente ha interiorizzato il tema, poi con quanta pervasività e rapidità esso potrà cambiare gli standard, dipenderà molto – ripeto - da come andrà l’economia: finchè le cose vanno bene l’espansioe continuerà. E gli straordinari imprenditori italiani saranno però poi quelli che applicheranno i principi Esg meglio, ed in modo più pervasivo, di ogni altro imprenditore al mondo! marzo 2020

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FINANZA ED ECONOMIA IN MERIDIONE

Popolare di Bari, una crisi isolata che non riflette (nè frena) il credito al Sud di Federico Pirro

I

l commissariamento della Popolare di Bari disposto dalla Banca d’Italia, cui subito ha fatto seguito il decreto legge con cui il Governo ha impegnato il Mediocredito centrale, previo il conferimento a esso di 900 milioni, a entrare nel capitale dell’Istituto barese - in cui è intervenuto anche il Fondo Interbancario per la tutela dei depositi con un primo apporto di 300 milioni - ha consentito per il momento il salvataggio della banca. Ma perché esso diventi effettivo è “necessario e fondamentale” per il Ministero dell’Economia che a giugno l’assemblea dei soci deliberi la sua trasformazione in società per azioni che dovrà essere preceduta entro aprile dalla redazione da parte dei Commissari di un piano industriale definitivo e credibile con l’indicazione puntuale del fabbisogno finanziario determinato dalla pulizia dei bilanci dagli Npl in eccesso. A sessant’anni dalla sua fondazione avvenuta nel 1960, la prima Banca pugliese – che era venuta acquisendo nel corso degli anni il controllo di diversi istituti di credito in altre regioni italiane, allargando sempre di più la sua compagine sociale che conta oggi circa 70mila soci in molte aree del Paese anche al Nord – ha avuto bisogno in una situazione di emergenza di un forte intervento pubblico e del Fitd, a causa del pesante deterioramento della sua situazione patrimoniale. E questo nuovo doloroso episodio di crisi di una banca che ha un’elevata incidenza sull’economia non solo della Puglia, ma anche di altri territori in cui operano i suoi sportelli, ha fatto seguito alle ben note vicende di alcuni Istituti di credito italiani, dal Monte dei Paschi di Siena a Banca Etruria, dalla Banca popolare di Vicenza a Veneto 40

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I FATTORI DI CRISI DELL’ISTITUTO COMMISSARIATO NON SONO PROPRI ESCLUSIVAMENTE DI UN GRUPPO SPECIFICO DEL MEZZOGIORNO MA SONO EMERSI ANCOR PRIMA AL CENTRO-NORD

Marco Jacobini, l’ex presidente e per anni indiscusso dominus dell’istituto popolare barese, oggi al centro delle indagini su quanto ha concorso a portare la banca alla crisi

Banca, per finire a Carige: tutti eventi che hanno impegnato l’Istituto di Vigilanza, e in alcuni casi la Consob, che hanno quale comune denominatore cattive forme di essendo in molti casi emerse ben precise responsabilità gestionali di cui risponderanno gli amministratori investiti di effettivi poteri di conduzione delle aziende. Si può pertanto affermare che la crisi della Popolare di Bari è anch’essa la manifestazione di preoccupanti carenze gestionali che - a differenza di quanto scritto capziosamente su qualche testata giornalistica del Nord - non sono proprie ed esclusivamente di un gruppo specifico del ceto creditizio meridionale, ma sono emerse ancor prima di quelle baresi in ambienti bancari del Centro-Italia e del Nord-Est e del Nord-Ovest del Paese.


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Sono infondati i timori di un razionamento del credito per le imprese locali efficienti A loro volta taluni organi della stampa regionale, preoccupati che gli interventi di salvataggio della Popolare barese possano preludere, sia pure in prospettiva, ad un suo passaggio sotto il controllo di gruppi italiani o stranieri che hanno al Nord o all’estero i loro quartier generali e i centri decisionali, hanno avviato una campagna contro il rischio che una tradizionale banca di territorio finisca col ridurre i suoi rapporti con la clientela locale, operando solo come azienda di raccolta impiegata lontano dal contesto produttivo pugliese. Al riguardo però - premesso che in generale il risparmio si dirige dove esiste il minor rischio e il maggior rendimento per i depositanti e le banche – chi scrive ritiene che un’azienda ben guidata, con controlli di gestione estremamente rigorosi e con un’apprezzabile redditività, conseguibile ormai anche nell’Italia meridionale, conservi il suo merito creditizio anche con una banca che abbia a Milano i suoi centri decisionali. Pertanto, può considerarsi un residuo di approccio ormai datato al mondo creditizio quello di coloro che denunciano il rischio per la propria azienda di non avere più finanziamenti, o di averne meno e in tempi più lunghi, qualora una banca locale finisse sotto il controllo di un istituto del Nord: le aziende meridionali sane, profittevoli, ben governate, le quali comprendono che l’efficiente gestione del cash flow è un prius ineludibile per tutti coloro che vogliano essere competitivi sul mercato, gli affidamenti li ricevono sempre ed anche in quantità soddisfacenti. Ma è pur vero che anche le Pmi dell’Italia meridionale devono superare ormai la ‘bancodipendenza’ per la provvista finanziaria, aprendo le loro compagini sociali a fondi di investimento, a società di venture capital e a emissioni di bond.

Ma accanto alle tre popolari e a una Spa, la Puglia presenta un tessuto di banche di credito cooperativo che ammontano a 24 unità – alcune delle quali di rilevanti dimensioni per masse di attivi amministrati, come per esempio quelle di Conversano e Castellana nel sud-est barese, di San Marzano e Massafra in provincia di Taranto, di San Giovanni Rotondo in Capitanata, di Santeramo in Colle sulla Murgia barese al confine con la Basilicata, di Leverano e di Otranto nel Salento, del capoluogo metropolitano, di Alberobello e Sammichele di Bari, a cavallo tra Valle d’Itria e hinterland barese. Molte di queste banche di credito cooperativo sono state fondate da decenni, sono cresciute nel corso degli anni e aggregano oggi migliaia di soci tra agricoltori, artigiani, commercianti e professionisti, costituendo in ogni area in cui operano veri caposaldi delle economie locali, qualificandosi come autentiche banche di territorio: il che non significa affatto per i loro amministratori erogare finanziamenti facili, ma al contrario essere molto attenti alla consistenza patrimoniale e all’effettivo merito creditizio delle aziende che accedono ad esse che, in ogni singolo contesto produttivo, sono ben conosciute dai residenti e dai soci-risparmiatori che esercitano così una sorta di discreta ‘vigilanza’ sull’affidabilità delle imprese che chiedono credito e sugli affidamenti realmente concessi. E non è casuale che le assemblee per l’approvazione dei bilanci siano sempre affollatissime e che altrettanto partecipate risultino quelle in cui si eleggono periodicamente gli amministratori di quegli Istituti. Si può dire in altri termini che i contesti territoriali e produttivi in cui ‘tutti conoscono tutti’ e nei quali operano le Bcc pugliesi – molte delle quali peraltro hanno aperto numerosi sportelli anche in Comuni lontani da quello di nascita della Banca – consentono anche ai soci della singola Cassa Rurale, o almeno ad una gran parte di essi, di avere una buona conoscenza delle strategie operative dell’Istituto creditizio al cui capitale sociale si partecipa, pur nel pieno rispetto dell’autonomia decisionale degli organi di governo della Bcc. Certo anche in questa specifica tipologia di istituti non sono mancati in Puglia in anni recenti interventi severi della Vigilanza, volti ad imporre revisioni di alcuni comportamenti gestionali non in linea con una corretta amministrazione degli attivi; e non si sono fatti attendere commissariamenti e interventi di ‘moral suasion’ per cambiamenti anche radicali di assetti di vertice. Ma in generale si può dire che il mondo delle 24 Bcc pugliesi è complessivamente sano e continua a costituire un punto di forza dell’economia regionale. Pertanto bando alle lamentazioni di chi teme drastici razionamenti del credito erogato: chi lo chiederà impiegandolo per rendere sempre più competitiva la propria azienda continuerà a riceverlo nelle quantità necessarie e alle migliori condizioni di mercato che comunque bisognerà sapersi negoziare.

IL MONDO DELLE 24 BANCHE DI CREDITO COOPERATIVO PUGLIESI È COMPLESSIVAMENTE SANO E CONTINUA A COSTITUIRE UN PUNTO DI FORZA DELL’ECONOMIA REGIONALE

Non solo la Popolare di Bari tra le banche pugliesi: la rete delle Bcc Fatte queste osservazioni, per fugare la sensazione del tutto erronea che le vicende della Popolare di Bari stiano evidenziando in forme irreversibili il declino dell’intero apparato bancario locale della regione, è opportuno sottolineare invece che in esso sono in esercizio ormai da lunghi anni numerosi altri istituti di credito territoriali, tra cui altre due banche popolari come quella di Puglia e Basilicata - la cui sede centrale è ad Altamura, grande centro economico murgiano della Città Metropolitana di Bari - e la Popolare Pugliese di Matino in provincia di Lecce: aziende ben amministrate, che non mostrano particolari criticità e che rispondono alle esigenze di contesti economici particolarmente dinamici che, per quanto stressati anch’essi dalla congiuntura degli anni 2008-2014, sono riusciti tuttavia a conservare capacità di resilienza prima e di recupero poi, meritevoli di analisi molto più accurate di fugaci articoli di qualche quotidiano locale.

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STRUMENTI FINANZIARI

Obbligazionario senza appeal? Niente paura, ci sono i certificati di Riccardo Venturi

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D’INVESTIMENTO O PER IL TRADING, QUESTI PRODOTTI DERIVATI SONO PROTAGONISTI DI UN SUCCESSO CRESCENTE SIA SUL MERCATO PRIMARIO CHE SU QUELLO SECONDARIO

ul fronte dei certificati di investimento si assiste a una crescente richiesta di prodotti con una maggiore protezione dal ribasso dei mercati, dai meccanismi step down agli airbag fino alle barriere di protezione più basse, per esempio al 50% o anche al 40 invece del più comune 70, legata alla diffusa previsione che un ribasso si stia effettivamente avvicinando; e più in generale all’idea che i certificati possano aumentare il tasso di protezione di un portafoglio che contiene anche azioni e o fondi. Su quello dei certificati che si possono definire genericamente di trading, si registrano la crescita dei turbo – in linea con quanto già avvenuto su mercati più maturi come quelli francese e tedesco - rispetto agli ancora predominanti certificati a leva fissa, grazie alla maggiore flessibilità, al livello di leva variabile, alla possibilità di lavorare indifferentemente al rialzo e al ribasso, e alla capacità di aggirare il temuto effetto compounding, ovvero la scarsa compatibilità del meccanismo a leva fissa in presenza di un andamento di mercato altalenante nel trading multiday. Sono le principali novità che caratterizzano negli ultimi mesi il mercato dei certificati, prodotti derivati protagonisti di un successo non solo crescente, sia sul mercato primario che su quello secondario, ma anche doppio. Perché riguarda tutte e due le categorie di cui si compongono, molto diverse tra loro: quella dei certificati di investimento, che hanno un orizzonte di medio-lungo periodo, e quella dei certificati di trading, che permettono di realizzare strategie speculative di breve periodo (una tempistica che si allunga nel caso dei turbo e soprattutto dei mini future). Gli elementi che accomunano le due macro categorie sono però già in buona misura responsabili del loro successo. «I certificati sono strumenti finanziari che incorporano, a seconda della tipologia, strategie speculative di trading oppure strategie d’investimento che permettono di ottenere un’esposizione non lineare all’andamento di un sottostante grazie all’aggiunta, per esempio, di una protezione condizionata del capitale a scadenza, del pagamento di premi periodici condizionati, ecc.» spiega Costanza Mannocchi, head of exchange traded products in Italia di Société Générale, «Inoltre, essendo quotati sono facilmente accessibili agli investitori finali tramite qualsiasi intermediario e negoziabili come si fa con gli Etf o con le azioni. Le disposizioni sui redditi diversi prevedono che le plusvalenze generate con i certificati si possano compensare con le minusvalenze che si hanno nel portafoglio, il che rende i certificati fiscalmente efficienti rispetto ad altri prodotti». La stessa strategia dei certificati 42

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potrebbe in teoria essere realizzata anche con altri strumenti, ma per l’investitore retail finale si tratterebbe comunque di una strada molto più complessa rispetto all’acquisto diretto di un Isin quotato sul mercato. «E soprattutto l’investimento minimo è molto più contenuto (pari a 1 certificato, n.d.r.), da COSTANZA MANNOCCHI 100 a mille euro» aggiunge Mannocchi, «con inoltre una liquidità infragiornaliera fornita da un market maker che ha degli obblighi di mantenere la liquidità dello strumento: quindi l’investitore finale ha la possibilità non solo di acquistare lo strumento, ma anche di venderlo quando vuole». Nel caso dei certificati di trading, per esempio quelli a leva fissa, la strategia che viene incorporata normalmente potrebbe essere realizzata anche con l’utilizzo di futures. «Ma usando i certificati si eliminano tutta una serie di problematiche» sottolinea Mannocchi, «come il fatto che si può perdere più del capitale investito se si dovessero integrare i margini depositati inizialmente in caso di movimento contrario del sottostante; che i futures hanno una scadenza periodica, per esempio mensile, quindi bisogna spostare l’investimento su un altro strumento; che l’utilizzo di derivati richiede normalmente un conto specifico destinato a questi strumenti». Con i certificati invece anche piccoli investitori possono utilizzare l’operatività che conoscono già, simile a quella dell’acquisto delle azioni, e limitare la perdita massima al capitale inizialmente investito. Il grande successo dei certificati di investimento è legato oltre


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che alla crescita dei mercati alla stagione dei tassi di interesse bassi, e alla conseguente perdita di appeal del mercato obbligazionario. L’aspetto geniale dell’offerta è la capacità di incorporare in una vasta gamma di strumenti un rapporto tra rischio e protezione che va dal molto prudente, che li avvicina al mondo obbligazionario, al più rischioso, in questo caso vicino alle caratteristiche dell’azionario. «Il 2019 è stato un anno importante, i dati pubblicati da Acepi parlano di oltre 17 miliardi di euro sul mercato primario, rispetto agli 11 del 2018. c’è una crescita di quasi il 54%» afferma Luca Comunian, head of marketing di Bnp Paribas CIB, «lavoriamo con tante reti di consulenza finanziaria che si sono attivate e siamo testimoni di questo interesse. Una crescita che non è data solo dall’andamento del mercato, che è stato comunque positivo e incoraggia sempre gli investitori rispetto a un mercato che scende e tende a ingessare i portafogli, ma anche da variabili interessanti più strutturali: molte reti hanno iniziato, dopo l’avvento di Mifid 2, un lavoro di preparazione in termini di processi, target market, un riassestamento nei modelli di distribuzione delle reti, che ora inseriscono i certificati nei portafogli come un asset class da abbinare a quelle più classiche». A crescere è anche il mercato secondario, sul quale nel 2019 sono stati scambiati circa 30 miliardi di euro di volumi. Per quanto riguarda il rapporto tra rischio e protezione la tendenza va decisamente in direzione della prudenza, come dimostra il successo dei certificati cash collect, che simulano un rendimento obbligazionario consentendo di ottenere rendimenti periodici con varie ricorrenze, da annuale fino a mensile, condizionati al fatto che il prezzo delle azioni sottostanti a cui sono collegati non scenda sotto un livello prestabilito, la cosiddetta barriera premio. «È un trend richiesto dai mercati, dai consulenti finanziari e anche dagli investitori istituzionali» dice Francesca Fossatelli, responsabile flow products development Italy di Vontobel Investment Banking, «avere barriere più basse e caratteristiche più legate alla protezione. Noi emittenti lavoriamo sempre per creare un prodotto efficiente che dia rendimento ma allo stesso tempo protegga; rispetto a qualche anno fa, quando andavano per la maggiore prodotti più aggressivi, ora il mercato sforna prodotti sempre più conservativi. Gli ultimi prodotti emessi hanno per esempio l’autocall, quindi la possibilità di un rimborso anticipato, della tipologia step down, che rende sempre più facile col passare del tempo avere il rimborso il capitale. Inoltre abbiamo introdotto una barriera di protezione al 50%, che viene come sempre monitorata a scadenza: se il sottostante non scende sotto la barriera, ricevo indietro il valore nominale di 100. Con l’effetto airbag, molto protettivo e presente su alcune tipologie di certificati di investimento lo strike, cioè LUCA COMUNIAN

il valore iniziale, è spostato in basso, messo pari alla barriera, in modo che nello scenario peggiore, se cioè il sottostante a scadenza va al di sotto della barriera capitale, si va a perdere la performance calcolata rispetto allo strike che è più basso. Per esempio se prima perdevo un 40% quindi ricevevo 60 euro, ora con una barriera al 75% ne ricevo 80 proprio perché ho una barriera, quindi uno strike più basso». In questo momento di mercato, gli investitori stanno mostrando interesse verso gli step-down cash collect, che rispetto ai classici cash collect che prevedono la scadenza anticipata se il valore del sottostante supera il 100% dello strike, aumentano la possibilità di verifica di questo evento grazie a un livello di rimborso anticipato che decresce del 10% ogni 12 mesi. «È uno scalino che rende la scadenza più facile. L’abbiamo introdotto perché i mercati hanno corso tanto, e pensiamo che offrire una condizione di questo tipo possa migliorare il prodotto in caso di un ritracciamento dei mercati» dice Comunian. Il trend più rilevante nel campo dei certificati di trading è quello della crescita dei turbo, che a differenza dei certificati a leva fissa propongono una leva dinamica. «La prima motivazione del successo dei turbo è l’eliminazione dell’effetto compounding, una caratteristica che, in un periodo di negoziazione che supera la singola giornata, può rendere i certificati a leva fissa poco efficienti» spiega Fossatelli, «Infatti se il mercato è direzionale allora l’effetto compounding è positivo; ma se il mercato è laterale, con giornate in cui si alternano segno positivo e negativo, si possono registrare delle perdite». Una nuova sottocategoria in crescita è quella dei turbo 24. «Parliamo di certificati turbo che per la prima volta al mondo sono quotati 24 ore su 24» spiega Fabio de Cillis, responsabile di IG per l’Italia, «i trader sanno bene quanto questa caratteristica sia importante, perché gli accadimenti sui mercati finanziari non si fermano all’orario di chiusura delle borse, spesso anzi quel che muove davvero i mercati avviene in Cina,

LE RETI DI CONSULENTI FINANZIARI CONSIDERANO I CERTIFICATI UNA ASSET CLASS DA ABBINARE A QUELLE PIÙ CLASSICHE

FRANCESCA FOSSATELLI

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FABIO DE CILLIS

CHRISTOPHE GROSSET

Asia e America quando le borse europee sono chiuse. Questo garantisce al trader di poter entrare e uscire dai certificati in qualsiasi orario dal lunedì al venerdì». L’interesse e i numeri per i turbo crescono di mese in mese. «Da parte del pubblico dei trader vediamo un interesse concreto, consistente e che continua a crescere» dice de Cillis, «sebbene siamo attivi con il prodotto da circa 3 mesi abbiamo diverse centinaia di trader che fanno operatività su questo prodotto a livello europeo e

italiano, dove la risposta è stata anche più importante rispetto alle aspettative. Una volta che si decide di iniziare a provarlo, notiamo che il prodotto piace, perché i trader continuano a adoperarlo, e le size crescono progressivamente». In questi territori nuovi, alle volte la dinamicità mostrata dalle emittenti si è dovuta scontrare con un mercato prevalentemente statico, restio ad adattarsi all’emergere di una nuova concezione di investimento.Nonostante questo Spectrum, prima struttura multilaterale di negoziazione (MTF) paneuropea dedicata alla negoziazione di certificati, pensata per rispondere alle esigenze degli investitori retail, si sta progressivamente affermando anche sul mercato italiano. «Spectrum sta avendo un forte impatto nel mercato europeo degli strumenti di investimento strutturati per la clientela retail, grazie un modello operativo unico che sta già registrando volumi notevoli e attirando scambi fuori dagli orari convenzionali» afferma Christophe Grosset, da poco sales executive, responsabile dello sviluppo del business con broker e istituzioni finanziarie per Italia e Francia.

FRANCIA (UNICREDIT): «NOI, EMITTENTI PIÙ PROLIFICI CON 2000 CERTIFICATI»

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numeri record nel 2019 e nel primo scorcio di 2020, l’ampia offerta Unicredit, la crescente familiarità dei consulenti con le strutture: Nicola Francia, responsabile private investor products Italy di UniCredit, risponde a 3 domande sui certificati. Quali i trend per i certificati di investimento e di trading? Il 2019 è stato un anno record per i certificati, che hanno superato i 17 miliardi di euro di collocamenti sul mercato primario secondo i dati AcepiI e raggiunto circa 30 miliardi di euro di volumi scambiati sul mercato secondario tra SeDex e EuroTLX. E anche il 2020 è iniziato nel migliore dei modi: nel mese di gennaio si registra infatti un incremento dei volumi sul mercato SeDeX a 2 miliardi di euro, il 57% in più rispetto agli 1,27 miliardi scambiati nel gennaio 2019. Una dinamica simile si osserva anche per il mercato EuroTLX, i cui volumi a gennaio 2020 si sono attestati intorno al miliardo di euro, rispetto ai 460 milioni di gennaio 2019. Il trend di crescita di entrambi i mercati è confermato anche in febbraio, con volumi medi giornalieri di 100 milioni di euro solo sul SeDeX. La maggior parte dei volumi si concentra su strumenti a leva - leva fissa, turbo, covered warrant - ma con un’incidenza crescente di certificati d’investimento, i cui scambi sul SeDeX sono saliti al 35%. Cosa possiamo dire delle strutture Unicredit? UniCredit conferma di essere l’emittente più prolifero del mercato italiano, con la gamma più ampia di certificati quotati in Borsa Italiana. In particolare da inizio anno, abbiamo emesso circa 2.000 certificati, suddivisi tra le varie tipologie al fine di diversificare l’offerta a disposizione degli investitori. Tra le principali novità citiamo gli Stock Bonus che esprimono il bonus in euro e non in percentuale dello strike e i Fixed Cash Collect con cedole fisse incondizionate pagate trimestralmente. In questo caso il rischio per l’investitore è spostato alla scadenza di giugno 2023, nel caso in cui il sottostante sia al di sotto del livello di barriera che è stata fissata volutamente molto protettiva 44

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(40% dello strike, n.d.r.). I certificati hanno quasi sempre un rischio di tipo azionario, su indici, titoli o panieri di titoli. Nell’attuale contesto di mercato riscontriamo molto NICOLA FRANCIA interesse da parte degli investitori verso strumenti su panieri di titoli con flussi cedolari costanti. Per quanto riguarda invece gli strumenti a leva, adatti a una platea più esperta e propensa al rischio - i cosiddetti trader online -, la nostra gamma si è recentemente arricchita con il lancio dei Turbo Certificates. Si tratta di strumenti che sfruttano l’effetto della leva finanziaria per amplificare le performance del sottostante. Ovviamente, come per tutti gli strumenti a leva, anche i rischi sono notevoli in quanto si potrebbe perdere tutto il capitale investito. Per questo motivo, riteniamo siano adatti solo a investitori esperti e abituati a gestire le ampie oscillazioni dovute della leva finanziaria. Che dire della diffusione dei certificati tra i consulenti? I consulenti finanziari risultano sempre più interessati a questi prodotti e li valutano come valida alternativa d’investimento, rispetto a bond e fondi di investimento. In particolare nell’ultimo anno molte reti di consulenti si sono avvicinate ai certificati anche per il collocamento sul mercato primario. Ma l’interesse è esteso in maniera generalizzata anche agli strumenti quotati direttamente in Borsa. Proprio per i consulenti finanziari, organizziamo una molteplicità di eventi di formazione, sia online, tra cui Webinar con i nostri partner specializzati sui mercati, che in aule fisiche come “Formazione ad alto livello”, l’incontro mensile alle Torri UniCredit di Milano. Tutti i nostri appuntamenti di formazione illustrano le varie finalità di utilizzo dei certificati in portafoglio, come per esempio obiettivi di rendimento, piuttosto che protezione del capitale oppure con finalità di trading rialzista o ribassista e copertura dei rischi di portafoglio.


HA I MA I PEN S A TO D I R A GGI UNG E RE P I Ù CL I E N TI CON I L SOCI A L A D VER T I SI NG ?

P IA N O S OC I AL G EST I SCE P ER TE I PRO F IL I LIN K E DI N, F A CEBOO K E INS TA G RA M - O r ie n t at i a l r is ul t a t o - R e p o r t Se t ti m ana l i - P i an o E d it o r ia l e s u m is ur a R ic h ie d i un p re v e nti v o: in fo @pi a n o s o ci al . c o m / 0 2 8 4 2 5 8 5 3 0 w w w .p i ano so c i al . c o m


LE GRANDI MANOVRE DEL CREDITO

Il risiko bancario riparte in cerca della redditività perduta di Ugo Bertone

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on dovrebbero essere, sulla carta, anni buoni per le banche. Per più ragioni. Lo stato di salute dell’economia, non solo in Italia, lascia a desiderare. L’andamento dei tassi attivi riflette la debolezza della domanda di impieghi, nonostante l’abbondante offerta (vedi Tltro) da parte della Bce. A pesare sulla redditività degli istituti contribuiscono poi regole sempre più severe da parte dei regolatori mentre alle porte batte una rivoluzione tecnologica che minaccia di non fare prigionieri come dimostra la girandola di poltrone ai piani alti della finanza, ma anche i sacrifici dei colletti bianchi, prossime vittime della trasformazione digitale del mondo del lavoro. Ma, come spesso capita, i problemi hanno innescato la ricerca di soluzioni. Di qui il rialzo dei titoli del settore (+33% l’indice bancario di Piazza Affari da inizio a anno al 21 febbraio) che è solo la punta dell’iceberg di quello che promette di essere un autentico terremoto non solo italiano. Perciò, oltre a valutare i possibili sviluppi nelle prossime settimane del risiko bancario del bel Paese, merita dare uno sguardo al quadro generale, ove di sicuro non mancheranno le buone occasioni. Ma prima occupiamoci di Intesa,Ubi, Bper, UnipolSai, il punto di partenza di una rivoluzione che toccherà, in qualche modo, anche Banca Mps, Bpm, Popolare Sondrio, Creval e così via. L’offerta pubblica di scambio recapitata nella notte tra il 17 e il 18 febbraio da Banca Intesa agli ignari vertici di Ubi prevede, come è noto, che per ogni 10 azioni di Ubi portate in adesione vengano corrisposte 17 azioni ordinarie di Intesa Sanpaolo di nuova emissione. Sulla base del prezzo ufficiale di chiusura di venerdì 14 febbraio, ogni azione Ubi è stata così valutata 4,254 euro con un premio, del 27,6%. L’operazione si completa con la cessione 46

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CON L’OPS DI INTESA SU UBI SI APRE UNA PARTITA CHE POTREBBE SPINGERE ALTRE GRANDI OPERAZIONI, COME LA CESSIONE DI MONTEPASCHI A PRETENDENTI DEL CALIBRO DI BPM O BPER

Nella foto Carlo Messina, consigliere delegato e ceo di Intesa Sanpaolo

di sportelli (4/500) da Ubi a Bper mentre le partecipazioni assicurative della preda passeranno ad Unipol Sai. In questo modo l’offerta, come scrive sul blog Econopoly l’analista Massimo Famularo, poggia su tre pilastri: - l’acquisto carta contro carta, sfruttando il maggior peso delle azioni Intesa (frutto dei guadagni nel gestito e nel bancassurance) che vantano un rapporto tra valore di mercato (41.235 milioni di euro) e patrimonio netto (42.700 milioni) vicino alla parità (0,97) contro un livello ben inferiore per Ubi (un valore tangibile, calcolato tenendo conto della quotazione, pari a 0,60 volte il patrimonio). - La vendita per cassa delle filiali a Bper assieme alle attività assicurative al grup-

po UnipolSai. - L’utilizzo dell’avviamento negativo, circa 2 miliardi, a copertura degli oneri di integrazione e delle ulteriori rettifiche su crediti per accelerare la riduzione del rischio. Insomma Intesa compra Ubi pagando con azioni proprie ma rivende una parte delle filiali e delle assicurazioni cash. Inoltre visti che il prezzo pagato è comunque inferiore al fair value, beneficia di un tesoretto che può utilizzare per coprire i crediti deteriorati di Ubi che verranno poi ceduti a terzi. Intesa potrà così far fruttare la bassa quotazione di Ubi acquistando le attività a sconto e realizzare al tempo stesso la pulizia di bilancio. Con il consenso delle parti sociali perché il piano non prevede sacrifici: le 5 mila uscite, tutte le volontarie, saranno finanziate dallo Stato grazie a “quota 100” (già adottata per i tagli di Unicredit) e parzialmente compensate da 2.500 nuove assunzioni. Quante possibilità di riuscita ha il blitz di Carlo Messina e Carlo Cimbri (con la complicità di Mediobanca, nella prima operazione dell’era Del Vecchio)? Non è escluso, anzi è probabile, che grandi soci e manager di Ubi riusciranno a spuntare qualche


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miglioramento, ma l’architettura dell’operazione, benedetta da Francoforte e dai fondi azionisti, ha le carte in regola per arrivare al traguardo, nonostante il primo diniego dei soci storici di Ubi. Certo, l’operazione non risolve i limiti strutturali del sistema italiano a confronto con l’evoluzione della concorrenza. Ci vorrà ben altro per individuare un nuovo modello di business vincente che vada al di là dell’arrocco del sistema Italia ma le novità sono comunque importanti: la grande Intesa potrebbe coprire il 20% abbondate del mercato italiano (il 19,2% nel Nord) e confermarsi al terzo posto in Europa quanto a dividendi distribuiti. Per una maggior espansione internazionale c’è (forse) tempo. Ma accontentiamoci. Intanto, come nota un report di Equita, “valutando Ubi circa 0,6 volte il patrimonio tangibile, Intesa ha fissato un parametro di riferimento per la valutazione delle banche italiane”. In particolare: Banco Bpm presenta un valore a forte sconto (0,35 il rapporto prezzo/patrimonio tangibile) e, replicando la valutazione applicata da Intesa a Ubi, emerge un avviamento negativo di 4,2 miliardi. Lo stesso vale per il Credito Valtellinese che tratta allo 0,38 del valore di libro. Nel risiko bancario potrebbe finire coinvolta anche la Popolare di Sondrio, secondo Equita “un obiettivo m&a molto appetibile alla luce delle sue redditizie fabbriche di prodotto in segmenti di nicchia: il retail banking in Svizzera attraverso Bps Suisse, la partecipazione del 61% in Factorit, la quota del 37% in Arca Holding e il 15% di Arca Vita”. Ancor più vicina (e strategica) la cessione di Montepaschi su cui grava il buon esito della cessione di 10 miliardi di crediti deteriorati ad Amco ed il peso delle richieste di 4,7 miliardi di risarcimenti. Potrebbe essere, per dimensioni, il partner adatto per Bpm o per Bper (o per entrambe). Magari sotto la regia di Mediobanca, tornata agli antichi splendori. Anche se non esistono più i salotti buoni. Non solo in Italia. Goldman Sachs, già regina indiscussa dei grandi affari, non ha esitato ad allearsi con Amazon per entrare nel ramo dei prestiti alla gente comune e far così concorrenza alle banche commerciali. Morgan Stanley intanto investe 13 miliardi di dollari per acquistare e-Trade con l’obiettivo di allargarsi nelle attività di wealth management, le più redditizie anche in Usa. In Europa, assai in ritardo sul fronte dell’efficienza e dei conti, si cerca di recuperare il terreno perduto accelerando i tempi della ristrutturazione, peraltro dolorosa. Dall’inizio del 2019 le banche hanno annunciato tagli per più di 100 mila dipendenti, cifra che aumenta di settimana in settimana. In cima alla lista fino VICTOR MASSIAH a pochi giorni fa

JEAN PIERRE MUSTIER

spiccava Unicredit (8.000 tagli) seguita da Banco de Santander (5.400), Commerzbank (4.500) e Société Générale (2.300). Ma l’annuncio del colosso britannico Hsbc che si accinge alla cancellazione di 35 mila posti di lavoro promette di accelerare la tendenza già in atto: Deutsche Bank, che negli ultimi sei mesi ha messo a segno un rialzo del 50% alla Borsa di Francoforte, si accinge a sostituire 18 mila colletti bianchi, il 20 per cento degli addetti, con robot cui affidare il back office. E non è detto che sarà un passaggio morbido: il Financial Times anticipa che alcuni manager del colosso, in odore di sostituzione, hanno minacciato di pubblicare i contratti, non proprio limpidi, tra la banca e un cliente illustre: Donald Trump. Cambia, tra le altre novità, anche la scala dei valori dei mega dirigenti dagli stipendi multimilionari. Sergio Ermotti, ex Unicredit, deve cedere la posizione di numero uno in Ubs a Ralph Hamers di Ing, il banchiere che meglio ha interpretato finora il passaggio alla gestione digitale della banca. Non è l’unico ribaltone: al Crédit Suisse è saltata la poltrona di Tidjane Thiam, protagonista di un misterioso caso di spionaggio interno e in Hsbc è iniziata la corsa alla successione di Mark Tucker. In pole position sembra che ci sia Jean-Paul Mustier, il protagonista del rilancio e della cura dimagrante di Unicredit. Ad avvalorare la voce contribuiscono i legami famigliari di Mustier: l’ex moglie asiatica del banchiere, per lunghi anni attivo nel Far East, proviene da una famiglia di grandi azionisti dell’istituto anglo-orientale. Il riferimento a Mustier, che dovrà comunque vedersela con l’altro candidato forte, l’attuale ceo ad interim Noel Quinn, ci riporta allo scenario di casa nostra, solo all’apparenza sganciato dagli eventi internazionali a cui partecipa a pieno titolo anche perché, rispetto al passato, non si devono più fare i conti con Banca d’Italia, guardiano non sempre impeccabile della stabilità del sistema, bensì con le autorità di Francoforte, tra cui l’autorità di Vigilanza guidata da Andrea Enria che negli ultimi mesi ha più volte sollecitato le banche “ad avere più coraggio”, sia nelle alleanze che nella politica degli impieghi. Il messaggio, una volta tanto, è stato recepito dai banchieri. Ora la parola passa agli investitori.

INTANTO GLI ISTITUTI ACCELERANO SUI TAGLI DEI DIPENDENTI: IN PRIMA FILA HSBC, DEUTSCHE BANK, UNICREDIT E BANCO DE SANTANDER

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POLITICA MONETARIA EUROPEA

Chissà se la Lagarde riscriverà le regole Bce del Capital Key di Matteo Ramenghi*

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hristine Lagarde, presidente dalla Bce, ha annunciato che il 2020 sarà l’anno della revisione strategica della politica monetaria nell’eurozona. Molti economisti e commentatori hanno liquidato l’iniziativa come una formalità, a mio avviso si tratta invece di un evento potenzialmente importante. Ci sono molti aspetti che dovrebbero essere discussi tra i quali: la missione della Bce, i tassi negativi, la demografia e i cambiamenti climatici. Gran parte delle banche centrali ha infatti un doppio mandato: garantire la stabilità dei prezzi e sostenere la crescita. Rispetto ad altre banche centrali come la Federal Reserve, nel caso della Bce l’enfasi è posta soprattutto sul contenimento dell’inflazione mentre il sostegno alla crescita economica sembra essere in secondo piano. Ne è prova la risposta lenta e macchinosa alla crisi finanziaria glo- CHRISTINE LAGARDE bale, con il quantitative easing avviato anni dopo la Federal Reserve e le altre principali banche centrali. Il primo mandato affidato alla Bce è il raggiungimento di un’inflazione “vicina ma sotto il 2% nel medio periodo”, ovviamente questo target non viene raggiunto da tempo. Tuttavia, basterebbe una piccola variazione nella formulazione di questo obiettivo per consentire, almeno in teoria, di eccedere temporaneamente il 2%: un dettaglio che avrebbe ripercussioni rilevanti sulla politica monetaria e sulla percezione del mercato. D’altra parte la Bce dovrà prendere una decisione sui tassi negativi che sono in vigore ormai da cinque anni. I tassi negativi si sono resi necessari anche perché nel bel mezzo della crisi sono mancati stimoli di natura fiscale mentre gli interventi a sostegno del settore bancario sono stati spesso tardivi. Hanno prodotto molti risultati positivi ma presentano degli effetti collaterali, in particolar modo per la redditività del sistema finanziario e la possibile formazione di bolle immobiliari in alcuni Paesi. La banca centrale potrebbe inoltre discutere alcune regole che hanno mitigato l’efficacia delle politiche monetarie negli ultimi anni. Ricordo la regola del “capital key”, fortemente voluta dal nord Europa, che impone di ripartire gli acquisiti di titoli di Stato svolti dalla banca centrale in proporzione al Pil del Paese emittente. La logica di questa regola è di evitare la condivisione di rischi tra diversi Paesi nell’eurozona, ma il risultato è stato di determinare un effetto scarsità sui titoli dei Paesi meno indebitati diluendo l’impatto positivo proprio su quelli che ne avrebbero invece un 48

RIMUOVENDO UNA DELLE NORME PIÙ DISCUSSE DELL’EUROZONA LA NEOPRESIDENTE CREEREBBE UNA MAGGIORE INTEGRAZIONE TRA STATI MEMBRI

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maggior bisogno. Rimuovere questa regola consentirebbe una maggior integrazione a livello dell’eurozona ed eliminerebbe le vistose differenze a livello di tassi d’interesse e disponibilità del credito. Secondo l’Onu nei prossimi anni registreremo infatti una contrazione della popolazione attiva nell’eurozona e la Bce dovrà prendere in considerazione l’andamento demografico sfavorevole. Una economia senza crescita demografica è soggetta a una crescita anemica. Inoltre, una società che invecchia genera una crescente domanda di assistenza che può mettere sotto pressione le finanze pubbliche. Questi elementi suggeriscono che i tassi rimarranno bassi non (o non solo) per ragioni cicliche ma anche per problemi strutturali. L’altro aspetto che certamente verrà preso in considerazione dalla Bce sono i rischi derivanti dai cambiamenti climatici. Per poter rendere la nostra economia più sostenibile la Bce può fare poco con gli strumenti che ha attualmente a disposizione. Sono necessari ingenti investimenti che richiedono una partecipazione da parte degli Stati e della Commissione Europea. Quest’ultima ha dato dei segnali di apertura, anche sulla scorta della forte crescita dei Verdi in Germania, ma occorre che vengano messe sul piatto ingenti risorse per avere un impatto tangibile. La Bce potrà intervenire nel facilitare il finanziamento di questi investimenti, ma dovrà essere la politica a mettere in campo il capitale affinché ciò possa avvenire. Probabilmente le risultanze della revisione saranno rese note solo alla fine dell’anno e fino ad allora non influiranno sulla politica monetaria che per il 2020 sarà in continuità. Ci aspettiamo che i tassi negativi e gli acquisti di titoli a un ritmo di 20 miliardi al mese continuino nei prossimi mesi, a maggior ragione in considerazione dei rischi derivanti dall’epidemia del coronavirus fanno pensare che la Bce. Ma la revisione strategica non va sottovalutata perché è un’opportunità per la Bce di potenziare il proprio mandato e accelerare l’integrazione della zona euro. Speriamo non sia un’altra occasione sprecata. * Chief investment officer Ubs Wm Italy


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AZIONARIO USA

Alla corsa per la Casa Bianca a vincere è stato sempre lo S&P 500 di Gloria Valdonio

DAL 1936, NEI 12 MESI PRECEDENTI IL GIORNO DELLE PRESIDENZIALI, WALL STREET HA REGISTRATO, NEL 90% DEI CASI, UN RENDIMENTO POSITIVO CON RITORNI MEDI DEL 9,7%

V

uoi per il rinnovato patto quadriennale con gli elettori, vuoi perché percepito come un rito di passaggio o di conferma, la storia illustra che l’andamento degli indici azionari americani (e dello S&P in particolare) sono particolarmente vivaci nei mesi precedenti le elezioni presidenziali Usa. Sarà così anche questa volta? Il sentiment è positivo nonostante il coronavirus e alcuni timori (che si fanno però sempre più flebili) di recessione dovuti agli effetti ritardati della politica di restringimento della Federal Reserve. «Negli Stati Uniti il livello di finanziarizzazione dell’economia garantisce che il forte apprezzamento dell’indice azionario S&P500 alla fine dello scorso anno, in gran parte sostenuto dalla Fed, rafforzi ulteriormente il morale degli americani e sostenga il pilastro fondamentale della crescita rappresentato dai consumi», è il commento di Didier Saint Georges, membro del Comitato di investimento strategico e managing director di Carmignac. Che aggiunge: «In combinazione con la classica ricostituzione delle scorte, ciò potrebbe essere sufficiente per far sì che il 2020 registri dinamiche economiche più favorevoli».

L’indice pre elettorale I mercati si focalizzano sull’economia, in genere ignorando la retorica politica fino a quando non si è a ridosso delle elezioni. Ma, come spiegano gli operatori, il rapporto positivo tra ciclo elettorale e performance del mercato azionario è un fattore che ha sorprendentemente restitito bene negli ultimi decenni. Fin dal 1936 infatti nei dodici mesi precedenti il giorno delle elezioni il mercato ha registrato un rendimento positivo nel 90% dei casi, e in media i ritorni nell’anno antecedente le elezioni sono stati del 9,7% (vedi grafico a pagina 49). Nel corso degli ultimi 80 anni, inoltre, ci sono stati molti candidati mal visti dai mercati, ma in genere sono stati ignorati fino al giorno delle elezioni. «La teoria dice che il terzo anno del primo mandato elettorale di un presidente tenderà a essere il più forte per il mercato azionario, seguito da vicino dal quarto anno, dato che la maggior parte delle decisioni più difficili del presidente hanno luogo nei primi due 50

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anni, e qualsiasi stimolo possa essere scatenato per il terzo e il quarto anno ha l’obiettivo di farli rieleggere», dice di Sebastian Werner, portfolio manager US and Global Growth Equities di DWS. Che aggiunge: «Non lo suggeriamo come strategia di investimento, visto che siamo ancora all’inizio del quarto anno dell’attuale ciclo elettorale, in particolare con un guadagno di quasi il 30% per il terzo anno. Ma ritengo che l’andamento del mercato quest’anno avrà più un vento in poppa dalla politica che un vento contrario. Da segnalare poi che il dibattito controverso tra il partito repubblicano e i candidati presidenziali democratici su questioni come la sanità, la protezione della privacy su Internet e la politica economica potrebbe creare un’impennata di settori del mercato con un aumento dei livelli di volatilità». Asino ed elefante Ci sono poi studi relativi all’andamento degli indici in base ai risultati elettorali che indicano che lo S&P500 diventa molto performante quando l’elefante repubblicano batte l’asino democratico. Come spiega il team di Unigestion in un report approfondito che parte dal 1980, negli anni della vittoria repubblicana per la presidenza l’S&P 500 è cresciuto in media del 24% dall’inizio dell’anno fino al giorno delle elezioni, e di un altro 5% nel resto dell’anno. D’altra parte, negli anni della vittoria democratica l’S&P 500 è cresciuto in media del 2% dall’inizio dell’anno al giorno delle elezioni e del 2% da quel momento fino a fine anno. Escludendo le elezioni del 2008, quando la vittoria democratica è coincisa la crisi dei subprime, lo S&P è salito in media del 12% nel giorno delle elezioni e ha registrato un esiguo aumento dell’1% dopo il giorno delle elezioni. «Se è vero che non sono solo i fattori politici a guidare i mercati azionari, sembra anche chiaro che i mercati hanno preferito i presidenti repubblicani a quelli democratici», è il commento di Unigestion.

DIDIER SAINT GEORGES

SEBASTIAN WERNER


INVESTIRE SPECIALIST

Toro secolare Secondo Jeffrey Schulze, director e investment strategist di ClearBridge Investments (affiliata Legg Mason), la crescita del Pil Usa nel primo trimestre si potrebbe attestare appena sopra l’1%, se non addirittura sotto. «Ma», aggiunge Schulze, «questo scenario appare meno preoccupante se visto in un’ottica di lunghissimo periodo, ossia quella dei cicli secolari». Dopo la grande crisi finanziaria infatti pochi analisti avrebbero previsto che questo decennio sarebbe stato il primo nella storia degli Stati Uniti senza una recessione. O che gli Stati Uniti sarebbero diventati i maggiori produttori di petrolio al mondo. Era difficile anche aspettarsi un decennio complicato per i titoli value, dopo 70 anni di sovraperformance. «Molti dubitano, per esempio, che le performance dell’azionario Usa possano continuare ad essere positive, dopo la lunga corsa di questi anni. Ci sentiamo di dissentire, sulla base dei nostri modelli di più lungo termine, che guardano ai mercati orso e toro a livello secolare», aggiunge Schulze. Che spiega: «Dal 1930, ogni mercato orso secolare è stato seguito da un mercato toro secolare di 20 anni, il che suggerisce la possibilità ancora di una lunga salita per l’azionario». Questo non vuol dire che non ci saranno scossoni lungo la strada. Per esempio lo scorso mercato toro secolare (1980-2000) ha visto diverse fasi di forte ribasso, come

FABIANA FEDELI

LE PERFORMANCE DELLO S&P 500 NELL’ANNO DELLE ELEZIONI ELEZIONI

3 MESI PRIMA

6 MESI PRIMA

12 MESI PRIMA

1936

8%

24%

36%

1944

2%

7%

12%

1948

5%

8%

8%

1952

-3%

4%

8%

1956

-3%

-2%

8%

1960

-1%

1%

-4%

1964

3%

6%

15%

1968

6%

5%

12%

1972

7%

7%

21%

1976

0%

1%

16%

1980

7%

22%

26%

1984

5%

7%

5%

1988

2%

7%

10%

1992

-1%

2%

7%

1996

8%

11%

21%

2000

-3%

0%

4%

2004

2%

2%

8%

2008

-19%

-29%

-33%

2012

2%

4%

14%

2016

-2%

4%

2%

Performance media Performance positiva in %

1% 55%

5% 85%

10% 90%

FONTE: JP MORGAN

JEFFREY SCHULZE

la crisi del 1987 avvenuta circa a metà ciclo. Tuttav, le flessioni verificatesi nei mercati toro secolari sono state meno profonde rispetto ai mercati orso secolari, con una media del -25% contro il -46 per cento. «Riteniamo che gli Stati Uniti siano solo a metà dell’attuale mercato toro secolare, il che significa che - nonostante i potenziali ostacoli - gli investitori azionari dovrebbero guardare con fiducia al prossimo decennio. E anche se i venti contrari non mancheranno, i tassi di interesse così bassi e le politiche accomodanti delle Banche centrali possono continuare a sospingere i mercati statunitensi».

Previsioni Statistiche a parte, anche le previsioni degli strategist sono in prevalenza positive per l’azionario America. Come spiega Nadia Grant, responsabile azionario Usa, Emea di Columbia Threadneedle Investments, pur avendo guadagnato il 23% in dodici mesi (dato a inizio febbraio), lo S&P 500 quota ancora a valutazioni ragionevoli: «Nel 2020 ci attendiamo una crescita degli utili del 5-7%, molto vicina al tasso tendenziale di lungo periodo. La crescita del Pil continua a rallentare rispetto ai livelli elevati indotti dalla riforma fiscale, ma siamo comunque dell’avviso che nel 2020 raggiungerà il suo tasso tendenziale pari a circa l’1,8 per cento». Ovviamente il coronavirus rappresenta un elemento di disturbo per l’azionario globale, ma in misura maggiore al di fuori degli Stati Uniti. «Fino a quando l’incertezza legata all’epidemia resterà presente, l’azionario globale ne risentirà e l’equity Usa dovrebbe sovraperformare gli altri mercati, in quanto è visto come un riparo sicuro nei periodi di incertezza» conclude Fabiana Fedeli, global head of fundamental equities di Robeco. marzo 2020

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ASSET CLASS

Il “private capital” punta, per crescere, allo sviluppo del capitale umano di Annalisa Caccavale

I

l tema del convegno annuale Aifi2020, previsto a Milano per il 23 marzo - e al momento in cui questo numero di Investire viene chiuso ancora confermato - è chiaramente indicato nel titolo, che ne indica anche il filo conduttore: «Private capital, human capital». Aifi è l’associazione che raduna gli operatori di private equity, venture capital e private debt e da sempre esplora e rappresenta il mercato del private capital, ormai molto cresciuto e articolato. Oggi abbiamo operatori con strutture diverse, modalità di raccolta di capitali articolati, che vanno dal mercato private a quello istituzionale, fondi internazionali e locali, attività di investimento che spaziano dalle acquisizioni di minoranze alle maggioranze, dal focus sulle nuove imprese a quelle consolidate, a quelle in ristrutturazione, alle infrastrutture, si investe in capitale di rischio e in capitale di debito. Una offerta di capitali alternativi che diventa sempre più significativa e che raggiunge volumi e numeri di rilievo. L’attenzione degli investitori verso questo mercato però si concentra sulla capacità di generare buoni risultati, che conferiscono a queste asset class un ruolo di primario interesse nelle allocazioni dei portafogli. Ma per avere questi risultati bisogna scegliere imprese promettenti in cui investire. E parliamo di imprese non quotate. Come fare in questo complicato contesto? E come contribuire a quegli sviluppi che si traducono in valorizzazione? Il mondo delle imprese e degli intermediari finanziari è al centro di un processo di cambiamento profondo. Uno degli elementi che impone il ripensamento di modelli, procedure, prodotti e servizi è la sfida della tecnologia. L’incalzare del progresso tecnologico fa cambiare esigenze, visione, comportamenti. E questo non può che riflettersi sul mondo delle imprese e nei mercati finanziari. Ma que52

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LA GOVERNANCE E LA MANAGERIALIZZAZIONE AZIENDALE SONO DUE “TREND TOPIC” DEI GRANDI INVESTITORI ISTITUZIONALI, SOPRATTUTTO NEL SEGMENTO DELLE AZIENDE NON QUOTATE LINEE GUIDA ESG AIFI INTEGRAZIONE DELLE TEMATICHE ESG IN FASE DI INVESTIMENTO

MONITORAGGIO E REPORTING

INTERAZIONE DELLE TEMATICHE ESG IN FASE DI EXIT

• Screening della società: principio di esclusione • Due diligence: valutare l’esposizione della società a fattori di rischio ESG • Investimento: analizzare le politiche ESG già attuate dalla società target e l’attitudine nel presidiarle • Focus: analisi degli adempimenti previsti dalla normativa di riferimento

• Individuare alcuni indicatori chiave (Key Performance Indicator – KPIs) di governance, sociali, ambientali • Raccolta e rielaborazione dei dati delle partecipate: ESG report • Rendicontazione efficace agli stakeholder

Partendo dall’investment memorandum redatto in fase di acquisizione, mettere a fuoco come i fattori ESG rilevanti siano stati gestiti

LE TRE AREE DELLE LINEE GUIDA ESG AIFI

sto cambiamento si interseca con una modifica profonda della sensibilità sociale a nuovi temi, quali una diversa attenzione alla gestione delle risorse umane. Il nuovo paradigma tecnologico dipende da chi sa generare e gestire l’innovazione. Lo sviluppo delle imprese dipende dalla loro capacità di innovare, ma ciò deriva innanzitutto dalla capacità di introdurre e gestire i cambiamenti in azienda. I settori tradizionali possono essere i più innovativi, se sanno recepire il meglio delle tecnologie. Ma per l’implementazione bisogna attivare processi di upskilling e reskilling, cioè migliorare e aggiornare le conoscenze di chi opera in azienda, riconsiderare i percorsi di formazione e gli schemi


INVESTIRE SPECIALIST

organizzativi. Anche questo comporta degli investimenti, appunto, in capitale umano. Che non vuol di dire sostituire lavoratori “nuovi” al posto di occupati” vecchi”, ma ripensare alla variabile organizzativa. Valorizzare questo importante asset. Di più, il dinamico cambiamento degli scenari economici impone una governance diversa e una forte attenzione all’inclusione. Non esiste solo un tema di genere o di dialogo intergenerazionale, abbiamo la cultura d’impresa da rimodellare. E per fare questo serve investire capitali e tempo. Nell’era della dematerializzazione e della complessità, il capitale umano è una leva di sviluppo strategico imprescindibile. Il private Capital investe in imprese con potenziale, e aiuta le proprie aziende-target a accelerare lo sviluppo. Quindi investe dove individua capacità manageriali e imprenditoriali, aiutando il processo di cambiamento verso una nuova economia. Uno studio recentemente pubblicato da Kpmg, dedicato a “Idee per nuove leadership”, ha mappato il ruolo del capitale umano nell’era della trasformazione digitale per riflettere su nuovi modelli di leadership e sulle responsabilità di chi guida il cambiamento non sono nel business ma nell’intera società. I risultati dimostrano come le competenze umane siano centrali per il progresso della società, sia quella in cui viviamo sia quella in cui lavoriamo. L’indagine è stata realizzata coinvolgendo 250 intervistati tra economisti, sociologi, top manager e ricercatori per capire come la trasformazione digitale venga percepita e utilizzata nei processi aziendali. I dati elaborati mostrano come le aziende stiano investendo più nella tecnologia (57%) che nella formazione della forza lavoro o nella revisione dei modelli organizzativi (43%). Questi processi sono gestiti da figure tecniche come manager responsabili dei sistemi informativi (38%) o della finanza (21%); ma tali soggetti hanno una visione a volte troppo verticale e parziale, solo in pochi casi i vertici aziendali come ceo (18%) presidenti (9%) e imprenditori (3%) sono impegnati in prima persona su progetti di cambiamento. In questo scenario si inserisce l’investitore, che entra in una società e sposa un piano di valorizzazione per realizzare un guadagno in conto capitale nel medio termine, e quindi preme l’acceleratore sul cambiamento e lo sviluppo. La governance e la managerializzazione aziendale sono due “trend topic” del private capital. Questi concetti sono il cuore delle tematiche Esg, linee guida legate alla sostenibilità, alla responsabilità e alla necessità di misurare, gestire e mitigare i rischi ambientali, sociali e di governance, cui non si può prescindere per qualsiasi impresa che punti a imporsi nel proprio mercato di riferimento. Anche Aifi ne ha redatto uno. Non è un testo vincolante, si tratta di forti suggerimenti che derivano dalle migliori prassi internazionali. In ottica di autodisciplina, vuole essere un compendio utile per accompagnare gli operatori del mondo degli investimenti alternativi verso le tematiche Esg tenendo conto delle istanze degli investitori e cercando di tracciare una linea che indichi la direzione da seguire verso un investimento più consapevole e redditizio, perché operare perseguendo i criteri Esg, è remunerativo. Ciò avendo a mente le peculiarità della no-

stra attività. Studiare i dossier e cogliere le opportunità sul mercato, non può essere più un’attività che prescinde da un’analisi degli elementi ambientali, sociali e di governance e nel fare questo non si deve solo escludere- settori, attività..- lavorare per eliminazione, si deve cambiare il punto di vista: se si investe per creare valore, per far crescere le aziende in portafoglio si deve aver sempre maggior attenzione a questi temi che consentono il potenziamento delle competenze e mettono al centro la valorizzazione del capitale umano. Lo chiedono gli investitori istituzionali, il mercato, e lo chiede a gran voce l’Europa che attraverso la Direttiva europea sulla rendicontazione delle informazioni non finanziarie ne fa riferimento. L’analisi che sarà presentata al convegno annuale parte da un ampio database di aziende che sono state target di operazioni di private capital per vedere se i modelli di governance e sociali sono cambiati con l’ingresso dei nuovi soci finanziari. Possiamo fin d’ora dire che il fenomeno più significativo è la spinta alla managerializzazione ed alla definizione dei ruoli. Anche l’equilibrio di genere è oggetto di attenzione. Sistemi di incentivi ai manager sono di fatto la norma e nella metà dei casi si applicano sistemi di welfare a livello aziendale, così come vengono varati codici etici. Del resto nel complesso percorso di creazione di valore questi sono temi centrali. Nei racconti di casi aziendali di successo, in cui si è coniugata nuova finanza con nuova visione d’impresa, troviamo modelli di sviluppo che possono essere esempio per tante realtà imprenditoriali pronte a fare un salto nel nuovo mondo, un salto di qualità. Pensare che sia solo una questione di “scelta delle persone giuste” è riduttivo. Occorre ripensare ai processi, alla governance, ai sistemi di recruitment, di formazione, di retention e in generale agli assetti organizzativi. Le risorse umane costituiranno per le aziende del futuro il vero investimento. A fronte dell’avvento delle nuove tecnologie, vi è la necessità di rimettere al centro del dibattito l’elemento organizzativo: andava fatto comunque, ma ora è imprescindibile, altrimenti le imprese non crescono, non fanno margini, non danno risultati.

LE RISORSE UMANE COSTITUIRANNO PER LE AZIENDE DEL FUTURO IL VERO INVESTIMENTO. A FRONTE DELLE NUOVE TECNOLOGIE OCCORRE UNA NUOVA ORGANIZZAZIONE

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COMMODITY

Tante buone ragioni per comprare oro. Ma come? di Giuseppe D’Orta

N

on appena i mercati diventano incerti si torna a parlare di beni rifugio, veri o presunti. Il principale è l’oro, che lo è più per meriti (molto) antichi che recenti. In un passato lontano infatti l’oro era convenzionalmente riconosciuto come mezzo di scambio, quindi come una vera e propria moneta. L’epoca del gold standard, nel quale la base monetaria è data da una quantità fissata d’oro, non può tornare perché quel mondo e quell’economia non esistono più. L’oro è quindi un’attività finanziaria il cui valore è per lo più legato a una convenzione peraltro non rispondente alla realtà. Nemmeno contro l’inflazione l’oro rappresenta un baluardo: basti pensare agli ultimi due decenni del secolo scorso, in particolare nel primo dove l’inflazione era assai elevata 54

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COMPRARE ETC, APRIRE UN CONTO DENOMINATO NEL METALLO PREZIOSO O ACQUISTARE MONETE D’ORO? DIPENDE DAGLI OBIETTIVI DI CHI INVESTE ma il prezzo del metallo nobile non si mosse. L’oro non produce alcun flusso finanziario, cedole o dividendi, e il suo impiego in attività produttive è marginale e imparagonabile rispetto alle altre materie prime. Ancora, presenta costi per la sicurezza. Come mai allora i gestori comprano oro? Perché confidano nei meccanismi dei mercati finanziari, dove all’uscita da alcuni comparti corrisponde l’entrata in altri, e comprano non oro fisico ma strumenti finanziari sulla materia prima. Per il comune investitore sono da preferire gli Exchange traded commodities (Etc), che a differenza degli Etf consentono la piena compensazione di plusvalenze e minusvalenze fiscali. Il fisco italiano è amico del contribuente al punto tale da ‘sug-


INVESTIRE SPECIALIST

gerire’ quali strumenti finanziari comprare e quali no. Da evitare quindi quelli a replica sintetica, ossia quelli che per replicare il prezzo usano futures, opzioni, contratti swap con controparti assortite. Occorre invece rivolgersi a quelli a replica fisica, che materialmente posseggono il metallo presso caveaux bancari. Ai livelli grandi, per ovvi motivi non si scambiano materialmente i lingotti ma dei certificati che ne rappresentano il possesso. I lingotti restano sempre dove sono, ma cambia il proprietario mediante il trasferimento dei certificati di deposito. Da evitare le azioni di compagnie minerarie, più rischiose e che seguono dinamiche diverse rispetto a quelle della materia prima. La questione non risolve però un aspetto fondamentale, vale a dire l’impossibilità di accedere all’oro nel caso in cui ci fosse una crisi finanziaria talmente grave che impedisca la negoziazione degli Etf/Etc. Né sarebbe certo possibile prendere un aereo per New York o altro posto dove si trovano i caveaux e reclamare la propria quota di oro sventolando l’estratto conto del dossier titoli. Da distinguere il discorso invece relativo ai conti correnti denominati in oro offerti da alcune banche. Ne esistono due tipologie. Una prevede un normale conto corrente bancario i cui movimenti però vengono denominati in oro. Versando mille euro quindi in conto viene accreditato l’equivalente in oro al prezzo del giorno convertito dal prezzo in dollari, dato che il biglietto Usa è ancora la valuta di riferimento mondiale. Analogo discorso, con addebito, in caso di prelevamento dal conto. Questa tipologia di conto non vede oro fisico alla base, ma solo la denominazione in oro delle operazioni che il cliente effettua. Il deposito è coperto dal Fondo Interbancario fino a centomila euro per ciascun depositante, e bisogna prestare attenzione al fatto che il suo controvalore si somma ad eventuali altri depositi presso la medesima banca e che la copertura è per centomila euro considerando tutti i conti correnti, libretti e depositi, incluso quello denominato in oro. Fiscalmente si inseriscono in dichiarazione dei redditi e si tassano come se fossero conti in valuta, attualmente al 26%. Esiste poi una tipologia di conto analoga alla precedente ma che vede come sotto-

stante l’oro fisico. Il cliente è quindi titolare di oro fisico e non di un deposito in valuta come invece accade nel caso precedente. La banca stessa tiene l’oro in deposito presso di sé o in sub-deposito altrove. Questa tipologia di conto non è coperta dal Fondo Interbancario perché non si tratta di un deposito bancario bensì di un deposito di oro fisico. Il rischio sta nella controparte, comunque se la banca viene posta in liquidazione coatta l’oro viene rivendicato dai clienti titolari del rapporto e non rientra nel passivo fallimentare, anche se in ipotesi non si possono escludere malversazioni talmente gravi da riuscire a far sparire il metallo detenuto in deposito. Se l’oro è presente però si pone sempre il problema di accedervi in tempi brevi: problema serio perchè i commissari della banca devono prima fare l’inventario e solo successivamente occuparsi della restituzione senza particolari vincoli temporali, a differenza dei depositi in contanti dove invece ci sono dei termini da rispettare. Basti pensare alla vicenda recente del fallimento della Intermarket Diamond Business, in cui i

LE STERLINE BRITANNICHE D’ORO HANNO MERCATO OVUNQUE E SONO LE MONETE PIÙ LIQUIDE. MA IN NEGATIVO PESA LO SPREAD

diamanti di circa ventimila clienti sono “tenuti in ostaggio” dal Tribunale di Milano, dopo che la società, era stata impossibilitata a renderli per mancanza di fondi. L’oro fisico è da prendere in considerazione se ci si vuole premunire da un crac dell’intero sistema finanziario mondiale. In tal caso, disporre di sterline d’oro, che hanno più mercato di tutte, non è sbagliato. Ma prima ancora è meglio “investire” in generi di prima necessità non deperibili e in danaro contante. Se si ritengono esagerati questi ultimi suggerimenti, occorre allora evitare anche le sterline e tutto il resto dei pensieri. Se si ipotizza un determinato scenario, occorre agire di conseguenza e su tutta la linea. Se ci si pongono problemi nel farlo, vuol dire che non si crede nella realizzazione dello scenario oppure, molto peggio, non si riesce ad avere un quadro di quello che potrebbe accadere. Le monete d’oro, pratiche ma con contro-indicazioni Prima di tutto, si possono detenere e quindi si evita il rischio di trovare la banca inaccessibile e il discorso dei caveaux bancari fatto per le altre modalità di acquisto del metallo giallo. Il valore è tale che si possono scambiare con ogni genere di bene (si tratta di un baratto, insomma). Meglio rivolgersi alle sterline britanniche, che hanno mercato ovunque ci si trovi nel mondo e di conseguenza sono le monete d’oro più liquide. Una pecca enorme è lo spread, il sito di uno dei più noti intermediari (coinininvest.com al momento in cui andiamo in stampa vende la sterlina britannica a 375,94 euro e la compra a 353,13). In sostanza, nello stesso momento in cui si compra una sterlina d’oro si è in perdita del 6,06%. Ci sono intermediari che applicano spread inferiori, comunque la perdita dovuta allo spread c’è, e non è piccola. Le plusvalenze sulla compravendita di oro fisico da investimento, a partire dal 1 luglio 2014, si inseriscono in dichiarazione dei redditi con aliquota 26%. Le mimarzo 2020

55


nusvalenze si possono compensare con successive plusvalenze fino alla fine del quarto anno fiscale successivo. Ma le monete si trasportano facilmente ovunque e quindi la questione della tassazione viene aggirata. Chi possiede oggetti e monili come anelli, collane, spille e similia non ha alcun obbligo di dichiarazione e neppure di pagamento di imposte o tasse.

La legge sull’oro fisico da investimento Ai fini della legge 7/2000 è infatti previsto che con il termine “oro” si intendano: l’oro in forma di lingotti o placchette di peso accettato dal mercato dell’oro, ma comunque superiore a un grammo, di purezza pari o superiore a 995 millesimi, rappresentato o meno da titoli; le monete d’oro di purezza pari o superiore a 900 millesimi, coniate dopo il 1800, che hanno o hanno avuto corso legale nel Paese di origine, normalmente vendute a un prezzo che non supera dell’80 per cento il valore sul mercato libero dell’oro in esse contenuto, incluse nell’elenco predisposto dalla Commissione delle Comunità europee ed annualmente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, serie C, nonché le monete aventi le medesime caratteristiche, anche se non ricomprese in questo elenco. Inoltre la legge considera oro il materiale d’oro diverso da quello descritto e ad uso prevalentemente industriale, sia in forma di semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi, sia in qualunque altra forma e purezza. Del tutto da evitare, invece, le proposte di oggetti d’arte in oro. Quello dell’arte è un settore completamente a sé stante, soggetto tra l’altro alle regole del proprio 56

marzo 2020

mercato di riferimento. Per accedervi occorre innanzitutto essere esperti del settore in cui si desidera investire e bisogna anche esserne appassionati perché il valore dell’arte non è soltanto quello economico, edanzi non poche volte l’aspetto legato al godimento del bene travalica ogni possibile congrua valutaizone. Non bisogna nemmeno cedere alla tentazione, se si ha come solo scopo quello di preservare il proprio capitale, di acquistare una delle tante proposte di medaglie e simili coniate dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato (IPZS). Molti non sanno che l’IPZS lavora anche su commissione di soggetti terzi e che in questi casi agisce esclusivamente da conio, ovviamente molto qualificato e

UN CONSIGLIO: BISOGNA ACQUISTARE ORO IN MANIERA CONSAPEVOLE E SOPRATTUTTO NON FARLO NEI MOMENTI DI MERCATO IN CUI TUTTO SEMBRA INCERTO

apprezzato, di oggetti - quali medaglie - che però sono commissionati e venduti da una società commerciale che spesso fa leva sul nome dell’IPZS per avallare sotto l’aspetto qualitativo il prezzo, molto spesso sproporzionato, necessario per acquistare l’oggetto in oro. Un esempio attuale è quello delle riproduzioni delle monete e banconote in lire proposte da Editalia, società posseduta dall’IPZS. Il prezzo di vendita rappresenta un multiplo del valore intrinseco in oro delle riproduzioni appunto perché si offrono oggetti di valore artistico per appassionati: la riprova di questo valore soggetti dell’oro artistico è quand si prova a rivendere le medaglie a una gioielleria o un altro operatore e ci si sentirà rispondere che esse valgono il solo peso dell’oro contenuto e niente altro. Un valore quindi enormemente inferiore a quello pagato. Siamo dunque molto lontani dall’aver acquistato con un oggetto d’arte in ora una “polizza assicurativa” da attivare in caso di difficoltà dei mercati finanziari, insomma. Fatte tutte queste premesse, concludiamo con un suggerimento di base: bisogna ragionare sull’oro, come su qualsiasi altro investimento, in maniera consapevole e soprattutto non nei frangenti di mercato in cui tutto sembra incerto. Le decisioni assunte sull’umore del momento si rivelano a posteriori sempre errate, perché prive della razionalità necessaria ad assumere decisioni ponderate e che possono rivelarsi vincenti.


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INTELLIGENZA ARTIFICIALE & BORSE

Liquidità fantasma e robo-trading si gioca qui la contesa dei mercati di Francesco Di Ciommo*

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egli ultimi vent’anni l’”intelligenza artificiale” ha trasformato i mercati finanziari, tanto che oggi, secondo le stime più attendibili, la maggioranza delle transazioni mobiliari, a livello mondiale, viene realizzata esclusivamente tramite software e, dunque, senza alcun intervento dell’uomo. Si parla, in proposito, di Algorithmic trading (At). E l’articolo 4 della Mifid 2 (al comma 1, n. 39) definisce il fenomeno nei seguenti termini: «Negoziazione di strumenti finanziari in cui un algoritmo informatizzato determina automaticamente i parametri individuali degli ordini», curandosi altresì di precisare che lo stesso «non comprende i sistemi utilizzati unicamente per trasmettere ordini a una o più sedi di negoziazione, per trattare ordini che non comportano la determinazione di parametri di trading, per confermare ordini o per eseguire il trattamento post-negoziazione delle operazioni eseguite». Negli Stati Uniti, dove già nel 2009 le transazioni algoritmiche rappresentavano circa il 75% del volume di scambi azionari, la Sec (Security and Exchange Commission) se ne occupò per la prima volta quando, il 6 maggio 2010, il Dow Jones subì, in soli dieci minuti, un repentino crollo seguito da un rapidissimo recupero. E tutto ciò in ragione di un enorme numero di scambi che si svolsero in quel frangente, la cui frequenza di realizzazione rese da subito evidente il coinvolgimento di automi. In Europa, l’uso degli agenti informatici per effettuare transazioni finanziarie, benché in crescita, appare ancora contenuto, stimandosi che abbia riguardato nel 2019 circa il 45% delle operazioni concluse nei mercati azionari. Ciò malgrado, nel vecchio continente l’Esma sin dal 2010 (quando ancora operava come Cesr) si è occupata del fenomeno e il 24 febbraio 2012 ha pubblicato le prime Guidelines in materia. Quando gli algoritmi vengono adoperati sui mercati finanziari con il precipuo scopo di realizzare un numero altissimo di ope58

marzo 2020

GLI SCAMBI GESTITI DA ALGORITMI AD ALTISSIMA FREQUENZA CREANO SPEREQUAZIONI TECNOLOGICHE TRA OPERATORI E POSSONO FAVORIRE NUOVE FORME DI SPECULAZIONE razioni in una frazione temporale brevissima, si fa riferimento alla diversa categoria del c.d. High Frequency Trading (Hft). Tali applicazioni costituiscono una evoluzione dell’At, e spesso sono programmate con il preciso scopo di trarre vantaggio dalla presenza sui book di contrattazione di sistemi algoritmici meno evoluti e più facilmente prevedibili. La Mifid 2, all’art. 4 (comma 1, n. 40), definisce il fenomeno come «qualsiasi tecnica di negoziazione algoritmica caratterizzata da: a) infrastrutture volte a ridurre al minimo le latenze di rete e di altro genere, compresa almeno una delle strutture per l’inserimento algoritmico dell’ordine: co-ubicazione, hosting di prossimità o accesso elettronico diretto a velocità elevata; b) determinazione da parte del sistema dell’inizializzazione, generazione, trasmissione o esecuzione dell’ordine senza intervento umano per il singolo ordine o


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negoziazione, e c) elevato traffico infragiornaliero di messaggi consistenti in ordini, quotazioni o cancellazioni». In Borsa Italiana il numero di transazioni riconducibili all’Hft, tra il 2016 e il 2019, è stato pari a quasi il 30% dell’intero montante dei controvalori scambiati.

Velocità e volumi delle negoziazioni come fattori concorrenziali Soltanto negli Stati Uniti ci sono attualmente oltre sessanta sedi di negoziazione per i titoli azionari che operano tra loro in concorrenza. Questo contesto, oltre a risultare del tutto innovativo rispetto al passato, offre enormi opportunità a chi svolge trading in alta frequenza e riesce ad essere più abile e veloce dei concorrenti. Per tale ragione, oggi, l’attenzione degli operatori di mercato più dinamici è fortemente concentrata sulla possibilità di ottenere performance sempre migliori in termini di velocità di assunzione ed esecuzione sul mercato di una decisione negoziale così come in termini di volumi di operazioni effettuate nel minor tempo possibile. In questa prospettiva, ferma la determinante rilevanza della potenza dei software e degli hardware utilizzati, fondamentale risulta anche l’abbattimento dei tempi di latenza dovuti alla distanza fisica tra i server dei trader e le piattaforme di mercato. E ciò perché la distanza fisica dalle piattaforme dove i titoli vengono effettivamente negoziati impedisce ad una decisione, che pure sia stata assunta in modo efficiente e rapido, di arrivare sul mercato altrettanto rapidamente. Inoltre, la stessa distanza può rallentare anche l’attività di acquisizione delle informazioni di mercato che il software deve svolgere momento per momento. Per ovviare a questi problemi, si stanno realizzando infrastrutture di rete sempre più moderne e sicure per accelerare e rendere meno rischioso il trasferimento dei dati da un punto della rete. Determinante, tuttavia, è avere un server fisicamente non lontano dalla piattaforma di negoziazione preferita. In questo contesto sono emersi i fenomeni della co-location e del proximity central hosting, sui quali si registrano, anche in Europa, recenti interventi regolatori finalizzati a garantire agli operatori la parità di condizioni di accesso.

grado di generare rappresentazioni distorte del book di negoziazione e, di conseguenza, abusi di mercato da parte degli stessi. Tra queste, le più conosciute sono lo stuffing, lo smoking, lo spoofing, il layering e il front running. Gli interventi normativi europei Tra le novità più significative introdotte dalla Mofod 2 per tentare di arginare i rischi appena cennati vi sono: a) l’obbligo per gli operatori che utilizzano tecniche di Htf di farsi identificare come tali e pre-

PER I REGOLATORI È INDISPENSABILE MONITORARE CON ATTENZIONE LA CONCRETA EFFICACIA DELLE NORME GIURIDICHE DETTATE PER PREVENIRE DISTORSIONI DELLE INTERMEDIAZIONI E OPACITÀ

Hft e rischi di market abuse La sempre più diffusa operatività dell’At e, soprattutto, dell’Hft ha determinato l’insorgenza, o comunque l’aggravamento, di alcune situazioni considerate non idonee a favorire adeguate condizioni di sviluppo dei mercati finanziari. Il primo problema osservato a riguardo è quello della c.d. “ghost liquidity”. In breve, può accadere che, grazie all’uso delle tecnologie in parola, in un dato momento – e ciò accade soprattutto quando sui mercati c’è turbolenza – si impennino i volumi scambiati, e ciò in ragione del fatto che: 1) gli automi, in un tale contesto, per minimizzare i rischi possono decidere di porre in essere strategie di brevissimo periodo (compro e vendo in tempi rapidissimi); e 2) gli automi tra loro si condizionano inevitabilmente. La teoria economica, inoltre, ha individuato alcune strategie che, se poste in essere da operatori dotati di portafogli considerevoli o forte liquidità e tecnologie all’avanguardia, sono in

sentare i propri algoritmi alle autorità di vigilanza; b) l’obbligo, a carico dei trader che operano tramite AT, di svolgere in modo continuativo l’attività di market making e di predisporre opportuni sistemi di organizzazione e di controllo al fine di garantire la resilienza dei propri sistemi ed inoltre; c) l’obbligo, per chi voglia offrire spazi fisici in prossimità rispetto delle piatteforme di negoziazione, di garantire a tutti gli operatori pari condizioni; nonché d) la raccomandazione, rivolta ai regolatori dei diversi mercati, a monitorare costantemente le attività svolte da sistemi di At e di Hft ed a favorire una più efficiente struttura delle commissioni degli operatori. Gli sforzi profusi dai legislatori, non solo in Europa, per regolare l’uso dell’intelligenza artificiale nei mercati finanziari, senza penalizzarne le potenzialità, è senz’altro apprezzabile, sebbene la rapidità con cui la tecnologia si evolve, spesso anche con l’obiettivo di eludere i gangli normativi posti dai law maker, suggerisca, nell’immediato futuro, di monitorare con attenzione e costantemente la concreta efficacia delle regole giuridiche operanti in materia. E’ facile prevedere, infatti, che proprio su questo terreno nei prossimi anni si svolgerà una delle contese più aspre e dagli esiti più rilevanti per la tenuta stessa dei mercati finanziari, almeno per come li abbiamo conosciuti sino ad oggi.

*Avvocato e Professore ordinario presso la Luiss marzo 2020

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L’ALTRA FACCIA DI INTERNET

Broker abusivi (e non) sul web: ora la Consob può fare finalmente sul serio di Giuseppe D’Orta

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on l’entrata in vigore della Direttiva Mifid II, il 3 gennaio 2019, la Consob è stata dotata di maggiori poteri riguardo l’abusivismo finanziario sul web. Il decreto legislativo 129 del 3 agosto 2017, in particolare, ha introdotto nel Testo Unico della Finanza l’articolo 7-octies, che riguarda appunto i poteri di contrasto all’abusivismo e recita: La Consob può, nei confronti di chiunque offre o svolge servizi o attività di investimento tramite la rete internet senza esservi abilitato ai sensi del presente decreto: a) rendere pubblica, anche in via cautelare, la circostanza che il soggetto non è autorizzato allo svolgimento delle attività indicate dall’articolo 1, comma 5; b) ordinare di porre termine alla violazione. La Commissione non ha perso tempo. Già il mese successivo si sono visti i primi interventi, e da allora non passa settimana senza che venga emanato una miriade di Delibere in cui si fa divieto di proseguire l’offerta abusiva posta in essere tramite siti internet riconducibili a soggetti privi di licenza della Unione Europea, oppure a società con licenza di un paese Ue ma che hanno iniziato a lavorare in Italia senza comunicarlo. Nelle Delibere, oltre ai classici segnali di offerta al pubblico quali la versione italiana liberamente accessibile del sito internet e un numero di utenza telefonica dedicato agli utenti italiani, viene fatto riferimento a soggetti che contattano telefonicamente risparmiatori al fine di convincerli ad aprire un conto e fare operazioni di trading. Si tratta di call center spesso situati in Albania. È un primo passo importante, soprattutto per il segnale che la Consob riesce a dare: siamo presenti e interveniamo. Internet però è un universo in cui è molto complicatointervenire in maniera efficace, e 60

marzo 2020

CIPRO RISCHIA UNA PROCEDURA DI INFRAZIONE DA PARTE DELL’UNIONE EUROPEA PER I MANCATI CONTROLLI SUGLI INTERMEDIARI Un’immagine di Cipro, finora Stato-Bengodi di molti furbi che attraverso il web puntano al denaro altrui

c’è voluto il “Decreto Crescita” (legge n. 58 del 28 giugno 2019) per attribuire a Consob (articolo 36, comma 2-terdecies) il potere di ordinare ai fornitori di servizi di connettività a internet l’inibizione dell’accesso dall’Italia ai siti web tramite cui vengono offerti servizi finanziari senza autorizzazione. Il problema è che, una volta scomparso un sito, i truffatori impiegano un attimo per aprire sotto altro nome. Insomma la Consob può arginare il fenomeno, ma non debellarlo. Un ulteriore passo in avanti potrebbe essere l’adozione, nel sito web della Consob, di un apposito motore di ricerca in cui gli utenti possono digitare il nome dell’intermediario e verificare immediatamente se è in regola oppure no sulle autorizzazioni. Un simile strumento esiste, ad esempio, nel sito della Fca inglese ed è molto valido, come mostriamo nell’immagine allegata. Il fatto che l’intermediario sia in regola non garantisce il cliente da frodi di altro genere, si vedano per esempio i tanti broker con licenza presa a Cipro, dove le licenze vengono quasi regala-


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te e dove la vigilanza è molto blanda (la vigilanza spetta al Paese di origine), ma almeno il motore di ricerca renderebbe la vita un po’ più difficile ai soggetti del tutto abusivi. Si diceva di Cipro, ma anche in relazione al Paese più “facile” della Ue dove si può lavorare senza troppi problemi, la Consob ha negli ultimi mesi assunto drastiche decisioni, vietando ad alcune società con sede a Cipro di prestare servizi, sollecitare e acquisire nuova clientela in Italia nonché proseguire i rapporti con i clienti italiani esistenti, a eccezione della chiusura dei rispettivi conti (liquidazione delle posizioni in essere e restituzione dei fondi di pertinenza), in linea con le istruzioni eventualmente impartite dai clienti stessi. La Commissione si è avvalsa dei poteri previsti dal Testo Unico della Finanza, che all’articolo 7-quater, comma 4, recepisce l’articolo 86 paragrafo 1, della Mifid II, stabilendo che se vi è fondato sospetto che un’impresa di investimento Ue o una banca Ue, operanti in regime di libera prestazione di servizi in Italia, non ottemperano agli obblighi derivanti dalle disposizioni dell’Unione europea, la Banca d’Italia o la Consob informano l’autorità competente dello Stato membro in cui l’intermediario ha sede legale per i provvedimenti necessari. Se, nonostante le misure adottate dall’autorità competente, l’intermediario persiste nell’agire in modo tale da pregiudicare gli interessi degli investitori o il buon funzionamento dei mercati, la Banca d’Italia o la Consob, dopo avere informato l’autorità competente dello Stato membro in cui l’intermediario ha sede legale, adottano tutte le misure necessarie compresa l’imposizione del divieto di intraprendere nuove operazioni in Italia. Quali le pratiche illecite contestate? Le ormai solite condotte commerciali aggressive, il mancato riscontro alle richieste di rimborso, l’irregolarità nella classificazione della clientela, le operazioni non autorizzate dai clienti, le perdite fino all’intero capitale investito anche a fronte di “consigli” ricevuti da “addetti” dell’intermediario, le continue richieste di effettuare ulteriori versamenti sui conti di trading aperti, malfunzionamenti della piattaforma di trading. Dopo aver interessato la CySec, nella sua qualità di autorità del Paese di origine competente a vigilare sull’impresa, trasmettendo tempo per tempo gli esposti ricevuti ed evidenziando gli aspetti maggiormente critici segnalati negli stessi, e verificando poi che i comportamenti contestati sono proseguiti, la Consob ha potuto intervenire. Non finisce qui. Con delibera n. 20976 del 20/06/2019 la Consob aveva già adottato in via permanente misure d’intervento a tutela degli investitori analoghe a quelle già adottate in via temporanea dall’Esma. Sono stati previsti il divieto di commercializzazione, distribuzione o vendita di opzioni binarie. Per i cfd ci sono limiti alla

TRA LE PRATICHE ILLECITE, CONDOTTE COMMERCIALI AGGRESSIVE, MANCATO RISCONTRO ALLE RICHIESTE DI RIMBORSO, OPERAZIONI ARBITRARIE

L’ingresso della Consob a Milano.Utilizzando le norme della Mifid 2 la Commissione ha cambiato marcia nel contrasto alle frodi via web

leva in base alla volatilità: 30:1 per coppie valutarie principali, 20:1 per le altre coppie, l’oro e i principali indici azionari, 10:1 per gli altri indici azionari e le materie prime diverse dall’oro, 5:1 per singoli indici azionari e altri valori, 2:1 per le criptovalute. È stata anche introdotta, allo scopo di armonizzare il livello al 50% del margine minimo, una chiusura automatica al raggiungimento del margine in base al conto. Sono pure previste la protezione da saldo negativo (non si può perdere più del capitale investito) e una limitazione degli incentivi offerti per negoziare. Ancora, si introduce un avviso standard sui rischi che include la percentuale delle perdite sui conti degli investitori dell’intermediario. Se la Consob proseguirà nella propria azione contro le società con sede a Cipro, lo stesso paese mediterraneo rischia non poco. L’articolo 86 della Mifid II, infatti, prevede che in casi simili l’autorità competente dello Stato membro ospitante può deferire la questione all’Esma, che può intervenire conformemente ai poteri che le sono conferiti dal regolamento Ue n. 1095/2010. Tale Regolamento, all’art. 17, dispone appunto che se un’autorità competente (la CySec, in questo caso) non si conforma al parere Esma, la Commissione Europea può intervenire ai sensi dell’articolo 258 del Trattato di Funzionamento dell’Unione,adottando una procedura d’infrazione verso Cipro. E sarebbe ora che ciò avvenisse. marzo 2020

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OBIETTIVO ESG

Sostenibilità: la sfida di Bper Banca di Marco Muffato

L’ISTITUTO BANCARIO SPINGE L’ACCELERATORE SULLA FINANZA SOSTENIBILE. NE PARLA A INVESTIRE IL VICE DIRETTORE GENERALE GARAVINI

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ltro che moda di breve periodo. La sostenibilità si sta rivelando come un fiume in piena pronto a travolgere tutto il vecchio mondo della finanza e del risparmio gestito e a cambiarlo per sempre. Investire ne parla con Eugenio Garavini, vice direttore generale di Bper Banca.

Quanto è importante e perché il tema della sostenibilità per una banca come Bper? Ormai per i mercati finanziari parlare di sostenibilità vuol dire parlare anche di derisking degli investimenti, e le agenzie di rating valutano le imprese considerando i temi di sostenibilità come utili alla riduzione del rischio di default. Dunque la sostenibilità non può più essere solo comunicazione di buone prassi. Se non pervade la strategia che sottende le attività d’impresa, se non entra nelle politiche di remunerazione, non potrà incidere sulla generazione di valore nel lungo periodo. Occorre quindi avviare un processo di trasformazione in grado di coinvolgere modelli di business, governance e strategie. Bper ha intrapreso questo percorso e i rating di sostenibilità ci confermano che siamo sulla strada giusta. Tradotto in azioni tangibili, questo significa riaffermare la vicinanza con i nostri territori attraverso prodotti e servizi che permettano da un lato una maggiore inclusione sociale e dall’altro un aiuto concreto alle aziende per affrontare la transizione energetica, cogliendo ogni opportunità di innovazione e sviluppo affiancati da un partner finanziario competente e credibile. Quali sono le iniziative più significative che avete intrapreso in quest’ambito? Bper Banca vuole essere sempre di più un partner dei propri clienti e mette a disposizione soluzioni e competenze per accompagnare famiglie e imprese nella ideazione e realizzazione dei progetti di crescita e miglioramento in un’ottica di sostenibilità. Sono diversi i prodotti di Bper che favoriscono le persone svantaggiate, attraverso un più facile accesso al credito o il supporto ai clienti diversamente abili. A questo proposito cito tra i tanti progetti le carte di debito e di credito, tutte con una cifra in braille per agevolare non vedenti e ipovedenti. In campo ambientale invece voglio parlare di Bper Life4Energy, uno strumento di Project Finance definito nell’ambito di un accordo comune tra Bei e Ce che ha come obiettivo il supporto a progetti di efficientamento energetico con un portafoglio di finanziamenti fino 50 milioni di euro dedicato a Pmi e grandi imprese. Nel nostro 62

marzo 2020

EUGENIO GARAVINI

Bilancio di Sostenibilità, scaricabile dal sito, è possibile reperire informazioni ancora più dettagliate. Il tema degli investimenti sostenibili è diventato cruciale nell’essere banca come nella relazione con i risparmiatori. Qual è la vostra filosofia e come state agendo su questo tema? Bper opera nel mondo della finanza sostenibile da tempo: è infatti presente nella compagine azionaria di Banca Etica e di Etica Sgr, azienda aderente ai Principles for Responsible Investment dell’Onu e che investe solo in fondi Esg, cioè con alte performance in termini ambientali (Environmental, n.d.r.), sociali (social, n.d.r.) e di governance. Bper è la prima banca collocatrice di Etica Sgr per volume di fondi venduti. Anche Arca Sgr, azienda compresa nel gruppo Bper ha aderito ai Pri e dal 2020 offrirà prodotti Esg. Esg è il tema d’investimento del momento, cavalcato dalle società di asset management e da banche e reti distributive. Sta diventando un tema commerciale forte anche in Bper? A suo giudizio gli investimenti Esg sono in grado di determinare performance per i clienti al pari di pianificazioni che prevedano anche prodotti non Esg? Il crescente interesse per la finanza sostenibile ha comportato anche in Bper la necessità di percorsi di rafforzamento delle competenze della rete per venire incontro alle maggiori richieste di investimenti sostenibili. All’inizio abbiamo parlato di derisking e di capacità di cogliere opportunità di mercato. Qui sta il fulcro della questione. Tante ricerche, corroborate dalla costante crescita dei volumi dei fondi Esg, attestano che la finanza sostenibile garantisce minori rischi e performance comparabili o migliori sul medio lungo termine: noi stessi investiamo in questo tipo di fondi e in green bond. La direzione è tracciata, con forte spinta anche da parte della Commissione Europea: sarebbe poco etico e anche poco lungimirante in termini di business non raccogliere la sfida.


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SEDIE & POLTRONE di Marco Muffato Casacche che si scambiano, volti noti che passano da un ruolo all’altro: il valzer delle poltrone è intenso nella finanza, dove vige ancora il merito e dove chi rende bene viene promosso o ricoperto di offerte allettanti. Agli HR il compito di attrarre i talenti, a noi quello di raccontare il risiko, oltre a notizie e indiscrezioni su un mondo ricco di costanti novità.

MAINSTREET PARTNERS, DOSSENA È L’INVESTMENT DIRECTOR

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ainStreet Partners, società di investment advisory specializzata in investimenti sostenibili e a impatto, rafforza il team con l’ingresso di Fabio Dossena (nella foto) in qualità di investment director. Dossena, la cui nomina è effettiva da fine gennaio 2020, entra nel team per sviluppare ulteriormente il servizio di investment advisory di MainStreet Partners e consolidare i rapporti con la clientela italiana e internazionale, composta da private bank, primarie reti di consulenza

finanziaria, assicurazioni, family office e player istituzionali. Dossena ha iniziato la sua carriera in Axa Sim come analyst e fund selector, passando in seguito alla gestione di fondi come portfolio manager in Gnosis Finance, per proseguire come investment analyst e fund manager in Adenium Sgr a Milano. Più recentemente Fabio ha ricoperto il ruolo di senior client officer in Trinity Investment Partners, intermediario finanziario indipendente di Londra con focus sulla clientela istituzionale.

DIRECTA SIM, MARINO SALE

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l Cda di Directa Sim, broker online, ha deliberato la nomina di Giancarlo Marino (nella foto) a condirettore generale della società, con funzione specifica rivolta all’attività istituzionale. Marino entra a far parte del servizio di assistenza ai clienti di Directa nel 2000, nel 2008 diventa responsabile del canale indiretto, un’attività che ha portato 178 medie e piccole banche a distribuire i servizi Directa. Nel 2013 ha avviato i servizi di tesoreria e depositi per le banche. Nel 2018 la sua attività si è allargata anche alla clientela istituzionale e viene pertanto nominato direttore commerciale. Nel nuovo ruolo di condirettore generale per la clientela istituzionale sarà a riporto diretto dell’ad Vincenzo Tedeschi.

ETICA SGR, CRESCITA PER DUE

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tica Sgr ha annunciato le nomine di Arianna Magni (nella foto) a responsabile dell’area institutional and international business development e di Davide Mascheroni come responsabile dell’area partner commerciali. Per entrambi si tratta del coronamento di un percorso interno. Magni ha lavorato per Radiocor, l’agenzia stampa de Il Sole 24 Ore, e poi per Online Sim dal 2000. È arrivata in Etica Sgr nel 2015. Mascheroni ha iniziato la sua carriera nel 2004 lavorando presso primarie società di asset management dove ha ricoperto ruoli commerciali. È entrato in Etica Sgr a giugno 2018.

AVVERA, REDAELLI GUIDA CESSIONE DEL 5° E PRESTITI

I

l Cda di Avvera, società del gruppo Credem specializzata nel finanziamento alle famiglie, ha nominato Umberto Redaelli (nella foto) responsabile della direzione cessione del quinto e prestiti personali di Avvera. Redaelli è un manager che nel corso della sua carriera lavorativa si è occupato di credito finalizzato, prestiti per-

sonali e cessione del quinto per banche italiane ed estere. Protagonista di diverse startup, Redaelli è entrato nel 2011 in Credem per la creazione di una nuova rete di agenti dedicati alla cessione del quinto, dal 1 ottobre 2019 è passato in Avvera a seguito del conferimento del ramo di azienda di Creacasa Srl (100% Credem).

RIZE ETF, SALVADÈ COMANDA IN ITALIA

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ize Etf, la prima società in Europa specializzata in Etf tematici, annuncia la nomina di Emanuela Salvadè (nella foto) a head of Italian speaking regions, con il compito di guidare le attività sul mercato italiano. Salvadè proviene da Macquarie Bank dove, con base a Londra, si è occupata delle attività di vendita e

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marzo 2020

trading degli Etf per i mercati europei e asiatici, contribuendo attivamente allo sviluppo del business in quelle aree. Rize Etf è stata costituita in Gran Bretagna nel 2019 da Rahul Bhushan, Stuart Forbes, Anthony Martin e Jason Kennard - che hanno gestito per anni la piattaforma “Canvas” di Etf Securities


INVESTIRE SPECIALIST

PROFESSIONE CONSULENTE Risponde Francesco Priore all’indirizzo priore.studio@virgilio.it Startupper e decano della consulenza finanziaria, Priore ha fondato l’Anasf e contribuito alla fondazione dell’Albo. Docente Universitario, autore e consulente di comunicazione e marketing finanziario. È stato direttore marketing della rete di Banca Fineco e membro del CdA di Consultinvest Sim.

IL MANTRA DELL’EDUCAZIONE STUFERÀ

MEDICO DI FAMIGLIA? NO, ARCHITETTO

Gentile Professore, da alcuni anni

Carissimo Francesco, ho partecipato

a questa parte, in coincidenza con

a Consulentia, a febbraio a Roma;

le “difficoltà” delle banche, si fa un

tra i temi trattati quelli del ricambio

gran parlare e non solo di educazione

generazionale e della rigenerazione,

finanziaria. Il risparmiatore deve essere

immagine inclusa, della professione.

“educato”, se vuole investire altrimenti….

Che sensazione hai avuto?

la responsabilità di un investimento finanziario diciamo “infelice” è sua. Se mi dicessero “prima di andare dal medico devi essere educato sanitariamente”, con quale fiducia andrei?

C

E.F., Roma

arissimo Ernesto, concordo con lei, questo mantra dell’educazione finanziaria è al limite dell’autolesionismo, perché se servisse a indurre il risparmiatore a tenere i soldi fermi in banca avrebbe un senso, ma viste le numerose peripezie, mette il risparmiatore in condizioni di non sapere cosa fare. Nessuno nega l’importanza dell’informazione, però se vado dal fiscalista non è che debba studiare le normative: i professionisti e i consulenti esistono proprio per questo. I media, in particolare le TV, potrebbero illustrare le caratteristiche principali dei servizi finanziari e di risparmio. I cittadini, così come seguono le rubriche di medicina, potrebbero seguire quelle degli investimenti purché comprensibili. Il cittadino in farmacia compra e può comprare solo i prodotti da banco, il risparmiatore è sempre andato in banca per le operazioni semplici e ”sicure”. Lì dove occorre un parere professionale è indispensabile il professionista. Le autorità devono vigilare sui prodotti medicinali e finanziari e sui professionisti, non mettere in guardia il risparmiatore “stai attento che se sei ‘maleducato finanziariamente’ un po’ te la sei voluta”. Obbligare il risparmiatore a firmare decine di fogli, che nessuno leggerà mai, serve solo a dire “hai firmato e allora?”. Un promemoria con avvertimenti, tipo “quando depositi i soldi in banca, i soldi diventano di proprietà della banca che li può usare come vuole, l’attività è vigilata, tu però sei solo un creditore della banca” e così via. Note così indurrebbero il risparmiatore a non scegliere una banca indiscriminatamente.

G.C., Napoli

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arissimo Gennaro, i dibattiti sono stati molto interessanti, sia per le tesi esposte sia per rendersi conto che è necessario trasformare le opinioni in operatività, trovando degli accordi. A partire dall’immagine, tanti sostengono, e non da oggi, che Il consulente finanziario debba avere un’immagine simile a quella del medico di famiglia. A mio parere ciò distorce la nostra mission e non fa immagine: dal medico si va quando si è malati o previgenti se non lo si vuole diventare, il cf invece va da chi sta bene finanziariamente; da chi ha bisogno di finanziamenti va il mediatore creditizio, due attività all’opposto. Il consulente finanziario dovrebbe costruire la propria immagine e farla migrare come architetto del patrimonio. Noi aiutiamo i nostri clienti a disegnare/pianificare l’infrastruttura del proprio patrimonio: aiutarli a realizzare i sogni è azzardato, ma ottimizzare la strutturazione del patrimonio è quello che facciamo ogni giorno, piccolo o grande che esso sia. Immaginata l’immagine, questa va veicolata: una buona fiction, con 10 milioni di euro la si realizza, visto che non se ne è mai parlato potrebbe suscitare curiosità e sviluppare interesse. Una produzione del genere varrebbe anche come campagna di promozione del consulente finanziario, campagna che non è mai stata fatta unitariamente dall’industria. L’interessante proposta di Paolo Martini di Azimut, raccolta prontamente da Stefano Volpato (Banca Mediolanum) di un’Academy comune, è stata lasciata cadere in particolare da chi rappresentava l’industria. I diversi esperimenti Master in WM alla Bologna Business School o le Borse di Studio di Assoreti a Roma 3 sono pregevoli iniziative ma non fanno sistema. Il problema dell’addestramento dei neofiti non può essere a carico dei professionisti, i quali già finanziano con milioni di euro gli Albi, la Vigilanza, nonché la preparazione agli esami e gli esami stessi a prezzo politico, occorre una diversa organizzazione. Il cf persona giuridica, che addestra per la propria azienda, o il cf supervisor remunerato, come nel passato, che addestra per la casa madre. Grazie per avermi dato la possibilità di fornire spunti per una nuova progettualità. marzo 2020

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POLE POSITION

a cura di Buddy Fox

RISIKO BANCARIO, È TORNATO IL TEMPO DEI GIGANTI

L

a cosa più sorprendente del take-over Intesa su Ubi Banca è la sorpresa mostrata dagli addetti ai lavori. Che teoricamente in quanto addetti dovrebbero sapere che queste operazioni – scalate più o meno ostili, o più o meno affettuose che dir si voglia – si compiono col favore delle tenebre, nel silenzio più rigoroso come insegna il compianto Enrico Cuccia e come ormai sanno anche i bambini della 3 D di Cison di Valmarino, la ridente località veneta famosa per nulla. Una mossa sorprendente, scrive stupefatto Il Sole24Ore, che dopo tutte le traversie che gli sono accadute potrebbe non meravigliarsi più di niente. Ma davvero nessuno sapeva? Le parole pronunciate pochi giorni prima da Gros-Pietro, il potente presidente di Intesa-San Paolo, sembrano confermare l’ignoranza dei fatti. Ma a essere maliziosi c’è che più o meno negli stessi giorni il titolo Ubi guadagnava il 30% in poche sedute. Dunque, come dicono i bambini della 3 D di Cison di Valmarino, chi mente sapendo di mentolo? In attesa di saperne di più (non ci vorrà poi molto) stiamo ai fatti, o meglio al contesto. Che la “foresta pietrificata”, come veniva chiamato il mondo bancassicurativo italiano, si sarebbe sciolta come un ghiacciolo al sole d’agosto era inevitabile come il crollo dell’Impero romano sotto i colpi dei barbari. Un’inCARLO MESSINA sostenibile leggerezza dell’essere determinata

sia dalle nuove tecnologie ammazza lavoro sia dal crollo dei tassi. Solo uno su mille ce la fa, cantava il preveggente Gianni Morandi, come testimoniano le operazioni portate a termine da Plug and Play e Nexi che ha visto la comparsa di un nuovo soggetto fintech. Eppure tutto questo non basta. Il tempo dei giganti sembra nuovamente tornato: Intesa + Ubi fanno la bellezza di 1100 miliardi di risparmio gestito. Quindi tutto bene Madama la Marchesa, come si diceva un tempo sotto la Mole Antonelliana quando non era ancora stata costruita? Sì e no. Anzi, più no che sì. Per due ragioni: la prima è che il giochetto dimensionale (l’animale grande mangia il piccolo) non ha limiti né confini: i più avveduti (o i più maliziosi) sommessamente avvertono che i cugini d’Oltralpe erano all’erta e pronti a partecipare al banchetto. La seconda è che Messina, che d’ora in poi gli amici chiamano “profumo d’Intesa”, qualche piedino l’ha pestato e forse più di uno: anche in guerra c’è un galateo da rispettare ed è inevitabile pensare che Gros-Pietro non abbia gradito l’essere tenuto all’oscuro di tutto. In chiusura mi sovviene di un terzo motivo d’inquietudine, il più sottile e forse il più pericoloso: chi ci assicura che in un futuro prossimo non saranno le fintech, i feroci Velociraptor della finanza tecnologica, a nutrirsi dei corpaccioni delle banche di sistema?

TESLA E MUSK UN GRANDE ENIGMA DI SUCCESSO

“U

n enigma avvolto in un mistero racchiuso in un segreto” affermava Winston Churchill in un discorso radiofonico trasmesso il 1° ottobre 1939 a proposito delle intenzioni dell’Unione Sovietica dopo la spartizione militare della Polonia insieme alla Germania hitleriana. Un’espressione che potremmo legittimamente utilizzare anche a proposito di Tesla e del suo patron, l’ineffabile, l’incommensurabile, il sempre sorprendente Elon Musk. Dato più volte per spacciato, Musk come un salmone risale instancabile la corrente. L’ultima volta è successo a metà gennaio, quando Morgan Stanley affibbia alla sua società mazzate che avrebbero fatto stramazzare anche un toro declassando il titolo a “sell”. Una bocciatura clamorosa motivata dal fatto che il profilo di rischio non appare in linea né con i risultati né con le stime operative, in particolare quelle legate al mercato cinese. Insomma, da gioiellino a società dalla quale stare alla larga come la peste. ELON MUSK Cala dunque definitivamente 66

marzo 2020

il sipario sull’estroso imprenditore sudafricano? Neanche per sogno. Passano pochi giorni et-voilà, colpo di scena: Musk annuncia un aumento di capitale da 2 miliardi di dollari. E il titolo torna a gonfiarsi come lo spinnaker che ha ripreso vento. Ma qual è il senso di questa ricapitalizzazione? Questa volta l’obiettivo non è fare liquidità per sostenere la realizzazione dei progetti, come per esempio la messa in produzione della Model 3. No, l’obiettivo è il rafforzamento patrimoniale. Mossa giusta che il mercato immediatamente premia. In poche sedute Tesla cresce di circa il 30% sostenuta anche dalla decisione di Musk di partecipare all’aumento di capitale per 10 milioni di dollari. Così, incredibile ma vero, Tesla capitalizza 100 miliardi di dollari e diventa il secondo gruppo auto in Borsa dopo Toyota. Non solo: dall’inizio di questo fortunatissimo 2020 la quotazione della società è cresciuta dell’86% nel momento in cui il Nasdaq cresce del 3,35%. Sarà la Amazon del settore automobilistico?


INVESTIRE SPECIALIST

CORONAVIRUS, UNA NUOVA SCUSA

È

accaduto nuovamente. Come Charlie Brown che accetta di calciare il kick-off convinto che Lucy non lo farà cadere sottraendogli il pallone, così la Cina ci è cascata di nuovo e questa volta molto più dolorosamente. Il virus Corona, animale talmente mutante che ora si fa chiamare Covid-19, è il triste frutto di due fattori sinergici: l’amore per il passato che induce i cinesi a indulgere per il “mangiare selvaggio” unito a un sistema spesso più autoritario che autorevole che blocca sul nascere la diffusione delle notizie. Anche in questo caso si ripete la brutta storia della Sars, la precedente epidemia made in Cina: silenzio omertoso da parte delle autorità locali con conseguente perdita di giorni, settimane e mesi preziosi. Per non parlare della scarsa (eufemismo) trasparenza delle fonti ufficiali: quanti sono (saranno) realmente i malati, quanti i deceduti e quali le regioni colpite? Come il verso del coccodrillo nella canzone dello Zecchino d’Oro, non c’è nessuno che lo sa. Il risultato lo tocchiamo con mano ogni giorno: polemiche pseudo-politiche, reazioni permalose, richieste di scuse. È tanta vergognosa isteria popolare che, come al solito, sceglie obiettivi che nulla hanno a che vedere con i fatti. Accade così che ai voli soppressi, alle produzioni annullate e alle fotografie delle città cinesi svuotate dalla quarantena, si aggiunga l’italica diserzione

dei quartieri tradizionalmente popolati da industriosi cinesi sani come pesci e sbalorditi per l’insensatezza delle nostre reazioni. E le conseguenze sono inevitabili e immediate: si annullano fiere e manifestazioni sportive e si posticipano convegni e incontri d’affari; si rivedono in basso budget e previsioni, si annunciano tragedie sul fronte del turismo poiché, e neppure questo è più un segreto, il nerbo dei viaggiatori è ormai costituito da signore e signori con gli occhi a mandorla. È dunque scoppiata (insieme al virus) pure la recessione, oppure è l’ennesimo grande bluff? Non sappiamo quanto durerà né tantomeno quale sarà il prezzo da pagare in sofferenze umane: le immagini delle disciplinate, desolate città cinesi stringono il cuore. Come sempre in tempi di crisi vera o presunta, le Banche Centrali faranno il loro mestiere. Che consiste nel tenere i tassi a zero e magari a immettere ancora più liquidità nel sistema. Come ai tempi del Decamerone di quel genio del Boccaccio, in caso di peste i fortunati scappavano in villa, e lassù sulle dolci colline ingannavano piacevolmente il tempo tra cibi, vino e fiabe squisite, così noi degni epigoni stiamo rinserrati nel comodo, dolcissimo Hotel California. Protetti dai virus e dai morbi della contemporaneità, continuiamo imperterriti a fare baldoria finanziaria a suon di guadagni: sic transit gloria mundi.

NASDAQ, 20 ANNI DALLA GRANDE BOLLA

F

orse non tutti sanno che… il più grave problema in cui si dibatteva la città di New York agli inizi del secolo scorso non era la delinquenza organizzata, italiana, irlandese o ebraica, ma l’inquinamento. Del suolo e dell’aria. Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del ‘Novecento circolavano in città più di 150mila cavalli addetti al trasporto di merci e persone. Mediamente ogni cavallo, ogni giorno tutti i giorni, produce oltre all’energia di movimento 10 kg di materia fecale e circa un litro di urina. New York ne era letteralmente invasa. La soluzione venne, come sempre, dalla tecnologia. In tempi incredibilmente rapidi l’automobile sostituì il cavallo eliminando sul nascere migliaia e migliaia tonnellate di sterco animale. (L’auto inquina? come sempre la tecnologia elimina un problema per crearne un altro, ma questa è un’altra storia). Una storia che in modo circolare ci riporta ad un’altra storia, un’altra rivoluzione tecnologica. Quella che in un batter d’occhio ha scardinato, insieme al nostro modo di lavorare e di vivere, paradigmi e gerarchie aziendali. Una rivoluzione, quella digitale, che, come tutte le rivoluzioni che dalla sfera puramente tecnologica impattano su quella sociale e produttiva, ebbe effetti immediati in Borsa. Correva l’anno 2000, ricordate? Sono trascorsi 20 anni esatti dallo scoppio della bolla Internet: il 6 marzo del 2000 l’indice Nasdaq sfondò il soffitto dei 5.000 punti e poco dopo avvenne il crollo. Immediatamente come da tradizione, tutti i figli spuri di Cassandra della terra si misero a strillare all’unisono la solita solfa dei bulbi di tulipani olandesi del ‘600. Senza cogliere le differenze: il digitale cambia il mondo (il modo di produrre, consumare, pensare, vivere e persino morire) mentre il tulipano nel migliore dei casi solo il tono di una stanza. Povere Cassandre mancate. Non era la fine del mondo, era l’inizio. Una grande trasformazione a cui dettero avvio

pionieri come Yahoo!, WorldCom, Cisco, Netscape, Pet.com, Oracle e Sun microsystem, giusto per citare i più noti. Molti di loro “dormono sulla collina” come direbbe il poeta di Spoon River. Al loro posto giganteggiano imprese come Netflix, Facebook, Amazon e Google. Imprese straordinarie i cui vertici sono rappresentati da campioni Apple e Microsoft, paragonabili a quello che è stata General Electric nel corso di tutto il Novecento. Apple e Microsoft, due imprese che hanno saputo crescere nella trasformazione interpretando in modo magistrale il cambiamento. Sono passati 20 anni dicevamo. Oggi il Nasdaq ha recuperato i massimi di marzo 2000 e rispetto a quella quota vale il doppio: ha raggiunto quota 9.700. Quanti rimpianti tra i piccoli investitori. Inutile aggiungere che per i tristi epigoni di Cassandra ogni crescita presagisce la bolla e ogni sviluppo presuppone una catastrofe. Avanti la prossima. marzo 2020

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TALENT

LA COMPETIZIONE TRA UN “FAI DA TE”, UN CF E UN ROBOADVISOR

Sfida sul portafoglio a prova di Coronavirus

“U

na poltrona per tre” è una competizione tra tre portafogli realizzati da un “fai da te”, un consulente finanziario e un roboadvisor. Ha la durata di un anno e prevede la possibilità di rotazione del portafoglio, con un cambio di massimo due strumenti, al termine del primo semestre. Ogni mese partirà una nuova gara. Aggiornamenti e confronti L’aggiornamento sull’andamento di ciascuna di esse avrà cadenza semestrale. Tre concorrenti che non copiano La composizione dei portafogli è elaborata

LE SCELTE DEL “FAI DA TE”

di Giacomo Damian

in completa autonomia dai partecipanti al talent e oltre ad avere lo scopo della competizione vuole offrire spunti meramente informativi inerenti l’impiego di strumenti finanziari quotati sul mercato regolamentato italiano. Le informazioni e le analisi esposte pertanto non costituiscono sollecitazione al pubblico risparmio qualunque decisione di investimento e il relativo rischio rimane a carico dell’investitore. Investire non si assume alcuna responsabilità per l’eventuale utilizzo che il lettore potrà fare dei contenuti esposti.

marzo 2020

Portafoglio “Coronavirus” la creazione di un portafoglio vaccino che sia in grado di portare un rendimento in questa fase di incertezza e sia anche una difesa da volatilità e rischio correzione.

FARMACEUTICO, ORO, ARGENTO E BITCOIN

ISIN “Un calo significativo dei riacquisti cambierebbe DE000A1EK0G3 drasticamente la struttura della domanda US09062X1037 e dell’offerta per le azioni americane” questo è DE000A1TNV91 quanto era scritto in una nota di fine 2019 da parte di Goldman Sachs, la regina dei XS1947924921 mercati, che in vista del 2020 vedeva una sola particolare insidia che potesse mettere JE00B1VS3333 in difficoltà il trend crescente delle borse: la diminuzione dei buyback. Il buyback, IT0003217335 ovvero il riacquisto delle azioni da parte delle società attraverso indebitamento e flussi di US1894641000 cassa, sono da anni uno degli assi portanti di questo ciclo rialzista, ed è proprio su questo tema che si focalizzava l’analisi di Goldman Sachs, che in una nota ai clienti, paventava il rischio di un indebolimento che in cifre si quantificava in un calo degli acquisti di azioni proprie del 15% a 710 miliardi nel 2019, con il rischio di allargarsi a un altro meno 5% nel 2020. Nessuno avrebbe mai immaginato, che una volta sopite le incertezze dalla Cina sul commercio, sempre la Cina sarebbe stata causa di preoccupazione, ma attraverso altri canali. Il Coronavirus, come il più classico degli imprevisti è piovuto sui mercati come il sasso che cade nello stagno, muovendo le acque e facendo sobbalzare tutti gli investitori. È il cigno nero che i cronici catastrofisti aspettavano? La risposta forse la possiamo trovare nell’andamento dei mercati degli ultimi mesi, dove bassa volatilità, il trend costantemente al rialzo e un risk-on diffuso non possono essere eterni, ma prima o poi dovranno “aggrapparsi” a una scusa per cambiare, anche solo momentaneamente, il registro. Per questo il portafoglio

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IL PROFILO DEL MATCH

FONDO

MIX

XTRACKERS PHYSICAL GOLD EUR HEDGED ETC

20%

BIOGEN (BIIB)

20%

BITCOIN GROUP SE

20%

BEI 2022 (VALUTA RUBLO)

10%

WISDOMTREE PHYSICAL SILVER

10%

BORGOSESIA

10%

CLOVIS ONCOLOGY (CLVS)

10%

da me preparato come vaccino per il “Coronavirus” non è particolarmente difensivo, bensì composto da strumenti che possano essere estranei al contagio del virus, ma che al tempo stesso riescano a cogliere le opportunità di crescita nei propri settori. In particolare il farmaceutico, che proprio dall’emergenza sanitaria potrebbero trovare linfa e spazi di rilancio. Il settore oro e argento, uno scudo contro l’incertezza generale. Titoli di Stato in rubli, tra i pochi a fornire ancora rendimenti di una certa decenza. Il Bitcoin, e in generale le valute digitali, troppo trascurate e che dal rischio dei contatti fisici potrebbero tornare in auge. E infine un titolo ai più sconosciuto, Borgosesia, forse il più antico titolo di Piazza Affari, un ex azienda tessile, trasformata in una immobiliare/ finanziaria,che compra Npl solo nella forma di “single name”, cioè crediti deteriorati che danno un ritorno minimo, anche nella peggiori ipotesi, sono capaci di coprire i costi dell’intervento. Una bella assicurazione nelle fasi di incertezza.


INVESTIRE SPECIALIST

LE SCELTE DEL CONSULENTE FINANZIARIO ESPOSIZIONE AL 60% SU DOLLARO ED EQUITY, 25% BOND GLOBALI, 15% ORO DENOMINAZIONE

ISIN

PESO

PIMCO GIS Diversified Income Fund E Class EUR (Hedged) Accumulation

IE00B1Z6D669

25%

JPMF US GROWTH C USD ACC

LU0129460407

10%

Morgan Stanley Investment Funds - Global Brands Fund A (JPY)

LU0119620416

20%

X-t Stoxx Europe 600 He Ca Sw UCITSETF1C

LU0292103222

15%

BlackRock Global Funds - World Healthscience Fund A2

LU0122379950

15%

Etf Physical Gold (Usd)

JE00B1VS3770

15%

Il portafoglio di Claudio Carella Da inizio anno i mercati hanno dimostrato di poter superare allarmi dovuti a rischi geopolitici importanti - con il pericolo di un conflitto Usa Iran - e di poter resistere ai rischi di una epidemia che, partita in Cina, si sta dimostrando essere particolarmente difficile da contenere entro i confini geografici del Paese, con casi di persone infette non solo in Asia (Corea e Giappone) ma anche in Europa, America e Africa. Non conosciamo e non possiamo prevedere le conseguenze sulla crescita economica globale, ma sembra che gli interventi della Banca Centrale Cinese con il continuo e progressivo stampaggio di moneta, e del governo, con stimoli fiscali alle imprese, riesca a contenere la volatilità e sostenere i prezzi. Troviamo quindi rendimenti in calo ovunque, sia tra l’obbligazionario corporate, e sia tra i titoli di stato, in particolare lo si vede nel 30 anni Usa che supera di poco la soglia del 2%. Ancor più visibile nel 2-10 anni Usa, benchmark dell’appiattimento delle curve, è tornato ai minimi da ottobre

scorso, a 13 bps. A nuovi massimi è invece l’oro, a tratti sopra 1620 $. Il dollaro resta la divisa preferita anche nella fase di risk aversion, segno che gli Usa continuano a essere considerati i meno coinvolti dall’evento Coronavirus. Buona decorrelazione quindi da manuale, con l’eccezione dello Yen. Forse non c’è da stupirsi troppo che gli investitori abbandonino lo yen, che non sarebbe più visto come una moneta rifugio. Certo che in queste situazioni i titoli di alta qualità - Treasury e azioni presenti nello S&P - ci rassicurano, soprattutto affiancando un buon Etc sull’Oro. Con questa logica ho fatto il portafoglio per affrontare questa fase difficile per i bassi Tassi e per quello che potrebbe essere considerato un “cigno nero” arrivato dalla Cina. Il portafoglio proposto ha una esposizione verso il Dollaro del 60%, come del 60% è l’esposizione verso l’equity. A questo si aggiunge il 25% in bond globali (1/3 investment grade; 1/3 high yield; 1/3 emerging market) e si completa con il 15% in oro Nonostante ciò, grazie al livello di diversificazione del 23% ha avuto una volatilità a tre anni del 7,65 ed una volatilità attesa a tre anni del 10,95%, un massimo drawdown a tre anni di 6,97 e un Dsr sempre a tre anni di 5,08%. Le spese correnti medie sono di 1,12% trattandosi di un ipotetico cliente retail e la percentuale di criteri Esg in portafoglio è del 20%.

LE SCELTE DEL ROBOT (elaborazioni di Investire sui dati Deus Technology) “Lo spostamento di un singolo elettrone per un miliardesimo di centimetro, a un momento dato, potrebbe significare la differenza tra due avvenimenti diversi, come l’uccisione di un uomo un anno dopo, a causa di una valanga o la salvezza” questo è l’estratto del saggio di Alan Turing dal titolo “Macchine calcolatrici e intelligenza”, un concetto che può sembrare complicato, ma che in realtà inconsapevolmente conoscete tutti, essendo l’antenato della arcinota metafora della farfalla dove si intende dimostrare che una singola azione può determinare imprevedibilmente il futuro. Nella metafora in questione, si immagina che un semplice movimento di molecole d’aria, generato dal battito d’ali di un insetto, possa causare una catena di movimenti di altre molecole

fino a scatenare un uragano, magari a migliaia di chilometri di distanza. Semplificato in termini popolari si dice che se una farfalla sbatte le ali a Pechino, a New York invece del sole, arriva la pioggia. Nel nostro caso, l’unica differenza è che lo spostamento di molecole dell’aria, non avviene per il battito d’ali ma per uno starnuto, che da Pechino, più precisamente da una zona remota della Cina, rischia di propagarsi a tutte le latitudini del pianeta. La metafora in questione fu utilizzata anche nel film “Jurassic Park” per spiegare la teoria del caos, e proprio il caos, questo battito, pardon, starnuto, rischia di sconvolgere l’andamento dei mercati dopo mesi e mesi di grande pace (leggi assenza di

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TALENT

volatilità) e andamento a senso unico verso il rialzo. Questa è stata l’occasione per mettere alla prova i concorrenti con una nuova gara nella costruzione di un portafoglio “vaccino” che sia in grado di allestire una difesa e produrre un minimo rendimento per il risparmiatore intimorito dal nuovo pericolo sui mercati. Pericolo che rischia di mettere in difficoltà l’economia e le Borse, che dopo mesi e anni di crescita, potrebbero trovare il momento per una correzione o, una semplice, ma insidiosa e fastidiosa volatilità. Abbiamo dunque interpellato il nostri fidati amici di Deus Technology per la creazione di un portafoglio anti Coronavirus. Il risultato è una composizione quasi bilanciata tra azionario e

obbligazionario, un 40% per il primo e 60% per il secondo. Tra le azioni, come è ovvio immaginare c’è la presenza del farmaceutico, ma anche il comparto energetico che ultimamente è rimasto in coda. Come area geografica vi è una preferenza per l’Europa, che rispetto agli Usa è meno sopravvalutata. Mentre nel comparto obbligazionario vi è una corretta diversificazione tra corporate e titoli di stato, tra quest’ultimi non possono mancare gli Stati Uniti, gli unici a fornire ancora un rendimento decente, insieme all’Italia, per molto tempo snobbata e tenuta a distanza, ora grazie a una ritrovata stabilità, offre un rendimento che in tempi di magra risulta essere fin troppo generoso.

AZIONARIO 40% CON TANTO FARMACEUTICO ED ENERGIA, BOND AL 60% ISIN

NOME

14/02/2020

US05464T1043

Axsome Therapeut Rg

17,44%

US29355A1079

Enphase Energy Rg

14,40%

LU0248049172

JPM Europe Strategic Growth I Acc EUR

8,16%

XS1516322200

Synlab Bondco-Synlab Bond22-S FRN-01/07/2022 CV EUR

21,14%

XS1551726810

Cellnex Telecom-2.875 Cellnex 25Bds-18/04/2025 CF EUR

16,71%

IT0001444378

Italy-6 Btp-1Mg31-01/05/2031 CF EUR

11,58%

ETFS Metal Sec 2007 on Palladium Acc EUR

10,56%

US912828H458

L’ASSET MIX DEL MESE MACRO

PESO

AZIONARIO

40%

OBBLIGAZIONARIO

60%

PESO

MICRO

Azioni Biotech Azioni Energy Fondi Azionari Europa Obbligazionario Corp. Healthcare Providers Obbligazionario Corp. Telco Obbligazioni Gov. ITA Obbligazioni Gov. USA

17,44% 14,40% 8,16% 21,14% 16,72% 11,58% 10,56%

The winner is... +27,62% +10,62% ROBO ADVISOR (Deus Technology)

“FAI DA TE” GIACOMO DAMIAN

LA CLASSIFICA È SEMESTRALE ED È RELATIVA ALLA GARA INIZIATA CON IL NUMERO DI LUGLIO DI INVESTIRE

70

marzo 2020

+2,95%

CF PAOLO MAIOLATI


INVESTIRE SPECIALIST

La seconda vita (ancora vincente) del gigante STM S

TM: se è vero che la Borsa è il prolungamento surreale della vita, l’estremizzazione delle emozioni e l’espressione dei più mutevoli comportamenti, verrebbe naturale pensare che anche le società, ovvero le protagoniste della Borsa, gli esseri viventi di quel mondo, che sempre di uomini sono fatte, possano subire nel tempo cambiamenti che ne possano condizionare i gusti ed essere causa di straordinarie trasformazioni. Distratti come siamo dalle mode del momento, siamo capaci di accorgerci dei cambiamenti che avvengono in quella che è stata per anni una compagna di vita? E’ ciò che è accaduto a STM, per anni la fidanzata e l’amante di tutti i trader, risparmiatori e investitori d’Italia, l’unica cosa che ci potesse in qualche modo avvicinare al Nasdaq e alle emozioni di chi investiva nell’indice della grande bolla. Quando non sai cosa fare, investi su STM, era il motto, ed era un guadagno assicurato perché il titolo a cavallo del 2000 saliva sempre. STM però aveva un grande difetto, una dipendenza, e cioè era totalmente succube degli umori di bilancio del gigante Nokia, ovvero se Nokia faceva profitti il matrimonio era felice, altrimenti era crisi per tutti. Se per tutti gli anni novanta questo legame visse una costante luna di miele, con il 2000, lo scoppio della bolla e il tramonto di Nokia cominciò una grave crisi che portò entrambe le aziende vicine al baratro del fallimento. Il classico bivio della vita che portò alla separazione industriale delle due aziende, fino ad allora Nokia era il più grande cliente di STM, e se all’inizio per l’azienda italo francese fu una sopravvivenza di stenti, con il passare del tempo e la riorganizzazione, quella separazione portò a una rinascita vincente. I primi segnali arrivarono successivamente al recupero dalla grande crisi finanziaria del 2008, quando alle cadute di Nokia dovute all’ennesima trasformazione del gigante finlandese, non seguivano più le emulazione di STM, anzi l’azienda di chip faceva spallucce per andare nel verso contrario, e cioè salire. Per STM era il segno di un’emancipazione avviata, che a distanza di qualche anno ha portato il titolo da un minimo intorno ai 5 euro fino ai 28 dei giorni nostri. Una risalita frutto di riorganizzazione e soprattutto diversificazione, nonostante oggi il cliente più importante sia Apple, non si commettono più gli errori del passato, perché alla mela morsicata si aggiungono altri clienti e altri investimenti. I chip nell’economia e nell’industria di oggi avranno un uso sempre più totalizzante, dagli smartphone, alle vetture elettriche, fino alla smart mobility. Per quanto riguarda il prezzo delle azioni, i massimi intorno ai 60 euro quando comandava il carismatico Pistorio, sono ancora lontani, ma marciando di questo passo, potranno essere riagguantati velocemente. Come dice il nuovo ad Jean-Marc Chéry “mia nonna diceva: la paura non impedisce che un pericolo arrivi. Non serve a niente avere paura”, ed è così che anche da zitella, STM, impavida, continua a correre.

D

IGITAL MAGICS: Moneymour, startup partecipata da Digital Magics con una quota del 13,82%, è stata venduta a Klarna Bank AB, e grazie al know how acquisito darà così il via a un’espansione delle sua attività in tutta Italia. Moneymour è una startup specializzata nell’analisi del rischio di credito dei consumatori, è stata fondata da due imprenditori calabresi Giacomo De Lorenzo e Michelle Giannotta, costituita nel 2018 ha pescato il jolly a seguito della selezione per “Magic Wand”, il programma di accelerazione ideato da Digital Magics in ambito di Fintech e Insurtech. La chiusura dell’operazione è fissata per la metà di marzo, un’operazione che porterà nelle casse di Digital Magics un ritorno pari a 3 volte il capitale investito e tutto in cash. Liquidità che DM saprà dove e come reinvestire, perché la società fondata da Enrico Gasperini fa questo di mestiere, scopre talenti in ambito tecnologico, le forma, le sviluppa, stimola la crescita e una volta che il potenziale emerge, trova un acquirente. In termini calcistici, DM e paragonabile all’Atalanta, la cantera dei giovani campioni, e chissà un giorno magari queste startup invece che vendute saranno quotate in Borsa. Il mercato, in questo settore, almeno in Italia è ancora acerbo e DM è un pioniere su cui investire. Particolare non trascurabile, è una nota di merito, dietro a DM c’è la mano e il portafoglio di Giovanni Tamburi, la cui presenza è certificazione di made in Italy di qualità.

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EXI: «le carte di credito? Sono un modello superabile, e alla lunga saranno superate, dichiara Alberto Dalmasso di Satispay, che per il business del pagamento digitale punta all’accorciamento della catena delle transazione attraverso la disintermediazione. Detto in parole semplici, il futuro è nella comunicazione diretta tra i conti correnti di chi vende e di chi compra, una transazione possibilmente fatta semplicemente da e con uno smartphone. Oggi in Europa solo il 20% delle transazioni avviene sulle piattaforme elettroniche, e noi siamo al ventitreesimo posto (classifica Bce), il margine di recupero e il potenziale sono enormi, a cui va aggiunta la non trascurabile spinta politica nella lotta al contante e al sommerso. Tutto questo ha un’enorme influenza sulla fantasia della finanza, in Borsa le società quotate sono ancora poche e frammentate, il colosso Worldpay rappresenta appena il 4% delle transazioni. Dunque possibilità di sviluppo, in termini di rivalutazione, collocamenti e fusioni, sono innumerevoli. In Italia per ora in Borsa abbiamo solo Nexi, società di punta del settore, che però una volta collocata fu subito etichettata come una bolla. Una preoccupazione smentita dai fatti, visto che oggi il titolo rispetto all’esordio vale quasi il doppio. E a breve sarà quotata anche la rivale Sia, su cui si favoleggia di un merger con Nexi, ma oltre alla speculazione ci sono anche i numeri, per un settore come quello dei pagamenti digitali previsti in costante crescita a 3 cifre. marzo 2020

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COSMOPOLITICA Andrea Margelletti Presidente del Centro Studi Internazionali, docente presso la Facoltà di Scienze delle Investigazioni e della Sicurezza dell’Università di Perugia e Narni. Unico membro onorario delle Forze Speciali

ANCHE UN DRAGONE PUÒ AMMALARSI

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uella delle epidemie è una delle fobie di massa recondite del genere umano, quasi quanto i serpenti, gli insetti e i ratti. Non è un caso che, in molti dei libri sacri delle grandi religioni mondiali, i castighi divini assumano proprio la forma di sciami di locuste, rettili velenosi, orde di topi e infine pestilenze. Tuttavia, al di là dell’impatto psicologico e del portato simbolico, le epidemie di massa hanno tradizionalmente rappresentato un autentico flagello per l’economia e la tenuta politica di intere civiltà, fintanto a influenzarne profondamente i pilastri culturali. Basti pensare alla Peste Nera del 1300, che avviò il passaggio dal Medioevo all’Età Moderna, sconvolgendo i rapporti di produzione allora vigenti, oppure alla peste di Galeno del 170 d.C., che diede la prima spallata all’Impero Romano, avviandolo alla irrimediabile decadenza. Anche se fortunatamente non così letale, oggi il famigerato coronavirus cinese sembra evocare le paure che, nei secoli passati, suscitarono la Peste Nera e la peste di Galeno. Le immagini di intere città isolate e messe in quarantena, milioni di cittadini e viaggiatori con indosso mascherine, strade e centri commerciali decisamente meno affollati del solito hanno suscitato livelli inaspettati di paranoia e ipocondria anche nel più fervido credente nella scienza. La fobie collettive funzionano così, riescono a scalfire anche l’animo più indomito. Al di là della mortalità del virus, al momento ampiamente nella media delle influenze stagionali, il coronavirus rischia di tramutarsi presto in una pandemia politico-economica i cui soggetti più a rischio sono i Paesi asiatici, con il rischio di effetti doppler su tutto il globo. Oltre alle tragiche morti, il coronavirus ha messo in crisi l’immagine internazionale della Cina. Pechino, dopo oltre 20 anni di crescita economica e politica su scala globale, il cui punto massimo è costituito, oggi, dalla Belt and Road Initiative e dal consolidamento tecnologico guidato da Huawei, si trova in seria difficoltà. Innanzitutto il mondo osserva con zelo ed attenzione come le autorità gestiscono l’emergenza sanitaria, impressionati dai tempi di costruzione di nuovi ospedali ma al contempo spaventati dal muro di omertà e di censura con cui il Dragone ha deciso di gestire la vicenda. Una scelta tipica per un regime autoritario ma rischiosa nel momento in cui bisogna condividere le informazioni con il resto del mondo sia per ragioni scientifiche che di rassicurazione psicologica. Un criticismo arrivato non solo dagli occidentali sporchi e cattivi, ma anche dai vicini asiatici e, udite udite, dagli stessi cittadini cinesi. Come in Russia, dove il totem di Putin vacilla sotto il peso della protesta popolare per l’innalzamento delle pensioni e non per il pugno di ferro contro oppositori e giornalisti, anche in Cina il presidente sine die 74

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Xi Jinpin potrebbe essere messo in crisi dalla paura popolare della novella Peste cinese. Oltre alla rabbia della gente, Pechino dovrà fare i conti con l’impatto economico del virus ed il mondo con esso, visto che la Cina è la principale manifattura del pianeta e incide per il 16% sul Pil globale. Basti pensare che la città di Wuhan, nella provincia di Hubei, è uno dei poli industriali più importanti del Paese e ospita gli impianti produttivi di conglomerati quali Volkswagen, Toyota, Daimler, General Motors, Renault, Honda e Hyundai. Secondo le valutazioni di Standard&Poor’s, l’epidemia costringerà le case automobilistiche in Cina a tagliare la produzione di circa il 15% nel primo trimestre del 2020. Anche i produttori di beni di lusso, che fanno affidamento su consumatori cinesi che spendono molto in patria e all’estero, sono stati duramente colpiti. Il marchio britannico Burberry ha chiuso temporaneamente 24 dei suoi 64 negozi nella Cina continentale e il suo amministratore delegato ha avvertito venerdì che l’espansione del virus ha sortito un effetto negativo sulla domanda di beni di lusso. Oltre ciò dozzine di compagnie aeree globali hanno significativamente ridotto i voli da e per la Cina e il settore del turismo già ne risente. Ancora più preoccupante è la minaccia alle supply chain globali. Qualcomm, il più grande produttore al mondo di chip per smartphone, ha avvertito che l’epidemia ha causato una significativa incertezza sulla domanda di cellulari di ultima generazione e conseguentemente sulla componentistica elettronica. In tutto questo, non bisogna dimenticare il mercato petrolifero che, negli ultimi due mesi, ha visto una preoccupante contrazione della domanda e del prezzo del greggio, suscitando viva preoccupazione in tutti quei Paesi che basano la propria intera economia sull’esportazione di idrocarburi. Del resto, se l’officina del mondo si ferma, non c’è bisogno di carburante per alimentarla. Senza i proventi del petrolio, il portafoglio di petro-Stati come Russia e Arabia Saudita langue, con conseguenze nefaste sulle loro agende di politica estera costellate di avventure militari in Medioriente. Oggi il futuro sembra incerto, anche se la fobia del virus e si sta lentamente affievolendo. Per fortuna le nostre tecnologie mediche ci permettono di vivere senza la paura di una nuova piaga biblica che dimezzi la popolazione globale. Nei prossimi mesi, quando si potrà misurare con più certezza l’impatto economico della pandemia, ci leccheremo le ferite e studieremo misure di stimolo che sostituiranno le attuali misure di mitigazione. Se il coronavirus ci ha insegnato una lezione è che in fondo il Dragone cinese non è invincibile ed invulnerabile. Può ammalarsi anche lui.


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QUI PARIGI di Giuseppe Corsentino

LA CHIESA ANGLICANA SI FA IL SUO “INDICE VERDE”

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remessa: questo mese l’autole risorse finanziarie solo nelle aziende re di questa rubrica si sposta eticamente ed ecologicamente accettada Parigi a Londra – la Brexit bili. In che modo? Dandosi delle regole non è ancora così severa e e creando un indice di Borsa in grado l’Eurostar è sempre in perdi misurare le performance e le buone fetto orario – per raccontarvi un piccolo pratiche aziendali per quanto riguarda significativo episodio di finanza etica che il rispetto dell’ambiente. L’indice è stato ha per protagonista la Chiesa d’Inghiltercreato in collaborazione con il Ftse-Rusra e l’arcivescovo di Canterbury ma che sel, la società che gestisce il mercato delha, diciamo come sottostante, l’accordo la City, e sulla base della piattaforma Tpi di Parigi del 2015, la famosa Cop21, che (Transition Pathway Initiative) voluta JUSTIN WELBY, ARCIVESCOVO DI CANTERBURY chiede a Stati e aziende di mettere in anni fa dall’ex governatore della Banca atto tutte le “buone pratiche” al fine di d’Inghilterra Marck Carney con l’obiettitenere sotto controllo le emissioni inquinanti e la crescita della vo di sensibilizzare i fondi pensioni sul tema finanza-ambiente, temperatura globale sotto i due gradi centigradi entro il 2100, cioè a dire: fare in modo che la finanza meno avventuriera, quelcondizione indispensabile, come si sa, per mettere in sicurezza il la dei fondi pensioni appunto, si facesse carico in qualche modo pianeta dal riscaldamento climatico. Fatta la premessa, veniamo dei costi degli investimenti a favore dell’ambiente. Oggi il Tpi ai fatti. La Chiesa d’Inghilterra, chiesa di Stato come si sa e che è sostenuto da una sessantina di società di asset management ha a cuore la salvezza delle anime ma anche il benessere terreno che complessivamente gestiscono attivi per 18 trilioni di dollari. dei suoi adepti e dei suoi fedeli, gestisce un fondo pensioni da 9 E da oggi il Tpi s’è arricchito con l’ “indice verde” voluto dalla miliardi di euro che ovviamente investe sul mercato dei capita- Chiesa d’Inghilterra e sviluppato con le competenze e i dati del li ed è pertanto un attore non secondario della City londinese. Grantham Research Institute della London School of Economics. Attore sensibile, si capisce, ai “capital gain” e ai rendimenti ma Come funziona? da un po’ di tempo anche alla qualità etica dei suoi investimenti. Analizza le performance ecologiche delle aziende, soprattutto Per dire, anni fa ancora prima della Cop21, dell’accordo di Pa- quelle energetiche, quotate alla City, sulla base di cinque indirigi e dell’enciclica di papa Francesco sull’ambiente (la famosa catori: la gestione delle riserve di combustibili, le emissioni di “Laudato si”), il fondo della Chiesa anglicana non esitò un attimo carbonio (Co2), le iniziative per ridurre le emissioni, le misure a ritirarsi dal capitale della multinazionale brasiliana Vale che per prevenire/ridurre i rischi del cambiamento climatico, la perproduce ferro quando il crollo di una diga all’interno dei suoi im- formance del carbonio, vale a dire la valutazione dell’efficienza pianti nello stato di Minas Gerais (causa scarsissima manuten- del consumo dei combustibili fossili. “L’indice” ha spiegato ai zione) uccise 270 operai. Ora l’arcivescovo di Canterbury, Justine trader della City il capo-gestore del fondo pensione della Chiesa Welby, che per quei paradossi della vita ha iniziato la sua carrie- anglicana (Clive Mather, anch’egli con un passato professionale ra, prima di indossare l’abito talare, proprio nell’industria petro- nell’industria petrolifera, alla Dutch Shell: sembra quasi un conlifera, per undici anni direttore finanziario del colosso francese trappasso) “l’indice premierà le aziende in linea con i protocolli Elf-Aquitaine, ha deciso di rendere più strutturale e continuativo della Cop21 di Parigi e penalizzerà quelle che non lo sono”. Ci l’impegno ecologico della sua chiesa nel momento in cui decide sono già i primi casi concreti: la Shell e la Repsol, per dire, sono come allocare i suoi investimenti. La morale è: non bastano più “des bons éleves”, bravi allievi della Cop21, e hanno superato l’ele iniziative estemporanee, come uscire dal capitale della Vale, same dell’indice (e quindi potranno beneficiare dei denari del quella che poi, dopo il disastro di Minas Gerais, è stata definita da fondo pensioni). Al contrario, Exxon Mobil, Chevron e perfino tutte le authority di mercato come “la peggiore multinazionale la BP sono state scartate. Gli inquinatori sono avvertiti: ora non al mondo”, ma è diventato necessario trovare il modo di allocare avranno più le sterline della Chiesa anglicana. 76

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QUI NEW YORK

di Glauco Maggi

PER WALL STREET, SANDERS PIÙ PERICOLOSO DEL VIRUS

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mpossibile prevedere oggi, purtroppo, quando l’epidemia del coronavirus comincerà a recedere, calmando le paure mondiali. Ovviamente sarà l’uomo, con la sua scienza come ha sempre fatto, a battere l’infezione. Le borse, con Wall Street in testa, hanno mantenuto lontano il panico per le prime sei o sette settimane dell’anno, poi è iniziata la “corsa alla sicurezza”, cioè verso l’oro e i titoli del tesoro Usa e le quotazioni delle azioni hanno sperimentato una crescente vo- BERNIE SANDERS latilità, inducendo una discreta percentuale di risparmiatori a uscire. Contemporaneamente alla crisi sanitaria, l’economia reale americana sta vivendo una fase di buonissima salute: disoccupazione al minimo da 50 anni e posti di lavoro cresciuti di oltre 7 milioni di unità dal 2017, al punto che oggi ci sono più offerte di posti rispetto al numero di persone che non hanno una occupazione, e gli stipendi crescono soprattutto per la fascia bassa-bassissima di lavoratori. Le famiglie avvertono questo clima, e lo dicono attraverso i sondaggi. In febbraio, per la prima volta nella storia delle sue rilevazioni, la Gallup ha scoperto che a proposito di economia il 61% della gente pensa “di stare meglio di tre anni fa”, un livello di umore positivo più elevato di quando c’erano Obama e persino Bill Clinton o Ronald Reagan durante i loro boom. E il 20% che ha detto di “stare peggio” è la più bassa percentuale mai registrata. Gallup ha solo confermato ciò che era già emerso in gennaio dal sondaggio di Fox News, secondo cui per il 55% degli elettori le condizioni economiche negli Usa sono “eccellenti o buone”, contro il 44% che le giudica “normali o scadenti”. Ciò ribalta quello che “sentivano” le famiglie solo tre mesi prima, quando, sempre secondo Fox News, il 52% degli interpellati aveva sostenuto che le condizioni economiche erano “normali o scadenti” e il 47% che erano “eccellenti o buone”. L’immagine di Trump, trainata dalle performance economiche e di borsa e non certo dal suo appeal personale che continua a spaccare l’America in due, è migliorata al punto che la Gallup, per la prima volta da quando Trump è alla Casa Bianca, ha ri-

levato una percentuale di americani che approvano in generale il suo lavoro da presidente (49%) più alta di chi lo boccia (48%). Il Paese si sta preparando al voto di novembre, intanto, e i Democratici sono dilaniati tra due poli piuttosto distinti. Da una parte Bernie Sanders, che si dichiara socialista e sta andando benissimo nelle prime primarie e caucus accumulando un vantaggio in delegati statali che lo sta posizionando benissimo per la Convenzione del partito programmata in estate nel Wisconsin. Dall’altra un poker di sedicenti moderati, Mike Bloomberg, Joe Biden, Pete Buttigieg e Amy Klobuchar, che si stanno ostacolando nella rincorsa a Sanders. Il regolamento delle primarie Democratiche prevede infatti la attribuzione proporzionale dei delegati stato per stato, e ciò rende complicatissimo, al limite del disperato, l’inseguimento dei moderati al leader Bernie, che ha vinto in Iowa alla pari con Buttigieg e nettamente in New Hampshire e Nevada. La prospettiva di un nominato Democratico che intende nazionalizzare il settore della salute, abolendo le polizze che oggi servono 180 milioni di lavoratori sindacalizzati, è insomma probabile. Elizabeth Warren, l’altra candidata ancora in gara che ha le stesse pulsioni anti business e anti Wall Street di Sanders, nel momento in cui dovesse abbandonare la corsa trasferirebbe i suoi fans sul carro del socialista. Insomma la prospettiva che in novembre si fronteggeranno Donald Trump e l’anticapitalista senza titubanze Sanders è reale. Sarà una sfida tra il campione dell’economia privata e il propugnatore di una “rivoluzione politica” di sinistra (lo slogan è suo). I sondaggi attuali che contemplano i faccia a faccia dicono che la partita è vinta da Sanders, che batterebbe Trump a livello nazionale per 49,7 a 45,3 nella media dei sondaggi di RCP. Quando gli americani cominceranno a temere davvero che possa arrivare al potere il castigamatti di Wall Street e del business, allora sì che il sentiment pro azioni svanirà, e in fretta. E’ molto più pericoloso per gli investitori un ribaltone che caccia Trump e insedia il socialista Sanders del coronavirus. marzo 2020

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IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

BIG TECH, L’ANTITRUST AMERICANO LE ACCUSE DI MONOPOLIO

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a posizione di monopolio di gi- titrust liquidare i loro investimenti. ganti quali Facebook, Amazon, «Questa iniziativa consentirà alla ComApple, Microsoft e Alphabet, leg- missione di esaminare più da vicino le gi Google, è evidente a molti osservato- acquisizioni in questo importante setri in tutto il mondo, e dibattuta anche tore» ha affermato Simons, «e anche in Europa. Ma ad aprire un’indagine di valutare se le agenzie federali stiasui colossi tecnologici statunitensi e no ricevendo adeguata comunicazione delle transazioni sulle loro posizioni FACEBOOK, AMAZON, APPLE, che potrebbero di monopolio in alMICROSOFT E ALPHABET SOTTO danneggiare la concuni settori è stata INCHIESTA: POTREBBERO DOVER correnza. Ciò ci aiul’autorità antitrust terà a continuare a degli Stati Uniti, VENDERE DECINE DI SOCIETÀ mantenere aperti e la Federal Trade Commission (Ftc). I controlli fanno competitivi i mercati delle tecnologie, a riferimento a oltre 100 acquisti che i beneficio dei consumatori». Dopo che la gruppi avrebbero fatto in dal 2010. Il notizia dell’apertura dell’indagine della presidente della Ftc, Joseph Simons, Ftc è stata resa nota, il presidente degli ha affermato che sulla base dell’esito Stati Uniti, Donald Trump, si è affrettadell’indagine i colossi tecnologici po- to a celebrare Amazon, Google, Apple e trebbero dover vendere alcune società Microsoft, definendoli «il club dei 1.000 acquistate in passato, e nel caso in cui miliardi» per via del valore di mercato ci fosse una violazione delle leggi an- superiore ai mille miliardi di dollari dei

quattro colossi tecnologici. Trump ha attuato una politica molto aggressiva nei confronti dei paesi europei, come la Francia e la Spagna, che stanno cercando di introdurre norme che avvicinino il trattamento fiscale dei Big Tech a quello delle aziende nazionali.

UN RAPPRESENTANTE DELLA BCE CRITICA COMMERZBANK: OBIETTIVI “NON MOLTO AMBIZIOSI” Un funzionario della vigilanza finanziaria della Banca centrale europea avrebbe criticato Commerzbank per la sua scarsa redditività. È quanto sostiene il quotidiano “Handelsblatt”. Il rappresentante della Bce, nel corso di una riunione del consiglio di sorveglianza di Commerzbank, avrebbe giudicato gli obiettivi di rendimento del secondo maggiore istituto di credito tedesco dopo Deutsche Bank «non molto ambiziosi». Il funzionario europeo avrebbe chiesto alla banca di «ridurre ulteriormente

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i costi», e suggerito di elaborare «un piano B», qualora la ristrutturazione attualmente in corso non dovesse risultare efficace. Per “Handelsblatt”, si è trattato di «uno strepitoso schiaffo» all’istituto bancario, impegnato con la strategia Commerzbank 5.0 a ridurre i costi di 600 milioni di euro a meno di 6,3 miliardi di euro entro il 2023. Nei prossimi tre anni, l’istituto di credito prevede un rendimento sul capitale proprio del 2-4%. Dal 2023, la quota dovrebbe superare il 4%.


IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

RENAULT VALUTA LA CHIUSURA DI STABILIMENTI IN FRANCIA

Il gruppo Renault è in difficoltà, o per usare le parole di un editoriale del quotidiano francese “Les Echos” “naviga in acque agitate”. Secondo “Les Echos”, Renault e il suo partner Nissan hanno concentrato troppo a lungo la loro strategia nella «corsa ai volumi», raggiungendo capacità di produzione eccessive. Il gruppo francese prevedeva una produzione da 5 milioni di automobili entro il 2022, ma oggi ne vende solo 3,7 milioni. Si presenta dunque l’esigenza di abbattere i costi fissi del 20% e ottimizzare l’organizzazione industriale. Nel 2020,

POWELL: USA SOLIDI NONOSTANTE IL CORONAVIRUS L’epidemia di coronavirus «potrebbe portare a battute d’arresto in Cina che si riverserebbero sul resto dell’economia globale»; ciò non toglie che l’economia americana «si trovi in un’ottima situazione», con una forte creazione di posti di lavoro e una crescita costante, seppur modesta. Lo ha affermato Jerome Powell, presidente della Federal Reserve. Powell ha anche affermato che la Fed è soddisfatta dell’attuale livello dei tassi di interesse, suggerendo così che non ci saranno ulteriori tagli se le condizioni economiche non muteranno in modo significativo. Il presidente della Fed ha parlato alla commissione Servizi finanziari della Camera nel primo dei due giorni del resoconto semestrale al Congresso. Dallo scorso autunno, la Banca centrale degli Stati Uniti ha mantenuto il suo tasso di riferimento tra l’1,5 e l’1,75 per cento, ben al di sotto dei livelli tipici delle precedenti espansioni economiche.

in particolare, gli stabilimenti francesi del gruppo dovrebbero sfornare 1,7 milioni di automobili, meno della metà rispetto al numero record raggiunto nel 2004. Secondo il quotidiano francese il gruppo Renault non escluderebbe nemmeno la possibilità di chiudere degli stabilimenti in

LA CAPACITÀ DI PRODUZIONE HA RAGGIUNTO LIVELLI ECCESSIVI: SI PREVEDEVA UNA VENDITA DI 5 MILIONI DI AUTO, SI ARRIVA A 3,7

Francia per risanare i conti. L’amministratore delegato ad interim, Clotilde Delbos, ha fatto sapere che a maggio saranno presentati progetti destinati a «ottimizzare l’impronta industriale e utilizzare al meglio l’alleanza con Nissan e Mitsubishi». In merito a possibili esuberi, Delbos ha dichiarato che la dirigenza non ha «nessun tabù» e non esclude nessuna opzione. «È chiaro che non si potrà raggiungere l’obiettivo senza toccare un minimo le 180mila persone impiegate nel gruppo», ha poi detto con chiarezza l’ad Renault prevede anche una revisione dei suoi attivi non strategici, come per esempio la partecipazione dell’1,6 per cento che detiene attualmente nel marchio Daimler. marzo 2020

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IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

LA PIÙ GIOVANE DEPUTATA USA VUOLE VIETARE IL FRACKING: «PERICOLOSO E INQUINANTE»

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lexandria Ocasio-Cortez, astro nascente della politica americana, nata nel Bronx, diventata due anni fa la più giovane parlamentare della storia degli Stati Uniti dopo aver fatto la cameriera, ha presentato con il collega Darren Soto una proposta di legge per vietare a livello nazionale il fracking, la tecnica della fratturazione idraulica per estrarre gas naturale e petrolio dalle rocce di scisto (shale gas). «Il fracking non è un carburante di transizione, ed è pericoloso. Il fracking emette metano, che è circa 84 volte più potente del CO2 nel contribuire al cambiamento climatico entro una generazione. Non è uno scherzo. O crediamo nella scienza, oppure no» ha affermato la Ocasio-Cortez. Il disegno

LA OCASIO-CORTEZ, PASSATA DAL BRONX AL CONGRESSO, HA PRESENTATO UN DISEGNO DI LEGGE DI APPOGGIO A QUELLO DI SANDERS di legge rappresenta un documento di accompagnamento di un’altra bozza di legge proposta al Senato dal candidato

UK, PORTA IN FACCIA ALL’UE SULLA BREXIT

alle primarie del Partito democratico, Bernie Sanders. Entrambi i progetti di legge vogliono vietare il fracking negli Usa entro il 2025. Le due leggi prevedono anche di vietare il fracking fino a circa 700 metri di distanza dalle abitazioni entro il 2021. Inoltre i provvedimenti introdurrebbero sostegni economici per le famiglie che lavorano nel settore. Negli ultimi anni il fracking ha aumentato enormemente la produzione di petrolio negli Stati Uniti, rendendo il paese quasi indipendente a livello energetico. Allo stesso tempo ha creato non pochi scontri soprattutto con associazioni e politici ambientalisti che contestano i danni ambientali causati dalle attività estrattive.

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ensare che noi possiamo accettare una supervisione dell’Ue su tutte le questioni relative alla competizione tra Stati in nome del principio della cosiddetta ‘parità di condizioni’, significa semplicemente non riuscire a vedere quello che stiamo facendo». Lo ha affermato senza mezze misure il capo negoziatore britannico per la Brexit, David Frost, che nel corso di un discorso a Bruxelles ha chiarito quale sarà la posizione del suo governo nelle trattative sul futuro trattato commerciale con l’Ue dopo che la Brexit diventerà effettiva alla fine del “periodo transitorio”, il 31 dicembre prossimo. La presa di posizione di Frost è arrivata proprio mentre la Francia stava esercitando forti pressioni sugli altri Stati membri per un indurimento della posizione negoziale dell’Ue. «La nostra non è una banale posizione negoziale, che può essere modificata sotto la pressione delle trattative, ma al contrario è proprio il punto centrale dell’intero progetto della Brexit» ha rincarato la dose il capo negoziatore britannico. La pretesa dell’Ue di avere una sorta di “supervisione” sulle leggi del Regno Unito contraddice il «senso fondamentale di quel che significa essere un paese indipendente» ha aggiunto Frost, che ha avvertito: se l’Ue dovesse insistere, il Regno Unito lascerà il tavolo dei negoziati. Per Frost, la competizione tra Stati in materia di regole e fisco farà bene a tutti perché stimolerà l’innovazione a ogni livello.

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AMAZON BLOCCA MICROSOFT E PENTAGONO

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atricia Campbell-Smith, giudice federale degli Stati Uniti, ha ordinato al Pentagono la sospensione temporanea del contratto da 10 miliardi di dollari per la fornitura di tecnologia cloud assegnato a Microsoft, dopo il ricorso giudiziario presentato da Amazon. Il colosso dell’e-commerce aveva presentato un’istanza contro l’assegnazione del contratto attraverso il quale Microsoft dovrebbe fornire tecnologia cloud alla Difesa Usa. Il progetto, che prende il nome di Joint Enterprise Defense Infrastructure (Jedi), ha una durata di dieci anni; il Pentagono, lo scorso 25 ottobre, ha preferito l’offerta di Microsoft a quella del gruppo fondato da Jeff Bezos. I due colossi tecnologici sono i principali fornitori di server e tecnologie cloud degli Stati Uniti. A novembre la divisione di Amazon che si occupa di cloud, la Aws, ha presentato un’istanza in un tribunale federale, denunciando presunti pregiudizi e irregolarità nell’assegnazione dell’appalto. Secondo quanto deciso dalla giudice statunitense Campbell-Smith, il governo non potrà procedere con l’attuazione del contratto «fino a ulteriore ordine del tribunale». Il portavoce di Microsoft, Frank Shaw, ha dichiarato che la società è «delusa» dalla sentenza e ha ribadito che il processo di assegnazione del Pentagono è stato equo.


IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

NEL GOLFO 620,5 MILIARDI DI VALUTE ESTERE

DAI MARINES AL MURO DI TRUMP 3,8 MILIARDI

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paesi del Gulf cooperation council, cioè Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar e Arabia Saudita, detengono nel loro insieme 620,5 miliardi di dollari di riserve straniere. Secondo il quotidiano “Al-Iqtisadiah”, in base ai dati delle banche centrali degli Stati del Golfo l’Arabia Saudita ha acquisito la parte del leone, con 499,5 miliardi di dollari, pari all’80,5% del totale. Al secondo posto figura il Kuwait, con 40,2 miliardi, tallonato sal Qatar, con 39,4. Gli Emirati Arabi Uniti sono al quarto posto, con riserve estere del valore di 21,3 miliardi di dollari – ma le riserve estere negli EAU non includono riserve o diritti speciali di prelievo con il Fondo Monetario Internazionale. Segue il Sultanato dell’Oman con 16,6 miliardi di dollari, quindi il Bahrain con riserve estere pari a 3,5 miliardi di dollari, solo valute estere e oro. Le riserve estere dei paesi del Golfo comprendono investimenti in titoli all’estero, valuta estera e depositi all’estero, riserve presso il Fondo monetario internazionale, diritti speciali di prelievo e oro. Le riserve in valuta estera dei paesi stranieri li aiutano a sostenere la valuta locale, la politica dei tassi di cambio e le attività economiche. MOHAMMED BIN SALMAN AL-SAUD2

en 3,8 miliardi di dollari dagli appalti per la costruzione di aerei da combattimento, navi e veicoli alla costruzione del muro al confine tra Stati Uniti e Messico. È la richiesta del dipartimento della Difesa degli Stati Uniti al Congresso. La deviazione dei finanziamenti dal budget militare consentirebbe di concretizzare una delle promesse centrali della campagna del presidente Donald Trump per la Casa Bianca di quattro anni fa, permettendo così al presidente di presentarsi più forte all’elettorato in vista delle elezioni del prossimo novembre. Superano così i 10 miliardi di dollari i finanziamenti dallo scorso anno per realizzare il muro di confine voluto dal presidente degli Stati Uniti. L’operazione include un taglio di due aerei da combattimento F-35B dei Marines del costo di 223 milioni di dollari; 100 milioni di dollari dal programma di modernizzazione Humvee della Guardia nazionale dell’Esercito; 650 milioni i dollari tagliati dalla sostituzione di una nave d’assalto anfibia della Marina, e 261 milioni di dollari dalla nave Expeditionary Fast Transport. La riprogrammazione attinge anche 196 milioni di dollari dai piani per l’acquisto di aerei da trasporto tattico C-130, e un taglio di 180 milioni di dollari dal programma di acquisto di aerei d’attacco leggeri. Chissà che ne pensano i comandanti delle forze armate a stelle e strisce…

STALEY, CEO DELLA BRITANNICA BARCLAYS, SOTTO ACCUSA PER I LEGAMI CON EPSTEIN

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no scandalo scuote la City al tempo della Brexit: il ceo della banca britannica Barclays, Jes Staley, è sotto indagine da parte dei due principali enti britannici di controllo sulle attività finanziarie, la Financial Conduct Authority (Fca) e la Prudential Regulation Authority della Banca d’Inghilterra, per i suoi legami d’affari con Jeffrey Epstein, il finanziere statunitense suicidatosi in carcere a New York lo scorso autunno mentre era in attesa di processo con l’accusa di pedofilia. Prima di arrivare alla guida di Barclays, Staley aveva sviluppato una rela-

zione di amicizia con Epstein: lo riferisce il quotidiano “Financial Times”, secondo il quale è stato accertato che nel 2015 era stato ospite sia sul suo yacht

sia sulla sua isola privata, dove secondo le accuse si svolgevano le orge e gli stupri di minori. Staley afferma di aver poi interrotto i rapporti con Epstein. In effetti Barclays ha condotto un’inchiesta indipendente concludendo che Staley «è stato abbastanza trasparente riguardo alla natura e alla durata delle sue relazioni con Epstein». In un comunicato, Barclays afferma che Staley «gode della piena fiducia del consiglio di amministrazione» della banca, che ne raccomanderà all’unanimità la rielezione all’assemblea annuale degli azionisti.

Il giro del mondo in 30 giorni è a cura di Riccardo Venturi marzo 2020

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IMMOBILIARE INVESTITORI ISTITUZIONALI

Sorpresa, il vecchio mattone ora è davvero tornato di moda di Edmondo Rho

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opo anni di crisi il vecchio mattone è tornato ad attrarre gli investitori. Tra i privati il mercato si sta riprendendo in particolare a Milano, mentre continua a soffrire in quasi tutto il resto d’Italia. Ma tra gli investitori istituzionali, l’interesse sta aumentando maggiormente. Anche perchè, va ricordato, oggi i valori medi immobiliari in Italia sono ancora significativamente inferiori rispetto al 2012, anche a causa della tassazione più alta rispetto ad altri mercati europei. Il tema in sintesi è: come far rendere meglio il mattone? Se n’è parlato a fine gennaio a Roma in un incontro tra investitori istituzionali organizzato da Assoprevidenza: «Abbiamo voluto fare un seminario sulle tematiche immobiliari, tra tradizione e innovazione», racconta Sergio Corbello, presidente di Assoprevidenza, «il real estate è stato un cavallo di battaglia degli investitori istituzionali italiani fino ad alcuni anni fa, poi è stato un po’ accantonato. Ora, in periodi di tassi d’interesse irrisori, si punta agli investimenti alternativi e, secondo noi di Assoprevidenza, il vecchio mattone è di nuovo una buona alternativa». «Nel 2019 il mercato del commercial real estate in Italia ha raggiunto il volume di 12 miliardi di euro di transazioni, con una forte crescita sull’anno precedente», conferma Silvia Rovere, presidente di Assoimmobiliare. «Per il 2020 non ci attendiamo un rallentamento, ma una conferma di quel trend positivo: il mercato immobiliare è immune», aggiunge Rovere, «almeno nel breve periodo, rispetto a un’eventuale difficoltà dell’economia legata a fattori contingenti quali il coronavirus, salvo impatti negativi sui ricavi di hotel e high street. L’interesse degli investitori per il settore permane, considerati i rendimenti superiori ad altre asset class. Oggi comunque in Italia gli investimenti immobiliari vanno soprattutto sulle città dov’è più alta la liquidità: perlopiù a Milano, in piccola parte a Roma e sulle città d’arte per quanto riguarda il mercato degli hotel». Su questo fronte, una nota di Prelios Group Market Research sottolinea che “il 2019 rimarrà l’anno del comparto alberghiero che ha visto investimenti complessivi per 2,9 miliardi di euro, 4 volte superiore al volume registrato nel 2018”. A livello di settore, il mercato immobiliare per gli investitori istituzionali è andato molto bene nell’ultimo anno anche sul fronte degli uffici: «un risultato molto trainato da Milano», spiega Silvia Rovere, «mentre ha sofferto il settore dei centri commerciali, a causa della concorrenza dell’e-commerce. Sono invece andati molto bene i settori della logistica e degli hotel: è ancora basso l’indice di penetrazione in Italia dei grandi brand alberghieri internazionali e quindi ci sono buone opportunità d’investi82

marzo 2020

SILVIA ROVERE

SERGIO CORBELLO

mento legate al processo di consolidamento del settore». Sergio Corbello ricorda tra l’altro che «si prospettano nuove forme d’investimento immobiliare, quali il co-housing o le Rsa per esempio, che tengono conto delle mutate esigenze dei giovani e degli anziani». E Alfredo Granata, direttore patrimonio di Inarcassa, conferma il rinnovato interesse per il mattone: «Nel 2018, anno di crisi dei mercati finanziari, il nostro investimento nel real estate in totale ha avuto un rendimento gestionale lordo del 3%, risultato che è migliorato nel 2019. Ciò conferma che l’asset immobiliare ancora adesso costituisce un cuscinetto di garanzia nei momenti di difficoltà dei mercati finanziari: per noi il mattone rappresenta circa il 17% dell’intero patrimonio, che nel 2019 ha superato abbondantemente gli 11 miliardi di euro, e la nuova asset allocation per il quinquennio 2020-2024 prevede un aumento della componente immobiliare al 18% del totale». Ma come funziona il modello gestionale di Inarcassa per far rendere il mattone? «Abbiamo conferito una parte del patrimonio immobiliare, quello acquisito fino al 2014, ovvero circa 850 milioni di euro, al fondo immobiliare Inarcassa Re gestito da Fabrica sgr», risponde Granata. «Abbiamo inoltre un comparto dello stesso fondo in cui sono confluite le nuove risorse di Inarcassa destinate agli investimenti immobiliari, a partire dal 2009: ora questo comparto gestisce circa 500 milioni di patrimonio. Poi abbiamo una terza gamba sull’immobiliare, per gli investimenti al di fuori dell’Italia: in diversi fondi esteri ci sono altri 400 milioni». Insomma, quasi due miliardi nel mattone, senza investimenti diretti dell’ente previdenziale? «Le tre linee guida della nostra gestione immobiliare sono: totale delega, non abbiamo nulla in gestione diretta; importante diversificazione in termini geografici, con circa un quarto del patrimonio immobiliare all’estero; investimenti sostenibili a livello ambientale e di efficienza energetica anche in campo immobiliare», conclude il direttore patrimonio di Inarcassa.


IMMOBILIARE I CONSIGLI DI DUE AVVOCATI SPECIALIZZATI

Decreto blocca-aste e fondo salvacasa, arriva il salvagente per i mutuatari di Giuseppe D’Orta

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egli ultimi decenni un atteggiamento poco ponderato delle banche nel concedere mutui per l’acquisto della casa, unito alla congiuntura economica, ha determinato l’aumento dei pignoramenti e degli sfratti dagli immobili venduti all’asta. Per far fronte a tale situazione di emergenza e tutelare adeguatamente sia le esigenze di recupero dei capitali delle banche sia il disagio di migliaia di cittadini italiani che hanno perso, o stanno rischiando di perdere, la propria casa, è stato emanato il Dba (Decreto blocca aste) ed è stato chiesto aiuto agli investitori privati che, con le proprie competenze e con grandi capitali, hanno dato vita a un importante progetto quale il Fsc (Fondo salva-casa). Dba e Fsc rappresentano i due nuovi strumenti nelle vendite forzate e nelle aste giudiziarie, destinati a proteggere contemporaneamente gli interessi contrapposti dei soggetti pignorati e delle banche creditrici. Con l’aiuto degli avvocati cosentini Emma Iocca e Raffaella Chiappetta dell’omonimo studio legale, li esaminiamo nel dettaglio. Nei casi in cui una banca abbia avviato un pignoramento sull’abitazione principale del debitore, grazie al Dba l’esecutato avrà ora la possibilità di: 1) rinegoziare il mutuo in essere con la stessa banca che ha fatto il pignoramento; 2) ottenere da un’altra banca (grazie alla garanzia prima casa di cui alla Legge 147/13) un nuovo mutuo non inferiore al 75% del valore di stima o della successiva asta; 3) far ottenere con gli stessi benefici la rinegoziazione o il rifinanziamento del mutuo a un parente o affine fino al 3° grado che per cinque anni dovrà lasciargli abitare l’immobile e che sarà obbligato a restituirglielo qualora il pignorato sia tornato pagare il debito. Il Fsc gli apporterà invece un vantaggio indiretto in quanto è pensato a favore delle banche le quali, grazie a tale strumento, potranno recuperare i capitali in un tempo minore rispetto a quelli mediamente previsti per le procedure esecutive, e a un prezzo migliore. Questo fondo comprerà immobili pignorati e/o crediti ipotecari che su tali immobili vantano le banche creditrici, grazie a numerose società neonate (e non) di cartolarizzazione. Ciò che differenzia tali operazioni da quelle fino a questo momento in atto, è che le società di cartolarizzazione che andranno a formare il Fondo dovranno avere uno scopo sociale, ossia consentire alle famiglie debitrici di non lasciare le case, pagando un affitto sostenibile e con la possibilità di riacquistare l’immobile. Nonostante il Fondo sia stato ideato a vantaggio dei creditori per contribuire a smaltire gli Npl, aiuterà anche i soggetti che rischiano di perdere la propria casa, o il negozio o il capannone

ARRIVANO NUOVE FORME LEGALI DI PROTEZIONE PER I DEBITORI IN DIFFICOLTÀ GRAZIE A INEDITI TITOLI OBBLIGAZIONARI ove è impiantata la propria azienda. A differenza del Dba i cui benefici potranno essere goduti solo dalle persone che si sono visti pignorare la casa, il Fsc non ha limiti e potrà acquisire anche immobili commerciali e industriali. Il Fondo salva casa rappresenterà inoltre un nuovo investimento in ititoli obbligazionari emessi dalle società di cartolarizzazione per raccogliere le risorse finanziarie. Si tratterà di investimenti alquanto sicuri dal momento che da parte degli emittenti ci sarà una scelta mirata nell’acquisto dei crediti immobiliari e degli immobili in asta, con un minor rischio di perdita. Oltre a ricevere utili dai canoni di locazione, nel caso in cui i soggetti pignorati non fossero neppure in grado di pagare un fitto calmierato, il Fondo sarà infatti libero di rivenderli a prezzo di mercato. Si tratterà di investimenti anche etici: è previsto che il Fondo si avvalga della collaborazione di soggetti no-profit, come le Onlus o i Patronati che sapranno curare al meglio la gestione dei rapporti tra i soggetti pignorati, le banche e le società che avranno acquistato i loro immobili. Tale soluzione avrà dunque l’ulteriore beneficio di sgravare le banche creditrici dagli oneri di gestione degli stessi immobili. Per vedere la concreta applicazione dei nuovi strumenti dovremo aspettare l’emanazione dei decreti interministeriali che regoleranno le disposizioni nel dettaglio. marzo 2020 83


FASHION I RIFLESSI SUL MERCATO

Se Re Giorgio sfila a teatro vuoto la moda paga il conto del virus di Fabiana Giacomotti

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re 00.52 di domenica 23 febbraio. Il cellulare lasciato acceso annuncia l’arrivo di due messaggi dalla responsabile ufficio comunicazione di Giorgio Armani: “Il signor Armani comunica che la sfilata della collezione donna autunno/inverno 20/21 Giorgio Armani si svolgerà a porte chiuse, dati i recenti sviluppi del coronavirus in Italia. La sfilata verrà registrata a teatro vuoto, senza stampa e buyer, e verrà trasmessa in streaming sul sito armani.com, Instagram @giorgioarmani, facebook @giorgioarmani in orario da definire. La decisione è stata presa per non esporre ad alcun rischio la salute degli ospiti”. Nessun cambio da Dolce&Gabbana, sfilata affollatissima come sempre la sera prima da Elisabetta Franchi, punto di riferimento di un esercito di signore giovani e meno giovani prive del suo coraggio e della sua tenacia contro le avversità della vita; arriva però la conferma della sospensione di Mido, il salone dell’occhialeria, un business da 60mila visitatori e oltre 1300 aziende, che avrebbe dovuto aprire il 29 febbraio a Rho Fiera e che invece si terrà a giugno. Alla data in cui chiudiamo questo articolo non è ancora chiaro se la stessa sorte toccherà a Cosmoprof, il più grande appuntamento mondiale della cosmetica, che quest’anno avrebbe dovuto aprire alle Fiere di Bologna il 12 di marzo, ma è molto probabile di sì. Nonostante in questi giorni il presidente di Camera Nazionale della Moda, Carlo Capasa, abbia rilasciato commenti pieni di (ovvio, naturale) buonsenso, cioè tesi a non creare allarmismi, la settimana della moda milanese si è conclusa con una certa dose di ansia, non tanto per l’attualità, quanto per le ricadute economiche e occupazionali indotte 84

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IL DANNO SUGLI ORDINI E UNA STIMA PRECISA DEI FATTURATI MANCATI SI FARÀ NEL SECONDO TRIMESTRE. MA NESSUN BIG DEL FASHION PUÒ DIRSI TOTALMENTE AUTOSUFFICIENTE DALLA CINA

dalla diffusione del coronavirus e delle relazioni bilaterali con la Cina. L’impatto non è infatti e solo sulle vendite in generali o sulle vendite locali, e questo benché tutti i grandi marchi abbiano chiuso le proprie boutique in Cina, talvolta nell’ordine delle decine come Ferragamo, Prada, Bulgari. A dispetto delle previsioni che Mediobanca e altre società di consulenza e analisi facevano a pochi giorni dall’avvio della fashion week (riassumiamo: ogni mese di epidemia dovrebbe impattare sugli utili annuali del 5 per cento di media, partendo dall’assunto che le società prese in con-


FASHION siderazione abbiano un’esposizione al mercato cinese in linea con le stime di Bain-Altagamma, dove il cluster cinese vale il 35 per cento dello spending totale nei beni di lusso) in Cina si concentra infatti ancora buona parte della produzione italiana di moda, a dispetto di quanto si dice da anni sul cosiddetto “reshoring”, cioè sul progressivo rientro della filiera tessile entro i sacri confini. Dunque se gli analisti guardano con apprensione all’andamento di Burberry, che in Cina realizza il 40 per cento delle vendite, e si dicono tranquilli su Brunello Cucinelli, che ha un’esposizione ipotizzata attorno al 10 per cento, le paure dei produttori italiani paiono concentrarsi sulla filiera a monte, basata in parte in Italia, e sulla produzione e manifattura, ancora largamente collocata in Cina. A produrre tutto in Italia sono davvero in pochi, per esempio Ermanno Scervino che, dice il ceo Toni Scervino, “ha una filiera a chilometro 50”, cioè la distanza fra Firenze e Prato. Ma a dispetto della bella immagine, le cose non sono semplici come sembrano, probabilmente nemmeno per lui. Tessuti anche di ottima qualità, sete, parecchi filati di nylon, anche di recupero, arrivano infatti dalla Cina, insieme con macchine tessili e infiniti altri componenti di cui solo adesso, con le fabbriche chiuse, tutti si stanno rendendo conto. Sebbene vi siano diverse aziende che, come osservava Ferruccio Ferragamo sabato mattina dopo la presentazione della (bellissima) collezione, non sono esposte se non con la vendita in Cina, nessuno può più dirsi totalmente autosufficiente e autarchico; il mondo globale è globale davvero, e soprattutto interconnesso e interdipendente. Il danno sugli ordini e una stima dei fatturati mancati si potrà fare nel secondo trimestre: il primo beneficerà ancora dell’onda lunga degli ordini di ottobre-novembre. Ed è per questo che le Borse, al momento, non hanno dato segni di allarme. A fine marzo i risultati saranno ancora relativamente buoni. Poi resta da vedere. Nelle prime proiezioni si parla di un 50 per cento in meno, che essere assorbito senza troppi danni dai grandi conglomerati della moda come Kering, Richemont o Lvmh, ma rischia di rivelarsi esiziale per molte piccole imprese, dipendenti dagli ordini dei maverick della moda. È pur vero, come osserva un analista e consulente specializzato e di grande esperienza Oltreoceano come Alessandro Maria Ferreri, che chi ha una ripartizione equilibrata del business, come Lvmh, rischia certamente di meno rispetto a chi ha puntato tutte le proprie carte sull’est, e dunque dovrebbe continuare a trasmettere ordini e commesse di abbigliamento e accessori con cui rifornire gli Stati Uniti, il Sudamerica, l’Europa dell’est. Ma è anche vero che, oltre alla Cina e ai suoi mille tra giornalisti e buyer mancati all’appello delle collezioni di Milano e Parigi, risulta in drastico calo anche il travelling business, un segmento in cui secondo Mediobanca sono particolarmente esposte

A sinistra nella foto in alto una sfilata di Fendi. Sempre a sinistra in basso, una modella di Tod’s. A destra una creazione di Scervino, altra firma di punta della moda italiana

IL COVID 19 POTREBBE INSEGNARE ALLE NOSTRE IMPRESE A DIVERSIFICARE MEGLIO, SIA NELLA VENDITA CHE NELLA PRODUZIONE, RIPENSANDO ANCHE LE FONTI DI APPROVVIGIONAMENTO

Ferragamo, Prada, Kering e Tod’s, marchio quest’ultimo in forte rilancio grazie all’arrivo del direttore creativo Walter Chiapponi e a una nuova, efficace collezione di abbigliamento. Dunque? In attesa di aggiornamenti, ormai costanti (molti dubbi stanno uscendo anche sulla tenuta di questa edizione del Salone del Mobile) si possono però già trarre delle conclusioni, anzi delle lezioni. Questa influenza giusto un po’ più aggressiva delle altre potrebbe insegnare alla imprese per prima cosa a diversificare meglio. Sia nella vendita sia nella produzione. Come dice Mario Boselli, presidente onorario di Camera Nazionale della Moda e presidente dell’Istituto Italo Cinese, molto legato alla filiera del tessile import-export tra i due paesi, questa è la buona occasione per ripensare le fonti di approvvigionamento di materie prime e di semi-lavorati, e come ovvio la manifattura. Aver concentrato la gran parte della realizzazione di abbigliamento e accessori in Cina e nei suoi paesi satelliti grazie a una normativa europea molto lassista sulla denominazione del made in Italy si è dimostrato poco lungimirante, oltre che profondamente dannoso per la filiera italiana, che negli ultimi quindici anni ha perso decine di migliaia di addetti, recuperandone pochissimi solo nell’ultimo periodo. Se questo choc si tramuterà in un recupero della manifattura italiana, come molti sperano, non è ancora dato sapere; di certo, chi dovesse intraprendere questa strada dovrebbe accontentarsi di una marginalità più contenuta. marzo 2020

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COLLEZIONISMO INTERVISTA AD ALBERTO CRISTOFORI

La grande sfida Italia-Francia nel mercato dei vini da investimento di Davide Passoni

«M

al che vada, me lo bevo». È una frase attribuita all’Avvocato Agnelli, a commento dell’investimento in vini pregiati, come a dire: mi tolgo un piccolo sfizio, mi concedo un piacere e non fa niente se ci rimetto dei quattrini investendo in bottiglie pregiate. C’è il rischio di dover stappare senza guadagnare? «Da tantissimi anni questo mercato dà dei valori nel complesso soddisfacenti. Il prezzo medio dei vini più ricercati è sempre cresciuto, come dimostrano i vari indici di settore, e il mercato ha performato meglio della maggior parte di quelli finanziari», dice Alberto Cristofori, fondatore e responsabile delle vendite Fine&Rare di Winetip, società punto di riferimento italiano e mondiale per i vini più pregiati. Cristofori, un passato come trader bancario sui tassi di interesse, circa 15 anni fa ha anche fondato insieme ad altri soci Wineinv, società che si dedica al commercio delle bottiglie più rare e pregiate. «Ma bisogna stare molto attenti, perché questo mercato non è così liquido né regolamentato come altri, per cui va approcciato con consapevolezza e cognizione di causa. Non è bene farsi prendere da facili entusiasmi, ma è un mercato che può dare grandi soddisfazioni». Come si fa a non farsi prendere da questi facili entusiasmi? Qui, più che in altri campi, è necessario affidarsi a dei professionisti e non improvvisare degli investimenti fai-da-te. Serve capire anche se il professionista cui ci si affida è davvero quello giusto, cosa non sempre è facile. Il punto chiave per chi vuole investire in vino è sapere dove comprarlo e dove venderlo, cosa di cui la maggior parte dei privati non è a conoscenza. Al di là degli indici in crescita, per esem86

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Nella foto Alberto Cristofori, fondatore e responsabile delle vendite Fine&Rare di Winetip

«IL PUNTO CHIAVE PER CHI VUOLE INVESTIRE CON SUCCESSO IN VINO È SAPERE DOVE COMPRARLO E DOVE VENDERLO» pio, è bene sapere che nel trading dei vini vi sono spese di transazione nettamente superiori a quelle presenti in un mercato finanziario: con diritti d’asta che arrivano al 30%, per esempio, anche a fronte di ottimi guadagni si rischia di vendere in perdita. Quanto è utile differenziare un portafoglio tradizionale utilizzando i vini da investimento? La differenziazione dei portafogli è sempre molto utile, ma non considero il vino un bene da investimento tout-court, nonostante creda che possa dare soddisfazioni sotto questo aspetto. È un investimento che va supportato da una passione, da una dimensione affettiva che ha una importanza tutta sua in questo campo. Quali sono etichette e le tipologie di vini che possono dare soddisfazione agli investitori? Sono i più pregiati in assoluto: i grandi vini di Borgogna, piccolissime produzioni molto ricercate come Domaine de la Romanée-Conti, Domaine Leroy, Domaine Rousseau. Ma ci sono anche vini italiani che stanno performando molto bene. Penso


COLLEZIONISMO

«LE PIÙ GRANDI COLLEZIONI SONO NEGLI USA E NEL REGNO UNITO. A HONG KONG E IN SVIZZERA I PRIVATI IMPIEGANO FORTUNE» in particolare ai cosiddetti “Supertuscan”, come Sassicaia, Masseto, Solaia, o ai grandi baroli piemontesi come le Riserve di Giacosa, il Monfortino, i Mascarello. Sono tutte etichette che chi vuole investire in vino cerca di avere e deve avere. Attenzione però, anche qui, al fai-da-te, perché sul mercato esistono bottiglie false, mal conservate, rubate. Nel caso delle bottiglie false, non sempre è facile distinguerle da quelle vere. Se parliamo di annate recenti, buona parte dei produttori si è attrezzata con sistemi anticontraffazione, ma nel caso di bottiglie antiche, come si fa riconoscere un falso se ben fatto? Le prospettive di chi vuole investire in vino sono quelle di fare soldi veri oppure, se anche mi va male, appunto… la bottiglia me la bevo? Ci sono diversi casi in cui il mercato è salito davvero tantissimo. Se parliamo dei già citati Leroy o Romanée-Conti, i prezzi sono triplicati se non quintuplicati negli ultimi dieci anni. In Italia, invece il percorso di salita è stato più continuo e costante, ma senza picchi: non ci sono casi di vini che hanno moltiplicato tantissimo il loro valore. Anche nell’ultimo periodo, in cui i francesi in generale e i bordeaux in particolare hanno un po’ sofferto, quelli di casa nostra hanno performato meglio, anche perché si trovano a prezzi ancora accessibili. Fin qui abbiamo parlato del dualismo Italia-Francia: altri Paesi che possono avere delle eccellenze su cui puntare? Sicuramente ce ne sono, anche se oggi il mercato dei vini da investimento è per due terzi francese e per il terzo che rimane è italiano, con le briciole suddivise su poche realtà. Penso a Spagna, Usa e pochissimi altri Paesi. I grandi cabernet californiani possono essere un ottimo investimento, anche se il loro è un mercato ancora sconosciuto qui in Italia. Gli americani però su questo tipo di vino investono molto. Sempre parlando di Italia-Francia: dove c’è maggiore maturità per parlare e trattare di vini da investimento? Direi né nell’uno né nell’altro Paese, perché rimangono entrambi principalmente tra i maggiori produttori e consumatori al mondo. L’approccio al vino come investimento è più anglosassone,

americano e inglese, contesti dove si sono sviluppati i più importanti wine merchant e dove ci sono le più grandi collezioni di vini. Oltre a questi metterei Hong Kong e la Svizzera, dove vi sono privati con alcune collezioni uniche, del valore di milioni di euro. Qualche consiglio pratico: che cosa deve considerare una persona che vuol far valutare una bottiglia per capire se si tratta di un vino che può avere davvero un valore? Intanto deve partire dalle valutazioni di mercato. Oggi è piuttosto facile, ci sono piattaforme online come Winesearcher nelle quali è possibile trovare il valore di determinati vini e il loro trend di mercato. Esistono poi indici di riferimento, il più famoso dei quali è il Live-ex, elaborato da una società inglese che ha creato un mercato b2b e che è l’unica con indici ben definiti e con un’ottima reputazione globale. Poi bisogna guardare i giudizi degli esperti: come ci sono i rating sulle banche, così ci sono i rating sui vini. Quando i più grandi critici mondiali come Robert Parker o Antonio Galloni danno dei voti ai vini, se sono particolarmente alti il loro valore potrebbe salire. Parlando di un vino piuttosto noto, il Sassicaia 2016 è stato valutato 100/100 da Parker, per cui è sicuramente buono come investimento. Consigli sulla conservazione: anche qui, meglio affidarsi a un professionista o può funzionare il fai-da-te? La corretta conservazione è un fattore chiave. Qualunque vino ha una crescita di valore con il tempo se è adatto all’invecchiamento e questa crescita è sicura e confermata se il vino è ben conservato. Un vino andato a male è un vino che vale zero. Va tenuto nelle condizioni adeguate, affidandolo a un professionista in grado di assicurarle, oppure tenendolo in casa in speciali frigo che assicurano le condizioni corrette per ogni specifico vino. Bene anche le cantine con adeguate umidita e temperatura, intorno ai 12-15 gradi, pochissima luce e un po’ di aerazione. Il vino è materia per investitori maturi o è adatto anche ai neofiti? Differenzierei tra piccolo investimento e grande investimento. Nel caso del piccolo, lo consiglierei a tutti. Se si parla di grandi investimenti e se non si sa come muoversi nel momento in cui dismetterli, ci si potrebbe trovare di fronte un grosso problema. Per questo lo consiglierei solo a un investitore maturo che sa a chi rivolgersi e come muoversi. marzo 2020

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IL DENARO DEI VIP LA CADEO DA “STRISCIA LA NOTIZIA” AL TEATRO

Fanny, la saggezza dell’ex-Velina «Btp, polizze e casa per stare al sicuro» di Monica Setta

È

stata la più bella d’Italia, scelta personalmente dal grande Antonio Ricci come una delle prime Veline di Striscia la notizia. E del suo fascino prorompente - una bellezza sontuosa e statuaria - quasi trenta anni dopo, Fanny Cadeo ha conservato tutto, anzi ha aggiunto quella dolcezza nello sguardo sincero da ligure doc che le ha procurato la nascita della figlia Carol, 6 anni conpiuti lo scorso 9 febbraio. Conduttrice di successo a Rai 2 e in radio, attrice dai mille registri lanciata sul palcoscenico da Maurizio Costanzo che la stima profondamente da molti anni, la Cadeo è in scena con una commedia che sta sbancando nei teatri italiani, “Ricette d’amore”, e si prepara a nuove sfide tv. Donna che ha molto guadagnato nella sua straordinaria carriera, gestisce con oculatezza il suo patrimonio (è nata a Lavagna, ricorda spiritosamente lei) e guarda con attenzione ad ogni occasione di investimento. In questa intervista ad Investire parla per la prima volta di se stessa a tutto tondo e del suo variopinto rapporto con il denaro. Che relazione ti lega attualmente ai soldi, Fanny? Direi che oggi ho con il denaro un rapporto “equilibrato”. Ho imparato negli anni a gestire la mia modalità di guadagno suscettibile a variazioni di entità e periodo e nel complesso mi piace rapportarmi con il denaro come mezzo per poter realizzare altro piuttosto che come unico obbiettivo, fine a se stesso. Sei più formica o cicala? Ho guadagnato tantissimo, ma sono rimasta una formichina ligure. Tempo fa avrei voluto comprare casa a Los Ange88

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«HO IMPARATO A GESTIRE LA MIA MODALITÀ DI GUADAGNO SUSCETTIBILE A VARIAZIONI DI ENTITÀ E PERIODO. SOGNAVO UNA VILLA A LOS ANGELES, POI HO COMPRATO IN ITALIA» les poi ho optato per un tetto in Italia. In questo nostro mestiere molti alti e bassi, ci vuole prudenza senza follie. Quindi, sono sicuramente più “formica” anche se a mio avviso bisognerebbe prendere un po’ da entrambe; e poi di fronte ad una richiesta di aiuto di un’amica o di un amico non mi tirerei mai indietro

Che cosa hai comprato con i primi soldi? Io sono stata abbastanza fortunata perché ho iniziato ad essere indipendente presto e con i primi soldi (proprio per sottolineare l’indipendenza conquistata con tanta fatica!) ho acquistato una macchina...ah la felicità! Mi ricordo i primi giri con la mia prima auto e l’entusiasmo di poter dire a me stessa di avercela fatta con le proprie forze!

Dopo l’esordio in tv con Antonio Ricci, Fanny Cadeo è stata lanciata sul palcoscenico da Maurizio Costanzo che la stima profondamente da molti anni

Come investi il tuo denaro? In merito al piano di risparmio ho sempre preferito variare calcolando anche dei rischi ma con cifre marginali quindi tendenzialmente ho optato per bot e cct integrando con assicurazioni (anche di tipo pensionistico. Non amo rischiare sono una risparmiatrice prudente!) Per che cosa spendi con facilità? Sono più da piccole gratificazioni che da spese folli, però qualche anno fa mi sono regalata un orologio importante che mi piaceva da tempo e non mi sono mai pentita di quella super spesa! Che cosa accadrà secondo te nell’economia del 2020?


IL DENARO DEI VIP

«SE FOSSI MINISTRO DELL’ECONOMIA FAREI DI TUTTO PER AUMENTARE OCCUPAZIONE E LE PENSIONI PIÙ BASSE E SAREI SEVERISSIMA CON GLI EVASORI FISCALI» Quale è la tua hit di spese? Da quando sono mamma sono cambiate le priorità come è normale che sia e anche il mio modo di spendere. Sicuramente spendo soprattutto nella sfera delle esigenze di mia figlia. Questo è anche l’ambito dove spendo con minor senso di colpa anche se a volte non ho resistito a qualche stupidaggine soprattutto in tema di giocattoli!

Nell’economia mondiale sicuramente si continuerà a parlare di Usa e Cina, della Brexit che entrerà sempre più nel vivo e per quello che riguarda il nostro paese si attendono grandi novità fiscali quindi se dovessi definire il mio atteggiamento lo posizionerei nell’incertezza nutrita però da fiducia. Fossi un investitore straniero mi sentirei per l’80 per cento - al netto di fisiologiche perplessità - di scommettere sul sistema paese Italia nel 2020.

Se diventassi ministro dell’economia per un giorno.... Farei di tutto per aumentere l’occupazione, aumenterei per alcune categorie l’età pensionistica ma ovviamente non toccherei le pensioni minime. Sarei severissima con gli evasori ma nello stesso tempo agevolerei le piccole imprese mentre tenderei a valutare la privatizzazione di quelle grandi come le Ferrovie o le Poste.

Che valori ti hanno trasmesso i tuoi genitori a proposito di soldi? I miei genitori hanno cercato di trasmettermi più che altro il senso del corretto uso del denaro..una volta forse era più facile ....hanno sempre cercato di privilegiare le richieste legate ad un indirizzo scolastico o di crescita anche se tra i due mamma e ‘stata quella che forse mi ha accontentato di più in qualche piccolo desiderio! Comunque la paghetta era un ‘abitudine consolidata e sicuramente ripeterò quando sarà grande Carol.

Se domani vincessi la Lotteria? Non è una mia abitudine giocare alla lotteria e le poche volte sono stata particolarmente distratta e non ho mai controllato nenache se avevo vinto o no. Però se dovessi vincere la lotteria seguirei sicuramente questo iter: investimenti su case, viaggi particolari che magari sono nel cassetto da un po’ di tempo. Penserei sicuramente alla mia famiglia ma se uno ha avuto questo regalo dalla fortuna ha “l’obbligo “morale di pensare anche a persone meno fortunate.

La Cadeo in questo periodo è in scena con una commedia che sta sbancando nei teatri italiani, “Ricette d’amore”

Hai mai pensato di investire nei beni rifugio in tempi in cui la crisi era più dura e palpabile? Per quello che riguarda i beni “rifugio”, forse per contaminazione di pensiero familiare ho sempre preferito l’eventuale investimento sul mattone e mi sono affidata alla banca come dicevo per gli investimenti a rischio minimo e non mai seguito il suggerimento di comprare brillanti o simili (e forse, visti alcuni fatti accaduti di recente, ho scelto bene) e ho comprato qualche quadro senza eccedere nella spesa per il piacere dell’arredo. Hai viaggiato spesso per lavoro all’estero. E hai guadagnato molto. Mai pensato di comprare casa oltre confine? Come dicevo all’inizio, mi è capitato proprio nel 2009 di essere stata a Los Angeles per un lungo periodo e sono stata tentata di fare un acquisto (il mercato era molto conveniente per noi in quel momento) ma poi mi sono detta che non sarei stata così spesso li e forse non ne valeva la pena e se avessi dovuto pensare ad una casa avrei preferito l’acquisto in Italia. Cosa che poi ho effettivamente fatto. Il mattone resta per chi, come noi, lavora nello spettacolo e dunque non ha un “reddito fisso” mensile il miglior modo di investire i propri risparmi. marzo 2020

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COLLEZIONISMO UN MERCATO CHE RITORNA IN VITA

Whisky, torna il fascino discreto delle micro-distillerie domestiche di Claudio Riva*

I

l fenomeno della distillazione artigianale dagli Stati Uniti sembra essere finalmente giunto anche in Italia, passando per l’Inghilterra dove negli ultimi due anni sono state avviate circa 100 nuovi alambicchi, un ritmo di una micro-distilleria nuova a settimana. Il 2019 verrà ricordato come l’anno zero della rinascita della distillazione in Italia, dopo decenni in cui le distillerie sono solo state chiuse abbiamo i primi timidi segnali di nuova energia. In un mercato molto competitivo, dominato da poche gigantesche multinazionali, riuscire a guadagnare quote di mercato puntando tutto sul “piccolo è bello” e sul “km zero” sembra un’impresa assai ardua. Ma i problemi nascono ben prima. L’azzeramento della cultura diffusa della distillazione, quella dei nostri nonni che producevano grappa è andato a pari passo con l’atrofizzazione di tutte le procedure doganali per il rilascio di nuove licenze di distillazione. Non deve sorprendere il presentarsi presso la propria Dogana chiedendo informazioni e sentirsi rispondere che le quattro o cinque persone che lavorano nell’ufficio accise in decenni di attività di distillerie non ne hanno mai aperte. Il decreto legislativo di riferimento è ancora il Testo Unico n.504 del 1995, relativo alle imposte sulla produzione e sul consumo, il quale delinea per le distillerie due possibili strade: l’accisa assolta o il magazzino fiscale. Nel primo caso la distilleria si trova ad acquistare alcol proveniente da una precedente distillazione – tipicamente industriale, alcol su cui le accise vengono già pagate e conseguentemente tutto è molto semplice. Il secondo caso è quello tipico delle distillerie che partono invece dalla materia prima, la fermentano e la distillano; il distillato ottenuto viene conservato in magazzini il cui accesso è consentito 90

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IL 2019 VERRÀ RICORDATO COME L’ANNO ZERO DELLA RINASCITA DELLA DISTILLAZIONE IN ITALIA. DOPO DECENNI IN CUI LE DISTILLERIE SONO SOLO STATE CHIUSE, ECCO I PRIMI SEGNALI DI RIPRESA

Nelle foto di queste pagine gli apparati necessari per l’avvio di una micro-distilleria di whisky domestica

solo in presenza di rappresentanti della Dogana, e la sua accisa viene pagata solo al momento della vendita (accisa in regime sospensivo). Tutti gli impianti sono sigillati, la produzione della distillazione è controllata da un misuratore fiscale certificato dalla Dogana, le complicazioni sono decisamente superiori. A febbraio ho avuto la possibilità di coordinare un laborato-


COLLEZIONISMO rio dedicato all’avvio di una micro-distilleria in Italia, il primo del suo genere nel nostro Bel Paese. La nostra nuova realtà Distillerie.it ha promosso una due giorni dal titolo “Craft Gin Workshop, la distillazione a imposta assolta in Italia” che ha offerto la possibilità ai venti iscritti di effettuare dal vivo tutte le fasi di produzione di un gin artigianale e di sentirsi raccontare dal distillatore Eugenio Belli le procedure che ha dovuto espletare per poter trasformare quel benedetto sogno di soli quattro anni nella distilleria Eugin, con sede in Brianza, a Meda. Ne è emerso un quadro sufficientemente chiaro e l’iter da seguire è ben delineato. Il lavorare ad accisa assolta semplifica assai le procedure di avvio e di gestione e – concretamente – la dogana pone meno vincoli e problemi delle invece più ostiche autorizzazioni di Vigili del Fuoco e dell’Asl. La diversa interpretazione delle norme tra dogana e dogana può creare un po’ di confusione, ma nel caso di accisa assolta l’Italia non si trova in una posizione di svantaggio rispetto agli altri paesi europei. Chiaramente l’utilizzo di alcol proveniente da altre distillerie limita assai quello che è il margine di manovra del nascente distillatore. Tipicamente la nuova micro-distillerie acquista sul mercato dell’alcol neutro – distillato da impianti industriali ad oltre il 96% ABV – e “aromatizza” questo alcol con infusioni di botaniche, a freddo e/o in distillazione. È la scelta più facile quando si vuole partire, consente di fare esperienza e di farsi conoscere, di creare il brand, sapendo che se si vuole crescere prima o poi si dovrà fare il passaggio verso il magazzino fiscale. Dicevo che il 2019 per l’Italia è stato un anno importante. Oltre alla distilleria Eugin (www.eugindistilleria.it) sono nate almeno altre cinque distillerie a cui, stimo, nel 2020 se ne aggiungeranno almeno altre dieci. Nel Chianti è nata la distilleria Winestillery (www. winestillery.it), una farm distillery che produce gin e vodka partendo dal vino di propria produzione. A Gubbio registriamo la Anonima Distillazioni (www. anonimadistillazioni.it), che produce distillati e amari con un piccolo alambicco di produzione italiana. A Caserta la Berolà Distillati (www.beroladistillati.it) distilla l’affascinante mondo della frutta. L’universo degli appassionati e degli imprenditori non resta certamente a guardare. L’entusiasmo con cui le nuove realtà vengono accolte è davvero stimolante, l’Italiano medio non è certamente un grande bevitore di distillati ma qui da noi non è la quantità che conta. Abbiamo a disposizione una tavolozza di colori che l’Inghilterra non potrà mai avere, abbiamo i sapori mediterranei, un culto per la gastronomia che non è secondo a nessuno, i presidi Slow Food. Intervenendo durante il workshop, la complessità e la biodiversità dei nostri ingredienti ce la ha ben raccontata Vittorio D’Alberto (www. ginitaly.it), il guru italiano del ginepro, grazie all’assaggio di botaniche provenienti dalla sua e nostra terra. Il successo di un settore che deve ancora acquisire una iden-

OLTRE ALLA DISTILLERIA EUGIN (WWW.EUGINDISTILLERIA.IT) NE SONO NATE ALMENO ALTRE CINQUE E ALTRE 10 SONO IN ARRIVO NEL 2O2O

tità sembra certo. Lo abbiamo già dimostrato con la birra artigianale, dove in un paio di decenni siamo riusciti a creare 1400 nuove realtà e dove nel 2018 si sono percepiti i primi segnali di frenata. È quindi naturale che chi in questi anni ha saputo creare con la birra una realtà consolidata oggi stia dando un occhio al mondo della micro-distillazione.

* fondatore di Whisky Club marzo 2020

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MOTORI

SUZUKI VITARA HYBRID: L’IBRIDO CONQUISTA IL SUV GIAPPONESE

HYUNDAI I10: LA TECNOLOGICA CITYCAR COREANA Anche la Suzuki Vitara si aggiorna con il sistema ibrido, grazie al motore 1.4 Boosterjet da 130 CV che si abbina al piccolo propulsore elettrico da 48V, capace di svolgere anche le funzioni di alternatore e motorino di avviamento da 13,6 CV, per un’ulteriore coppia di 50 Nm. Non variano le dimensioni,

l’auto è sempre lunga 4,17 metri, e non cambia neanche l’aspetto estetico, con i punti di forza del design che rimangono gli stessi. La Suzuki Vitara Hybrid viene proposta sia in versione 4×4 sia 2 ruote motrici e in 3 allestimenti: Cool, Top e Starview. Già a partire dalla entry level, la dotazione è piuttosto ricca, all’interno della quale

troviamo accessori come il clima automatico, il display da 7 pollici, i cerchi da 17” e la retrocamera, oltre a un pacchetto sicurezza che comprende diversi sistemi di assistenza alla guida (Adas), in grado di rendere la Vitara il B-SUV più completo dal punto di vista della sicurezza, con la guida autonoma di 2° livello di serie.

CITROEN C5 AIRCROSS HYBRID: L’INIZIO DELL’ELETTRIFICAZIONE

Citroen C5 Aircross Hybrid segna l’inizio dei prodotti ibridi ed elettrici del marchio francese, che vuole proporre un’offerta elettrificata sul 100% della gamma entro il 2025. Il motore turbobenzina 1.6 PureTech è stato sviluppato con l’aggiunta di un alternatore-motorino di avviamento Bsg e una interfaccia di raffreddamento specifica. Il propulsore termico sviluppa 180 CV ed è abbinato al nuovo cambio automatico a 8 rapporti e-EAT8, specifico per le motorizzazioni plug-in 92

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hybrid. Robusta la coppia di 320 Nm immediatamente disponibile e molto lineare l’accelerazione, grazie al cambio automatico elettrificato e-EAT8, mentre, associato a quest’ultimo, c’è un motore elettrico all’avantreno che sviluppa 110 CV. L’ibridizzazione regala anche il piacere di partire e di muoversi nel silenzio, senza alcuna emissione di CO2, con la possibilità di percorrere 50 km in modalità elettrica, fino a una velocità massima di 135 km/h.

Arrivata alla terza generazione, la nuova Hyundai i10 vuole puntare in alto nel segmento A, dove in Italia Fiat Panda domina incontrastata. La nuova citycar coreana è lunga 3,67 metri come in passato ed è nata nel centro stile Hyundai di Russelsheim, ma dalle mani di un italiano: il giovane Davide Varenna ha portato un’aria fresca e sportiva alla piccola segmento A, specie sul frontale grazie a un sapiente gioco di linee che avvalorano anche la vista laterale. Dentro la Hyundai i10 si gode di maggiore spazio, grazie al passo allungato che ha permesso di ottenere 4,5 centimetri a tutto vantaggio delle gambe di chi siede dietro. Inoltre, sulla plancia, debutta il display multitouch più grande della categoria, con il suo schermo da 8” che viene proposto senza navigatore, ma con Apple CarPlay e Android Auto di serie. Per il mercato italiano Hyundai ha optato sul tre cilindri 1.0 da 67 CV, omologato Euro 6.2, che dichiara consumi pari a 20 km/l.

in collaborazione con Autoappassionati.it



BIBLIOTECA Antonio Quaglio Laureato in Economia aziendale all’Università di Venezia, è stato inviato e caporedattore a Il Sole 24 Ore. Collabora a www.ilsussidiario.net.

IL RENDIMENTO PROVENGA DALLO SVILUPPO DEI TERRITORI

È

un volume importante anche nel timing d’uscita, quello scritto a quattro mani da Andrea Greco, inviato speciale di Repubblica, e da Umberto Tombari, che ha appena concluso il suo doppio impegno di presidente dell’Ente CariFirenze e di vicepresidente dell’Acri. “Fondazioni 3.0” (Bompiani, 2020), è un vero e proprio “libro bianco” con il quale un protagonista recente della vita degli Enti e un loro osservatore di lungo corso hanno inteso segnare un cambio di stagione. Hanno deciso di farlo a trent’anni dalla legge Amato-Carli, la riforma che partorì verso l’alto nuovi soggetti proprietari per le casse di risparmio e i colossi pubblici di allora. Che la riflessione veda la luce quando le Fondazioni sono improvvisamente tornate alla ribalta dell’attualità bancaria come azionisti-pivot della grandi banche - nell’offerta d’acquisto annunciata da Intesa Sanpaolo su Ubi, con riflessi esterni su Bper - aggiunge solo valore al punto della situazione elaborato. Non c’è affatto contraddizione - anzi - fra una fase “1.0” che manifesta ancor oggi vigore propulsivo nel riassetto bancassicurativo e una fase “3.0” ancora tutta da costruire nel ripensamento di obiettivi e strumenti del “welfare sul territori”, core notfor-profit business degli Enti. E certamente non sorprende che uno stimolo alla verifica giunga dopo che la crisi finanziaria globale ha colpito in profondità anche patrimoni e redditività delle Fondazioni, peraltro soggette a pressioni moltiplicate da parte degli stakeholder per mantenere erogazioni sostenibili. L’esperienza delle Fondazioni italiane di origine bancaria - per molti versi un unicum a livello internazionale - non è mai stata scontata: è maturata lungo percorsi spesso inediti. Anzitutto con un’inevitabile selezione: molti enti - anche di nome e dimensione rilevanti - ai blocchi di partenza nel 1991 oggi non ci sono più o quasi (le Fondazioni Banco Napoli, Banco di Sicilia, Mps, Carige, oltre a decine di enti nel Centrosud), E’ invece proceduta in tempo reale una regulation sempre innovativa: la “legge delle Fondazioni” è stata personalmente firmata dal “Presidente dell’euro” Carlo Azeglio Ciampi. Il modello (ben rammentato in prefazione del libro da Giuseppe Guzzetti, a lungo presidente di

Fondazione Cariplo e Acri) delinea enti autonomi impegnati a proteggere i loro patrimoni, garantire profitti sostenibili e creare in via sussidiaria “benessere” e “sviluppo” sui diversi territori. L’identikit ha subito superato la prova del fuoco del tentativo di ristatalizzazione da parte del ministro Giulio Tremonti. La Corte Costituzionale, nel 2003, ha definitivamente sancito che nel 2003 che le Fondazioni sono pilastri dell’”organizzazione delle libertà sociali”: esemplari della riforma in senso federalista dell’articolo 118 della Costituzione. Ma cosa significa queste mission nel terzo decennio del ventunesimo secolo? What next dopo che anche la fase “2.0” - progressivo sganciamento dalle banche e forte impegno sul welfare sociale - ha ulteriormente aumentato a 22 miliardi il monte-erogazioni aggregato? Greco e Tombari individuano almeno tre percorsi evolutivi complessi. Il primo attiene certamente allo status di investitori istituzionali: anzi di “investitori di nuovo tipo nei complessi produttivi del Paese” suggeriscono senza mezzi termini gli autori. Additano anzitutto il ruolo decisivo delle Fondazioni negli assetti di controllo della Cassa Depositi e Prestiti, ma non solo: gli investimenti mission related rappresentano una leva da azionare a fondo, anche in chiave di diversificazione in epoca di mercati volatili e a tassi zero. Il binomio è comunque chiaro: la ricerca di nuove combinazioni di rischio-rendimento negli impieghi patrimoniali si può coniugare con la generazione di sviluppo (imprenditoriale, occupazionale, di ricerca e alta formazione) sui territori. Un seconda linea esplorativa tiene assieme sia l’asset management sia l’attività istituzionale: è la logica della partnership. Gli Enti devono imparare a lavorare su progetti e piattaforme comuni: senza aver timolre di mettere in agenda, in ultima analis, un vero e proprio iassetto per aggregazioni, come già raccomandato dall’ultimo Protocollo Acri-Mef. Un terza sfida attiene infine la governance, ancora su un doppio versante: la crescita manageriale, l’irrobustimento della qualità dei partecipanti ai diversi organi di governo delle Fondazioni; senza rinunciare a innovare l’accountability con gli enti pubblici e della società civile dei territori.

Il futuro delle Fondazioni di origine bancaria si gioca tutto sulla capacità di fare crescita nell’ecosistema in cui vivono

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EDUCAZIONE FINANZIARIA Paolo Zucca Iscritto all’Ordine dei Giornalisti dal 1979, già responsabile del supplemento de II Sole 24 Ore Plus 24. Partecipa a tutorial e iniziative contro l’eccessivo uso del contante. Twitter @pzu551

MA IL DENARO È ANCORA LO “STERCO DEL DIAVOLO”?

È

possibile che il cambiamento climatico finisca per prevalere nella lettura esterna della tre giorni di Assisi (26-28 marzo), l’appuntamento internazionale della “Economy of Francesco” che vedrà circa 2mila giovani discutere anche di un nuovo modo di intendere la crescita e il benessere. Una delle sessioni, uno degli spunti iniziali perché lo schema è volutamente libero, è proprio dedicato alla finanza che resta un luogo tabù per parte del mondo cattolico e in altre religioni. Il movimento del denaro, nel bene e nel male (gli scandali non mancano) va affrontato e gli organizzatori sentono che mai come in questo momento anche la finanza è attraversata da considerazioni meno mercatistiche. I due mondi sono meno lontani, stanno crescendo gli investimenti Esg (rispetto dell’ambiente, sociale e della governance), investimenti responsabili, l’attenzione all’impatto e tanto altro. Per i risparmiatori, quelli che non investono per ragioni etiche e restano inchiodati orgogliosamente sul conto corrente, potrà essere un buon momento di riflessione su quello che è ancora considerato “lo sterco del diavolo”. Non bisogna andare lontanissimo per ritrovare questa definizione, originaria della Chiesa del quarto secolo ed espressa da Basilio di Cesarea. Lo disse anche San Francesco d’Assisi, venne ripresa da diversi Papi e anche dallo stesso Papa Francesco (2015) con una declinazione già diversa: l’essere schiavi del denaro. “E’ lo sterco del diavolo quando diventa un idolo, comanda le scelte dell’uomo. Lo rovina e lo condanna”. L’eccesso di passione per il denaro è il male. Diversa è una buona gestione del proprio patrimonio e del proprio risparmio finalizzato al benessere delle propria famiglia, a creare lavoro, per la collettività e la carità. Come è stato ricordato in queste settimane da economisti cattolici, Francesco d’Assisi si liberò dalla dipendenza del denaro e nello stesso tempo proprio da quella matrice nacquero le prime iniziative di credito. Ovviamente alla francescana. Il primo Monte di Pietà (quindi con pegno ma non si potevano dare armi in garanzia) fu costituito nel 1458 ad Ascoli Piceno. «Non dobbiamo dimenticare – ricorda l’economista Luigino Bruni - che Francesco era figlio di mercanti e che per il primo periodo della sua vita aveva seguito le orme del padre. Quindi era uno che il know how degli scambi commerciali, con nessi e connessi, l’aveva acquisito». I Monti hanno una funzione anti-usura quindi sono banche sociali, per i più deboli. Non rifiutano l’operatività con l’imprenditoria mercantile delle città del tempo. Rivisti negli anni Duemila quegli interventi in economia appaiono rivoluzionari quanto la scelta di povertà. Non è la prima volta che la Chiesa vuole precisare il suo pensiero 96

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A fine marzo ad Assisi i giovani di 105 paesi discuteranno di nuova economia, ma anche di nuova finanza etica. Col Papa

JORGE MARIO BERGOGLIO

sulla finanza cercando di cogliere potenzialità senza bloccarsi sulla “demoniaca” movimentazione del denaro. Il modello da combattere è ovviamente la speculazione, quella di breve che distrugge beni comuni e i posti di lavoro. Fa ricchi i già ricchi, quelli che conoscono le notizie e meccanismi; impoverisce chi non ha cultura finanziaria e quindi anche la capacità di interpretare fenomeni abbastanza complessi. Molto si era già visto nelle “Oeconomicae et pecuniariae questiones” documento della Congregazione per la dottrina della fede e dal Dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano (maggio 2018). Dove si parla di tutto: di securitization, fixing, Cds, shadow banking, banche commerciali e di investimento, mercati offshore e asimmetria informativa. Tutto ben spiegato per dividere il possibile dall’inaccettabile. Nel luogo di Francesco, i giovani di 105 paesi non avranno la finanza come argomento centrale. Però sarà interessante e utile seguire il dibattito su cosa è ora il denaro, quale sentiero di impiego virtuoso potrà seguire senza entrare in contraddizione con l’etica laica e religiosa. Molto lontano manager e gestori della finanza (al netto di qualche furbizia) stanno ragionando di ambiente e di investimenti responsabili. Da Larry Fink, numero uno di BlackRock la più grande società mondiale di gestione del risparmio ai supermanager del Business.


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MALALINGUA Vittorio Borelli Giornalista di lungo corso, condirettore de Il Mondo, fondatore e direttore di East, già direttore delle relazioni esterne di Unicredito nella gestione Rondelli-Profumo

CLAMOROSO, AMADEUS DISERTA GLI STATI GENERALI GRILLINI

N

on sarà Amadeus, reduce dal trionfale Festival di Sanremo, a guidare gli Stati Generali del Movimento Cinquestelle. Lo scrive Bloomberg, indicando come fonte l’entourage di George Soros. L’agenzia finanziaria Usa aggiunge che, per la conduzione dello storico evento, Beppe Grillo e la Casaleggio e Associati stanno discutendo su una rosa di tre candidati: Vittorio Sgarbi, che abbina alla indiscutibile preparazione estetica un ottimo livello di incompetenza politica; Monica Bellucci, bella e brava nel pronunciare il Vaffa con inedite tonalità erotiche; Enrico Mentana, capace di organizzare una fantasmagorica maratona televisiva con ballerini di tip tap, filosofi senza barba, giornalisti passati direttamente dal praticantato agli editoriali, dietologi sovrappeso, cantanti neomelodici di lingua ladina, chiromanti diplomati alla scuola Radio Elettra. La tentazione Mentana è forte, ma preliminarmente i fondatori del Movimento devono scegliere i testimonial della manifestazione. Grillo vorrebbe invitare il trio Luigi XVI, Maria Antonietta e Jacques Necker, ma la sua proposta si scontra con l’autorevole supporter esterno Marco Travaglio. Il direttore del Fatto osserva irridente che “Se vengono quei tre lì, non possiamo non invitare anche Danton, Marat e soprattutto Robespierre. Tuttalpiù possiamo lasciare a casa la Corday”. Davide Casaleggio propende invece per la candidatura forte di Xi Jinping, che gli aprirebbe i ricchi mercati della Via della Seta e del 5 Giga. Un’alternativa al presidente cinese? Quella di Erdogan. Lui sì, fanno trapelare dalla Casaleggio, che saprebbe come mettere in riga contemporaneamente Alessandro Di Battista, Gianluigi Paragone e Paola Taverna! Meno controversa la scelta dei contenuti della manifestazione. Che si intito-

lerà semplicemente Ab Ovo. Intervistato da Bruno Vespa, Vito Crimi ha detto che “E’ ora di finirla con l’indovinello se sia nato prima l’uovo o la gallina. Noi, oggi, sappiamo che l’uovo viene prima di tutto”. Gli Stati Generali, ha poi sintetizzato Stefano Buffagni dando un’aggiustatina al ciuffo ribelle, dovranno riportare i Cinquestelle ai valori originali: No Tav, No Tab, No Vax, No élite, No vitalizzi, No destra né sinistra; Sì al Reddito di Cittadinanza e Sì al Principio di Colpevolezza Davigo-Travaglio, ovvero Tutti sono colpevoli fino a prova contraria. Probabile, invece, che venga lasciato cadere il principio secondo cui Uno vale uno. Secondo fonti interne, rigorosamente anonime, l’ex capo politico Luigi Di Maio avrebbe fatto alcune esperienze molto negative nell’applicazione pratica del principio. La prima quando, a Bruxelles, ha telefonato alla concierge per un parrucchiere e si è poi ritrovato in testa una cotonata anni Sessanta alla Ursula Von der Layen. La seconda quando, a Roma, ha chiesto con urgenza l’intervento di un podologo per un’unghia incarnita e gli hanno mandato un dentista che gli ha trapanato l’alluce da parte a parte. Decisiva, tuttavia, è stata un’esperienza fatta nel corso del suo primo viaggio in Cina. Non conoscendo il cinese, il ministro degli esteri ha giustamente richiesto l’ausilio di un traduttore. Sennonché tutti i traduttori italo-cinesi erano impegnati. Che fare? Di Maio ci ha pensato un nanosecondo prima di rispondere: “Uno vale Uno anche in Cina, mandatemi quello che avete sottomano”. Peccato che, sottomano, ci fosse soltanto un traduttore mongolo naturalizzato cinese e laureato a Cambridge. Risultato: prima che Di Maio a il traduttore riuscissero, in inglese, a mettersi d’accordo sul che cosa dire la riunione più importante della missione era già finita.

I Cinquestelle tornano ai loro valori: No Tav, No Tab, No Vax, No élite, No vitalizi, No destra né sinistra, sì Reddito di Cittadinanza

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