3/2009 eco della rossa

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L’ECO DE LA ROSSA

SANTUARIO CUORE IMMACOLATO DI MARIA

Anno LVI - 2009 - N. 3 bim. - 27/07/2009 Sped. in abbonamento postale - art. 2 comma 20/C legge 662/96 filiale di Ancona

PERIODICO BIMESTRALE D’INFORMAZIONE E CULTURA

Contributi per sostenere il periodico CCP n. 14236608 intestato Parroco Santuario Cuore Immacolato di Maria 60049 Serra San Quirico Staz. (Ancona) Tel. (0731) 86030 Via A. Moro, 4

w w w. e c o d e l l a r o s s a . i t

Anno speciale dei sacerdoti

Profeti del nostro tempo

Donati a Dio per i fratelli Il “sovversivo di Dio”

Senza la preghiera non c’è salvezza

(... ma era semplicemente Vangelo)

Il 2009 sarà, per scelta di Benedetto XVI, un anno dedicato in modo particolare ai ministri della Chiesa, veri e propri missionari tra i fedeli e nella società contemporanea. “Chi conosce gli uomini di oggi meglio del parroco? ”. “Dal parroco gli uomini vanno normalmente senza maschera. Nessun’altra professione mi sembra, dà la possibilità di conoscere l’uomo com’è, nella sua umanità”. Il ritratto di sacerdote che queste parole contengono la dice lunga sull’ affetto e l’attenzione che Benedetto XVI ha per i preti di tutto il mondo. Lo scorso 16 marzo, giorno in cui l’Anno speciale è stato indetto, ha chiarito il senso della sua iniziativa, che mira “a favorire la tensione dei sacerdoti verso la perfezione spirituale dalla quale soprattutto dipende l’efficacia del loro ministero.” Il sacerdote, in una società secolarizzata come quella odierna, spesso viene assimilato più ad un operatore sociale, che ad un uomo di Dio e perciò maestro della fede. Solo un’autentica e radicata spiritualità può dunque evitare ai preti di oggi di cadere in uno “sterile attivismo”. Al contrario la preghiera, l’amicizia con Gesù, l’ascolto e lo studio della Parola di Dio, la celebrazione dei sacramenti sono condizioni indispensabili anche per essere vicini alle necessità materiali dei fratelli. All’interno della chiesa, invece, la riproposizione forte della figura del sacerdote ricorda la sua indispensabilità in ordine alla vita delle comunità ecclesiali, contro il rischio di intraprendere alcune scorciatoie, specie per far fronte alla crisi delle vocazioni. In un recente discorso alla Congregazione per il Clero, Benedetto XVI ha sottolineato: “la centralità di Cristo porta con sé la valorizzazione del sacer-

dozio ministeriale, senza il quale non ci sarebbe né l’ Eucarestia, né tanto meno, la missione e la stessa Chiesa.” E’ questa la ragione per cui in ogni viaggio pastorale il Papa ha sempre voluto incontrare i sacerdoti, rivolgendo loro parole di gratitudine per quanto fanno, ma anche di incoraggiamento a moltiplicare gli sforzi per l’annuncio del Vangelo. Con questo anno speciale , dunque, egli vuole mostrare al mondo la bellezza e l’importanza di quelle vite che sono consacrate interamente al Signore. “Il sacerdote viene sottratto alle connessioni del mondo e donato a Dio così, a partire da Dio, deve essere disponibile, per tutti”. Come a dire che “è un vero passaggio di proprietà” quello che avviene con il sacerdozio. Un “ essere tolto dal mondo” per “essere donato a Dio”. E quindi servire pienamente i fratelli. L’anno indetto dal Pontefice non giunge a caso, si colloca al termine di altri 12 mesi speciali dedicati a S. Paolo, la cui ansia missionaria è da sempre punto di riferimento per tutti i consacrati. E soprattutto coincide con il 150° anniversario della morte del Santo Curato d’Ars, Giovanni Maria Vianney: una figura indimenticabile definita dai sacerdoti “un fratello maggiore” che per volontà del Papa diventa il patrono di tutti i sacerdoti del mondo. “Era un povero, ma non nel senso di qualcuno che non ha niente, ma come qualcuno che attende tutto da Dio”. Giovanni M. Vianney fu e resta di esempio per i sacerdoti di tutto il mondo che vengono ad Ars a ricaricare le batterie attingendo energie spirituali da una sosta in preghiera davanti alla sua tomba. (da “Sovvenire” n.6/09)

Carissimi turisti

Benvenuti a tutti voi, che avete scelto le Marche per vivere nell’incanto di questa terra, delle sue bellezze e delle sue tradizioni, la vostra vacanza. E’ questo un tempo favorevole per fermarsi, sostare, ritemprasi, aprire il proprio cuore ad un incontro vero, autentico, profondo con voi stessi, con la gente dei nostri borghi e delle nostre città, con quel Dio che non disdegna di incontrarvi in disparte, nel silenzio e nella quiete. Le nostre comunità sapranno contemplare con voi la Bellezza infinita che si riflette nei volti, nei gesti, nell’amabilità dell’accoglienza che si fa

amicizia e dono. Ma sapranno anche offrirvi la testimonianza di una fede semplice e genuina, di tradizioni ancorate a salde radici di operosità e laboriosità, di valori immutati e di una cultura che ha lasciato tracce di meraviglia nelle cattedrali, nei santuari, nei monasteri, nelle innumerevoli opere d’arte che continuano a parlarci il linguaggio del Cielo. La Vergine di Loreto, patrona delle Marche, nella cui “casa” sostano numerosi pellegrini faccia di ciascuno di tutti voi “uno di casa” in questa comunità. I Vescovi delle Marche

Il secolo XX, attraversato da due conflitti mondiali, ha partorito una schiera di profeti che hanno dato una svolta decisiva al cammino dell’umanità dentro e fuori dall’ambito ecclesiale. Fra i testimoni del nostro tempo vogliamo ricordare don Zeno Saltini, il sacerdote profeta che vivendo come un albero sradicato dal suo terreno ha prodotto frutti abbondanti fuori stagione. La sua notorietà è legata soprattutto a Nomadelfia, la comunità dove la fraternità è legge. Don Zeno nasce a Fossoli, una frazione di Carpi il 30 agosto 1900. E’ il nono figlio di una famiglia di agricoltori facoltosi. Oltre a lui ben tre fratelli decidono di consacrarsi al Signore. A quattordici anni lascia la scuola per sperimentare la fatica dei braccianti nei poderi paterni. L’esperienza della buona terra fa nascere in lui le teorie socialiste. Si laurea in legge all’Università di Milano, chiamato al sacerdozio studia teologia e celebra la sua prima Messa al Duomo di Carpi il 6 gennaio 1931; nella solenne

ni negli ambienti ecclesiastici a tal punto che il S. Ufficio ordina al prete “rosso” di lasciare Nomadelfia e il fondatore ubbidisce. Gli sarà intentato anche un processo per truffa dal quale uscirà assolto. I Nomadelfi si ritirano a Grosseto su una vasta tenuta donata dalla Contessa Giovanna Albertoni Pirelli. Il padre, pur lontano non abbandona i figli e difende alcuni di loro che sono ripiombati nella malavita. Nel 1953 il Santo Padre, su richiesta dello stesso don Zeno gli concede la riduzione allo stato laicale per consentirgli di ritornare in piena libertà tra i suoi figli ormai dimezzati per numero e di riorganizzarli a vita comune. Nel 1961 i Nomadelfi si costituiscono come associazione civile e il fondatore chiede alla Santa Sede di essere reintegrato nel suo ministero sacerdotale. Nomadelfia è eretta parrocchia e don Zeno nominato parroco per celebrare la sua “seconda prima messa”. Il Ministero della Pubblica Istruzione concede a Nomadelfia di creare una scuo-

celebrazione prende come figlio un ragazzo di 17 anni appena uscito dal carcere, Danilo. E’ il primo passo verso la fondazione dei “Piccoli Apostoli” dalla quale nascerà l’opera che lo farà conoscere al mondo: Nomadelfia. “Piccoli apostoli”, frutto del suo lavoro pastorale, raccoglie i figli dei carcerati e i ragazzi sbandati. Ben presto tante “mamme di vocazione” e un gruppo di sette sacerdoti affiancano don Zeno nella sua missione di forte impatto sociale. Nella bufera della seconda guerra si trasferisce al sud per sfuggire alle rappresaglie del fascismo contro il quale ha alzato la voce . diversi giovani apostoli intanto mettono a repentaglio la loro vita dando asilo ad ebrei e perseguitati politici, mentre altri si uniscono alle formazioni partigiane. A guerra finita la comunità di Don Zeno occupa l’ex campo di concentramento di Fossoli per costruirvi una città ed ospitare coppie di sposi e figli di sbandati, orfani e ragazzi abbandonati. Il 14 febbraio 1948 l’Opera Piccoli Apostoli diventa Nomadelfia: la nuova comunità ha ora una carta costituzionale scritta dal fondatore, firmata sull’altare e approvata dall’autorità religiosa. Nomadelfia, la città dell’amore e della giustizia sociale nasce sul modello delle prime comunità cristiane descritte negli Atti degli Apostoli. In pochi anni “i Nomadelfia” come amano chiamarsi i membri della comunità, raggiungono il numero di 1150, dei quali 800 sono i figli assistiti dalle coppie di sposi e da una folta schiera di mamme di vocazione. Libera da ogni forma di sfruttamento, la comunità è costantemente nel mirino del potere politico accusando il fondatore di farsi banditore di un populismo comunista favorendo, tra l’altro la promiscuità. La rotta di collisione con alcuni esponenti della Democrazia Cristiana ha le sue ripercussio-

la interna e di educare i figli sotto la responsabilità dei loro diretti educatori. Il 2 agosto 1980, i Nomadelfi offrono a Papa Giovanni Paolo II, a Castelgandolfo, una “serata speciale”. Il Papa ringrazia tutta la popolazione con parole che esprimono l’apprezzamento per l’opera profetica a cui sembra aver messo mano ” e cielo e terra “. “Se siamo votati ad essere figli di Dio e tra noi fratelli, allora la regola che si chiama Nomadelfia è un preavviso e un preannuncio di questo mondo futuro dove siamo chiamati tutti”. Pochi mesi dopo, il 15 gen-

naio 1981 don Zeno muore colpito da infarto. Nomadelfia oggi si definisce come “una proposta”, un modello di vita sociale ed economico alternativo a quello indicato dalle società occidentali. I suoi membri, tutti cattolici praticanti, attualmente circa 350, esprimono uno stile di vita simile a quello in uso nelle prime comunità cristiane. Di recente è stato avviato il processo di beatificazione di don Zeno, nella diocesi di Grosseto, a riprova che l’utopia dell’amore da lui incarnata e condivisa oggi dalla Chiesa cattolica era Vangelo puro da riproporre ad una società liquida, edonista e indifferente.

Gesù nel Vangelo ci ammonisce che “senza di me non potete far niente”, mentre S. Paolo dichiara che “nessuno può dire Gesù è Signore se non sotto l’azione dello Spirito Santo” e che “un solo Dio opera tutto in tutti”. Il Concilio di Trento poi asserisce: “se qualcuno dica che senza la preveniente ispirazione dello Spirito Santo, e senza il suo aiuto, l’uomo possa credere, sperare, amare, oppure pentirsi come si deve, affinché la grazia della giustificazione possa essergli conferita, sia scomunicato”. E se la Scrittura, la tradizione e il magistero ufficiale della Chiesa sono inequivocabili circa la nostra incapacità di compiere atti soprannaturali senza l’intervento della grazia di Dio, non c’è meno chiarezza circa la maniera di ottenere il necessario soccorso divino, perché possiamo efficacemente vincere le tentazioni per così evitare il male, compiere con generosità atti di virtù, ottemperare ai precetti divini, e conformarci in tutto alla volontà salvifica di Dio: “Chiedete e vi sarà dato, cercate troverete, bussate e vi sarà aperto” (Luca 11,9); “Voglio dunque che gli uomini preghino, dovunque si trovino, levando al cielo mani pure senza ira e senza contese” (1 Tim 2,8) . I Padri della Chiesa e i teologi hanno sempre collegato la preghiera di supplica a Dio allo scopo ultimo per cui l’uomo è stato creato: “E’ articolo di fede che la preghiera è per gli adulti necessaria alla salvezza eterna, come peraltro s’evince dalla Scrittura. La preghiera è infatti il mezzo senza il quale il soccorso divino indispensabile al raggiungimento della salvezza non può essere ottenuto” (L. Lessio). E’ vero che le prime grazie, quale la vocazione alla fede o alla penitenza, Dio le concede anche a coloro che non le avessero impetrato nella preghiera. Le altre grazie, tuttavia, come quella della vittoria sulle tentazioni, il dono della perseveranza, della buona morte, della salvezza eterna, non si concedono a chi non prega. Dottrina concorde e unanime, pertanto, della Chiesa Cattolica è che di provvidenza ordinaria, ossia salvo deroga da parte di Dio stesso (sulla quale deroga l’uomo umile, saggio, cauto e previdente si guarderà bene dal contare!) non potrà salvarsi quell’adulto che avrà trascurato di raccomandarsi a Dio e di impetrare le grazie necessarie alla salvezza: “Dopo il battesimo è necessaria all’uomo la preghiera continua perché possa entrare in Cielo; infatti sebbene i peccati vengano rimessi tutti, rimane tut-

tavia, la tendenza al peccato che ci assilla interiormente, e il mondo e di demoni che ci aggrediscono dall’esterno” ( S. Tommaso). Sarebbe errato ravvisare la preghiera come mezzo di informare Dio delle nostre richieste, della nostra necessità; ancor più errato considerarla come strumento per piegare la volontà di Dio a conformarsi alla nostra: “Il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate” (Mt 6,7). E dice a proposito S. Tommaso D’Aquino: “Non è che preghiamo allo scopo di alterare le divine disposizioni, ma piuttosto per chiedere ciò che Dio ha disposto ci fosse conferito per la preghiera dei santi, ossia affinché gli uomini, con le loro suppliche, meritino di ricevere tutto ciò che Dio aveva decretato prima dei secoli di donare loro”. A chi, demoralizzato dinanzi alla propria fragilità, incostanza e irrisolutezza, e avvilito dall’enorme peso dei propri peccati, venisse in mente che il voler vivere il Vangelo di Gesù è pressoché impossibile, s. Agostino suggerisce una riflessione incoraggiante: “Dio non comanda cose impossibili, ma comandando ci ammonisce di fare ciò che possiamo, di chiedere ciò che non possiamo, e così interviene affinché possiamo”. D’altronde aggiunge il Santo: “Dio comanda alcune cose che, sulle prime, non possiamo osservare, affinché ci accorgiamo quali siano le grazie che a Lui dobbiamo chiedere”. La preghiera tirando le somme, assolutamente imprescindibile ed insostituibile per esprimere- più a noi stessi che a Dio – il nostro pieno assoggettamento a Dio, in quanto largitore di ogni bene; per supplicare ed ottenere il soccorso della grazia divina che, sola, può consentirci di formulare quelle aspirazioni e porre quegli atti soprannaturali necessari a condurre la vita su questa terra in conformità ai dettami del S. Vangelo; per costruire un’efficace difesa contro le tentazioni e contro quell’impulso negativo inerente alla natura umana, redenta si dal Sangue di Gesù, ma sempre labile e vulnerabile, e infine per ottenere dal Giudice Supremo la salvezza eterna insieme alla pace, gioia e inalterabile felicità che la caratterizzano, di cui al contrario la privazione, irrimediabile com’è, non determina altro che la condanna inappellabile, fallimento e disperazione che non conosce sollievo. Beato chi pregando, si assicura un’eternità beata, con il saggio uso del fuggevole tempo presente! I Parroci


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