SANTUARIO CUORE IMMACOLATO DI MARIA
L’ECO DE LA ROSSA Anno LVII - 2010 - N. 5 bim. - 9/12/2010 Sped. in abbonamento postale - art. 2 comma 20/C legge 662/96 filiale di Ancona
PERIODICO BIMESTRALE D’INFORMAZIONE E CULTURA
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Conferenza Episcopale Italiana
Testimoni del nostro tempo
Educare alla vita buona del Vangelo
"Resurrexi, et adhuc tecum sum. Alleluia! - Sono risorto, sono sempre con te. Alleluia!". Cari fratelli e sorelle, Gesù crocifisso e risorto ci ripete ogg1. Nel corso dei secoli Dio ha educato il suo popolo, trasformando l’avvicendarsi delle stagioni dell’uomo in una storia di salvezza. “Come un’aquila che veglia la sua nidiata, che vola sopra i suoi nati, egli spiegò le ali e lo prese, lo sollevò sulle sue ali. Il Signore, lui solo lo ha guidato, non c’era con lui alcun dio straniero” (Dt 32,10-12). Di questa storia noi ci sentiamo partecipi. La guida di Dio, in tutta la sua forza e tenerezza, si è fatta pienamente e definitivamente visibile in Gesù di Nazaret. Clemente Alessandrino, un autore del II secolo, gli attribuì il titolo di “pedagogo”: è Lui il maestro e il redentore dell’umanità, il pastore le cui orme guidano al cielo. Clemente individua nella Chiesa, sposa e madre del maestro, la “scuola” dove Gesù insegna… 2. Da sempre la Chiesa riserva peculiare attenzione all’educazione. La nostra scelta intende, in particolare, riproporre e approfondire l’insegnamento del Concilio Vaticano II: "La santa madre Chiesa, nell’adempimento del mandato ricevuto dal suo divin Fondatore, che è quello di annunziare il mistero della salvezza a tutti gli uomini e di edificare tutto in Cristo, ha il dovere di occuparsi dell’intera vita dell’uomo, anche di quella terrena, in quanto connessa con la vocazione soprannaturale; essa perciò ha un suo compito specifico in ordine al progresso e allo sviluppo dell’educazione"… 3. In tal modo si è fatta strada la consapevolezza che è proprio l’educazione la sfida che ci attende nei prossimi anni: "ci è chiesto un investimento educativo capace di rinnovare gli itinerari formativi, per renderli più adatti al tempo presente e significativi per la vita delle persone, con una nuova attenzione per gli adulti". Il Santo Padre ci incoraggia in questa direzione, mettendo in evidenza l’urgenza di dedicarsi alla formazione delle nuove generazioni. Egli riconosce che l’educare, se mai è stato facile, oggi assume caratteristiche più ardue; siamo di fronte a "una
grande ‘emergenza educativa’, confermata dagli insuccessi a cui troppo spesso vanno incontro i nostri sforzi per formare persone solide, capaci di collaborare con gli altri e di dare un senso alla propria vita". 4. Queste ragioni ci inducono a impegnarci nel decennio pastorale 2010-2020 in un’approfondita verifica dell’azione educativa della Chiesa in Italia, così da promuovere con rinnovato slancio questo servizio al bene della società. In piena docilità allo Spirito, vogliamo operare con disponibilità all’ascolto e al dialogo, mettendo a disposizione di tutti la buona notizia dell’amore paterno di Dio per ogni uomo. In qualità di pastori, posti a servizio delle comunità che ci sono affidate, proponiamo le nostre riflessioni sull’educazione a partire dall’incontro con Gesù Cristo e il suo Vangelo, del quale quotidianamente sperimentiamo la forza sanante e liberante. A noi sta a cuore la proposta esplicita e integrale della fede, posta al centro della missione che la Chiesa ha ricevuto dal Signore. Questa fede vogliamo annunciare, senza alcuna imposizione, testimoniando con gioia la bellezza del dono ricevuto, consapevoli che porta frutto solo quando è accolto nella libertà… 5. Non ignoriamo, certo, le difficoltà che l’educazione si trova oggi a fronteggiare. Fra queste, spicca lo scetticismo riguardo la sua stessa possibilità, sicché i progetti educativi diventano programmi a breve termine, mentre una corrente fredda scuote gli spazi classici della famiglia e della scuola. Noi stessi ne siamo turbati e sentiamo l’esigenza impellente di ribadire il valore dell’educazione proprio a partire da questi suoi luoghi fondamentali. Come pastori della Chiesa il nostro pensiero va pure a tutte le altre resistenze, provocate dal peccato che distoglie e indebolisce la volontà dell’uomo e lo induce ad azioni malvagie. Cogliamo in tutta la loro gravità le parole del Papa, quando avverte che oggi la nostra speranza è insidiata da molte parti e rischiamo di ridiventare anche noi, come gli antichi pagani, uomini “senza speranSegue a pag. 8
Don Pino Puglisi: martire di mafia Ci sono luoghi, nel nostro bel paese, in cui una stessa parola può assumere significati e valori opposti quasi che, per uno strano gioco, si diverta a presentare realtà differenti: quel luogo è la Sicilia e quella parola è “padrino”. Da una parte indica un capo mafia, uomo di potere e di illegalità, dall’altra un prete, uomo di Dio e non sempre coraggioso come il suo Signore. Don Pino Puglisi era un “padrino”sui generis, prete scomodo, non “funzionario” del sacro, ma voce di coscienze assopite, sacerdote che dava parola alla giustizia e per questo ucciso: un martire dei nostri giorni, martire di mafia! Parlare di lui è tornare indietro di alcuni anni, in una delle stagioni più tristi e difficili per l’Italia: siamo dopo le grandi stragi di mafia. Borsellino e Falcone hanno pagato il prezzo per tutti, Roma e Milano risuonano del fragore delle autobomba, “cosa nostra” sembra essere non solo siciliana, ma maledettamente cosa italiana! In un quartiere difficile di Palermo opera un sacerdote conosciuto e stimato in città, un sacerdote che aveva speso quasi tutta la sua vita nella formazione e nell’accompagnamento dei giovani, un “padrino” che amava e conosceva la povertà della sua terra. Era un uomo buono, girava “armato” solo di Cristo, la sua unica “pistola” l’amore. Lo hanno seguito, lo
minore e responsabile regionale delle vocazioni, sarà capace di trasmettere ai giovani la gioia di seguire il Signore anche quando una scelta così grande chiede tutto, forse anche la vita. Così si rivolgeva loro: “Nessun uomo è lontano dal Signore. Il Signore ama la libertà non impone il suo amore. Non forza il cuore di nessuno di noi. Ogni cuore ha i suoi tempi, che neppure noi riusciamo a comprendere. Lui bussa e sta alla porta. Quando il cuore è pronto si aprirà. I suoi giovani lo chiamavano 3P, padre Pino Pugliesi, e lui li spingeva a fare di più, a sperare in un domani che li vedesse protagonisti di una rinascita: “Le nostre iniziative e quelle dei volontari devono essere un segno. Non è qualcosa che può trasformare Brancaccio. Questa è un’ illusione che non possiamo permetterci. E’ soltanto un segno per fornire altri modelli, soprattutto ai giovani. Lo facciamo per poter dire: dato che non c’è niente, noi vogliamo rimboccarci le maniche e costruire qualche cosa. E se ognuno fa qualche cosa, allora si può fare molto”. E fece molto in quei piccoli e grandi tre anni che fu parroco di Brancaccio: subito capì che doveva scardinare quella cortina d’odio e d’indifferenza che paralizzava e dominava la vita di quelle persone, entrò nelle loro case, bussò alle loro porte, orga-
hanno spiato, lo hanno odiato perché non aveva paura, perché aveva il coraggio di chiamare “animali” quelli che facevano della violenza la loro religione, perché, in un paese dominato da uno “strano rispetto” insegnava a girare a testa alta. Era il 15 settembre 1993, giorno del suo 56° compleanno, quando quattro giovani disgraziati, pedine di un sistema che non risparmia nessuno, lo uccisero con un colpo alla nuca davanti alla sua chiesa in quella Brancaccio che aveva ricominciato a sperare. Padre Pino disse loro “me lo aspettavo”, sorrise e poi morì. Questa è la fine della sua vita, forse quella che tutti conoscono, ma c’è molto di più…. Don Pino nasce proprio a Brancaccio il 15 settembre nel 1937, diventa prete nel 1960, si appassiona e diffonde lo spirito di novità del Concilio, da giovane sacerdote è animato da grandi passioni, come pastore si spende per ricucire le ferite dell’odio: a Godrano un piccolo paese in provincia di Palermo, dove sarà parroco dal 1970 al 1978, segnato da una faida sanguinosa, riuscirà a riconciliare le famiglie dilaniate dalla violenza con la forza del perdono. Sarà pro-rettore del seminario
nizzò quello che neppure il municipio aveva avuto il coraggio di fare: parlò, non fu ascoltato, fu picchiato, spesso pianse amaramente. Si trovò davanti mille e più ostacoli, altri per molto meno avrebbero mollato, ma non Padre Pino, troppo innamorato degli ultimi, troppo fedele a quella chiamata che lo spingeva a combattere l’unica battaglia della sua vita: quella per la giustizia. Inaugura il centro “Padre Nostro”, che diventerà il punto di riferimento per i giovani e le famiglie del quartiere, non si arrende mai anche quando tanti gli chiedono di tirarsi indietro perché ormai la posta è divenuta troppo grande. Padre Pino sa quello che lo aspetta, conosce l’operare e i progetti di questi altri “ padrini”, ma non tradirà mai quella voce che “ è il segno dello Spirito Santo in noi. Solo ascoltare questa voce può dare senso alla nostra vita”. Padre Pino Pugliesi diede un senso grande alla sua, un segno di speranza che ancora oggi brilla e indica una via possibile. E’ vissuto a testa alta è morto a testa alta perché era un uomo libero! Marco Gentilucci (dall’Appennino Camerte n. 6/10)
Gesù Bambino: modello di ogni virtù
Nel celebrare la ricorrenza annuale dell’Incarnazione del Verbo Divino, giova ricordare che Gesù è nato per tutti, anche per coloro che non lo conoscono, come pure per coloro che, pur conoscendolo, lo trascurano e lo ripudiano. E’ nato per tutti, perché tutti vengono generati nel peccato e hanno, perciò, bisogno di redenzione, per togliere il marchio di infamia ereditato dai protogenitori:”Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù” (Rom 3, 23-24). Se ci siamo accomunati nella miseria del peccato, ci siamo resi ancora più simili in quanto co-beneficiari dei frutti della redenzione, la quale genera gioia, serenità pace. L’opera della redenzione di Gesù è stata portata a termine principalmente con la sua Passione, Morte e Risurrezione. Esiste, tuttavia, un altro aspetto della redenzione operata a nostro favore, evidenziato più che mai e in modo particolare nelle circostanze della nascita del Salvatore, il quale, con il suo esempio di virtù ha smascherato e ripudiato i vizi che sono stati, e continuano ad essere, all’origine della rovina degli uomini. Con la prevaricazione dei progenitori e la concomitante perdita dei doni soprannaturali, preternaturali e dei doni dello Spirito Santo, tutto il genere umano è rimasto in preda a tre passioni funeste, da cui derivano tutte le altre: l’ orgoglio, l’avarizia e la sensualità. Gesù, particolarmente nella sua nascita a Betlemme, ci dà un esempio ammirevole delle virtù che si contrappongono a tali tendenze sregolate. L’orgoglio in virtù del quale non vogliamo dipendere da nessuno, obbedire ad alcuno, nulla temendo se non di essere umiliati agli occhi del prossimo, mentre nel contempo cerchiamo affannosamente tutto ciò che possa farci comparire ed emergere e crescere nella stima degli uomini. In stridente contrasto con tale fatua vanagloria, Gesù si sottometteva non solo alla volontà del Padre che dettava la dura ed austera modalità della redenzione umana, ma anche al decreto dell’imperatore Augusto, che per vanità e arroganza aveva ingiunto il censimento. Subisce altresì il rifiuto del mondo sin dalla sua nascita, adeguandosi a venire alla luce in una grotta riservata agli animali : “Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto” (Giov. l, 11). Ce ne rendiamo conto? Il Creatore e Padrone dell’universo, venuto per sacrificare la propria vita per la salvezza eterna degli uomi-
ni, proprio da questi viene disprezzato ed emarginato! L’avarizia, ossia lo smodato attaccamento ai beni temporali e particolarmente al denaro, viene implicitamente, ma non meno efficacemente, condannato, dalle circostanze precarie, disagiate e miserevoli in cui Gesù sceglie di nascere, dall’umiltà dei suoi genitori e dall’oscurità e ristrettezze in cui visse i primi trenta anni della sua permanenza sulla terra. Un ripudio, infatti, più eloquente del fasto e dell’agiatezza non si potrebbe immaginare! La sensualità, ossia la ricerca prioritaria, e talvolta esclusiva, dei piaceri sensuali ( che si manifesta, per esempio, negli eccessi del mangiare e bere, nella ricercatezza vanitosa e dispendiosa nell’ abbigliamento, nello sfarzo, nell’ostentazione, nella cupidigia, nella concupiscenza, nell’idolatrare il corpo umano in tutte le funzioni e prestazioni) viene deprecata e condannata dalla nascita di Gesù, che nella grotta di Betlemme ci dà un esempio singolarissimo di austerità, di distacco e di serena fiducia nella Divina Provvidenza. Salutato da semplici pastori, Gesù non pretende gli ossequi dei potenti o delle persone influenti. Si lascia invece avvolgere in umili panni e adagiare su un po’ di paglia, contentandosi, quale difesa contro il freddo dell’ambiente, del tepore generato dalla presenza di qualche animale domestico. Infine, mentre continuiamo ad essere assidui nell’applicare alla nostra anima i frutti della redenzione ricevendo l’Eucaristia e gli altri Sacramenti; mentre continuiamo a consolidare la nostra personale conoscenza della dottrina e degli insegnamenti di Gesù attraverso la lettura meditativa della Sacra Scrittura e dei documenti del Magistero della Chiesa, non trascuriamo l’imitazione di Gesù nelle virtù da Lui manifestate nella sua vita terrestre, specialmente nella sua nascita a Betlemme. Sottovalutando l’avvincente esempio impartito dal Bambino Gesù desideroso di istruirci senza proferire neppure una parola, rimarremo scarsi d’ umiltà, portati sempre di più ad essere attaccati ai beni temporali e schiavi dei piaceri che lusingano la nostra labile e fragile natura umana. Se accoglieremo, al contrario, il silenzioso invito di Gesù Bambino che ci vuole umili, sobri e morigerati, godremo di una pace interiore imperturbabile e duratura, quella cioè che dovrebbe caratterizzare ogni e qualsiasi celebrazione delle feste natalizie. I parroci