Paolo ai Romani

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vendetta (ekdikEsis), sono Io che ricambierò” (Dt 32,35) il torto che avrai quaggiù subito, dice il Signore. Sì. Egli si riserva il ricorso alla violenza punitiva, ma non t’impedisce ogni azione nei confronti di chi ti ha procurato un danno, anzi, 12. 20 al contrario, “il Dio della pace” (Ivi 15, 13) ti esorta a prodigarti per la sua sopravvivenza: “Se il tuo nemico ha fame, dagli del cibo; se ha sete, dagli da bere: facendo questo, infatti, ammasserai carboni ardenti sopra il suo capo” (Pr 25, 21-22), se egli continuerà a combatterti o, nel caso contrario, susciterai in lui il rimorso, e dunque il pentimento, d’averti combattuto. 12. 21 Insomma, non lasciarti vincere dal male, restituendo la ferita ricevuta, ma sconfiggi il male col bene. Fare il bene è l’unica risposta alla fin fine vincente. Romani 13 Nelle questioni spirituali ci si deve sottomettere alla parola d’Iddio, ma nelle faccende temporali è necessario sottomettersi alle leggi in vigore nel paese in cui viviamo 13. 1 Ogni anima (pas psuchE) sia sottomessa alle autorità (exousia) superiori (huperechO), poiché non c'è autorità, angelica o terrena, se non al di sotto (hupo) di Dio e tutte quelle che esistono, invisibili o visibili, sono sempre al di sotto (hupo) di Dio, tutte soggette al Suo giudizio. 13. 2 Quindi chi si ribella (antitassomai) all'autorità terrena, che, sapendosi essa stessa sottomessa al Suo giudizio, dovrebbe sempre corrispondere alla rispettiva autorità celeste, al “ministero degli angeli” (At 7, 53), e dunque sempre tendere esclusivamente al bene collettivo ed alla sua tutela (Cfr. Ivi 13, 4), si oppone (anthistEmi) anche alla tassativa prescrizione (diatagE) d’Iddio, e quelli che si oppongono si attireranno da se stessi il giudizio (krima) di condanna, al pari di quei loro governanti che a volte, ed anche spesso, dimostrarono d’ignorare i comandamenti assertivi d’Iddio ed infransero pure consapevolmente le Sue sante proibizioni. “Per Me regnano i re, e i magistrati emettono giuste (sic) sentenze” (Pr 8, 15), nel paese d’Israele, si legge in Proverbi, od almeno così avrebbero dovuto fare, poiché poi sarà anche detto: “Porgete” dunque “l’orecchio, voi che dominate le moltitudini, (...) l’Altissimo giudicherà” anche “le vostre opere e scruterà i vostri propositi; poiché, pur essendo ministri del Suo regno” d’Israele, “ non avete governato rettamente, non avete osservato la Legge” assertiva e proibitiva del Signore, “né avete camminato secondo il volere di Dio” (Sap 6, 2-4). 13. 3 Se infatti i governanti (archOn) non sono dei tiranni, non sono certo da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver da temere l'autorità terrena? Fa' il bene e n’avrai lode, se non sempre da lei, perlomeno dai circoncisi nel cuore, e sicuramente e per sempre dall’autorità celeste. 13. 4 Poiché, anche l’autorità terrena, quando punisce i criminali, è indirettamente al servizio di Dio per il tuo bene (Cfr. 1 Pt 2, 14); ma se tu stesso fai il male, e contravvieni la legge in vigore, allora temi, perché non invano l’autorità terrena porta la spada; poiché, per la giusta condanna di chi opera il male, essa è, infatti, al servizio indiretto di Dio. Vale a sostenere che essa esercita la funzione che fu propria del ministero mosaico della condanna in terra, anche se le sue punizioni sono ormai sprovviste d’ogni diretto valore religioso, da quando il Messia d’amore, dopo aver prima cancellato col suo sangue i peccati passati di tutti coloro che credono e crederanno in lui, con la sua eterna risurrezione, ha trasferito le giuste condanne degli impenitenti nell’escatologico giorno della sottomissione (Cfr. Rm 14, 11; Is 45, 23; 49, 18) e del giudizio universale. 13. 5 Perciò, come nelle questioni spirituali “bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” così nelle faccende temporali, è necessario stare sottomessi alle leggi in vigore nel paese in cui viviamo, non solo per timore di essere poi abbandonati a noi stessi dalla divina (At 5, 29; 4, 19),


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