Inserto di Radio 2001 Romagna

Don Gino, il prete di tutti I

“Don Gino, il prete di tutti”: potrà sembrare scontato il titolo di questo inserto che esce a due mesi dalla sua morte, ma non ne abbiamo trovato un altro.

Don Gino lo incontrai la prima volta che ero poco più di un ragazzo, credo nel 1965, quando con la filodrammatica di S. Biagio feci la prova generale di “Temp ˜ ed guëra” di Ugo Piazza nel teatro della Casa di Riposo dove si sono alternate negli anni un po’ tutte le compagnie di Faenza e della Romagna. Mi colpirono il sorriso ed il calore con cui ci accolse e la foga con cui ci presentò, mescolando in italiano ed in dialetto, incoraggiamenti, notizie sulla compagnia, trama della commedia e dialogo a botta e risposta col pubblico.

E così fu sempre tante altre volte dopo.

Nelle pagine di questo inserto, realizzato per volontà riconoscente della Filodrammatica Bertòn, sono state raccolte alcune testimonianze di chi l’ha conosciuto (ospiti della Casa di Riposo, cardinali, amici, vescovi, suore, sacerdoti, amministratori) che ci parlano di lui come di un “grande”: grande l’uomo, grande il sacerdote.

Ne viene fuori un ritratto di semplicità, schiettezza, generosità, coerenza, devozione totale e fede immensa ed incrollabile. Un don Gino “rêgan” (uragano), un vulcano in eruzione. E che lo fosse lo hanno sperimentato in tanti, dagli ospiti della Casa di Riposo (la su famèja) ai grandi papi. E alla base di tutto: tanto, tanto amore! Te lo ritrovavi guida spirituale, amico, fratello, padre e madre nello stesso tempo. Uno sguardo, un sorriso, un abbraccio, una parola, a volte anche un rimprovero, te lo facevano sentire vicino, pronto a capirti e a sostenerti sempre e comunque.

E’ stato una bella figura di prete, di quelli che più ce n’è meglio è, quindi ora è comprensibile il vuoto, lo smarrimento di molti. In questi giorni ho raccolto le confidenze di un giovane amico prete. “Quando sono stato ordinato sacerdote, i confratelli mi hanno imposto le mani, ma solo don Gino mi ha anche sussurrato ‘Burdëll, te˜ bòta’, e questa frase mi accompagna nei momenti difficili”.

Caro don Gino, tu hai raggiunto lo scopo del tuo essere uomo e prete tutto di un pezzo. Di lassù continua ad aiutarci “a tnì bòta”!

Mario Gurioli In copertina dell’inserto: don Gino ripreso mentre “mima” il Papa benedicente, quel “suo” Papa cui fu amico, per cui fu più volte scambiato, e che amò, passionalmente, con tutto sé stesso.

II

14 gennaio 1994. Stanno per iniziare i lavori che trasformeranno il vecchio teatrino della Casa di Riposo nell’odierno Teatro dei Filodrammatici, e don Gino è venuto a incoraggiare Giuliano Bettoli (a sinistra) e Luigi Mazzoni (foto di Contardo Minardi).

III

Ci sei sempre

˜ stavôlta?”.

“E mi Signór, duv andràl mai a finì neca L’ho detto tante volte a Luigi Mazzoni quando Don Gino attaccava una delle sue immancabili, fantasiose e disarticolate presentazioni, prima delle commedie che si facevano alla Casa di Riposo. Specialmente d’estate, ˜ nel giardino, fra gli alberi, davanti a tantissima gente. “E ciàpa sempar d’travérs cãmp” aggiungevo.

Don Gino era fatto così. Le aveva volute lui le commedie, da sempre, alla Casa di Riposo, come tanti altri spettacoli, fossero pure di ballerine con le coscie al vento (e sorrideva, contento, se i suoi giovanotti ultrastagionati si riscaldavano un po’ le idee...). E tutte le compagnie e le filodrammatiche, grandi, medie, piccole, piccolissime, tutte dovevano esibirsi nel teatro della Casa di Riposo. E lui, Don Gino, prima che si cominciasse, arrivava, puntuale - la sua figura energica si era un po’ incurvata negli ultimi anni ed era spuntata la zanètta - sempre con la sua veste talare, e via: il titolo della commedia, il nome della compagnia, il paese di provenienza, tutto gli dava lo spunto per attaccare il suo sproloquio in dialetto strettissimo.

Che grande attore che era. Anzi, che grande show-man! Non c’era niente da fare: Don Gino, qualsiasi cosa dicesse, ti teneva lì, non ci scappavi.

E ogni volta ti sorprendeva per come, inaspettatamente, quando ti sembrava che si fosse perso, sapeva concludere.

Sotto il fuoco d’artificio delle sue parole a strappi, di ricordi di famiglia, di battute dirette a qualcuno dei presenti, con quella sua vociaccia da popolano - che passione, ironia e amore colorivano - si scopriva, alla fine, che c’era un filo logico. E le sue parole, lo volessi o no, ti lasciavano il segno, dentro.

Ma Don Gino, anche per i suoi amici del teatro, come per tutti gli altri, sterminati, che si è fatto lungo il corso della sua vita benedetta, è stato grande, perché non solo parlava, ma “faceva”.

Don Gino “c’era”.

Arrivavamo nel suo teatro a fare una recita. Eravamo lì a mettere su un po’ ˜ di scena, arrivava anche Don Gino. “Csa t’vôl, Giuliano?” “U j avrèbb zencv ˜ al cuciêr, un candlìr cun la candéla...”. ˜ i piëtt, al furzen, bichìr, un fiàsch ad ve, Don Gino non batteva ciglio. Dopo un quarto d’ora tornava, carico a mulo di tutto il materiale che gli avevo chiesto per la recita e con in più, naturalmente, un cabarè pieno di ciambella, e vino per tutta la compagnia.

IV

Anche noi, come i tuoi amici senza fine di tutti i gruppi che sono voltati nel tuo teatro, ti dobbiamo ringraziare, don Gino, o prete carissimo e straordinario che abbiamo avuto la grazia di conoscere.

Ma noi della “Bertòn” ti dobbiamo ringraziare ancor di più perché, quando ci venne l’idea di rinnovare il “tuo” teatro della Casa di Riposo e di farne il “Teatro dei Filodrammatici” e te lo venimmo a dire per primo a te, tu, subito, senza esitazioni, ci incoraggiasti e ci caricasti di entusiasmo.

In un album conserviamo una fotografia preziosa. La scattò Contardo Minardi la sera del 14 gennaio 1994, tre giorni prima che cominciassimo a lavorare sodo. E’ quella che abbiamo pubblicato sulla terza pagina di questo inserto. Sulla porta del teatro, fra me e Mazzoni, ci sei tu, con la stola bianca sopra la veste. Mentre facevi il tuo giro a confessare, consolare e benedire i tuoi ammalati, trovasti il tempo per venire fra di noi, e regalarci, all’inizio della nostra impresa, dieci minuti della tua insostituibile presenza di prete e di uomo.

Adesso, quando apriamo la porta del camerino della regia, non vediamo più la tua immancabile bicicletta, col tuo basco sopra la sella.

Però ne siamo sicuri, don Gino. Magari solo per darci un sorridente ma deciso “cicchetto”, come facevi, perché, nonostante ce l’avessi chiesto garbatamente, qualche volta capitava, involontariamente, che con qualche martellata per piantar dei chiodi, disturbavamo te che dicevi la messa, nella tua chiesa, lì, proprio sopra il palcoscenico.

Magari solo per questo, la tua grande anima torna, anzi è qui, ancora e sempre, attorno a noi.

GIULIANO BETTOLI

V

Da una sua fedelissima

Entrai nella Casa di Riposo nell’autunno del 1961 e ricordo don Gino col mantello nero e il cappello. È rimasto sempre fedele alla sua veste di prete, anche in bicicletta.

Si recava spesso in Terra Santa e desiderava morire a Gerusalemme.

Chiamava “amici” tutti i frequentatori della sua chiesa che venivano da fuori, aveva un sorriso, una carezza, un bacio e un abbraccio per tutti. Le sue prediche, le sue funzioni non stancavano, vi inseriva frasi divertenti anche in dialetto, lo sentivamo molto vicino.

Con don Gino e il dottor Lelio Montevecchi abbiamo fatto tante gite (Trieste, Padova, Rovereto, Assisi, Firenze, Roma, Collodi, Pietralcina, S. Marino, Bologna, Redipuglia, Loreto, Ravenna, Bertinoro, Lourdes,...

Granarolo Faentino).

Ha organizzato anche tante feste da ballo con l’elezione di Miss e reginette, tanti spettacoli teatrali in italiano e in dialetto, tombole, tomboloni.

Sono venute tante compagnie teatrali, orchestre, gli “s-cioccherini”, cantanti (anche soprani e tenori!), ballerini.

Insomma, don Gino era una splendida perla di sacerdote, un santo sul labbro di molti.

Prego per lui che Dio l’accolga presto in Paradiso, vicino alla Madonna della quale era tanto devoto.

Egli ha molto sofferto in vita e ha voluto bene a tutti. Parta dalla terra al cielo.

A lui il saluto della sua fedelissima Beatrice D'Amato di 88 anni.

BEATRICE D’AMATO

VI

Domenica, 22 ottobre 1995. Nell’ingresso del Teatro dei Filodrammatici si inaugura il grande pannello in ceramica, opera di Luigi Timoncini e realizzato nella Bottega Gatti. Sopra: don Gino abbraccia Timoncini, amico da sempre. Fra di loro Raffaele Errani (il famoso barbiere “Rafëll”).

Sotto: don Gino benedice l’opera d’arte. Oltre a lui si intravvedono Claudio Foschini e signora, Secondo Ricci e Aurelio Costa (foto Capucci).

VII

È stato un vero pastore

Noi della Casa di Riposo abbiamo avuto la fortuna di vivere a fianco di Don Gino, godendo di tutta la sua spiritualità e del suo carisma ineguagliabile. Non è facile per me tentare di far capire quel che ha rappresentato per noi e che comunque continuerà a rappresentare: i veri sentimenti sono sempre difficili da spiegare.

Don Gino era capito e rispettato da tutti: dai bambini agli anziani. È stato un vero pastore per ogni “pecorella smarrita”. La sua presenza ci è stata di conforto fino all’ultimo giorno anche se purtroppo da tempo le sue precarie condizioni di salute lo costringevano a letto con suo profondo rammarico.

Amava chiamarci la sua famiglia e così in effetti era. Tutti noi abbiamo potuto apprezzare le sue parole e i suoi consigli che nel momento del bisogno ci veniva spontaneo chiedergli.

Anch’io mi sono confidata con lui; i miei dubbi, le mie perplessità li ha affrontati con schiettezza, a volte con ironia, ma soprattutto con grande “spirito pratico”. Un giorno mi fermò e mi chiese se avevo risolto i miei problemi di cui tempo indietro gli avevo parlato; non si era dimenticato di me e gli credevo veramente quando diceva che mi ricordava nelle sue preghiere; io, ma credo anche altri, non ci sentivamo mai abbandonati.

Don Gino amava premiare con le sue parole e con una medaglia tutti i dipendenti che andavano in pensione partecipando con loro alle feste di addio e alle cene degli ex dipendenti perché non ci si doveva dimenticare della Casa.

Per Natale e per Pasqua ci teneva ad incontrare tutto il personale distribuendo personalmente un suo ricordo unitamente alla benedizione ed agli auguri.

Per lavorare in una Casa di Riposo ci vorrebbe tanto amore, carità e pazienza, e Don Gino ha fatto in modo di ricordarlo sempre a tutti con la sua costante presenza fisica e spirituale.

ANNA MARIA FARINA DANILO BERTONI

VIII

Giovanissimo seminarista: 1930 circa.

IX

Don Gino, un prete dalla volontà di ferro

Fino a quando Enrico De Giovanni non me lo fece conoscere più a fondo, per me Don Gino era solo un prete, un “buon prete” a cui era stato affidato il compito di assistente spirituale dei cronici. Ma non tardai molto a scoprire chi era veramente e di che pasta era fatto.

Fin dal nostro primo incontro, infatti, Don Gino mi “colpì” direttamente al cuore, quando, sentito il mio cognome e facendo il gesto di dare forza, di “ingrossare” il muscolo del braccio, con la sua abituale spontaneità mi disse che per occuparsi di anziani ci voleva “una volontà ferrea!”.

Cominciai così a conoscerlo meglio. E quell’espressione, che ripeteva ad ogni nostro incontro - sono stati davvero tanti -, è diventata uno dei leitmotiv del mio agire. Don Gino chiedeva una volontà “ferrea”, non tanto per la cura e l’attenzione agli anziani, che pure esigeva e che come Amministrazione abbiamo cercato - e cerchiamo - di dare, quanto per sconfiggere la solitudine e l’abbandono che la città - noi faentini - poteva mostrare verso i suoi e nostri vecchi. Grazie a lui abbiamo maturato questo impegno solidale, che, facendo memoria della sua testimonianza, dobbiamo continuare a mantenere e, se possibile, ad accrescere.

Dopo quel primo incontro con lui, nella mia funzione di assessore ai servizi sociali (ma non solo in quella, naturalmente), ho assistito anche alle performance di Don Gino nei momenti conviviali, ad esempio quando lui, alzando il suo bastone, intonava le tradizionali cante romagnole. Altresì, ho partecipato alle messe da lui “recitate”, ascoltando in particolare le sue appassionate omelie, sempre intercalate da espressioni tipicamente dialettali. Tutti questi sono stati momenti di profonda crescita umana e spirituale, ma anche di intensa commozione: mi hanno aiutato molto ed hanno aiutato anche i miei figli, i quali, senza che io lo sapessi, di sera frequentavano diversi momenti “guidati” da Don Gino.

Ci mancheranno. Mancheranno a tutta Faenza, la quale - ne sono certo - conserverà nel suo cuore solidale il santo insegnamento di quest’uomo di Dio. ELIO FERRI

X

Giovane prete.

XI

Minta e la sua famiglia

Minta, ovvero Clementa, ha sposato Arturo Quarneti che fa il muratore, due figli, Piero del ’36, Nives del ’38, abitano in Borgo di fronte alla Commenda in casa di Baról.

Il 2 maggio 1944 è martedì, quella mattina l’allarme è suonato due volte ma poiché non succede mai niente la gente non ci bada, solo i fifoni sfollano fuori porta. È ora di mangiare. È quasi la mezza, “Piero, in duv sràl andê che burdël - domanda Arturo - Minta, a voi magnê, a j ò da andê a lavurê”. Minta prende su, oltrepassa Porta delle Chiavi, sta per voltare a sinistra nel vicolo d’ Paduli, là in fondo ci stanno i parenti, Piero dovrebbe essere là. È di fronte alla casa dei Bassi, i Gurgõ, nemmeno si accorge che li ha ormai sopra, piuttosto bassi, una trentina di aerei, sembrano venire da S. Lucia e puntare verso la Stazione.

I Faentini non conoscono ancora il ruggito spaventoso dello sganciamento, quasi uno sferragliare di rotaie impazzite, sempre più forte, sempre più forte... “duv sràl che burdël...” una ventata violentissima... Minta cade, perde conoscenza, sprofondano le case dei Gurgõ. Il finimondo si è scatenato sul nord-est di Faenza, ventotto B 24 Liberator hanno sganciato bombe da 1000 libbre puntando il ponte ferroviario sul Lamone, colpiscono invece Borgo, Borgotto, Porta Ravegnana, la Cavallerizza e il Cavalcavia, cilecca piena sul ponte. È il caos, nuvole di fumo e di polvere rossa, case crollate, urla di feriti, gemiti soffocati sotto le macerie, circa settanta morti.

Le autoambulanze, i Vigili del Fuoco, procedono a zig zag nelle strade sottosopra. Don Gino inforca la bicicletta, attraversa il Borgo a grandi falcate, dopo Porta delle Chiavi volta a sinistra, sull’orlo di un cratere c’è qualcuno semicoperto di terra e macerie in una pozza di sangue; la Croce Rossa si è fermata un attimo di fronte a quel corpo, l’hanno guardato, sarà morto, avanti, niente da fare. Don Gino invece si ferma, è una donna, respira ancora, tanto sangue ma è ancora viva, si toglie la veste e le avvolge il corpo e la testa, chiama aiuto, arrivano i Vigili del Fuoco, la barella, l’ospedale. Anche qui medici e infermieri in tilt, feriti gravi, moribondi, i primi morti. Il dott. Augusto Ginnasi, aiuto chirurgo del professor Lesi, visita Minta un po’ in fretta: emiplegia destra, coma leggero, ampia ferita penetrante nel parietale sinistro, ematoma intracerebrale. Gliela farà? Sì, gliela fa. Pochi giorni dopo viene operata, è bravo il dottor Ginnasi, le aspira l’ematoma, regolarizza la breccia ossea, per fortuna la scheggia ha solo tranciato e non è penetrata.

XII

Anni ‘50. Al centro: Benigno Zaccagnini con don Gino.

Minta si sveglia, sta meglio, rimarrà emiplegica, borbotta, dovrà reimparare a parlare, col tempo imparerà a far tutto con la sinistra, persino la sfoglia, le belle treccione di Nives e i calzini di Piero, aiutandosi con la bocca, con le ginocchia, una volontà d’acciaio.

Ora Minta ha 89 anni! Ma la sua famiglia è passata di dolore in dolore: per Nives, una splendida ragazza, a diciassette anni è sclerosi a placche; Piero se ne va a trentotto anni per incidente stradale. Dopo dieci anni è la volta di Arturo in soli tre giorni.

Minta e Nives insieme da una vita, molti le aiutano, ogni tanto arriva Don Gino in bicicletta: “Forza Minta, forza Nives!”.

ARTURO FRONTALI XIII

Una medàja par Don Gino

Mi è stato chiesto di raccontare qualcosa di Don Gino, dal momento che ho trascorso più di trent’anni come dipendente alla Casa di Riposo.

Cercherò di farlo, raccontando ciò che ho provato negli ultimi momenti in cui la salma era presente in mezzo a noi.

La messa è da poco finita. La gente che gremisce la piccola chiesa comincia a muoversi, parte verso l’uscita e parte verso la bara. È questa l’ultima occasione di vedere colui che è stato un grande prete.

Siedo in un banco non molto lontano dalla salma; gli addetti cominciano i preparativi per chiudere la bara. Quanti pensieri e quanti ricordi si accavallano ora nella mia mente...

Il mio primo pensiero va a Don Gino sacerdote, proprio qui, nella sua chiesa. Qui, dove tutto parla di lui, dove ha tanto insegnato, ascoltato, pregato per tutti, particolarmente per noi del personale e per le nostre famiglie. Egli vedeva tutti noi, personale e ospiti della casa, come una grande famiglia, la famèia d’la Ca’ ad Ripôs.

Ancora, Don Gino sacerdote, chissà quante volte è corso al letto di morenti e li ha indirizzati con affetto verso il Paradiso! Ricordo mio padre, che nel ’63 lasciava questo mondo assistito proprio da lui. Mia madre, quasi novantasettenne, ricorda ancora con quante belle preghiere seppe accompagnare mio padre a vita migliore.

Grazie Don Gino!

Poi penso a don Gino dipendente, collega e amico di tutti. Teneva moltissimo che lo considerassimo uno di noi; per cui partecipava sempre volentieri ai nostri incontri, alle uscite serali per una pizza, alle gite. Era vicino a tutti noi, specialmente nei momenti difficili, comprese le rivendicazioni sindacali.

Ricordo che in occasione del famoso sciopero del ’68, rimase sempre al nostro fianco, in quella che per noi fu l’ultima vera astensione dal lavoro.

In seguito, anche grazie ai suoi consigli, seguimmo forme diverse di contestazione. Mi piace ricordare un episodio avvenuto proprio durante quello sciopero.

Un nostro caro collega, che qui chiameremo Giovanni, si trovò a casa dal lavoro a seguito di un infortunio e con tanto di certificato medico.

Venne ugualmente a trovarci, mentre noi tutti scioperanti bighellonavamo fuori e dentro la Casa. Subito manifestò rammarico per il fatto di non poter essere solidale con noi. Allora Don Gino, che aveva ascoltato, venne XIV

1968, clinica S. Pier Damiano, battesimo di Valentina Lega. Da sinistra: Anna Lega, Adelmo Rambelli con in braccio Chiara Lega. Sotto: Maria Padovani con Gabriele Lega e Marco Sami, Francesco Sami, don Gino che tiene in braccio Paolo Sami, Marisa Rambelli con Valentina Lega, Meris Camerini, Bruno Lega, Elena Rambelli, quindi Mario, Paolo e Armando Lega.

1946, a S. Stefano. I bambini della Prima Comunione. Don Gino, cappellano e, seduto al centro, il parroco mons. Domenico Balbi. Sopra di lui si riconosce Piero Baccarini (foto Gorini).

XV

subito in aiuto del povero Giovanni con una proposta. Gli disse: “Forsi un môd u i’è par èsar sulidêl cun i tu culéga...”. “Che dèga, che dèga” ˜ de més - riprese Don Gino - t’ve insistette Giovanni. “Quãnd che a la fen ˜ a tur e stipendi, i suld che t’ciaparé ad piò di tu culéga, t’ai divìd cun lo!”.

Giovanni, a quel punto, non disse più nulla e si allontanò. Vorrei comunque precisare che forse ciascuno di noi si sarebbe comportato come Giovanni.

Grazie, Don Gino, per tutto quello che hai rappresentato per tutti noi.

E se in qualche occasione abbiamo dimostrato un briciolo di carità in più verso i nostri ospiti, lo dobbiamo principalmente a te!

Ho pensato a Don Gino in molte altre versioni: da animatore a presentatore, a pellegrino... ma lascio ad altri il compito di parlarne.

A me sta a cuore parlare del rapporto che Don Gino ha avuto con il teatro. Era un grande appassionato e quindi un grande esperto. Era innamorato del teatro e di tutti quelli che lo praticavano, ma in particolare credo fosse legato a noi, che all’interno della Casa avevamo formato una compagnia. Andava orgoglioso di noi e, quando poteva, ci seguiva nei piccoli spostamenti che la compagnia faceva nei teatri vicini. Raramente si confrontava con noi a tu per tu, ma durante le sue omelie e in altri momenti di incontro, non perdeva occasione di complimentarsi con noi e di dare suggerimenti. Tutto questo ci aiutava e ci spronava a migliorare.

Grazie, Don Gino, credo che senza il tuo sostegno la compagnia non sarebbe mai esistita!

Ricordo con affetto ciò che era solito fare con la nostra e con tutte le altre compagnie che animavano il teatro della Casa: saliva sul palco, chiamava tutti gli attori e consegnava loro una medaglia dicendo queste parole: “A ˜ a S.Pìr che un m’aracmãnd, tnìla da cõnt, acsè quand che a v’truvarì dnez pô ad Rumagnôl u l’ha d’aver adòs, a tirì fura sta medàia che la sta a ˜ a fê divartì i su anzie. ˜ A significhê, che a si sté a la Cà ad Ripôs ad Feza, glia fasì d’avdé e lò u v’ dirà: Avãnti! La pôrta l’è spalanchêda!”.

Penso a Don Gino ora, davanti a S. Pietro e mi figuro così il loro dialogo: S.P.: Oh! ... Don Gino!....T’sì a qua te!

D.G.: (intimidito) E sè.

S.P.: L’è un pô che a t’aspët.

D.G.: Beh!...Cio...T’se cum l’è!...intãt...

S.P.: Za... Za... A t’avleva dì che ta t’ si divartù un pô tròp in t’al tu prédgh ˜ a tirê sempar fura ste S. Pìr ! ˜ ad tott.

D.G: Beh!.. Me a l’ faséva par e ben S.P.: Sè... Sè,a j ho capì! L’è bõna la scusa! Piotòst, a l’èt avanzêda una medàia?

XVI

Con l’Unitalsi a Loreto, probabilmente nel 1952 o 1953. Dall’alto e da sinistra: ... Ancarani, Maria Babini, il dott. Giovanni Pezzi, il dott. Luigi Gambetti, don Gino, il dott. Giuliano Cenni, Luigi Gentilini, Gabriella Rivalta, Giulio Prati, Giuseppina Magnani, Giulio Maiolani, Sara Lotti, Battista Liverani (“Batësta d’Campàzz”), Vincenzo Muzzi, Armando Lusa, Concetta Gallegati, don Matteo Arbacci parroco di S. Maria Nuova, Lea Cantagalli, Guglielmina ..., Antonia Gallegati, Pensalfini ..., Antonietta Ciani, Franca Biserna, Rosina Caglia, Vincenza Melandri, Giovanna Giacomoni, Marcello Taroni, Teresina ..., Maria Venturelli, Rino Vittoriani, Luisa Bacchilega, Gemma Ragazzini, Paola Berdondini, Giovanna Rondinini, Maria Santandrea, Alba Sami (foto Talevi - Loreto).

Agosto 1989, festa tra i dipendenti della Casa di Riposo per il 50° di sacerdozio di don Gino. Da sinistra: Mario Moschini, Giorgio Giorgetti, Paola Zampighi, Anna Maria Farini, Angela Bentivogli, Ermanna Montanari, Lea Graziani, Maria Grazia Gatti, Ardea Benini. Seduti: don Gino tra i suoi fratelli: Guerrino, Lucia e padre Alfonso.

XVII

D.G.: Una medàia?... No, agl’ho dêdi vèia toti! ˜ a te!

S.P: T’e fat mêl. Õna la t’faséva bõ neca D.G: Mo me... a cardéva.... (in quell’istante arriva un angelo) A.: Pietro!Pietro! C’è Dio Padre al telefono. Mi sembra molto arrabbiato!

S.P.: (prendendo il cellulare) Pronto? Sono Pietro.

DIO P.: Lo so. Volevo dirti: ma cosa stai aspettando? Perché non fai entrare subito Don Gino?

S.P.: Sì sì lo faccio subito. Stavo solo un po’ scherzando; lo ha fatto tanto lui con me!

DIO P.: Fallo entrare subito! Non sai che ci sono centinaia di persone che lui ha portato in Paradiso e che lo aspettano per fargli festa? (S. Pietro va subito ad aprire la porta e si rivolge a Don Gino). ˜ S.P.: Don Gino, “avanti”!

(Don Gino non si fa pregare e si avvia deciso a fare il suo ingresso in Paradiso. Ma S. Pietro, proprio quando Don Gino sta per varcare la soglia, allunga una gamba per fargli un piccolo sgambetto. Don Gino, però, è già passato oltre). ˜ stavôlta!

S.P.: Bòia d’un prìt! U m’ha pu tôlt in zir neca La bara è ora definitivamente chiusa e si appresta a lasciare la chiesa.

Caricata su un carrellino prima e portata a braccio poi, viene messa sul carro funebre. Alcuni momenti di attesa, poi il carro si mette in movimento, per immettersi sulla strada. Io rimango solo nel cortile della Casa; seguo con lo sguardo il piccolo corteo che si allontana fino a scomparire.

Chiudo un momento gli occhi, nel tentativo assurdo di far tornare indietro il nostro tempo...

Poi li riapro, mi giro verso la vecchia Casa. La giovane direttrice dei piani protetti è sulla porta. La saluto con un cenno. Lei ritorna al suo lavoro ed io, lentamente, verso casa.

ANGELO GALLEGATI

XVIII

1958. Incontro degli infermieri dell’Ospedale Civile alla Casa di Riposo con don Gino per la festa di S. Giovanni di Dio, patrono degli infermieri. Dall’alto e da sinistra: una bambina, Giovanna Bacchilega, Franceschino ..., Antonio Vitali, don Gino, Pietro Santandrea, don Graziani, Alfredo Bassi, Romano Bassi, Franco Nadiani, Pierina .... Seconda fila: Anna Venturi, Giovanna Berardi, Pierino Naldoni. Terza fila: Eziana Gavelli, Franca Malavolti, Tomaso Zama, Antonio Folle, Maria Antonietta Fabbri, Italo Fiorentini, Lelia Cortesi, Rinaldo Masini.

La platea del teatro della Casa di Riposo al completo di ospiti - spettatori, negli anni ‘60. Sulla destra si nota “Masì”, tipico e indimenticabile personaggio faentino.

XIX

Don Gino e la Terra Santa

Da giovane sacerdote Don Gino visitò per la prima volta la Terra Santa con un gruppo di pellegrini organizzato dai Paolini di Milano: ne ebbe egli mi disse - una forte impressione, nonostante che la visita fosse piuttosto rapida, e da allora coltivò nel cuore il desiderio di tornarvi.

L’occasione gli si offrì quando il Papa Paolo VI, nel 1969, mi nominò suo Delegato Apostolico in Gerusalemme e Palestina. Allora, prima di partire da Faenza, rivolsi a Don Gino l’invito di venirmi a trovare ed essere mio ospite per tutto il tempo che avesse voluto: gli avrei offerto l’ospitalità della casa ed ogni altro servizio di cui avesse avuto bisogno.

Non se lo fece dire due volte! Naturalmente, non avrebbe potuto lasciare la Casa di Riposo “sguarnita” di Cappellano per molto tempo, e trovare un sacerdote che lo sostituisse non gli fu facile. Ma alla fine Don Gino poté prendere il volo e raggiungermi a Gerusalemme, alla mia residenza sul Monte degli Ulivi. Arrivò il 15 ottobre 1971, e rimase con me per una quindicina di giorni. Ho detto “rimase”, ma questo è un modo di dire, poiché egli non stette mai fermo! E fu proprio in quelle due settimane che Don Gino fu invaso da un “virus”, da cui non poté più liberarsi, e che gli mise nel cuore un fuoco bruciante di passione e di amore per la Terra Santa.

Durante quei giorni ebbi modo di accompagnarlo in macchina in Galilea, a Nazareth, a Cafarnao, al Monte delle Beatitudini e sul Monte Tabor, sul quale egli volle salire a piedi, faticando non poco! Ci recammo anche a Cesarea di Filippo, alle pendici del Monte Hermon, dove sorge il Giordano: una parete di roccia vermiglia si erge a picco in quella località: là Gesù ricevette la confessione di fede di Pietro, e Pietro ebbe in cambio la promessa del potere delle chiavi del Regno, ascoltando dalle labbra di Cristo quelle profetiche parole: “su questa pietra (o roccia) edificherò la mia Chiesa”. In Don Gino la visita a Cesarea di Filippo lasciò un segno indelebile, e gli servì per consolidare la propria fede in Cristo, ed il proprio attaccamento al Successore di San Pietro, il Papa: un attaccamento di devozione e di amore quasi “viscerale”.

Lo portai pure al Monastero di Santa Caterina, presso il Monte Sinai, ed in Giordania: egli volle visitare i malati dell’ospedale della Sacra Famiglia gestito dalle Suore Comboniane e la Comunità delle Suore di Madre Teresa di Calcutta, che erano da poco arrivate ad Amman per farsi carico dell’assistenza ai profughi palestinesi. In ogni luogo Don Gino XX

Gerusalemme, settembre 1972, nella residenza della Delegazione Apostolica. Da sinistra: mons. Pietro Sambi, mons. Pio Laghi, Delegato Apostolico, padre Alfonso (fratello di don Gino), don Gino con la sorella Lucia.

Novembre 1999. La Delegazione Apostolica è diventata Nunziatura e don Gino è col Nunzio Apostolico, il romagnolo Pietro Sambi che ha “imposto” il proprio zucchetto episcopale sulla testa del cappellano della Casa di Riposo di Faenza.

XXI

faceva sentire l’amore che portava a chi soffre, e lasciava un segno della sua generosità e del suo buon cuore.

Ma dove egli concentrò la sua attenzione fu su Gerusalemme, Betlemme e Nazareth: partiva la mattina presto, a piedi, dal monte degli Ulivi, con bisaccia e bastone come un pellegrino, e visitava ogni luogo che aveva a che fare con la vita di Gesù: acquistò, così una conoscenza ed un’esperienza che, credo, pochi avessero di Gerusalemme! Così dicasi di Betlemme e di altre località della Terra Santa. Tornava la sera tardi, e dopo cena, ci fermavamo sulla terrazza della casa, ad ammirare dall’alto la Città Santa brulicante di luci ed io ad ascoltare il racconto delle cose viste o “scoperte” che Don Gino mi faceva. Non dimentico mai quei suoi commenti al Vangelo, le sue riflessioni, le applicazioni alla propria vita; e con quale entusiasmo e vivacità me le comunicava!

Prima di chiudere questo mio discorso su “Don Gino e la Terra Santa”, non posso non menzionare due opere in cui egli aveva posto il cuore e la mano; Effeta,(Istituto Paolo VI per bambini sordo-muti) e Ospizio San Vincenzo gestito dalle Suore della Carità: il primo si trova a Betlemme e l’altro ad Ain Karem, e si prende cura di quegli esseri umani venuti al mondo menomati o vittime di infermità deformanti ed inguaribili.

Immancabilmente Don Gino, le molte volte in cui si è recato in Terra Santa, alla guida di pellegrinaggi, si è reso presente alle due opere, portando a quei “piccoli” ed alle Religiose che li assistono il conforto e l’incoraggiamento di parole che gli uscivano dal cuore, e l’aiuto materiale, sempre di notevole peso, che estraeva dalle sue tasche.

Don Gino, dovunque in Terra Santa, presso ogni santuario od ogni istituzione, presso i Frati della Custodia, le Suore, i laici, era diventato una figura ben conosciuta, familiare e “di casa”: in tutti la sua scomparsa da questa terra lascia un grande vuoto. Ma egli, ne sono certo, ora ci sorride dall’alto, dalla Celeste Gerusalemme; ed a me, sento che mi ripete: “mi hai contagiato, don Pio; mi hai fatto prendere un “virus” dal quale non sono mai stato capace di liberarmi!”.

CARDINALE PIO LAGHI

XXII

Casa di Riposo, cinquantesimo di Messa. Da sinistra: suor Agostina, Angela Bentivogli, suor Maurilia, suor Anna, Ermanna Montanari, suor Domenica, don Gino, suor Bernarda, Anna Maria Farina, suor Ildefonsa, suor Elia, Maria Grazia Gatti e suor Agostina Ragazzini.

Anni ‘60, nella nuova Casa di Riposo. Da sinistra: il cardinale Amleto Giovanni Cicognani, don Gino, Paolo Geminiani, Elio Assirelli sindaco, il vescovo mons. Giuseppe Battaglia, Giuseppe Sangiorgi.

XXIII

Una suora che gli fu accanto

Mentre scrivo ripenso a quell’indimenticabile lunedì 16 ottobre e mi sembra tutto impossibile: la telefonata mi avvertiva che don Gino, il carissimo don Gino con il quale avevo condiviso tanti anni della mia consacrazione religiosa al servizio degli anziani era entrato “in orbita”, aveva raggiunto il traguardo di quel suo infaticabile e travolgente “salir, salir, sempar piò so” e aveva fatto, questa volta realmente, un salto in alto e, senza l’impedimento degli acciacchi alle ginocchia per i quali però non si esonerava mai dal fare qualche salto di gioia anche durante la celebrazione della S. Messa, aveva raggiunto il cielo, il suo bramato Paradiso.

Quella telefonata aveva bloccato il mio terzo tentativo di partire per Faenza per fargli visita, un dolore profondo mi colmò il cuore assieme ad un intimo senso di vuoto. Anche se da diversi anni ero stata trasferita da Faenza a Reggio Emilia tuttavia il pensiero che Don Gino c’era e che avrei sempre potuto incontrarlo o sentirlo mi dava coraggio, mi accompagnava e mi sosteneva nelle difficoltà del mio nuovo incarico.

Ora non c’era più e il mio non averlo potuto salutare un’ultima volta mi dava, come mi dà tuttora, un senso di indefinibile tristezza, mentre riaffioravano alla mente tanti, tantissimi ricordi.

Quanto gli sono riconoscente non solo per l’esempio di dedizione incondizionata ad ogni persona, per il suo essere Sacerdote in pienezza, per la sua autentica paternità spirituale: sì, don Gino non era solo il Sacerdote, era soprattutto un padre e portava nel cuore il seme fecondo dell’amore di Dio che sapeva trapiantare e far germogliare anche attorno a sè, anche in me.

Ricordare don Gino vuol dire ricordare una persona dal grande cuore che accoglieva e amava tutti, che non conosceva nemici ed era sempre disponibile ad ascoltare, consigliare, aiutare e soprattutto ad accompagnare nel cammino di fede.

Suscitava simpatia, sicurezza, fiducia e ci si sentiva amati: la sua accoglienza non aveva orari, non esistevano per lui giorni di riposo o ferie, era solito dire: “Le ferie le farò in Paradiso”.

Quanti anni abbiamo vissuto assieme cercando di alleviare la tristezza, la solitudine di tanti anziani ricoverati presso la Casa di Riposo di via Pascoli (I Crõnich).

La povertà era grande, grande come la casa priva di riscaldamento e con enormi stanzoni, grande anche il senso di solitudine e la tristezza disegnata sui volti stanchi di quanti ne varcavano la soglia per venire ad abitarvi col XXIV

1989. Don Gino scende all’aereoporto di Tarbes, in uno dei suoi pellegrinaggi a Lourdes.

XXV

pensiero o il timore di non rivedere più, o almeno pochissime volte, i propri cari.

Ma i Crõnich avevano un cappellano d’eccezione: Don Gino, e lui il cuore l’aveva così grande da amare tutti, da riscaldare tutti con la sua paterna bontà, con la sua fede forte, tenace, con il suo entusiasmo, e così bastava poco tempo a quegli anziani per sentirsi in famiglia, c’era “lui” con la sua personalità così incisiva, paterna, fraterna e sinceramente amica e si sentivano amati e protetti. È difficile dimenticare le soste nel cortile davanti alla Madonnina, là ci faceva toccare il cielo cantando con tutta la voce, che lui e noi, ospiti compresi, avevamo “Andrò a vederla un dì”, e concludendo sempre con i suoi esplosivi “Alleluia, Alleluia” quasi fossimo già arrivati nella Gerusalemme celeste; lui certamente con lo spirito vi era già, altrimenti come avrebbe potuto trasmetterci tanta pace e felicità!

Quanti ricordi meravigliosi di quegli anni porto nel cuore!

Uno fra tanti per sottolineare la sua sensibilità ed attenzione verso i nostri “piccoli”.

Nella notte dell’Epifania Don Gino, tutto incappucciato da “Befana”, trascinando un carretto entrava nelle camerate, andava vicino ad ogni letto e lasciava una calza, dentro c’erano poche e povere cose, ma tanto amore da suscitare serenità nei ricoverati lontani dai loro cari e infreddoliti.

Anche per noi, che dovevamo provvedere alle varie necessità ed all’assistenza, i disagi non mancavano, anzi a volte aumentavano, ma lui, proprio in quei momenti, riusciva a farci cantare, voleva che il nostro cuore fosse sempre pieno di gioia, che nulla, nemmeno le normali preoccupazioni, trapelasse dai nostri volti, dalle nostre parole, tutto doveva svolgersi in un clima di serenità e di letizia con lo sguardo sempre fiduciosamente proteso verso Dio. La sua fede e la sua fiducia in Gesù e Maria erano le armi vincenti per aiutare e proteggere i nostri, i “suoi poveri”.

Aveva un grande desiderio: dare agli ospiti “a la mi famèja”, come diceva, una nuova casa accogliente, riscaldata. Quanto si è prodigato senza sosta per ottenere i mezzi per realizzare questo suo progetto!

Ricordo un episodio particolare; la costruzione della nuova casa era già in corso, ma se ne protraeva l’ultimazione per mancanza di risorse economiche.

Si avvicinava l’inverno e in Don Gino si rifaceva strada il pensiero dei “suoi” al freddo. Allora un giorno scrisse un biglietto e lo mise sotto la statua della Madonna, quale sia stato lo scritto non lo so, però dopo pochi giorni arrivò il denaro necessario e la nuova casa fu presto terminata.

Grandi cambiamenti portò la nuova Casa che si chiamò “Casa di Riposo”.

Uno dei più importanti il coinvolgimento dei cittadini invitandoli a trascorrere parte del loro tempo libero in compagnia degli ospiti, a giocare XXVI

Con Mons. Loris Capovilla, segretario di Papa Giovanni XXIII, poi Vescovo di Loreto.

XXVII

a carte con loro, a organizzare feste, ecc. Ognuno si sentiva accolto e partecipe della grande famiglia e gli ospiti, a loro volta, si sentivano valorizzati ed amati.

Don Gino con la sua simpatia era un punto di attrazione e così si allargava sempre di più il cerchio degli amici attorno agli anziani: il grande desiderio di don Gino di vedere aumentare la gioia e il sorriso sui volti rugosi e stanchi dei suoi “beniamini” finalmente si stava realizzando: l’accoglienza e l’amicizia e, soprattutto, la sua grande fede avevano compiuto il prodigio.

Tutti aiutavano per rallegrare le sue belle e numerose iniziative, possedeva veramente la fantasia dello Spirito. Come non ripensare in particolare all’inaspettata elezione di “Miss Casa di Riposo” con tanto di palco e di giuria!

Aveva uno spirito sempre giovanile nonostante il passare degli anni.

Riscuoteva simpatia e benevolenza da tutti; il personale della Casa, da lui tanto amato, ad un suo cenno era pronto ad aiutare, fuori orario di servizio e gratuitamente, per organizzare feste, gite, mostre, commedie, gare di bocce, di beccaccino, di ballo, ecc.

Ma don Gino, l’amico degli anziani, era soprattutto l’amico di Dio. La Chiesa, costruita al centro del grande edificio, ne era il cuore e soprattutto il luogo privilegiato da don Gino. Grazie alle sue iniziative ed all’amicizia di illustri cittadini ed artisti, di lui innamorati, divenne sempre più bella, ornata di tante ceramiche a lui donate.

La Santa Messa era per lui il momento più importante della giornata, il dono più grande da condividere in clima di festa e di famiglia.

La parola di Dio veniva da lui “sbriciolata”, resa viva con esempi semplici della vita quotidiana che tutti gli ospiti riuscivano a capire e che rafforzava con battute in dialetto romagnolo di una forza ed efficacia tutte particolari.

L’omelia spesso era colloquiata con tutti gli ospiti da Masì alla Néna e così la Messa prendeva il calore di una vera comunione familiare; alle autorità, Cardinali, Sindaco compreso, che spesso venivano alla Messa diceva: “Questi sono i miei capitali”. Ripeteva spesso che “la Casa di Riposo è la palestra, il trampolino di lancio per andare in cielo”.

E quanti canti a settanta e a ottanta voci! “Gli altri, lui diceva, cantano a tre voci, ma noi li superiamo!”.

Non c’era tempo liturgico che non venisse da lui solennizzato senza coinvolgere l’intera casa e così durante l’anno si susseguivano processioni e suggestive funzioni: corridoi, sale da pranzo, ingresso si rivestivano di fiori, addobbi, cartelloni e ovunque risuonavano canti. Tutti erano felici anche gli ospiti impediti che attendevano nelle rotonde il passare del Santissimo o delle fiaccolate. Si creava allora un clima di fervore che aiutava a superare qualsiasi difficoltà e a rendere bello tutto.

XXVIII

In Terrasanta, pellegrino e ... beato, in momentaneo riposo in una nicchia della sinagoga di Cafarnao.

Ottobre 1993.

XXIX

La sua audacia, la sua capacità di coinvolgere erano uniche. Anche il Santo Padre, Giovanni Paolo II, è stato “afferrato” ed è venuto a visitare la nostra Casa, la famiglia della Casa di Riposo: giornata indimenticabile per tutti, ma soprattutto un grande regalo per don Gino, ammiratore entusiasta del Papa, instancabile pellegrino al Vaticano.

Penso che quel giorno abbia cancellato, se erano da cancellare, tutte le fatiche, le preoccupazioni, le veglie, ecc. sostenute da don Gino per realizzare fino in fondo il ministero di padre, di pastore, di amico e fratello.

Quale gioia sul volto di don Gino mentre assicurava il Santo Padre che “gli ospiti della Casa di Riposo sono il carburante per aiutarla”.

La sua grande fede, il suo grande fervore, la sua capacità di suscitare tanto entusiasmo da infondere, in coloro che avvicinava, amore, speranza e gioia e la sua instancabile disponibilità, gli venivano dalle lunghe ore di preghiera.

Anche a notte inoltrata lui era là nella sua Chiesa davanti al Santissimo.

Lo intravvedevo, quando mi recavo nel coretto del primo piano per l’ultima visita al Signore, camminare nella penombra silenziosamente con in mano la corona del Rosario o inginocchiato ed assorto. Chissà quali colloqui in quel silenzio notturno interrotto a volte dallo squillo del telefono che segnalava che un ospite era grave. Allora sospendeva subito la preghiera, correva vicino al malato per portare il conforto con la sua presenza e la sua parola sempre così rasserenante.

Quanti ospiti ha aiutato ad avvicinarsi a Dio! Quanti ha accompagnato all’ultimo incontro con Lui! Quanti è riuscito a rappacificare infondendo la forza per andare avanti più sereni!

Quanto tempo dedicava a loro anche durante il giorno!

Specialmente quando erano ammalati, restava accanto al letto con tanto amore come se nessun’altra cosa dovesse fare.

Ma don Gino c’era non solo per gli anziani, c’era per tutti.

La sua sagrestia era luogo d’incontro con ragazzi e ragazze in ricerca vocazionale, con giovani coppie, con famiglie, ecc.: nessuno era escluso dal suo ministero, tutti accoglieva, a tutti voleva donare la luce, la forza della fede, lui stesso ne era un faro luminoso, calamitante.

Da quella sagrestia ho visto partire per un definitivo cammino di consacrazione tanti giovani ed ogni volta ho reso grazie a Dio per la fecondità del suo Sacerdozio ed oggi, che don Gino è giunto là accanto a Lui, dal mio cuore sale spontanea e fiduciosa una preghiera: “O Signore, fa che i semi di fede seminati da don Gino nella Casa di Riposo e in tanti cuori giungano a maturazione ed il suo Sacerdozio si prolunghi oggi in coloro che Tu hai voluto fossero da lui protetti, consolati, amati, guidati e formati”.

XXX

Con Paolo VI, uno dei “suoi” papi (foto Felici, Roma).

Grazie a don Gino, un povero grazie a nome di tutti gli ospiti che abbiamo accolto nelle nostre Case, la vecchia e la nuova, a nome di quelli di oggi e di quelli che il loro grazie hanno già detto al suo arrivo in Paradiso, ma soprattutto grazie, un povero, ma sincero grazie per il bene immenso ed inestimabile che ho ricevuto.

Grazie!

SUOR M. ELIA LUCENTI XXXI

Sabato, 16 maggio 1986. La prima fermata che fa Giovanni Paolo II in visita a Faenza, è dal suo grande amico don Gino alla Casa di Riposo. Qui si vede l’abbraccio fra i due amici in quel famoso incontro, con un ospite che sta per offrire al papa una “zanètta”. E’ presente il Vescovo di Faenza e Modigliana, sorridente: Mons. Francesco Tarcisio Bertozzi.

Mi ha aiutato tanto Il mio nome è Maria Lupini, sono nata a Faenza nel 1914. Ho conosciuto don Gino durante la guerra, poiché egli aiutò la mia mamma che essendo anziana non fu sfollata da Faenza.

Lei non aveva mezzi e neanche noi potevamo aiutarla.

Don Gino con altri preti si prodigava per aiutare proprio persone in queste condizioni, quindi fu proprio lui che si prese cura di lei fino alla fine della guerra.

Successivamente, in un periodo di grande difficoltà della mia vita, sono stata aiutata anch’io da don Gino.

Nei periodi più difficili andavo a cercarlo all’ora di pranzo al ricovero degli anziani che si trovava in via Pascoli e lui, quando le aveva, mi dava 5 mila lire oppure, se non aveva denaro, mi dava persino il suo pranzo; neppure una volta comunque rimasi a mani vuote!

Sono certa che sempre la mia famiglia era nelle sue preghiere e dunque per questo e per la sua umile generosità ringrazio il Signore di avermi dato l’opportunità di conoscerlo.

MARIA LUPINI XXXII

E garzõ d’ don Gino

Forse non tutti sanno che quel grand’uomo di don Gino aveva iniziato la sua lunga maturazione... facendo il garzone presso un fabbro, al mattino presto, prima di andare a scuola ! Quasi certamente questa umile e faticosa esperienza fatta in tenera età l'aveva poi reso così sensibile agli ultimi, a coloro che faticano in ogni maniera nella vita. E per loro ha dato tutto se stesso, con consapevolezza.

Disse Gesù agli Apostoli dopo aver fatto loro il servizio della lavanda dei piedi, per dare un segnale molto forte: “...non c’è servo maggiore del suo padrone”.

Io ho avuto l’onore di fargli da garzone, da adulto. Cominciò dopo la morte di quel santo prete che era don Guidi che da tempo collaborava per la santa Messa quotidiana alla Casa di Riposo. Io gli subentrai in questo servizio sacerdotale e con gioia.

Quando don Gino aveva bisogno di un favore si schermiva e la prendeva dalla larga per timore di disturbare. Per me era un piacere rassicurarlo. “Lò che fëga cõnt d’avér e garzõ!”. E tutto si risolveva senza difficoltà.

Certo è stata una grande opportunità e un grande onore essere a servizio di un Confratello che per me - e non solo per me- era come un mito.

Quando lo accompagnavo in Curia in macchina a volte si scherzava. “Che ˜ un pô, èssar l’autèsta d’un Munsignor! Fat unor!”. Quando si toccava pensa questo titolo onorifico mi guardava accigliato; allora gli dicevo: “Ma se questi titoli servono per farci una risata ben vengano!”. Allora rideva anche lui e soggiungeva: “Che vreb pu dì ch’a so un «Cameriere segreto del Papa»; ma no stêl dì cun inciõ acsè l’è propi segrét!” È stata una collaborazione fraterna, anzi, da nipotino a nonno affermato.

Negli ultimi mesi il rapporto era diventato sempre più umano e intimo. Se è stata dolorosa la sua salita al cielo, per me è stato un guadagnare lentamente il Calvario. Sapevo che il suo traguardo era il paradiso, ma questa lunga attesa mi ha quasi snervato.

Quando è arrivato il momento del distacco le lacrime le avevo finite ed è subentrata una grande tranquillità.

Ho apprezzato molto la sicurezza con cui il Vescovo ha esordito alla Messa alla Casa di Riposo: “Ora Don Gino è in Paradiso... vi farete servitori gli uni degli altri!”.

DON GIORDANO MONDINI XXXIII

Per noi era tutto

Ho lavorato ventisette anni alla Casa di Riposo (dal 1969 al 1996) e ho tanti ricordi di don Gino che non so da dove iniziare. Comincerò dagli scherzi che ogni tanto si divertiva a fare a noi dipendenti. Durante i turni di notte gli piaceva farci paura.

Una sera salivo le scale quasi al buio con un vassoio per la cena di un ospite, quando dal coretto che dà sulla chiesa, all’improvviso e con il volto coperto dal mantello nero, è uscito don Gino. Mi sono spaventata da morire e ho lasciato cadere il vassoio con la cena e tutto. Il giorno dopo, durante la predica, don Gino sorridendo sornione ha raccomandato di tenere stretti i vassoi, altrimenti finiscono in terra!

Per me, per noi era tutto: aveva una parola per tutti! Era il nostro psicologo, il nostro padre spirituale. Le sue Messe nel cuore della notte, all'una, alle due (perché sapeva di non poter celebrare il giorno dopo) con lui, solo in chiesa e noi di servizio che rispondevamo dai coretti, erano qualcosa di fantastico!

E la sua generosità? Aveva sempre qualcosa per tutti. Spesso, per esempio, si privava della sua cena e la portava a noi che facevamo la notte perché “ci tenessimo su”! Solo di una cosa non si privava, il dolce! Eh sì, era il suo punto debole e ammetteva tranquillamente qualche peccatuccio di gola. I suoi preferiti erano la ciambella, la crostata, gli zuccherini accompagnati, naturalmente, da un buon bicchiere di vino.

A proposito: io non so dove si rifornisse, ma ne aveva sempre di buonissimo, specialmente il nero, che piaceva tanto anche al maestro Argelli (quello dell’orchestra).

In gita a Roma ci si andava spesso e quando scendevamo dall’autobus vedevamo don Gino aumentato notevolmente di volume: nelle tasche interne della sua veste c’era più di una bottiglia di quello buono che con una strizzata d’occhio e un sorriso furbo finiva immancabilmente a vigili, gendarmi, uscieri. I cancelli, le porte si aprivano e la comitiva dei faentini passava e sempre in prima fila! Un bel vantaggio alle udienze del Papa trovarselo lì a tu per tu.

Già il Papa! La passione di don Gino! Per vederlo avrebbe fatto carte false. Come quella volta che l’udienza di Paolo VI in S. Pietro era riservata solo ai pellegrini tedeschi. Ci ordinò di parlare sempre in dialetto e riuscì a farci entrare. Quando arrivò Paolo VI, don Gino, come al solito, cominciò a urlare “Viva e pêpa!” e il Papa allargò le XXXIV

Castel Gandolfo, luglio 1989. Nel cinquantesimo di Messa un gruppo di sacerdoti faentini ha concelebrato col Papa. Da sinistra: don Angelo Melandri, don Alfredo Guidi, don Domenico Casadio, Giovanni Paolo II, don Luigi Liverzani vescovo di Frascati, don Gino, don Vincenzo Zannoni (foto Mari - Osservatore Romano).

braccia, scuotendo la testa come a dire “Il mio don Gino... anche fra i tedeschi!...”.

Un’altra volta nei sotterranei di S. Pietro, là dalle tombe dei Papi, qualcuno lo scambiò per il pontefice attuale, Giovanni Paolo II, e cominciò a dire “c’è il Papa, c’è il Papa”. Si era radunata molta gente e dovemmo scapparcene alla svelta!

Ora don Gino fisicamente se n’è andato, ma spiritualmente è ancora in mezzo a noi che, ricambiati, gli abbiamo voluto bene.

ERMANNA MONTANARI XXXV

La fede e la propria terra

Di don Gino ho conosciuto e ammirato due grandi passioni: la fede e la propria terra. Dico passioni perché non conosceva le mezze misure. In tutte le cose che faceva imponeva il suo carattere forte, determinato, da protagonista. Chi ha avuto la ventura di essergli vicino, anche soltanto per circostanze secondarie, conserva nel cuore qualcosa che il tempo non cancella.

La fede era la sua vita dipanata momento dopo momento. Nella sua predicazione i riferimenti al suo vissuto familiare, ecclesiale e al suo servizio alla Casa di Riposo erano continui. Sembrava persino che parlasse troppo di se stesso. La sua presenza “si sentiva” sempre: nei piccoli gruppi, tra gli “unitalsiani”, nel gruppo del Masci, alla direzione degli innumerevoli pellegrinaggi, fino all’urlo rituale in piazza S. Pietro “Viva il Papa”.

Era una fede ancorata a due punti di riferimento, come la A e la Z dell’alfabeto: l’Eucarestia e l’amore al Papa di cui leggeva sistematicamente tutti i discorsi.

La sua cappella alla Casa di Riposo era scuola di preghiera, di adorazione e di testimonianza. In quel clima sono maturate numerose vocazioni e hanno trovato alimento altrettanto famiglie cristiane.

Il suo confessionale era un pulpito quotidiano. Alla fede associava l’amore alla sua terra. Il suo percorso è stato breve: da Granarolo a Faenza.

Una vita presso la Casa di Riposo e dentro la Curia.

Ha realizzato il capolavoro di fare della Casa di Riposo il luogo più frequentato della città. Quando la gente varcava quel cancello, lasciava fuori le etichette politiche o sociali e si sentiva a casa propria perché don Gino era il prete di tutti. Solo lui poteva realizzare innumerevoli iniziative, impossibili ad altre persone. In quella casa di Viale Stradone sono arrivati tutti, Papa compreso, Anche l’incontro con il Papa si svolse nei toni della cordialità con don Gino che regala al Papa il suo bastone di pellegrino in Terra Santa e il Papa che dice di invidiarlo perché può recarsi così spesso in quella terra a lui ancora proibita.

Ora viene a mancare l’ultimo di quel drappello di Sacerdoti che emersero per carità durante la guerra e sono rimasti nel cuore dei cittadini: Mons. Antonio Savioli, Mons. Salvatore Baldassarri, don Domenico Lusa, Mons. Mario Vantangoli.

Un gruppo di preti che ha espresso la caratteristica peculiare del nostro Presbiterio: la capacità di essere e “in rete” tra di loro e sempre tra la gente.

MONS. SILVANO MONTEVECCHI XXXVI

Nazareth, Basilica dell’Annunciazione, novembre 1983, col grande scultore romagnolo Angelo Biancini e Romana Argnani.

XXXVII

Il suo messaggio, adesso, è più forte

Di Don Gino mi sono rimasti in dote i valori che sono tanti e di enorme dimensione, la fede e la carità sopra tutte, ma dei momenti di vita vissuta in comunità di intenti ho fissi nella memoria e nel cuore due cose: un abbraccio e una lettera.

Dopo che il compianto Sindaco De Giovanni mi ebbe designato alla Presidenza delle Opere Pie Raggruppate, ebbi modo di frequentare maggiormente Don Gino. Alla prima festa dell’anziano ebbi modo di dire pubblicamente le cose che volevo fare per gli anziani e Don Gino mi rispose pubblicamente guardandomi con quello sguardo “furbetto” esprimendo i dubbi e le amarezze di uno che di promesse ne aveva sentite molte e tutte divenire delusioni.

Dopo due anni, dopo l’inaugurazione della prima ala rinnovata, incontrandoci mi chiamò “il mio presidente” come spesso mi chiamava, “permette che l’abbracci?”. Ci stringemmo forte; sapevamo di essere in due a volere la stessa cosa.

Poi ho, preziosa, una lettera che Don Gino mi scrisse alla fine del primo mandato quando non si sapeva se De Giovanni mi avrebbe rinnovato l’incarico.

Alcuni concetti erano espressi con grande determinazione e tra questi la considerazione che siamo “a servizio” in una posizione scomoda e a fronte di qualche parola e di usuali scontenti, vi è la testimonianza della propria coscienza e del Verbo: “se non credete alle mie parole, credete e guardate le opere” e di questo Don Gino era un grande testimone. E ancora “a fare si può anche sbagliare, ma a non fare si trasforma la vita in uno sbaglio continuato con l’impegno del Buono, del Bello, del Sano, del Santo, che è il vero scopo dell’esistenza umana”.

In calce alla lettera vi è la firma “D. Gino, prit bõn da gnit!”.

Come è stato grande l’uomo che abbiamo perduto! Ma è grande il suo messaggio, che rimane e semmai è più forte. Con quella sua straordinaria capacità di mischiare i bisogni dell’uomo con la limpida fede e la grande carità e trasmetterla con scienza, coscienza e romagnolità in una mistura esplosiva di Buono di Bello di Santo.

A ognuno di noi spetta nei limiti delle proprie capacità di essere Don Gino in mezzo alla gente.

FRANCESCO PASI XXXVIII

1995. Don Gino colloquia alla sua maniera coi bambini sordomuti di “Effeta” a Betlemme. Da sinistra si notano Luisa Samoré in Minardi, Liliana Castagni, un signore proveniente dal Cile, suo nipote e, ultimo, Adolfo Belosi.

XXXIX

“Io l’aspetto!”

Nel mese di settembre u.s. i miei Superiori mi diedero l’obbedienza di lasciare Ravenna per Urbino. Una Suora della Carità sa che deve avere sempre pronte le valigie per andare là dove il Signore la chiama.

In quel momento, però, pensavo che allontanandomi da Faenza avrei avuto meno occasioni per visitare Don Gino, già seriamente ammalato, che da cinquant’anni conosceva tanto di me.

E fu così che prima del 29 settembre e precisamente il 27, mi recai da lui per fargli visita e per comunicargli del mio trasferimento. Quel giorno era molto sofferente, ma volle ugualmente ricevermi, disposto anche a confessarmi. Mi fece capire che non doveva venir meno al suo ministero sacerdotale. Quando fu il momento di congedarmi da lui, raccolse tutte le sue forze e con voce chiara mi disse: “Lei parte (era solito usare il lei con me), ma io l’aspetto”.

Pensai tanto per capire a quale attesa volesse alludere.

La salute di Don Gino andava peggiorando di giorno in giorno e tutto mi faceva pensare che non l’avrei più visto. La lontananza e i nuovi impegni che mi aspettavano erano motivi per pensare a questo.

Partii da Ravenna, come stabilito, il 29 settembre in compagnia dei SS. Arcangeli, ma inaspettatamente il 12 ottobre dovendo recarmi a Castel S. Pietro decisi di fermarmi a Faenza da Don Gino. Lui era ricoverato.

I segni della sofferenza erano più evidenti, ma ancora una volta era pronto ad ascoltare e ad ammonire. Alla mia richiesta di benedirmi, per non affaticarlo, prese la parola e trovò la forza per correggermi, dicendomi: “No la benedizione, ma l’assoluzione...”. ...Poi mi salutò dicendomi: “Sia buona”.

Il giorno seguente si aggravò ma lui mi aveva aspettato!!!!

Ora è là, vicino a Colui che ha tanto amato, pregato e servito, ad aspettare tutti noi che l’abbiamo conosciuto, apprezzato ed amato.

Grazie, o Dio, per tanto dono.

SUOR M. AGOSTINA RAGAZZINI

XL

13 novembre 1999. Ultimo viaggio di don Gino in Terrasanta. Qui è con Romana Argnani in una famiglia di palestinesi cattolici, particolarmente aiutata da benefattori faentini.

Cappellano per 53 anni Don Gino è venuto alla Casa di Riposo di via Pascoli 15 (“I Crõnich”) il 7 marzo 1947.

Ha cercato subito di alleviare la vita degli ospiti, iniziando con la musica. Poi in seguito si è adoperato per trovare un ambiente più confortevole e adatto alle necessità degli anziani.

Così è stata costruita la Casa di Riposo in viale Stradone 7, che funziona dal 14 novembre 1961.

Per gli anziani, don Gino ha fatto di tutto. Divertimenti, passeggiate, feste, ecc.

Quando veniva a Faenza qualche personalità, la invitava, religiosi e non. È venuto persino il Papa!

Era un vero sacerdote, molto ricercato da tante persone di tutte le età, per la sua grande spiritualità, vissuta, predicata e spiegata.

Penso che non sarà facile sostituirlo.

LAURA SANGIORGI XLI

Una lettera

Caro don Gino, quanto è difficile poter racchiudere in poche righe i molteplici sentimenti di una vita vissuta e guidata momento per momento dalla tua fede e dalla tua grande sensibilità.

Il mio primo incontro con don Gino fu in S. Stefano nel 1941, per la preparazione alla S. Comunione. Riuscì davvero a seminare nei nostri cuori una fede semplice e schietta che poi ha fatto germogliare per tutta la vita.

Lui, sempre e per tutti, è riuscito a donare “un sorriso per tutte le gioie” e “una lacrima per tutti i dolori”.

Fu presente alla morte del mio Babbo, ucciso in piazza investito da un camion alleato guidato da un prigioniero tedesco: fu lui a dargli l’ultima benedizione... e mai lo ha dimenticato nelle sue preghiere.

Con Gigi, mio marito, figlio della sua Maestra a Granarolo, ebbe sempre un bellissimo rapporto di reciproco affetto e stima. Non c’era un giorno dedicato a S. Luigi senza un suo scritto di augurio!

Presente al nostro matrimonio (1955) si unì alla nostra felicità e, cosa sorprendente, quando, partiti per il viaggio di nozze, alla sera, aprimmo le valige (chissà come era riuscito a metterla), per prima cosa trovammo una sua lettera.

Con quanta sorpresa, gioia ed entusiasmo la leggemmo, e direi che è stata davvero la guida dei nostri giorni felici.

La vita è continuata nella serenità come lui ci aveva insegnato, definendoci “ministri di Grazia l’uno per l’altra nel Santuario della Famiglia”. “Viaggiate e correte... si corre per il Cielo!”.

Non tardò ad arrivare anche questo traguardo.

1982: Gigi, Alberto, mamma, Terzo ci lasciarono in quattro anni ma tu, don Gino, ci hai fatto sempre guardare al Cielo, non trascurando anche le necessità umane poiché, sempre, da quel triste giorno mi hai chiamato “mamma”.

Quando siamo stati vicini alla tua bara, ho sentito che non ci lascierai, anzi, che ti “sei moltiplicato” perché ora più di prima ognuno di noi ti avrà vicino e continuerà con più impegno a seguire i tuoi insegnamenti.

Grazie, grazie don Gino: non ti scordare di noi.

FRANCA SANSONI GAMBETTI XLII

Don Gino, pellegrino a Besançon, dal 2 al 9 luglio 1977 con suor Agostina Ragazzini, davanti alla Casa Provinciale delle Suore della Carità .

XLIII

1994. A Gerusalemme, lungo la Via Dolorosa. Con don Gino che guida e prega, ci sono Pier Giuseppe Frattini (con la croce), Maria Luisa Casadio, suor Chiara Pasini, Iolanda Bassi, suor Imelde Babini, ... ..., Marisa Rambelli. In fondo: Cesare Missiroli.

Ci faceva divertire in tanti modi Sono, come classe, del 1925 e sono entrato nella Casa di Riposo 26 anni fa e ricordo bene l’accoglienza che mi fece don Gino.

Mi piaceva tanto la sua allegria e il modo come ci trattava. Anche dopo che si era ammalato, veniva sempre a salutarci.

Ci faceva divertire in tanti modi: col teatro, le orchestre, i ballerini, le gite, i canti, i giochi. Era bravo anche a raccontare delle fotte ed era innamorato del Papa.

Quando Giovanni Paolo II è venuto in visita alla Casa di Riposo, don Gino gli ha regalato una zanetta. Allora mi sembrò una fatta cosa, ma adesso che il Papa si è intramplito, può darsi che gli faccia buono. È stato un buon prete per tutti, e tutti gli hanno voluto bene.

MICHELE TONI XLIV

A tavola con la mamma e il fratello, padre Alfonso, domenicano.

Errano, domenica 2 maggio 1993, festa della Madonna del Rosario. Da sinistra: Giovanna Poggiali, Giulietta Ravaglia Dalle Fabbriche, Bruna Pini, mons. Mariano Faccani, Armanda Laghi, don Gino, ... ..., Ginetta Casalini Assirelli, Matteo Capra, Fabio Bulzacchi, Roberto Malavolti, Nicola Dalmonte, Leonardo Bulzaga, Marco Dalmonte, Leonardo Collina, Cristiano Marini, Mattia Marini, Ivan Morini, Renato Rossi, Rosangela Peroni, Luciano Gatti, Gianna Cavina (foto Marini).

XLV

Un “matto” in Paradiso

Il mio primo incontro con Faenza è stato con don Gino e la “Sua” Casa per anziani di Viale Stradone.

Senza conoscere né Lui né la Sua Opera - queste sono le ispirazioni dello Spirito... - desiderai iniziare il mio ministero in Diocesi, partendo dalla visita ad un luogo di sofferenza: e Lui e i “Suoi”, con un abbraccio e un calore per me indimenticabile, mi accolsero per primi a Faenza in quella gioiosa domenica di quasi quattro anni fa e subito mi fecero sentire a casa mia.

Da allora le occasioni di incontro con Lui e i Suoi della Casa di Riposo si sono frequentemente succedute: ogni incontro con la Sua persona era per me un andare come ad attingere a una scuola di vita, all’esperienza di una persona che meravigliosamente sintetizzava in sé l’uomo, il credente e il sacerdote. Una sintesi non sempre facile: eppure ogni Sua Parola, anche se puntualmente in romagnolo, era per me comprensibile e sempre carica di significati di vita; i Suoi gesti, spesso accompagnati dal brandire del Suo bastone, indicavano un orientamento di bene; il Suo volto... sì, il Suo volto aveva tra l’altro anche una somiglianza con quello del Papa.

Ricordo, quando ebbi occasione di accompagnarlo per una visita medica al Policlinico Gemelli di Roma, gli occhi un po’ trasognati e incerti di coloro che incontrammo in un ascensore e, alla fine, la domanda di una vecchietta: “È il Papa ?”, e don Gino compiaciuto: “No, sono solo un Suo amico!”.

E ancora sul sagrato di Piazza S. Pietro, in occasione della celebrazione per la nomina cardinalizia di Mons. Monduzzi, il Suo immancabile saluto personale in romagnolo all’apparire del S. Padre con l’inconfondibile grido “Viva e Pêpa !...”. Ed un alto prelato accanto a me, di fronte a questo inusuale saluto che aveva rotto il religioso silenzio del sagrato di S. Pietro gremito di personalità, commentare : “Ma chi è questo matto?”. Da parte mia ricordo di avergli sorridendo sussurrato: “È un santo!”. Di rimando la risposta del mio vicino, con sguardo scettico e sorpreso: “Sarà! Ma per me è un matto...”.

Caro don Gino, una cosa è certa, di questi “matti” è fatto il Paradiso.

IL TUO VESCOVO, ITALO

XLVI

Duomo di Faenza, 5 gennaio 1989, consacrazione sacerdotale. Don Gino impone le mani sul capo di don Paolo Bagnoli. Accanto a lui, don Luca Ravagli.

XLVII

Don Gino (Virgilio per l’anagrafe) Montanari, figlio di Domenico e Annunziata Liverzani, nasce a Granarolo faentino il 26-2-1915 (“panirù” è il soprannome della sua famiglia). E’ il quinto di 10 figli. Entra in seminario a Faenza nel 1929 ed è ordinato sacerdote il 23-8-1939.

E’ cappellano prima a Pideura, poi a S. Stefano. Nel 1947 il vescovo mons. Battaglia lo trasferisce, sempre come cappellano, alla Casa di Riposo di Faenza; vi rimarrà sino alla morte.

E’ promotore e animatore di innumerevoli attività pastorali e sociali.

Indimenticabile la sua prodigiosa presenza, insieme ad altri sacerdoti, tra i faentini nei terribili mesi della guerra e del dopoguerra.

Essenziale fu il suo impegno per ottenere la costruzione dell’attuale Casa di Riposo in viale Stradone, 7 in sostituzione della fatiscente sede di via Pascoli 15.

Don Gino muore a Faenza il 16 ottobre 2000.

Queste pagine sono state realizzate per iniziativa della Filodrammatica Bertòn di Faenza.

INSERTO SPECIALE DI «RADIO 2001 ROMAGNA» ANNO XXII - N. 4 (97°) DICEMBRE 2000 XLVIII

Tipografia Faentina, Via Castellani 25 - Faenza