Bollettino Diocesano Ottobre-Dicembre 2018

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4-2018

BOLLETTINO DIOCESANO

l’Odegitria

Anno XCIV n. 4

Ottobre - Novembre - Dicembre 2018


BOLLETTINO DIOCESANO

l´Odegitria

Atti ufficiali e attività pastorali dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto


BOLLETTINO DIOCESANO

l´Odegitria Atti ufficiali e attività pastorali dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto Registrazione Tribunale di Bari n. 1272 del 26/03/1996 ANNO XCIV - N. 4 - Ottobre - Novembre - Dicembre 2018 Redazione e amministrazione: Curia Arcivescovile Bari-Bitonto P.zza Odegitria - 70122 Bari - Tel. 080/5288211 - Fax 080/5244450 www.arcidiocesibaribitonto.it - e.mail: curia@odegitria.bari.it Direttore responsabile: Giuseppe Sferra Direttore: Gabriella Roncali Redazione: Beppe Di Cagno, Luigi Di Nardi, Angelo Latrofa, Paola Loria, Franco Mastrandrea, Bernardino Simone, Francesco Sportelli Gestione editoriale e stampa: Ecumenica Editrice scrl - 70132 Bari - Tel. 080.5797843 www.ecumenicaeditrice.it - info@ecumenicaeditrice.it


D OCUMENTI

DELLA

C HIESA USNIVERSALE OMMARIO

DOCUMENTI DELLA CHIESA UNIVERSALE MAGISTERO PONTIFICIO Messaggio per la Giornata mondiale della pace

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Lettera a S. Ecc. Mons. Francesco Cacucci, Arcivescovo di Bari-Bitonto, in occasione del 50° anniversario dell’elevazione della Basilica di San Nicola di Bari a “Basilica Pontificia”

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DOCUMENTI DELLA CHIESA ITALIANA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA LXXII Assemblea generale (Roma, 12-15 novembre 2018) Comunicato finale dei lavori

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FACOLTÀ TEOLOGICA PUGLIESE Inaugurazione dell’anno accademico 2018-2019 della Facoltà Teologica Pugliese (Molfetta, 18 dicembre 2018) Saluto del Gran Cancelliere mons. Francesco Cacucci Relazione del Preside, prof. Angelo Panzetta Prolusione di S.Em. il card. Gualtiero Bassetti, Presidente CEI: La pace del Mediterraneo. Vocazione e missione di una Chiesa mediterranea

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DOCUMENTI E VITA DELLA CHIESA DI BARI-BITONTO MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO La Chiesa tra realtà e sogno. Anno pastorale 2018-2019 Decreto di attribuzione delle somme derivanti dall’8 per mille IRPEF

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BASILICA DI SAN NICOLA La presentazione del volume sulla Traslazione della reliquia di san Nicola in Russia (19 dicembre 2018): Prefazione del Metropolita Hilarion di Volokolamsk Prefazione dell’Arcivescovo di Bari-Bitonto mons. Francesco Cacucci Due Chiese fanno memoria comune

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Omelia di S. Em. il card. Pietro Parolin, Segretario di Stato, nella Messa della Solennità liturgica di San Nicola

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ISTITUTO DI TEOLOGIA ECUMENICA “SAN NICOLA” Convegno di studi su “La Basilica Pontificia di San Nicola nelle Costituzioni Apostoliche dei Sommi Pontefici” nel 50° anniversario (1968-2018) della costituzione apostolica “Basilicae Nicolaitanae” (Bari, 24 novembre 2018)

419

CURIA METROPOLITANA Giornata unitaria di formazione per gli operatori pastorali “la Porta Bella... La comunità cristiana tra storia e profezia” (Bari, 17 novembre 2018) Cancelleria Sacre ordinazioni e decreti

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Settore Evangelizzazione. Ufficio Catechistico Incontro di formazione per catechisti e operatori pastorali (8-9 ottobre 2018): L’iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi. Sfida difficile ma appassionante: relazione di fratel Enzo Biemmi, Congregazione dei Fratelli della Sacra Famiglia

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Ufficio Laicato L’Assemblea diocesana del Laicato (Bari, 30 novembre 2018): “Tutti perseveravano...” (At 2,42): relazione di don Tonino Trigiani, del Movimento dei Focolari

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CONSIGLI DIOCESANI Consiglio Presbiterale diocesano Verbale della riunione del 26 ottobre 2018 Consiglio Pastorale diocesano Verbale della riunione del 5 novembre 2018 Allegato: “L’evento del 7 luglio 2018 ripercussioni e prospettive per la pastorale diocesana”

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NELLA PACE DEL SIGNORE Don Ubaldo Aruanno Don Vito Innocente D’Apolito

491 494

DIARIO DELL’ARCIVESCOVO Ottobre 2018 Novembre 2018 Dicembre 2018

497 499 502

INDICE GENERALE DELL’ANNATA

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D OCUMENTI

DELLA

C HIESA U NIVERSALE

MAGISTERO PONTIFICIO Messaggio per la LII Giornata mondiale della pace (1° gennaio 2019)

La buona politica è al servizio della pace

1. “Pace a questa casa!” Inviando in missione i suoi discepoli, Gesù dice loro: «In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi» (Lc 10,5-6). Offrire la pace è al cuore della missione dei discepoli di Cristo. E questa offerta è rivolta a tutti coloro, uomini e donne, che sperano nella pace in mezzo ai drammi e alle violenze della storia umana1. La “casa” di cui parla Gesù è ogni famiglia, ogni comunità, ogni Paese, ogni continente, nella loro singolarità e nella loro storia; è prima di tutto ogni persona, senza distinzioni né discriminazioni. È anche la nostra “casa comune”: il pianeta in cui Dio ci ha posto ad abitare e del quale siamo chiamati a prenderci cura con sollecitudine. Sia questo dunque anche il mio augurio all’inizio del nuovo anno: “Pace a questa casa!”. 319 2. La sfida della buona politica La pace è simile alla speranza di cui parla il poeta Charles Péguy2; è come un fiore fragile che cerca di sbocciare in mezzo alle pietre 1 2

Cfr Lc 2,14: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama». Cfr Le Porche du mystère de la deuxième vertu, Paris 1986.


della violenza. Lo sappiamo: la ricerca del potere ad ogni costo porta ad abusi e ingiustizie. La politica è un veicolo fondamentale per costruire la cittadinanza e le opere dell’uomo, ma quando, da coloro che la esercitano, non è vissuta come servizio alla collettività umana, può diventare strumento di oppressione, di emarginazione e persino di distruzione. «Se uno vuol essere il primo – dice Gesù – sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti» (Mc 9,35). Come sottolineava Papa san Paolo VI: «Prendere sul serio la politica nei suoi diversi livelli – locale, regionale, nazionale e mondiale – significa affermare il dovere dell’uomo, di ogni uomo, di riconoscere la realtà concreta e il valore della libertà di scelta che gli è offerta per cercare di realizzare insieme il bene della città, della nazione, dell’umanità»3. In effetti, la funzione e la responsabilità politica costituiscono una sfida permanente per tutti coloro che ricevono il mandato di servire il proprio Paese, di proteggere quanti vi abitano e di lavorare per porre le condizioni di un avvenire degno e giusto. Se attuata nel rispetto fondamentale della vita, della libertà e della dignità delle persone, la politica può diventare veramente una forma eminente di carità.

3. Carità e virtù umane per una politica al servizio dei diritti umani e della pace

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Papa Benedetto XVI ricordava che «ogni cristiano è chiamato a questa carità, nel modo della sua vocazione e secondo le sue possibilità d’incidenza nella polis. […] Quando la carità lo anima, l’impegno per il bene comune ha una valenza superiore a quella dell’impegno soltanto secolare e politico. […] L’azione dell’uomo sulla terra, quando è ispirata e sostenuta dalla carità, contribuisce all’edificazione di quella universale città di Dio verso cui avanza la storia della famiglia umana»4. È un programma nel quale si possono ritrovare tutti i politici, di qualunque appartenenza culturale o religiosa che, insieme, desiderano operare per il bene della famiglia umana, praticando quelle virtù umane che soggiacciono al buon agire politico: la giustizia, l’equità, il rispetto reciproco, la sincerità, l’onestà, la fedeltà. 3 4

Lett. ap. Octogesima adveniens (14 maggio 1971), 46. Enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), 7.


MAGISTERO PONTIFICIO A questo proposito meritano di essere ricordate le “beatitudini del politico”, proposte dal cardinale vietnamita François-Xavier Nguyên Vãn Thuán, morto nel 2002, che è stato un fedele testimone del Vangelo: Beato il politico che ha un’alta consapevolezza e una profonda coscienza del suo ruolo. Beato il politico la cui persona rispecchia la credibilità. Beato il politico che lavora per il bene comune e non per il proprio interesse. Beato il politico che si mantiene fedelmente coerente. Beato il politico che realizza l’unità. Beato il politico che è impegnato nella realizzazione di un cambiamento radicale. Beato il politico che sa ascoltare. Beato il politico che non ha paura5.

Ogni rinnovo delle funzioni elettive, ogni scadenza elettorale, ogni tappa della vita pubblica costituisce un’occasione per tornare alla fonte e ai riferimenti che ispirano la giustizia e il diritto. Ne siamo certi: la buona politica è al servizio della pace; essa rispetta e promuove i diritti umani fondamentali, che sono ugualmente doveri reciproci, affinché tra le generazioni presenti e quelle future si tessa un legame di fiducia e di riconoscenza.

4. I vizi della politica Accanto alle virtù, purtroppo, anche nella politica non mancano i vizi, dovuti sia ad inettitudine personale sia a storture nell’ambiente e nelle istituzioni. È chiaro a tutti che i vizi della vita politica tolgono credibilità ai sistemi entro i quali essa si svolge, così come all’autorevolezza, alle decisioni e all’azione delle persone che vi si dedicano. Questi vizi, che indeboliscono l’ideale di un’autentica democrazia, sono la vergogna della vita pubblica e mettono in pericolo la pace sociale: la corruzione – nelle sue molteplici forme di appropriazione indebita dei beni pubblici o di strumentalizzazione delle persone –, la negazione del diritto, il non rispetto delle regole 5

Cfr Discorso alla mostra-convegno “Civitas” di Padova: “30giorni”, n. 5 del 2002.

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comunitarie, l’arricchimento illegale, la giustificazione del potere mediante la forza o col pretesto arbitrario della “ragion di Stato”, la tendenza a perpetuarsi nel potere, la xenofobia e il razzismo, il rifiuto di prendersi cura della Terra, lo sfruttamento illimitato delle risorse naturali in ragione del profitto immediato, il disprezzo di coloro che sono stati costretti all’esilio.

5. La buona politica promuove la partecipazione dei giovani e la fiducia nell’altro

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Quando l’esercizio del potere politico mira unicamente a salvaguardare gli interessi di taluni individui privilegiati, l’avvenire è compromesso e i giovani possono essere tentati dalla sfiducia, perché condannati a restare ai margini della società, senza possibilità di partecipare a un progetto per il futuro. Quando, invece, la politica si traduce, in concreto, nell’incoraggiamento dei giovani talenti e delle vocazioni che chiedono di realizzarsi, la pace si diffonde nelle coscienze e sui volti. Diventa una fiducia dinamica, che vuol dire “io mi fido di te e credo con te”, nella possibilità di lavorare insieme per il bene comune. La politica è per la pace se si esprime, dunque, nel riconoscimento dei carismi e delle capacità di ogni persona. «Cosa c’è di più bello di una mano tesa? Essa è stata voluta da Dio per donare e ricevere. Dio non ha voluto che essa uccida (cfr Gen 4,1ss) o che faccia soffrire, ma che curi e aiuti a vivere. Accanto al cuore e all’intelligenza, la mano può diventare, anch’essa, uno strumento di dialogo»6. Ognuno può apportare la propria pietra alla costruzione della casa comune. La vita politica autentica, che si fonda sul diritto e su un dialogo leale tra i soggetti, si rinnova con la convinzione che ogni donna, ogni uomo e ogni generazione racchiudono in sé una promessa che può sprigionare nuove energie relazionali, intellettuali, culturali e spirituali. Una tale fiducia non è mai facile da vivere perché le relazioni umane sono complesse. In particolare, viviamo in questi tempi in un clima di sfiducia che si radica nella paura dell’altro o dell’estraneo, nell’ansia di perdere i propri vantaggi, e si manifesta purtroppo anche a livello politico, attraverso atteggiamenti di 6

Benedetto XVI, Discorso alle Autorità del Benin, Cotonou, 19 novembre 2011.


MAGISTERO PONTIFICIO chiusura o nazionalismi che mettono in discussione quella fraternità di cui il nostro mondo globalizzato ha tanto bisogno. Oggi più che mai, le nostre società necessitano di “artigiani della pace” che possano essere messaggeri e testimoni autentici di Dio Padre che vuole il bene e la felicità della famiglia umana.

6. No alla guerra e alla strategia della paura Cento anni dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, mentre ricordiamo i giovani caduti durante quei combattimenti e le popolazioni civili dilaniate, oggi più di ieri conosciamo il terribile insegnamento delle guerre fratricide, cioè che la pace non può mai ridursi al solo equilibrio delle forze e della paura. Tenere l’altro sotto minaccia vuol dire ridurlo allo stato di oggetto e negarne la dignità. È la ragione per la quale riaffermiamo che l’escalation in termini di intimidazione, così come la proliferazione incontrollata delle armi sono contrarie alla morale e alla ricerca di una vera concordia. Il terrore esercitato sulle persone più vulnerabili contribuisce all’esilio di intere popolazioni nella ricerca di una terra di pace. Non sono sostenibili i discorsi politici che tendono ad accusare i migranti di tutti i mali e a privare i poveri della speranza. Va invece ribadito che la pace si basa sul rispetto di ogni persona, qualunque sia la sua storia, sul rispetto del diritto e del bene comune, del creato che ci è stato affidato e della ricchezza morale trasmessa dalle generazioni passate. Il nostro pensiero va, inoltre, in modo particolare ai bambini che vivono nelle attuali zone di conflitto, e a tutti coloro che si impegnano affinché le loro vite e i loro diritti siano protetti. Nel mondo, un bambino su sei è colpito dalla violenza della guerra o dalle sue conseguenze, quando non è arruolato per diventare egli stesso soldato o ostaggio dei gruppi armati. La testimonianza di quanti si adoperano per difendere la dignità e il rispetto dei bambini è quanto mai preziosa per il futuro dell’umanità.

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7. Un grande progetto di pace

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Celebriamo in questi giorni il settantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottata all’indomani del secondo conflitto mondiale. Ricordiamo in proposito l’osservazione del Papa san Giovanni XXIII: «Quando negli esseri umani affiora la coscienza dei loro diritti, in quella coscienza non può non sorgere l’avvertimento dei rispettivi doveri: nei soggetti che ne sono titolari, del dovere di far valere i diritti come esigenza ed espressione della loro dignità; e in tutti gli altri esseri umani, del dovere di riconoscere gli stessi diritti e di rispettarli»7. La pace, in effetti, è frutto di un grande progetto politico che si fonda sulla responsabilità reciproca e sull’interdipendenza degli esseri umani. Ma è anche una sfida che chiede di essere accolta giorno dopo giorno. La pace è una conversione del cuore e dell’anima, ed è facile riconoscere tre di-mensioni indissociabili di questa pace interiore e comunitaria: – la pace con sé stessi, rifiutando l’intransigenza, la collera e l’impazienza e, come consigliava san Francesco di Sales, esercitando «un po’ di dolcezza verso sé stessi», per offrire «un po’ di dolcezza agli altri»; – la pace con l’altro: il familiare, l’amico, lo straniero, il povero, il sofferente…; osando l’incontro e ascoltando il messaggio che porta con sé; – la pace con il creato, riscoprendo la grandezza del dono di Dio e la parte di responsabilità che spetta a ciascuno di noi, come abitante del mondo, cittadino e attore dell’avvenire. La politica della pace, che ben conosce le fragilità umane e se ne fa carico, può sempre attingere dallo spirito del Magnificat che Maria, Madre di Cristo Salvatore e Regina della Pace, canta a nome di tutti gli uomini: «Di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; […] ricordandosi della sua misericordia, come aveva detto ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre» (Lc 1,50-55). Dal Vaticano, 8 dicembre 2018 Francesco 7

Enc. Pacem in terris (11 aprile 1963), 24.


D OCUMENTI

DELLA

C HIESA U NIVERSALE

MAGISTERO PONTIFICIO Lettera all’Arcivescovo di Bari-Bitonto in occasione del 50.mo anniversario dell’elevazione della Basilica di San Nicola di Bari a “Basilica Pontificia”

Pubblichiamo di seguito la Lettera che il Santo Padre Francesco ha inviato a S.E. Mons. Francesco Cacucci, Arcivescovo di Bari-Bitonto, Delegato Pontificio della Basilica di San Nicola, in occasione del Convegno che si è svolto a Bari, presso l’Aula Magna “Enrico Nicodemo” dell’Istituto di Teologia ecumenico-patristica “San Nicola”, un Convegno sul tema: La Basilica Pontificia San Nicola nelle Costituzioni Apostoliche dei Sommi Pontefici. Aspetti canonici, pastorali ed ecumenici, con la partecipazione dell’Em.mo Card. Giovanni Angelo Becciu, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, e di S.E. Mons. Nunzio Galantino, Presidente dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, in occasione del 50.mo anniversario dell’elevazione della Basilica di San Nicola di Bari a “Basilica Pontificia”1.

Al Caro Fratello Mons. Francesco CACUCCI Arcivescovo di Bari-Bitonto Delegato Pontificio della Basilica di San Nicola Sono trascorsi cinquant’anni da quando il mio Predecessore san Paolo VI elevò la Basilica di San Nicola di Bari a Basilica Pontificia, attribuendo l’ufficio di Delegato Pontificio all’Arcivescovo pro-tempore di 1

Cfr infra, pp. 419-422.

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Bari. Questa importante ricorrenza è motivo di gioia per l’Arcidiocesi, per la città e la Regione Puglia, per l’Ordine dei Predicatori che custodisce il sacro tempio, come pure per l’intera cattolicità poiché questo luogo di fede, di preghiera, di incontro e di dialogo ha favorito il movimento ecumenico. In questi anni, la Basilica nicolaiana, così singolarmente legata alla Santa Sede, ha saputo bene manifestare la sua specifica vocazione finalizzata a dare impulso al cammino di unità dei cristiani. Ciò è stato facilitato dalla sincera devozione al Santo Vescovo di Myra dei fedeli d’Oriente e d’Occidente. Il mio pensiero va a tutti coloro che in qualsiasi modo hanno cooperato all’attività liturgica, pastorale, culturale e soprattutto ecumenica, i cui frutti ho potuto constatare personalmente nella mia recente visita in occasione dell’incontro di preghiera e di riflessione con i Capi delle Chiese presenti in Medio Oriente. Incoraggio quanti si adoperano, con diverse responsabilità, nella conduzione pastorale di questa storica e insigne Basilica a proseguire il loro servizio con spirito di collaborazione e con rinnovato ardore apostolico, aiutando i pellegrini e la gente che la frequenta e guarda ad essa con fiducia a riscoprirne l’importanza spirituale. Si tratta di favorire nei fedeli il percorso di una assidua ricerca di Dio, alimentata da intensa pietà e da insaziata nostalgia della contemplazione. La preghiera ha una straordinaria forza evangelizzante ed è necessaria per il raggiungimento della piena comunione tra i cristiani. Auspico che la significativa ricorrenza cinquantenaria sia, altresì, motivo di un rinnovato interesse per lo studio delle vicende storiche della Basilica Pontificia, della figura di San Nicola, come anche della teologia ecumenica. La riflessione scientifica, accompagnata dalle programmate manifestazioni culturali, possa affiancarsi alla pietà, alla liturgia e al culto verso il Santo apportando un valido contributo alle relazioni ecumeniche tra comunità cattoliche e ortodosse. Con tali sentimenti, invocando l’intercessione della Vergine Maria e di San Nicola, di cuore imparto la Benedizione Apostolica a Lei ed all’intera comunità diocesana, al cardinale Angelo Becciu che presiede l’evento commemorativo, ai Padri Domenicani, ai promotori e relatori del convegno e a quanti prendono parte alle cerimonie evocative. Dal Vaticano, 24 novembre 2018 Francesco


D OCUMENTI

DELLA

C HIESA I TALIANA

CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA LXXII Assemblea generale

Comunicato finale dei lavori (Roma, 12-15 novembre 2018)

1. Messale Romano, approvata la nuova edizione L’Assemblea generale ha approvato la traduzione italiana della terza edizione del Messale Romano, a conclusione di un percorso durato oltre 16 anni. In tale arco di tempo, vescovi ed esperti hanno lavorato al miglioramento del testo sotto il profilo teologico, pastorale e stilistico, nonché alla messa a punto della Presentazione del Messale, che aiuterà non solo a una sua proficua recezione, ma anche a sostenere la pastorale liturgica nel suo insieme. Nell’intento dei vescovi, infatti, la pubblicazione della nuova edizione costituisce l’occasione per contribuire al rinnovamento della comunità ecclesiale nel solco della riforma liturgica. Di qui la sottolineatura, emersa nei lavori assembleari, relativa alla necessità di un grande impegno formativo. La formazione è destinata ad abbracciare sia i ministri ordinati che i fedeli; diventa ancora più decisiva negli itinerari dell’iniziazione cristiana, nei Seminari e nelle proposte di formazione permanente del clero. Come è stato evidenziato, si tratta di assumere il criterio di «nobile semplicità» per riscoprire quanto la celebrazione sia un dono che afferma il primato di Dio nella vita della Chiesa. In que-

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st’ottica si coglie la stonatura di ogni protagonismo individuale, di una creatività che sconfina nell’improvvisazione, come pure di un freddo ritualismo, improntato a un estetismo fine a se stesso. La liturgia, hanno evidenziato i vescovi, coinvolge l’intera assemblea nell’atto di rivolgersi al Signore. Richiede un’arte celebrativa capace di far emergere il valore sacramentale della Parola di Dio, attingere e alimentare il senso della comunità, promuovendo anche la realtà dei ministeri. Tutta la vita, con i suoi linguaggi, è coinvolta nell’incontro con il Mistero: in modo particolare, si suggerisce di curare la qualità del canto e della musica per le liturgie. Per dare sostanza a questi temi, si è evidenziata l’opportunità di preparare una sorta di «riconsegna al popolo di Dio del Messale Romano» con un sussidio che rilanci l’impegno della pastorale liturgica. Il testo della nuova edizione sarà ora sottoposto alla Santa Sede per i provvedimenti di competenza, ottenuti i quali andrà in vigore anche la nuova versione del Padre nostro («non abbandonarci alla tentazione») e dell’inizio del Gloria («pace in terra agli uomini, amati dal Signore»).

2. Dall’esperienza liturgica l’impegno civile

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L’approvazione della nuova edizione del Messale costituiva l’asse portante della 72ª Assemblea generale. Come tale non poteva risolversi nell’aggiornamento di un testo liturgico: l’Assemblea generale ne ha fatto, piuttosto, l’occasione per puntare a un rinnovamento di vita delle comunità ecclesiali come del più ampio contesto sociale. Così, riprendendo i temi dell’Introduzione del cardinale Presidente, i vescovi hanno dato voce alla preoccupazione per un linguaggio corrente tante volte degradato e aggressivo; per un confronto umiliato dal ricorso a slogan che agitano le emozioni e impoveriscono la riflessione e l’approfondimento; per una polarizzazione che divide e schiera l’opinione pubblica, frenando la disponibilità a un autentico dialogo. Ne è un esempio eclatante il modo con cui si affronta la realtà delle migrazioni, scivolando spesso in atteggiamenti di paura, chiusura e rifiuto. Con realismo i vescovi, da una parte, hanno sottolineato come non ogni tipo di apertura sia secondo verità, per cui non si pos-


CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA sono automaticamente stigmatizzare le ragioni di chi ne coglie soprattutto le difficoltà; dall’altra, hanno ribadito che la solidarietà rimane la strada maestra, fatta di accoglienza doverosa e di itinerari di integrazione. A fronte della complessità che un cambiamento d’epoca porta con sé, nei Pastori è emersa la consapevolezza di dover investire con convinzione in proposte formative, che superino la tentazione di fermarsi a qualche presa di posizione occasionale. Come è stato evidenziato in Assemblea, si tratta innanzitutto di formare la comunità alla fede, al respiro del Vangelo, alla sostanza dell’esperienza cristiana, nell’avvertenza che una coscienza formata sa farsi attenta e capace di assumersi responsabilità, quindi di spendersi per il bene comune. Se il nuovo umanesimo, su cui si incentrava il Convegno ecclesiale nazionale di Firenze, diventa cultura, sarà più facile superare una visione utilitaristica, nella quale il debole è sentito come un peso e il migrante come uno straniero. E sarà più facile anche trovare parole sapienti con cui affrontare i temi in agenda, relativi al rapporto uomo-donna, al nascere, al soffrire, al fine vita. Un ruolo decisivo nella costruzione di una nuova sensibilità nell’opinione pubblica è stato riconosciuto ai media, con il conseguente appello a sostenere e promuovere quelli d’ispirazione cattolica.

3. Lotta agli abusi, nasce il Servizio Nazionale Il problema della protezione dei ragazzi e degli adolescenti dagli abusatori sessuali è di grande rilevanza per le famiglie e l’intera società civile. Come tale, non può che essere al centro dell’attenzione della Chiesa, che ha sempre avuto a cuore l’impegno educativo verso i più giovani. L’Assemblea generale ha affrontato la piaga gravissima degli abusi, facendo il punto sulle Linee guida che la Commissione della Cei per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili sta formulando nella prospettiva della prevenzione e della formazione. Al riguardo, tra i vescovi è viva la consapevolezza che la priorità non

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può essere data a una preoccupazione difensiva né al tentativo di arginare lo scandalo morale e ecclesiale, bensì ai ragazzi feriti e alle loro famiglie. Questi dovranno trovare sempre più nella Chiesa e in tutti i suoi operatori pastorali accoglienza, ascolto e accompagnamento. Le scelte che la Chiesa italiana sta assumendo su questo tema vanno nella direzione della promozione della sensibilizzazione e della formazione di tutto il popolo di Dio a vivere in maniera matura il valore della corporeità e della sessualità. Di conseguenza, diventa necessario porre la massima attenzione nella scelta dei collaboratori laici, come pure la sorveglianza e le cautele nel contatto diretto coi minori, la serietà dei comportamenti in tutti gli ambienti e la trasparenza nei rapporti, lo spazio educativo dato alle donne o alle coppie di genitori nell’ottica della corresponsabilità. Sul fronte del clero, vengono ribaditi criteri chiari nella selezione iniziale dei candidati al ministero ordinato o alla professione religiosa, insieme a una formazione che punti alla maturità nelle relazioni affettive e nella gestione della sessualità; si avverte quanto sia essenziale educarsi a un uso controllato e critico di internet, come – più in generale – coinvolgersi in percorsi di formazione permanente. Le Linee guida chiederanno di rafforzare la promozione della trasparenza e anche una comunicazione attenta a rispondere alle legittime domande di informazioni. La Commissione – che sottoporrà il risultato del suo lavoro alla valutazione della Commissione per la tutela dei minori della Santa Sede e soprattutto della Congregazione per la dottrina della fede – ha l’impegno di portare le Linee guida all’approvazione del Consiglio Permanente, per arrivare a presentarle alla prossima Assemblea generale. Si intende, quindi, portarle sul territorio, anche negli incontri delle Conferenze episcopali regionali per facilitare un’assimilazione diffusa di una mentalità nuova, nonché di un pensiero e una prassi comuni. I vescovi hanno approvato due proposte, che consentono di dare concretezza al cammino. È stata condivisa, innanzitutto, la creazione presso la Cei di un Servizio nazionale per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili, con un proprio statuto, un regolamento e una segreteria stabile, in cui laiche e laici, presbiteri e religiosi esperti saranno a disposizione dei vescovi diocesani. Il Servizio sosterrà nel compito di avviare i percorsi e le realtà diocesani – o inter-diocesani o regionali – di formazio-


CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA ne e prevenzione. Inoltre, potrà offrire consulenza alle diocesi, supportandole nei procedimenti processuali canonici e civili, secondo lo spirito delle norme e degli orientamenti che saranno contenuti nelle nuove Linee guida. La seconda proposta approvata riguarda le Conferenze episcopali regionali. Si tratta di individuare, diocesi per diocesi, uno o più referenti, da avviare a un percorso di formazione specifica a livello regionale o interregionale, con l’aiuto del Centro per la tutela dei minori dell’Università Gregoriana.

4. Cooperazione tra le Chiese, criteri di fecondità La missione oggi non conosce più frontiere: alla stagione dei fidei donum – caratterizzata dall’invio di sacerdoti italiani a diocesi mancanti di clero – è subentrata una sempre maggiore presenza di preti di altri Paesi a servizio delle diocesi italiane. Nella sua reciprocità tale esperienza è espressione di comunione, cooperazione e scambio tra le Chiese, secondo la prospettiva evangelizzatrice rilanciata dal Concilio Vaticano II. L’Assemblea generale si è soffermata su questo tema per mettere a fuoco le convenzioni che regolano tale servizio. Passa, infatti, anche da una chiarezza di rapporti la condizione per una presenza feconda che arricchisca la Chiesa che accoglie e, nel contempo, riduca le difficoltà relative al necessario rientro nella diocesi di origine. I vescovi hanno ribadito l’importanza di muoversi secondo criteri che consentano una cooperazione ordinata, sensata e generativa, a partire da quel discernimento nell’accoglienza, che costituisce le premesse di ogni attuazione pratica.

5. “Sovvenire”, questione di Chiesa Nel novembre del 1988 l’Episcopato italiano pubblicava il documento Sovvenire alle necessità della Chiesa. Corresponsabilità e partecipa-

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zione dei fedeli. Il testo offriva un’ampia riflessione sulle nuove forme di sostentamento della Chiesa Cattolica, così come scaturivano dalla revisione del Concordato. A trent’anni di distanza, i vescovi hanno riaffermato i valori che soggiacciono a tale sistema di finanziamento; valori che, muovendo dalla comunione ecclesiale, chiamano in gioco un impegno di corresponsabilità – da vivere nei termini della solidarietà – e di partecipazione alla costruzione concreta della comunità. L’anniversario è stato l’occasione per rivisitare anche un altro documento, Sostenere la Chiesa per servire tutti, pubblicato nel 2008 e in stretto rapporto con il precedente. Ieri come oggi – è stato sottolineato in Assemblea generale – per il Sovvenire rimane prioritaria l’educazione della comunità, a partire da un rinnovato senso di appartenenza. Altrettanto decisiva diventa la rendicontazione circa l’utilizzo delle risorse nella Chiesa, attraverso una comunicazione adeguata che lo renda sempre più accessibile a tutti. Non è mancato l’invito a individuare proposte innovative di sostentamento da affiancare ai meccanismi dell’8xmille e delle offerte deducibili per il clero.

6. Varie

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L’Assemblea generale ha approvato la costituzione di due santi Patroni. La prima richiesta porta a san Leopoldo Mandic', quale patrono dei malati oncologici. Fin dagli anni ’80 del secolo scorso, molti medici, ammalati e loro familiari si sono fatti portavoce del desiderio di poter invocare in modo speciale questo santo per una realtà di sofferenza – il tumore – in questo nostro tempo sempre più diffusa e angosciante. I promotori della richiesta, sostenuti da molti fedeli, hanno sottolineato come san Leopoldo – che ha sofferto molto a causa di questa malattia, affrontandola con serenità, spirito di fiducia e abbandono nella bontà divina – possa essere indicato come un esempio nella prova della malattia e come un intercessore presso Dio per invocare il dono della guarigione. La seconda richiesta riguarda santa Rosa da Viterbo quale patrona della Gioventù Francescana d’Italia. Si tratta di una giovanissima


CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA laica, molto vicina agli ideali di san Francesco d’Assisi, morta nel 1251. Oggi viene proposta quale modello di vita evangelica da imitare per camminare sulla strada tracciata dal Poverello di Assisi e da santa Chiara ed essere sostenuti in un cammino di vita cristiana coerente e coraggiosa. All’approvazione dell’Assemblea generale deve ora seguire la conferma della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti. Il Consiglio Permanente, riunitosi a margine dei lavori assembleari, ha approvato due proposte avanzate dalla Commissione della Cei per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili, il Messaggio per la Giornata per la Vita (3 febbraio 2019) e alcuni adempimenti conseguenti alla revisione delle Norme circa il regime amministrativo dei tribunali ecclesiastici italiani in materia matrimoniale. Ha inoltre provveduto ad alcune nomine.

7. Nomine Il Consiglio Episcopale Permanente, nella sessione straordinaria del 14 novembre, ha provveduto alle seguenti nomine: – Membro della Commissione Episcopale per il laicato: S.E. mons. Luigi VARI, arcivescovo di Gaeta. – Membro della Commissione Episcopale per l’ecumenismo e il dialogo: S.E. mons. Derio OLIVERO, vescovo di Pinerolo. – Rappresentante della Conferenza Episcopale Italiana nel Consiglio di amministrazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore: S.E. mons. Stefano RUSSO, segretario generale della CEI e vescovo di Fabriano-Matelica. – Presidente del Comitato per la valutazione dei progetti di intervento a favore dei beni culturali ecclesiastici e dell’edilizia di culto: S.E. mons. Franco LOVIGNANA, vescovo di Aosta. – Presidente del Consiglio nazionale di Pax Christi – Movimento Cattolico Internazionale per la pace: S.E. mons. Giovanni RICCHIUTI, arcivescovo-vescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti.

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*** Inoltre la Presidenza, nella riunione del 12 novembre 2018, ha proceduto alle seguenti nomine: – Co-Presidente dell’Osservatorio centrale per i beni culturali di interesse religioso di proprietà ecclesiastica: S.E. mons. Franco LOVIGNANA, vescovo di Aosta. – Assistente ecclesiastico nazionale del Centro Sportivo Italiano: don Alessio Cirillo ALBERTINI (Milano). Roma, 15 novembre 2018

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D OCUMENTI

DELLA

C HIESA I TALIANA

FACOLTÀMTAGISTERO EOLOGICAPP ONTIFICIO UGLIESE Inaugurazione dell’anno accademico 2018/2019 della Facoltà Teologica Pugliese (Molfetta, 18 dicembre 2018)

Saluto del Gran Cancelliere

Benvenuto a Sua Eminenza il Signor Cardinale Gualtiero Bassetti, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, che ringrazio di cuore per aver accettato con grande disponibilità il nostro invito a tenere la prolusione dell’anno accademico 2018-2019. Il tema che svilupperà: «La pace del Mediterraneo: vocazione e missione di una Chiesa mediterranea» lo accarezza da tempo, in attesa di profondi sviluppi. Eminenza, qui Lei si sente a casa, perché ha conosciuto il nostro Seminario Teologico già come Vescovo delegato per i Seminari d’Italia.

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Un saluto al Presidente della Conferenza Episcopale Pugliese, S.E. Mons. Donato Negro, agli Eccellentissimi Arcivescovi e Vescovi e ai Reverendissimi Superiori e Superiore degli Ordini e delle Congregazioni religiose e li ringrazio per la loro presenza. Rivolgo un cordiale benvenuto alle Autorità civili, militari e accademiche che hanno cortesemente accolto il nostro invito. Ringrazio il Rettore del Pontificio Seminario Regionale “Pio XI” per la disponibilità offerta in occasione di questo solenne atto accademico. Un saluto particolare intendo rivolgerlo a tutti i docenti e gli studenti all’inizio del quattordicesimo anno accademico della Facoltà Teologica Pugliese. Siate benvenuti tutti, signore e signori, che oggi ci onorate con la vostra presenza.

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Ritengo opportuno, in questa circostanza, riprendere alcune sollecitazioni che il Santo Padre, Papa Francesco, ha presentato nella recente Costituzione apostolica Veritatis Gaudium, quando ha ricordato alcuni aspetti della vocazione e della missione di chi studia e fa teologia oggi. Nel documento si parte dall’esigenza che tutto il popolo di Dio intraprenda una nuova tappa dell’evangelizzazione. Essa, però, si dice nel testo, sarà possibile solo attraverso «un deciso processo di discernimento, purificazione e riforma» nel quale «è chiamato a giocare un ruolo strategico un adeguato rinnovamento del sistema degli studi ecclesiastici» (VG 3). Gli studi ecclesiastici, infatti, offrono «luoghi e percorsi di formazione qualificata dei presbiteri, delle persone di vita consacrata e dei laici impegnati» e «costituiscono anche una sorta di provvidenziale laboratorio culturale in cui la Chiesa fa esercizio dell’interpretazione performativa della realtà che scaturisce dall’evento di Gesù Cristo e che si nutre dei doni della Sapienza e della Scienza di cui lo Spirito Santo arricchisce in varie forme tutto il Popolo di Dio: dal sensus fidei fidelium al magistero dei Pastori, dal carisma dei profeti a quello dei dottori e dei teologi» (VG 3). Secondo questa visione, le nostre Università o Facoltà devono essere sempre più assimilate a «laboratori culturali ecclesiali» che si arricchiscono del contributo dei diversi “doni” dello Spirito, da


FACOLTÀ TEOLOGICA PUGLIESE quello del Magistero, dei dottori e dei teologi, a quello profetico del sensus fidei del popolo di Dio. Leggendo il testo della Costituzione apostolica comprendiamo che quanto in esso è prospettato richiede un inevitabile cambio di paradigma, che potrà realizzarsi attraverso quattro criteri orientativi fondamentali: anzitutto (a) l’introduzione e la contemplazione del kerygma; (b) il dialogo a tutto campo; (c) l’inter- e trans-disciplinarietà; (d) il “fare rete” tra le istituzioni che promuovono gli studi ecclesiastici. Sono convinto che queste indicazioni svilupperanno sempre più un processo di apertura e dialogo. Infatti «la teologia e la cultura d’ispirazione cristiana sono state all’altezza della loro missione quando hanno saputo vivere rischiosamente e con fedeltà sulla frontiera» (VG 5). Queste piste di rinnovamento, presenti nella Costituzione Veritatis Gaudium, devono essere tenute in debito conto per vivere bene il presente della nostra Facoltà, ma ancor più per costruire un orizzonte del futuro. Esorto, quindi, tutta la comunità accademica a recepire prontamente le indicazioni di Papa Francesco, perché il nostro servizio sia fecondo nel cammino della Chiesa di oggi. Alla luce di queste considerazioni auguro a tutti un anno accademico, ricco di grazia, nel quale i docenti possano realizzare pienamente la loro missione ecclesiale e gli studenti possano incontrare effettive possibilità di crescita umana e cristiana per il servizio delle nostre comunità ecclesiali pugliesi, anzi della Chiesa tutta. Molfetta, 18 dicembre 2018 + Francesco Cacucci Arcivescovo di Bari-Bitonto Gran Cancelliere della Facoltà Teologica Pugliese

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Relazione del Preside

Saluto Sua Em. il cardinale Gualtiero Bassetti, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, e Sua Ecc. mons. Donato Negro, Presidente della Conferenza Episcopale Pugliese e presidente della Commissione di Alto Patronato della FTP. Saluto anche Sua Ecc. mons. Francesco Cacucci, nostro Gran Cancelliere, e mi unisco volentieri ai suoi ringraziamenti verso tutti voi che ci onorate con la vostra presenza.

Introduzione

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Siamo all’inizio di un nuovo anno accademico, il quattordicesimo dall’istituzione della FTP. Il nuovo anno è segnato dall’entrata in vigore della Veritatis gaudium, la Costituzione apostolica che costituisce la nuova “magna charta” per regolare la vita delle istituzioni accademiche della Chiesa Cattolica. Tutta la prima parte del documento contiene una riflessione di ampio respiro nella quale si offrono indicazioni e prospettive rinnovate per chi studia e fa teologia oggi. Nella formulazione degli ideali che ci guidano il documento ci offre nuovi stimoli per portare avanti con fiducia la nostra missione di ricerca e insegnamento al servizio della Chiesa. La FTP ha già iniziato un processo di ricezione della Veritatis gaudium che porterà alla necessaria revisione dei nostri principali documenti normativi. Ritengo sia, però, ancora più importante l’assimilazione dei principi ispiratori enunziati nel documento pontificio, che costituiscono un’occasione di riflessione approfondita sui principi pedagogici e didattici che sono alla base del lavoro quotidiano della comunità accademica che formiamo. La lettura del nuovo testo conferma la validità dei principi che già cerchiamo di mettere in atto nel nostro lavoro quotidiano, sin dalla fondazione della nostra istituzione; tuttavia nella Veritatis gaudium sono presenti alcune esigenze di ulteriore rinnovamento alle quali vogliamo rispondere prontamente. All’interno di esse voglio ricordarne almeno tre che mi sembrano fondamentali:


FACOLTÀ TEOLOGICA PUGLIESE In primo luogo, l’importanza di «imprimere agli studi ecclesiastici quel rinnovamento sapiente e coraggioso che è richiesto dalla trasformazione missionaria di una Chiesa ‘in uscita’» (VG 3). In secondo luogo, la esigenza di una cultura dell’incontro e del dialogo «come esigenza intrinseca per fare esperienza comunitaria della gioia della Verità e per approfondirne il significato e le implicazioni pratiche» (VG 4 b). Infine, in terzo luogo, la qualità e l’importanza della ricerca ribadendo che «gli studi ecclesiastici non possono limitarsi a trasferire conoscenze, competenze, esperienze [...] ma devono [...] elaborare strumenti intellettuali in grado di proporsi come paradigmi d’azione e di pensiero, utili all’annuncio in un mondo contrassegnato dal pluralismo etico-religioso» (VG 4 d). Sono certo che l’itinerario di ricezione del testo di Papa Francesco porterà frutti di novità nella nostra istituzione all’interno della quale, per grazia di Dio, si respira un desiderio e un impegno fermo di collaborare, con inequivoca fedeltà, attraverso il nostro impegno accademico, con la missione del successore di Pietro e quindi a servizio delle esigenze attuali della Chiesa e della nostra gente.

I motivi di speranza Il nuovo anno segna anche una tappa importante nella mia biografia accademica in quanto, alla fine di esso, terminerà il mio servizio di preside. In occasione di tale scadenza, ho operato una rilettura di questi ultimi otto anni vissuti dalla nostra istituzione. In questo discernimento sono emersi chiaramente alcuni motivi che ci fanno guardare con speranza al presente e al futuro della nostra facoltà. Proprio a questi dati positivi intendo rivolgere l’attenzione nel seguito di questa relazione introduttiva, anche come contributo in vista del lavoro di chi sarà chiamato a guidare la FTP negli anni che verranno.

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Il nostro primo e maggiore motivo di speranza sono gli studenti. I numeri relativi agli iscritti alla facoltà attestano l’esistenza di una grande stima nei confronti della nostra istituzione da parte di numerosi giovani e adulti che intendono ricevere una formazione teologica di alto livello. Nell’anno accademico in corso gli iscritti alla facoltà sono 399. Si tratta di dati che rilevano l’esistenza di una consistente stima per la nostra offerta formativa che noi intendiamo confermare e ampliare lavorando seriamente per meritarci la fiducia dei Vescovi, dei Superiori Maggiori degli Istituti di vita consacrata e dei laici. Uno dei segnali del lavoro dei nostri studenti è visibile nel conseguimento dei vari gradi accademici. Durante lo scorso anno accademico nella facoltà sono stati conferiti: 2 dottorati, 10 licenze e 50 baccellierati. Si tratta di numeri dietro ai quali è possibile intravedere tanto lavoro e dedizione dei nostri studenti i quali, conseguendo i titoli con grande dignità, hanno saputo dar prova della loro preparazione. Una particolare considerazione va riservata a quegli studenti che, pur di fruire della nostra offerta formativa, si sono dovuti impegnare in viaggi e spostamenti con grande sacrificio personale.

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Un secondo motivo di speranza per la nostra istituzione si trova nel corpo docente. Ritengo che la nostra facoltà sia dotata di un gruppo di professori di qualità e altamente motivati. Anche i nostri studenti esprimono una generale soddisfazione per il corpo docente e per la sua attività. Questi risultati ci stimolano a migliorare ancora la qualità del nostro servizio di docenza attraverso una formazione permanente dei professori che sia attenta ai contenuti dell’offerta formativa, ma anche alle competenze didattiche che devono essere adeguate alla situazione culturale dei nostri studenti. I docenti della FTP sono 72; quelli stabili, sui quali pesa la responsabilità fondamentale dell’attività didattica, sono 15. Tra essi 5 sono ordinari, 7 straordinari, 3 associati. I docenti incaricati sono 38, gli invitati sono 19. Questi dati segnalano come la nostra facoltà sia già in linea con quanto chiesto dalla Veritatis gaudium in riferimento al numero dei docenti stabili. Durante lo scorso anno accademico sono intervenute delle novità nel corpo docente che voglio ricordare. Il prof. Nicola Bux è diventato emerito. Il prof. Francesco Neri, nostro stimato Vicepreside, è diventato Consigliere generale


FACOLTÀ TEOLOGICA PUGLIESE dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini. Il prof. Luciano Lotti ha terminato il suo compito di Bibliotecario generale della FTP dopo molti anni di generoso servizio. Per il nuovo anno sono stati chiamati a insegnare 9 nuovi docenti; ad essi va la nostra gratitudine per la disponibilità e il servizio di qualità che stanno offrendo. Continua ad essere consistente la produzione scientifica dei docenti; uno sguardo globale alla loro produzione permette di rendersi conto immediatamente della qualità di quanto è stato realizzato. Inoltre bisogna riconoscere come dato positivo il fatto che molti nostri docenti siano sempre più apprezzati e per questo coinvolti all’interno di iniziative culturali e formative organizzate a livello diocesano, regionale e anche nazionale. Un ulteriore motivo “speranziale” per la nostra istituzione può essere individuato nella capacità di dar origine ad apprezzati progetti di ricerca e iniziative culturali di alto livello. Tra le iniziative in corso occorre ricordare che nella FTP sono attivi tre progetti di ricerca (uno in Teol. ecumenica, uno in Teol. dogmatica e uno in Teol. pratica) e anche un corso di aggiornamento in ecumenismo, organizzato dal nostro ITE, che ha più di 300 iscritti. Un nuovo progetto, realizzato dal Dipartimento di Scienze bibliche, è stato già presentato alla CEI per la richiesta di cofinanziamento. Anche le altre attività culturali della facoltà attestano un’apprezzabile vivacità; tra esse occorre ricordare soprattutto le numerose iniziative svolte a livello di istituti nei quali viene realizzata un’interessante animazione. Un resoconto puntuale di queste iniziative è rinvenibile nell’annuario della facoltà ma, tra esse, merita di essere ricordato almeno il convegno della nostra facoltà, dedicato al tema: La dimensione sociale dell’evangelizzazione, tenutosi a Bari il 23-24 aprile scorso. È stata una bella esperienza, organizzata con un discernimento comunitario che ha coinvolto tutta la nostra istituzione e che ha preso corpo in un’iniziativa vivacizzata dalla realizzazione di ateliers tematici. In questo contesto dedicato alla ricerca occorre far riferimento ad

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Apulia Theologica, la nostra rivista, che, ormai, dopo i suoi primi quattro anni di vita, ha assunto una posizione visibile e qualificata nel panorama delle riviste scientifiche di qualità. Il primo direttore della rivista, prof. Pio Zuppa, dopo aver avviato con grande efficacia il progetto, ha presentato al CdF le dimissioni volendo passare il testimone della responsabilità della direzione. Al suo posto abbiamo scelto il prof. Vincenzo Di Pilato. Al prof. Pio Zuppa esprimo una grande gratitudine per il suo lavoro e quello di tutto il comitato di redazione; a Vincenzo Di Pilato formulo i migliori auguri per la nuova responsabilità nella quale, sono sicuro, metterà la sua intelligenza e il suo cuore. Una menzione merita anche l’attivazione della collana della facoltà, Theologica, che è stata dotata di un direttore di grande qualità ed esperienza, il prof. Luca de Santis. Un quarto motivo di fiducia per la nostra istituzione si trova nella segreteria e nell’amministrazione economica. Sin dall’inizio dell’attività della facoltà la Segreteria generale, in collaborazione con le segreterie degli istituti, ha promosso una cultura dell’unità e della totale dedizione agli studenti offrendo un apporto veramente importante. Un contributo particolarmente prezioso, al fine di realizzare la nostra missione, è venuto dal Consiglio di Amministrazione e dall’economato che hanno saputo mettere a disposizione della FTP una dotazione economica adeguata per l’attività didattica e per la ricerca. Tutto questo ha permesso alla nostra comunità di poter guardare con positività al presente e al futuro.

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Un quinto punto di forza della FTP si trova nella collaborazione con alcune istituzioni dalle quali la vita della nostra comunità accademica dipende direttamente. Mi riferisco ai Vescovi pugliesi che in tanti modi ci sostengono, soprattutto attraverso la Commissione di Alto Patronato. La facoltà ha ottime relazioni anche con la comunità del Pontificio Seminario Regionale Pugliese “Pio XI” di Molfetta, con la fraternità dei Cappuccini di S. Fara e con la comunità dei padri Domenicani di S. Nicola, che con premura ospitano i nostri Istituti e curano l’accoglienza dei professori. Buoni rapporti sono in essere con la CISM, con l’USMI regionali, e in particolare, con i Superiori Maggiori di quegli Istituti di vita consacrata che si


FACOLTÀ TEOLOGICA PUGLIESE impegnano a sostenere economicamente la sede dell’Istituto Teologico S. Fara. Un’ottima intesa esiste anche con tutte le comunità religiose che con fiducia ci affidano i loro studenti e, con generosità, ci mettono a disposizione i loro professori. Queste collaborazioni istituzionali, che effettivamente si realizzano attraverso relazioni personali cordiali e generose, rendono possibili l’esistenza e il servizio quotidiano svolto dalla nostra istituzione. Tra gli aspetti positivi della nostra istituzione va ricordato sicuramente anche il buon funzionamento del collegamento istituzionale che esiste con i nostri ISSR. Il rapporto con questi preziosi centri teologici, configurati nell’ultima riforma come istituti metropolitani, è diventato sempre più proficuo. La facoltà, nei confronti dei nuovi quattro ISSR Metropolitani presenti in regione, ha il compito di garantire la validità ed i livelli dei piani di studi, la qualificazione dei docenti e la verifica dei loro titoli nonché il conferimento dei titoli accademici di loro competenza. Il collegamento con gli ISSR è ampiamente rappresentato nell’Annuario della FTP 2018-2019, nel quale sono descritti i dati fondamentali di ogni istituto: l’organizzazione, le autorità accademiche, l’organico dei docenti e il numero degli studenti. Nel corrente anno gli iscritti agli ISSR pugliesi sono 581. Un segnale di comunione tra i nuovi ISRR Metropolitani pugliesi è il progetto, in fase di avanzata realizzazione, di una rivista scientifica di qualità sostenuta e promossa congiuntamente dagli istituti pugliesi. Si tratta di un progetto, unico in Italia, che mostra ancora una volta la capacità della nostra gente di lavorare insieme per raggiungere progetti importanti. La lettura precedente, nella quale ho evidenziato soprattutto i motivi di speranza, potrebbe diventare ingenua se non fosse accompagnata anche dalla consapevolezza dei limiti che segnano il vissuto della nostra istituzione accademica. Tutti quelli che lavorano nella nostra facoltà a tempo pieno sanno che alcune mete devono ancora essere pienamente raggiunte: le difficoltà strutturali tipiche di una

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struttura a rete; il superamento definitivo di residue mentalità particolaristiche; la disponibilità a tempo pieno dei docenti e la loro dedizione alla ricerca. Tenendo conto di questi spazi di crescita, ancora ampiamente aperti, occorre guardare avanti e incrociare con lo sguardo le mete che abbiamo di fronte, dobbiamo consolidare quanto con grande fatica e impegno è stato conseguito in questi anni e lavorare nella direzione della crescita della qualità che richiede un impegno di tutti ma soprattutto dei docenti stabili, perché senza il loro protagonismo e la loro corresponsabilità non vi potrà essere alcun effettivo passo in avanti, perché la missione ecclesiale di chi insegna stabilmente in una facoltà richiede amore, dedizione e fedeltà, per conseguire il vero fine di ogni scuola teologica che è il vantaggio effettivo dei nostri studenti attraverso la loro adeguata preparazione in vista della missione che essi eserciteranno nella Chiesa e nel mondo.

Conclusione

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Mi avvio a chiudere questa relazione ricordando che prima che l’anno accademico in corso termini occorrerà già formulare, all’interno del CdF, la terna da presentare al Gran Cancelliere per la scelta di chi dovrà esercitare la responsabilità della presidenza nei prossimi anni. Pertanto, prima di passare il testimone, in questo contesto voglio pubblicamente ringraziare il Signore e tutte le mediazioni ecclesiali, attraverso le quali la scelta è caduta su di me, per l’esperienza che ho fatto in questi anni, nei quali ho cercato di realizzare il mandato che mi è stato conferito, ossia quello di lavorare per il consolidamento e lo sviluppo della FTP. Alla fine del percorso, mi sento abbastanza sereno perché penso di aver agito sempre sotto la spinta di un sincero amore per la nostra comunità accademica e con uno stile sinodale e collaborativo. Alla luce di quanto ho detto nella relazione, nella quale ho provato a delineare una fotografia “speranziale” della nostra facoltà, e nella consapevolezza della fede, che ci invita a riconoscere nel nuovo anno un talento messoci a disposizione dalla generosità divina, cominciamo questo nuovo tratto della nostra storia con sentimenti pieni di gioia, per le mete già conseguite e di ferma determinazione, per quelle che restano ancora all’orizzonte.


FACOLTÀ TEOLOGICA PUGLIESE Chiudo augurando a tutti un buono e sereno anno accademico. Si realizzi per tutti noi l’auspicio formulato da Papa Francesco, nell’Esortazione apostolica Gaudete et exsultate (n. 45), con queste parole: «Si impara per vivere: teologia e santità sono un binomio inscindibile». Quindi la teologia serve alla vita e, come dice il Santo Padre, serve alla santità. Poiché «si impara per vivere», il mio augurio più sincero è che per tutti il nuovo anno sia un tempo di grazia, di crescita intellettuale, umana e spirituale; un tempo di gioia e di consolazione. Facendo tesoro delle parole di tale indicazione, iniziamo il nuovo anno col fermo proposito di farlo diventare un atto d’amore e, a tal fine, ci affidiamo totalmente alla grazia del Risorto e ai nostri intercessori particolari che sono Maria SS. Regina della Puglia, San Nicola e Santa Fara. Il Preside Prof. Angelo Panzetta

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Card. Gualtiero Bassetti Presidente della Conferenza Episcopale Italiana

La pace del Mediterraneo. Vocazione e missione di una Chiesa mediterranea

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Cari amici e care amiche, nelle occasioni in cui incontro comunità di studio e ricerca teologica rivolgo sempre una raccomandazione, che – nel caso di oggi – è solo apparentemente distante dal tema assegnatomi: rileggete spesso e fate vostre le parole che papa Francesco ha scritto all’Università Cattolica Argentina1. Anche la Chiesa italiana ha bisogno di una teologia che non nasca in laboratori asettici, ma abiti e interpreti le frontiere, si nutra del “fiuto del popolo di Dio” e lo faccia crescere. La teologia nasce nella vita della Chiesa e nelle sfide che essa affronta per amore del Vangelo. Il rigore scientifico è organico a un imprescindibile e antecedente momento che coinvolge tutti i battezzati nel tessuto vivo della chiesa. La teologia sente cum ecclesia perché nasce in una Chiesa di popolo da cui riceve il Vangelo: un popolo gerarchicamente ordinato, ma non gerarchicamente appiattito – che trasmette e ricomprende il Vangelo nei contesti nei quali vive, soprattutto quando vive nelle «trincee sociali» e non fugge dai «crocevia delle ideologie»2. Un popolo radunato e riempito di Spirito santo, che gode della infallibilitas in credendo e che ha gli strumenti per discernere ciò che lo Spirito chiede nei contesti difficili e promettenti che viviamo! Questi strumenti, cari amici e care amiche, sono la Parola di Dio, la Liturgia, i ministeri, il magistero e, prima ancora, le comunità cristiane stesse, con i loro carismi e le loro competenze. Il popolo di Dio ha il diritto di contare sulla competenza e la passione dei teologi e delle teologhe per discernere la realtà alla luce delle radicali esigenze del santo Vangelo e della fede nella presenza costante della Misericordia di Dio che guida la storia. 1

Francesco, Lettera al Gran Cancelliere della “Pontificia Universidad Católica Argentina” nel centesimo anniversario della Facoltà di Teologia, 3 marzo 2015. 2 Cfr Antonio Spadaro, Intervista a papa Francesco, in “La Civiltà Cattolica”, n. 3918 – III (2013), pp. 449-477.


FACOLTÀ TEOLOGICA PUGLIESE La Puglia, per storia, collocazione geografica, per le contingenze presenti, è una frontiera che, per la testimonianza dei suoi santi, è abitata da una Chiesa profetica. Sono lieto, qui, in questo luogo, di ringraziare per la memoria e la testimonianza di don Tonino! Ricordo in maniera vivissima quando, segnato già dalla malattia, insieme a tanti altri e mescolato con tanti altri, valicò le frontiere insanguinate dei paesi balcanici per raggiungere Sarajevo assediata. Ero rettore a Firenze e alcuni seminaristi mi chiesero di partecipare a quella marcia; vissi – come potete immaginare – giorni di grande apprensione. Don Tonino aveva capito che a Sarajevo e nelle altre città martirizzate dei Balcani non si era risvegliato solo il mostro dell’odio etnico, ma che ancora una volta l’Europa cedeva alla mortifera tentazione di ridefinire i suoi equilibri sulla guerra. Una pratica, quella di costruire gli equilibri delle nazioni sulla guerra, che ha riempito di sangue la storia del mondo per tutta la modernità. Da questa situazione si esce solo osando la pace e fondandola sul diritto, sulla giustizia e sulla riconciliazione. Questa pace – pur fra mille contraddizioni e tradimenti – è stata osata alla fine della seconda guerra mondiale e ha permesso all’Europa di rinascere dalle ceneri della sua autodistruzione. Abbiamo voltato le spalle, speriamo per sempre, a un Europa fratricida perché abbiamo proclamato i diritti inviolabili della persona, abbiamo deciso che i rapporti internazionali siano governati dal diritto, abbiamo dichiarato che la guerra non è mezzo adeguato per la risoluzione dei conflitti internazionali! Moltissimo resta ancora da fare e purtroppo molte sono le parole rimaste solo buone intenzioni (a volte ipocrite), ma la pace che viviamo da 70 anni è frutto di quella pace osata: dobbiamo andare avanti, non tornare indietro! Se diamo uno sguardo profondo, di fede, ci accorgiamo che dalle ferite dei totalitarismi e della seconda guerra mondiale siamo guariti grazie a coloro che hanno saputo dare la vita. La storia va avanti grazie a coloro che donano la vita, non a quelli che la distruggono. Il Signore ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili. Ha rimandato i ricchi a mani vuote.

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Dobbiamo riconoscere che questa stessa consapevolezza si ritrova anche in tante lettere dei condannati a morte della resistenza europea, anche non credenti. Un testo che dovremmo tutti riprendere in mano per scoprirvi il senso di un’Europa che non è unita solo dalla moneta e dalle regole dei mercati! Un testo che dovrebbero in particolare riprendere in mano i leaders europei (nazionali e comunitari) per costruire, su quelle estreme testimonianze di speranza e futuro, un’Europa solidale, libera, gelosa di tutelare la dignità della persona umana. Un’Europa che fa crescere, attraverso la pace, la prosperità e il benessere dei popoli che la compongono senza distinzione di razza, di sesso, di cultura, di apparenza religiosa. La nostra Europa, cari amici e care amiche, non può permettersi di ammalarsi di nuovo! Deve, invece guarire da quelle nuove malattie che la invecchiano e la privano di speranza, di attesa, di capacità di far spazio alle giovani generazioni. La nostra Europa non può più permettersi di procedere in ordine sparso nello scenario internazionale. Deve, con unità di intenti, di interessi e di valori, cogliere le sfide epocali del mondo, che – volenti o nolenti – è un’unica famiglia di popoli, in cui l’ingiustizia subita dall’uno ha conseguenze, presto o tardi, nella vita interna dell’altro. Fenomeni di tale portata che nessuna nazione, neanche la più potente, potrà mai affrontare da sola. Cari amici e care amiche pugliesi, nella vostra storia è scritta la consapevolezza che non c’è Europa senza Mediterraneo e non c’è Mediterraneo senza Europa. Non ci potrà mai essere un’Europa stabilmente in pace, senza pace nel Mediterraneo: la guerra in Ucraina, con tutte le sue implicazioni, sta lì – purtroppo – a dimostrarlo. Essa non è che un pezzo della “guerra mondiale a pezzetti” di cui il Mediterraneo costituisce uno degli snodi principali. Giorgio La Pira parlava del grande lago di Tiberiade e della casa comune europea; esse sono, appunto, realtà che si reggono o cadono insieme. La casa comune europea è – nel pensiero di La Pira – più grande della attuale Unione Europea, è una realtà sinergica, che va dall’Atlantico agli Urali, nella quale il cristianesimo ha affondato le sue radici, ha plasmato le società e respira – come diceva san Giovanni Paolo II – con due polmoni, nonostante le divisioni che permangono e che purtroppo talvolta si aggiungono. Credo che la presa di coscienza della comune responsabilità dei cri-


FACOLTÀ TEOLOGICA PUGLIESE stiani europei (dall’Atlantico agli Urali, ma anche da nord a sud) nei confronti della pace, della giustizia e della riconciliazione fra i popoli sia una premessa necessaria per la stabilizzazione dell’area mediterranea e mediorientale, quindi per la prosperità e la pace di tutte le nazioni. Un orizzonte, che non siamo soli a sognare perché è anche il sogno di Dio: la promessa e la prospettiva del suo Regno verso cui il cristiano non smette di camminare: Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio! Se dovessi indicare una parola chiave del mio intervento, indicherei la parola “frontiera”. Non c’è dubbio, infatti, che il Mar Mediterraneo sia una “frontiera” nel senso classico di “confine”, esso infatti separa spazi controllati da stati diversi ed è presidiato militarmente. Tuttavia, non è una frontiera solo in questo senso, ma anche in quello traslato di “punto di partenza”, di “sfida verso nuovi orizzonti”. Alludo allo “spirito di frontiera”, alla capacità di andare oltre l’esistente, di cogliere le sfide. Del resto è evidente: da millenni il Mar Mediterraneo non è solo il luogo dove i popoli si “fronteggiano”, ma anche il “canale” attraverso il quale passano idee, culture, persone, merci. Il mare non è testimone solo della brutalità delle guerre e dei respingimenti, ma anche dei commerci che generano prosperità e – non dimentichiamolo mai – dell’audacia di chi segue virtute e canoscenza. Penso a san Paolo, più che a Ulisse, e a tutti gli evangelizzatori della storia; penso anche ai testimoni concreti della fraternità universale. Il mio pensiero va oggi, in particolare, a Silvia Costanza Romano: preghiamo il Signore per la sua incolumità e per il suo ritorno a casa, il prima possibile. Il Mediterraneo unisce e divide i popoli rivieraschi, unisce e divide il mondo. La storia dell’Europa moderna ci dice che quando il Mediterraneo è usato per dividere, i poveri – a qualsiasi riva appartengano – finiscono per soffrirne. È un inganno demagogico e pericoloso far credere che la divisione offra garanzie: l’interdipendenza dei popoli, infatti, non è una scelta ideologica “buonista”, è un dato di realtà che va gestito! Questa la sfida che ci troviamo a vivere, care

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sorelle e cari fratelli: una sfida che noi cristiani cogliamo per rimanere fedeli alla sequela di Gesù! Per capire qual è il nostro contributo di discepoli di Gesù nel Mediterraneo, conviene partire – è la grande Tradizione della Chiesa che lo insegna – dalla confessione del peccato. Se guardiamo alla storia, dobbiamo riconoscere che i cristiani hanno assecondato e alimentato, con le loro divisioni, la contrapposizione nel Mar Mediterraneo. Pensiamo alla prima grande frattura fra calcedonesi e non calcedonesi: i cristiani, non parlandosi, hanno rinunciato a essere seme di fraternità fra le sponde del Mediterraneo. Successivamente, con la caduta dell’impero romano di occidente, anche la Chiesa – pur se più lentamente – si è fatalmente divisa, fra oriente e occidente: ancora una volta, la linea di frattura passa anche dal Mare. In epoca moderna, all’interno della parte occidentale del continente, la contrapposizione fra confessioni cristiane ha contribuito alle grandi tragedie della storia moderna dell’Europa e del Mediterraneo. Insomma le divisioni confessionali, all’interno del cristianesimo, hanno rafforzato quelle politiche e militari. L’intolleranza reciproca fra religioni (fra ebraismo, cristianesimo ed islam) ha alimentato la contrapposizione fra impero ottomano e cristianità e reso possibile le persecuzioni degli ebrei, fino all’immane tragedia - oramai in un contesto secolarizzato – della Shoah. Abbiamo costruito coscienze ecclesiali autocentrate contribuendo così alla divisione del grande lago di Tiberiade! Cari amici, fra qualche mese ospiterete l’incontro dei vescovi del Mediterraneo. Questo incontro nasce dalla voglia di congedarsi da questi schemi, nasce anche da alcune semplici considerazioni. La prima riguarda il fatto che i problemi che affliggono il Mediterraneo, compresa la tragedia delle migrazioni, si risolvono a partire dalla coscienza dei popoli rivieraschi di appartenere – pur in tutte le differenze – ad una medesima realtà mediterranea. La seconda è che la Chiesa è mediterranea per diritto di nascita! Il Mare è il mezzo attraverso il quale il cristianesimo ha valicato i confini etnici, linguistici, culturali. È grazie al Mediterraneo (come opportunità transculturale, come spazio di interculturazione) che è stato possibile concettualizzare e annunciare la portata universale della Resurrezione di Cristo! Le Chiese da cui è partita la spinta


FACOLTÀ TEOLOGICA PUGLIESE missionaria verso tutto il mondo, non possono più rinunciare al respiro mediterraneo che le unisce perché questo nostro mare è uno snodo fondamentale per la testimonianza cristiana. Se i cristiani prendono maggior coscienza della loro mediterraneità, della loro appartenenza reciproca, se organizzano le loro strutture di comunione e di discernimento tenendone conto, sia a livello intracattolico (con tutta la ricchezza delle tradizioni ecclesiali in comunione col vescovo di Roma), sia a livello ecumenico; se essi affrontano insieme la chiamata al dialogo interreligioso, tenendo conto che la Triplice famiglia di Abramo (come la chiamava La Pira) ha una comune origine mediterranea; se praticano l’ecumenismo della carità e lottano insieme per la giustizia e la salvaguardia del creato; se prendono coscienza che l’ecumenismo dei martiri ha già realizzato quella perfetta comunione ecclesiale verso cui tutti stanno camminando…: allora il loro servizio alla pace fiorirà, perché le sorprese di Dio, cari amici e care amiche, non sono finite, come non sono finite le sue promesse. E le sue promesse sono il senso e la direzione della storia, il senso della vita di ciascuno di noi. Cari amici, care amiche che studiate e insegnate la teologia, siete chiamati a mettervi a servizio del discernimento evangelico ed ecclesiale in questo crocevia di popoli, di culture, di religioni; in questo mare bellissimo che è stato trasformato nel cimitero a cielo aperto dell’ennesima strage della contemporaneità; in questo grande lago che va difeso nei suoi delicati equilibri ecologici. Prendiamo coscienza che stiamo vivendo un passaggio epocale e fondiamo, con fedeltà e creatività, la nostra riflessione sui paradigmi teologici della svolta profetica del Concilio Vaticano II, alla luce della nuova fase di ricezione inaugurata dal pontificato di Francesco. Il Concilio ci ha dato gli strumenti per varcare, saldi nella fede, la frontiera di questo cambiamento di epoca senza essere turbati dall’inevitabile insicurezza per le tante cose che in questo passaggio non possiamo portarci dietro. Se una certa storia religiosa ha fatalmente assecondato e alimentato la frammentazione mediterranea ed europea, il Concilio ha rovesciato questa prospettiva!

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In questa ultima parte del mio discorso, farò brevi riferimenti a singoli documenti del Concilio, con la raccomandazione, tuttavia, di non isolarli, perché il corpus conciliare – come sapete meglio di me – può essere interpretato e recepito solo in modo intertestuale. La Dei Verbum coi suoi insegnamenti sulla dimensione dialogica ed amicale della rivelazione, sulla sua trasmissione, sull’ispirazione, sull’autorità divina ed umana delle sacre scritture, ci permette di comprendere una cosa prima difficilmente comprensibile e cioè che la nostra adesione al Vangelo di Gesù è stata resa possibile dal fatto che la parola del Signore e la narrazione degli eventi della sua vita – per la potenza dello Spirito Santo – sono arrivati fino a noi in forza di coraggiosi e profondi processi interculturali. Questi processi – nella loro dimensione necessariamente teologale – sono già attivi nel momento stesso della formazione dei testi sacri. Il Vangelo si diffonde (e la comprensione del mistero cristiano cresce) nella misura in cui la fede è trasmessa, vissuta, compresa e riflettuta in nuovi paradigmi culturali. Al contrario, il cristianesimo si arresta nella diffusione missionaria e nella comprensione del suo mistero quando si identifica con una sola civiltà, contrapposta ad un’altra. È vero: il fatto cristiano permea le società e costruisce civiltà, ma sempre le trascende! Ne deriva che il dialogo con le altre religioni non è in nessun modo riconducibile e riducibile a una pratica di buon vicinato: è, invece, una dimensione teologale fondamentale della vita della Chiesa. Il discorso sarebbe lungo e sta a voi teologi portarlo avanti; da parte mia posso solo richiamare, a pochi giorni dalla sua beatificazione (assieme ad altri 18 martiri, donne e uomini, fra cui il vescovo domenicano Pierre Claverie) il testamento del beato Christian De Chergé: 352

Ecco, potrò, se a Dio piace, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i Suoi figli dell’Islam così come li vede Lui, tutti illuminati dalla gloria del Cristo, frutto della Sua Passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre di stabilire la comunione, giocando con le differenze.

Unitatis redintegratio ha chiuso l’epoca della contrapposizione e delle controversie fra cristiani. Le loro divisioni non potranno più alimentare le fratture fra i popoli e anzi – come insegna papa Francesco – i cristiani non hanno più scuse di fronte alle esigenze


FACOLTÀ TEOLOGICA PUGLIESE dell’ecumenismo della carità, della giustizia, della salvaguardia del creato. L’epoca nuova, ecumenica, ridona alle Chiese – se vorranno cogliere questo dono! – il respiro mediterraneo delle origini e le rende seme di giustizia e di pace. Nostra aetate e la ricezione estensiva che di questo documento è presente nel magistero del santo papa Giovanni Paolo II, ha radicalmente invertito il processo di estraniamento reciproco e violento fra cristiani ed ebrei. Il mistero del Popolo eletto è un mistero cristiano, appartiene alla nostra fede! Il cristianesimo non potrà più prescindere, per comprendere se stesso, dal mistero di Israele. Il cristiano, cioè, ha bisogno dell’ebreo, del diverso da sé, per essere cristiano e per comprendersi come tale! È un mistero bello di Dio e della sua fedeltà irremovibile alle promesse, è la sua gioia segreta di stabilire la comunione, giocando sulle differenze! Naturalmente non solo il dialogo ebraico-cristiano ma, dentro questo medesimo filo rosso della guida divina della storia che costruisce la comunione nelle differenze, anche il dialogo con l’Islam assume un significato epocale. Questo dialogo trionferà sulla arroganza e la violenza omicida dei fondamentalisti. Fiorirà e fruttificherà, con grande fecondità, il sangue dei martiri! Questo stesso sangue, tuttavia, ci impone di vigilare con severità e di recidere, anche nel cristianesimo, le radici malate del fondamentalismo. Dignitatis humanae è forse il dono più delicato e più difficile che possiamo portare all’umanità contemporanea, attraverso l’evangelizzazione e il dialogo interreligioso. Un dono che porgiamo con umiltà e in atteggiamento penitenziale, perché sappiamo essere un punto di arrivo estremamente faticoso della nostra coscienza ecclesiale e politica; un arrivo segnato da una storia di cupa intolleranza. Un punto di arrivo che la Santa Sede, nel magistero dei papi postconciliari e nella sua attività diplomatica, propone come caposaldo della convivenza all’interno delle nazioni e fra le nazioni. Ma tutti i cristiani devono porgere questo dono prendendo sul serio la vertiginosa responsabilità di essere liberi di fronte a Dio! Non hai preso sul serio la libertà di fronte a Dio se non sei libero anche davanti ai potenti di questo mondo e agli idoli di questo mondo. Non sei davvero libero

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se la tua libertà non si traduce in azioni responsabili per la liberazione dei tuoi fratelli, oppressi dai potenti, dai malvagi e dai bisogni. Gaudium et spes ed Evangelii gaudium ci richiamano alla profondità cristologica dell’opzione preferenziale dei poveri. Volgere le spalle ai poveri, significa volgere le spalle a Cristo. L’umanità dei poveri e la divinità di Cristo si coniugano insieme! Dobbiamo essere molto chiari su questo perché è in gioco la credibilità della testimonianza in Gesù risorto da parte del cristianesimo occidentale. Laudato sii e il magistero del Patriarca Bartolomeo ci mettono davanti alle nostre responsabilità per la salvaguardia del creato. Una questione che, assieme al potenziale distruttivo delle armi nucleari, costituisce l’orizzonte apocalittico che ci tocca vivere. Questa responsabilità ci investe in particolare come cristiani mediterranei, perché il nostro mare è un crocevia degli equilibri geo-politici, sociali, demografici, economici, energetici ed ecologici del mondo! Ecco, cari amici: solo la condivisione di alcune intuizioni per abbozzare un profilo della vocazione alla pace di una chiesa che desidera attingere con gratitudine e gioia alle sue radici mediterranee. Non aggiungo altro, ma vi ringrazio della vostra attenzione e vi chiedo di accompagnare con la preghiera l’incontro dei vescovi del Mediterraneo che si terrà nella vostra terra. Assieme a voi lo affido alla Madonna, con le parole di don Tonino: Santa Maria, Vergine del mattino, donaci la gioia di intuire, pur tra le tante foschie dell’aurora, le speranze del giorno nuovo!

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D OCUMENTI

E

V ITA

DELLA

C HIESA

DI

B ARI -B ITONTO

MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO La Chiesa tra realtà e sogno*

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Si ringrazia il Monastero di Visoki De ani (Chiesa serbo-ortodossa) per la gentile concessione dell’utilizzo delle immagini del ciclo di affreschi dedicato agli Atti degli Apostoli. Le altre immagini si riferiscono all’incontro ecumenico per la pace di papa Francesco con i patriarchi e i capi delle Chiese e delle comunità cristiane del Medio Oriente, il 7 luglio 2018 a Bari. *

Il presente testo è stato edito per i tipi del Centro editoriale dehoniano, Bologna 2018.


Introduzione

«Pietro si alzò in mezzo ai fratelli» (At 1,15)

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L’immagine che apre queste pagine, ponendoci sul sagrato della basilica di san Nicola, dice bene la realtà e il sogno che abbiamo vissuto a Bari, il sette luglio scorso (2018): papa Francesco con i patriarchi e i capi delle Chiese e delle comunità cristiane del Medio Oriente, guardano insieme, in semicerchio, un popolo che li accoglie e li sostiene, con un unico desiderio, acclamando: unità, pace. Quell’incontro, quel cerchio, quell’abbraccio ha segnato in modo provvidenziale il cammino della nostra Chiesa diocesana, lasciando una traccia che non possiamo dimenticare. È stata una grande lezione di ecclesialità, che ha richiamato alla nostra mente il cammino della Chiesa raccontato dal libro degli Atti degli Apostoli. Una Chiesa aperta alle sorprese dello Spirito che sprona anche noi a vivere un nuovo anno alla luce di quel soffio di Pentecoste che ha scombinato i nostri programmi e ha orientato le nostre comunità a ripensare il proprio cammino pastorale. Non possiamo restare chiusi nel cenacolo per difenderci dal timore della novità, ma dobbiamo lasciare che l’azione dello Spirito ci conduca su nuove strade. È ancora viva nel cuore l’esperienza di un anno pastorale vissuto all’insegna dell’incontro tra le generazioni. Siamo stati tutti, famiglie e giovani, attivamente partecipi nella peregrinatio della tenda dell’incontro che, come auspicato, è stato davvero «uno spazio e un tempo in cui adulti e giovani si sono confrontati con le domande, i sogni, le speranze che accompagnano la ricerca di senso e di pienezza della loro vita»1. Questo movimento di cuori ha spinto le comunità parrocchiali ad abitare i territori dei nostri vicariati. Da tutti è stata riconosciuta come un’efficace esperienza che ha sorpreso e rigenerato le stesse comunità. Ha favorito l’apertura al territorio e la conoscenza delle sue potenzialità, risorse e talenti prima ancora che criticità. Ha lasciato che i giovani si sentissero e fossero realmente soggetti attivi dell’evangelizzazione in dialogo e in cammino 1

F. CACUCCI, Di generazione in generazione. Giovani e famiglia, EDB, Bologna 2017, p. 42.


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO con gli adulti. Ha fatto gustare il profumo della comunione nell’incontro tra le diverse generazioni della stessa comunità e anche tra le diverse parrocchie dei vicariati, costruendo una «rete» reale e virtuosa. È emerso l’auspicio che questa esperienza diventi stile del nostro cammino ecclesiale. L’incontro ecumenico per la pace nel Medio Oriente ha ulteriormente segnato la vocazione della nostra Chiesa locale nel nome di san Nicola, la cui reliquia è stata traslata, lo scorso anno, a Mosca e a San Pietroburgo, in seguito all’incontro di papa Francesco e il patriarca Kirill a Cuba. Con la decisione di incontrare nella nostra città i patriarchi, papa Francesco, in quella occasione, ci ha ricondotti «nella stanza al piano superiore» dove i discepoli «insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui» attendevano il dono dello Spirito che li avrebbe portati sulle strade del mondo ad annunciare il Risorto (cfr At 1,13-14). Conserviamo ancora viva negli occhi l’immagine del papa sul sagrato della basilica di san Nicola in mezzo ai patriarchi, con un popolo in attesa orante fin dalle prime ore del mattino. Prendendo la parola, Francesco ha voluto sottolineare lo stile di quell’incontro: «incoraggiati gli uni dagli altri, abbiamo dialogato fraternamente». Come non pensare alla pagina degli Atti dove leggiamo di Pietro che «si alzò in mezzo ai fratelli e disse» (At 1,15). Come «Pietro con gli undici», papa Francesco ci ha aiutati a leggere nello spirito delle Scritture la situazione drammatica delle Chiese in Medio Oriente e a raccogliere il grido di quanti continuano a soffrire per le guerre, trasformandolo in supplica al Signore della pace. Una scena, dunque, quella cui abbiamo partecipato a Bari, che si colloca nella grande tradizione della Chiesa. Un evento fatto di preghiera e di dialogo, ingredienti indispensabili per ogni incontro, perché è bello e dolce «che i fratelli vivano insieme» (Sal 133,1). Ci è sembrato importante, allora, quest’anno, tornare alle origini, soffermandoci appunto sul libro degli Atti degli Apostoli, dal quale cercheremo di cogliere ulteriore ispirazione per il nostro cammino pastorale. Seguendo il percorso dell’anno liturgico e la scansione annuncio, celebrazione, vita, partiremo dalla Parola annunciata nel

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libro degli Atti per discernere in essa e tramite essa essenziali indicazioni nell’ambito liturgico e caritativo, con la certezza che ogni comunità saprà svilupparle mediante un’attenta lettura dei segni dei tempi, suggerita e illuminata dallo Spirito. Tra realtà e sogno: leggiamo queste pagine della Scrittura come una guida per comprendere chi siamo e quale Chiesa siamo chiamati a diventare. Esse, infatti, mentre tramandano la storia della prima comunità cristiana, ci presentano un sogno, dipingendo la visione di una Chiesa ideale. La storia si intreccia al desiderio; i fatti alla visione. È quanto offre il primo sommario degli Atti, dove l’autore dice che i primi cristiani «erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere» (At 2,42). Luca non solo racconta quello che facevano i primi discepoli, ma sta dicendo che le sacre Scritture, la carità, i sacramenti e la preghiera costituiscono il fondamento di ogni comunità cristiana. Il sogno di Luca corrisponde a un «progetto», che ci ricorda l’essenziale della vita cristiana. Come non vedere in questo sommario degli Atti il fondamento della scelta mistagogica che sta accompagnando il nostro cammino pastorale? Non si tratta di strategie, ma di contenuti. I metodi possono cambiare, ma il progetto richiama i cardini della vita ecclesiale. Perseguiamo, allora, il sogno di Chiesa che Luca ci propone, lasciandoci accompagnare dal ritmo dell’anno liturgico (ciclo C).

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MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO

Sguardo d’insieme 1. UNA CHIESA IN DISCERNIMENTO Avvento-Natale Padre santo, che mantieni nei secoli le tue promesse, rialza il capo dell’umanità oppressa da tanti mali e apri i nostri cuori alla speranza, perché sappiamo attendere senza turbamento il ritorno glorioso del Cristo, giudice e salvatore. (Colletta alternativa I domenica di Avvento)

Affidiamo il cammino del tempo di Avvento-Natale a due brani: la sostituzione di Giuda (cfr At 1,15-26) e la discesa dello Spirito Santo a Pentecoste con il discorso di Pietro (cfr At 2,1-41). Da una parte la fragilità di un discepolo che ha tradito, dall’altra la potenza dello Spirito che conferma la promessa di Dio. Il tempo di AvventoNatale è il tempo nel quale la Chiesa celebra la sproporzione tra la fragilità della carne e la potenza di Dio che non teme di assumerla.

2. UNA CHIESA IN CRESCITA Tempo Ordinario (PRIMA PARTE) O Dio, che hai promesso di essere presente in coloro che ti amano e con cuore retto e sincero custodiscono la tua parola, rendici degni di diventare la tua stabile dimora. (Colletta VI domenica del tempo Ordinario)

I due brani proposti per la prima parte del tempo Ordinario offrono un duplice sguardo sulla comunità. Lo sguardo all’esterno ci porta all’ingresso del tempio dove Pietro e Giovanni incontrano lo storpio che chiede il loro aiuto (cfr At 3,1-16). Il loro intervento «nel

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nome di Gesù» trasformerà un’azione ordinaria in un’azione straordinaria. Lo sguardo interno mostra la perseveranza della comunità nel vivere i quattro pilastri sui quali essa si fonda e cresce (cfr At 2,42-47).

3. UNA CHIESA TRA CONTRADDIZIONI E PERSECUZIONI Quaresima O Dio, nostro Padre, con la celebrazione di questa Quaresima, segno sacramentale della nostra conversione, concedi a noi tuoi fedeli di crescere nella conoscenza del mistero di Cristo e di testimoniarlo con una degna condotta di vita. (Colletta I domenica di Quaresima)

Come leggiamo nella Lumen gentium (cfr n. 8), la Chiesa è santa ma sempre bisognosa di purificazione. Il tempo di Quaresima si offre come tempo propizio per riconoscere la trappola del peccato che insidia le nostre comunità, così come racconta l’episodio di Anania e Saffira (cfr At 5,1-11). Ma accanto all’atteggiamento menzognero della coppia, che si rivela una minaccia per la vita della comunità, il libro degli Atti presenta la figura del diacono Stefano, testimone fedele e disposto a dare la propria vita per amore di Cristo e della sua Chiesa (cfr At 6,8-8,3).

4. UNA CHIESA ALLA LUCE DEL RISORTO E DELLO SPIRITO 360

Pasqua-Pentecoste Si compia in ogni luogo, Signore, con la predicazione del Vangelo, la salvezza acquistata dal sacrificio del Cristo, e la moltitudine dei tuoi figli adottivi ottenga da lui, parola di verità, la vita nuova promessa a tutti gli uomini. (Colletta venerdì VI settimana di Pasqua)


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO Le apparizioni del Risorto e l’effusione dello Spirito sono i due tratti distintivi del tempo pasquale. È quindi il contesto ideale per meditare su due scene narrate nel libro degli Atti: l’incontro di Filippo con l’etìope a Gaza (cfr At 9,1-20) e l’incontro di Saulo con il Risorto sulla via di Damasco (cfr At 9,1-20). Lo Spirito conduce i credenti su vie inedite per portare tutti, mediante l’annuncio e la celebrazione, all’incontro con il Risorto capace di cambiare la vita, come è accaduto all’etìope che domanda il battesimo e a Saulo che, da acerrimo nemico dei cristiani, è trasformato in un intrepido testimone di Cristo.

5. UNA CHIESA SEMPRE IN CAMMINO Tempo Ordinario (SECONDA PARTE) In ogni tempo tu doni energie nuove alla tua Chiesa e lungo il suo cammino mirabilmente la guidi e la proteggi. (Prefazio delle domeniche del tempo Ordinario IX)

Mentre lo Spirito continuerà l’opera del Risorto per aprire la Chiesa ad orizzonti più grandi con l’effusione sul pagano Cornelio e la sua famiglia (cfr At 10,26-33), il concilio di Gerusalemme rappresenta una pagina importante nella vita della prima comunità perché consegna a noi un esempio dell’arte del discernimento che non teme il confronto e il dibattito (cfr At 15,1-35). Docile alla voce dello Spirito e attenta alle Scritture, la comunità cristiana continua il suo cammino senza temere le sollecitazioni della storia e disponibile al dialogo e al confronto.

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1. Una Chiesa in discernimento (cfr At 1,15-26; 2,1-41)

Monastero di Visoki De ani della Chiesa serbo-ortodossa, ciclo degli Atti degli Apostoli, Pentecoste

Avvento-Natale Immagine

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Nel monastero serbo di De ani, non a caso chiamato Alto (Visoki), per la alta bellezza evocativa della sua struttura e degli affreschi medievali (patrimonio dell’umanità dal 2004), emerge la rarità di un ciclo di una ventina di scene dedicate agli Atti degli apostoli (quasi un unicum per l’arte del periodo), che partono dalla volta e scendono gradualmente verso i muri e le colonne circostanti. La raffigurazione della Pentecoste attinge alla iconologia tradizionale, ma la sua posizione nella lunetta accentua il semicerchio degli apostoli, che a noi inevitabilmente fa venire in mente il semicerchio del papa e dei patriarchi a Bari. Nella rappresentazione, è evidente che il centro non è Pietro, ma Cristo (che forse possiamo immaginare simboleggiato dalla colonna che sorregge l’edificio sul fondo, a cui corrisponde il posto vuoto, presenza invisibile al centro del


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO semicerchio degli apostoli). Pietro e gli apostoli dialogano, con le mani e con gli sguardi. E lo stesso fanno tutti gli apostoli, tutti diversi, negli abiti, nelle pose: bellezza e ricchezza della diversità dei doni e dei carismi. Una chiesa comunionale, conciliare, sinodale. Dall’Alto della sfera celeste hanno ricevuto lo Spirito. In Alto («al piano superiore») lo accolgono. Poi lo distribuiscono al mondo, ai popoli. Il semicerchio è aperto (come sul sagrato di san Nicola, a Bari). Il personaggio in basso, variamente interpretato – ma che in ogni caso ha un rimando alla creazione da liberare, ai regni di questo mondo che attendono l’annuncio della luce) – ha un panno che nel colore e nella figura richiama l’arco in alto della Chiesa: sono gli elementi che splendono di più nell’affresco. La Parola, il bianco della risurrezione ha già squarciato le tenebre, e, nell’evento della Pentecoste si fa «parole»: sono i rotoli sul drappo. Pronti per la fame dei popoli, di tutta la terra. Luci per illuminare le genti.

Annuncio «Egli era stato del nostro numero» (At 1,17) La Chiesa inizia il suo cammino partendo da una ferita provocata all’interno stesso della comunità: non si parla più dei «Dodici» ma degli «Undici». Emerge la figura di Pietro che «si alzò in mezzo ai fratelli» per assumersi la responsabilità di leggere la nuova situazione creatasi all’interno del gruppo. Il suo compito è aiutare la comunità a leggere quanto è accaduto alla luce delle Scritture, partendo dal fatto che Giuda «era stato del nostro numero e aveva avuto in sorte lo stesso nostro ministero» (At 1, 17). Pietro non nasconde la triste verità della quale la comunità deve prendere atto. Ora c’è un vuoto da spiegare e da colmare. Il discorso di Pietro, però, non ha lo stile della delusione o dello smarrimento. Pietro rilegge la nuova situazione alla luce della Parola di Dio e afferma che «era necessario che si compisse ciò che nella Scrittura fu predetto dallo Spirito Santo per bocca di Davide

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riguardo a Giuda» (At 1,16). L’inizio del suo discorso con quel «era necessario» esprime il tentativo di interpretare quel dramma alla luce delle Scritture. Anche l’elezione del nuovo discepolo rientra nel piano salvifico di Dio rivelato dalle Scritture. Se prima, a proposito di Giuda, Pietro inizia il suo discorso con un «era necessario», ora invita la comunità alla responsabilità di una soluzione con un: «bisogna dunque che…» (At 1,21)2. Per il primo degli apostoli è solo la Scrittura che mette in grado la comunità di comprendere nella fede quanto è accaduto e come bisognerà agire. La sostituzione di Giuda non è finalizzata a ricoprire un ruolo lasciato in sospeso, quanto piuttosto a ricomporre il gruppo dei Dodici così come lo ha voluto Gesù, cioè un gruppo simbolicamente rappresentativo del nuovo popolo di Dio. Questa prima decisione della comunità, assunta all’inizio del cammino, ci mette di fronte a quella che è la vera arte del discernimento. Non la semplice intuizione o le strategie dettate dalla sensibilità umana, ma la lettura della realtà alla luce della Parola di Dio. «Anche quando agli occhi degli uomini la tragedia del tradimento può apparire come la perdita assoluta di tutto, c’è sempre la possibilità di ritornare alla verginità delle origini»3. Il discernimento segna l’inizio della Chiesa chiamata a vivere non secondo la logica dell’uomo, ma nell’obbedienza all’itinerario che Dio ha tracciato. La fragilità dell’uomo può ferire la Chiesa, ma non può fermare il suo cammino perché è Dio stesso a condurla. «Tutti furono colmati di Spirito Santo» (At 2,4) 364

Il racconto della Pentecoste ha inizio con i discepoli «tutti insieme nello stesso luogo» (At 2,1). Non è più il tempio il luogo della Chiesa, ma la casa. Troviamo il riferimento ad essa, sia all’inizio, con i discepoli riuniti «nella stanza al piano superiore» (At 1,13), sia alla fine del libro con il riferimento a Paolo «nella casa che aveva preso in affitto» (At 28,30) a Roma. Sulla comunità ferita dal tradimento di Giuda, ma consapevole dei suoi 2 3

In greco il verbo è lo stesso, anche se in un tempo diverso. I. GARGANO, Lectio divina sugli Atti degli Apostoli/1, EDB, Bologna 2001, p. 20.


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO limiti, Dio fa scendere la potenza dello Spirito Santo «mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste» (At 2,1). L’evento dell’effusione dello Spirito viene a coincidere con la festa giudaica che ricorda la stipulazione dell’Alleanza. Tutto il racconto della Pentecoste, infatti, è descritto da Luca con un continuo riferimento all’evento del Sinai. È importante sottolineare che tale effusione scende su una comunità radunata nello stesso luogo e in un giorno liturgico preciso. Ricordiamo a questo proposito la celebre affermazione di Ireneo: «Dove è la Chiesa, ivi è anche lo Spirito di Dio; e dove è lo Spirito di Dio, ivi è la Chiesa ed ogni grazia»4. Luca descrive la discesa dello Spirito con «lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro» (At 2,3). Uno Spirito dato a tutti perché l’unità non annulla l’individualità. Un dono offerto a ciascuno per il bene di tutti. Lo stupore della folla davanti al prodigio delle «lingue di fuoco» pone la nostra Chiesa davanti a due aspetti che non possiamo sottovalutare. Prima di tutto una situazione che provoca una domanda. La testimonianza della Chiesa deve anche oggi suscitare domande, perché sono le domande a muovere il passo successivo nel cammino della fede. Allo stesso tempo, lo stupore della folla nel sentire parlare gli apostoli la loro stessa lingua testimonia che la Chiesa deve parlare il linguaggio di coloro ai quali porta il suo annuncio. Alle domande della folla sarà ancora una volta Pietro a rispondere e, ancora una volta egli lo fa interpretando le Scritture. Citando un testo del profeta Gioele, egli afferma che la promessa dello Spirito si è realizzata. A tutti è ora concesso il dono di profetizzare. Ma il discorso di Pietro si concentra e sintetizza nell’annuncio essenziale, quello che chiamiamo il kerygma, cioè l’annuncio della morte e risurrezione del Signore. Il suo annuncio esemplare, ripreso dai padri della Chiesa nelle loro «catechesi mistagogiche», ci insegna che il vecchio e il nuovo Testamento ricevono luce dall’unico «mistero» di Cristo5. 4

IRENEO DI LIONE, Adversus haereses, III, 24,1. Cfr F. CACUCCI, Catechesi liturgia vita, EDB, Bologna 2000, pp. 28-32; La mistagogia. Una scelta pastorale, EDB, Bologna 2006, pp. 57-62. 5

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Anche le nostre catechesi, così come le nostre omelie devono riscoprire il ruolo fondamentale del kerygma come primo annuncio, ricordando quanto afferma papa Francesco: «il primo in senso qualitativo, perché è l’annuncio principale, quello che si deve sempre tornare ad ascoltare in modi diversi e che si deve sempre tornare ad annunciare»6. Nel cenacolo Pietro ha aiutato i discepoli a fare discernimento su quanto accaduto a proposito di Giuda; ora, fuori dal cenacolo, egli aiuta la folla a fare discernimento su quanto hanno vissuto nella Pentecoste. Un discernimento capace di suscitare nella folla una domanda: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?» (At 2,37). Ed ecco che all’annuncio di Pietro segue il battesimo: «Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno furono aggiunte circa tremila persone» (At 2,41). «La conversione è la partenza del viaggio del cristiano, non la sua destinazione finale»7. La sequenza che parte dall’evento di Pentecoste, spiegato dal discorso di Pietro che intercetta le domande della folla, rappresenta un’ulteriore testimonianza dell’intima relazione tra liturgia, annuncio e vita.

Celebrazione

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Leggiamo i primi passi del cammino della Chiesa nascente nel tempo liturgico che celebra l’incarnazione del Figlio di Dio, inizio della nostra redenzione. L’Avvento è il tempo nel quale la comunità riparte, consapevole dei suoi limiti, ma anche docile all’azione dello stesso Spirito che feconda il grembo verginale di Maria e discende come colomba nel Battesimo di Gesù. È il tempo ideale per presentare alla comunità l’itinerario che intende percorrere, anche attraverso la presentazione e l’accoglienza di coloro che vivranno la preparazione ai diversi sacramenti. Non dovrà mancare in questo tempo di Avvento-Natale uno sguardo più attento alla realtà della famiglia, in riferimento alla «stanza al piano superiore», nella quale i discepoli si ritrovano con Maria e le altre donne, valorizzando la preghiera, in casa e nella comunità, e quelle celebrazioni care alla tradizione e sempre efficaci (come la novena per la festa dell’Immacolata e del Santo Natale, e la festa della Santa Famiglia). 6 7

Evangelii gaudium, n. 164. W.H. WILLIMON, Atti degli apostoli, Claudiana, Torino 2003, p. 119.


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO Vita L’effusione della Pentecoste conferma che la fragilità umana non è un ostacolo all’azione dello Spirito. Riconoscere le ferite e i punti deboli, sia a livello personale che comunitario, non deve alimentare la rassegnazione o la sfiducia, tipiche della cultura dello scarto e dell’emarginazione. Cristo, ancora oggi, si incarna nella fragilità della nostra storia. In una società che si sente minacciata dalla presenza del male e vive la tentazione di rifugiarsi nella nostalgia del passato o nello scudo dell’individualismo, l’Avvento apre lo sguardo dell’uomo alla speranza di un futuro che è sempre nelle mani di Dio. In questo modo anche le fragilità di tante famiglie possono rappresentare punti di partenza e spazi inediti per la riscoperta del sogno di Dio su ciascuno. Soprattutto gli adulti, in questo tempo liturgico, sono chiamati ad esercitarsi nell’ascolto e nella comprensione delle domande dei più giovani. Durante il recente sinodo dei giovani, Joseph Sapati Moeono-Kolio, giovane uditore e membro di Caritas Internationalis per l’Oceania (Samoa), ha ricordato che il suo popolo ha navigato per migliaia di anni attraverso i mari grazie alla saggezza degli anziani, in grado di orientarsi guardando le stelle. I vecchi, ha detto, si sedevano in fondo alla canoa e i giovani remavano seguendo le loro preziose indicazioni. Questa sinergia si ripete nella Chiesa: gli anziani hanno la saggezza di interpretare e orientare, ma sono i giovani che hanno le energie per andare nelle periferie. È una splendida testimonianza di attualizzazione della profezia di Gioele (cfr 3,1), richiamata da Pietro.

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2. Una Chiesa in crescita (cfr At 3,1-16; 2,42-47)

Pietro e Giovanni guariscono un uomo storpio presso la porta del tempio detta Bella

Tempo Ordinario (Prima parte)

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Immagine A differenza del semicerchio aperto del cenacolo, in questa scena il tempio appare chiuso, luogo di culto determinato e definito, ma che dall’esterno vediamo contenente solo il nero. Talvolta anche le nostre parrocchie possono diventare così, luoghi di morte e vuoto, quando si chiudono in se stesse e non si fanno «Chiesa in uscita». Chiaramente in uscita sono invece Pietro e Giovanni (un anziano e


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO un giovane): non solo perché fuori, per la strada, ma perché estroflessi verso quella periferia esistenziale rappresentata dallo storpio. Notiamo le loro mani protese. Come quattro membra di un solo corpo vitale, curvate verso il corpo infermo. Notiamo i loro sguardi: occhi negli occhi, un solo spirito, una sola missione, una sola Chiesa. I loro mantelli sembrano ancora mossi dal vento dello Spirito. E la persona sofferente alza la mano, già pronta a ricevere la grazia dell’accoglienza. Interessante chiederci dove siamo noi. Siamo nel gruppo di sinistra, tra gli osservatori (forse partecipi, ma forse no; forse parte del corpo della Chiesa, ma forse no; forse scettici o addirittura critici)? O siamo con il personaggio di destra, pronto ad incoraggiare, sostenere, accompagnare, prendere la stampella, condividere il dolore, agevolare il percorso di guarigione e risurrezione di tutti i feriti del mondo?

Annuncio «Quello che ho te lo do» (At 3,6) La scena che si apre davanti a noi descrive una semplice situazione di quotidianità che si trasforma in una vera missione. Pietro e Giovanni ogni giorno si recano al tempio per la preghiera e lo storpio «di solito» veniva accompagnato fino all’ingresso del tempio per chiedere l’elemosina. Per loro, un’esperienza ordinaria si trasformerà in un’esperienza straordinaria. Il testo sottolinea il legame tra i due discepoli: insieme si recano al tempio e contemporaneamente avvertono su di loro lo sguardo dello storpio. Si tratta di una sottolineatura che, oltre a ricordare il mandato di Gesù che invia i suoi discepoli in coppia, offre un altro riferimento se consideriamo di essere davanti al discepolo più anziano e a quello più giovane. Il riferimento è alla presenza delle diverse generazioni all’interno delle nostre comunità e al dialogo che dovrebbe avvicinare le une alle altre. Insieme ai due discepoli, l’altro personaggio della scena è lo storpio

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che siede «presso la porta del tempio detta Bella, per chiedere l’elemosina» (At 3,2). Egli è sulla soglia del tempio, incapace di entrare nello spazio sacro a motivo della sua infermità. La presenza dello storpio fuori dal tempio e del quale non si dice il nome, sembra richiamare le tante persone che attendono qualcuno che li aiuti ad entrare nello spazio dell’incontro con Dio. Lo storpio è lì a chiedere l’elemosina, ad invocare dai discepoli qualche spicciolo. Ma i discepoli sanno che la vera elemosina non è questa. Essa «non si riduce più a semplice compassione, pietà per una persona che sta male, ma si carica di una energia nuova e creatrice capace di ottenere non solo la guarigione, ma addirittura una vera e propria risurrezione»8. L’incontro tra i due discepoli e lo storpio viene descritto come un incrocio di sguardi: «fissando lo sguardo su di lui, Pietro insieme a Giovanni disse: “Guarda verso di noi”. Ed egli si volse a guardarli, sperando di ricevere da loro qualche cosa» (At 3,4). La carità nasce da uno sguardo, prima di diventare un gesto: «ubi amor, ibi oculus». Lo storpio non avrà quanto sperava di ottenere, ma molto di più: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina!» (At 3,6). Il testo descrive la guarigione dello storpio quasi in termini di risurrezione. È vero, noi non possiamo compiere lo stesso miracolo degli apostoli, ma non dobbiamo dimenticare che la nostra carità non può limitarsi ad un attivismo che, in realtà, mette in evidenza solo le nostre possibilità e la nostra organizzazione. Come comunità cristiana non dobbiamo dimenticare che c’è una forza che supera le nostre possibilità e le nostre risorse. «Nel nome di Gesù» significa non ridurre la carità ai bisogni immediati di chi chiede il nostro aiuto. Certamente, abbiamo la responsabilità, quando possibile, di rispondere alle richieste di aiuto materiale che ci sono rivolte. Ma la carità cristiana non può ridursi a questo, anche quando trova il consenso dei poveri. Ciò che identifica la carità cristiana non è l’assistenzialismo ma l’agire «nel nome di Gesù Cristo». È lo «stile cristiano» della carità9. «Ed entrò con loro nel tempio camminando, saltando e lodando 8

I. GARGANO, Lectio divina sugli Atti degli Apostoli/1, cit., p. 140. Cfr F. CACUCCI, Memoria, fedeltà, profezia: 40 anni di Caritas in Italia, in «Atti del 35° Convegno nazionale delle Caritas diocesane», Fiuggi-Terme, Roma 2012, pp. 39-60. 9


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO Dio» (At 3,8). È questa la più alta missione della Chiesa, quella di condurre ogni uomo all’incontro con Dio perché, secondo la famosa affermazione di Ireneo «la gloria di Dio è l’uomo vivente, e la vita dell’uomo consiste nella visione di Dio»10. «Erano perseveranti» (At 2,42) Il racconto della Pentecoste si conclude con il primo dei tre sommari che troviamo nel libro degli Atti degli Apostoli, dove Luca presenta il quadro ideale della comunità: «erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere» (At 2,42). Nei sommari Luca, più che raccontare, descrive l’atteggiamento abituale della comunità. Egli introduce la prima immagine della comunità affermando: «erano perseveranti» (At 2,42). Perseverare significa essere fedeli nel tempo senza cercare emozioni particolari o attendere momenti straordinari. Luca descrive «quattro perseveranze» alle quali la comunità si mostra fedele, offrendo la «magna carta», i fondamenti sui quali una comunità vive e attraverso i quali cresce. Le quattro realtà nelle quali la prima comunità si dimostra assidua restano valide ancora oggi: l’insegnamento degli apostoli, cioè l’ascolto comunitario e approfondito della Scrittura. La Parola di Dio è la bussola che deve orientare il cammino di ogni comunità. La koinonia, la condivisione dei beni sia spirituali che materiali, ma prima ancora la carità come tratto distintivo della comunità. Non attivismo sterile, ma un rapporto fecondo che edifica. La frazione del pane, intesa prima di tutto come eucaristia domenicale, ma anche come vita sacramentale. Non dobbiamo dimenticare che la liturgia è «culmen et fons» nella vita della Chiesa11. Infine, le preghiere. Utilizzando il plurale molto probabilmente Luca si riferisce alle preghiere che scandiscono la giornata secondo la tradizione ebraica. Quindi non solo la celebrazione eucaristica ma anche il ritrovarsi per la preghiera comune. Il 10 11

IRENEO DI LIONE, Adversus haereses, IV, 20, 5-7. Cfr Sacrosanctum Concilium, n. 10.

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pregare insieme e, allo stesso tempo, il pregare gli uni per gli altri. Le «quattro perseveranze» descritte da Luca a proposito della prima comunità non rappresentano delle intuizioni pastorali, ma dei contenuti. L’immagine della prima Chiesa è per ogni comunità come uno specchio nel quale riflettersi per verificare l’autenticità della vita pastorale. Il primo sommario del libro degli Atti, che ci conduce a considerare l’atto fondativo della comunità cristiana, ancora una volta ci permette di consolidare gli elementi costitutivi del cammino della nostra diocesi: l’annuncio, la celebrazione e la vita. La scelta mistagogica fatta dalla nostra Chiesa non è espressione di archeologismo, ma richiama i contenuti essenziali ai quali la Chiesa dei primi secoli si mostra fedele.

Celebrazione

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Abbiamo riscoperto l’importanza dell’eucaristia domenicale nel congresso eucaristico nazionale, vissuto a Bari nel 2005. Il libro degli Atti ci dice che la «frazione del pane» è uno dei pilastri sui quali vive e cresce la comunità. La celebrazione domenicale è il luogo dove vivere la «koinonia» nell’accoglienza di tutti e nella condivisione dei beni, dando il giusto tempo ai riti d’introduzione e alla presentazione dei doni, con la raccolta delle offerte per i bisogni della comunità e dei più poveri. Lì si sperimenta la «sacramentalità della Parola», capace di illuminare e guarire, rimettendo in piedi chi ascolta e affidando all’intera comunità l’annuncio essenziale del kerygma dal quale attingere speranza. Lì si presentano al Signore le necessità di tutti nella «preghiera» comune dei fedeli. È significativo ritrovare queste «quattro perseveranze» anche nei riti degli altri sacramenti come, ad esempio, nelle preghiere di ordinazione e nelle promesse sacerdotali. Potrebbe essere questo il tempo opportuno per chiederci se non siano anche le nostre celebrazioni, a volte sciatte e noiose, a scoraggiare la partecipazione dei fedeli, invece di alimentare un’esperienza familiare e gioiosa di Chiesa.

Vita Dopo il Battesimo al Giordano Gesù inizia la sua missione, così come dopo la Pentecoste inizia la missione della Chiesa nascente.


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO L’attenzione che Pietro e Giovanni mostrano nei confronti dello storpio insegna che la carità non è un gesto ma uno stile. Il cristianesimo è anche una questione di stile. E lo stile del cristiano e della comunità si misura sullo stile di Gesù: sui suoi gesti e sulle sue parole. Pietro e Giovanni ripetono quello che Gesù aveva fatto: fissano lo sguardo sullo storpio, gli rivolgono la parola, lo prendono per mano (cfr At 3,4-7). Come non riandare all’episodio della guarigione del paralitico di Betzatà, narrato dall’evangelista Giovanni (cfr 5, 1-10)? I nostri giovani e le nostre famiglie, quest’anno, nel loro reciproco ascolto nelle tende dell’incontro hanno evidenziato il bisogno di un originale e coerente stile cristiano della vita con il quale abitare la storia. Nel nostro itinerario pastorale diocesano, attraverso la figura di Nicodemo abbiamo compreso che la carità non è l’attivismo che rimane sul piano dell’assistenzialismo12. Pietro e Giovanni «nel nome di Cristo» permettono all’uomo mendicante di poter entrare nel tempio per incontrare Dio. Culto e carità si incontrano, non si contraddicono. Il gesto di carità attesta l’autenticità della preghiera. Spesso siamo tentati di guardare con diffidenza le tante persone che si avvicinano alle nostre chiese per chiedere i sacramenti. Non possiamo trasformare in «pochi spiccioli» l’occasione di un dialogo che può dare inizio a un cammino di fede.

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Cfr F. CACUCCI, Rinascere all’amore. Il mistero di Nicodemo, EDB, Bologna 2014, p. 10.


3. Una Chiesa tra contraddizioni e persecuzioni (cfr At 5,1-11; 6,8-8,3)

Il peccato di Anania e Seffira

Gamaliele parla ai sommi sacerdoti nel sinedrio; gli apostoli vengono fatti flagellare; la lapidazione di Stefano

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Quaresima ÂŤNon hai mentito agli uomini ma a DioÂť (At 5,4)

Immagine La prima immagine crea nuovamente un gioco di contrapposizioni. A sinistra gli apostoli (e Pietro, il primo); a destra Anania e Saffira.


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO Da un lato comunione di cuori e di beni, dall’altro una coppia autocentrata, che non vuole rimanere fuori dalla comunità, ma non è capace di donarsi totalmente. In mezzo, forse, Giuseppe, soprannominato dagli apostoli Barnaba, che simboleggia tutti quelli che «possedevano campi o case, li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli» (At 4, 34-35). Né Pietro né Barnaba tengono in mano per sé il sacchetto. Sanno che tutto è dono, ricevuto, che va donato. Il dono della vita si fa preghiera, come vediamo in Barnaba, prostrato per terra, in un gesto che è di consegna totale di sé: alla comunità, e a Dio. Stride quindi la contrapposizione con Anania e Saffira. Orgogliosamente eretti. Poggiati sulle proprie sostanze (e sul proprio essere). Apparentemente danno, ma il sacchetto simbolicamente resta stretto nelle mani di Anania. Chiusura incapace di farsi realmente comunione.

Annuncio Il racconto di Anania e Saffira segue immediatamente il secondo sommario del libro degli Atti dove la comunità viene descritta come «un cuore solo e un’anima sola» (At 4,32), segnata dalla generosità di Barnaba. La scena che precede sottolinea il contrasto con quella che segue, soprattutto se facciamo riferimento a quanto Luca ha detto appena prima a proposito della comunità nella quale: «nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune» (At 4,32). L’immagine quasi idilliaca della comunità viene offuscata dall’atteggiamento di Anania e Saffira che con il loro peccato rischiano di metterne in crisi la vita e la testimonianza. «Satana ti ha riempito il cuore, cosicché hai mentito allo Spirito Santo» (At 5,3). Le parole di rimprovero che Pietro rivolge ad Anania ci riportano alla notte del tradimento, quando leggiamo, a proposito di Giuda, che «Satana entrò in lui» (Gv 13,27). Ma anche al momento delle tentazioni quando «Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo» (Lc 4,1-2). Le tenebre, che avevano invano tentato di distogliere il Figlio dal Padre e che si erano

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insinuate nella comunità dei discepoli raccolti intorno a Gesù, ora si insinuano nella comunità radunata dallo Spirito, fondamento dell’unità della Chiesa. Secondo le parole di Pietro, il peccato di Anania e Saffira non riguarda in primo luogo la frode che essi hanno concordato a loro vantaggio, quanto piuttosto la menzogna che tenta di salvare la propria faccia a discapito della testimonianza della comunità. La morte che raggiunge la coppia in questione, più che una punizione sembra ristabilire la verità che deve contraddistinguere la comunità cristiana. Infatti, la scena si conclude con la moglie di Anania che «all’istante cadde ai piedi di Pietro e spirò» (At 5,10), in contrasto con la scena precedente di Giuseppe Barnaba che vendette il suo campo e «ne consegnò il ricavato deponendolo ai piedi degli apostoli» (At 4,37). Con il peccato di Anania e Saffira la comunità cristiana prende coscienza della fragilità dei suoi membri. La Chiesa, pur resa santa dallo Spirito, deve fare i conti con il peccato dei suoi membri. «Quello di Anania e Saffira non è un caso isolato, ma una minaccia permanente all’interno della Chiesa; quindi Luca ha narrato di proposito l’episodio con i toni di un severo ammonimento»13. «Lo trascinarono fuori della città» (At 7,58)

Immagine

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Abbiamo messo poco sopra l’immagine completa, in cui si inserisce il particolare della lapidazione di Stefano: Gamaliele parla ai sommi sacerdoti nel sinedrio; gli apostoli vengono fatti flagellare; la lapidazione di Stefano14. La storia visiva nella sua interezza ci aiuta a comprendere il parallelismo tra le due azioni principali, entrambe contro l’annuncio e i suoi annunciatori. Sebbene la flagellazione degli apostoli non porti alla morte, come nel caso di Stefano, in ogni caso rappresenta una forma di martirio (testimonianza/sacrificio). Forse la pianta/palma al centro della raffigurazione sta a ricordarcelo. Ma torniamo ad osservare la zona di destra dell’affresco, relativa a Stefano. 13

G. ROSSÉ, Atti degli Apostoli. Commento esegetico e teologico, Città Nuova, Roma 1998, p. 234. Sopra questa triplice scena, tra l’altro c’è, nella lunetta, quella di Pietro e Giovanni condotti in prigione e poi liberati dall’angelo.

14


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO In alto a destra: i cieli aperti e il Logos che sembra quasi affacciarsi dall’alto, mentre, con la mano aperta e rivolta verso l’alto, Stefano contemporaneamente accoglie la grazia e intercede per i suoi uccisori. Quanto paiono piccoli i due vicino a lui! Quello immediatamente alle sue spalle pare schiacciato dal peso di una lastra che più che essere pietra per la lapidazione pare essere simbolo del peccato, che schiaccia. Infine il nostro sguardo va sul personaggio seduto, ovviamente Saulo, che guarda e approva. Però la sua posizione nell’immagine già dice qualcosa. È più su di tutti i lapidatori. Il suo volto è quello più vicino al volto del Cristo. Forse lui nemmeno lo sa, ma quell’esperienza gli sta dicendo qualcosa. E noi sappiamo che, nel passaggio di staffetta, il martirio arriverà anche per lui.

Annuncio Un tratto che caratterizza la figura di Stefano nel libro degli Atti è la descrizione del suo martirio che riprende i passaggi più importanti della passione di Gesù. Anche lui viene trascinato fuori della città, anche lui affida il suo spirito al Padre mentre muore, anche lui perdona coloro che lo stanno lapidando. È questo uno dei motivi che ci spinge a leggere la sua storia nel tempo quaresimale. Stefano è uno dei sette diaconi scelti dagli apostoli per il servizio alle mense. Il testo ci informa che egli, oltre ad offrire questo servizio di carità, si dedica all’evangelizzazione degli ellenisti, suoi connazionali. Il libro degli Atti riporta il lungo discorso di Stefano nel quale egli presenta una rilettura della figura di Mosè e della Legge di Dio nella prospettiva della morte e risurrezione di Gesù. Il suo annuncio suscita lo scandalo e la denuncia da parte dei suoi oppositori: «Lo abbiamo udito pronunciare parole blasfeme contro Mosè e contro Dio» (At 6,11). Stefano, nel suo lungo discorso, insiste nel presentare il mistero della croce come centro della storia della salvezza raccontata dall’Antico Testamento. Alla luce di Cristo, vertice di questa storia, anche il culto del tempio è destinato a scomparire per far posto a Cristo, nuovo e vero Tempio. L’accusa rivolta a lui a questo proposito riecheggia quella già lanciata nei confronti di Gesù a pro-

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posito del tempio: «Lo abbiamo infatti udito dichiarare che Gesù, questo Nazareno, distruggerà questo luogo e sovvertirà le usanze che Mosè ci ha tramandato» (At 6,14). Il discorso di Stefano, giudicato come bestemmia, provoca la sua condanna e la morte. Ma il racconto degli Atti ci tiene a sottolineare che gli stessi accusatori «fissando gli occhi su di lui, videro il suo volto come quello di un angelo» (At 6,15). La morte di Stefano viene descritta come una chiara e puntuale imitazione della morte di Gesù, mostrando in questo modo cosa significa per il discepolo percorrere la strada del suo Maestro. Il martirio di Stefano non è solo imitazione della passione di Gesù, ma segna anche il momento dell’incontro definitivo tra il discepolo e il suo Maestro: «egli, pieno di Spirito Santo, fissando il cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla destra di Dio» (At 7,55). Sul volto di chi si offre per amore di Cristo, gli altri possono vederne un riflesso. La storia del protomartire invita a meditare con attenzione lo stretto rapporto tra il servizio della carità e l’annuncio. La carità che Stefano è chiamato ad esercitare come diacono diventa annuncio coraggioso del Vangelo perché Stefano non fa la carità ma è egli stesso carità. La sua storia, ancora una volta, aiuta a comprendere che la carità non è primariamente un fare, ma un «lasciarsi fare» dallo Spirito di Dio che ci stabilisce nella carità di Dio. Perciò san Tommaso d’Aquino diceva che «la carità non è virtù dell’uomo». Allo stesso tempo, la testimonianza di Stefano mostra chiaramente il vitale rapporto tra il servizio e il martirio, insegnando che ogni ministero, se vissuto nel suo profondo significato, diventa martirio. In lui si attuano le parole di Gesù, venuto per servire e non per farsi servire (cfr Mc 10,45). Dobbiamo riconoscere come spesso, nelle nostre comunità, il servizio rischia di trasformarsi in una subdola forma di potere, quasi una gratificazione che pensiamo di meritare. La testimonianza di Stefano conferma che chi vive il servizio fino in fondo per amore di Cristo, sa di essere chiamato ad un «martirio quotidiano», a volte provocato dall’incomprensione e dall’ingratitudine. Ancora una declinazione del cammino mistagogico, ben espresso nell’iscrizione che si legge sull’ambone della nostra cattedrale: «La potenza del vangelo scaccia i diavoli, spalanca gli atri del cielo, arricchisce di virtù e ridona la salvezza».


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO Celebrazione Le prime due domeniche di Quaresima indicano sin dall’inizio da dove partire e dove arrivare. Si parte dal deserto, luogo delle tentazioni e si arriva alla montagna, luogo della trasfigurazione. L’episodio di Anania e Saffira è l’esempio di chi è rimasto nel deserto, preda della malizia del diavolo. Il martirio di Stefano, al contrario, racconta la testimonianza di chi è riuscito, come Gesù, a vincere le insidie del deserto e a raggiungere la montagna dell’incontro con Dio. Accompagnati dalla sapienza delle Scritture di questo tempo, possiamo riscoprire la bellezza del sacramento della confessione come spazio nel quale fare verità sulla nostra vita alla luce della Parola di Dio. Oltre alla sequenza rituale dell’atto penitenziale da vivere con maggiore cura nelle celebrazioni eucaristiche di questo tempo, possono essere meglio valorizzate anche altre forme celebrative tipicamente penitenziali. La Quaresima può essere il tempo nel quale riscoprire l’importanza del discernimento, sacrificando, se necessario, qualche attività per lasciare più spazio e più tempo al dialogo personale tra il pastore e i fedeli della comunità.

Vita Nel cammino personale, il desiderio della conversione nasce nel momento in cui diventiamo capaci di chiederci con onestà a quali idoli ci siamo abbandonati. Non è solo il denaro; anche l’ansia di protagonismo o la sete di successo. In ambito comunitario, il martirio di Stefano insegna a vivere il proprio ministero nella comunità offrendo umilmente il proprio impegno senza la pretesa di riconoscimenti o gratificazioni. Anche nella società è necessario recuperare da parte dei cristiani quella capacità di partire dalla Parola annunciata e celebrata per leggere i segni dei tempi, senza farsi prendere dall’ansia delle cose da fare o da organizzare, ma vivendo nell’ordinario quella testimonianza di prossimità, di condivisione e di perdono, a volte faticosa ma sempre gioiosa, che possiamo ritrovare nei tanti testimoni di ogni tempo, anche contemporanei.

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4. Una Chiesa alla luce del Risorto e dello Spirito (cfr At 8, 5-8.26-40; 9,1-20)

Filippo battezza l’eunuco etìope

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Pasqua-Pentecoste «Che cosa impedisce che io sia battezzato?» (At 8,36)

Immagine C’è un’altra immagine nel monastero Visoki De ani, più famosa di quella del battesimo, che riguarda Filippo e l’etìope, in cui li vediamo su un carro. L’eunuco, funzionario della regina di Etiopia, si


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO sta allontanando da Gerusalemme, che vediamo sullo sfondo. I cavalli sembrano dirigersi fuori dall’immagine, senza una meta precisa. La guida che l’etìope ha in mano è la bibbia, ma non sa leggerla. Filippo gli si siede accanto, lo prende per mano e Filippo e l’eunuco etìope seduti sul carro lo accompagna nella comprensione e nel discernimento. Gli fa «mistagogia». Le due teste si stagliano, occhi negli occhi, all’interno di un monte. Di nuovo un monte troviamo nella scena del battesimo: alto, spaccato dalla sorgente della Vita. Non è un più un viaggio senza meta. La discesa dal carro, la discesa nell’acqua diventa per l’eunuco il luogo della rinascita. Nudo – come Adamo modellato dal creatore, e come un bambino che esce dal grembo di madre Chiesa –, per mano di Filippo risorge. Il parallelismo iconico con il battesimo di Gesù è forte, ma evidentemente il richiamo teologico è alla Pasqua: battezzati in Lui, risorti con Lui; e quindi alla Pentecoste: lo Spirito rapisce Filippo e lo porta con sé (lo vediamo nella terza immagine riguardante la storia di Filippo e l’etìope); ma ormai ha rapito anche l’eunuco, che è pronto per proseguire da solo, «pieno di gioia», il suo cammino. Lo Spirito rapisce Filippo

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Annuncio

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Ancora una volta la comunità dei credenti si lascia interrogare e plasmare sotto l’azione dello Spirito. Tutto accade in modo graduale. Filippo, uno dei sette diaconi, esce da Gerusalemme e va in Samaria per predicare a quel popolo che in precedenza aveva respinto Gesù (cfr Lc 9,51-56), ma che aveva creduto alla sua parola, in seguito all’incontro del Cristo con la donna samaritana al pozzo di Giacobbe (cfr Gv 4,1-26)15. Era stato Gesù ad inaugurare una «Chiesa in uscita» nei confronti degli eretici samaritani (cfr Lc 10,29-37). Ora le folle dei samaritani «unanimi» accolgono le parole di Filippo con grande entusiasmo (cfr At 8,6-8). Dopo la missione in Samaria, Filippo «si mise in cammino, quand’ecco un etìope, eunuco, (…) stava ritornando, seduto sul suo carro e leggeva il profeta Isaia. Disse allora lo Spirito a Filippo: “Va’ avanti e accostati a quel carro”» (At 8,27-29). L’etìope, che Filippo incontra, è credente nel Dio d’Israele, ma eunuco, escluso dai pieni diritti (non può entrare nel tempio oltre il cortile dei pagani). È la prima volta che l’annuncio è rivolto a un individuo, per giunta «marginale». Dalla vita all’annuncio. Dopo la spiegazione del passo di Isaia da parte di Filippo, la domanda: «Ecco, qui c’è dell’acqua; che cosa impedisce che io sia battezzato?» (At 8,36). «Che cosa impedisce?». Lo stesso verbo ritornerà nelle parole di Pietro che incontra Cornelio: «Chi può impedire…» (At 10,47); «chi ero io per porre impedimento a Dio?» (At 11,18). L’eunuco chiede il sacramento! Filippo si coinvolge e agisce con la libertà che gli dona lo Spirito. Luca lo sottolinea: «scesero tutti e due nell’acqua… ed egli lo battezzò» (At 8,38). Dopo l’annuncio, il sacramento. Filippo dà un sacramento a un escluso, entrando nella sua storia, assumendosene la responsabilità davanti a Dio. La Chiesa in uscita è soprattutto una Chiesa capace di entrare nella vita reale degli uomini, sotto l’azione dello Spirito. Quello stesso Spirito che rapisce Filippo e accompagna l’eunuco, «pieno di gioia», nel cammino della vita. 15

Cfr F. CACUCCI, Lo splendore della speranza. Verso le periferie della storia, EDB, Bologna 2013.


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO Dal sacramento, ancora una volta, alla vita. Il tempo pasquale è, per eccellenza, il tempo della mistagogia (sottolineato anche nella liturgia delle ore), declinato in un modo esemplare in questo splendido racconto di Filippo e l’eunuco.

«Lo avvolse una luce dal cielo» (At 9,3)

Immagine Per la conversione di Saulo abbiamo nuovamente una scena a trittico; da sinistra: Saulo che va dal sommo sacerdote e prende le lettere per essere autorizzato ad imprigionare i cristiani; al centro la chiamata; a destra, Saulo cieco, condotto a Damasco. È una discesa: dall’arroganza, dalle certezze, da una vita chiara e zelante, ma forse con poco amore, verso la caduta e l’abisso della

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La chiamata di Saulo, detto anche Paolo


cecità. Lui, che voleva condurre in catene i seguaci di Cristo, viene condotto invece a Damasco, dove incontrerà Anania e quindi la guarigione, e la luce della fede. Nella parte centrale dell’immagine, in alto, ecco il Signore, avvolto di luce, con il rotolo della Parola: che chiama per nome. Una punta di questo solediamante si dirige senza indugio verso il volto di Saulo, già a terra. Interessante notare un particolare anti-realistico molto forte. Non si copre gli occhi, Saulo. Non si difende. Non arretra. Si lascia colpire. Già docile alla Voce e alla Luce. Spaventati, confusi, con le mani in alto, stretti l’uno con l’altro quasi a Anania battezza Paolo creare una barriera difensiva sono invece gli uomini in viaggio con Saulo. Danno ancora le spalle alla luce. Forse non hanno ancora visto e sentito nulla, se non la caduta del loro leader e le sue parole. Il cammino verso Damasco per loro è ancora lungo. Infine, ancora un’immagine battesimale. Questa volta l’incavo non è quello di una montagna, ma quello della casa/chiesa. E l’acqua non è quella del fiume, ma quella del fonte battesimale. Fortemente evocativo il fatto che questo fonte sia composto da pietre segnate con una croce: è il Corpo di Cristo, in cui siamo tutti pietre vive. Adesso anche Paolo. 384

Annuncio Il racconto della conversione di Paolo lo ritroviamo per tre volte nel libro degli Atti. Il primo, biografico, narrato al capitolo 9 e gli altri due autobiografici (cfr At 22,1-21; At 26,1-18). Non è casuale il fatto che la prima volta il personaggio di Saulo viene citato durante la persecuzione di Stefano, dove leggiamo che «Saulo approvava la sua uccisione» (At 8,1). Luca «mette a punto la scena per la più drammatica di tutte le con-


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO versioni: quella del più famigerato nemico della Chiesa, un uomo di nome Saulo»16. L’esperienza che capovolgerà la vita di Paolo non avviene in un luogo ben preciso ma «mentre era in viaggio» (At 9,3), quasi un riferimento al cammino della vita. Non dimentichiamo che i primi discepoli erano anche chiamati «quelli della via». Il riferimento è importante perché orienta lo sguardo sulla direzione che Paolo ha dato alla sua vita: «spirando ancora minacce e stragi contro i discepoli del Signore» (At 9,1). Paolo è così orgogliosamente convinto di servire Dio che il suo cuore è ormai abitato solo dall’odio verso quelli che lui ritiene nemici della sua fede. Pensando di servire Dio, Paolo ne sta ostacolando il suo disegno di salvezza. «All’improvviso lo avvolse una luce dal cielo» (At 9,3). Paolo è accecato dall’odio, ma ora è Dio stesso ad accecarlo con la sua luce. Siamo di fronte ad un’esplosione di luce che si rivelerà per l’Apostolo una vera «illuminazione». Una luce che lo acceca, tanto da fargli perdere le forze e farlo cadere a terra. Non è una punizione, ma un modo per costringere Paolo all’impotenza così da farsi guidare dagli altri. La caduta di Paolo suona come un monito anche per chi legge, un modo per ricordargli che solo quando abbandona le sue sicurezze si rende disponibile a lasciarsi guidare da Dio. «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» (At 9,4). Nel rimprovero che raggiunge Paolo caduto a terra, la voce che parla gli dice chiaramente che, perseguitando la Chiesa, lui sta perseguitando Cristo; perseguitando i discepoli, lui sta perseguitando il Maestro. Rialzatosi da terra, Paolo deve lasciarsi condurre perché continua a non vedere. Siamo di fronte ad una situazione umana che in realtà ne esprime una più grande: la disponibilità a lasciarsi condurre da Cristo nella totale obbedienza alla sua Parola. Anzi, la sua caduta diventa inizio della sua missione: «tu àlzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare» (At 9,6). L’esperienza di Paolo la si può tranquillamente definire un’esperienza pasquale. «Per tre giorni rimase cieco e non prese né cibo né bevanda» (At 9,9). Egli rivive la stessa esperienza di Cristo nel sepol16

W.H. WILLIMON, Atti degli apostoli, cit., p. 90.

385


cro per poter morire all’uomo vecchio e risorgere ad una nuova vita. Nella conversione di Paolo, un ruolo importante lo assume Anania, chiamato ad intervenire perché l’apostolo possa riacquistare le sue forze. «Anania è anzitutto colui che permette a Paolo di recuperare le forze fisiche, ma è anche colui che lo introduce in una vera e propria esperienza di salvezza»17. La sua presenza nella vicenda di Paolo esprime in realtà due aspetti fondamentali nel cammino della fede: la mediazione della Chiesa che permette a Paolo di essere battezzato e, allo stesso tempo, la necessità di un uomo di Dio che aiuti Paolo a fare discernimento per comprendere a quale cammino il Signore lo sta chiamando.

Celebrazione

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Il battesimo dell’etiope da parte di Filippo richiama tanti che in questo tempo, soprattutto in occasione della celebrazione dei sacramenti dei fanciulli e dei ragazzi, incontrano le nostre comunità. Come Filippo, ogni comunità è chiamata non a ostacolare ma a farsi strumento di Dio che vuole raggiungere ogni uomo. Limitarsi a una semplice organizzazione pastorale può far perdere l’occasione di incontrare tante persone che, come l’etìope, portano nel cuore il desiderio di poter conoscere meglio Cristo. La celebrazione del battesimo (soprattutto nella veglia pasquale), della confermazione (a Pentecoste) e della prima partecipazione all’eucaristia dei fanciulli e dei ragazzi, se ben curata nell’essenziale senza dare spazio a sprechi e ad altre superficiali preoccupazioni, può favorire anche per le loro famiglie l’esperienza gioiosa e coinvolgente dell’incontro con il Risorto. Nella prospettiva pasquale, la rinascita battesimale di Paolo sollecita chi è stato battezzato («illuminato») a fare memoria del dono ricevuto mediante la rinnovazione delle promesse battesimali e l’aspersione con l’acqua (azioni rituali che possono ripetersi nelle celebrazioni domenicali di questo tempo). È il tempo privilegiato della mistagogia, nel quale si introducono i fedeli ad una vita cristiana che parte «dai» sacramenti ricevuti, per un’esperienza più fruttuosa in un contesto di vita comunitaria intensa e coinvolgente18. 17 18

I. GARGANO, Lectio divina sugli Atti degli Apostoli/3, EDB, Bologna 2000, 55. Cfr RICA, nn. 38-39.


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO Vita Un ascolto reciproco sempre più attento tra le generazioni, seguendo l’esempio di Filippo e l’etìope, può aiutare a cogliere le delusioni e i fallimenti, insieme ai sogni e alle speranze dei giovani, degli adulti e degli anziani, sospendendo i giudizi, superando il paternalismo e spalancando lo sguardo sul futuro. Il mistero pasquale è disponibilità a morire per poter rinascere. È necessario che Paolo «cada» dalle sue presunte certezze per tornare a vedere a quale missione lo chiama Dio. Nella vita personale, a volte, sono le situazioni che ci prostrano ad offrirci l’occasione per riprendere il cammino in una nuova direzione. Nella vita della comunità può essere anche il fallimento di un progetto l’occasione per comprendere quello che Dio sta chiedendo. La consapevolezza del dono ricevuto abilita alla testimonianza. Sarebbe bello, durante il tempo pasquale, dare voce e forma ad «Annunci di Vita piena». Famiglie e giovani con le loro comunità parrocchiali potrebbero, in ogni vicariato, proporre momenti di annuncio, incontro, confronto, ed esperienze di servizio in cui manifestare la pienezza della vita «risorta».

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5. Una Chiesa sempre in cammino (cfr At 10,26-33; 15,1-35)

Tempo Ordinario (Seconda parte) Immagine 388

C’è poco da aggiungere alla chiarezza simbolica di questa immagine riassuntiva. La vera Chiesa non è tanto quella di mattoni che vediamo in alto, ma quella vivente che vediamo in basso. La comunità primitiva resta il suo modello. Quasi non percepiamo i diversi corpi, che compongono un solo corpo, nelle differenze (che restano). Un unico conglomerato di volti, mani, cuori, in cammino. Pietro precede, ma con la mano indica i compagni. Ciò che conta è l’essere e l’andare: insieme, unanimi.


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO Annuncio «Anche sui pagani il dono dello Spirito» (At 10,45) Con il racconto che vede protagonisti il centurione Cornelio e l’apostolo Pietro siamo di fronte alla conversione e al battesimo del primo pagano con la sua famiglia. Cornelio è un uomo «religioso e timorato di Dio con tutta la sua famiglia» (At 10,2), generoso nelle elemosine e uomo di preghiera. Proprio durante la preghiera, sia Cornelio che Pietro avranno la visione del loro incontro. Come nel suo vangelo Luca associa i momenti più importanti della vita di Gesù alla preghiera, così anche nel suo secondo libro associa alla preghiera le tappe fondamentali del cammino del credente e della Chiesa. Ciò che mette in movimento i due personaggi non dipende da una loro decisione, ma dallo Spirito che trasforma eventi e circostanze in momenti di grazia per la loro storia. Senza l’intervento dello Spirito, Pietro non avrebbe compreso il senso di quella visione e soprattutto l’invito a prendere cibo impuro. Qualcuno si è chiesto: «Questo racconto tratta della conversione di un pagano o della conversione di un apostolo?»19. In realtà anche Pietro è chiamato a convertirsi a una visione meno legalista e più ampia della Chiesa. Lo Spirito, infatti, lo invita a superare le sue remore e ad andare verso gli uomini inviati da Cornelio per cercarlo: «Alzati, scendi e va’ con loro senza esitare, perché sono io che li ho mandati» (At 10,20). La nuova situazione di fronte alla quale Pietro si trova gli insegna cosa significa l’obbedienza della fede: significa non porre ostacolo a Dio e al suo Spirito, anche quando non si comprende quanto sta accadendo. Accogliere il progetto di Dio è prima di tutto obbedienza di fede. Lo confermano le stesse parole di Pietro davanti a Cornelio e agli altri uditori che sono con lui: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga» (At 10,35). Anche in questa provvidenziale situazione, Pietro non si lascia sfuggire l’oc19

W.H. WILLIMON, Atti degli Apostoli, cit., p. 113.

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casione di annunciare Gesù Cristo, «Signore di tutti». Anzi, mentre l’uditorio è in ascolto del kerygma, «lo Spirito Santo discese sopra tutti coloro che ascoltavano la Parola» (At 10,44), suscitando lo stupore dei circoncisi perché «anche sui pagani si fosse effuso il dono dello Spirito Santo» (At 10,45). Dopo l’«uscita» di Filippo presso i samaritani eretici e l’escluso eunuco, siamo di fronte ad un ulteriore momento fondamentale nella vita della Chiesa, quello nel quale ha inizio l’evangelizzazione dei pagani e la loro ammissione nella comunità cristiana. «La Chiesa si apre ora ai gentili e non si apre per opera di Saulo, che pure sarà l’Apostolo dei gentili, ma per opera di Pietro, che è colui sul quale è fondata la Chiesa»20. Come a Pentecoste, ritornano gli stessi segni. Pietro allora ordina che siano battezzati coloro «che hanno ricevuto lo Spirito Santo» (At 10,47-48). «È parso bene allo Spirito Santo e a noi» (At 15,28)

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La pagina degli Atti che racconta il primo concilio della Chiesa introduce sin dall’inizio la questione che la prima comunità deve affrontare: «Ora alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli: “Se non vi fate circoncidere secondo l’usanza di Mosè, non potete essere salvati”» (At 15,1). Proprio ad Antiochia, dove «per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani» (At 11,26), nasce una questione sollevata da «alcuni venuti dalla Giudea» che crea dissenso tra i cristiani di origine ebraica e quelli provenienti dal paganesimo. A questi ultimi si vuole imporre, da parte di alcuni cristiani giudaizzanti, il rito della circoncisione che contraddistingue la fede ebraica. Un modo indiretto per dire che, prima di essere cristiani, bisogna essere ebrei. Affermando: «È necessario circonciderli e ordinare loro di osservare la legge di Mosè» (At 15,5), essi si appellano alla stessa volontà divina. La questione sollevata dalla comunità di Antiochia rischia di mettere in pericolo la vita stessa della Chiesa, perché si dice che «Paolo e Bàrnaba dissentivano e discutevano animatamente contro costoro» (At 15,2). Si tratta, in realtà di un problema che supera la que20 D. BARSOTTI, Meditazione sugli Atti degli Apostoli, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2008, p. 210.


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO stione della circoncisione e tocca l’origine e la causa della salvezza: la Legge o Gesù? Per questo motivo si decide di interpellare la Chiesa di Gerusalemme. Per la Chiesa è un momento importante perché si tratta di salvaguardare la propria identità. Nel raccontare la storia del primo concilio, Luca sta dicendo che siamo di fronte ad un vero e proprio discernimento al quale la Chiesa giunge attraverso un confronto contraddistinto dalla franchezza e dal desiderio di conservare l’unità della comunità, senza mortificare le controparti. Il dibattito tra la comunità di Antiochia e quella di Gerusalemme rivela l’importanza e la fecondità del dialogo che la Chiesa non deve mai temere, se a motivare il confronto è il suo bene e la sua unità. Il concilio diventa occasione per capire come vivere l’universalità del vangelo in una pluralità di concezioni e di comportamenti. Esso offre alla Chiesa anche i criteri per discutere, consegnandoli come patrimonio alla Chiesa di ogni tempo. Nel suo racconto, Luca ci tiene a sottolineare il ruolo peculiare svolto da Pietro nel guidare il confronto. Tenendo conto che in questa occasione troviamo insieme Pietro, Paolo e Giacomo, che era l’autorità a Gerusalemme, il ruolo di Pietro si rivela importante per evitare che venga messa in pericolo l’unità della Chiesa. Senza la sua presenza il rischio è che «simpatia e mentalità aperta diventano i soli valori di una Chiesa priva di autorità, valori che in definitiva si mostrano inadeguati per mantenerla fedele»21. Sono sostanzialmente due i criteri stabiliti dal concilio per giungere ad una decisione. Prima di tutto l’evidenza dei fatti: Paolo e Barnaba «riferirono quali grandi cose Dio aveva compiuto per mezzo loro» (At 15,4). Quindi, i fatti vengono riletti alla luce delle Scritture per capire quale sia il disegno di Dio. Questo secondo criterio è testimoniato dall’intervento di Giacomo, che chiede ai pagani di osservare alcune norme, evitando così ciò che è di impedimento alla comunione. La conclusione a cui giunge il concilio cerca di conciliare la novità 21

W.H. WILLIMON, Atti degli apostoli, cit., p. 145.

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della fede in Cristo salvaguardando alcune peculiarità che contraddistinguono la fede ebraica. Si afferma «il principio universale della definitiva liberazione dei pagani dall’obbligo di passare attraverso la legge per ottenere la salvezza»22. Il progetto di Dio unisce passato-presente-futuro. Tuttavia, l’aspetto fondamentale che accompagna il discernimento della Chiesa è la consapevolezza che tutto quanto si è deciso attraverso la discussione e il confronto non è attribuibile solo agli uomini, ma all’azione dello Spirito che li ha ispirati: «È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi» (At 15,28). Solo nella docilità all’azione dello Spirito è possibile armonizzare le differenze e costruire l’unità.

Celebrazione Il racconto di Pietro e Cornelio e la storia del primo concilio insegnano che l’attenzione agli avvenimenti che segnano la vita dell’uomo, insieme alla Parola di Dio, sono il criterio per comprendere il disegno di Dio nelle pieghe della storia quotidiana. Anche la preghiera fa riferimento a questo criterio diventando intercessione o invocazione. Dobbiamo chiederci se e in che modo la storia o le vicende degli uomini toccano le nostre celebrazioni, per non dare l’impressione di una Chiesa che vive fuori dal mondo, chiusa nei suoi schemi e nelle sue mura. Da parte sua la Parola annunciata nelle nostre celebrazioni, facendosi evento sacramentale di salvezza, non si limita ad affermare una verità, ma provoca un atteggiamento vitale che coinvolge e impegna tutti. La comunità incontra il Risorto e si scopre inviata in missione verso i fratelli ai quali si accosta con lo stesso dinamismo attrattivo ed espansivo della prima comunità apostolica. 392

Vita Non bisogna aver timore della pluralità di visioni che interpellano la Chiesa sia all’interno che all’esterno. Una Chiesa che sa affidarsi al vangelo e avverte su di sé la presenza dello Spirito non teme di entrare in dialogo con tutti. Un dialogo che oggi, in modo partico22

B. MARCONCINI, Verità e carità al Concilio di Gerusalemme, in «Parole di vita» n. 4/1998, p. 36.


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO lare, è necessario recuperare soprattutto tra le diverse generazioni. Quale responsabilità avvertono gli adulti nei confronti dei giovani? Come giudicano i giovani la presenza degli adulti? A volte può succedere che, anche all’interno delle nostre comunità, la ricchezza dei vari gruppi diventi una minaccia per il dialogo e il confronto. È invece da auspicare una sempre più grande relazione tra i membri della comunità e tra le diverse comunità dei vicariati e dell’intera diocesi, scoprendo le potenzialità e i carismi, condividendo le distinzioni e abbattendo le distanze. Solo così ci si può arricchire e alimentare la comunione, offrendo un’immagine credibile di Chiesa fatta di discepoli che non si chiudono nell’autoreferenzialità e non hanno timore di aprirsi alle varie realtà del territorio nel quale testimoniare la gioia del vangelo. Emerge nel sinodo di Gerusalemme un criterio «ecumenico» fondamentale, che tiene conto della sensibilità dell’altro ed è pronto a cedere su qualcosa che non è essenziale. È un’indicazione esemplare anche per lo stile che deve caratterizzare il dialogo nelle nostre strutture di partecipazione (consiglio presbiterale, consiglio pastorale).

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Conclusione

Concludendo, torniamo con le immagini dal Kosovo a Bari; e dalla Chiesa delle origini alla nostra Chiesa locale. Torniamo a chiederci che cosa l’incontro di papa Francesco con i patriarchi e i capi delle Chiese e delle comunità cristiane del Medio Oriente può dire ancora alla nostra Chiesa locale e alla sua vocazione ecumenica. Che consegna ci lascia questa immagine «circolare», questa idea di cammino sinodale?

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MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO Abbiamo pregato insieme, per ricordare qual è la nostra origine, ciò che definisce la nostra identità: figli, nonostante tutto, dell’unico Padre che nessuno può dire solo «suo», ma «nostro», come abbiamo recitato insieme, ciascuno nelle propria lingua, al termine della preghiera sulla rotonda del Lungomare. Ma poi i fratelli, e con loro una sorella, si sono ritrovati nella basilica di san Nicola, per uno scambio fraterno, come a Gerusalemme. Anche qui è il segno che parla: tutti intorno ad un unico tavolo, guardandosi negli occhi, come amava dire il patriarca Athenagoras, di cui proprio il sette luglio ricorre l’anniversario della morte. La storia raccontata dagli Atti degli Apostoli è una storia programmatica, che vuole ispirare il futuro. È giunta fino a noi e non è ancora finita, per continuare a illuminare il nostro cammino di discepoli, di pastori, di comunità del Signore per l’annuncio del suo vangelo. Il viaggio continua anche nella nostra Chiesa locale, sotto la guida dello Spirito, in attesa dell’ultima pagina di questo libro che il Signore scriverà al suo ritorno, quando finalmente coincideranno sogno e realtà. + Francesco Cacucci Arcivescovo di Bari-Bitonto

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D OCUMENTI

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C HIESA

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B ARI -B ITONTO

MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO Decreto di attribuzione delle somme derivanti dall’8 per mille IRPEF 2018

L’Arcivescovo della Arcidiocesi di Bari-Bitonto VISTA la determinazione approvata dalla XLV Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana (Collevalenza, 9-12 novembre 1998); CONSIDERATI i criteri programmatici ai quali intende ispirarsi nell’anno pastorale 2019 per l’utilizzo delle somme derivanti dall’otto per mille dell’IRPEF; TENUTA PRESENTE la programmazione diocesana riguardante nel corrente anno priorità pastorali e urgenze di solidarietà; SENTITI, per quanto di rispettiva competenza, l’incaricato del Servizio diocesano per la promozione del sostegno economico alla Chiesa Cattolica e il Direttore della Caritas diocesana; UDITO il parere del Consiglio Diocesano per gli Affari economici e del Collegio dei Consultori d i s p o n e

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I) Le somme derivanti dall’otto per mille IRPEF ex art. 47 della Legge 222/1985 ricevute nell’anno 2018 dalla Conferenza Episcopale Italiana “per esigenze di Culto e Pastorale” sono così assegnate:

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777

ESIGENZE DI CULTO E PASTORALE 2018

1 2

ESIGENZE DEL CULTO CONSERVAZIONE O RESTAURO EDIFICI DI CULTO GIÀ ESISTENTI

78.259,00 78.259,00

2

ESERCIZIO CURA DELLE ANIME

2 4 5 6 7 9

CURIA DIOCESANA E CENTRI PASTORALI MEZZI COMUNICAZIONE SOCIALE ISTITUTO DI SCIENZE RELIGIOSE CONTRIBUTO ALLA FACOLTÀ TEOLOGICA ARCHIVI E BIBLIOTECHE DI ENTI ECCLESIASTICI CONSULTORIO FAM. DIOCESANO

3 1 2 4 5 6

FORMAZIONE DEL CLERO SEMINARIO DIOCESANO, INTERDIOCESANO, REGIONALE 108.055,84 RETTE SEMINARISTI E SACERDOTI 39.580,00 FORMAZIONE PERMANENTE CLERO 25.000,00 FORMAZIONE DIACONATO PERMANEN. 10.000,00 PASTORALE VOCAZIONALE 5.224,63 187.860,47

4 4

SCOPI MISSIONARI SACERDOTI FIDEI DONUM

6 1

CONTRIBUTO SERVIZIO DIOCESANO CONTRIBUTO SERVIZIO DIOCESANO

TOTALE DELLE ASSEGNAZIONI

285.980,38 73.000,00 20.000,00 100.000,00 491.275,00 33.116,70 1.003.372,08

15.226,18 15.226,18

2.324,06 2.324,06 1.287.041,79


MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO II) Le somme derivanti dall’otto per mille IRPEF ex art. 47 della Legge 222/1985 ricevute nell’anno 2018 dalla Conferenza Episcopale Italiana “per interventi caritativi” sono così assegnate:

888

INTERVENTI CARITATIVI 2018

1 1 3

DISTRIB. PERSONE BISOGNOSE DA PARTE DELLA DIOCESI DA PARTE DI ENTI ECCLESIASTICI

2 2 3 6

OPERE CARITATIVE DIOCESANE IN FAVORE DI TOSSICODIPENDENTI IN FAVORE DI ANZIANI FONDAZIONE ANTIUSURA

4 3 5

OPERE CARITATIVE ALTRI ENTI IN FAVORE DI ANZIANI IN FAVORE DI ALTRI BISOGNOSI

5 1

ALTRE ASSEGNAZIONI/EROGAZIONI A DISPOSIZIONE DEL VESCOVO PER CARITÀ

TOTALE DELLE ASSEGNAZIONI

185.000,00 503.291,47 688.291,47

0,00 20.883,85 25.822,84 46.706,69

25.534,93 280.000,00 305.534,93

200.000,00 200.000,00 1.240.533,09

Le disposizioni del presente provvedimento saranno trasmesse alla Segreteria Generale della Conferenza Episcopale Italiana attraverso i prospetti di rendicontazione predisposti secondo le indicazioni date dalla Presidenza della C.E.I. Bari lì, 26 novembre 2018 + Francesco Cacucci Arcivescovo di Bari-Bitonto Prot. 288-26.11.2018

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B ARI -B ITONTO

BASILICA DI SAN NICOLA La presentazione del volume sulla Traslazione della reliquia di san Nicola in Russia (Bari, 19 dicembre 2018)

Prefazione del metropolita Hilarion di Volokolamsk Nel 2017 ha avuto luogo un evento senza precedenti e di grande importanza: per la prima volta nella storia è stata temporaneamente traslata in Russia una particella delle reliquie di San Nicola, arcivescovo di Myra, le quali riposano nella città italiana di Bari dal 1087 e non hanno mai lasciato la basilica nell’arco di tutti questi 930 anni. Un enorme numero di fedeli della Chiesa ortodossa russa si è precipitato al reliquiario del più amato e venerato santo della Russia. Basti dire che durante i due mesi di soggiorno della reliquia a Mosca e San Pietroburgo, l’hanno potuto venerare, secondo i dati ufficiali, 2.392.000 persone, provenienti non solo dalle regioni russe, ma anche dall’Ucraina, Bielorussia, Moldavia e altri paesi.

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C’erano sicuramente tanti altri che avrebbero voluto rendere omaggio al Santo. Circa 14.000 volontari hanno fornito l’assistenza necessaria ai pellegrini. Possiamo dire con certezza che l’esposizione della reliquia di San Nicola in Russia è il primo esempio nella storia delle relazioni bilaterali tra la Chiesa cattolica romana e il Patriarcato di Mosca che è stato noto tra i più diversi settori della nostra società e che ha visto la loro partecipazione. L’arrivo delle reliquie di San Nicola in Russia è diventato possibile grazie a un altro evento eccezionale nella storia delle relazioni tra le due Chiese, ossia l’incontro di Papa Francesco con il Patriarca Kirill a L’Avana il 12 febbraio 2016. Come ha sottolineato Sua Santità il Patriarca Kirill nell’omelia durante la Divina Liturgia nella cattedrale della Santissima Trinità nella Lavra di Sant’Alessandro Nevsky a San Pietroburgo il 28 luglio 2017, alla presenza di una delegazione della Chiesa cattolica romana con a capo il cardinale Kurt Koch, la traslazione temporanea delle reliquie di San Nicola in Russia ha contribuito al riavvicinamento tra le due nostre Chiese più di tutta la diplomazia ecclesiastica, siccome a questo evento ha partecipato la Chiesa intera, e tutto il paese sapeva che è stato reso possibile grazie all’accordo raggiunto durante l’incontro a L’Avana. Siamo profondamente grati a Sua Santità Papa Francesco e a monsignor Francesco Cacucci, arcivescovo di Bari-Bitonto, per la possibilità di venerare la grande reliquia, accordata a milioni di fedeli ortodossi. Riflettendo ora, dopo un po’ di tempo, su questi due eventi, non si può che notare una profonda connessione spirituale che esiste tra loro. Non a caso nella dichiarazione comune del Papa e del Patriarca è stata messa in evidenza la comune tradizione spirituale delle Chiese d’Oriente e d’Occidente, una delle espressioni importanti della quale è la venerazione dei santi: “Condividiamo la comune Tradizione spirituale del primo millennio del cristianesimo. I testimoni di questa Tradizione sono la Santissima Madre Dio, la Vergine Maria, e i Santi che veneriamo” (punto 4). La testimonianza più eloquente di queste parole dei Primati della Chiesa cattolica romana e della Chiesa ortodossa russa è stata la benedetta visita in Russia del santo più venerato dai fedeli ortodossi, le cui reliquie riposano nell’Occidente cattolico. La venerazione di San Nicola ebbe un ruolo enorme nel rapporto tra la Rus’ antica e Roma ancora nel Medioevo. Questa venerazione


BASILICA DI SAN NICOLA giunse in Russia da Bisanzio dopo il Battesimo della Rus’, ma divenne particolarmente diffusa verso la fine dell’XI secolo, proprio a causa della traslazione delle reliquie del santo da Myra a Bari. L’antico autore russo del racconto del “Miracolo del bambino” per la prima volta menziona l’istituzione della festa del 9 maggio in onore della traslazione e afferma: “Vieni in Rus’, e vedrai che non c’è città, né paese in cui non ci siano moltiplicati i miracoli di San Nicola”. Secondo le testimonianze delle cronache, proprio tra gli anni 1080 e 1090 ci fu un costante scambio di ambasciate tra Kiev e Roma. Papa Urbano II (1088-1099), il quale mise le preziose reliquie del santo nella cripta della Basilica e istituì la festa della Traslazione delle reliquie a Bari, compiva anche alcuni sforzi per superare lo scisma del 1054 tra la Chiesa d’Oriente e quella d’Occidente. Sentendo nel 1090 un certo rallentamento del processo di riconciliazione tra le Chiese da parte dei greci, il Papa decise di agire attraverso la metropolia di Kiev, una parte importante del Patriarcato di Costantinopoli. Nel 1091 il Papa inviò un’ambasciata a Kiev, non solo confermando le intenzioni di Roma sulla riconciliazione, ma anche mandando un dono prezioso – una parte delle reliquie di San Nicola. Il metropolita Efrem, allora il locum tenens della cattedrale di Kiev, introdusse nella Chiesa russa la festa occidentale della Traslazione delle reliquie di San Nicola a Bari, a quanto pare, nel 1092, appena tre anni dopo l’istituzione della festa da parte di Papa Urbano II. A questo tempo risale anche la composizione della “Leggenda del trasferimento delle reliquie di San Nicola di Bari” e di testi liturgici speciali per il 9 maggio con la menzione di miracoli, attribuiti al Santo in Russia. Così anche dopo la divisione tra le Chiese orientale ed occidentale, la venerazione del grande santo comune – San Nicola di Myra – continuò a legare le tradizioni cristiane d’Oriente e d’Occidente. Questo legame non è mai stato completamente interrotto, come non è mai stato interrotto il flusso dei pellegrini ortodossi che aspiravano a venire a Bari per pregare davanti alle reliquie del grande santo di Dio. Nel 1892, l’allora zarevic e granduca Nicolaj Alexandrovich, erede al trono di Russia e il futuro imperatore, visitò la Basilica del suo santo patrono. Sul suo ordine, proprio il giorno

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della festa della Traslazione delle reliquie di San Nicola a Bari il 9 maggio 1913 vi si svolse il solenne inizio dei lavori di costruzione della Rappresentanza della Chiesa ortodossa russa. Sembra simbolico che la traslazione temporanea delle reliquie di San Nicola di Bari in Russia è venuta nell’anno del 100° anniversario delle sollevazioni rivoluzionarie, che segnarono l’inizio dell’ascesa sul Calvario della Chiesa russa e del popolo russo. Come ha detto Sua Santità il Patriarca Kirill nella sua omelia durante la Divina Liturgia a San Pietroburgo il 28 luglio, “per la volontà del Signore, proprio nell’anno di commemorazione degli eventi fatali nella storia della nostra Patria, San Nicola è venuto in Russia, la stessa Russia che lo ama così tanto… San Nicola è venuto a noi per sostenere il nostro popolo, per rafforzare la sua fede, affinché nessuna tentazione che oggi ci viene proposta tramite qualche dialogo intellettuale oppure qualche decisione politica, così come tutto ciò che sta accadendo intorno alla nostra Patria, possa distruggere il fondamento spirituale della vita del nostro popolo”. Per preservare la memoria di questo evento eccezionale nella storia della Chiesa ortodossa russa, nonché nelle relazioni cattolico-ortodosse, il Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca e la Fondazione “Conoscenza” in collaborazione con l’arcidiocesi di Bari-Bitonto hanno preparato la pubblicazione di questo album (in russo e in italiano) sulle fasi principali della Traslazione temporanea delle reliquie di San Nicola in Russia. Oltre a tante bellissime fotografie, fanno parte del libro i testi più importanti che rivelano il significato spirituale e storico dell’evento che si è svolto un anno fa. Un posto speciale fra di essi appartiene ai discorsi e messaggi di Sua Santità il Patriarca Kirill, pronunciati durante le celebrazioni a Mosca e San Pietroburgo in occasione dell’arrivo delle reliquie del Santo in Russia. Spero sinceramente che questo libro aiuti i lettori russi e italiani ad immergersi nell’atmosfera particolare ed emozionante degli eventi del maggio-luglio 2017 a Bari, Mosca e San Pietroburgo e a ringraziare Dio e il suo grande Santo per la gioia e le innumerevoli segni di grazia che i fedeli delle due Chiese hanno vissuto in quei giorni santi e indimenticabili.


BASILICA DI SAN NICOLA

Prefazione dell’arcivescovo di Bari-Bitonto mons. Francesco Cacucci

“Penso che la traslazione delle reliquie di san Nicola abbia fatto per la riconciliazione tra Oriente e Occidente quanto non ha mai fatto nessuna diplomazia – sia secolare sia ecclesiastica”. Queste parole del Patriarca Kirill, pronunciate il 28 luglio 2017 a San Pietroburgo, mostrano la straordinaria risonanza che ha avuto in Russia la traslazione di una reliquia di san Nicola nel 2017 e anche la sua evidente dimensione ecumenica. Si può senza dubbio definire l’evento una “seconda traslazione” delle reliquie di san Nicola, dopo la prima effettuata dai marinai baresi nel 1087, da Myra a Bari. Difatti, nei 930 anni della loro permanenza a Bari, le ossa del Santo non avevano mai lasciato la Città. L’iniziativa è stata resa possibile da un altro evento storico: l’incontro tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill a L’Avana il 12 febbraio 2016. La dichiarazione congiunta firmata in quella occasione sottolineava precisamente l’importanza del patrimonio spirituale condiviso dalle due Chiese: “Condividiamo la comune Tradizione spirituale del primo millennio del cristianesimo. I testimoni di questa Tradizione sono la Santissima Madre di Dio, la Vergine Maria, e i Santi che veneriamo”. Di questo “ecumenismo dei santi” non poteva essere trovato un esempio più eloquente di quello offerto dalla figura di san Nicola. Il Taumaturgo è senza dubbio il santo più venerato nella Chiesa ortodossa russa. Rare sono le case russe in cui non si trova un’icona del Santo vescovo. Ma san Nicola ha anche un posto speciale nelle relazioni tra cristiani d’Oriente e d’Occidente. Già nel 1091, alcuni anni dopo le scomuniche del 1054, Papa Urbano II avrebbe inviato al metropolita di Kiev una reliquia del Santo nella speranza di facilitare la riconciliazione con la Chiesa d’Oriente. Sempre in vista di questo riavvicinamento lo stesso Papa convocò un concilio di vescovi occidentali e orientali nel 1098 a Bari, presso la cripta dove

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erano custodite le reliquie del Santo, fiducioso che le sue preghiere avrebbero aiutato a ricomporre l’unità. Proprio in quel periodo, la Chiesa russa, lungi dal considerare il trasferimento delle spoglie come un illegittimo furto, adottò la festa occidentale della traslazione delle reliquie di san Nicola. La “seconda traslazione” del 2017 è iniziata il 21 maggio, vigilia della festa della traslazione delle reliquie di san Nicola nel calendario giuliano. Una delegazione dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto da me guidata e accompagnata dal Metropolita Hilarion ha portato la reliquia a Mosca. Difficile è immaginarsi una accoglienza più solenne di quella riservata al Santo, accolto sulla soglia della cattedrale del Cristo Salvatore dal Patriarca Kirill, sessanta vescovi, settecento sacerdoti e migliaia di fedeli al suono di numerosissime campane. Lunghe file di pellegrini hanno cominciato a formarsi per venerare la preziosa reliquia, aspettando a volte più di dieci ore. La reliquia è stata poi trasferita il 13 luglio a San Pietroburgo, dove è rimasta nel monastero di san Aleksandr Nevsky fino al 28 luglio, festa del principe Vladimir. In quel giorno, durante la Divina Liturgia celebrata dal Patriarca e dai membri del Santo Sinodo, una delegazione guidata dal cardinale Koch ha riportato la santa reliquia a Bari. In due mesi, quasi due milioni e mezzo di pellegrini sono passati davanti al pregiato reliquiario. Il frutto ricercato e raccolto della traslazione della reliquia di san Nicola era di rendere partecipe il popolo di Dio dell’incontro tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill. Il metropolita Hilarion ha sottolineato il 19 dicembre 2017 a Bari che “la venuta della reliquia di San Nicola in Russia è stato il primo avvenimento della storia dei rapporti tra il Patriarcato di Mosca e la Chiesa cattolica a essere largamente conosciuto, in cui sono stati coinvolti i più diversi settori della nostra società”. Certo, all’epoca sovietica, la Chiesa ortodossa russa era impegnata nel movimento ecumenico, ma questo ecumenismo riguardava solo alcuni gerarchi incaricati delle relazioni ecclesiastiche esterne, come il Metropolita Nikodim (Rotov). La traslazione delle reliquie di san Nicola in Russia ha mostrato che l’ecumenismo non deve essere prerogativa dei capi di Chiesa o dei teologi: deve coinvolgere l’insieme della Chiesa, tutto il popolo di Dio. Nessun santo poteva favorire tale coinvolgimento del popolo più di san Nicola, il cui nome significa precisamente la “vittoria del popo-


BASILICA DI SAN NICOLA lo”. È molto significativo che questa “vittoria del popolo” abbia avuto luogo cento anni dopo una rivoluzione fatta a nome dello stesso popolo. Chi avrebbe potuto pensare, nell’Unione Sovietica di solo trent’anni fa, che delle reliquie sarebbero state venerate da milioni di pellegrini, scortate dalla guardia nazionale, custodite in una chiesa, la cattedrale del Cristo Salvatore a Mosca, che era stata ridotta in rovina da Stalin nel 1931 e trasformata in piscina fino alla sua recente ricostruzione? Il “trionfo” di san Nicola, in questo centenario dell’inizio della più terribile persecuzione della storia del cristianesimo, mostra la vera vittoria del popolo e la misericordia di Dio. L’evento ha offerto anche l’occasione di sottolineare il primato della dimensione spirituale nel cammino verso l’unità dei cristiani. Accogliendo le reliquie il 21 maggio il Patriarca Kirill ha sottolineato con forza che quest’unità sarà solo il frutto dello Spirito Santo: “Se il Signore vorrà riunire tutti i cristiani, ciò avverrà non per i loro sforzi, non in virtù di passi ecclesiastico-diplomatici quali che siano, non per qualche accordo teologico, ma solo se lo Spirito Santo riunirà tutti coloro che professano il nome di Cristo. E siamo convinti – ha aggiunto il Patriarca – che san Nicola, che ascolta le preghiere dei cristiani d’Oriente e d’Occidente, starà anche dinanzi al Signore a pregarlo di ricomporre l’unità della Chiesa”. Le parole del Patriarca non possono non ricordare quelle di Papa Francesco, per il quale anche l’unità dei cristiani “non è primariamente il frutto del nostro consenso o della democrazia dentro la Chiesa o del nostro sforzo di andare d’accordo” (25 settembre 2013), “non sarà il frutto di raffinate discussioni teoriche nelle quali ciascuno tenterà di convincere l’altro della fondatezza delle proprie opinioni” (25 gennaio 2015), “non verrà come un miracolo alla fine”. Per Papa Francesco, “l’unità viene nel cammino, la fa lo Spirito Santo nel cammino” (25 gennaio 2014). Su questo cammino che percorrono insieme la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa russa, la traslazione delle reliquie rappresenta senza dubbio una pietra miliare. In questo pellegrinaggio ecumenico san Nicola, patrono dei viaggiatori, è il migliore accompagnatore. Egli è spesso chiamato “pa-

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trono del cammino dell’unità”. Ma non si deve dimenticare che san Nicola è anche definito dagli orientali il “Taumaturgo”, colui che compie miracoli. Il miracolo dell’unità, come dice Papa Francesco, “non verrà alla fine”, ma “viene nel cammino”. In realtà questo miracolo è già iniziato, dichiara il Papa, riferendosi a I promessi sposi: “Il miracolo dell’unità è incominciato. Dice uno scrittore italiano famoso, il Manzoni – in un romanzo, dice questa frase: ‘Non ho trovato mai che il Signore abbia cominciato un miracolo senza finirlo bene’. Lui finirà bene questo miracolo dell’unità”.

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Due Chiese fanno memoria comune

«La traslazione temporanea delle reliquie di San Nicola in Russia ha contribuito al riavvicinamento tra la le nostre Chiese più di tutta la diplomazia ecclesiastica». Così affermava il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill nell’omelia durante la Divina Liturgia nella cattedrale della Santissima Trinità nella Lavra di Sant’Alessandro Nevsky a San Pietroburgo il 28 luglio 2017 dinanzi alla delegazione cattolica. Lo ha ricordato il Metropolita Hilarion di Volokolamsk, Presidente del Dipartimento per le Relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, il 19 dicembre, nella Basilica di San Nicola, durante la presentazione dell’edizione italiana del volume che ricorda quell’evento che ha cambiato alcune coordinate dell’intero movimento ecumenico: La traslazione della reliquia di San Nicola il Taumaturgo da Bari in Russia (21 maggio – 28 luglio 2017). L’occasione della festa di San Nicola, secondo il calendario giuliano, sta diventando sempre più, per la nostra diocesi, un momento di avvicinamento popolare con il cristianesimo russo. Anche quest’anno, la mattina del 19 dicembre la Basilica di San Nicola è stata invasa da centinaia di fedeli ortodossi russi per partecipare alla Divina Liturgia presieduta da Sua Eminenza il Metropolita e celebrata sull’altare maggiore. Così la sera, sia russi che baresi hanno ascoltato insieme delle riflessioni su quell’evento che ha unito ancora di più le due Chiese. Alla presenza del Direttore dell’Ufficio Nazionale per l’Ecumenismo, di rappresentanti del clero barese e ortodosso, della comunità domenicana, di autorità civili e militari, di fedeli russi e italiani, Sua Em. il Metropolita Hilarion Alfeev, Sua Ecc. l’Arcivescovo di BariBitonto mons. Francesco Cacucci, il delegato del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, nonché membro della delegazione cattolica durante la Traslazione, p. Hyacinthe Destivelle, O.P. e il Rettore della Basilica di S. Nicola p. Giovanni Distante, O.P. hanno presentato il valore e il significato del fare memoria di quell’avveni-

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mento del tutto particolare attraverso un volume commemorativo. P. Distante ha sottolineato l’eccezionalità dell’evento, tanto che all’inizio vi fu qualche perplessità: mai in 930 anni una reliquia del Santo Vescovo di Myra aveva lasciato la Basilica. P. Destivelle ha letto il messaggio inviato per l’occasione da Sua Em. il Card. Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani. Il Cardinale ha evidenziato come l’evento della traslazione sia stato uno dei frutti portati dall’incontro tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill a L’Avana il 12 febbraio 2016. L’esperienza vissuta ha mostrato l’importanza dell’ecumenismo dei santi, ovvero la condivisione spirituale di un patrimonio comune donatoci dalla Tradizione, e dell’ecumenismo del popolo, ovvero il coinvolgimento di tutta la Chiesa, e non solo dei Capi o dei teologi, nel cammino verso l’Unità. P. Destivelle ha inoltre aggiunto una considerazione personale sul valore di questi nuovi gesti ecumenici capaci di accogliere le sensibilità di un’altra Chiesa. Il Metropolita Hilarion ha presentato più dettagliatamente il volume, il quale consiste nella raccolta di tutte le omelie e i discorsi tenuti dal Patriarca, da un’omelia del Card. Koch e da un testo di mons. Cacucci, oltre la collezione di un repertorio fotografico. Egli ha ricordato l’importanza che riveste San Nicola nella Chiesa russa e, di conseguenza, il grande valore che ha avuto l’ospitare la reliquia, permettendo un pellegrinaggio a oltre due milioni di fedeli, dalla Russia e non solo. «Si può dire con certezza che la traslazione delle reliquie di San Nicola è stato il primo evento nella storia delle relazioni bilaterali tra il Patriarcato di Mosca e la Chiesa cattolica che era noto tra i più diversi settori della nostra società e che ha visto la loro partecipazione». Anche il Metropolita ha collegato l’avvenimento con l’incontro tra papa Francesco e il patriarca Kirill; ogni anno il 12 febbraio il Patriarcato commemora quel dialogo di Cuba. Infine, l’Arcivescovo Cacucci, riprendendo gli interventi precedenti, ha ricordato come l’esperienza di ecumenismo “popolare” o “di vita” che si rende manifesta attorno alla figura di san Nicola possa aver contribuito in maniera decisiva ad optare per Bari quale sede dell’incontro tra Papa Francesco e i Capi delle Chiese del Medio Oriente lo scorso sette luglio. Inoltre, il cammino ecumenico si fonda anche sui rapporti umani. Gli incontri ripetuti stan-


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no creando sempre più un clima di amicizia e di stima tra la Chiesa di Bari-Bitonto e la Chiesa russa. Non è un caso che la prima laurea ad honorem della Facoltà Teologica Pugliese sia stata conferita proprio al Metropolita Hilarion, nell’Istituto di Teologia Ecumenica “San Nicola”, il 18 dicembre 2018, apprezzandone la levatura culturale. Il Metropolita, infatti, risulta essere uno dei più grandi intellettuali russi del nostro tempo, conosciuto non solo per i suoi scritti di carattere teologico, ma anche per le sue composizioni musicali. Proprio in onore di Sua Em.za Hilarion, la serata è proseguita con un concerto per orchestra e coro di brani da lui composti: il “Concerto grosso”, lo “Stabat mater” e il “De profundis”. Quanto il movimento spirituale attorno alla figura di san Nicola stia coinvolgendo l’intera città di Bari è testimoniato dal fatto che sia stata l’Orchestra sinfonica della Città Metropolitana di Bari, diretta dal maestro Michele Nitti, a eseguire il repertorio. Inoltre, per la parte vocale, vi è stata la collaborazione di ben tre cori: il “Florilegium vocis”, il coro della Polifonica barese “Biagio Grimaldi” e l’“Ars Cantica Choir” di Milano.

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L’applauso prolungato al termine del concerto, con la standing ovation al saluto tra il maestro Nitti e il Metropolita compositore Hilarion, testimonia come anche l’arte e la cultura contribuiscano alla stima reciproca e alla comunione tra i popoli e tra le Chiese. sac. Alfredo Gabrielli vicedirettore dell’Ufficio per l’Ecumenismo


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BASILICA DI SAN NICOLA Omelia di S.Em. il card. Pietro Parolin Segretario di Stato nella Messa della solennità liturgica di san Nicola (Bari, 6 dicembre 2018)

Eccellenza, distinte autorità, cari sacerdoti, religiosi e religiose cari fratelli e sorelle in Cristo Sono lieto di presiedere l’Eucaristia a Bari in occasione della solennità di San Nicola. Saluto tutti con grande affetto, cominciando dal vostro Arcivescovo S.E. Mons. Francesco Cacucci, che ringrazio per l’invito e le cortesi parole che mi ha rivolto. Saluto con deferenza le Autorità civili e militari, esprimendo gratitudine per la loro presenza. Un particolare saluto rivolgo ai Padri Domenicani, che premurosamente custodiscono questa Basilica, autentico polo spirituale, meta di numerosi pellegrinaggi che testimoniano la devozione profonda dei cristiani di Oriente e di Occidente nei confronti di san Nicola. È ancora viva in tutti noi l’emozione della visita del Santo Padre Francesco che nel luglio scorso si è fatto pellegrino qui a Bari, insieme ai capi delle Chiese delle comunità cristiane del vicino Oriente, per pregare insieme per la pace tra le Nazioni e i cristiani perseguitati. Rivolgiamo nuovamente la nostra supplica al Signore, la cui passione rivive oggi nelle ferite e nelle prove di tante sorelle e fratelli che,

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sparsi nel mondo, soprattutto nel Medio Oriente, soffrono a causa della loro coraggiosa fedeltà al Vangelo, perché, anche nei momenti più bui, lo sentano vicino come Buon Pastore che mai dimentica le sue pecore. «Il Santo taumaturgo - come ha detto il Papa - interceda per guarire le ferite che tanti portano dentro» (Incontro di preghiera, Lungomare di Bari, 7 luglio 2018). Oggi, 6 dicembre, è un giorno di festa per la Chiesa di Bari, che riconosce in san Nicola il suo Patrono. È anche festa per tutta la città e la regione perché la memoria di questo santo fa parte, ormai, della fisionomia spirituale di questa terra. Rallegriamoci dunque per questo giorno, che ci viene dato per riscoprire la gioia di vivere accanto agli altri, che sentiamo non estranei ma amici, e per ritrovare il desiderio di costruire insieme una città umanamente più ricca e fraterna. Per vivere la festa, sospendendo i ritmi di lavoro ed uscendo dalle vostre abitazioni, vi siete raccolti in quest’antica Basilica per celebrare l’Eucaristia, che è il distintivo e il tesoro più grande della comunità cristiana, quel tesoro che la costituisce, la unifica e la nutre. Nel fare memoria del Vescovo di Myra – in cui si incontra il grande amore per la retta fede unito a quello per l’armonia nella Chiesa e il vero spirito dell’ecumenismo, cioè l’amore per la verità e l’amore per chi la pensa diversamente in materia di fede – vorremmo essere capaci di trasmettere qualcosa dello splendore che viene dal Vangelo e che conferisce dignità a ogni uomo, che risana ogni cuore ferito e dà speranza in ogni situazione, anche la più difficile. Riconoscere oggi san Nicola come Patrono, significa riconoscere con apprezzamento e gratitudine la fondamentale continuità della nostra comunità attraverso i secoli. Nel corso dei secoli si sono susseguiti molti avvenimenti, e molti sono stati i cambiamenti, eppure ci sentiamo figli ed eredi di coloro che ci hanno preceduto. In San Nicola vogliamo professare il valore della tradizione autentica, in cui ritrovare la radice della nostra cultura e della nostra umanità. Le letture bibliche che la Liturgia ci ha fatto ascoltare ci aiutano a comprendere e a vivere bene questa giornata. Nella prima, il profeta Isaia ci ha presentato il Servo del Signore, un personaggio che non viene direttamente identificato, ma del quale si descrive la missione di salvezza, che deve riguardare tutti gli uomini. Abbiamo ascoltato: «Il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome» (Is 49,1).


BASILICA DI SAN NICOLA Essere chiamati per nome vuol dire camminare alla presenza di qualcun altro dal quale si è ricevuta la propria vita. C’è all’inizio la volontà di Dio. La nostra esistenza trova senso solamente in rapporto a Lui, come risposta a qualcuno che ci chiama e pronunzia il nostro nome. Continua poi il profeta: «Ha reso la mia bocca come spada affilata, mi ha nascosto all’ombra della sua mano, mi ha reso freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra» (Is 49,2). Il Servo è dunque lo strumento attraverso cui Dio esercita il suo giudizio di salvezza, è quel giudizio che elimina ogni realtà di male, di cattiveria, di falsità che c’è nel mondo. La spada è semplicemente un’immagine: è la bocca del profeta, il quale, pronunciando la Parola di Dio, annienta il male, ma trasmette anche la salvezza e la gioia del Signore. Tutto questo, nella Liturgia di oggi, si applica bene a san Nicola; «il Signore fin dal seno materno mi ha chiamato...», perché il Signore lo ha preso e lo ha fatto stare vicino a sé, facendolo diventare suo familiare, stando alla sua ombra e ricevendo l’energia di cui aveva bisogno per essere “profeta”, per annunciare cioè la Parola di Dio nel suo tempo. Anche a noi il Signore affida il compito di trasmettere la sua Parola e di trasformare il mondo con la forza e la luce del suo messaggio, che, come benefica pioggia, risana ogni terreno e disseta le anime assetate di verità e di bene. Per questo, nella seconda lettura, tratta dalla Lettera agli Efesini, l’Apostolo Paolo raccomanda di comportarci in maniera degna della vocazione ricevuta, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandoci a vicenda con amore, cercando di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace (cfr Ef 4,1-4). L’Apostolo ci ricorda che costituiamo un solo corpo, siamo animati da un solo Spirito, camminiamo verso una sola speranza, abbiamo un’unica vocazione. Sono troppo grandi questi doni spirituali perché possiamo essere divisi o contrapposti gli uni agli altri. Questi sono gli atteggiamenti che costituiscono e tengono salda la comunione tra i discepoli di Cristo. Al di fuori dell’umiltà, quando si coltivano pensieri orgogliosi e ambiziosi, si produce inevitabilmente frattura e contrapposizione. Come non ricordare, a questo proposito, l’encomio di san Nicola

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scritto da sant’Andrea di Creta? «Chi del resto non ammirerà la tua magnanimità? Chi non proverà stupore del tuo eloquio dolce, della tua mitezza, o del tuo carattere pacifico e supplichevole?». Ricordando l’episodio della conversione del vescovo Teognide, che, nell’aspro dibattito provocato dall’eresia ariana fu riportato all’ortodossia da Nicola, continua: «Poiché fra voi due era forse intervenuta una certa asprezza, con la tua voce sublime citasti quel detto dell’Apostolo e dicesti: “Vieni, riconciliamoci, o fratello, prima che il sole tramonti sulla nostra ira”». Così la figura di san Nicola ha un grande ruolo nelle relazioni ecumeniche perché è il Santo più venerato nell’Ortodossia, e specialmente nel mondo slavo. Egli ci ricorda che un vero cammino di dialogo tra le Chiese passa sempre attraverso l’umiltà di cercare il bene e l’interesse dell’altro. Il brano del Vangelo ci aiuta poi a capire com’è possibile accettare che un altro ci porti dove noi non vogliamo e, nonostante questo, vivere nella gioia e nella libertà interiore. La risposta sta in quel dialogo tra Gesù e Pietro, che si ripete per ben tre volte: «Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro? Gli rispose: Certo, Signore, tu lo sai che io ti amo. Gli disse: Pasci i miei agnelli» (Gv 21,15-18). Il primo fondamento sul quale si àncora ogni vita cristiana e, all’interno di essa ogni ministero e autorità nella Chiesa, secondo il Vangelo, è essere innamorati del Signore. Ognuno quando sente quella domanda: «Mi ami?» possa in coscienza, ascoltando il cuore, dire: «Sì, Signore, tu lo sai, io ti amo». È questo amore per il Signore che permette anche di accogliere le tribolazioni e le fatiche, che non ci possono essere tolte nell’incamminarsi dietro a Lui, già in questa vita accompagnate però dalle consolazioni divine e che portano con sé la promessa indefettibile di un premio eterno. All’apostolo Pietro inoltre Gesù raccomanda di dare il nutrimento a quel gregge che gli appartiene. Chiediamoci anche noi come possiamo dare il nostro tempo, le nostre energie, i progetti e i desideri perché siano trasformati in funzione del bene della Chiesa, del «gregge del Signore», di quelle «pecore o agnelli» che appartengono a Lui. È decisivo perciò entrare nella logica del Vangelo e ricordare in particolare quel verbo alla fine del Vangelo di Giovanni: «Seguimi» (Gv 21,19b), legato a quelle parole misteriose che Gesù aveva detto a Pietro: «In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi


BASILICA DI SAN NICOLA la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi» (Gv 21,18). Tale espressione sembra fare riferimento ad una condizione di povertà e di limite, al momento in cui è necessario consegnarsi nelle mani di altri che ci possano guidare. È proprio questo il cammino che il Signore ci domanda di percorrere, quello dell’obbedienza. Spesso la vita ci pone davanti ad ostacoli e limiti e ci costringe a rinunciare ai sogni e ai progetti. Il Vangelo ci ricorda che è proprio in quell’occasione – in cui «un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi» – che la sequela diventa segno trasparente e dimostrazione di un amore distaccato e purificato, che si fa dono generoso e lieto. È quello che vediamo nei santi e in particolare oggi in San Nicola, la cui vita, fin dalla prima giovinezza, fu improntata all’obbedienza. Anche in lui si realizzò la Parola del Signore detta a Pietro, perché sotto l’imperatore Diocleziano venne esiliato e imprigionato: «Un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi». Cari fratelli e sorelle, chiediamo al santo Patrono di vivere nella sequela umile, nel servizio disinteressato e nella logica del dono, per ricevere da Dio il premio che nessuno potrà toglierci. Rivolgiamoci dunque a lui con una delle preghiere più note con cui lo invoca la liturgia orientale: «Regola di fede, icona di mitezza, maestro di temperanza, la testimonianza della tua vita ti ha manifestato al tuo gregge. Per questo, umiliandoti sei stato esaltato, e, facendoti povero, hai ottenuto ricchezza. O grande Pastore, Padre Nicola, intercedi per la salvezza delle nostre anime presso Cristo che è Dio». Amen.

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ISTITUTO DI TEOLOGIA ECUMENICA “SAN NICOLA” Convegno di studi su “La Basilica Pontificia di San Nicola nelle Costituzioni apostoliche dei Sommi Pontefici. Aspetti canonici, pastorali ed ecumenici” (Bari, 24 novembre 2018)

Si è svolto a Bari, il 24 novembre, presso l’aula magna “Enrico Nicodemo” dell’Istituto di Teologia ecumenico-patristica “San Nicola”, il convegno di studi: La Basilica Pontificia San Nicola nelle Costituzioni apostoliche dei Sommi Pontefici. Aspetti canonici, pastorali ed ecumenici, per ricordare il 50° anniversario della Costituzione apostolica di Papa Paolo VI “Basilicae Nicolaitanae” con cui la Basilica venne elevata alla dignità di “pontificia”. Con la Costituzione “Basilicae Nicolaitanae”, che fu promulgata l’11 febbraio 1968 da San Paolo VI, la Basilica di San Nicola fu elevata infatti al rango di Basilica Pontificia, «con tutti i diritti e i privilegi che spettano ai templi insigniti di tale titolo», tra cui quello di avere un legato pontificio, che è l’arcivescovo pro-tempore di Bari. L’obiettivo del convegno è stato quello di fare memoria di questo evento e sottolineare l’importanza che la Basilica ha acquisito non solo per l’intera città di Bari, ma anche per tutta la cattolicità, in quanto ha contribuito in ogni tempo a dare impulso al movimento ecumenico. come ha ricordato Papa Francesco nel suo messaggio1. 1

Cfr, in questo Bollettino, supra, pp. 325-326.

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Al convegno hanno preso parte anche delle delegazioni ortodosse: il Vescovo Ioann, del Patriarcato di Mosca, e p. Stefano Andronache, rappresentante del Vescovo Siluan del Patriarcato di Romania. Il Card. Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, che ha patrocinato l’evento, ha fatto pervenire un messaggio di saluto. Il convegno ha visto la presenza di S.Em. il Card. Giovanni Angelo Becciu, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, di S.Ecc. Mons. Nunzio Galantino, Presidente dell’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica, Mons. Francesco Cacucci, Arcivescovo di Bari-Bitonto, p. Giovanni Distante, Rettore della Basilica di San Nicola, p. Gerardo Cioffari, Direttore del Centro Studi Nicolaiani, p. Lorenzo Lorusso, sotto-segretario della Congregazione per le Chiese orientali, p. Hyacinthe Destivelle, del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Hanno moderato i lavori don Lino Larocca, Presidente del Tribunale ecclesiastico regionale pugliese, e p. Emmanuel Albano, Direttore del Centro ecumenico “P. Salvatore Manna”; le conclusioni sono state affidate a p. Luca de Santis, Direttore dell’Istituto Ecumenico “San Nicola”. La sessione mattutina è stata dedicata soprattutto ai saluti e a due conferenze di carattere storico-giuridico. Nel suo saluto iniziale mons. Cacucci, mettendo in evidenza il ruolo e il lavoro svolto dai frati domenicani, ha affermato che «l’ecumenismo è la vocazione fondamentale della Basilica di San Nicola e questo è legato anche alla missione che i frati predicatori, l’ordine dei Domenicani, ha offerto in questi quasi sessant’anni di servizio qui a Bari». S.Em. il card. Becciu, salutando i partecipanti al convegno e citando le costituzioni apostoliche di Pio XII, Paolo VI e Giovanni Paolo II, ha ricordato la sollecitudine pastorale dei pontefici verso la Basilica di San Nicola. Il porporato ha poi ricordato anche la “grande Grazia di Dio scesa sul popolo di Bari” per la presenza di san Nicola: «È una grande gloria dei baresi quella di avere una devozione a San Nicola e di avere svolto un ruolo di ponte tra occidente ed oriente. San Nicola, – ha ricordato il cardinale – è punto di riferimento delle Chiese ortodosse e per questo motivo i baresi devono essere orgogliosi del loro santo!». Il card. Becciu ha poi letto il messaggio che papa Francesco ha volu-


ISTITUTO DI TEOLOGIA ECUMENICA “SAN NICOLA” to inviare per la felice occasione e nel quale sottolinea come «questo luogo di fede, di preghiera, di incontro e di dialogo ha favorito il movimento ecumenico. Ciò è stato facilitato dalla sincera devozione al Santo Vescovo di Myra dei fedeli d’Oriente e d’Occidente» e ha aggiunto il pontefice «in questi anni, la Basilica nicolaiana, così singolarmente legata alla Santa Sede, ha saputo bene manifestare la sua specifica vocazione finalizzata a dare impulso al cammino di unità dei cristiani». Il Papa inoltre ha invitato a «favorire nei fedeli il percorso di una assidua ricerca di Dio, alimentata da intensa pietà e da insaziata nostalgia della contemplazione. La preghiera ha una straordinaria forza evangelizzante ed è necessaria per il raggiungimento della piena comunione tra i cristiani». Introducendo i lavori del convegno p. Giovanni Distante, Rettore della Basilica San Nicola, ne ha richiamato lo scopo e le finalità: «Celebriamo oggi un anniversario molto importante – ha detto p. Distante. – Un grande riconoscimento da parte della Santa Sede che mette in rilievo i rapporti, non solo tra essa e il tempio nicolaiano, ma in particolare i rapporti che esistono all’interno della città di Bari tra l’arcivescovo e la comunità dei Domenicani. P. Gerado Cioffari nel suo intervento ha ripercorso le vicende storiche più significative legate alla Basilica e al suo ruolo nella società barese e nel mondo cattolico fin dalla sua fondazione, mentre p. Lorenzo Lorusso, in continuità con p. Cioffari ha sottolineato soprattutto il legame tra la Basilica e l’Ordine dei Predicatori ai quali dal 1951 è stata affidata la cura pastorale del tempio nicolaiano e la missione ecumenica attraverso l’attività dell’Istituto ecumenico “San Nicola” e del Centro ecumenico “P. Salvatore Manna”, evidenziando l’operato dei Rettori e dei confratelli domenicani nella promozione del culto nicolaiano e nell’impegno ecumenico. La fase mattutina del convegno si è conclusa con la solenne concelebrazione eucaristica in Basilica presieduta dal card. Becciu, con la partecipazione di molti sacerdoti della diocesi. Nella sessione pomeridiana, al convegno è intervenuto mons. Nunzio Galantino, Presidente dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, che ha sottolineato che «la centralità che ha

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la basilica di San Nicola, e con essa le reliquie del Santo di Myra, sta proprio nella sua capacità di parlare con la sua storia, con la sua realtà e anche con il tipo di attività pastorale che essa compie e che parte di qui. Credo che la basilica di san Nicola possa essere considerata un vero e proprio avamposto di un ecumenismo che è in cammino. Un ecumenismo che diventa oggi anche spazio per far maturare sentimenti di pace in questo momento». P. Hyacinte Destivelle, domenicano che lavora al Pontificio Consiglio per l’Unità dei cristiani, nel suo intervento ha ricordato che «questo anniversario è un’occasione per riflettere sul valore dell’ecumenismo locale di questa basilica che è intimamente inserita nella vocazione ecumenica di tutta la diocesi di Bari e di tutte le Chiese della Puglia. È un ecumenismo – ha continuato – che si fonda sulla venerazione spirituale di San Nicola che molto spesso viene riconosciuto come patrono del cammino verso l’unità. L’ecumenismo dei Santi e dei Martiri, inoltre, è un argomento sul quale tutti abbiamo potuto riflettere lo scorso luglio qui a Bari con i Capi delle Chiese del Medio Oriente. E inoltre l’ecumenismo teologico è inseparabile dall’ecumenismo spirituale». P. Destivelle ha ribadito l’importanza del “dialogo della verità”: «vocazione della Basilica di San Nicola è accogliere i fratelli d’Oriente, soprattutto ortodossi. Questo è il luogo di preghiera, di riflessione e di incontro». Il convegno è stato celebrazione di un evento importante, ma soprattutto occasione propizia per rinsaldare ancora di più la profonda comunione tra la Sede apostolica e la Basilica di San Nicola ed evidenziare il suo ruolo nella diffusione del culto nicolaiano e nella missione ecumenica. 422

p. Santo Pagnotta, O.P. Segretario generale della Facoltà Teologica Pugliese


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CURIA METROPOLITANA Giornata unitaria di formazione per gli operatori pastorali

“la Porta Bella… La Comunità cristiana tra storia e profezia” (Bari, 17 novembre 2018)

Dopo l’esperienza positiva dello scorso anno (il 17 novembre 2017) e in continuità con l’assemblea diocesana d’inizio anno (il 15 settembre 2018 presso la Basilica Santuario SS. Medici a Bitonto) vissuta con una attiva e coinvolgente partecipazione da parte di tutte le comunità ecclesiali della nostra Chiesa locale, con l’Arcivescovo e con i responsabili di tutti gli Uffici di Curia si è tornati a proporre una giornata unitaria di formazione per tutti gli operatori pastorali (catechisti, animatori della liturgia, operatori caritas, animatori missionari, operatori della pastorale familiare, giovanile, del mondo sociale e del lavoro, operatori della comunicazione e delle sale della comunità, educatori, animatori vocazionali, animatori di oratorio, docenti), insieme ai presbiteri, diaconi, religiosi e religiose, consacrati e consacrate della nostra diocesi. Sabato 17 novembre 2018, dalle ore 9.30 alle 18.00, ci si è ritrovati presso il Politecnico di Bari. La mattina ci siamo fermati in ascolto del nostro Arcivescovo mons. Francesco Cacucci, che ha presentato la traccia pastorale del nuovo anno La Chiesa tra realtà e sogno, consegnata poi a tutta la comunità diocesana. Ripartendo dalla memoria grata della storica giornata, di preghiera e di riflessione, vissuta da papa Francesco

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con i patriarchi e i capi delle Chiese per la pace nel Medio Oriente, nella città di Bari il 7 luglio 2018, l’Arcivescovo ha ribadito come le immagini, i segni, le parole di quell’evento e i sentimenti suscitati ci hanno riportato alla bellezza delle origini della vita e della missione della Chiesa. Come ha scritto nell’introduzione della traccia: «È stata una grande lezione di ecclesialità, che ha richiamato alla nostra mente il cammino della Chiesa raccontato dal libro degli Atti degli Apostoli. Una Chiesa aperta alle sorprese dello Spirito che sprona anche noi a vivere un nuovo anno alla luce di quel soffio di Pentecoste…». Così ci ha invitati ad accogliere il dono di un nuovo anno liturgico e pastorale e a viverlo «alla luce di quel soffio di Pentecoste che ha scombinato i nostri programmi e ha orientato le nostre comunità a ripensare il proprio cammino pastorale». Lasciando scorrere le immagini meravigliose degli affreschi medievali (patrimonio dell’umanità dal 2004) del monastero della Chiesa serbo-ortodossa di Visoki De ani, dedicate agli Atti degli apostoli, e che accompagnano mirabilmente i contenuti della traccia pastorale, padre Arcivescovo ha ripercorso le varie tappe del cammino «seguendo – come egli stesso scrive – il percorso dell’anno liturgico e la scansione annuncio, celebrazione, vita», ripartendo «dalla Parola annunciata nel libro degli Atti per discernere in essa e tramite essa essenziali indicazioni nell’ambito liturgico e caritativo, con la certezza che ogni comunità saprà svilupparle mediante un’attenta lettura dei segni dei tempi, suggerita e illuminata dallo Spirito». Consapevoli che quelle pagine della Scrittura, mentre tramandano la storia della prima comunità cristiana, ci presentano un sogno, dipingendo la visione di una Chiesa ideale, ci si è ritrovati tutti attivamente coinvolti nella rinnovata comprensione del fatto che Luca non solo racconta quello che facevano i primi discepoli, ma ci dice che le sacre Scritture, la carità, i sacramenti e la preghiera costituiscono il fondamento di ogni comunità cristiana, ritrovando così il fondamento della scelta mistagogica che sta accompagnando il nostro cammino pastorale, e rinnovando l’impegno di tutte le comunità a riscoprire la naturale e attrattiva vocazione missionaria della Chiesa alla quale ci sollecita costantemente il magistero petrino di papa Francesco. La giornata è stata vissuta nella condivisione delle esperienze e del tempo anche attraverso la convivialità del pranzo, cui è seguito un


CURIA METROPOLITANA secondo tempo di studio e approfondimento altrettanto intenso e partecipato. Nel primo pomeriggio i direttori e responsabili degli Uffici di Curia hanno animato in maniera condivisa e trasversale cinque workshop ispirati alla lectio che, nell’assemblea di inizio anno, fra’ Sabino Chialà, biblista monaco di Bose presso la Comunità di Ostuni, ha donato alla nostra Chiesa rileggendo l’esperienza dell’incontro ecumenico per la pace in Medio Oriente del 7 luglio scorso. Sono stati attivati dieci laboratori, per permettere una migliore partecipazione da parte di tutti, su cinque ambiti di riflessione, di seguito sinteticamente presentati.

1. Camminare insieme Soggetto della missione è la comunità e non il singolo. Nessun annunciatore, neppure il più carismatico, è legittimato ad annunciare senza un contesto comunitario in cui è in qualche modo inserito e sul cui mandato opera: è sempre la comunità che annuncia. Una comunità che vive innanzitutto e che annuncia quello che vive o almeno che cerca di vivere. Com’è possibile predicare la carità, se questa non è esperita o almeno ricercata, come fatica quotidiana, nelle nostre comunità? Come saremmo credibili?

2. Nei luoghi del quotidiano Si tratta della missione dell’incontro quotidiano, nei luoghi in cui si vive, ci si muove e si opera. Non una Chiesa che va alla ricerca di forme stravaganti di annuncio. Ma una comunità di credenti capaci di far sentire il profumo della propria fede nei luoghi quotidiani del loro vivere. Una Chiesa che esce nella carne di quei cristiani che molto semplicemente cercano di vivere il Vangelo nei contesti in cui si trovano a vivere, nelle scelte che fanno, nelle parole che dicono, in ciò che sperano e in ciò che perseguono, scelte che interrogano e che suscitano

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domande. Dal nostro vivere quotidiano appare quel Vangelo in cui crediamo? Le nostre scelte concrete parlano di Vangelo?

3. Con il coraggio di guardare e toccare L’annuncio nasce dal coraggio di guardare e di toccare. Ci si ferma a guardare, a perdere tempo. Si ha il coraggio di fissare i volti, di vedere la loro sofferenza e di lasciarsene interrogare. Si ha il coraggio di toccare, di prendere per mano l’uomo e di aiutarlo a rialzarsi. Siamo capaci di tenere gli occhi aperti? Di non distogliere lo sguardo per non vedere? In un mondo in cui ci si costruisce alibi per non guardare, alibi con cui proteggersi dall’altro “importuno”, siamo capaci di mantenere vigile lo sguardo sull’altro e sul suo bisogno? Siamo anche noi capaci di sporcarci le mani nel toccare colui che è nel bisogno?

4. Nel suo Nome Non molte parole ma una sola Parola: il Nome del Signore Gesù. Un nome che spesso seppelliamo sotto tanta zavorra, sotto tante parole che non dicono più niente, dimenticando di parlare di Gesù, di annunciare un volto, una persona, non un sistema filosofico o un programma etico. Il cuore di ciò che ci è stato affidato, come credenti, è una persona: Gesù Cristo che per noi è la rivelazione più chiara del volto del Padre. Abbiamo il coraggio di andare all’essenziale? Siamo ancora capaci di parlare di Gesù? 426 5. Come balsamo che dà vita Dire e fare qualcosa che ridà vita all’uomo che la riceve. La parola del Vangelo, anche quando è esigente, non può che essere parola che rigenera, che ridà vigore, che apre gli orizzonti, che incoraggia a vivere, che dà speranza. Non si tratta di annunciare vie facili. Il Vangelo è esigente, ma siamo capaci di far comprendere che quell’esigenza è


CURIA METROPOLITANA per la vita, che non è il capriccio di un Dio che ci vuole gettare un laccio, che gode nel vederci assoggettati, ma piuttosto una parola che egli ci offre perché le nostre vite diventino più belle e più libere? Per la conclusione di una giornata, che si potrebbe definire sinodale per la modalità con la quale è stata vissuta, ci si è affidati alla preghiera ecumenica, presso la chiesa parrocchiale di San Marcello, con la partecipazione di frère Alois Löser, Priore di Taizé, venuto tra noi a quarant’anni dalla storica visita di frère Roger Schutz all’arcidiocesi di Bari-Bitonto. È stata una giornata di ascolto, riflessione, studio, condivisione e preghiera che ci ha fatto gustare le «quattro perseveranze» descritte da Luca a proposito della prima comunità, nella consapevolezza che l’immagine della prima Chiesa è per ogni comunità come uno specchio nel quale riflettersi per verificare l’autenticità della vita pastorale. Alla luce di quella esperienza originaria torniamo a comprendere gli elementi costitutivi del cammino della nostra diocesi: l’annuncio, la celebrazione e la vita, certi – come scrive mons. Cacucci – che «la scelta mistagogica fatta dalla nostra Chiesa non è espressione di archeologismo, ma richiama i contenuti essenziali ai quali la Chiesa dei primi secoli si mostra fedele». Tornare a rileggere le pagine degli Atti degli Apostoli con l’intera comunità ecclesiale significa ritrovare le coordinate di una visione di Chiesa che è possibile realizzare se si resta fedeli al Vangelo, docili all’azione dello Spirito Santo, disponibili ad una conversione da ogni individualismo ad un’autentica comunione. sac. Mario Castellano Direttore degli Uffici Pastorale e Liturgico

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CURIA METROPOLITANA Cancelleria

1. Sacre ordinazioni, ammissioni, ministeri istituiti – La mattina del 26 dicembre 2018, festa di S. Stefano, primo Martire, S. Ecc. mons. Francesco Cacucci, arcivescovo di BariBitonto, durante una concelebrazione eucaristica da lui presieduta, nella parrocchia “Cattedrale” in Bari, ha ordinato diaconi gli accoliti Giacomo Giu-seppe Capozzi, Tommaso Genchi e Nicolino Antonio Sicolo, incardinandoli nel clero diocesano.

2. Nomine e decreti singolari A) S. Ecc. l’Arcivescovo ha nominato, in data: – 1 ottobre 2018 (Prot. n. 42/18/D.A.S.-N.), il sacerdote diocesano Andrea Favale all’ufficio di parroco della parrocchia “S. Marcello” in Bari, per nove anni; – 1 ottobre 2018 (Prot. n. 48/18/D.A.S.-N.), il sacerdote diocesano Giuseppe Bozzi all’incarico di responsabile della Sezione Legale dell’Ufficio Amministrativo della Curia diocesana di Bari-Bitonto, per cinque anni; – 1 ottobre 2018 (Prot. n. 49/18/D.A.S.-N.), il diacono permanente Tommaso Cozzi, confermandolo nell’incarico, a direttore dell’Uf-

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ficio Mondo sociale e del lavoro della Curia diocesana di BariBitonto, per cinque anni; – 1 ottobre 2018 (Prot. n. 50/18/D.A.S.-N.), il sacerdote diocesano Antonio Stizzi all’ufficio di vicario parrocchiale della parrocchia “S. Nicola” in Mola di Bari; – 1 ottobre 2018 (Prot. n. 51/18/D.A.S.-N.), il sacerdote diocesano Vito Piccinonna, confermandolo nell’incarico, a direttore dell’Ufficio Caritas della Curia diocesana di Bari-Bitonto, per cinque anni; – 1 ottobre 2018 (Prot. n. 52/18/D.A.S.-N.), il sacerdote diocesano Sigismondo Mangialardi all’incarico di Assistente Diocesano Unitario dell’Azione Cattolica dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto, per tre anni; – 1 ottobre 2018 (Prot. n. 53/18/D.A.S.-N.), il dott. Giacomo Dachille all’incarico di delegato diocesano per l’Università Cattolica del Sacro Cuore, per cinque anni; – 1 ottobre 2018 (Prot. n. 58/18/D.A.S.-N.), il diacono permanente Antonio Memmi all’ufficio di collaboratore della parrocchia “S. Marcello” in Bari; – 1 ottobre 2018 (Prot. n. 59/18/D.A.S.-N.), il diacono permanente Pietro Martino Tenerelli all’ufficio di collaboratore della parrocchia “S. Cuore” in Mola di Bari; – 9 ottobre 2018 (Prot. n. 60/18/D.A.S.-N.), il sacerdote diocesano Dario Morfini all’incarico di postulatore diocesano per la causa di beatificazione e canonizzazione del Servo di Dio Giovanni Modugno; – 22 ottobre 2018 (Prot. n. 61/18/D.A.S.-N.), il prof. Luigi Di Nardi all’ufficio di vice direttore dell’Ufficio Scuola della Curia diocesana di Bari-Bitonto, per cinque anni; – 22 ottobre 2018 (Prot. n. 62/18/D.A.S.-N.), il sacerdote diocesano mons. Francesco Lanzolla e i coniugi dott. Nicola Stufano e dott. Rosalia Valerio all’ufficio di direttori dell’Ufficio Famiglia della Curia diocesana di Bari-Bitonto, per cinque anni; – 22 ottobre 2018 (Prot. n. 63/18/D.A.S.-N.), il sacerdote diocesano Nunzio Angelo Lagonigro all’ufficio di vicario zonale del terzo vicariato dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto, per tre anni; – 22 ottobre 2018 (Prot. n. 64/18/D.A.S.-N.), il sig. Matteo D’Iasio all’incarico di commissario e legale rappresentante della Arciconfraternita “S. Maria degli Angeli” in Bari; – 23 ottobre 2018 (Prot. n. 65/18/D.A.S.-N.), p. Romano Gamba-


CURIA METROPOLITANA lunga, O.C.D., all’incarico di postulatore per la causa di beatificazione e canonizzazione della Serva di Dio Isabella Morfini; – 1 novembre 2018 (Prot. n. 66/18/D.A.S.-N.), il sacerdote diocesano Pierpaolo Fortunato all’ufficio di direttore diocesano dell’Apostolato della Preghiera; – 1 novembre 2018 (Prot. n. 67/18/D.A.S.-N.), il sacerdote diocesano Michele Bellino all’incarico di responsabile dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto per la chiesa del Gesù in Bari. – 3 dicembre 2018 (Prot. n. 70/18/D.A.S.-N.), il sacerdote diocesano Francis X. Jagatha Papaiah all’ufficio di collaboratore dell’economo diocesano per l’amministrazione del patrimonio dell’Arcidiocesi, per cinque anni; – 11 dicembre 2018 (Prot. n. 71/18/D.A.S.-N.), il sacerdote diocesano Antonio Stizzi all’ufficio di assistente spirituale diocesano per la pastorale dei sordomuti, per cinque anni. B) S. Ecc. l’Arcivescovo ha istituito, in data: – 1 ottobre 2018 (Prot. n. 41/18/D.A.S.-I), p. Vincenzo D’Angelo, R.C. J., all’ufficio di parroco della parrocchia “Cuore Immacolato di Maria” in Bari; – 1 ottobre 2018 (Prot. n. 43/18/D.A.S.-I), p. Antonio Genziani S.S.S., all’ufficio di parroco della parrocchia “S. Ottavio” in Modugno; – 1 ottobre 2018 (Prot. n. 44/18/D.A.S.-I), p. Fulvio Procino, C.S.S., all’ufficio di parroco della parrocchia “Maria SS. Immacolata” in Bitonto-Palombaio; – 1 ottobre 2018 (Prot. n. 45/18/D.A.S.-I), don Paul Arockia Raj Chinnappan, S.d.C., all’ufficio di vicario parrocchiale della parrocchia “Maria SS. Addolorata” in Bari; – 1 ottobre 2018 (Prot. n. 46/18/D.A.S.-I), don Piotr Telega, S.d.C., all’ufficio di cappellano moderatore della Cappella Universitaria “Sedes Sapientiae” del Politecnico di Bari; – 1 ottobre 2018 (Prot. n. 47/18/D.A.S.-I), p. Nicola Summo, O.F.M. Cap., all’ufficio di vicario parrocchiale della parrocchia “S. Fara” in Bari; – 1 ottobre 2018 (Prot. n. 54/18/D.A.S.-I), p. William Humberto

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Mezones Shelton, D.F., all’ufficio di vicario parrocchiale della parrocchia “Sacro Cuore” in Gioia del Colle; – 1 novembre 2018 (Prot. n. 68/18/D.A.S.-I), p. Michele Fiore, O.S.J., all’ufficio di vicario parrocchiale della parrocchia “S. Maria del Campo e della Pietà” in Bari-Ceglie del Campo. C) S.Ecc. l’Arcivescovo ha trasferito, in data – 1 ottobre 2018 (Prot. n. 55/18/D.A.S.-T.), il diacono permanente Antonio Verzino dall’ufficio di collaboratore della parrocchia “S. Maria di Monteverde” in Grumo Appula, all’ufficio di collaboratore della parrocchia “ S. Maria delle Grazie” in Casamassima; – 1 ottobre 2018 (Prot. n. 56/18/D.A.S.-T.), il diacono permanente Francesco Sgovio dall’ufficio di collaboratore del cappellano dell’Ospedale S. Paolo in Bari, all’ufficio di collaboratore del cappellano dell’Ospedale Civile di Grumo Appula; – 1 ottobre 2018 (Prot. n. 57/18/D.A.S.-T.), il diacono permanente Domenico Palmisano dall’ufficio di collaboratore della parrocchia “S. Giuseppe Moscati” in Triggiano, all’ufficio di collaboratore del cappellano dell’Ospedale S. Paolo in Bari. D) S.Ecc. l’Arcivescovo, in data – 1 novembre 2018 (Prot. n. 69/18/D.A.S.), ha riconosciuto al sacerdote diocesano Nicola Monterisi il diritto di usufruire dei benefici previsti per la condizione di anzianità. – 11 dicembre 2018 (Prot. n. 72/18/D.A.S.-N.), ha concesso al sacerdote diocesano Oronzo Pascazio licenza abituale di proferire legittimamente esorcismi. 3. Atti arcivescovili 432 S.Ecc. l’Arcivescovo, in data – 11 dicembre 2018 (Prot. n. 73/18/L.A.), ha concesso licenza a S. Ecc. Mons. Domenico Caliandro, Arcivescovo di Brindisi-Ostuni, per il conferimento del Ministero del Lettorato nella Cappella Maggiore del Seminario di Molfetta, domenica 16 dicembre 2018, al Seminarista Francesco Misceo.


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CURIA METROPOLITANA Settore Evangelizzazione. Ufficio Catechistico

Incontri di formazione per catechisti e operatori pastorali (Bari, 8-9 ottobre 2018)

L’8 e 9 ottobre 2018 si sono tenuti a Bari presso l’aula sinodale “Mons. Mariano Magrassi” gli incontri di formazione dei catechisti sul tema: L’iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi: sfide e prospettive. Hanno partecipato circa 800 catechisti provenienti da 70 parrocchie. Ha tenuto la relazione fratel Enzo Biemmi, fratello laico della Congregazione dei Fratelli della Sacra Famiglia, catecheta e presidente dell’Equipe europea dei catecheti. Biemmi ha parlato dell’iniziazione cristiana oggi come una sfida difficile ma appassionante; se l’esperienza dell’iniziazione cristiana per tanti ragazzi cresimati (o che hanno ricevuto la Prima Comunione) diventa la conclusione del cammino e dell’appartenenza alla comunità parrocchiale non è un problema strettamente catechistico ma ecclesiologico e pastorale. Citando Papa Francesco nel suo discorso al Convegno ecclesiale di Firenze (2015): «Si può dire che oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca. Le situazioni che viviamo oggi pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Questo nostro tempo richiede di vivere i problemi come sfide e non come ostacoli: il Signore è attivo

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e all’opera nel mondo», Biemmi ha invitato a fare un esercizio sul cambiamento del paradigma pastorale: bisogna saper leggere la realtà di oggi facendo la differenza tra la realtà di 60 anni fa e la realtà che ci sarà tra 40 anni. Da un cristianesimo sociologico di massa e di tradizione si passerà ad un cristianesimo di scelta per conversione e convinzione, quindi di minoranza, da una parrocchia preoccupata della sacramentalizzazione e della cura delle anime ad una parrocchia impegnata nel vivere le relazioni e nell’accompagnare i cristiani nella proposta di vita cristiana; da un’iniziazione cristiana che coinvolge solo fanciulli e ragazzi ad un’iniziazione cristiana che è rivolta a famiglie e adulti e diventa tirocinio di vita cristiana; da un catechismo della dottrina cristiana al primo annuncio e alla mistagogia. Oggi siamo in una fase di transizione a livello culturale, ecclesiale e pastorale dove, valorizzando l’esperienza fatta, è necessario attraverso riflessioni e sperimentazioni condivise individuare vie nuove per l’evangelizzazione e la catechesi coinvolgendo non solo i catechisti e gli operatori pastorali ma tutta la comunità parrocchiale. Pur continuando ad accompagnare i ragazzi nell’iniziazione cristiana è necessario maggior coinvolgimento e responsabilità da parte della famiglia e dei genitori e le comunità ecclesiali-parrocchiali devono ritrovare la loro vocazione e capacità di essere generative nella fede. I vescovi italiani nel documento Il volto missionario della parrocchia in un mondo che cambia già nel 2004 hanno letto la realtà pastorale ormai cambiata:

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«Non si può più dare per scontato che si sappia chi è Gesù Cristo, che si conosca il vangelo, che si abbia una qualche esperienza di Chiesa. Vale per i fanciulli, ragazzi, giovani e adulti; vale per la nostra gente e, ovviamente, per tanti immigrati, provenienti da altre culture e religioni. C’è bisogno di un rinnovato primo annuncio della fede. È compito della Chiesa in quanto tale, e ricade su ogni cristiano, discepolo e quindi testimone di Cristo; tocca in modo particolare le parrocchie. Di primo annuncio vanno innervate tutte le azioni pastorali» (n. 6).

«Il vecchio albero che cade fa più rumore della foresta che cresce», dice un proverbio africano. Nella Chiesa molti si danno da fare per


CURIA METROPOLITANA tenere in piedi il vecchio albero che cade (pastorale di conservazione della fede centrata sui ragazzi e sulla sacramentalizzazione); è necessario curare la nuova foresta che cresce (pastorale di evangelizzazione, di generazione alla fede centrato sugli adulti e sulla famiglia). Oggi nella Chiesa italiana e in alcune diocesi in particolare ci si sta impegnando nel tentare vie nuove di sperimentazione. Ci vogliono certamente persone (vescovi, presbiteri, diaconi, religiosi/e, laici/laiche) che nella comunione e nella corresponsabilità si impegnano e investono le energie migliori per la grande foresta di piccoli alberi che deve ancora crescere. Questa foresta che cresce e richiede fatica, pazienza, tempo, rinnovamento nella riflessione e nella prassi, può essere il futuro prossimo che Dio prepara alla nostra Chiesa tra realtà e sogno se siamo disponibili all’azione dello Spirito Santo e capaci di tradurre in passi concreti ciò che poco per volta si cerca di comprendere. I catechisti che hanno partecipato sono stati ben provocati nel saper leggere la realtà di oggi con le sue sfide e debolezze ma anche incoraggiati a vivere con più impegno e motivazioni il loro servizio educativo. La stessa relazione è stata tenuta da fratel Biemmi nell’incontro con i presbiteri tenuto il 9 ottobre mattina presso la Casa del clero. sac. Antonio Serio vice direttore dell’UCD

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Fratel Enzo Biemmi

L’iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi. Sfida difficile ma appassionante

1. L’iniziazione cristiana è malata?

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C’è una constatazione ormai evidente per tutti: l’iniziazione cristiana nelle nostre parrocchie si risolve ovunque in Italia con la conclusione dell’appartenenza alla comunità cristiana e alle sue pratiche, almeno per 3 su 4 dei nostri ragazzi. Il quarto o la quarta che resta sono quelli che agganciamo con una intelligente proposta per gli adolescenti, spesso coinvolti come animatori dei ragazzi più piccoli o come aiuto dei catechisti. Questa per noi non è certamente una bella notizia, e ci chiediamo da tempo: dove sta infatti il problema? A lungo e non senza ingenuità abbiamo attribuito la responsabilità di questo “fallimento” alla catechesi. Una catechesi troppo scolastica, vecchia nei suoi metodi, produrrebbe nei ragazzi un effetto di noia e di saturazione, comunque trasmetterebbe un senso di irrilevanza della fede rispetto al desiderio di vita dei nostri ragazzi. È così che le parrocchie italiane, a partire dal Documento Base della catechesi del 1970 e in modo progressivo fino ai nostri giorni, hanno investito le proprie energie nel rinnovamento della catechesi in chiave antropologica ed esperienziale, e ne hanno anche rinnovato significativamente il contenuto arricchendolo con la linfa biblica e liturgica. Contenuti e metodi si sono rigenerati. All’apparenza il risultato non è cambiato, anzi, “l’effetto frana” del dopocresima non ha fatto che ampliarsi. È questo il motivo di un progressivo scoraggiamento, di una certa depressione catechistica che continuiamo a trascinarci, ma anche del fatto che con altrettanta ingenuità qualcuno ha attribuito questo “fallimento” proprio al rinnovamento antropologico della catechesi, che avrebbe così svuotato l’annuncio del suo contenuto dottrinale. La soluzione sarebbe quindi di tornare alla vecchia catechesi, che trova nel catechismo di Pio X il suo modello e nel Catechismo della Chiesa Cattolica con il suo Compendio il riferimento dogmatico.


CURIA METROPOLITANA Ma la realtà non si serve passando da una lettura ingenua all’altra. Il problema non sta prevalentemente nella catechesi (che pure ha il suo peso specifico), ma in un modello pastorale nato per un mondo che non esiste più. Possiamo ridirlo così: il male dell’iniziazione cristiana non è un mal di testa che si cura con l’aspirina. È un mal di testa (o di pancia) che ha origini più profonde, una disfunzione che riguarda l’intero corpo ecclesiale. Non è un problema catechistico ma ecclesiologico. È sul corpo nel suo insieme che occorre intervenire. La domanda vera è: la comunità ecclesiale è un corpo in grado di generare? Ritorneremo su questo punto.

2. Un esercizio di disincanto salutare: il cambio di paradigma pastorale Comprendere la crisi del modello di iniziazione cristiana, senza prendersela con la catechesi, significa prendere atto della fine di una cultura di cristianità e della necessità di un cambio di paradigma pastorale: pastorale, non solamente catechistico. Una frase di papa Francesco è illuminante: «Oggi non viviamo un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento di epoca»1. Se non è un’epoca che chiede qualche cambiamento (come abbiamo pensato), ma il cambiamento di un’epoca, è chiaro che “la forma” di presenza che la Chiesa ha assunto nell’epoca che non c’è più rende inefficaci “le forme” pastorali con cui essa ha onorato il suo compito di comunicazione della fede. È per questo che l’esercizio di sano disincanto di seguito proposto ci può fare del bene. Se prendiamo come spartiacque simbolico il Concilio Vaticano II, 1 «Si può dire che oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca. Le situazioni che viviamo oggi pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Questo nostro tempo richiede di vivere i problemi come sfide e non come ostacoli: il Signore è attivo e all’opera nel mondo. Voi, dunque, uscite per le strade e andate ai crocicchi: tutti quelli che troverete, chiamateli, nessuno escluso (cfr Mt 22,9)» (Incontro con i rappresentanti del V Convegno nazionale della Chiesa Italiana, Discorso del Santo Padre, Cattedrale di Santa Maria del Fiore, Firenze, 10 novembre 2015).

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possiamo provare a delineare come eravamo prima del 1960, come saremo nel 2060 e come siamo oggi. Si tratta di un esercizio che non richiede tanta profezia, ma semplicemente di aprire gli occhi.

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A. Come eravamo prima del 1960? Eravamo in un contesto di cristianesimo e di fede che possiamo definire “sociologico”. Si era cristiani semplicemente perché si era italiani. Venivamo fatti cristiani da bambini, per osmosi con il nostro ambiente familiare e sociale. Assimilavamo la fede con il latte della mamma. Era una forma di “catecumenato sociologico”, secondo la felice espressione di Joseph Colomb. La parrocchia e la sua pastorale erano di “conservazione”: la “cura delle anime”. La proposta pastorale era in funzione di nutrire e sostenere la fede di persone già sociologicamente credenti. Al centro della pastorale di questa parrocchia prendeva forma quella che oggi chiamiamo ‘iniziazione cristiana’. Questa forma di iniziazione, rispetto al modello catecumenale dei primi secoli, era molto semplificata: era rivolta ai bambini e aveva come finalità non tanto di iniziarli alla vita cristiana (a questo pensava la famiglia e il contesto culturale) ma di prepararli a ricevere bene i sacramenti che mancavano loro: la prima confessione, la prima comunione e la cresima. Questo compito era delegato agli addetti ai lavori: i catechisti, o meglio nella maggior parte dei casi le catechiste. Appare evidente che questo dispositivo di iniziazione cristiana era doppiamente semplificato rispetto al catecumenato antico: rivolto ai bambini e non più agli adulti; finalizzato a prepararli a ricevere i sacramenti e non a farli diventare cristiani attraverso i sacramenti. In questo modello di iniziazione semplificato la catechesi era un’attività a sua volta molto semplice: il “catechismo”. Un’ora settimanale di scuola, con una maestra, un libro, una classe, un metodo (domanda e risposta) e l’obbligo di frequenza: il catechismo della dottrina cristiana. L’espressione “andare a dottrina” voleva dire andare al catechismo. Non possiamo non rimanere ammirati di fronte a questo quadro: era un modello di presenza nel mondo che la Chiesa aveva elaborato con semplicità ed efficacia e questo modello ha permesso a moltissime generazioni di uomini e donne dei nostri paesi occidentali di vivere la fede.


CURIA METROPOLITANA B. Come saremo dopo il 2060? Anche questo esercizio è abbastanza facile. Avremo un cristianesimo prevalentemente “per scelta”, di conseguenza un cristianesimo di minoranza. Si giungerà alla fede per conversione e per convinzione. Al centro della cultura attuale occidentale, infatti, non c’è più la fede, ma la libertà religiosa. Ritorneremo dunque a vivere una situazione simile a quella dei cristiani dei primi secoli. Tertulliano diceva: “Non si nasce cristiani, si diventa”. Dal quinto secolo in poi, con la cristianizzazione dell’impero romano (Costantino, Teodosio) la situazione si è capovolta: “Si nasce cristiani e non si può non esserlo”. Siamo ora in una situazione diversa: “Non si nasce più cristiani, si può diventarlo, ma non è più sentito come necessario per vivere umanamente bene la propria vita”. La fede è ora una possibilità tra tante per affrontare l’avventura umana, personale e sociale. La Chiesa non ha più l’esclusiva del senso. Come saranno le nostre comunità cristiane? Saranno piccole comunità, fondate più sulle relazioni che sulle strutture e l’organizzazione. La pastorale sarà di proposta, non di conservazione. In ambito francofono si parla di “engendrement” (generatività) e non più di “encadrement” (inquadramento). In queste comunità verrà messo in atto per chi lo chiede un processo di iniziazione cristiana destinato agli adulti e a tutta la famiglia (i figli con i loro genitori). Questo processo avrà la forma di un tirocinio: un’immersione nella vita comunitaria, scandito dalle tappe sacramentali, accompagnato da tutor come avveniva nei primi secoli. Questo accompagnamento non potrà più essere delegato alla sola persona del catechista. Sarà la comunità nel suo insieme il grembo generativo della fede. E come sarà la catechesi dentro questo processo di iniziazione alla vita cristiana? Sarà una catechesi che avrà le caratteristiche del primo annuncio e della mistagogia, dell’annuncio del kerigma e dell’approfondimento progressivo del dono della fede a cui si è aderito.

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C. Come siamo ora, nel 2018? Siamo in una situazione di cristianesimo e di fede che possiamo definire “mista”. Abbiamo ancora la permanenza in alcune persone di abitudini religiose e della richiesta di gesti e riti cristiani (battesimi, prime comunioni, cresime). I matrimoni in Chiesa sono già ormai fortemente minoritari. In questa situazione di mezzo c’è già la compresenza di due gruppi: alcuni/pochi. Un numero ancora relativamente alto si dice anagraficamente cattolico e compie alcuni gesti religiosi (60% in Italia secondo le ultime indagini), altri (pochi) sono passati o stanno passando a una fede più personale e consapevole. È un cristianesimo con un piede nella cristianità e con l’altro nella postmodernità. – La parrocchia e la sua pastorale vivono di conseguenza una situazione di “transizione”. Si può anche usare la parola “smaltimento”, parola forte, ma che esprime bene quello che sta accadendo. Tutto l’impegno pastorale che stiamo mettendo in atto è proprio quello di prendere per mano le persone che vengono dal cristianesimo di tradizione e di accompagnarle verso una situazione nuova: da una fede di convenzione a una fede di convinzione. Le proposte pastorali, le omelie, le iniziative parrocchiali hanno tutte questa finalità. In questo lavoro avvengono delle inevitabili perdite: avviene cioè lo ‘smaltimento’ progressivo di chi è cattolico solo per anagrafe. Ma ci sono ancora vescovi, parroci e catechisti che moltiplicano i loro sforzi pastorali per riportare le cose come erano prima del 1960. Si tratta, in questo caso, di una generosità pastorale mal orientata, che può condurre solo alla delusione e alla frustrazione. Il mondo che abbiamo alle spalle non ci sarà mai più. – Che tipo di iniziazione cristiana stiamo mettendo in atto? Nella Chiesa italiana da circa 20 anni abbiamo avviato in alcune diocesi un vero rinnovamento del processo tradizionale di iniziazione cristiana, basto sul ricupero dell’ispirazione catecumenale, di cui parleremo. Quello che riusciamo a fare per ora è di proporre una socializzazione religiosa dei ragazzi associando alcuni del loro genitori (pochi), quelli cioè che accettano liberamente di rimettersi in cammino. Va notato che si tratta già di un passo in avanti importante: passiamo da un’iniziazione cristiana intesa come semplice preparazione ai sacramenti, a una iniziazione che fa incontrare i ragazzi con la comunità cristiana (li socializza alla vita della Chiesa) e riavvicina


CURIA METROPOLITANA alcuni genitori, molti dei quali avevano da tempo perso ogni contatto con la Chiesa. – E la catechesi? La catechesi sta diventando nella maggior parte dei casi un “secondo annuncio” per gli adulti: un annuncio cioè per persone già cristiane che fa loro riscoprire la fede come una questione che riguarda la loro vita (per la vita cristiana) e che quindi risuona in loro come un secondo annuncio. Ma per molti bambini è già tempo di un primo annuncio in senso stretto. Per completare questo quadro diamo un nome al contesto culturale di queste tre date indicative (1960; 2060, 2018): la prima forma di cristianesimo si colloca dentro un contesto di monocultura, la terza in un contesto di biodiversità culturale, la seconda in un contesto di rimpasto culturale. Per ‘rimpasto culturale” intendiamo un periodo di disequilibrio del contesto precedente, di mescolanza di culture, di faticosa ricerca di equilibri nuovi. 1960: Monocultura

2018: Rimpasto

Cristianesimo/  Sociologico - per tradizione Fede

Misto - gesti religiosi - alcuni/pochi

Conservazione - cura animarum - di persone già cristiane

Transizione - da una fede di tradizione ad una fede più consapevole

Preparazione - dei bambini - ai sacramenti - ad opera dei catechisti

Socializzazione relig. - dei ragazzi - attraverso i sacram. - associando alcuni genitori Catechesi - per la vita cristiana - secondo annuncio

- tutti

Parrocchia/ Pastorale

Iniziazione cristiana

Catechesi

Catechismo - della dottrina

2060: Biodiversità 

Di scelta - per conversione - per convinzione - pochi

Proposta - conversione - comunità/relazioni

Tirocinio - per adulti/famiglia - alla vita cristiana - ad opera della comunità

 

Primo annuncio Mistagogia

Non ha molta importanza se questo esercizio, soprattutto nella sua parte di previsione del futuro immediato, è suscettibile di interpretazioni diverse. È un esercizio utile in se stesso, che ci aiuta ad aprire gli occhi e a uscire dalle nostre rappresentazioni ingenue.

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È un cambiamento di epoca e siamo a metà del guado. Per utilizzare un termine dell’esperienza del parto possiamo dire che “si sono rotte le acque”. La scelta di questa espressione, però, è già una valutazione: interpreta il disequilibrio attuale come un processo che non conduce alla morte ma verso una vita nuova. Non è la fine del mondo, quindi, ma di un certo mondo; non è la fine del cristianesimo ma di un certo cristianesimo; non è la fine della fede ma di una certa figura di fede. Dentro questo modo di interpretare il cambio d’epoca in corso, il cristianesimo che ci sta davanti non appare peggiore di quello che ci sta alle spalle. Come si fa a rimpiangere un cristianesimo dell’obbligo e dell’abitudine e non gioire per un cristianesimo della grazia e della libertà? L’esercizio di “disincanto” appena fatto non porta al pessimismo e tanto meno alla depressione. Diventa invece uno stimolo al “reincanto” e alla passione pastorale. È preziosa, a questo proposito, una parola di Evangelii gaudium: «Il contesto dell’impero romano non era favorevole all’annuncio del vangelo, né alla lotta per la giustizia, né alla difesa della dignità umana. […]. Dunque, non diciamo che oggi è più difficile; è diverso. Impariamo piuttosto dai santi che ci hanno preceduto ed hanno affrontato le difficoltà proprie della loro epoca» (EG 263).

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Oggi non è più difficile, è semplicemente diverso. È in questo quadro “diverso” che deve trovare il suo senso e la via del suo rinnovamento l’iniziazione cristiana nelle nostre parrocchie e, all’interno di essa, la catechesi. Concludo con la frase di un parroco: «Noi continuiamo a dare i sacramenti a tutti e il vangelo a qualcuno. Siamo invece chiamati a dare il vangelo a tutti e i sacramenti a qualcuno».

3. Per una iniziazione “ispirata” Possiamo dire a che punto siamo in Italia? Da una ventina di anni la Chiesa italiana ha investito molto nel rinnovamento dell’iniziazione cristiana. È probabilmente la Chiesa europea che si è maggiormente impegnata in questo campo. Alcune diocesi hanno fatto


CURIA METROPOLITANA da apripista, con molto coraggio. Altre più recentemente hanno tratto profitto da questo impegno e si sono ispirate a modelli di rinnovamento che avevano già qualche anno di sperimentazione. Altre comunità stanno ancora alla finestra, desiderose di partire ma esitanti, in cerca di orientamenti e indicazioni di percorso sufficientemente sicure. Altre, infine, dobbiamo riconoscerlo, si limitano a ripetere stancamente quello che si è sempre fatto. Il lavoro di questi anni si è svolto tra momenti di entusiasmo e di scoraggiamento, convinzioni forti e dubbi che hanno fatto spesso capolino, costanza per i tempi lunghi ma anche ripensamenti, frenate e retromarce. Il tutto ha comportato un impegno notevole nella riqualificazione dei catechisti e dei parroci implicati. Che ne è di tutto questo lavoro? Da questo percorso non privo di ostacoli e tutt’altro che concluso abbiamo saputo imparare, riflettendo, condividendo, aggiustando il tiro quando è stato necessario. La prima consapevolezza è stata la rinuncia a pensare che il rinnovamento dell’IC sia prima di tutto una questione di cambiamento delle strategie o dei modelli di catechesi. Neppure il modello catecumenale, che ha ricuperato formalmente e materialmente il processo iniziatico dei primi secoli della Chiesa sulla spinta del RICA (da cui le tre note CEI sull’IC2), è in grado da solo di rinnovare l’iniziazione cristiana. Rischia infatti di essere il vino nuovo in otri vecchi. L’otre vecchio è la comunità, o meglio la “non comunità ecclesiale”, la mancanza di un grembo comunitario generativo. I differenti modelli adottati sono sterili o fecondi (la fecondità secondo Dio e secondo i suoi tempi, naturalmente) a seconda di questa condizione: che ci sia un tessuto ecclesiale generativo, una comunità appassionata della vita che desideri “fare figli”. Si genera là dove c’è un grembo e c’è un grembo là dove c’è desiderio. Al punto di arrivare a dire che se c’è una comunità desiderante, anche i modelli molto tradizionali possono essere efficaci. 2

CONSIGLIO EPISCOPALE PERMANENTE CEI, L’iniziazione cristiana. 1. Orientamenti per il catecumenato degli adulti, 30 marzo 1997. 2. Orientamenti per l’iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi dai 7 ai 14 anni, 23 maggio 1999. 3. Orientamenti per il risveglio della fede e il completamento dell’iniziazione cristiana in età adulta, 8 giugno 2003.

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Il risultato di questo cammino generoso e delle convinzioni maturate a prezzo di impegno e passione pastorale è confluito negli Orientamenti CEI Incontriamo Gesù (2014). E si è coagulato attorno a un’espressione che costituisce per il momento il nostro orizzonte di riferimento: ispirazione catecumenale. Abbiamo imparato ad operare una distinzione tra la ripresa formale del modello catecumenale (che prevede tra l’altro il riordino dei sacramenti) e l’ispirazione che lo connota e che è in grado di generare e pervadere altri modelli culturalmente situati. Cogliere l’ispirazione del modello catecumenale significa questo: distinguere ciò che non è abbandonabile per salvare l’essenziale e saper abbandonare ciò che non è essenziale per salvaguardare il tutto. E cos’è questo “non abbandonabile” a cui diamo il nome di “ispirazione catecumenale”? Lo possiamo così riassumere: è iniziazione cristiana l’atto generativo di una comunità che tramite un bagno di vita ecclesiale propone con gioia un tirocinio, un apprendistato alla vita cristiana attraverso le tappe sacramentali, per persone che non hanno più o quasi più o non ancora un’esperienza concreta di vita cristiana, cioè di relazione con il Signore Gesù all’interno della comunità dei suoi discepoli. Un bagno di vita ecclesiale, nel quale ha un ruolo importante ma limitato il momento specifico della catechesi.

4. Tanta fatica e quali risultati?

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Siamo in grado di valutare quanto sia esteso questo movimento di rinnovamento nelle parrocchie italiane? Possiamo dire che la situazione è variegata. La maggioranza delle parrocchie italiane procede con il sistema ordinario, ma l’esigenza di cambiamento sta crescendo sempre di più. Con quali risultati? Se guardiamo a quanto sta avvenendo nelle comunità che hanno provato con fatica a rinnovare il modello di iniziazione cristiana secondo la linea di ispirazione catecumenale si può rimanere delusi. Viene da dire: la montagna ha partorito il topolino. Eppure questa è solo una lettura superficiale dei dati emersi. Una lettura più pacata rileva altro. Per andare un po’ più in profondità nella valutazione proviamo a guardare cosa ci restituiscono le verifiche fatte dopo alcuni anni di sperimentazioni riguardo ai tre soggetti implicati: i ragazzi, i genitori, le comunità ecclesiali implicate.


CURIA METROPOLITANA I ragazzi Un dato emerso con una certa crudezza dalle verifiche di alcune diocesi è che il rinnovamento messo in atto non ha cambiato all’apparenza le cose per quanto riguarda i primi destinatari, i ragazzi. La continuità di appartenenza e di pratica sembra essere simile a prima del rinnovamento dell’IC, se non addirittura inferiore, non essendoci più la cresima a trattenere i ragazzi fino alla III media. Risulta ad esempio che i ragazzi, terminato il percorso, disertano l’eucaristia domenicale come avveniva con il modello precedente, mentre manifestano una certa disponibilità a partecipare alle altre attività parrocchiali o di oratorio nei contesti in cui c’è un buon tessuto relazionale e una buona proposta di animazione. Nulla di nuovo sotto la luce del sole, si potrebbe dire. La reazione immediata e comprensibile è di delusione: occorreva fare tutto questo lavoro per non ottenere nessun risultato? Non possiamo però avere la controprova di come sarebbe ora la situazione se queste diocesi non avessero cambiato niente. Forse, visto il contesto culturale e familiare in atto, le cose sarebbero ancora “peggiori”. Ma al di là di questa considerazione non verificabile, la lettura va fatta diversamente. Che tre su quattro ragazzi se ne vadano dopo la conclusione dell’IC è in fondo un dato fisiologico. Sono allontanamenti naturali, in qualche modo necessari per una interiorizzazione e personalizzazione di quanto si è ricevuto per tradizione. Qualcuno “se ne va” restando, altri se ne vanno andando via. Prendono le distanze. Le domande giuste da farsi sono le seguenti: “Come se ne vanno? Da che cosa? Con quale messaggio rispetto alla fede e alla comunità?”. “Come se ne andavano prima e come se ne vanno ora?”. Una cosa è certa: a differenza delle precedenti generazioni, questi ragazzi hanno visto alcuni adulti (i loro genitori e quelli dei loro coetanei) parlare della fede, trovarsi attorno alla Parola di Dio, condividere la loro esperienza dentro la comunità ecclesiale, partecipare con loro all’eucaristia. Possiamo sperare che questo abbia perlomeno l’effetto di farli uscire da un metamessaggio che essi coglievano chiaramente: la fede è una cosa utile fin che si è bambini. Se si vuole

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diventare grandi, occorrerà lasciarla perdere, come i loro genitori3. Ma ci sono altri messaggi importanti, prima di tutto la figura di fede che è stata trasmessa. In prospettiva missionaria e di primo/secondo annuncio si tratta del kerigma, così come è definito da papa Francesco al n. 164 di EG: «Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti». È questa la figura di fede che si portano via? Noi siamo delusi perché tre su quattro se ne vanno e ci rallegriamo per il quarto che resta. Ma la domanda vera dovrebbe essere: con cosa se ne vanno e con cosa resta? Se si allontano con il messaggio del kerigma nel cuore e l’esperienza di una comunità accogliente, questo costituisce il patrimonio perché ritornino, se la grazia di Dio e la loro libertà lo permetteranno. Se invece hanno dentro una visione di fede ridotta a morale e l’immagine di una comunità disinteressata, fondamentalmente rituale e poco interessante per il loro bisogno di vita, sarà difficile che tornino. Analogo è il discorso per chi resta. Non c’è molto da rallegrarsi se restano, ad esempio, come sono restati gli attuali giovani venti-trentenni del Triveneto: essi affermano che il cristianesimo che hanno recepito è un pacchetto di norme e di divieti stabiliti da Dio e imposti dalla Chiesa, cioè l’esatto contrario del primo annuncio4. E allora che l’IC termini in quinta elementare o in terza media, non fa grande differenza. La considerazione decisiva sugli effetti del rinnovamento per i ragazzi non è quindi quantitativa, ma qualitativa, e questo non può essere verificato nell’immediato. Il dato all’apparenza negativo va preso come un invito a stare attenti a ciò che è decisivo. 446

I genitori I dati sui genitori sono più confortanti, ma presentano un’ambivalenza significativa, così riassumibile: il percorso rinnovato di IC 3

Si veda a questo proposito l’interessante indagine “Sentieri interrotti” curata dall’Osservatorio socioreligioso del Triveneto e coordinata dal prof. Alessandro Castegnaro: A. CASTEGNARO, La questione dell’iniziazione nell’età evolutiva all’interno di un contesto pluralistico, relazione tenuta alla XXVI settimana di studio della Associazione Professori e Cultori di Liturgia, Seiano di Vico Equense (Na), 31/08 - 5/09/1997. 4 Si veda, fra tutte, l’indagine A. CASTEGNARO con A. DAL PIAZ e E. BIEMMI, Fuori dal recinto. Giovani, fede, chiesa: uno sguardo diverso, Ancora, Milano 2013.


CURIA METROPOLITANA non contribuisce a riavvicinare persone lontane, mentre rappacifica con la comunità e riapre un certo cammino di fede per i genitori già in qualche modo più vicini. Più che di conversione, quindi, parliamo di ricominciamento per un numero non trascurabile di genitori. L’effetto per alcuni di loro è di un secondo primo annuncio. Questo è un dato che ha due risvolti: a) Se il rinnovamento dell’IC ha riavvicinato alla fede e rappacificato con la comunità alcuni genitori, questo è molto più significativo del primo dato, quello sui ragazzi (il quale comunque non va sottovalutato). Infatti l’ispirazione catecumenale tende a spostare l’asse verso gli adulti, perché questa è la condizione per un futuro della fede dei bambini, se non vogliamo che si perpetui il puerocentrismo ecclesiale. La quantità anche qui conta poco, perché la fede e il suo ricominciamento non sono calcolabili in termini cronologici dalle nostre programmazioni: sono il mistero della grazia di Dio e della libertà umana. Alla comunità cristiana tocca “creare le condizioni” e togliere gli ostacoli perché accada quello che non è nelle sue mani. b) Il secondo dato è altrettanto istruttivo. Non si sono avvicinati i genitori più lontani. Come leggere questo? Semplicemente prendendo atto che l’IC non può da sola farsi carico di tutto il compito missionario della pastorale. “Da sola” si riferisce a una IC messa in atto dentro una parrocchia la cui logica pastorale continua ad essere quella di conservazione dei già vicini. Per molti adulti, in particolare per chi si è marcatamente allontanato o è in questa fase della vita del tutto disinteressato alla fede, gli appuntamenti per un possibile kerigma riguardano tutti i passaggi della loro vita, di cui uno è l’esperienza genitoriale, ma altri decisivi sono l’esperienza dell’amore, del fallimento di un matrimonio, della perdita di lavoro, della malattia, di un lutto, della propria fragilità, del proprio morire. Si tratta in sostanza di quelle soglie della fede che il convegno ecclesiale di Verona del 2006 aveva indicato come sfida pastorale. I dati sui genitori sono doppiamente significativi: per quello che riscontrano come risultato incoraggiante, per lo stimolo che essi implicitamente contengono ad allargare a tutta la pastorale la prospettiva missionaria propria del modello catecumenale.

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La comunità Il terzo soggetto implicato è la comunità promotrice di questo rinnovamento. Ci riferiamo ai presbiteri, ai consigli pastorali e ai catechisti, ma indirettamente a tutta la comunità parrocchiale. Cosa è cambiato a questo livello? Non si rinnova l’IC se rinnovando un modello questo non rinnova coloro che lo propongono. Sarebbe una pura questione strategica, come se da una parte ci fosse la comunità che detiene il vangelo, dall’altra quelli che lo devono ricevere. Uno sguardo complessivo sul rinnovamento dell’IC in molte diocesi italiane mostra come il dato più confortante sia proprio questo: al di là degli effetti sui ragazzi e sui loro genitori, questo grande cantiere ha rimesso in moto la comunità ecclesiale, ha restituito fecondità a un grembo da troppo tempo sterile. Sono diverse le testimonianze di presbiteri che dicono che hanno ritrovato il gusto del loro ministero, pur con le fatiche e gli scombussolamenti richiesti. Questo è ancora più evidente per i catechisti e gli animatori che testimoniano di essere usciti dalla solitudine e di avere ripreso il gusto del loro servizio catechistico e il cammino di fede personale, grazie in particolare agli adulti con i quali e non per i quali fanno catechesi. Occorre dunque chiedersi se il rinnovamento dell’IC di questi ultimi anni ha confermato la verità della felice affermazione del n. 7 del documento sul volto missionaria delle parrocchie in un mondo che cambia: «Con l’iniziazione cristiana la Chiesa madre genera i suoi figli e rigenera se stessa»5. Come si può notare, guardando le pratiche di IC, occorre dare peso inverso ai tre soggetti implicati: prima i protagonisti dell’iniziativa (la comunità), poi gli adulti genitori, infine i ragazzi. Se i primi due soggetti sono almeno parzialmente trasformati, allora anche i ragazzi avranno davanti a sé un futuro possibile per la loro fede. 448 5. Il nocciolo della questione Il nocciolo della questione è dunque la capacità generativa delle nostre comunità ecclesiali. È quanto ci siamo sentiti dire dalla relazione di Mons. Erio Castellucci in apertura del Convegno dei Diret5

CEI, Il volto missionario delle parrocchie, n. 7.


CURIA METROPOLITANA tori UCD svoltosi ad Assisi nel mese di aprile 2018. Con un linguaggio semplice, impregnato di Scrittura, il vescovo di Modena-Nonantola ci ha ricordato l’orizzonte ecclesiologico indispensabile: il volto di una comunità feconda rispetto ad una comunità sterile. Ci ha proposto la coraggiosa metafora del parto di Paolo: «Figli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché Cristo non sia formato in voi!» (Gal 4,19) e ci ha fatto rispecchiare nelle figure bibliche di Sara e Agar. «Il passaggio fondamentale oggi – ci ha detto - mi sembra proprio questa consapevolezza “olistica”, a tutti i livelli della maternità ecclesiale. A partire dalla consapevolezza che di fatto è l’intera comunità che genera - o non genera alla fede; Sara non è, e non deve essere, solamente “la catechista”, ma tutta l’assemblea eucaristica, e specialmente l’insieme degli operatori pastorali, a partire dai presbiteri e dai diaconi, passando attraverso i consacrati, per comprendere gli animatori della liturgia, del coro e dell’oratorio, gli allenatori, le persone impegnate nella Caritas e nella San Vincenzo, i capi scout e gli educatori di Azione Cattolica e così via. O l’intera comunità si rende conto di essere grembo, oppure questo grembo sarà sterile. Un approccio “olistico” dunque comporta l’integrazione fra i diversi ingredienti dell’esperienza cristiana e tra i diversi soggetti della comunità, che sono – lo sappiano o meno – dei testimoni per tutti coloro che sono generati alla fede». Tutto il percorso fatto e le riflessioni maturate portano a una conclusione certa: la posta in gioco ultima è la capacità iniziatica della comunità cristiana. Nessun cambiamento del modello di iniziazione, compreso il ripristino dell’ordine corretto dei sacramenti, risolverà mai la questione se non c’è una comunità che accompagna nel tirocinio della fede e permette l’esperienza della fede annunciata, celebrata e vissuta. Nel postconcilio abbiamo assistito a una ipervalorizzazione della catechesi, sovraccaricandola di tutto il compito iniziatico. Man mano che veniva meno la trasmissione di fede per osmosi, cioè di un contesto di cristianesimo sociologico o civile, si è caricata la catechesi di tutto il compito di generazione alla fede, assegnando ad essa e

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mettendo sulle spalle dei catechisti una quantità di compiti che da una parte richiedono delle competenze da superuomini o superdonne, dall’altra le chiedono di fare in un’ora settimanale di insegnamento quello che può essere trasmesso soltanto in contesti significativi di vita. Compito quindi, quello affidato alla catechesi, doppiamente impossibile. Ora lo stiamo crudamente sperimentando. Abbiamo pensato che generare alla fede fosse un affare quasi esclusivo della catechesi (Sara, la comunità ecclesiale, ha affittato il grembo di Agar, la catechista, non facendo propria la promessa di Dio). Questo è stato il danno. Poi, visti gli scarsi risultati (e siamo agli anni recenti), per reazione c’è stata una svalutazione della catechesi, se non addirittura un processo alla catechesi (e questa è la beffa). La si è accusata di essere solo cognitiva, intellettuale, di trasmettere solo conoscenze, dottrine, norme morali. Prima la delega, poi la critica. L’attenzione ecclesiale si è allora spostata dalla catechesi alla pastorale (i differenti piani pastorali nazionali e diocesani): il problema non è la catechesi, si è detto, ma la pastorale in tutte le sue dimensioni. E così la catechesi (e le catechiste) sono state relegate in un angolino insignificante e lasciate sole. Ora (e siamo ad oggi) abbiamo dovuto prendere atto che neppure la pastorale nel suo insieme, per quanto rinnovata nelle strategie, è in grado di assicurare la generazione e la cura della fede. E qui torniamo all’affermazione iniziale. Evangelii gaudium ci ha aperto gli occhi: non è un problema catechistico, ci ha detto, non è neppure un problema prima di tutto pastorale: è un problema ecclesiologico. Così si era già espresso il Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione: «Il problema dell’infecondità dell’evangelizzazione oggi, della catechesi dei tempi moderni, è un problema ecclesiologico, che riguarda la capacità o meno della Chiesa di configurarsi come reale comunità, come vera fraternità, come corpo e non come macchina o azienda»6. È così che paradossalmente abbiamo fatto a ritroso il cammino che il Documento Base del 1970 ci aveva raccomandato: « Prima sono i catechisti e poi i catechismi; anzi, prima ancora, sono le comunità ecclesiali» (DB 200). Noi abbiamo cominciato con i catechismi, poi

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SINODO DEI VESCOVI, XIII ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA, La Nuova Evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana. Lineamenta, Città del Vaticano 2011, n. 2.


CURIA METROPOLITANA con i catechisti e ora siamo arrivati alla comunità. Non che prima non lo sapessimo, ma era una teoria. La catechesi (i catechisti e soprattutto le catechiste) ha fatto il suo dovere in questi anni: è passata da dottrina a catechesi per la vita cristiana in un primo momento, e poi in un secondo momento ha integrato con gioia la dimensione del primo annuncio (kerigma). Ma da sola essa non può generare, e d’altronde non lo ha mai fatto. Il rinnovamento dell’IC ad opera della sola catechesi non genera. ‘Restituire’ il compito generativo a tutte le dimensioni ecclesiali (senza naturalmente tirarsi via come catechisti) significa riattivare la generatività del corpo e di conseguenza semplificare la catechesi, restituirla alla sua specificità e permetterle di svolgere bene il suo servizio. Ecco la conversione: passare da una comunità dei fili separati alla comunità dei tessuti; da una comunità che delega alla catechesi ad una comunità che ricupera la gioia di tornare feconda. Da una comunità zitella, se pure con tante belle competenze, a una comunità nuovamente incinta. Una chiesa gioiosamente incinta. Sarà sicuramente una gravidanza difficile, dopo anni di deleghe, di “affitto del grembo”, ma ci restituirà la gioia di vivere e di dare vita, la vita che Dio vuole per tutti in abbondanza. È quanto desideriamo. Fratel Enzo Biemmi della Congregazione dei Fratelli della Sacra Famiglia 451



D OCUMENTI

E

V ITA

DELLA

C HIESA

DI

B ARI -B ITONTO

CURIA METROPOLITANA Ufficio Laicato

L’Assemblea diocesana del laicato (Bari, 30 novembre 2018)

Venerdì 30 novembre 2018, nell’aula sinodale “M. Magrassi”, presso il Seminario arcivescovile, si è tenuta la prima assemblea diocesana del laicato di questo anno pastorale 2018-2019, assemblea a cui sono invitate le Aggregazioni laicali della diocesi, le comunità parrocchiali, le Confraternite. Introducendo l’incontro il prof. Giuseppe Micunco, direttore dell’Ufficio diocesano per il Laicato, ha ripreso la traccia indicata dall’Arcivescovo nell’assemblea diocesana del 15 settembre 2018, traccia che ha proposto come punto di riferimento per tutti la prima comunità cristiana narrata negli Atti degli apostoli ‘tra realtà e sogno’. In particolare per le Aggregazioni laicali e il laicato in genere si è pensato di avere quattro incontri su quelli che Luca indica come i quattro ‘pilastri’ della vita di una comunità cristiana: «Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere» (At 2,42). La prima assemblea ha avuto dunque per tema Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli. Dopo la ricca riflessione di don Tino Lucariello, direttore dell’Ufficio Catechistico Diocesano, che ha puntualizzato l’argomento da un punto di vista teologico e biblico, è intervenuto don Tonino Trigiani del Movimento dei Focolari. Proponiamo la sua relazione.

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don Tonino Trigiani

«Tutti perseveravano…» (30 novembre 2018)

«Tutti perseveravano (o: erano assidui) nella dottrina degli Apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere» (At 2,42)

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«Non è la fotografia della vita reale della Chiesa di Gerusalemme, ma non è neanche una pura fantasia dell’autore. Luca generalizza episodi concreti avuti dalla tradizione, per rendere valida una realtà per tutti. Il comportamento idealizzato della comunità di Gerusalemme serve da modello e da dover-essere per ogni futura comunità cristiana, che voglia rispecchiarsi in essa»1. La prima realtà che richiama l’attenzione è: gli apostoli. «Tutti questi erano unanimemente assidui nella preghiera con le donne e Maria, la madre di Gesù e con i suoi fratelli» (At 1,14). La morte e resurrezione di Gesù ha fatto di loro un corpo. I Dodici (sarà subito aggiunto Mattia per sostituire Giuda il traditore) sono una sola realtà. Che parli poi Pietro o Giacomo, Giovanni, Andrea… poco importa. Così, quando appena «furono riempiti di Spirito Santo e incominciarono a parlare in altre lingue» (At 2,4), «Pietro, levandosi assieme agli Undici» (At 13-14), fece il suo primo discorso e parla a nome di tutti. È una comunità che dà la sua testimonianza per bocca di Pietro. Essi, mandati da Gesù per evangelizzare, hanno il compito di portare la Buona Nuova, ossia comunicare a tutti che abbiamo un Padre nei cieli, che ama ciascuno dei suoi figli e che tutti siamo fratelli. Pertanto gli apostoli non danno delle norme o dei principi: l’unico criterio che noi conosciamo è la confessione di Gesù Uomo-Dio: «Se con la tua bocca proclamerai che Gesù è il Signore e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo» (Rm 10,9). Il kerigma che ha dato inizio alla predicazione degli apostoli si concentra, come afferma papa Francesco nella EG, sul nucleo fondamen1

GÉRARD ROSSÉ, Atti degli Apostoli, Commento esegetico e teologico, Roma 1998, p.164.


CURIA METROPOLITANA tale del Vangelo, ossia su ciò che essenziale, vale a dire su ciò che è più bello, più grande e più attraente e allo stesso tempo più necessario (EG 35). La priorità assoluta è la predicazione della morte salvifica e della Risurrezione di Gesù Cristo (EG 110). Ossia: la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto. Ciò che esprime l’insegnamento degli apostoli viene indicato da Luca con la parola greca didaché. Il testo greco vuole sottolineare che la loro predicazione «non si limita a trasmettere l’insegnamento ricevuto da Gesù, ma include l’insieme della predicazione apostolica diventata ormai normativa per l’intera Chiesa»2, dal momento che l’autore degli Atti viene collocato dagli studiosi alla fine del I secolo, ossia negli anni 80 d.C. «Erano assidui». Luca «pone l’accento sulla perseveranza e la fedeltà [ripete il concetto subito dopo: «Ed ogni giorno perseveravano concordemente nel tempio» (At 2,46)]. Una tale insistenza è spiegata forse dalla situazione della Chiesa del suo tempo minacciata da false dottrine»3. Pertanto erano «assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli» (At 2,42). Si trattava di istruire i nuovi convertiti e spiegare loro le Scritture alla luce degli avvenimenti di Gesù. C’era una grande sete di verità, una sete di luce che desse senso alla propria vita. Cosa dice a noi questo passo degli Atti? C’è in noi questa sete di verità, questa ricerca di senso che ci dia una ragione di vita? C’è questo desiderio, sempre rinnovato, di formarci cristianamente e di formare a nostra volta quanti incontriamo, a cominciare dai nostri più vicini? La Chiesa ha dovuto sempre lottare per entrare nella società. Il messaggio di Gesù, se da una parte affascina, dall’altra scandalizza, perché mette in crisi, questiona il nostro operare, ci scomoda, non ci lascia tranquilli. Se il tempo in cui hanno vissuto i primi cristiani è stato difficile, il 2 3

Ivi, p.165. Ibidem.

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nostro non lo è da meno. L’epoca storica che stiamo vivendo è stata definita «una notte collettiva» da Giovanni Paolo II. Per Benedetto XVI ormai ci troviamo in un mondo pagano. E papa Francesco continua a ripeterci che il nostro è un cambio d’epoca. Questo significa che noi cristiani non possiamo stare tranquilli e accontentarci di quanto abbiamo ricevuto da piccoli o magari in qualche circostanza particolare della vita. Abbiamo bisogno anche noi di ascoltare assiduamente, cioè di formarci con continuità, di confrontarci ogni giorno con la Parola di Dio, luce dei nostri passi, di aggiornarci sempre sull’insegnamento che viene dal Papa, dai vescovi. Questa formazione non è solo compito di chi si prepara al sacerdozio o abbraccia la vita religiosa, è compito di ogni cristiano che vuole seguire Gesù.

Evangelizzarci per evangelizzare Nella EG papa Francesco ci parla della evangelizzazione. Non è la prima volta che viene proposto l’urgenza per noi cristiani di evangelizzare quanti ancora non hanno incontrato Gesù. Basti ricordare la Evangelii nuntiandi di Paolo VI che, subito dopo il Vaticano II, sollecitava tutti ad una presa di coscienza del proprio Battesimo e all’annuncio e testimonianza della propria fede. Giovanni Paolo II coniò addirittura l’espressione Nuova Evangelizzazione, sottolineando la stessa realtà. Papa Francesco non è da meno nel richiamare i cristiani a questa seria responsabilità di fare dono agli altri di quanto anch’essi gratuitamente hanno ricevuto. E collega kerigma con catechesi. 456

«Abbiamo riscoperto che anche nella catechesi ha un ruolo fondamentale il primo annuncio o kerigma, che deve occupare il centro dell’attività evangelizzatrice e di ogni intento di rinnovamento ecclesiale. Il kerigma è trinitario. È il fuoco dello Spirito che si dona sotto forma di lingue e ci fa credere in Gesù Cristo, che con la sua morte e resurrezione, ci rivela e ci comunica l’infinita misericordia del Padre. Sulla bocca del catechista torna sempre a risuonare il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, rinforzarti, per liberarti”.


CURIA METROPOLITANA Quando diciamo che questo annuncio è “il primo”, ciò non significa che sta all’inizio e poi si dimentica o si sostituisce con altri contenuti che lo superano. È il primo in senso qualitativo, perché è l’annuncio principale, quello che si deve sempre tornare ad ascoltare in modi diversi e che si deve sempre tornare ad annunciare durante una catechesi in una forma o nell’altra in tutte le sue tappe e i suoi momenti» (EG 164). «Non si deve pensare che nella catechesi il kerigma venga abbandonato a favore di una formazione che si presupporrebbe essere più ‘solida’. Non c’è nulla di più solido, di più profondo, di più sicuro, di più consistente e di più saggio di tale annuncio» (EG 165).

Ma, si chiede il papa, quali sono quelle caratteristiche che oggi sono necessarie per l’annuncio in ogni luogo, ovunque siamo chiamati a testimoniare?

• Che esprima l’amore salvifico di Dio, previo all’obbligazione morale e religiosa Dio ci ama. Dio mi ama. Ma ci credo? Credo che Dio-Padre ama tutti e ciascuno dei suoi figli e fa splendere il sole sui buoni e sui cattivi? Rinnovo continuamente questa fede nel suo amore? Papa Francesco è in perfetta sintonia e continuità con Benedetto XVI, il quale nella DCE 1 afferma: «La scelta fondamentale della sua vita il cristiano la può esprimere così: Abbiamo creduto all’amore di Dio. All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva». Vale a dire: come fa una persona a vivere una vita moralmente buona, se ancora non si è incontrato con Gesù, non ha ancora fatto l’esperienza dell’amore di Dio? Mi si potrebbe chiedere: E cosa si fa perché una persona possa incontrarsi con Gesù? La risposta ce la dà Papa Francesco che, tra l’altro, riprende l’espressione da Papa

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Paolo VI: «Anche in questa epoca la gente preferisce ascoltare i testimoni: ha sete di autenticità […] reclama evangelizzatori che gli parlino di un Dio, che essi conoscano e che sia a loro familiare, come se vedessero l’invisibile» (EG 150, cit. EN 76).

• Che non imponga la verità [la verità si dona, si offre, ma non la si impone]

• Che faccia appello alla libertà [rispetto profondo che Dio ha nei nostri confronti. Egli che ci ha creato senza il nostro consenso, vuole essere amato nella libertà, col nostro consenso]

• Che possieda qualche nota di gioia, stimolo, vitalità ed un’armoniosa completezza [come batte il Papa sulla gioia di Gesù, da farne il leit-motiv del suo insegnamento: cfr EG, AL, GE]

• Che non riduca la predicazione a poche dottrine, a volte più filosofiche che evangeliche

• Le disposizioni di chi annuncia [devono essere]: «vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale che non condanna» (EG 165). L’insegnamento degli Apostoli è donato nella comunione, «erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli nell’unione fraterna, in greco koinonia, parola che può significare l’unione fraterna, l’essere un cuor solo e un’anima sola dei credenti, ma anche 458

• la sua manifestazione concreta in particolare nella comunione dei beni fra i membri, • così come nella preghiera fatta insieme, nella partecipazione all’Eucaristia, negli incontri quotidiani»4.

4

Ivi, p. 66.


CURIA METROPOLITANA L’unione fraterna. L’amore reciproco È sintomatico ricordare che Gesù, prima di istituire l’Eucaristia, cioè prima di spezzare il pane, ha dato un preciso comandamento ai suoi discepoli, che ha chiamato “suo” e “nuovo”: amatevi scambievolmente come io vi ho amati. Quindi l’amore scambievole viene prima dell’Eucaristia e segue dopo l’Eucaristia. La carità fraterna è l’ambiente, il clima, la realtà che dava conforto ai primi cristiani. I quali, quando avevano delle difficoltà, correvano ad incontrare gli altri membri della comunità per avere la forza di affrontare le inevitabili crisi della vita, ma anche dava loro il coraggio di affrontare la morte, pur di non tradire Gesù. Ed era così forte questo loro rapporto da far dire ad uno scrittore: “Guarda come si amano”. La forza e la vitalità della Chiesa era in questo “Guardate come si amano” (Tertulliano, Apolog. 39). Abbiamo la coscienza che il nostro essere comunità, Chiesa viva, poggia su questo unico e suo e nuovo comandamento di Gesù, l’amore reciproco? Chiara Lubich, in una sua meditazione, fa notare come gli apostoli hanno ricevuto l’Eucaristia da Gesù nell’ultima Cena, ma poi si sono rivelati timidi, dubbiosi, increduli. Chi ha dato loro la forza e l’ardore di comunicare al mondo intero il messaggio di Gesù? Lo Spirito Santo. È Lui – dice il Vaticano II – che santifica continuamente la Chiesa e fa sì che i credenti abbiano accesso al Padre attraverso il Cristo in un solo Spirito (cfr Ef 2,18). È Lui che dà la vita, ed è per Lui che il Padre ridà la vita agli uomini morti per il peccato. Lo Spirito dimora nella Chiesa e nei cuori dei fedeli come in un tempio e rende testimonianza della nostra adozione filiale. Egli guida la Chiesa verso la verità tutta intera, la unifica nella comunione e nel servizio, la provvede di doni gerarchici e carismatici. Così – conclude la LG 4 – la Chiesa universale si presenta come «un popolo adunato dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito santo» (cit. da san Cipriano). E noi crediamo in questa Chiesa, che abbraccia tutti gli uomini, per i quali Gesù ha dato la Vita? Ci sentiamo veramente Chiesa o una

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parte distaccata di serie b? Sentiamo la Chiesa come nostra madre? Quella madre che ci genera, ma che a sua volta viene generata anch’essa dalla nostra vita, dalla nostra testimonianza? È per noi l’Eucaristia, fatta con le dovute condizioni, fonte di vita nuova e presa di coscienza che siamo chiesa, membra di essa, espressione di essa che quindi tutti gli uomini ci appartengono? Se abbiamo questa coscienza, non possiamo restare indifferenti al monito di Papa Francesco quando chiede a chi annuncia, a chi testimonia, a chi fa catechesi di ogni tipo, «disposizioni quali la vicinanza, l’apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale che non condanna» (EG 165). Ma anche se non facciamo catechesi, anche se il lavoro, la salute o altri motivi seri non ce lo permettono, siamo sempre chiamati come cristiani a testimoniare con la nostra vita, col nostro essere ed agire l’annuncio della morte e della resurrezione di Gesù, ossia che Dio mi ama, Dio ci ama, Dio ama ogni uomo in modo unico ed esclusivo. Non sempre avremo l’apertura al dialogo, non sempre magari saremo pazienti con chi non condivide le nostre opinioni (che crediamo giuste): non importa. Ricominceremo daccapo, fidandoci più dell’amore di Dio che delle nostre forze o capacità. Ma niente e nessuno può esimerci dal dare ragione della nostra vita a quanti la cercano. Siamo chiamati in prima linea. Se la Chiesa è madre, anch’io, come figlio della Chiesa, devo essere madre per ogni prossimo che incontro. Se la Chiesa perdona, anch’io sono chiamato a perdonare me stesso e gli altri. Se nella Chiesa avvengono degli scandali, li soffro anch’io e prego per quelle persone, che siano vittime o persecutori. Non solo vivere i momenti belli di essa, ma anche quelli dolorosi, perché si tratta della mia famiglia. E, cosa altrettanto importante, comunicare a quanti condividono la nostra stessa vita cristiana, le esperienze positive o negative che viviamo. La koinonia degli Atti sta a significare proprio questo: fare dono, fare comunione di quanto abbiamo vissuto alla luce della Parola di Dio. Chissà quante volte gli apostoli avranno raccontato il loro incontro con Gesù, se Giovanni ricorda con esattezza l’ora e il giorno in cui, assieme ad Andrea, hanno seguito per la prima volta il Maestro; e Pietro racconta la sua esperienza di tradimento e di perdono da parte di Gesù: quello sguardo d’amore e di misericordia se lo sarà


CURIA METROPOLITANA portato per tutta la vita. E quella volta, sul lago di Tiberiade: «Pietro, mi ami più di costoro?». Che impressioni, che sensazioni, che momenti di luce e di timor di Dio. E Filippo con quella precisazione di Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e non avete conosciuto il Padre? Filippo, chi vede me, vede il Padre!». E Tommaso con la sua incredulità, che al tocco delle piaghe di Gesù, trasforma immediatamente in un atto di fede che ancora oggi, tante persone, soprattutto le anziane ripetono al momento della consacrazione: Signor mio e Dio mio! Noi non siamo da meno. Che bello ed edificante sarebbe raccontarci come è stato il nostro incontro con Gesù, quell’incontro che o subito o nel tempo, ha cambiato radicalmente la nostra vita. O raccontarci cosa abbiamo provato nell’anima quando abbiamo amato concretamente un prossimo, ascoltato fino in fondo una persona, mettendo da parte i nostri problemi, o abbiamo accettato con fede l’annuncio di una malattia dando testimonianza che solo Gesù dà un senso alla sofferenza.

Conclusione Allora, per tirare le somme, cosa ci consegna questa parola della Scrittura: «Tutti perseveravano nella dottrina degli Apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere» (At 2,42)? Un forte richiamo, prima di tutto, a vivere l’amore scambievole! Amare (è destino dell’uomo amare); amare tutti, amare sempre. Che è poi questo “uscire” di cui parla spesso Papa Francesco. Uscire da noi, dai nostri problemi, per farci carico di quelli degli altri. Solo così noi obblighiamo l’Eterno Padre a risolvere i nostri problemi. Essere Chiesa, dove ci sono i forti nella fede, i deboli e quelli che ancora non ce l’hanno. Chiederci e chiedere a Dio: cosa vuoi che io faccia? Dove posso trafficare i talenti che mi hai donato? Amarla la Chiesa e quindi amarci fra di noi. Essere aperti al dialogo, a quella vocazione che sia Giovanni Paolo II che Papa Francesco vedono nella nostra Chiesa: apertura all’ecu-

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menismo, cioè quella di essere crocevia dei popoli. Pertanto siamo chiamati non a modificare i vari carismi che abbiamo, ma a orientarli tutti verso il sogno di Gesù: Padre, che tutti siano uno. Apertura che, ovviamente, ci convince della necessità di studiare, di approfondire, di conoscere la realtà delle altre Chiese sorelle, con cui abbiamo in comune oltre mille anni di storia. Ma tutto questo se ci nutriamo il più frequentemente possibile dell’Eucaristia. È l’Eucaristia che fa la Chiesa ed anche è la Chiesa che fa l’Eucaristia. Infine, testimoniare. Nelle prime comunità Gesù risorto era il centro della loro testimonianza. Ed anche se Luca non lo cita, i primi cristiani avevano ben presente quella promessa di Gesù, riportata da Mt 18,20: «Dove due o tre sono riuniti nel mio nome (ossia nella mia realtà di Figlio Primogenito del Padre, uniti con il vincolo dello Spirito Santo), io sarò in mezzo a loro». Io con il Padre e con lo Spirito Santo. Quindi Gesù fa presente la Trinità, misticamente, ma realmente. Promessa poi confermata alla fine del vangelo di Mt: «Io sarò con voi fino alla fine dei tempi». A noi la sfida di renderlo presente, di legittimarlo, nel mondo d’oggi.

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Verbale della riunione del 26 ottobre 2018 *

l giorno 26 ottobre 2018, alle ore 9.30, presso il salone della Casa del Clero in Bari, si è riunito il Consiglio Presbiterale diocesano, convocato e presieduto dall’Arcivescovo mons. Francesco Cacucci. Sono presenti i Vicari episcopali: don Vittorio Borracci, mons. Domenico Falco, mons. Angelo Latrofa e padre Luigi Gaetani, O.C.D. Sono assenti: mons. Domenico Padovano, vescovo emerito di Conversano-Monopoli, il vicario generale mons. Domenico Ciavarella, mons. Alberto D’Urso, mons. Francesco Lanzolla, p. Damiano Bova O.P., don Michele Camastra, don Angelo Cassano, don Domenico Castellano, don Mario Castellano, don Emanuele De Astis, don Mario Diana, don Andrea Favale, don Jean Paul Lieggi, don Santino Maisano, S.D.C., don Francesco Mancini, don Vito Marziliano. All’ordine del giorno: 1. L’evento del 7 luglio: ripercussioni e prospettive nella pastorale diocesana. A cura dell’Ufficio per l’ Ecumenismo. 2. Votazione di due componenti per la Commissione regionale presbiterale. 3. Varie ed eventuali. Dopo la preghiera dell’Ora Media viene data lettura del verbale della riunione del 19 aprile 2018. Il Consiglio approva il verbale all’unanimità. Si passa al primo punto all’o.d.g. *

Per il testo della relazione di don Alfredo Gabrielli cfr Allegato al Verbale della riunione del Consiglio Pastorale diocesano del 5 novembre 2018 (su questo Bollettino, pp. 475-490).

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1. Don Alfredo Gabrielli, vice-Direttore dell’Ufficio per l’Ecumenismo, introduce il suo intervento riportando le parole utilizzate da papa Francesco il 25 aprile scorso, quando ha comunicato la scelta di Bari come luogo per l’incontro ecumenico per la pace tra i Capi delle Chiese e delle Comunità cristiane del Medio Oriente: «Il prossimo 7 luglio il Santo Padre si recherà a Bari, finestra sull’Oriente che custodisce le reliquie di San Nicola, per una giornata di riflessione e preghiera sulla situazione drammatica del Medio Oriente che affligge tanti fratelli e sorelle nella fede». Don Alfredo condivide con il Consiglio alcune riflessioni: «L’iniziativa di Papa Francesco di scegliere Bari, quale luogo significativo per un incontro con i capi delle chiese d’Oriente è il riconoscimento della vocazione ecumenica della nostra comunità ecclesiale per il bene della cristianità intera, da parte di colui che presiede nella carità alla guida della chiesa universale. Non si tratta più, semplicemente, di dire che i rapporti con le chiese d’Oriente hanno segnato la storia della nostra chiesa, ma che la nostra chiesa è stata segnata indelebilmente da questi rapporti affinché potesse contribuire all’edificazione della chiesa universale. La nostra identità e la nostra vocazione». Don Alfredo sottolinea come l’incontro del 7 luglio sia stata una grande grazia per i cristiani della nostra chiesa locale che si sono aperti al dono; è stata per loro l’occasione per una conoscenza di un cristianesimo plurale. «La consapevolezza che la stessa fede si possa vivere attraverso forme rituali e istituzionali molto differenti, che è il contesto storico a suscitare risposte diverse di fede, che dire diversità non equivale a dire divisione o eterodossia, costituiscono maturazioni della vita di fede». Viene sottolineato che l’incontro di Bari è stato voluto fortemente come incontro di preghiera. «Non è un caso che si sia voluto porre il forte segno della venerazione comune delle reliquie di San Nicola, dell’accensione della lampada uniflamma, della preghiera sul lungomare e della preghiera fuori della Basilica di accompagnamento dell’incontro a porte chiuse. Tutti i Capi delle Chiese sono stati coinvolti nell’esprimere un’orazione e nel portare una lampada accesa senza precedenze gerarchiche da rispettare. Questo ricorda come la preghiera sia l’anima non solo del movimento ecumenico ma del cammino della Chiesa. Alle volte subiamo la tentazione di dare la precedenza ai rapporti interumani e diplomatici, riducendo la preghiera a corollario dei nostri sforzi».


CONSIGLI DIOCESANI Don Alfredo ricorda che l’incontro del 7 luglio è stato preceduto dai colloqui personali del Santo Padre con i diversi Capi di Chiese, onde maturare le motivazioni dell’incontro. «Al termine dell’incontro in Basilica il Santo Padre sul sagrato della Basilica di San Nicola ha tenuto il suo intervento conclusivo; si leggeva nei volti degli altri Capi delle Chiese la condivisione di quelle parole pronunciate dal Papa. Tutto il processo sinodale ha supportato e reso efficace l’esercizio del primato». Don Alfredo fa notare come la sinodalità e il primato, tema ecumenicamente delicato, ma di interesse per una retta visione di chiesa, non si contrappongono, bensì si pongono al servizio l’una dell’altro, sia in prospettiva universale che locale. Viene evidenziato come l’aver ospitato questo incontro abbia aperto gli occhi verso una realtà distante da noi, quella del Medio Oriente, ma che ci coinvolge direttamente per i riflessi che la guerra in quelle zone hanno anche sul fenomeno migratorio. «L’incontro di Bari provoca una estroversione verso i dolori e le angosce dei nostri fratelli lontani geograficamente o lontani ecclesialmente, invitando ad uscire dalla logica del “tanto non mi riguarda” o del “non mi conviene”, presente in tante dinamiche anche ecclesiali». In seguito don Alfredo mette in evidenza le ripercussioni e le prospettive che l’evento ha generato per il cammino diocesano. «Gli stimoli ricevuti dallo stile dell’incontro di Bari ci spingono a rileggere con gioia e fiducia la proposta pastorale dell’ufficio diocesano per l’Ecumenismo in questi ultimi anni e a rilanciare l’impegno per il futuro nella consapevolezza che l’ecumenismo non è un settore, ma una dimensione della pastorale intera, come soleva dire padre Magrassi. La proposta pastorale ha sempre tenuto a mente la centralità dell’ecumenismo di popolo, che sempre più emerge in questi ultimi anni. Più che ai rapporti istituzionali tra Chiese si è voluta garantire un’animazione all’interno delle parrocchie, più volte visitate negli anni, con dei momenti di preghiera che coinvolgevano, oltre la parrocchia, la corale ecumenica e il gruppo ecumenico diocesano. La creazione di quest’ultimo gruppo ha favorito l’inserimento delle chiese protestanti nel dialogo barese.

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L’esperienza del 7 luglio ha confermato che il dono della vocazione ecumenica della nostra diocesi si concretizza nella presenza di san Nicola, alimentato con i pellegrinaggi vicariali alla tomba, nei cosiddetti mercoledì maggiori. L’ anima di tutto il pellegrinaggio della Chiesa verso l’unità è la preghiera. In particolare, al livello mondiale, dal 18 al 25 gennaio si vive la settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani. La domenica all’interno di quella settimana prevede un momento di preghiera, presieduta dall’ Arcivescovo, nella Basilica di San Nicola. Si registra in questi ultimi anni la difficoltà a focalizzare l’attenzione di quella domenica sull’ Unità dei Cristiani, a motivo delle diverse Giornate che vengono indette a livello internazionale, nazione e diocesano. Collaborando si riesce a comporre le varie esigenze. Si sta spegnendo l’esperienza della formazione dei delegati parrocchiali, di coloro che dovrebbero contribuire all’animazione ecumenica nelle parrocchie; per questo si ricorda che a livello regionale è proposto un corso di aggiornamento ecumenico, molto apprezzato, da parte dell’Istituto di teologia ecumenica e dei suoi docenti, che potrebbe favorire la formazione di questi delegati. Seguono alcuni interventi: Si consiglia che all’interno del vicariato ogni comunità parrocchiale, seguendo una turnazione, possa vivere un momento di riflessione o preghiera con la comunità non cattolica presente sul territorio. Si invita l’Ufficio per l’Ecumenismo a illustrare il servizio che svolge per la diocesi, in modo tale che il Consiglio presbiterale possa integrarlo con contributi e approfondimenti. Si sottolinea come parecchi professori di religione cattolica partecipino al corso per l’ecumenismo. Si chiede che venga posta l’attenzione sul motivo per cui il Papa abbia radunato a Bari tutti i Capi delle Chiese del Medio Oriente, quello cioè della pace; il percorso ecumenico può essere valorizzato maggiormente a partire dalla conoscenza della situazione sociale e politica presente in quei paesi. Si sottolinea come la partecipazione dei religiosi e delle religiose sia stata una presenza orante. Si ringrazia per l’enorme sforzo fatto per l’organizzazione e l’animazione della giornata. Si chiede che alla Rotonda di largo Giannella, dove si è vissuto il momento celebrativo con il Papa e i Capi delle Chiese d’Oriente,


CONSIGLI DIOCESANI possa essere vissuto un momento di incontro che coinvolga le comunità parrocchiali; potrebbe essere l’occasione per lasciare un segno visibile (es. una porta, una finestra aperta...) che ricordi l’evento del 7 luglio. Si rileva come la figura di san Nicola abbia contribuito fortemente per la scelta di Bari come sede dell’incontro. Si invita a porre l’attenzione sul prossimo appuntamento che la Conferenza Episcopale Italiana ha scelto di vivere a Bari prossimamente attraverso “un incontro di riflessione e spiritualità per la pace nel Mediterraneo”; potrebbe essere un’ulteriore occasione per sottolineare la vocazione ecumenica della chiesa locale di Bari. Si rileva che ciò che è stato vissuto non ha solo un risvolto teologicospirituale, di un ecumenismo inteso come dialogo con gli altri fratelli cristiani, ma racchiude anche una dimensione ecclesiale, di una comunità diocesana che può ritrovare attraverso questo evento l’importanza dell’unità tra le varie comunità. L’ecumenismo può essere la strada per crescere ulteriormente nell’unità della Chiesa locale. Accanto alla dimensione spirituale ed ecclesiale vi è anche quella sociale, in quanto l’ecumenismo ci ricorda l’importanza, in questa svolta epocale, del dialogo con le diverse culture del nostro tempo. Si evidenzia la numerosa adesione e l’esemplare partecipazione del popolo di Dio all’evento; in particolare viene sottolineata la risposta generosa dei giovani che hanno collaborato nel servizio d’ordine per la buona realizzazione della giornata. L’Arcivescovo ringrazia tutti per gli interventi. Fa notare che siamo una chiesa in cammino e in continuo discernimento. Sottolinea come lui per primo si sia sentito interpellato dall’ incontro del 7 luglio, che ha scombinato i programmi pastorali previsti. L’Arcivescovo evidenzia anche come questo evento abbia permesso a tutti di mettersi in ascolto dello Spirito, conducendo la nostra Chiesa locale a leggere il cammino percorso a partire dal libro degli Atti degli apostoli. Rileva che essere stati scelti dal Papa per ospitare l’incontro a Bari è stata una grazia per la nostra diocesi: la preghiera sulla Rotonda in largo Giannella, l’incontro tra Papa Francesco e i Capi delle Chiese in Basilica, il momento vissuto sul sagrato di san

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Nicola, unito al popolo di Dio numeroso e ben formato che acclama “unità” e “pace”, sono momenti che segnano in modo provvidenziale la nostra Chiesa diocesana. Sottolinea come l’incontro ecumenico per la pace nel Medio Oriente abbia ulteriormente segnato la vocazione ecumenica della nostra Chiesa locale nel nome di san Nicola. 2. Terminata la discussione sul primo punto all’o.d.g., si passa al secondo punto all’o.d.g.: Si procede alla votazione per eleggere due componenti per la Commissione regionale presbiterale. Ogni membro del Consiglio Presbiterale può indicare fino a due nomi sulla scheda. La votazione ha avuto il seguente risultato: – Votanti: 32 – I due più votati risultano essere: 1) Don Antonio Lobalsamo 2) Don Pierpaolo Fortunato Terminata la discussione sui punti all’o.d.g., seguono alcune comunicazioni dell’Arcivescovo:

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− don Angelo Lagonigro è il nuovo vicario zonale del III vicariato. − Il 19 dicembre, festa di san Nicola secondo il calendario giuliano, verrà a Bari il metropolita Hilarion, responsabile delle relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, per presentare il volume: “La traslazione della reliquia di San Nicola il Taumaturgo da Bari in Russia (21 maggio – 28 luglio 2017)”, curato dallo stesso metropolita per la Casa editrice “Poznanije”; seguirà in Basilica un concerto di musiche dello stesso Metropolita. − Il 18 dicembre 2018 andrà a Molfetta il cardinale Gualtiero Bassetti, Presidente della CEI, per tenere la prolusione per l’inaugurazione dell’anno accademico della Pontificia Facoltà Teologica Pugliese, sul tema: ”La pace del Mediterraneo. Vocazione e missione di una Chiesa mediterranea”. La riunione si conclude alle 12.30 con la preghiera dell’Angelus. Il Segretario del CPD sac. Pierpaolo Fortunato


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CONSIGLI DIOCESANI Consiglio pastorale diocesano

Verbale della riunione del 5 novembre 2018

Il giorno 5 novembre 2018, alle ore 19,00, presso l’aula magna della Casa del Clero in Bari, si è riunito il Consiglio Pastorale Diocesano, convocato e presieduto dall’Arcivescovo, Mons. Francesco Cacucci, per discutere il seguente ordine del giorno: – 7 luglio 2018: “L’incontro con i capi della Chiese e delle comunità cristiane del Medio Oriente: ripercussioni e prospettive nella pastorale diocesana”, a cura dell’Ufficio per l’Ecumenismo. – Proposta di tematiche da sottoporre alla riflessione del Consiglio nei prossimi incontri. – Varie ed eventuali. Risultano assenti giustificati: mons. Alberto D’Urso, don Michele Camastra, don Pierpaolo Fortunato, don Nicola Laricchia, don Antonio Lobalsamo, don Sigismondo Mangialardi, don Angelo Romita, don Alessandro Tanzi, diac. Lorenzo Petrera, p. Vincenzo Giannelli, suor Anna Rizzuto, sig. Donato Attolico, sig. Gennaro Capriati, sig. Tommaso Cozzi, sig. Francesco De Nicolò, sig. Nicola Delle Grazie, sig.ra Carmela Mele, sig. Giuseppe Milone, sig. Luca Quaranta, sig.ra Lucy Scattarelli, sig. Vitantonio Sisto, sig. Massimo Tamma, sig.ra G. Zaccaro.

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Il Consiglio ha inizio con un momento di preghiera, seguito dal saluto e alcune comunicazioni dell’Arcivescovo: don Angelo Lagonigro subentra a don Nicola Laricchia come vicario zonale del III vicariato, mentre i coniugi Stufano affiancheranno don Franco Lanzolla come direttori dell’Ufficio Famiglia. Padre Arcivescovo ringrazia don Nicola e i coniugi Vurro per il generoso servizio svolto in questi anni. Prima di procedere con la discussione di quanto all’ordine del giorno, si dà lettura del verbale della seduta del 22 marzo. Il verbale è letto e approvato all’unanimità. 1. Si passa alla trattazione del primo punto all’ordine del giorno. Don Alfredo Gabrielli, vicedirettore dell’Ufficio per l’Ecumenismo, relaziona al CPD fornendo una rilettura della giornata del 7 luglio ultimo scorso e delle prospettive che questo evento offre alla vita della nostra Chiesa diocesana (la relazione è allegata al presente verbale). Terminato l’intervento introduttivo, la segretaria ringrazia don Alfredo per gli importanti spunti di riflessione e, invitando i consiglieri al dialogo, riprende il passaggio iniziale della relazione sottolineando che non stiamo operando una verifica sull’incontro del 7 luglio ma, come Padre Arcivescovo ha illustrato nell’assemblea diocesana del 15 settembre, vogliamo interrogarci sulle prospettive e i frutti che questo importante evento sta donando alla nostra Chiesa.

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Si apre quindi il confronto, con alcuni interventi che brevemente si riportano. Don Michele Birardi ricorda lo sforzo organizzativo della diocesi che ha partecipato con circa 400 volontari, raccolti in pochissimo tempo grazie alla disponibilità delle parrocchie e delle associazioni, in particolare dell’AGESCI. I ragazzi erano sul luogo dell’evento sin dalla notte del 6 luglio, e il loro lavoro è stato lodato dalle forze dell’ordine e dai funzionari del Comune di Bari che hanno coordinato il lavoro di tutti. Alcuni dei volontari erano in zone dalle quali non hanno potuto vedere o partecipare alla preghiera, dando una significativa testimonianza di servizio e di ecclesialità. Don Vito Piccinonna sottolinea l’importanza dell’invito del Santo Padre ad incontrarsi nella diversità per guardare al di là di noi stessi. Questo può dire molto alle nostre comunità che spesso sono ripiegate


CONSIGLI DIOCESANI su sé stesse e non riescono a farsi interpellare dalle istanze del presente. Antonio Colagrande offre tre considerazioni. La prima considerazione: l’evento del 7 luglio è stato un incontro di preghiera caratterizzato dall’attenzione alla situazione attuale del mondo. Sarebbe opportuno, quindi, che nella settimana di preghiera per l’unità dei cristiani si riuscisse a mantenere questa stretta relazione tra preghiera e vita nel mondo attuale, anche allo scopo di educare le comunità parrocchiali. In secondo luogo, sottolinea l’importanza della sinodalità come strada da percorrere, anche nella nostra diocesi. In effetti, a volte, alcune tensioni, che possono esistere tra laici e presbiteri, possono derivare proprio dalla mancanza di questo stile sinodale che, se adottato, rende invece le nostre attività pastorali più efficaci. In ultimo, a proposito della figura dell’animatore ecumenico alla quale ha accennato don Alfredo Gabrielli, suggerisce di non istituzionalizzare tali figure nelle comunità parrocchiali. Don Franco Lanzolla rimarca come l’ecumenismo spesso passi attraverso le famiglie, che in molti casi vivono il dialogo ecumenico al loro interno (famiglie dove i coniugi appartengono a confessioni diverse). Forse questa situazione necessita di un dialogo più approfondito, non soltanto a livello canonistico, ma anche a livello pastorale. Se la comunione delle diversità avviene già nelle famiglie il dialogo ecumenico è ancor più proficuo. Nicola Stufano condivide due considerazioni: in primo luogo si è trattata di un’occasione per modificare le attività programmate e calendarizzate per far spazio ad un evento non calato semplicemente dall’alto ma suscitato dallo Spirito. Poi si è trattato di un evento liberante, nel senso che è stata data la possibilità di prendere una posizione a proposito di eventi lontani dal nostro quotidiano, come la guerra i cui effetti influiscono sulla nostra storia. Maurizio Sapio, partendo dall’intervento di don Alfredo Gabrielli, propone di pensare ad un momento ecumenico in tutte le realtà del territorio di Bari alla luce della Pentecoste. Giuseppe Gabrielli sottolinea quanto l’apertura al mondo ci abbia arricchito, in controtendenza rispetto all’attuale sensibilità. La nostra Chiesa ha scoperto di più la propria identità proprio nel-

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l’apertura e nell’accoglienza. Questo deve avere ripercussioni nel quotidiano delle nostre comunità. Michela Boezio si collega all’intervento precedente sottolineando come l’evento del 7 luglio ci aiuta a ricostruire l’identità della Chiesa di Bari, fornendo la consapevolezza di un vissuto, di un presente che già c’è. Rappresenta uno stimolo a rendere l’ecumenismo un’esperienza popolare, riscoprendo la figura di San Nicola, confrontandosi con coloro che appartengono a confessioni cristiane diverse dalla nostra. Sottolinea, inoltre, come il vissuto dei giovani è caratterizzato da una consapevolezza diversa rispetto agli adulti, perché abituati a confrontarsi quotidianamente con realtà più ampie. Vito Panniello ringrazia don Alfredo Gabrielli per essere stato profondo ed esaustivo nell’affrontare tutti gli aspetti dell’evento, fornendo preziosi spunti di riflessione e sottolinea come la sensazione, dopo aver vissuto la giornata, è stata quella di aver partecipato ad un evento storico. La partecipazione della città è stata duplice: da una parte alcuni hanno anteposto le difficoltà logistiche alla partecipazione fisica, molti altri vi hanno partecipato con entusiasmo. In particolare è stato importante come sia sempre passata una corretta informazione a proposito di quello che avremmo vissuto nella giornata del 7 luglio, senza enfatizzare la presenza del Papa ma cercando di spiegare a tutti i fedeli l’importanza della presenza di tutti i Patriarchi e, di conseguenza, la portata storica dell’evento. Questo ha reso la preghiera autentica e davvero partecipata. La prospettiva che ci si apre davanti è quella di scoprire come gli eventi straordinari si possano sposare anche in maniera naturale con la vocazione che già quotidianamente caratterizza la nostra Chiesa. Don Mario Castellano si ricollega all’intervento precedente condividendo come, tra le tante immagini della giornata del 7 luglio, porti cara nel ricordo quella dei fedeli che accolgono il Papa e i patriarchi pregando per l’unità. Sottolinea lo stile che la nostra Chiesa locale ha avuto nell’accogliere, organizzare e vivere questa giornata. Uno stile vissuto in primo luogo come conferma delle nostre capacità di accogliere e mettere a frutto la possibilità offertaci da questo evento, una conferma da intendersi come stimolo per far scaturire dall’evento un rinnovato entusiasmo nel convertire lo stile pastorale delle nostre comunità nel quotidiano, non solo nello straordinario. Uno stile pastorale all’insegna della sinodalità, che è


CONSIGLI DIOCESANI un cammino che già da tempo la nostra diocesi si sta proponendo di percorrere e che può essere ripreso con rinnovato impegno. Beppe Micunco sottolinea come andrebbe valorizzata ulteriormente la figura di San Nicola, elemento provvidenziale dalla fortissima connotazione ecumenica, come testimoniato dall’evento vissuto a luglio ma anche dalle parole dei patriarchi e degli ultimi pontefici che sempre hanno legato la vocazione ecumenica della città di Bari alla figura del suo santo patrono. Giusy De Tullio propone, allo scopo di mettere in risalto il tema dell’ecumenismo nelle comunità parrocchiali, di approfittare della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani per spiegare le differenze tra le varie confessioni cristiane. Prendendo la parola, l’Arcivescovo mons. Francesco Cacucci sottolinea come il confronto appena vissuto sia stato una bella occasione di discernimento comunitario, uno stile sinodale al quale dovremmo educarci. La sinodalità non va mai vissuta soltanto all’interno della Chiesa, per risolvere i problemi all’interno della Chiesa. Dobbiamo considerare l’azione dello Spirito Santo che va al di là delle nostre preoccupazioni immediate. L’Arcivescovo sollecita don Alfredo Gabrielli, nella preparazione del materiale per la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, di inserire dei riferimenti alle comunità di altra confessione cristiane che si trovano nel territorio della nostra diocesi e che già oggi vivono quotidianamente accanto alle nostre comunità, spesso sono poco conosciute. Occorre uno sforzo educativo. Informa, quindi, il CPD che il Santo Padre ha richiesto per sé due copie dell’icona della Madonna Odegitria. L’Arcivescovo chiede al CPD di partecipare e favorire la partecipazione al momento di preghiera ecumenico che si terrà nella basilica di San Nicola in occasione della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Altrettanto importante è partecipare alla preghiera finale del 17 novembre, incontro degli operatori pastorali, insieme al priore della comunità di Taizé. In riferimento ai temi dell’accoglienza e della situazione della società attuale, sottolinea come il ruolo della Chiesa locale dovrebbe essere non quello di fare proclami, privilegiando la

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scelta di trattare questi temi nelle catechesi ordinarie senza temere il confronto per un discernimento comunitario. Relativamente al secondo punto all’ordine del giorno, la segretaria del Consiglio Pastorale Diocesano chiede ai consiglieri di inviare alla mail della segreteria proposte sui temi da affrontare nelle prossime riunioni del consiglio. Con la preghiera finale la seduta del CPD si scioglie alle ore 21.30.

La segretaria del Consiglio pastorale diocesano Michela Boezio

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CONSIGLI DIOCESANI Allegato al Verbale:

L’evento del 7 luglio 2018: ripercussioni e prospettive per la pastorale diocesana

L’evento del 7 luglio 2018 Ci si potrebbe chiedere, all’inizio di un nuovo anno pastorale, quale possa essere lo scopo del rivolgere l’attenzione al passato e non, piuttosto, provare a riflettere sul futuro. Certo, una buona prassi progettuale prevede, alla fine di un itinerario, una verifica, che possa far emergere punti di forza e punti deboli di alcune scelte fatte, così da riconsiderarle per il futuro. Tuttavia, non è la categoria di “verifica” quella più appropriata per tornare su un evento quale l’incontro del Papa con i Capi delle Chiese del Medio Oriente. Si sta parlando di una situazione che, sostanzialmente, ha visto la Chiesa di Bari-Bitonto, nel suo insieme, coinvolta in una “partecipazione attiva”, piuttosto che protagonista della creazione e della maturazione dell’evento stesso. Usando una immagine, l’annunzio di questo incontro, il 25 aprile scorso, è stato come una “manna” caduta improvvisamente dal cielo, piuttosto che l’atteso frutto di un lungo processo di maturazione “dal basso”. Chi avrebbe potuto aspettarsi una cosa del genere, con questi tempi così rapidi e con questa modalità. L’incontro è stato certamente inaspettato, ma al contempo anche “straordinario”, ovvero al di là di ciò che accade ordinariamente. Essendo a conoscenza della fatica che le Chiese fanno per incontrarsi, a livello ufficiale, come anche, a volte, a livello locale, l’imma-

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gine del Vescovo di Roma circondato dalla quasi totalità dei responsabili delle Chiese del Medio Oriente rifulge di una particolare visione profetica da custodire gelosamente nel nostro cuore, come “riserva di speranza” per un futuro comunionale che ancora oggi non sembra del tutto promettente. Quell’immagine entra con pieno merito nell’album di famiglia della Chiesa, una nella sua diversità, che si apre con la foto di Pentecoste e si chiuderà, quando Dio vorrà, con la Gerusalemme celeste. Come diceva fra Sabino Chialà, nella sua Lectio divina ad apertura dell’Assemblea diocesana lo scorso 15 settembre, ci è stata consegnata una “visione di Chiesa”. L’analogia con la “manna”, allora, simbolicamente rinvia ad una benedizione venuta dal cielo, ad un dono da parte di Dio, alla degustazione anticipata di un cibo vero che si potrà assaporare pienamente solo al compimento del Regno, ad un popolo che accoglie questo dono, si interroga sulla sua natura e lo utilizza per camminare. Sono profondamente convinto che il 7 luglio abbiamo assistito all’irruzione dello Spirito nella storia, ad un’azione sacramentale, ovvero capace di farci gustare e comunicarci alcune verità del Regno. In questa prospettiva, sotto i nostri occhi, per qualche attimo, si è manifestata la Chiesa “vera”, cioè quella più conforme all’immagine della Gerusalemme celeste, all’immagine della Chiesa così come la vede Dio e verso la quale noi siamo indirizzati. Certo, poi accade che spesso la situazione feriale sia ben diversa; ma questo non ci distanzia molto dai famosi “Sommari” degli Atti degli Apostoli (cfr At 2,42-48; 4,32-35) che non descrivono la situazione costantemente vissuta dalla prima comunità cristiana, ma la direzione verso la quale essa camminava, sorretta da momenti in cui si faceva davvero esperienza del seme del Regno già operante nella Chiesa. Dunque, una luce di futuro è entrata nella storia della Chiesa il 7 luglio e per questo motivo a quel giorno vogliamo riguardare e su di esso vogliamo interrogarci, non tanto per fare verifica, quanto, piuttosto, discernimento spirituale. Si tratta di provare ad ascoltare, meditando su quell’evento, cosa lo Spirito ha detto e dice alla nostra Chiesa, per poi cercare di delineare delle prospettive per il futuro.


CONSIGLI DIOCESANI 1. L’azione dello Spirito Santo L’aver ricevuto la notizia di questo incontro solo poco più di due mesi prima ha obbligato la diocesi intera a un ripensamento del proprio calendario; allo stesso modo, adesso, in un certo senso, si sta tentando di capire cosa questa esperienza di Grazia ha da comunicare per il futuro del nostro cammino ecclesiale. In ambito ecumenico si dice spesso che sia lo Spirito a guidare la Chiesa verso la ricomposizione visibile dell’unità, la quale non deriverà primariamente dai nostri sforzi, ma dall’apertura responsabilmente operativa dei movimenti dello Spirito. Questa irruzione improvvisa dell’incontro ecumenico nell’agenda pastorale ha provocato la nostra consapevolezza di fede che sia sempre lo Spirito a guidare la Chiesa e che le nostre programmazioni e le nostre personali priorità siano continuamente da rivedere alla luce di ciò che lo Spirito suggerisce nella lettura dei segni dei tempi. Ovviamente non si tratta di assecondare tutte le possibili iniziative che si presentano sotto i nostri occhi, ma di cogliere i movimenti profondi e inarrestabili dello Spirito che, ogni tanto, emergono con maggiore visibilità, come un fiume carsico che procede sotterraneo prima di ricomparire in un punto non sempre prevedibile apriori. La presente lettura dell’incontro del 7 luglio presuppone che esso non sia stato semplicemente un evento che ci ha visti partecipi, ma l’emersione visibile di questo fiume di Grazia che guida oggi la barca della Chiesa verso una direzione. 477 2. Identità e vocazione Il 25 aprile scorso la Sala Stampa vaticana ha comunicato la scelta di Bari per dar luogo a questo incontro: «Il prossimo 7 luglio il Santo Padre si recherà a Bari, finestra sull’Oriente che custodisce le Reliquie di San Nicola, per una giornata di riflessione e preghiera sulla situazione drammatica del Medio Oriente che affligge tanti fratelli e sorelle nella fede. A tale incontro


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ecumenico per la pace Egli intende invitare i Capi di Chiese e Comunità cristiane di quella regione». «L’iniziativa di papa Francesco di scegliere Bari quale luogo significativo per un incontro con i capi delle Chiese d’Oriente è il riconoscimento della vocazione ecumenica della nostra comunità ecclesiale per il bene della cristianità intera, da parte di colui che presiede nella carità alla guida della Chiesa universale. Non si tratta più, semplicemente, di dire che i rapporti con le Chiese d’Oriente hanno segnato la storia della nostra Chiesa, ma che la nostra Chiesa è stata segnata indelebilmente da questi rapporti affinché potesse contribuire all’edificazione della Chiesa universale. La nostra identità è la nostra vocazione» (A. Gabrielli, Bari-Bitonto: Chiesa ecumenica nel nome di san Nicola, «Notiziario diocesano», giugno 2018). Spesso capita che i doni ricevuti vengano riconosciuti più dall’esterno che dall’interno. Questo può accadere per tanti motivi; per esempio, per il fatto che chi vive una realtà dall’interno ne riconosce anche tutti i suoi limiti e fragilità. Il papa, chiamato anche a confermare la nostra fede, con la scelta della nostra città ha confermato il nostro credere nel dono ricevuto, specificatamente ed esplicitamente legato alla custodia delle reliquie di san Nicola, che si apre ad un impegno. Si è paragonata la scelta di Bari, analogicamente, alla discesa inaspettata di una benedizione dal cielo. Se da un lato è vero che il tutto sia capitato così repentinamente e si sia potuto realizzare perché sostenuto e promosso dall’azione dello Spirito di Dio, dall’altro è necessario riconoscere che il terreno umano era stato adeguatamente preparato per accogliere questo dono. Per quanto riguarda la possibilità di questa iniziativa, sappiamo che da tempo, in diversi colloqui personali con il Santo Padre, i Capi di Chiesa ipotizzavano di incontrarsi in questo modo. Che l’avvenimento fosse stato a lungo desiderato, lo si è letto chiaramente sui loro volti. Inoltre, vi è stata la scelta della città di Bari. La storia dell’ecumenismo in diocesi la conosciamo tutti, ma probabilmente sono stati gli eventi degli ultimi anni che hanno focalizzato sempre più l’attenzione sulla nostra città, facendola diventare familiare per tutti i partecipanti. Il 29 e 30 aprile 2015 si è tenuto il summit, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, tra i rappresentanti ecclesiali delle Chiese del Medio Oriente e personalità politiche proprio per parlare del futuro dei cristiani in Medio Oriente. Nel 2016, per la festa liturgica


CONSIGLI DIOCESANI di San Nicola, si è ricevuta la visita del Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo. Ancor di più, nel 2017, si è vissuta la traslazione straordinaria per due mesi di una reliquia di san Nicola a Mosca e San Pietroburgo. Questi tre brevi scatti hanno costituito sempre più uno zoom che ha messo sempre meglio a fuoco la realtà dell’ecumenismo di popolo nel nome di san Nicola, facendo comprendere, davvero, come la Basilica possa essere, così com’è stata definita, «santuario della cristianità» (G. Cioffari). C’è da dire, inoltre, che questo ecumenismo di popolo è stato promosso e sostenuto dai Capi, interpreti dello Spirito che guida la comunità ecclesiale.

3. La comunione nella diversità Una grande Grazia, per i cristiani della nostra Diocesi, è stata la conoscenza di un cristianesimo plurale, attraverso la presenza di una ventina di Chiese all’incontro. Alcune parrocchie, come anche le aggregazioni laicali, hanno potuto approfondire catecheticamente questa dimensione, traendone grandi benefici. La pluralità della Chiesa non è frutto della divisione, ma costitutiva la sua origine, poiché frutto della primitiva inculturazione del Vangelo tra popolazioni differenti. La consapevolezza che la stessa fede si possa vivere attraverso forme rituali e istituzionali molto differenti, che sia il contesto storico a suscitare modalità varie di vita cristiana, che dire diversità non equivale sic et simpliciter a dire divisione o eterodossia, sono maturazioni necessarie ad un credente per liberarsi da certi dogmatismi o chiusure. Fu proprio il Documento di Bari, documento della Commissione Teologica Cattolica-Ortodossa, firmato a Cassano Murge nel 1987, a sancire ufficialmente nel dialogo la distinzione concettuale tra “fede”, chiamata ad essere sempre “una”, ed “espressioni della fede”, che possono essere molteplici quante le diverse culture e i diversi carismi nei quali il Vangelo si incarna. Questo principio, ecumenicamente essenziale, può aiutare a vedere tutto il cammino ecclesiale, anche all’interno di una stessa confessione, come cammino verso una comunione delle diversità.

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4. La centralità della preghiera L’incontro di Bari è stato caratterizzato fortemente come un evento avvolto nella preghiera. Non è un caso che si siano voluti porre i forti segni della venerazione comune delle reliquie di san Nicola, dell’accensione della lampada uniflamma, della preghiera sul lungomare e della preghiera fuori della Basilica di accompagnamento della riflessione a porte chiuse. Si è voluto, inoltre, che fosse il popolo di Dio il principale animatore di questa preghiera che saliva a Dio dalla città di Bari per il Medio Oriente. Tra i fedeli radunati in preghiera vi erano anche le comunità ortodosse presenti sul nostro territorio. Dall’intensità di questa preghiera comune condivisa, che vedeva già liturgicamente una situazione di sostanziale uguaglianza tra i Capi di Chiesa (tutti coinvolti nell’esprimere una orazione e nel portare una lampada accesa “senza precedenze” gerarchiche da rispettare), è nata la possibilità di un incontro ispirato dalle geometrie circolari, più che piramidali. Questo ci ricorda come la preghiera sia l’anima non solo del movimento ecumenico, ma del cammino della Chiesa. La Parola profetica, capace di indirizzare il cammino, nasce sempre e solo dalla preghiera.

5. Lo stile sinodale

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Tra le immagini che necessitano di essere custodite nel cuore vi sono quelle del pullmino bianco, soprannominato “patriarcamobile”, con a bordo tutti i Capi di Chiese, e il tavolo bianco circolare, attorno al quale vi è stato il confronto sulle questioni mediorientali. Esse ci parlano di sinodalità. L’intervento conclusivo, fatto sul sagrato della Basilica di san Nicola, è stato scritto interamente dal papa; non è un documento congiunto. Eppure come non leggere sui volti di tutti i presenti la condivisione con le parole di Pietro. Dunque, tutto il processo “sinodale” ha supportato e reso efficace l’esercizio del primato. Questo ci indica una via attraverso la quale sinodalità e primato, tema ecumenicamente delicato, ma di interesse per la “visione di Chiesa”, non si contendono il potere, bensì si pongono a servizio l’una dell’altro, sia in prospetti-


CONSIGLI DIOCESANI va universale, che locale. Ancora una volta, alcune dinamiche ecumenicamente rilevanti possono gettare luce su dinamiche interecclesiali. Non è un caso che l’ultimo documento della Commissione teologica internazionale riguardi proprio “La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa”, come anche che sia stato il Sinodo, e non il papa, a pubblicare il Documento su “Giovani, fede e discernimento vocazionale”. All’interno di una Chiesa locale i rapporti sono un po’ diversi, poiché il vescovo è la guida della comunità ecclesiale, così come anche nelle parrocchie è il parroco, in quanto delegato del vescovo; dunque è evidente come la scelta conclusiva sia affidata a colui che è stato predisposto sacramentalmente da Dio per questo. Ciò non toglie che sempre più siano inseriti “processi sinodali” nei percorsi di maturazione di scelte.

6. L’attenzione al mondo La diocesi di Bari-Bitonto è stata protagonista di un incontro e di una preghiera che non la poneva come destinataria diretta di quell’evento. Eppure, l’essere protagonisti ha provocato e indotto nel cuore una conversione. Sì, ospitare questo incontro ha aperto gli occhi verso una realtà distante, che non ha “relazioni dirette” con la nostra vita quotidiana, se non per i riflessi che la guerra in Medio Oriente ha sul fenomeno migratorio (in realtà, le migrazioni da quelle regioni non coinvolgono principalmente la nostra Italia). L’incontro di Bari provoca, dunque, una estroversione verso “i dolori e le angosce” dei nostri fratelli lontani geograficamente o lontani ecclesialmente. Mostra il volto di una Chiesa, e anche di un cammino ecumenico, che si china sulla vita non solo del popolo di Dio nel suo insieme, ma dell’intera umanità, considerando anche le persone non cristiane. Le Chiese hanno trovato gli stimoli per incontrarsi, abbattendo ogni ostacolo per farlo, proprio a partire da una situazione socialmente rilevante di dolore, poiché nella sofferenza dell’essere umano ogni barriera è già stata abbattuta. Come spesso si è ripetuto, il san-

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gue dei cristiani uccisi non ha differenza confessionale: è l’ecumenismo del martirio. E andando al di là di questo, il sangue non ha neanche differenza religiosa; le angosce dell’essere umano ci spingono, come cristiani ad essere promotori di pace. È significativo che più volte si sia ripetuto che la salvaguardia della presenza cristiana nel Medio Oriente sia fondamentale sia perché il cristianesimo mantenga le proprie radici spirituali (dimensione ecclesiale), ma anche perché essa costituisce un fattore di stabilità per la pace di tutta la regione (dimensione sociale). Questa prospettiva sociale, anzitutto, può caratterizzare un aspetto “profetico della Chiesa”, ovvero la capacità di porre l’attenzione su questioni sulle quali il mondo è distratto. Sotto questo punto di vista, l’incontro di Bari è stato un grido che le Chiese cristiane hanno elevato verso i potenti della terra (si pensi ai vari “basta” del discorso finale del papa). D’altro canto, questa dimensione di attenzione verso le realtà umane, spingendo le Chiese a lavorare insieme, traccia uno stile di collaborazione anche con tutte quelle realtà extraecclesiali che già si impegnano nel mondo sociale.

7. I rapporti tra le generazioni

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Nel suo discorso finale papa Francesco ha collegato il male della guerra con le nuove generazioni, quando ha affermato che saranno «le lacrime dei bambini a convertirci». Quella giornata ha visto protagonisti anche i giovani della nostra diocesi, sia logisticamente che simbolicamente. Essi si sono posti a servizio volontario dell’evento, con gioia, essendo consapevoli anche che in questo modo non avrebbero potuto partecipare pienamente a ciò che stava accadendo. Eppure lo hanno fatto con entusiasmo; non penso semplicemente perché ci fosse il papa, ma piuttosto perché quella “visione di Chiesa” presente lì piaceva loro. Inoltre, simbolicamente, sono stati i giovani a consegnare le lampade, durante la preghiera, ai diversi Capi, quasi ad esprimere il desiderio di luce di speranza che le nuove generazioni ripongono nella Chiesa. Così, anche, sono stati dei bambini, che vivono situazioni di disagio sociale, a consegnare le colombe sul sagrato della Basilica, ad evidenziare che l’impegno per un mondo più giusto riguarda soprattutto loro.


CONSIGLI DIOCESANI La presenza centrale dei giovani in quella giornata manifesta che una Chiesa più unita non può che trovare un plauso dalle nuove generazioni e il desiderio di un impegno per questa Chiesa.

Ripercussioni e prospettive per il cammino diocesano Tale fede ci spinge con gioia e fiducia a rileggere quella che è stata la proposta pastorale dell’Ufficio per l’Ecumenismo in questi ultimi anni, e a rilanciare l’impegno per il futuro, grazie agli stimoli ricevuti dallo stile dell’incontro di Bari, che ci siamo sforzati di evidenziare, nella sempre maggior consapevolezza che l’Ecumenismo non è un settore, ma una dimensione della pastorale intera, come soleva dire padre Magrassi.

1. Identità e vocazione Ancora di più, oggi, dopo ciò che è accaduto, non possiamo non considerare il dono della vocazione ecumenica della nostra diocesi, che è data soprattutto dalla presenza di san Nicola. La Basilica dovrebbe diventare sempre più il luogo che esprime il desiderio di unità della Chiesa. Il collegamento delle parrocchie con la Tomba del Santo è alimentato dai pellegrinaggi vicariali alla Basilica, nei Mercoledì maggiori di San Nicola. Durante la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, è sempre la Basilica il luogo prescelto per la grande veglia di preghiera, presieduta dall’Arcivescovo, con tutti i rappresentanti delle comunità cristiane presenti sul nostro territorio. Per quest’anno è stato stabilito, come Ufficio per l’Ecumenismo, che non si organizzeranno attività parallele di preghiera alle Veglie ecumeniche che già si vivono in Basilica, ma si parteciperà a quei momenti. Questo vuole esprimere un desiderio di maggiore coscientizzazione del dono che abbiamo ricevuto, che si potrebbe coltivare inserendo dei momenti di conoscenza di questa realtà già a partire dai percorsi di iniziazione cristiana.

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2. La comunione nella diversità

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La proposta pastorale ha sempre tenuto a mente della centralità dell’Ecumenismo di Popolo, che sempre più emerge in questi ultimi anni. Più che ai rapporti istituzionali tra Chiese si è voluta garantire un’animazione all’interno delle parrocchie, diverse volte visitate negli anni, con dei momenti di preghiera che coinvolgevano anche la Corale Ecumenica e il Gruppo Ecumenico. La creazione di questo GEB (Gruppo Ecumenico Bari) ha favorito l’inserimento delle Chiese protestanti nel dialogo barese. Sempre si tenta di fare esperienza di conoscenza delle diverse realtà ecclesiali partecipando ai momenti di vita delle diverse comunità. Inoltre, non si può dimenticare che nel corso di questi anni sono state concesse delle chiese per permettere alle diverse comunità non cattoliche di radunarsi e celebrare la liturgia all’interno di un luogo sacro: la comunità greca si ritrova nella precedente sede della Parrocchia “Sacro Cuore” in corso Cavour, la comunità ortodossa rumena ha celebrato per molto tempo in San Gregorio (adesso ha un proprio centro in piazza Garibaldi), la comunità georgiana si raduna in Santa Chiara, la comunità etiopica in san Gaetano, quella eritrea nella cappella “Immacolata” dell’Istituto Borea. Soprattutto le comunità parrocchiali che condividono lo stesso territorio con altre Chiese sono specialmente chiamate a creare legami di conoscenza reciproca, rispetto e, finanche, condivisione della preghiera e collaborazione. Trattandosi, dunque, di una dimensione che attiene a tutto il popolo di Dio, l’Ecumenismo trova il suo luogo di formazione primaria anzitutto all’interno delle parrocchie. Da un punto di vista catechetico, andrebbe maggiormente inserita la dimensione ecumenica nei percorsi di formazione (come lo stesso Libro del Sinodo invita al n. 42), proprio in rispetto della nostra vocazione ecclesiale. Non sarà più così difficile, inoltre, oggi come oggi, trovare in parrocchia credenti di altre confessioni (che semmai non hanno la possibilità di frequentare la propria Chiesa) come anche, nell’ambito formativo, presenza di coppie miste, che desiderano sposarsi o battezzare un figlio. Esse hanno bisogno di una particolare cura e attenzione, della quale si fa esperienza anzitutto in una comunità ecumenicamente sensibile. Gli Uffici dell’Ecumenismo e della Pa-


CONSIGLI DIOCESANI storale della Famiglia sono chiamati sempre più a collaborare per accompagnare queste situazioni. Negli anni si è vissuta anche la formazione dei delegati parrocchiali, ovvero coloro che hanno contribuito a porre l’attenzione ecumenica nella vita delle parrocchie. È necessario, tuttavia, in quest’ambito trovare nuovo slancio e nuove forme, per far sì, sempre più, che non si creino semplicemente figure specializzate, ma collaboratrici con i parroci per l’animazione delle comunità. Parlando di nuove forme, non si può non citare l’esperienza del Corso di aggiornamento ecumenico organizzato dall’Istituto di Teologia Ecumenica “San Nicola”. Esso sta coinvolgendo centinaia di fedeli, soprattutto insegnanti di religione, della diocesi e non solo. È una formazione di qualità, che interessa soprattutto coloro che desiderano approfondire determinate tematiche e beneficiare dell’ampio respiro che dona la teologia ecumenica. Anche l’Istituto è una grandissima potenzialità della diocesi, dove generazioni di preti e laici si sono formati, da poter sfruttare sempre di più, sia aderendo alle iniziative e ai corsi proposti, sia approfittando dei docenti per la formazione nelle parrocchie.

3. La preghiera L’anima di tutto il pellegrinaggio della Chiesa verso l’Unità è la preghiera. In particolare, a livello mondiale, dal 18 al 25 gennaio si vive la settimana di preghiera per l’Unità dei cristiani. Nella nostra diocesi la Settimana coinvolge direttamente e soprattutto quelle comunità cristiane, cattoliche e non, che condividono lo stesso territorio (ci si ritrova insieme per pregare). A tutte le parrocchie viene consegnato un Sussidio per l’animazione quotidiana di quella Settimana, preparato dal Centro Ecumenico “Salvatore Manna”, della Basilica di san Nicola. Essa, da quanto si è detto, dovrebbe diventare una Settimana dove viene coinvolto tutto il nostro cuore cristiano; per questo dovrebbe rafforzarsi il desiderio di partecipare alla Veglia Ecumenica diocesana di preghiera per

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l’Unità, organizzata sempre in Basilica la domenica all’interno della Settimana. Sempre di più, inoltre, visto ciò che è stato vissuto il 7 luglio, l’ecumenismo della preghiera dovrebbe divenire apostolato ordinario, pensando soprattutto ai religiosi che vivono il carisma dell’orazione e che hanno sostenuto con intensità e sacrificio i lavori di quella giornata. Si potrebbero dedicare, nelle comunità religiose, come anche nelle parrocchie, delle giornate, a cadenza settimanale o mensile, alla preghiera per l’Unità dei cristiani e per la pace nel mondo.

4. Sinodalità Restringendo la riflessione su questo aspetto all’ambito ecumenico, il tentativo che si sta attuando in questi ultimi tempi è quello di mettere insieme i vari rappresentanti di Chiese per discutere e organizzare i vari momenti da condividere. Se, in precedenza, era soprattutto la Chiesa cattolica che preparava gli eventi, per poi invitare i rappresentanti delle altre Chiese, lo sforzo, adesso, è quello di organizzare insieme. Gli ultimi tre anni la Settimana di preghiera, ad esempio, è stata preparata in questo modo. Non sempre è facile e non tutte le Chiese partecipano, ma la direzione è stata presa. Il desiderio è che si possa formare in pianta stabile una Consulta delle Chiese di Bari, alla quale le Chiese ufficialmente aderiscono e portano il contributo per il prosieguo del cammino ecumenico. Lavorare insieme già contribuisce ad entrare in un clima di confidenza reciproca. 486 5. Attenzione al mondo Anche nell’ambito sociale la dimensione ecumenica subentra a pieno titolo, soprattutto a causa della pluralità e multietnicità della società in cui viviamo. Questo comporta, non di rado, che l’azione verso le situazioni del territorio incrocia persone appartenenti ad altre confessioni cristiane, come anche ad altre religioni. In questa direzione si pensi a tutte le persone incrociate dalla Caritas diocesa-


CONSIGLI DIOCESANI na o dalla Migrantes. Poiché l’attenzione è rivolta sempre all’essere umano, nella sua interezza, non si possono ignorare i bisogni religiosi che l’altro vive. Nel 2010 è stato pubblicato un opuscolo, “Le vie dell’accoglienza”, nel quale Caritas, Migrantes ed Ufficio Ecumenico hanno raccolto le diverse informazioni utili (assistenziali, legali, religiose, etc.) per le persone in necessità. La realtà del CARA di Bari sicuramente evidenzia una pluralità religiosa ed ecumenica che richiede una particolare attenzione e cura. L’Ufficio ecumenico è direttamente coinvolto per l’animazione della Giornata della Custodia del Creato. Essa, a livello mondiale, si celebra il primo settembre di ogni anno, data di inizio del calendario liturgico ortodosso, a motivo del forte impegno su questi temi del Patriarca Ecumenico di Costantinopoli (citato dallo stesso Papa Francesco nell’enciclica sul Creato Laudato si’). In diocesi la Giornata viene organizzata l’ultima domenica del mese di settembre, per permettere alle parrocchie di riprendere la vita ordinaria. Il 2018 ha visto, per la prima volta, la collaborazione con Ufficio Pastorale Sociale e Mondo del Lavoro per strutturare l’animazione della giornata e una piccola tavola rotonda sull’argomento. L’attenzione su questi temi, inoltre, permette collaborazioni anche con associazioni laiche che si impegnano per le stesse finalità. C’è da sottolineare che, successivamente all’evento del 7 luglio, la Fiera del Levante ha voluto concedere un padiglione alla diocesi per riprendere le tematiche quel giorno trattate e la vocazione ecumenica della città di Bari. Durante la Campionaria di settembre, dunque, è stato allestito questo padiglione nel quale permanentemente è stata esposta una mostra fotografica sull’incontro di Bari e, in tre giornate, si sono tenute conferenze. Tale padiglione sarà concesso anche nel corso dell’anno per altre manifestazioni. Questo a mostrare come anche il mondo laico abbia riscoperto il valore dato alla nostra città dalla presenza delle reliquie di san Nicola al fine di contribuire a cammini di unità e di pace.

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6. Le generazioni I giovani si sentono a loro agio nella pluralità, poiché sin dall’età scolare sono abituati a confrontarsi con persone che la pensano in maniera diversa, come anche che appartengono a fedi diverse. Del resto anche nel Sinodo dei Giovani si è affrontato questo argomento: «Proprio i giovani, che vivono quotidianamente a contatto con i loro coetanei di altre confessioni cristiane, religioni, convinzioni e culture, stimolano l’intera comunità cristiana a vivere l’ecumenismo e il dialogo interreligioso» (Documento del Sinodo, n. 126). In continuità con il cammino diocesano già intrapreso in questi ultimi anni, il percorso della “Tenda dell’incontro” si può allargare al confronto con i giovani delle altre Chiese, delle altre religioni e associazioni laiche di impegno sociale. In questo modo i giovani cattolici potrebbero trovare nuovo entusiasmo, apprezzare il bene che si compie al di fuori della Chiesa e approfondire i motivi della propria fede. La storia della nostra diocesi ci consegna anche il legame con la Comunità ecumenica di Taizé. Esso nasce dalla permanenza di frère Roger e di altri monaci, per una settimana, in Santa Scolastica, a Bari vecchia, nel 1978. Tale esperienza ha costituito una vera e propria comunità che ha curato annualmente i rapporti con Taizé, coinvolgendo nel tempo anche i giovani di diverse realtà parrocchiali. Per questo motivo, a quarant’anni dal passaggio di frère Roger, è venuto a Bari il suo successore, frère Alois, partecipando a una preghiera diocesana e trascorrendo una giornata con la comunità di Santa Scolastica. L’esperienza di Taizé, da custodire e coltivare nella pastorale diocesana anche per i motivi storici citati, coniuga la dimensione giovanile con quella ecumenica. 488 7. Lo Spirito Santo Lasciato per ultimo, nonostante nella vita della Chiesa sia il protagonista, è Colui che porterà avanti tutte le iniziative umane e ne proporrà di nuove e inaspettate. Già la Diocesi sa che si deve preparare ad ospitare, nel novembre del 2019, l’incontro dei Vescovi del Mediterraneo. La scelta di Bari per questo nuovo evento è legata,


CONSIGLI DIOCESANI certamente, a ciò che è accaduto il 7 luglio. Non si è a conoscenza se questo nuovo avvenimento avrà carattere ecumenico, tuttavia, ancora una volta, conferma il ruolo simbolico della nostra città come ponte di pace nel Mediterraneo. Che cosa la storia ci consegnerà ancora non ci è dato saperlo. Come Diocesi continuiamo a parci in ascolto di ciò che lo Spirito suggerisce alla nostra Chiesa, nel rispetto dell’identità e della vocazione che abbiamo ricevuto e nella fedeltà alla storia e ai segni dei tempi. sac. Alfredo Gabrielli vicedirettore dell’Ufficio diocesano per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso

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NELLA PACE DEL SIGNORE Don Ubaldo Aruanno

Il 13 novembre 2018 don Ubaldo Aruanno concludeva la sua vita terrena. Nato a Bari il 9 agosto 1933, è stato ordinato sacerdote il 15 luglio 1956. Ha vissuto il suo ministero sacerdotale in molti ambiti pastorali. Appena giovane sacerdote, è nominato vicario parrocchiale presso la Cattedrale di Bari, nella Bari Vecchia degli anni cinquanta, ancora abitata da molte famiglie e in cammino verso uno sviluppo postbellico. Svolgeva anche in Cattedrale il servizio di organista liturgico, avendo conseguito il diploma di pianoforte inferiore; infatti nei pontificali di mons. Enrico Nicodemo, arcivescovo di Bari, accompagnava il coro dei cantori formato dai seminaristi del Seminario Minore. Il 9 maggio 1975 viene nominato direttore dell’Ufficio Catechistico e della Scuola, dove introduce gradualmente l’inserimento dei laici nell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole; a Roma, partecipa ad alcuni gruppi di lavoro presso l’Ufficio della CEI, all’avvio dei catechismi per l’Iniziazione cristiana dei fanciulli. Il 1° luglio 1980 è nominato parroco della parrocchia di S. Giuseppe in Bari, facendosi apprezzare per la sua competenza liturgica e per l’attenzione rivolta ai gruppi dei fanciulli. Il 3 ottobre 1992 viene trasferito al Seminario Arcivescovile di Bari, come Padre spirituale; qui esprime le sue doti di educatore sensibile ed attento. Quindi, dal 30 settembre 1993, nominato direttore della Casa del

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Clero “Mons. Enrico Nicodemo”, vive questo servizio con attenzione all’accoglienza di sacerdoti e con apertura alle iniziative presbiterali e pastorali; tra l’altro, apporta anche dei miglioramenti alla stessa struttura della casa. Contemporaneamente a questo incarico, dal 27 settembre 1994, assume quello di pro-direttore dell’Ufficio Missionario Diocesano, diventandone poi direttore l’11 marzo 2003. Questo servizio alla Diocesi lo vede molto impegnato per una maggiore sensibilità missionaria nelle comunità parrocchiali; tra le varie iniziative, la Mostra missionaria diocesana (la prima viene allestita nella Sala Murat-Bari il 12 ottobre 2002) con affissione di manifesti nel territorio cittadino barese (anche sui taxi, a volte); guida il Movimento Giovanile Missionario, ora Missio Giovani (di cui è stato anche assistente regionale), istituisce nel 2002 il concorso missionario intitolato a don Franco Ricci, sacerdote diocesano “Fidei donum” ucciso in Etiopia, ricostituisce il Gruppo Presbiterale Missionario, promuove la celebrazione della Giornata di preghiera e digiuno per i Missionari Martiri (24 marzo), collabora al periodico socio-culturale e religioso “Talità Kum Notizie”, si impegna nella diffusione delle agende bibliche missionarie. Il 21 dicembre 2000, l’Arcivescovo lo nomina vicario episcopale per il vicariato territoriale Bitonto-Palo del Colle. In questo nuovo mandato, cerca con tutte le sue energie di realizzare una comunione di vita sacerdotale tra i presbiteri, di coordinare un lavoro pastorale in sintonia con il progetto pastorale diocesano e riorganizzare la vita aggregativa delle numerose confraternite ivi esistenti con incontri periodici di catechesi e di spiritualità. In quanto vicario territoriale, partecipa di diritto al Consiglio Presbiterale Diocesano e al Consiglio Pastorale Diocesano. Tutti questi incarichi non lo esimono dal guidare con affetto la sezione diocesana dell’Associazione “Familiari del Clero”, affidatagli dall’Arcivescovo fin dal 1995 come assistente spirituale; partecipa assiduamente agli incontri mensili, coinvolgendo sacerdoti giovani a tenere le catechesi. Infine, il 20 settembre 2008, gli è stata concessa dall’Arcivescovo la licenza abituale di proferire legittimamente esorcismi, ministero da lui esercitato fino alla sua morte. Come si può constatare, possiamo dire che praticamente don Ubaldo ha lavorato in parecchi settori della vita diocesana, nel periodo


NELLA PACE DEL SIGNORE del pre- e post-Concilio Vaticano II, attento ai cambiamenti e alle novità, ma senza venir mai meno ai fondamenti della vita cristiana e sacerdotale: un sacerdote, come ha detto qualcuno, sempre con la porta aperta per ascoltare e un cuore generoso per venire incontro a tanti fratelli bisognosi. Alla celebrazione delle esequie, presieduta dall’Arcivescovo in Cattedrale, oltre ad un centinaio di sacerdoti diocesani ed extra, hanno partecipato numerosi fedeli laici. «Vi chiedo – ha lasciato scritto – di celebrare i miei funerali nella Cattedrale di Bari e così deporre la mia bara nel presbiterio dove mi sono disteso il giorno della mia ordinazione presbiterale. Spero di morire in un tempo liturgico nel quale sia permesso celebrare la Messa in onore di Gesù Sommo ed Eterno Sacerdote, con la Preghiera Eucaristica IV, per ringraziare il Padre del dono del sacerdozio e di avermi scelto. Risparmiatevi ogni possibile riflessione sulla mia vita e sul mio operato, piuttosto cantate il sacerdozio e testimoniate la certezza che “Tuis fidelibus, Domine, vita mutatur non tollitur” e lasciate che parlino i cuori nel silenzio. Più tacerete e più vi sarò grato. Siatemi fratelli ed amici soprattutto in questo momento ed io pregherò il Padre perché la vostra vita sia migliore della mia… Gradirei, sempre che la liturgia del tempo lo permetta, cantaste l’Alleluia con la melodia della notte di Pasqua». Il nostro Presbiterio diocesano sta salutando, uno dopo l’altro, questi sacerdoti anziani che hanno dato fondamenta e radici alla nostra attività di evangelizzazione. Ma siamo certi che dal cielo, con la loro preghiera e intercessione, seguono la nostra vita e il nostro impegno sacerdotale. Il loro ricordo sarà per tutti noi motivo di benedizione e di lode al Signore.

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Don Vito Innocente D’Apolito

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Fare memoria di un sacerdote significa ringraziare Dio per il dono dell’ordine sacro, di quanto il Signore ha fatto attraverso i suoi ministri, e continuare a pregare perché mandi operai per la sua messe. Don Vito Innocente D’Apolito è nato a Sammichele di Bari il 5 settembre 1941 e ivi battezzato il 14 settembre 1941. Dapprima ha frequentato il Seminario Arcivescovile di Bari, quindi il Seminario Regionale a Molfetta, passando poi al Seminario Regionale di Verona. Ha ricevuto l’ordinazione presbiterale a Lanciano il 23 giugno 1968. Il suo ministero è iniziato come prefetto al Seminario Vescovile di Lanciano. Il 25 settembre 1969 è stato nominato vicario cooperatore a Gioia del Colle e il 21 settembre 1971 a Casamassima, in entrambi i casi nella Chiesa Madre. Il 15 giugno 1980 è divenuto parroco della parrocchia di San Vito Martire in Gioia del Colle. Nel suo ministero svolto nella semplicità e sobrietà di vita, ha soprattutto saputo coinvolgere la comunità parrocchiale nell’attenzione verso gli immigrati, provvedendo per loro ad una casa e a quant’altro potesse essere utile. Ha profuso sempre tanta benevolenza verso gli anziani e gli ammalati. Il 14 marzo del 1995 è stato trasferito all’Ospedale “Di Venere” in Bari-Carbonara, divenendo Cappellano Capo; qui si è prodigato molto verso i malati, con una assistenza assidua e giornaliera, scegliendo anche di abitarvi vicino alla Cappella dell’Ospedale, sempre pronto alle continue richieste. Per questo suo ministero veramente sacerdotale ha ricevuto stima e simpatia da parte di tutti. Inoltre, sempre da cappellano, molto ha contribuito perché l’ammalato non fosse dimenticato dalla comunità parrocchiale di appartenenza. Il 4 febbraio 2009, lascia l’Ospedale per motivi di salute e torna nel suo paese natale di Sammichele, presso la sua famiglia. Qui collabora con i parroci della medesima parrocchia. Per una grave malattia, ha dovuto ricoverarsi presso la Clinica Villa dei Pini in Cassano Murge; qui il 23 giugno 2018, in occasione dei suoi 50 anni di sacerdozio, l’Arcivescovo di Bari-Bitonto mons. Francesco Cacucci ha presieduto una concelebrazione eucaristica partecipata da molti fedeli.


NELLA PACE DEL SIGNORE Don Vito ha terminato questa vita terrena il 30 novembre 2018. Alla celebrazione eucaristica delle esequie, presieduta da Padre Arcivescovo, hanno partecipato diversi sacerdoti e numerosi fedeli. Possa presso il Signore intercedere per la sua famiglia, per noi e invocare vocazioni sacerdotali e religiose per la nostra diocesi.

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1-4 – Presso l’Oasi Beati Martiri Idruntini in Santa Cesarea Terme (Le), partecipa agli esercizi spirituali dei vescovi di Puglia. 5 – Al mattino, a Santa Cesarea Terme, partecipa ai lavori della Conferenza Episcopale Pugliese. 6 – Al pomeriggio, presso l’Aula sinodale in Bari, presiede l’inizio del percorso di formazione per operatori e volontari Caritas “Con tutto il Cuore…”. 7 – Al mattino, presso la parrocchia “S. Giovanni Evangelista” in Bitonto, celebra la S. Messa per la festa della Madonna del Rosario. – Alla sera, presso la parrocchia “Cuore Immacolato di Maria” in Bari, celebra la S. Messa per l’ingresso del nuovo parroco p. Vincenzo D’Angelo, R.C.J. 9 – Alla sera, presso la parrocchia “Natività di Nostro Signore” in Bari-Santo Spirito, Quartiere S. Pio, guida la catechesi per gli operatori pastorali. 10 – Alla sera, presso la Comunità dei Missionari Comboniani in Bari, celebra la S. Messa per la festa del fondatore san Daniele Comboni. 11 – Alla sera, presso la parrocchia “S. Pietro Apostolo” in Modugno, guida la catechesi sul tema pastorale dell’anno. 12 – Al mattino, presso l’Oasi “S. Maria” in Cassano Murge, partecipa al ritiro del clero diocesano. 13 – Alla sera, presso la parrocchia “S. Cecilia” in Bari, celebra la

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S. Messa e guida la catechesi comunitaria sul tema pastorale dell’anno. Al mattino, nella chiesa di S. Domenico in Bari, celebra la S. Messa per la festa della Madonna del Rosario. Alla sera, nella Basilica di S. Nicola, presiede la celebrazione eucaristica per il 25° anniversario dell’ordinazione sacerdotale di p. Cosimo Buccolieri, O.P. Alla sera, presso la parrocchia “S. Pietro Apostolo” in Modugno, celebra la S. Messa per il 45° anniversario della fondazione della parrocchia. Alla sera, presso il Liceo Scientifico “E. Amaldi” in Bitetto, tiene la relazione su “La popolarità dell’A.C.” alla Scuola Unitaria di A.C. Al pomeriggio, presso il Centro Pastorale Diocesano di Locri (RC), tiene una relazione su “Nei santi segni della liturgia la presenza del Risorto” agli operatori pastorali e ai membri dei movimenti ecclesiali della diocesi di Locri-Gerace. Ritiro spirituale al clero di Locri-Gerace. Alla sera, presso la sala teatro “E. Tentori” della parrocchia “Maria SS. Addolorata” in Bari, assiste alla rappresentazione teatrale “Il sogno di Giuseppe”. Al mattino, presso l’Oasi Francescana “De Lilla” in Bari, celebra la S. Messa per l’associazione “Scienza e Fede. Alla sera, presso la parrocchia “S. Maria del Monte Camelo”, presiede la Veglia Missionaria Diocesana. Al mattino, presso l’Abbazia benedettina di S. Scolastica in Bari, celebra la S. Messa per l’insediamento e la solenne benedizione abbaziale della nuova Madre Badessa Corpus Christi Beluchi, O.S.B. Alla sera, presso la Basilica dei Santi Medici in Bitonto, celebra la S. Messa per la festa esterna. Presso il Centro “La Pace” in Benevento, incontra gli amici di corso del Seminario di Posillipo. Alla sera, presso la parrocchia “SS. Salvatore” in Bari-Loseto, incontra l’assemblea parrocchiale sul tema pastorale dell’anno. Alla sera, presso la parrocchia “S. Maria del Carmine” in Sammichele di Bari, celebra la S. Messa per il conferimento


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del mandato agli operatori pastorali, e successivamente tiene la catechesi comunitaria. Al mattino, presso la Casa del clero in Bari, presiede la riunione del Consiglio Presbiterale Diocesano. Alla sera, nella chiesa di S. Giacomo in Bari, celebra la S. Messa in occasione del 50° anniversario della fondazione della Comunità di Sant’Egidio. Alla sera, presso la parrocchia “Santissimo Rosario” in Mola di Bari, celebra la S. Messa e partecipa alla cerimonia di inaugurazione del nuovo organo. Al mattino, presso la parrocchia “Beata Vergine Immacolata” in Bari, celebra la S. Messa e amministra le cresime. Alla sera, presso la parrocchia “S. Ottavio” in Modugno, celebra la S. Messa per l’ingresso del nuovo parroco p. Antonio Genziani, S.S.S. Alla sera, presso la parrocchia “SS. Sacramento” in Bitonto, celebra la S. Messa e guida la catechesi comunitaria.

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– Al mattino, presso la parrocchia “Ognissanti” in Valenzano, celebra la S. Messa per la solennità di Tutti i Santi, titolare della parrocchia. – Al mattino, sul sagrato della chiesa del Cimitero di Bari, celebra la S. Messa per la Commemorazione di tutti i fedeli defunti. – Alla sera, in Cattedrale, celebra la S. Messa. – Alla sera, presso la Casa sacerdotale Betania in Cassano delle Murge, incontra i sacerdoti del decennio. – Al mattino, presso il Sacrario dei Caduti d’Oltremare in Bari, nella giornata dell’Unità nazionale e delle forze armate, celebra la S. Messa per i caduti di tutte le guerre, presente la pre-

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sidente del Senato della Repubblica Maria Elisabetta Alberti Casellati. Alla sera, presso la parrocchia “S. Carlo Borromeo” in Bari, celebra la S. Messa per la festa del Titolare. Alla sera, presso la Casa del clero in Bari, presiede la riunione del Consiglio Pastorale Diocesano. Alla sera, presso la parrocchia “S. Maria delle Grazie” in Casamassima, celebra la S. Messa e guida la catechesi comunitaria. Alla sera, presso la parrocchia “S. Vito” in Palo del Colle, celebra la S. Messa e guida un incontro sul tema pastorale dell’anno. Alla sera, presso la parrocchia “S. Maria La Porta” in Palo del Colle, presiede l’Adorazione eucaristica e conferisce il mandato agli operatori pastorali. Al mattino, presso l’Oasi “S. Maria” in Cassano Murge, partecipa al ritiro spirituale del clero diocesano. Al mattino, presso la parrocchia “S. Nicola” in Adelfia Montrone, celebra la S. Messa per la festa del Patrono san Trifone. Alla sera, presso la parrocchia “S. Francesco d’Assisi” in Bari, celebra la S. Messa per il 50° anniversario della dedicazione della chiesa parrocchiale e in ringraziamento per la beatificazione di Madre Clelia Merloni, fondatrice delle Suore Apostole del Sacro Cuore di Gesù. Al mattino, presso la parrocchia della “Natività di Nostro Signore” in Bari-Santo Spirito, Quartiere San Pio, celebra la S. Messa per il 25° anniversario della dedicazione della chiesa. Al pomeriggio, presso il Nicolaus Hotel in Bari, celebra la S. Messa per il 17° Meeting regionale della Vita consacrata. Alla sera, presso la parrocchia “S. Ferdinando” in Bari, celebra la S. Messa nel ricordo di san Paolo VI. – A Roma, partecipa all’Assemblea generale straordinaria della CEI. Alla sera, presso la parrocchia “Santissimo Rosario” in Mola di Bari, guida la catechesi comunitaria sul tema pastorale dell’anno. Successivamente, presso l’Uci Showville in Bari, assiste al concerto Gen Rosso Life. Presso l’aula magna “Attilio Alto” del Politecnico di Bari, par-


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tecipa alla Giornata diocesana di formazione per gli operatori pastorali “La Porta Bella… La Comunità cristiana tra storia e profezia”. Al mattino, presso la Basilica dei Santi Medici in Bitonto, celebra la S. Messa per il 25° anniversario di fondazione dell’ “Opera Santi Medici Cosma e Damiano-Bitonto – Onlus”. Al pomeriggio, presso la parrocchia “S. Maria del Campo e della Pietà” in Bari-Ceglie, celebra la S. Messa e benedice l’affresco restaurato. Al pomeriggio, nell’aula magna “Mons. Enrico Nicodemo”, partecipa alla cerimonia di inaugurazione dell’ anno accademico 2018-2019 dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose Metropolitano “San Sabino”. Al mattino, in Cattedrale, celebra la S. Messa per la festa della “Virgo fidelis”, Patrona dell’Arma dei Carabinieri. Alla sera, presso la parrocchia “S. Paolo Apostolo” in Bari, guida la catechesi sul tema pastorale dell’anno. Al mattino, presso la Curia metropolitana, presiede l’incontro con i direttori degli Uffici di curia e i vicari zonali, e successivamente incontra il Collegio dei Consultori. Al pomeriggio, presso la parrocchia “Spirito Santo” in BariSanto Spirito, incontra gli operatori pastorali sul tema dell’anno. Al mattino, presso l’aula magna “Mons. Enrico Nicodemo” dell’Istituto di Teologia Ecumenica “San Nicola”, partecipa al convegno sul 50° anniversario della Costituzione “Basilicae Nicolaitanae” del Pontefice Paolo VI. Al pomeriggio, nella cappella maggiore del Pontificio Seminario Romano, celebra la S. Messa e conferisce i ministeri del Lettorato e dell’Accolitato. Al pomeriggio, presso il Pontificio Seminario Regionale Pio XI in Molfetta, incontra i seminaristi di teologia. Alla sera, presso la parrocchia “S. Marcello” in Bari, incontra i genitori e i padrini dei cresimandi. Alla sera, presso la parrocchia “S. Giuseppe Moscati” in Trig-

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giano, celebra la S. Messa e guida la catechesi sul tema pastorale dell’anno. 29 – Al mattino, presso l’aula magna dell’Università degli studi di Bari, interviene al convegno “Città per la vita” sulla pena di morte. – Alla sera, presso la parrocchia “Preziosissimo Sangue in S. Rocco”, celebra la S. Messa alla presenza delle reliquie di santa Maria De Mattias, fondatrice delle Suore Adoratrici del Sangue di Cristo. 30 – Alla sera, presso la parrocchia “S. Andrea” in Bari, celebra la S. Messa per la festa del Titolare.

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– Alla sera, presso il Monastero di S. Teresa Nuova in Bari, celebra la S. Messa per il 70° anniversario della morte della Serva di Dio madre Teresa di Gesù (Gimma), O.C.D. – Al mattino, presso la parrocchia “S. Benedetto” in Bari, celebra la S. Messa e benedice la croce restaurata. – Al pomeriggio, presso la parrocchia “S. Maria del Carmine” in Sammichele di Bari, celebra le esequie di don Vito Innocente D’Apolito. – Alla sera, presso la parrocchia “S. Michele Arcangelo” in BariPalese, celebra la S. Messa in suffragio di don Luigi Minerva e assiste un concerto. – Alla sera, presso il cinema “Il Piccolo” in Bari-Santo Spirito, guida la lettura del film Roma di Alfonso Cuarón. – Al mattino, in Cattedrale, celebra la S. Messa per la festa di santa Barbara, patrona dei Vigili del Fuoco e del Corpo della Marina Militare. – Alla sera, nella chiesa di S. Giacomo in Bari, presiede l’incontro con la Caritas diocesana e le tre Fondazioni sul messaggio del Papa per la Giornata mondiale dei poveri. – Alla sera, presso la parrocchia “S. Giuseppe” in Palo del Colle, celebra la S. Messa e guida la catechesi comunitaria sul tema pastorale dell’anno. – Al pomeriggio, nella Basilica di S. Nicola, concelebra la S.


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Messa con S.Em. il card. Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità, per la solennità del Santo Patrono. Al mattino, nella parrocchia Concattedrale “Maria SS. Assunta” in Bitonto, celebra la S. Messa per la festa dell’Immacolata. Alla sera, presso la parrocchia “S. Maria Assunta” in Grumo Appula, celebra la S. Messa e assiste alla cerimonia del tesseramento dei soci di A.C. Al mattino, presso l’Istituto Margherita in Bari, guida il ritiro all’USMI diocesana. Alla sera, presso la parrocchia “S. Ferdinando” in Bari, guida la catechesi sul tema pastorale dell’anno. Al mattino, presso il Pontificio Seminario Regionale Pio XI in Molfetta, partecipa ai lavori della Conferenza Episcopale Pugliese. Al mattino, presso la sede di Bari-Mungivacca dell’Aeronautica Militare, celebra la S. Messa per la festa della Madonna di Loreto, Patrona dell’Arma. Al mattino, nella sala “Odegitria” della Cattedrale, partecipa al convegno “Società e Chiesa barese dalla Controriforma all’età moderna” nel quarto centenario della nascita di mons. Tommaso Maria Ruffo, O.P., Arcivescovo di Bari. Al pomeriggio, presso la sede delle Poste in via Amendola, presiede l’incontro di preghiera con il personale, in preparazione al Santo Natale. Al pomeriggio, presso la sede della Società San Paolo in Bari, partecipa alla cerimonia di consegna da parte del Circolo delle Comunicazioni Sociali “Vito Maurogiovanni” del premio “Testimone di Verità” 2018 al prof. Francesco Bellino. Al mattino, presso l’Oasi S. Maria in Cassano Murge, partecipa al ritiro del clero diocesano. Alla sera, presso la sede della Polizia Urbana di Bari, partecipa alla serata nicolaiana. Al mattino, presso la Camera di Commercio in Bari, porta il saluto al convegno “Donna: salute e lavoro”. Al pomeriggio, presso l’Istituto Preziosissimo Sangue in Bari, inaugura il presepe vivente.

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– Alla sera, presso il Santuario “Madonna del Pozzo” in Capurso, celebra la S. Messa e assiste alla “svelatio” dell’affresco restaurato. – Al mattino, presso la parrocchia “S. Leone Magno” in Bitonto, celebra la S. Messa e conferisce il mandato ai catechisti. – Al pomeriggio, in Cattedrale, celebra la S. Messa per i dipendenti dell’Acquedotto Pugliese, in preparazione al Santo Natale. – Al mattino, presso l’Ospedale Oncologico “Giovanni Paolo II” in Bari, celebra la S. Messa in preparazione al Natale per i degenti e il personale medico e paramedico. Successivamente, presso la Direzione regionale INPS, guida un momento di preghiera in preparazione alle festività natalizie. – Al pomeriggio, in Cattedrale, incontra i ragazzi dei Centri diurni della Città, con la guida delle Suore Francescane Alcantarine. – Alla sera, nella Basilica di S. Nicola, assiste alla cerimonia di donazione del violino costruito e donato alla Basilica dal maestro liutaio Emanuele Fabio Fortunato, e assiste al concerto. – Al mattino, presso il Pontificio Seminario Regionale Pio XI in Molfetta, partecipa alla cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico della Facoltà Teologica Pugliese, presente S. Em. il card. Gualtiero Bassetti, Presidente della CEI, che tiene la Prolusione ufficiale. – Al pomeriggio, presso il Liceo Scientifico Arcangelo Scacchi in Bari, scambia gli auguri natalizi con docenti e studenti. – Alla sera, presso la sede del Rotary Club, incontra i soci in occasione del Natale. – Al mattino, nella chiesa di S. Chiara in Bari, celebra la S. Messa in occasione del Natale per i dipendenti della Soprintendenza dei Beni Culturali. Successivamente, presso l’Ospedale “Mater Dei”, celebra la S. Messa in preparazione al Santo Natale per i degenti e il personale sanitario. – Alla sera, nella Basilica di S. Nicola, partecipa con S.Em. Hilarion Alfeev, Metropolita di Volokolamsk, alla presentazione del volume curato dal Patriarcato di Mosca sulla traslazione della reliquia di S. Nicola a Mosca e San Pietroburgo, e successivamente assiste al concerto in esecuzione di brani di S.Em. Hilarion.


DIARIO DELL’ARCIVESCOVO 20 – Al mattino, presso la Curia arcivescovile, incontra il personale e i collaboratori di Curia per gli auguri natalizi. – Al pomeriggio, presso la Fiera del Levante in Bari, partecipa alla chiusura del Villaggio Nicolaiano. 21 – Al mattino, presso la parrocchia “SS. Redentore” in Bari, celebra la S. Messa per la Polizia di Stato. – Al pomeriggio, presso la Casa circondariale di Bari, celebra la S. Messa in preparazione al Natale per i detenuti e il personale carcerario. – Alla sera, presso la parrocchia “S. Maria Assunta” in Sannicandro di Bari, visita i presepi dell’Istituto Compren-sivo Don Bosco. Successivamente, presso la parrocchia “Maria SS.ma del Carmine”, celebra la S. Messa per il 60° anniversario della parrocchia. 23 – Al mattino, nella Concattedrale Gran Madre di Dio in Taranto, concelebra con l’arcivescovo mons. Filippo Santoro e i vescovi pugliesi la S. Messa presieduta da S.Em. il card. Pietro Parolin, Segretario di Stato, in occasione del cinquantesimo anniversario della visita di Papa Paolo VI all’acciaieria Italsider e alla città di Taranto. 24 – Alla sera, in Cattedrale, celebra la S. Messa della Notte di Natale. 25 – Al mattino, nella Concattedrale di Bitonto, celebra la S. Messa del Giorno di Natale. 26 – Al mattino, in Cattedrale, celebra la S. Messa per l’ordinazione diaconale degli accoliti Giacomo Giuseppe Capozzi, Tommaso Genchi e Nicolino Antonio Sicolo. – Alla sera, nella Casa della Carità “S. Vincenzo de Paoli” in Palo del Colle, celebra la S. Messa. 30 – Al mattino, presso la parrocchia “Trasfigurazione” in Bitritto, celebra la S. Messa.

505



D OCUMENTI

DELLA

C HIESA U NIVERSALE

MAGISTERO INDICE PGONTIFICIO ENERALE Indice generale dell’annata 2018

DOCUMENTI DELLA CHIESA UNIVERSALE L’incontro ecumenico di preghiera con Papa Francesco “Su di te sia pace”. Cristiani insieme per il Medio Oriente (Bari, 7 luglio 2018) Papa Francesco e i Capi di Chiese del Medio Oriente a Bari

231

Monizione introduttiva del Santo Padre all’incontro di preghiera (Rotonda sul Lungomare di Bari)

240

Discorso a conclusione dell’incontro con i Patriarchi e i capi delle Chiese del Medio Oriente (Sagrato della Basilica di S. Nicola)

243

MAGISTERO PONTIFICIO Messaggio per la XXXIII Giornata mondiale della gioventù

7

Motu proprio “Imparare a congedarsi”

15

507

Discorso e Omelia nella S. Messa per il 25°anniversario della morte del Servo di Dio Mons. Tonino Bello (Alessano-Molfetta, 20 aprile 2018)

151

Discorso alla 71a Assemblea generale della CEI (21 maggio 2018)

159

Annuncio dell’Incontro ecumenico di preghiera “Su di te sia pace” del 7 luglio 2018 (Sala Stampa Vaticana, 25 aprile 2018)

163

Lettera al Popolo di Dio

247

Discorso nella Veglia di preghiera con i giovani italiani in preparazione al Sinodo dei vescovi (Roma, Circo Massimo, 11 agosto 2018)

253

Messaggio per la Giornata mondiale della pace

319


Lettera a S.Ecc. Mons. Francesco Cacucci, Arcivescovo di Bari-Bitonto, in occasione del 50.mo anniversario dell’elevazione della Basilica di San Nicola di Bari a “Basilica Pontificia”

325

DOCUMENTI DELLA SANTA SEDE Congregazione per le cause dei santi Decreto di venerabilità del Servo di Dio don Ambrogio Grittani Commento al Decreto di venerabilità

19 24

DOCUMENTI DELLA CHIESA ITALIANA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA Comunicato finale dei lavori della 71a Assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana (Roma, 21-24 maggio 2018)

165

Comunicato finale dei lavori della 72a Assemblea generale (Roma, 12-15 novembre 2018)

327

Nomine

175, 257

Consiglio Permanente Comunicato finale dei lavori della sessione invernale (Roma, 22-24 gennaio 2018)

27

Commissione Episcopale per i problemi sociali, il lavoro, la giustizia e la pace Messaggio per la 68a Giornata nazionale del Ringraziamento

259

FACOLTÀ TEOLOGICA PUGLIESE Inaugurazione dell’anno accademico 2018-2019 della Facoltà Teologica Pugliese (Molfetta, 18 dicembre 2018) Saluto del Gran Cancelliere mons. Francesco Cacucci Relazione del Preside, prof. Angelo Panzetta Prolusione di S.Em. il card. Gualtiero Bassetti, Presidente CEI La pace del Mediterraneo. Vocazione e missione di una Chiesa mediterranea

508

335 338 346

DOCUMENTI E VITA DELLA CHIESA DI BARI-BITONTO S.E. Mons. Francesco Cacucci confermato da S.S. Papa Francesco al governo dell’Arcidiocesi per due anni

177

MAGISTERO E ATTI DELL’ARCIVESCOVO Di generazione in generazione. Giovani e famiglia. Anno pastorale 2017-2018

35

Decreti relativi al passaggio di potestà giurisdizionale della parrocchia “San Giovanni Crisostomo” in Bari

67

“Dammi un cuore che ascolta”: omelia della S. Messa celebrata


INDICE GENERALE al Convegno nazionale per le vocazioni della CEI (Roma, 5 gennaio 2018)

71

“Peccato e misericordia nella vita del sacerdote”: catechesi all’incontro dei Missionari della Misericordia (Roma, 9 aprile 2018)

179

Messaggio dell’Arcivescovo per l’incontro di preghiera del 7 luglio 2018 (Bari, 16 giugno 2018)

185

“Fede e profezia in Aldo Moro” (Bologna, 13 agosto 2018)

267

La Chiesa tra realtà e sogno. Anno pastorale 2018-2019

355

Decreto di attribuzione delle somme derivanti dall’8 per mille IRPEF

397

PONTIFICIA BASILICA S. NICOLA La presentazione del volume sulla Traslazione della reliquia di san Nicola in Russia (19 dicembre 2018) Prefazione del Metropolita Hilarion di Volokolamsk Prefazione dell’Arcivescovo di Bari-Bitonto mons. Francesco Cacucci Due Chiese fanno memoria comune

401 405 409

Omelia di S.Em. il card. Pietro Parolin, Segretario di Stato, nella Messa della Solennità liturgica di San Nicola

413

CURIA METROPOLITANA L’Assemblea-convegno diocesana del 15 settembre 2018

263

La Giornata unitaria di formazione per gli operatori pastorali: “la Porta Bella… La comunità cristiana tra storia e profezia” (Bari, 17 novembre 2018)

423

Vicariato generale Visite ai vicariati zonali 2018

75

Cancelleria Sacre ordinazioni e decreti 79, 187, 275

429

Settore Presbiteri. Ufficio Presbiteri La settimana di formazione dei sacerdoti a Genova

189

Settore Diaconato permanente e ministeri istituiti Relazione sulle attività della scuola per il Diaconato permanente e i ministeri istituiti per l’anno 2017-2018

193

Settore Laicato. Ufficio Laicato Assemblea diocesana del Laicato “Verso il Sinodo dei giovani (ottobre 2018): i giovani, la fede e il discernimento vocazionale”: “La forza trasformatrice della carità”: relazione di don Vito Piccinonna, direttore Caritas (Bari, 5 marzo 2018)

89

Assemblea diocesana del Laicato del 30 novembre 2018

509


“Erano perseveranti nell’insegnamento degli Apostoli”: relazione di don Tonino Trigiani, del Movimento dei Focolari

453

Settore Evangelizzazione. Ufficio Catechistico Incontri di formazione per catechisti e operatori pastorali (8-9 ottobre 2018) L’iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi tra sfide e prospettive: relazione di fratel Enzo Biemmi, Congregazione dei Fratelli della Sacra Famiglia

436

Settore Evangelizzazione. Ufficio Missionario Cerimonia di premiazione del concorso “Don Franco Ricci” – XVI edizione 2017

237

Settore Evangelizzazione. Ufficio per la pastorale della Famiglia “Di generazione in generazione. giovani e famiglia”: un anno di dialogo e impegno

197

Ufficio di Pastorale giovanile L’incontro e il cammino

277

Settore Carità. Ufficio Caritas “La carità che accade sulla nostra terra”: relazione di don Vito Piccinonna, direttore Caritas (Bari, 28 febbraio 2018) La nuova opera segno della Caritas diocesana “Ain Karem”

83 201

Settore Carità. Ufficio per la pastorale della salute “Portare la Chiesa ai malati e far sentire Chiesa i malati”: relazione sulla celebrazione della XXVI GMM nell’arcidiocesi

203

Uffici: Liturgico, Arte sacra-Museo-Musica sacra Notti sacre 2018: “Di generazione in generazione”

283

433

CONSIGLI DIOCESANI Consiglio Presbiterale Diocesano Verbale della riunione del 23 febbraio 2018 Verbale della riunione del 19 aprile 2018 Verbale della riunione del 26 ottobre 2018

510

Consiglio Pastorale Diocesano Verbale della riunione del 10 maggio 2017 Decreto di rinnovo del Consiglio Pastorale diocesano per il quinquennio 2018-2023 e Allegato al decreto Verbale della riunione del 22 marzo 2018 Verbale della riunione del 5 novembre 2018 Allegato: “L’evento del 7 luglio 2018: ripercussioni e prospettive per la pastorale diocesana”

95 287 463 101 111 293 469 475

ISTITUTO DI TEOLOGIA ECUMENICA “S. NICOLA” Convegno di studi su “La Basilica Pontificia di San Nicola nelle Costituzioni Apostoliche dei Sommi Pontefici” nel 50° anniversario (1968-2018) della costituzione apostolica Basilicae Nicolaianae (Bari, 24 novembre 2018)

419

PUBBLICAZIONI

119, 297


INDICE GENERALE NELLA PACE DEL SIGNORE Don Giuseppe Spano Don Franco Vitucci Don Nicola Pascazio Don Ubaldo Aruanno Don Vito Innocente D’Apolito

127 129 131 491 494

DIARIO DELL’ARCIVESCOVO Gennaio 2018 Febbraio 2018 Marzo 2018 Aprile 2018 Maggio 2018 Giugno 2018 Luglio 2018 Agosto 2018 Settembre 2018 Ottobre 2018 Novembre 2018 Dicembre 2018

133 135 137 215 218 221 303 305 306 497 499 502

511


Finito di stampare nel mese di marzo 2019 da Ecumenica Editrice scrl - Bari


4-2018

BOLLETTINO DIOCESANO

l’Odegitria

Anno XCIV n. 4

Ottobre - Novembre - Dicembre 2018


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