Judicium 1:2018

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Massimo Fabiani

fallite e iii) quando un soggetto sia titolare di una impresa individuale e sia anche socio illimitatamente responsabile di una o più società fallite89. Lasciando stare per il momento questa fattispecie peculiare del rapporto sociosocietà, v’è da chiedersi se, invece, il legislatore non abbia voluto, proprio per economia processuale, evitare che il giudice si trovi a dover indagare sulla questione di competenza, preferendo affidarsi ad un criterio di semplicità90: se più giudici si sono ritenuti competenti ciò è dovuto all’esistenza di un rapporto di collegamento fra sede ed ufficio giudiziario, perché ad esempio un Tribunale corrisponde a quello della sede legale e altro a quello della sede principale. In tal caso si preferisce che la procedura prosegua davanti al Tribunale che si è pronunciato per primo, anche se non competente e ciò per effetto di un tacito accordo fra uffici, con il secondo che rinuncia a far valere la propria competenza91. Quando, invece, ci si trova al cospetto di un abuso nell’individuazione del giudice competente (nel senso che il primo si sarebbe “appropriato” di una competenza che non ha), sì che il secondo giudice intende rivendicare la propria competenza, ecco che il vizio può essere rimosso ad iniziativa del secondo giudice che può proporre regolamento di competenza. Quindi la regola sul conflitto non si applica soltanto quando vi sono più Tribunali egualmente competenti ma anche quando competente sarebbe il secondo giudice, ma rinuncia ad attivare il regolamento d’ufficio92. In applicazione di questa regola, il Tribunale che ha dichiarato il fallimento in un momento successivo, se ritiene di non contestare il criterio di priorità temporale, e quindi «se non richiede d’ufficio il regolamento di competenza ai sensi dell’art. 45 del codice di procedura civile, dispone la trasmissione degli atti al tribunale che pronunziato per primo» (art. 9-ter l. fall.). Questo provvedimento sembra avere, a prima lettura, un contenuto meramente ordinatorio, ma a ben vedere assume un rilievo assai peculiare posto che è come se il secondo giudice, almeno per taluni aspetti, revocasse la propria sentenza di fallimento. Nella dichiarata prospettiva di semplificare le questioni processuali di competenza si potrebbe essere indotti a concludere che il provvedimento non è impugnabile, ma se si guarda alla sostanza della decisione ci si avvede che le conseguenze possono essere molteplici e tali da comprimere o sopprimere diritti (quesiti?) delle parti. Si può pensare al diritto del contraente in bonis di vedere attuato ed eseguito il contratto per effetto della scelta del curatore del secondo fallimento di

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Zanichelli, La nuova disciplina del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Milanofiori-Assago, 2008, 26; De Santis, Il processo per la dichiarazione di fallimento, cit., 60; Vanzetti, sub artt. 9-9 ter, cit., 212. 90 Plenteda, Profili processuali del fallimento dopo la riforma, cit., 39. 91 Celentano, sub artt. 9-9 ter, cit., 122. 92 Cass. 17 aprile 2013, n. 9323, in Fallimento, 2013, 1453, ha stabilito che «la risoluzione del conflitto positivo di competenza tra due tribunali fallimentari e la conseguente individuazione, quale giudice competente, di un tribunale diverso da quello che per primo ha dichiarato il fallimento non comporta la cassazione della relativa sentenza e la caducazione degli effetti sostanziali della prima declaratoria di fallimento, ma solo la prosecuzione del procedimento avanti al tribunale ritenuto competente con le sole modifiche necessarie od opportune (sostituzione del giudice delegato e del curatore), tenuto conto del principio della unitarietà del procedimento fallimentare a far tempo dalla pronuncia del giudice incompetente».

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