Judicium 4/2020

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ISSN 2532-3083

Judicium n. 4/2020

il processo civile in Italia e in Europa

Rivista trimestrale

dicembre 2020

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Diretta da: B. Sassani • F. Auletta • A. Panzarola • S. Barona Vilar • P. Biavati • A. Cabral • G. Califano D. Dalfino • M. De Cristofaro • G. Della Pietra • F. Ghirga • A. Gidi • M. Giorgetti • A. Giussani G. Impagnatiello • G. Miccolis • M. Ortells Ramos • F. Santangeli • R. Tiscini

In evidenza: Intelligenza artificiale e processo civile Filomena Santagada

L’annullamento del contratto in via di eccezione Massimo CIrulli

La tutela sommaria quale strumento di semplificazione del sistema giurisdizionale(?) Francesco De Ritis

La natura giuridica delle federazioni sportive ed il loro ruolo nell’elenco Istat Piero Sandulli

La questione di integrità del contraddittorio nel regolamento di competenza necessario Alessandro D’Angelis

Le sezioni unite (finalmente) fanno il punto sull’onere della mediazione nel giudizio di opposizionea decreto ingiuntivo Margherita Pagnotta


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Indice

Saggi Filomena Santagada, Intelligenza artificiale e processo civile................................................................. p. 467 Massimo Cirulli L’annullamento del contratto in via di eccezione..........................................................» 497 Francesco De Ritis, La tutela sommaria quale strumento di semplificazione del sistema giurisdizionale(?)...................................................................................................................» 519 Piero Sandulli, La natura giuridica delle federazioni sportive ed il loro ruolo nell’elenco Istat............» 553 Giurisprudenza commentata Corte di cassazione, ordinanza 12 marzo 2020, n. 7055 con nota di Alessandro D’Angelis, La questione di integrità del contraddittorio nel regolamento di competenza necessario.........................» 569 Corte di cassazione, sezioni unite civili, sent. 18 settembre 2020, n. 19596 con nota di Margherita Pagnotta, Le sezioni unite (finalmente) fanno il punto sull’onere della mediazione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo..............................................................................................................» 595


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Saggi



Filomena Santagada

Intelligenza artificiale e processo civile Sommario : 1. Introduzione. – 2. Che cos’è l’intelligenza artificiale? – 3. L’intelligenza artificiale nel processo: nella fase istruttoria. – 3.1. Segue: … nella fase decisoria. – 3.2. Segue: gli algoritmi predittivi. – 3.3. Segue: … le criticità connesse al loro utilizzo. – 4. Conclusioni

Il saggio ripercorre le tappe evolutive salienti dell’intelligenza artificiale (IA), ne offre una definizione e da essa prende le mosse per verificare, sulla base di un’analisi costi-benefici, i possibili utilizzi nel processo civile – quale ausilio al giudice in un segmento della sua attività ovvero in sua sostituzione, come “agente decisionale” – avendo riguardo alla compatibilità con i principi che regolano la giurisdizione e all’impatto sui diritti fondamentali. The essay analyses the main steps in the development of artificial intelligence (AI) and proposes a definition thereof, which is adopted as a starting point in order to check, on the basis of a cost-benefit approach, its possible uses in the context of the civil process – as a support to the judge in her activity or as a replacement of the judge in her function of decision-making agent –, taking into account both the compatibility with the principles regulating jurisdiction and the impact on fundamental rights.

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1. Introduzione. In un mondo in cui l’intelligenza artificiale (IA)1 non è più confinata alla letteratura o alla rappresentazione teatrale o cinematografica, ma è diventata sempre più parte integrante della nostra vita quotidiana2 tanto da apparire ormai una necessità3 e non una mera opzione4, anche il processualcivilista deve interrogarsi su quale incidenza, in un futuro ormai prossimo, essa potrà avere sul processo5. Che il problema non appartenga al futuribile ma sia dietro l’angolo lo testimonia il fatto che la più prestigiosa società scientifica nazionale, l’Accademia dei Lincei, ha già da qualche tempo dedicato un convegno multidisciplinare alla decisione robotica6, per verificarne la concreta realizzabilità nell’attuale cornice normativa7, e che la Commissione Europea per l’Efficienza della Giustizia (CEPEJ) – istituita nel 2002 su iniziativa del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa con lo scopo di monitorare e misurare la qualità dei sistemi giudiziari dei Paesi membri – ha già adottato, a dicembre del 2018, una Carta etica europea sull’utilizzo dell’IA nei sistemi giudiziari e negli ambiti connessi8, nella quale sono indicati i principi fondamentali che devono orientare l’attività degli operatori pubblici e privati che, a vario titolo, sono impegnati nello studio, nell’elaborazione e applicazione di strumenti di IA

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Secondo Mello, Intelligenza artificiale, in Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede. Cultura scientifica, filosofia e teologia, Roma, 2002, § 1, l’espressione IA è contradditoria, è un ossimoro, poiché attribuisce la qualifica artificiale alla parola intelligenza, spesso ritenuta, invece, una prerogativa distintiva e naturale dell’uomo. Su tali aspetti, per maggiori approfondimenti, si rimanda all’analisi di Celotto, Come regolare gli algoritmi. Il difficile bilanciamento fra scienza, etica e diritto, in AGE, 2019, 47; Amoroso-Tamburrini, I sistemi robotici ad autonomia crescente tra etica e diritto: quale ruolo per il controllo umano?, in BioLaw Journal, 1/2019, 33 ss.; Frattari, Robotica e responsabilità da algoritmo. Il processo di produzione dell’intelligenza artificiale, in Contratto e impresa, 2020, 458 ss.; Finocchiaro, Intelligenza artificiale e responsabilità, ivi, 2020, 713; Lagioia-Sartor, L’intelligenza artificiale per i diritti dei cittadini: il progetto Claudette, in Ragion pratica, 2020, 88 s. E ciò per la maturità tecnologica raggiunta sia nel calcolo computazionale, sia nella capacità di analisi in tempi brevissimi di enormi quantità di dati di qualsiasi forma. Su tale aspetto v. Balkin, The Three Laws of Robotics in the Age of Big Data, Ohio State Law Journal, 2017, 78, 1217, secondo cui quella attuale è una società algocratica, nella quale sono algoritmi e intelligenza artificiale a prendere le decisioni. In termini v. Bifulco, Intelligenza Artificiale, internet e ordine spontaneo, in Pizzetti (a cura di), Intelligenza artificiale, protezione dei dati personali e regolazione, Torino, 2018, 383 s.; Ciferri-Beltrametti-Floridi-Trivellato, Intelligenza artificiale come nuovo fattore di crescita (Ricerca realizzata per Aspen Institute), 2017, 3 e 6 del dattiloscritto; Di Caro, Pensare ex machina: Alan Turing alla prova, Roma, 2016, 10; nonché, da ultimo, Italiano, Le sfide interdisciplinari dell’intelligenza artificiale, in AGE, 2019, 9. In realtà il problema si era già posto in passato, in concomitanza con i primi progressi in tema di IA e robotica; era stata infatti segnalata la necessità di “esaminare, in termini generali, la questione dell’applicabilità dei moderni ritrovati della tecnica elettronica al processo giudiziario”: così Persico, Elettronica, cibernetica e processo (dal verbale magnetico al massimario automatico), in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1965, 1727. Sulla “giustizia digitale” come realtà già penetrata in alcuni sistemi nel funzionamento della macchina giurisdizionale (si pensi, ad esempio, agli algoritmi in grado di fare il risk assessment per decidere se un soggetto deve essere o meno mantenuto in stato di custodia cautelare) v. amplius Garapon-Lassègue, Justice digitale. Révolution graphique et rupture anthropologique, Paris, 2018, per i quali, peraltro, la giustizia è forse l’ultimo avamposto non ancora sfruttato per l’espansione tecnologica (91). In generale, sull’impatto delle nuove tecnologie sul processo, v. Dondi, Processo civile, new technologies e implicazioni etico-professionali, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2019, 874 ss. Si tratta in particolare del terzo dei Seminari “Leibniz” per la teoria e la logica del diritto, organizzato il 5 luglio 2018. Per una sintesi dei lavori del Convegno si rimanda a Moccheggiani, Algoritmi e diritto: i nuovi orizzonti (più o meno rassicuranti) della decisione robotica, in http://www.forumcostituzionale.it/wordpress/wp-content/uploads/2018/10/mocchegiani.pdf; e Mattera, Decisione negoziale e giudiziale: quale spazio per la robotica?, in Nuova giur. civ. comm., 2019, 198 ss.; v. inoltre i relativi atti pubblicati nel volume Carleo (a cura di), Decisione robotica, Bologna, 2019. V. la Carta etica europea per l’uso dell’intelligenza artificiale nei sistemi giudiziari e nei relativi ambienti, predisposta dalla Commissione europea per l’efficacia della giustizia, in https://rm.coe.int/carta-etica-europea-sull-utilizzo-dell-intelligenza-artificialenei-si/1680993348.

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basati sul trattamento di decisioni e dati giudiziari, nonché dei legislatori, al fine di accrescere l’efficienza complessiva dei sistemi giuridici e di rafforzare l’efficacia della giustizia. All’interrogativo sopra formulato si potrebbe semplicisticamente rispondere che l’IA resterà ai margini del fenomeno processuale, favorirà al più una razionalizzazione nell’impiego delle risorse, ma non sostituirà mai il giudice nel decidere la causa, in virtù del principio che ispira gli attuali ordinamenti giuridici secondo cui le decisioni sono prese dagli uomini9 e non possono essere delegate integralmente a una “macchina”. Eppure, due rilievi sono in grado di mettere quantomeno in dubbio la perentorietà di quest’affermazione: (i) la definizione di IA tratta da una voce enciclopedica10, intesa – a seconda dei contesti – come “la scienza della produzione di macchine e sistemi volti all’esecuzione di compiti che, qualora realizzati da esseri umani, richiederebbero l’uso di intelligenza per risolvere problemi di apprendimento e conoscenza, di ragionamento e pianificazione”11, ovvero come “la capacità di un computer o di un robot di eseguire compiti tradizionalmente eseguiti da esseri intelligenti”12; e (ii) il riconoscimento nell’ambito del Regolamento 2016/679/UE della legittimità, seppur a talune rigorose condizioni, di processi decisionali automatizzati (art. 22), cioè basati esclusivamente sull’applicazione di algoritmi e senza l’intervento di un uomo13; circostanza, quest’ultima, che ci impone di considerare l’avvento dell’IA nel fenomeno processuale non alla stregua di una distopia o di un capitolo della fantascienza14, ma come una mutazione già in corso, alla quale non è possibile resistere15.

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Così Bifulco, Intelligenza Artificiale, cit., 384. Si segnala peraltro che non si riscontra una convergenza definitoria: non esiste, infatti, una nozione, normativa o scientifica, di IA che possa dirsi convenzionalmente condivisa. Une definizione ulteriore rispetto a quella riportata nel testo è rinvenibile in Aa.Vv., Artificial Intelligence and life in 2030 (AI100), Stanford University, accessed August 1, 2016, https://ai100.stanford.edu, 4: “Artificial Intelligence (AI) is a science and a set of computational technologies that are inspired by – but typically operate quite differently from – the ways people use their nervous systems and bodies to sense, learn, reason, and take action”. Ve ne sono molte altre che si sono succedute negli anni, ciascuna diversa a seconda della prevalenza data all’uno o all’altro dei quattro elementi distintivi del fenomeno: “thinking humanly, acting humanly, thinking rationally, acting rationally” (Russel-Norvig, Artificial Intelligence: A modern approach, Pearson, 2016, 2). Da ultimo, una recente comunicazione della Commissione Europea indica l’IA come l’insieme dei sistemi che mostrano un comportamento intelligente analizzando il proprio ambiente e compiendo azioni, con un certo grado di autonomia, per raggiungere specifici obiettivi (COM/2018/237 final, Communication from the Commission to the European Parliament, the European Council, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions Artificial Intelligence for Europe 2018, 1). 11 In termini, cfr. Pagallo, Intelligenza artificiale e diritto. Linee guida per un oculato intervento normativo, in Sistemi intelligenti, 2017, 615; sostanzialmente negli stessi termini cfr. Barbato, Intelligenza. Intelligenza artificiale e reti neurali, in http://www.treccani.it/ enciclopedia/intelligenza-intelligenza-artificiale-e-reti-neurali_%28Dizionario-di-Medicina%29/, per il quale l’IA è la “disciplina che studia i fondamenti teorici, le metodologie e le tecniche che consentono di progettare sistemi hardware e programmi software capaci di fornire prestazioni che sembrerebbero essere di pertinenza esclusiva dell’intelligenza umana”. 12 In tal senso si veda Carlucci Aiello, Intelligenza artificiale, in http://www.treccani.it/enciclopedia/intelligenza-artificiale_res1eadb35b-dd79-11e6-add6-00271042e8d9_%28Enciclopedia-Italiana%29/. 13 Su tale aspetto cfr. Pizzetti, La protezione dei dati personali e la sfida dell’intelligenza artificiale, in Id. (a cura di), Intelligenza artificiale, protezione dei dati personali e regolazione, cit., 34, secondo cui la norma in questione è un indice significativo dell’evoluzione che i trattamenti automatizzati con contenuto decisionale hanno avuto nel corso degli anni. 14 Cfr. Bifulco, Intelligenza Artificiale, cit., 384. 15 In argomento v. Santosuosso-Boscarato-Caroleo, Robot e diritto: una prima ricognizione, in Nuova giur. civ. comm., 2012, p. 515, i quali evidenziano la necessità che il giurista “si attrezzi per trovare soluzioni a problemi che, a dispetto del loro aspetto futuristico, 10

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2. Che cos’è l’intelligenza artificiale? Tralasciando per ora quest’ultimo profilo e soffermandoci invece su quello sub (i), è possibile ritenere che un sistema di IA sia quello in grado di emulare comportamenti che, quando svolti da un essere umano, richiedono intelligenza16. Tale caratteristica implica che il sistema ha l’abilità a risolvere i problemi, l’attitudine a prendere decisioni, la capacità di effettuare scelte, di apprendere dall’esperienza passata senza essere esplicitamente programmato17 e di intraprendere azioni neppure lontanamente contemplate dai suoi progettisti18. L’identificazione di un sistema o più precisamente di una macchina come essere “intelligente” risale al pionieristico e fondamentale studio di Alan Turing del 195019 20, nel quale il famoso matematico inglese – noto ai più per aver costruito il primo computer moderno e aver sviluppato, attraverso il calcolo binario, la teoria della computazione – per rispondere al quesito, all’epoca provocatorio, “Can machines think?” senza incorrere nelle difficoltà definitorie legate ai termini “macchina” e “pensiero”, dei quali sarebbe stato necessario in via preliminare precisare il significato21, aggirava l’ostacolo proponendo l’“imitation game” quale paradigma per stabilire se una macchina potesse definirsi “intelligente”. Assumendo un gioco nel quale un esaminatore C, deve determinare l’identità di due interlocutori di sesso diverso, A (uomo) e B (donna), interrogandoli, senza avere alcun contatto diretto con essi e sapendo che l’obiettivo di A è quello di ingannare C inducendolo in errore e quello di B di aiutarlo a risolvere il test rispondendo con sincerità; immaginando, poi, di sostituire all’interlocutore mendace A una macchina che formuli le risposte imitando il comportamento umano22, ad avviso di Turing, essa potrebbe ritenersi realmente pensante e dunque intelligente

possono concretizzarsi in un’aula di tribunale in modo improvviso”. Nello stesso senso v. Gabrielli-Ruffolo, Intelligenza artificiale e diritto. Introduzione, in Giur. it., 2019, 1657; e Italiano, Le sfide interdisciplinari dell’intelligenza artificiale, cit., 18, il quale evidenzia l’incredibile velocità e dirompenza delle odierne tecnologie digitali rispetto a quelle di ieri. 16 Nell’espressione riportata nel testo riecheggia la nota definizione di Marvin Minsky (1968) – citata da Whitby, Reflections on Artificial Intelligence, Intellect Books, 1996, 20 – secondo cui “artificial intelligence is the science of making machines do things that would require intelligence if done by men”. 17 Su quest’aspetto cfr. Samuel, Some studies in Machine Learning Using the Game of Checkers, IBM System Journal, 1959, 3 (3), 210 ss.; adde Mitchell, Machine Learning, McGraw Hill, 1997. 18 In tal senso v. Kaplan, Intelligenza artificiale. Guida al prossimo futuro, Luiss University Press, 2017, 19, secondo cui non è più vera la frase di buon senso secondo cui “i computer fanno quello che sono programmati a fare”. 19 Cfr. Turing, Computing Machinery and Intelligence, Mind, 49, 1950, 433. 20 Secondo Italiano, Le sfide interdisciplinari dell’intelligenza artificiale, cit., 9, in realtà, l’IA ha radici ben più lontane, che affondano nella storia del genere umano: essa sarebbe nata con l’antico desiderio dell’uomo di “fabbricare gli dei”; negli anni ‘40 del secolo scorso, con la disponibilità dei primi elaboratori elettronici e mettendo a frutto gli esiti delle ricerche in diversi ambiti (psicologia, neurologia, ingegneria e cibernetica), ha cominciato invece ad affermarsi l’idea delle macchine pensanti, cui l’IA è intimamente connessa. 21 Secondo Turing, poiché le definizioni potrebbero essere elaborate in modo da riflettere il più possibile l’uso normale delle parole, questo atteggiamento sarebbe rischioso. Infatti, se il significato dei due termini deve essere trovato esaminandoli attraverso il loro uso comune, è difficile sfuggire alla conclusione che tale significato e la risposta alla domanda “Possono le macchine pensare?” vadano ricercati in un’indagine statistica del tipo dei sondaggi d’opinione. Pertanto, invece di chiedersi se le macchine possono pensare è più corretto domandarsi se una macchina possa battere un uomo nel gioco dell’imitazione, o, comunque, quanto a lungo possa resistergli. 22 La macchina utilizzata per l’esperimento è un “electronic computer” o un “digital computer” dotato di memoria e in grado di manipolare simboli secondo precise regole: Turing, Computing Machinery and Intelligence, cit., 436 ss.

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se l’esaminatore C, pur essendo a conoscenza del fatto che uno dei due interlocutori è una macchina, non riuscirà a distinguerla in maniera affidabile dall’essere umano23. Macchine del genere, cioè in grado di porre in essere un comportamento comunicativo indistinguibile da quello di un essere umano, secondo il celebre matematico, sarebbero senz’altro divenute realtà nel volgere di mezzo secolo24; ammetteva tuttavia di non avere argomenti dimostrativi al riguardo e si limitava, dunque, a replicare alle possibili obiezioni dei suoi avversari e a formulare delle congetture in base alle quali proseguire la ricerca su questi temi. In particolare, muovendo dall’osservazione del processo evolutivo umano – dall’età infantile fino a quella adulta – nel quale l’“educazione” e l’“esperienza” svolgono un ruolo fondamentale ai fini dell’apprendimento, dotando l’individuo della capacità di adattamento dinamico all’ambiente, suggeriva di replicare qualcosa di analogo con le macchine. Attraverso un’idonea “istruzione” e un adeguato addestramento, anch’esse, in un futuro non troppo lontano, osservando i risultati della propria azione, sarebbero state in grado di modificare i loro programmi in modo da conseguire con maggiore efficacia un certo scopo25. Per realizzare tale obiettivo – esibendo dunque un comportamento umano qualificabile come “intelligente” – sarebbe stato necessario prevedere per le macchine un certo distacco dal comportamento completamente prevedibile implicato nel calcolo, senza peraltro sconfinare in un comportamento del tutto casuale26, addestrandole cioè all’elaborazione di strategie euristiche27 e alla capacità di prendere iniziative28. Il saggio di Turing sulle macchine pensanti stimolò il dibattito sull’intelligenza e sulle sue possibili artificializzazioni e portò nel giro di un lustro all’elaborazione di un compiuto programma di ricerca su questi temi. Nel 1955 fu pubblicata, infatti, la proposta interdisciplinare di un seminario estivo da svolgersi presso il Dartmouth College di Hanover29, nel New Hampshire, nell’ambito che,

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Secondo Sartor, L’informatica giuridica e le tecnologie dell’informazione. Corso d’informatica giuridica, Torino, 2016, 273, si avrà la prova che l’IA è stata realizzata quando l’interrogante C attribuirà l’identità umana con la stessa probabilità all’interlocutore umano e a quello elettronico. 24 Turing, Computing Machinery and Intelligence, cit., 442. Per poter superare il test di Turing le macchine avrebbero dovuto possedere capacità evolute e integrate in molti ambiti, quali l’elaborazione del linguaggio naturale, la rappresentazione della conoscenza, il ragionamento e l’apprendimento automatico. 25 E ciò sebbene “The idea of a learning machine may appear paradoxical to some readers”: Turing, Computing Machinery and Intelligence, cit., 458. 26 Cfr. Turing, Computing Machinery and Intelligence, cit., 459, secondo cui “intelligent behaviour presumably consists in a departure from the completely disciplined behaviour involved in computation, but a rather slight one, which does not give rise to random behaviour, or to pointless repetitive loops”. 27 Per maggiori riferimenti sulle “euristiche” quali modelli semplificati di decisioni impiegati quando l’utilizzo di metodi deduttivi e induttivi implica costi eccessivi, si rimanda a Bona, Sentenze imperfette, Bologna, 2010, 176 ss., il quale segnala l’esistenza di tre euristiche fondamentali: quella della “disponibilità”, quella della “rappresentatività” e quella dell’“ancoraggio e aggiustamento”; sul punto, cfr. altresì Comoglio, Nuove tecnologie e disponibilità della prova. L’accertamento del fatto nella diffusione delle conoscenze, Milano, 2018, 349 s.; Nieva Fenoll, Intelligenza artificiale e processo, Torino, 2019, 33 ss. 28 In tal senso v. Numerico, Macchine non organizzate e simulazione dell’intelligenza nell’opera di Alan Turing, in Cappuccio (a cura di), L’eredità di Alan Turing. Cinquant’anni di intelligenza artificiale, Milano, 2005, 147. 29 McCarthy-Minsky-Rochester-Shannon, A Proposal for the Dartmouth Summer Research Project on Artificial Intelligence (August 31, 1955), ora in AI Magazine, 2006, 26 (4), 12 ss.: il contributo è consultabile anche su https://doi.org/10.1609/aimag.v27i4.1904; nonché, tradotto in italiano a cura di Paronitti, in Sistemi intelligenti, 2006, 413 ss.

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per la prima volta, venne univocamente definito dal sintagma “artificial intelligence”30. La possibilità e la necessità della ricerca su questa tematica erano giustificate sulla base “della congettura per cui, in linea di principio, ogni aspetto dell’apprendimento o una qualsiasi caratteristica dell’intelligenza poss[o]no essere descritti così precisamente da poter costruire una macchina capace di simularli”. Si sarebbe dunque tentato di capire come le macchine potessero “utilizzare il linguaggio, formare astrazioni e concetti, risolvere tipi di problemi riservati per ora soltanto agli esseri umani e migliorare se stesse”31. A tal fine vennero individuate le principali aree problematiche su cui appuntare la ricerca, tra le quali, ai fini che qui interessano, rilevano le seguenti: a) la realizzazione di calcolatori automatici, muovendo dall’ipotesi che se una macchina può eseguire un compito, allora un calcolatore automatico può essere programmato per simulare quella macchina; ciò vale anche se la macchina da imitare è il cervello umano. Al riguardo, l’ostacolo maggiore era ravvisato non tanto nella mancanza di abilità da parte dei calcolatori, quanto nell’incapacità umana di scrivere programmi che emulassero le funzioni superiori del cervello umano; b) la programmazione delle funzioni linguistiche del calcolatore: partendo dalla considerazione che il pensiero umano si manifesta e si esprime attraverso il linguaggio – inteso quale manipolazione di “parole in base a regole di ragionamento e a regole di congettura” finalizzata alla formazione di frasi – ne consegue che i calcolatori che intendono replicarlo devono essere costruiti non come meri recipienti di dati, ma come sistemi in grado di elaborarli e manipolarli, essi cioè devono essere programmati affinché siano in grado di interagire attraverso un linguaggio appropriato; c) l’auto-apprendimento, ossia la capacità continua di una macchina di arricchire la propria base di conoscenze attraverso l’esperienza, la pratica e l’allenamento, al fine di risolvere problemi; e d) la congettura – attraente ma incompleta – secondo cui la differenza tra pensiero creativo e pensiero competente ma privo di immaginazione risiede nell’iniezione in un pen-

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L’espressione, troppo forte per alcuni (Carlucci Aiello-Dapor, Intelligenza artificiale: i primi cinquant’anni, Mondo digitale, 2004, 3), accattivante per altri (Nanni, Intelligenza artificiale, in http://www.neuroscienze.net/index.asp?pid=idart&cat=3&arid=322, p. 2), era stata accuratamente scelta per supportare la richiesta di fondi alla Rockefeller Foundation per l’organizzazione del seminario. Secondo Kaplan, Intelligenza artificiale, cit., p. 41, proprio la capacità dell’espressione IA di attrarre interesse e attenzione ben oltre la sua origine accademica fu il più notevole risultato della proposta di Dartmouth. Essa, infatti, accese un duraturo interesse da parte della stampa, del pubblico e dei media di intrattenimento proprio perché evocava una sfida al dominio e alla cognizione umani. Da ultimo, cfr. D’Aloia, Il diritto verso il “mondo nuovo”. Le sfide dell’Intelligenza Artificiale, in BioLaw, 1/2019, 8, per il quale l’espressione IA è una sorta di “umbrella term”, una parola “contenitore”, che include una varietà di tecniche computazionali e di processi associati (di tipo algoritmico) dedicati a migliorare l’abilità delle macchine nel fare cose che richiedono intelligenza. 31 Gli studiosi riuniti a Dartmouth muovevano dall’ipotesi del “sistema simbolico fisico”, secondo cui l’intelligenza può risultare dal funzionamento di un sistema che manipola strutture simboliche (numeri o sequenze di parole) producendo altre sequenze simboliche, secondo processi predeterminati. Poiché ogni sistema simbolico fisico può essere realizzato mediante una macchina, da ciò consegue che la macchina, allorché dotata di un software adeguato e di sufficienti capacità di calcolo e di memoria, può dar vita all’intelligenza: in questi termini v. Sartor, L’informatica giuridica e le tecnologie dell’informazione. Corso di informatica giuridica, cit., 278.

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siero altrimenti ordinato di una certa misura di casualità, la quale, peraltro, per essere efficiente, deve essere guidata dall’intuizione. Se la macchina avesse un po’ di intuizione o potesse azzardare delle ipotesi ragionevoli, potrebbe essere molto più diretta nella soluzione dei problemi. L’idea sottesa al progetto di ricerca di costruire “macchine intelligenti” non traeva ispirazione da un atteggiamento ottimistico circa la capacità delle macchine e lo sviluppo della tecnologia, veniva collegata piuttosto all’effettiva comprensione di cosa fosse un’intelligenza naturale. Qualche anno più tardi, un autore del manifesto di Dartmouth, contribuendo alla stesura di uno dei più rilevanti contributi filosofici in tema di IA, teorizzò che un’entità può essere definita intelligente se ha un adeguato modello del mondo, se è capace di rispondere ad un’ampia varietà di domande sulla base di questo modello, se può ottenere ulteriori informazioni dal mondo esterno quando richiesto e può svolgere in esso i compiti richiesti dai suoi scopi e consentiti dalle sue capacità fisiche32. Questa definizione rivela l’esistenza di due aree centrali nell’ambito dell’intelligenza: – quella epistemologica, indicata come la rappresentazione del mondo in una forma tale che la soluzione dei problemi derivi dai fatti espressi nella rappresentazione; e – quella euristica, intesa come il meccanismo che sulla base delle informazioni date – le conoscenze – risolve il problema posto e decide cosa fare33. Il dibattito sull’IA si muove dunque tra i due estremi della conoscenza e del possesso di adeguate regole di reazione34, che utilizzano il patrimonio di conoscenza per giungere alla soluzione del problema proposto (problem solving). I due profili sono tra loro collegati dalla capacità del sistema di adattarsi dinamicamente ad un nuovo ambiente, di apprendere dal mondo esterno e dall’allenamento senza essere esplicitamente programmato (machine learning), cioè dalla capacità di accrescere il bagaglio di informazioni, di evolversi e migliorarsi attraverso l’elaborazione di enormi masse di dati (c.d. Big Data) per reagire in maniera adeguata alla maggiore quantità possibile di stimoli, fino ad assumere decisioni autonome35, impiegando un linguaggio per esternare il risultato del suo ragionamento. Questi elementi, oltre a connotare l’IA come qualcosa di qualitativamente diverso rispetto alla semplice automazione di processi esistenti, evidenziano un cambio di paradigma nell’ambito di questo concetto: non più limitata alla creazione di algoritmi capaci di fornire risposte coerenti ad input corrispondenti36, ma consistente nella programmazione

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McCarthy-Hayes, Some Philosohical Problem from the Standpoint of Artificial Intelligence, 4 Machine Intelligence, 1969, 4, 463 ss., ora anche in http://jmc.stanford.edu/articles/mcchay69.html, 4, cui si riferiscono le citazioni nel testo. 33 McCarthy-Hayes, Some Philosohical Problem from the Standpoint of Artificial Intelligence, cit., 5. 34 Si tratta, secondo Mello, Intelligenza artificiale, cit., § 2, di “regole … costituite attraverso dichiarazioni composte di due unità. La prima è detta “antecedente” ..., mentre la seconda è chiamata “conseguente”. … La sintassi generale è … “se ‘antecedente’, allora ‘conseguente’”. 35 Sul punto v. Kaplan, Intelligenza artificiale, cit., 57. 36 Si tratta dei c.d. sistemi esperti, affermatisi tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, il cui scopo era quello di “catturare e duplicare in forma digitale competenze umane rare”, quelle di uno specialista in un dominio specifico (es. medicina, finanza,

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di sistemi di analisi che si evolvono e migliorano sulla base della propria esperienza37, operano deduzioni e sono in grado di decidere autonomamente, senza che vi sia bisogno né possibilità di un intervento umano38. Le risposte (output) che il sistema è in grado di fornire, infatti, sono il frutto non solo di dati staticamente immessi, ma anche dell’analisi dinamica e predittiva delle risposte precedentemente elaborate dal sistema medesimo, al fine di pervenire a risultati molto simili a quelli dell’ordinario ragionamento deduttivo e deterministico umano39. Tale capacità, molto utile nei contesti, come quello processuale qui in esame, in cui è complicato, se non impossibile, individuare a priori e immettere nel sistema tutti i criteri di soluzione dei problemi che esso è chiamato a risolvere40, appare tuttavia altrettanto rischiosa, se solo si riflette sull’autonomia dell’algoritmo, che è in grado di definire progressivamente e autonomamente le proprie regole decisionali per elaborare i nuovi dati,

diritto), al fine di rendere tali capacità più ampiamente disponibili e senza grandi costi (Kaplan, Intelligenza artificiale, cit., 49 ss.). La caratteristica di tali sistemi era quella di essere basati su una “base di conoscenze” (ossia fatti regole, relazioni, riguardanti uno specifico ambito d’interesse, rappresentati in forma simbolica) e un “motore di inferenza”, che descriveva come manipolare e combinare i “simboli”. Il loro compito era quello di rispondere a domande specialistiche e di ragionare attraverso l’utilizzazione di fatti noti, applicando cioè regole di condotta definite nel motore inferenziale. Sebbene l’utilizzo di un sistema esperto come Deep Blue (IBM) abbia consentito nel 1997 di battere il campione mondiale di scacchi Garry Kasparov, tali sistemi, nel tempo, hanno mostrato i loro limiti, poiché non erano in grado di interpretare tutte le possibili varietà di situazioni e contesti e diventavano sostanzialmente inefficaci quando si superava un numero (abbastanza limitato) di regole di codifica (200/300), sia sotto il profilo dell’esecuzione della prestazione, sia sotto il profilo del mantenimento, in quanto per gli stessi programmatori era impossibile comprendere il ragionamento seguito dal sistema: su tali aspetti, cfr. le osservazioni riportate nell’ambito della Carta etica europea per l’uso dell’intelligenza artificiale nei sistemi giudiziari e nei relativi ambienti. Appendice I: Studio approfondito sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale nei sistemi giudiziari, segnatamente delle applicazioni dell’intelligenza artificiale per il trattamento delle decisioni e dei dati giudiziari, in https://rm.coe.int/carta-etica-europea-sull-utilizzo-dell-intelligenza-artificiale-nei-si/1680993348, § 65, 24 ss.; adde Lagioia-Sartor, L’intelligenza artificiale per i diritti dei cittadini, cit., 91, i quali individuano i limiti dei sistemi esperti nell’incompletezza delle loro risposte, nella non considerazione delle particolarità dei casi concreti, nonché nella difficoltà di ampliare e aggiornare la conoscenza necessaria per lo svolgimento dei compiti ad essi affidati. Sebbene non siano mancate talune applicazioni di successo in ambito giuridico, nessuna di esse, secondo gli Autori, ha trasformato la pratica del diritto; Falato, L’inferenza generata dai sistemi esperti e dalle reti neurali nella logica giudiziale, in Archivio penale, 2020, fasc. 2, 5 ss. Nonostante gli evidenziati limiti di funzionamento dei sistemi esperti, che ne fanno oggi uno strumento recessivo, essi sono ancora utilizzati in ambito giurisdizionale, per sostituire il giudice in tutti i compiti decisionali “dominati esclusivamente dalla logica deduttiva e caratterizzati da punti di partenza … ben delimitabili ed esprimibili in un adeguato linguaggio formale” (in questi termini, Bona, Sentenze imperfette, cit., 225 ss.). In Italia, muove da questi presupposti il sistema esperto ReMida Famiglia, che consente il calcolo dell’assegno di mantenimento nei procedimenti in materia di famiglia, prendendo le mosse dai principali orientamenti giurisprudenziali. 37 In argomento cfr. Angelini, Intelligenza artificiale e governance. Alcune riflessioni di sistema, in Pizzetti (a cura di), Intelligenza artificiale, protezione dei dati personali e regolazione, cit., 294; De Michelis, Macchine intelligenti o tecnologie della conoscenza?, in Sistemi intelligenti, 2017, p. 567; Contissa-Lasagni-Sartor, Quando a decidere in materia penale sono (anche algoritmi) e IA: alla ricerca di un rimedio effettivo, in Diritto di internet, 2019, 619, i quali evidenziano che i tradizionali sistemi di supporto alle decisioni, che utilizzavano conoscenze specialistiche umane, trasferendole nel sistema mediante rappresentazioni simboliche della conoscenza e regole di inferenza, sono stati soppiantati da sistemi di IA basati sull’apprendimento automatico applicato a grandi masse di dati. 38 Così Government Office For Science, Artificial intelligence: opportunities and implications for the future of decision making, in https:// assets.publishing.service.gov.uk/government/uploads/system/uploads/attachment_data/file/566075/gs-16-19-artificial-intelligence-aireport.pdf, 2015, 6 s. 39 Cfr. Mittelstadt-Allo-Taddeo-Wachter-Floridi, The Ethics of Algorithms: Mapping the Debate, 2016, in https://ssrn.com/abstract=2909885, 8 s.; Contissa-Lasagni-Sartor, Quando a decidere in materia penale sono (anche algoritmi) e IA, cit., 619; Lagioia-Sartor, L’intelligenza artificiale per i diritti dei cittadini, cit., 91. 40 In questi termini, cfr. Angelini, Intelligenza artificiale e governance. Alcune riflessioni di sistema, in Pizzetti (a cura di), Intelligenza artificiale, protezione dei dati personali e regolazione, cit., 294 s.; De Michelis, Macchine intelligenti, cit., 567, secondo cui, grazie agli algoritmi attuali, i sistemi di IA sono capaci di risolvere problemi di grande complessità attraverso l’analisi e l’interpretazione razionale dei dati, fornendo prestazioni superiori a quelle degli esseri umani.

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e dunque di modificare il proprio comportamento e di evolvere41. Infatti, l’autonomia e la connessa “opacità” del processo di apprendimento, che ne rende impossibile la comprensione e l’orientamento da parte dell’uomo42, potrebbero determinare, proprio in relazione al processo, una lesione del diritto di difesa delle parti. Le considerazioni sin qui svolte hanno messo in luce possibili aree di contiguità tra l’IA e la realtà processuale. Al fine di comprendere come la prima possa interferire sulla seconda, appare utile richiamare i due approcci seguiti nella ricerca sull’artificializzazione dell’intelligenza, comunemente noti come IA forte e IA debole. Il primo ritiene che la macchina possa pensare autonomamente e avere addirittura una mente e un’autocoscienza propria, aspirando a produrre l’equivalente dell’intelligenza43. Il secondo, invece, muove dall’idea che la macchina agisce come se fosse intelligente, tentando di riprodurre il risultato di un comportamento intelligente44. L’IA forte si è rivelata quanto mai deludente a causa di importanti limiti concettuali45 e, al di là delle previsioni ottimistiche di qualcuno46, sembra ancora oggi lontana dal con-

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Ciò a maggior ragione se si considera la possibile scarsa qualità dei dati in ingresso, che rischia di compromettere la stessa capacità dell’algoritmo di apprendere, perché l’errore da occasionale si fa sistematico o algoritmico, fino a trasformarsi “in un bias permanente da cui potrebbe non essere semplice tornare indietro”: in argomento cfr. D’Acquisto, Qualità dei dati e Intelligenza Artificiale: intelligenza dai dati e intelligenza dei dati, in Pizzetti (a cura di), Intelligenza artificiale, protezione dei dati personali e regolazione, cit., 266; e v. Pellecchia, Profilazione e decisioni automatizzate al tempo della Black Box Society: qualità dei dati e leggibilità dell’algoritmo nella cornice della Responsible Research and innovation, in Nuove leggi civ. comm., 2018, 1220. 42 Information Commissioner’s Office, Big data, artificial intelligence, machine learning and data protection, in https://ico.org.uk/media/ for-organisations/documents/2013559/big-data-ai-ml-and-data-protection.pdf, version 2.2, 10; Carr, La gabbia di vetro. Prigionieri dell’automazione, Milano, 2015, p. 231; Comoglio, Nuove tecnologie e disponibilità della prova, cit., 333. Si precisa che l’opacità cui ci si riferisce nel testo è quella che discende dal processo di autoapprendimento e implementazione dell’algoritmo stesso secondo logiche ignote anche ai suoi sviluppatori. In argomento, v. Pellecchia, Profilazione e decisioni automatizzate, cit., 1217, che, con riferimento agli algoritmi, prospetta ulteriori declinazioni del concetto di opacità: quella “intenzionale”, dettata dalla necessità di proteggere segreti commerciali e industriali e di assicurare vantaggi concorrenziali, e quella “tecnica”, dovuta all’elevata specializzazione richiesta per decodificare un algoritmo; adde Mazzotti, Per una sociologia degli algoritmi, in Rass. it. Sociologia, 2015, 473, secondo cui l’opacità in questione è intrinseca alla struttura dell’algoritmo ed è irrimediabile; Burrel, How the Machine “thinks”: Understanding Opacity in Machine Learning Algorithms, in Big Data & Society, January-June, 2016, 1 ss.; Italiano, Le sfide interdisciplinari dell’intelligenza artificiale, cit., 16; Contissa-Lasagni-Sartor, Quando a decidere in materia penale sono (anche algoritmi) e IA, cit., 619, per i quali le ragioni sottese a ciascuna decisione assunta da sistemi di IA basati su algoritmi di apprendimento automatico non possono essere spiegate neppure mediante il codice sorgente, giacché tale codice spiega soltanto il funzionamento dell’algoritmo di apprendimento, ma non la configurazione finale del modello creato dal sistema stesso, che ne governa il funzionamento e le relative decisioni. 43 Su tale aspetto si rimanda alla caratterizzazione data da Searle, Minds, brains, and programs, in The Behavioral and Brain Sciences, 1980, 3 (3), 417 ss., ora anche in http://faculty.arts.ubc.ca/rjohns/searle.pdf (cui si riferiscono le citazioni nel testo), per il quale l’IA debole (Weak or Cautius AI) è quella che si propone di realizzare sistemi artificiali capaci di svolgere compiti complessi, emulando alcuni processi umani, i quali, in ogni caso, non sono in grado di pensare e non possiedono una mente; l’IA forte (Strong AI) è quella che si propone, invece, di realizzare menti artificiali, muovendo dall’assunto che i calcolatori, opportunamente programmati, siano delle vere e proprie menti, capaci di stati cognitivi e di pensiero alla stessa stregua di un essere umano (349). Sostanzialmente negli stessi termini, cfr. Floridi, La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo, Milano, 2017, 160 s., che, in luogo di IA debole e forte, discorre di IA riproduttiva e produttiva; Lagioia-Sartor, L’intelligenza artificiale per i diritti dei cittadini, cit., 89. V. inoltre Kaplan, Intelligenza artificiale, cit., 105, per il quale la distinzione tra IA forte e debole è impropriamente utilizzata per descrivere la differenza tra sistemi che mostrano un comportamento intelligente generale e quelli limitati ad un ristretto dominio e che funzionano come “idioti sapienti” elettronici. 44 Secondo Kaplan, Intelligenza artificiale, cit., 105, “si tratta di una semplice simulazione, e non di una duplicazione, dell’intelligenza reale”. 45 In termini v. Santosuosso-Boscarato-Caroleo, Robot e diritto, cit., 494; e Floridi, La quarta rivoluzione, cit., 159. 46 Il rilancio del paradigma dell’IA forte (oggi chiamato IA generale) fa capo ad un’istituzione privata fondata nel 2009 – la “Singularity University” – guidata da Ray Kurzweil, il quale stima che la super-intelligenza, che offrirà prestazioni decisamente superiori all’insieme

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seguimento dell’obiettivo di realizzare macchine dotate di tutte le funzioni cognitive di un essere umano, giacché se è vero che la razionalità, componente tipica dell’intelligenza umana, può essere riprodotta su una macchina, non altrettanto può dirsi per le altre sue dimensioni caratteristiche, quali, ad esempio, la capacità di provare emozioni, di ascolto degli altri e di relazioni sociali complesse47. L’IA debole, invece, è quella che finora ha ottenuto maggiori risultati, migliorando o sostituendo le prestazioni di quella umana in un numero di contesti sempre più elevato48, ivi incluso quello processuale, nel quale una sua manifestazione sono, ad esempio, gli algoritmi predittivi alla base dei software di predictive coding, già da tempo utilizzati con successo nell’ambito della e-discovery statunitense49, così come dei sistemi capaci di prevedere i possibili esiti di un giudizio, piuttosto che il rischio di recidiva nell’ambito di decisioni di rilascio di detenuti50. Circoscrivendo l’attenzione al processo civile, si possono ipotizzare modalità di utilizzo dell’IA a intensità crescente: – quale ausilio al giudice in un segmento della sua attività, sia nella fase istruttoria, ai fini dell’acquisizione, selezione e valutazione delle prove rilevanti per la decisione della controversia, sia nella fase decisoria, onde supportarlo nella sua attività di risoluzione della controversia51; nonché – sempre nella fase decisoria, come “agente decisionale”, in sostituzione del giudice52.

3. L’intelligenza artificiale nel processo: nella fase istruttoria.

Che l’IA possa trovare applicazione per acquisire e selezionare le prove rilevanti ai fini della decisione non è soltanto un’ipotesi futuribile, ma è una convinzione maturata sulla base di quanto accade già da qualche tempo nel sistema statunitense.

di tutti gli esseri umani, vedrà la luce negli anni ’40 di questo secolo: sul punto si rimanda a De Michelis, Macchine intelligenti, cit., 562 s. In argomento, v. altresì Tegmark, Vita 3.0. Essere umani nell’era dell’intelligenza artificiale, Milano, 2018, passim. 47 In termini, cfr. De Michelis, Macchine intelligenti, cit., 566 ss.; Comoglio, Nuove tecnologie e disponibilità della prova, cit., 354 s. 48 Floridi, La quarta rivoluzione, cit., 160. 49 Cfr. Comoglio, Nuove tecnologie e disponibilità della prova, cit., 354. 50 Il riferimento è al programma COMPAS, su cui, per maggiori dettagli, v. infra § 3. 51 Sul punto cfr. Kaplan, Intelligenza artificiale, cit., 139; Rulli, Giustizia predittiva, intelligenza artificiale e modelli probabilistici. Chi ha paura degli algoritmi?, in AGE, 2018, 536 ss. 52 Si tratta dell’ipotesi (irrealistica) evocata da Luciani, La decisione giudiziaria robotica, in Riv. AIC, 3/2018, p. 872 ss., ivi, 876, di sostituzione del giudice con una macchina antropomorfa, un robot per l’appunto, che interagisce “con l’esterno per mimesi di umani comportamenti” (il contributo è altresì pubblicato in Carleo (a cura di), Decisione robotica, cit., 63 ss.); sui rischi connessi alla sostituzione del giudice con la “macchina”, v. diffusamente Garapon-Lassègue, Justice digitale, cit., 336 ss.; per una declinazione del problema in ambito contrattuale, v. Scholtz, Algorithmic Contracts, in Stanford Technology Law Rev., 2017, 20, 128.

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È noto che l’evoluzione delle tecniche di documentazione, iniziata con l’introduzione delle macchine fotocopiatrici, dei personal computer e dei programmi di videoscrittura e proseguita, poi, con la diffusione di Internet, della posta elettronica, dei dispositivi di comunicazione mobile e dei servizi di cloud computing, ha determinato un incremento esponenziale di documenti redatti in forma digitale e una conseguente modificazione delle modalità di analisi degli stessi. Il fenomeno ha avuto delle notevoli ripercussioni nel processo federale statunitense53 dove, a proposito delle informazioni conservate in forma digitale, si è posto il problema della e-discovery54. In questo contesto, le criticità già emerse nella discovery tradizionale agli albori della rivoluzione tecnologica55 – aumento incontrollato dei documenti e correlativo incremento dei tempi di esame e dei costi relativi alla loro gestione, conservazione e produzione in giudizio – hanno assunto una dimensione quasi parossistica. Per rendere dunque gestibile la selezione e la review della enorme mole di documenti, senza incorrere talora nel rischio di produrre documentazione protetta, da poco più di un decennio56, in presenza di una richiesta congiunta delle parti57, ha cominciato progressivamente a diffondersi la prassi58 dell’utilizzo di sistemi di IA che, con rapidità, accuratezza e precisione decisamente superiori rispetto a quelle degli specialisti del settore, sulla base di un algoritmo classificatorio machine learning, sono in grado di catalogare i documenti in base alla loro rilevanza59. La predisposizione di un algoritmo efficiente passa per la scelta, compiuta da un avvocato esperto di discovery o addirittura in modo automatico da un software, di un gruppo di documenti campione ritenuti rappresentativi dell’intera collezione sul quale effettuare

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Relativamente alla pre-trial discovery, la fase processuale disciplinata dalle Federal Rules of Civil Procedure 26-37 consistente nella richiesta di documenti e deposizioni alla controparte e a terzi onde raccogliere le prove necessarie a sostenere le proprie richieste. 54 In argomento si rimanda a Pailli, Produzione di documenti elettronici (e-discovery) negli Stati Uniti e nell’Unione Europea, in Riv. dir. civ., 2012, 409 ss.; e Comoglio, Nuove tecnologie e disponibilità della prova, cit., 253 ss., ove ulteriori riferimenti bibliografici. 55 V. Pailli, Produzione di documenti elettronici, cit., 428, ove il riferimento alle pratiche c.d. di dump truck nella discovery tradizionale; da ultimo, Dondi, Processo civile, new technologies e implicazioni etico-professionali, cit., 876. 56 Così Yablon-LandsmanRoos, Predictive Coding: Emerging Questions and Concerns, in S.C. L. Rev., 2013, 64, 633 ss., ivi, 637 s., secondo cui il primo utilizzo di queste tecniche risale al 2008, quando un piccolo numero di studi legali decise di sperimentare un software per rendere la review documentale più efficiente; tuttavia, solo dal 2010 “use of computer systems utilizing machine learning began gaining momentum as an alternative to manual document review by humans. This shift was especially true in securities cases where relevant documents were more readable-and less frequent in antitrust and intellectual property cases in which the document population was more technical and varied”. 57 Sui dubbi in ordine all’utilizzo degli algoritmi di predictive coding in assenza di un consenso espresso delle parti v. YablonLandsmanRoos, Predictive Coding: Emerging Questions and Concerns, cit., 665 ss., che segnalano il problema del bilanciamento di interessi – quello della parte onerata della produzione documentale e quello della parte destinataria della produzione – allorché si debba stabilire se e quale parte abbia il diritto di giovarsi dei benefici assicurati dalle nuove tecnologie. 58 Sulla riconducibilità dell’utilizzazione di sistemi automatizzati, nell’ambito della e-discovery, alle Best Practices elaborate dalla Sedona Conference nel 2007 e sul successivo riconoscimento giurisprudenziale dal 2012 in avanti, a partire dal caso Da Silva Moore v. Publicis Groupe [(Da Silva Moore II), No. 11 Civ. 1279(ALC)(AJP), 2012 WL 607412. at *1j *12 (S.D.N.Y. Feb. 24, 2012)], v. Yablon-LandsmanRoos, Predictive Coding: Emerging Questions and Concerns, cit., 634; e Comoglio, Nuove tecnologie e disponibilità della prova, cit., 274, ove anche ulteriori riferimenti bibliografici. 59 Su tali aspetti, per maggiori dettagli, si rimanda a Kaplan, Intelligenza artificiale, cit., p. 138 s., che, a dimostrazione dei problemi indotti dall’e-discovery, cita il caso di un procedimento in materia antitrust nel quale Microsoft ha prodotto 25 milioni di pagine di documenti.; e Comoglio, Nuove tecnologie e disponibilità della prova, cit., 269 ss.

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l’addestramento del sistema60, fino a raggiungere un livello “good enough” in termini di percentuale di precisione nella selezione dei documenti61. In un caso, l’algoritmo, sulla base dell’esame del campione documentale formato esclusivamente dall’esperto per l’addestramento del sistema, identifica le regole e i criteri utilizzati per la sua formazione e ne riproduce l’applicazione sui documenti rimanenti onde selezionarli (Technology-Assisted Review Rule based). Nell’altro, invece, è l’algoritmo stesso che determina il campione di dati da cui apprenderà; tale campione è revisionato da un esperto, quindi è riconsegnato all’algoritmo ai fini di un suo progressivo e automatico addestramento. Quando il livello di training è considerato soddisfacente, l’algoritmo di apprendimento automatico viene applicato ai documenti rimanenti ai fini della loro selezione (Technology-Assisted Review Predictive Coding based)62. In entrambe le situazioni considerate, l’obiettivo perseguito è il medesimo: ricercare automaticamente i documenti potenzialmente rilevanti ai fini della decisione con maggiore precisione ed efficienza e con un significativo risparmio di costi, replicando i risultati ma non il processo del pensiero umano. Infatti, gli algoritmi predittivi utilizzati in sede di discovery non riproducono le modalità con cui gli avvocati analizzano i documenti, ma giungono a risultati analoghi o addirittura superiori su base statistica, ricavando correlazioni dai dati elaborati. La dottrina statunitense, che pure ha messo in evidenza i notevoli vantaggi derivanti dall’adozione all’interno del processo di una simile tecnologia basata su algoritmi machine learning, che sono in grado di programmarsi autonomamente a prescindere dalle istruzioni fornite in partenza dal programmatore, ha tuttavia segnalato i non trascurabili problemi che essa pone. Innanzitutto (i) quello dell’erosione di una sfera di attività un tempo esclusivamente svolta dagli avvocati63, cui si aggiunge (ii) quello della difficoltà di predeterminare i criteri

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Al riguardo cfr. Grossman-Cormack, A Tour of Technology-Assisted-Review, in Baron-Losey-Berman (a cura di), Perspectives on Predictive Coding And Other Advanced Search Methods for the Legal Practitioner, ABA, 2016, 82, che operano inoltre una distinzione tra programmi di machine learning passivi e attivi, a seconda che la scelta del campione di dati e dell’algoritmo sia effettuata dall’esperto ovvero dal computer, che in maniera autonoma e progressiva impara e modifica l’algoritmo. In generale, sulla fase di training degli algoritmi machine learning, v. Italiano, Le sfide interdisciplinari dell’intelligenza artificiale, cit., 13 s. 61 Sul punto v. Yablon-LandsmanRoos, Predictive Coding: Emerging Questions and Concerns, cit., 638 ss.; e Grossman-Cormack, A Tour of Technology-Assited-Review, cit., 86. In alcuni casi, peraltro, il sistema di IA si limita a effettuare un primo screening dei documenti prodotti al fine di selezionare quelli che appaiono rilevanti per la revisione da parte di attorney o paralegal, riducendo in tal modo i costi dell’attività di review (Kaplan, Intelligenza artificiale, cit., 139; Pailli, Produzione di documenti elettronici, cit., 428). 62 In argomento v. Yablon-Landsman-Roos, Predictive Coding: Emerging Questions and Concerns, cit., 639, relativamente alla possibilità che l’algoritmo sia allenato sulla base di un “fake ‘perfect’ document”; nonché Comoglio, Nuove tecnologie e disponibilità della prova, cit., 270 s., il quale segnala i pericoli derivanti dalla totale incomprensibilità per le parti e per il giudice dei criteri su cui si basa il funzionamento del sistema di IA. 63 Sul “deskilling” dell’attività professionale dell’avvocato, quale conseguenza dell’utilizzo delle tecniche di predictive coding, e sulla necessaria estensione delle sue sfere di competenza in chiave tecnologica si rimanda all’analisi di Remus The Uncertain Promise of Predictive Coding, in Iowa L. Rev., 2014, 99, 1708 s.; Susskind, Tomorrow’s Lawyers: An Introduction To Your Future, Oxford University Press, 2013, passim; McGinnis-Pearce, The great disruption: How machine intelligence will transform the role of lawyers in the delivery of legal services, in Fordham Law Review, 2014, 82 (6), 3041 ss.; Christensen-Raynor-McDonald, What Is Disruptive Innovation?, in Harvard Business Review, 2015, 10, 46 ss.; Moro, L’avvocato ibrido. Tecnodiritto e professione forense, in Moro-Sarra (a cura di), Tecnodiritto. Temi e problemi di informatica e robotica giuridica, Milano, 2017, 11 ss.; Moro, Intelligenza artificiale e professioni legali. La questione del metodo, in Journal of Ethics and Legal Technologies, 2019, 1 (1), 26 ss.

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“etici” ai quali gli algoritmi dovrebbero attenersi, procedendo essi stessi alla elaborazione delle regole decisionali per elaborare i nuovi dati, nonché quello ulteriore (iii) della compressione del contraddittorio nell’accertamento dei fatti, attesa l’incomprensibilità dei criteri decisionali sottesi alla “black box”64 degli algoritmi predittivi65. Criticità, queste, che devono indurre chi a vario titolo è coinvolto nella realizzazione e nell’utilizzo di sistemi di IA per migliorare l’efficacia e la qualità della giustizia a predisporre un’adeguata cornice normativa nella quale tali strumenti vanno sviluppati, verificati e utilizzati66. Le indubbie differenze tra il processo federale statunitense e il processo civile italiano non impediscono di immaginare l’utilizzo di analoghi sistemi di intelligenza artificiale nel nostro ordinamento, con funzione di ricerca e di valutazione della prova. Basti pensare che nel contiguo settore del processo penale è già una realtà sia l’impiego, nell’ambito della fase d’indagine, quali mezzi di ricerca della prova, di software67 capaci di carpire in maniera occulta conversazioni, flussi telematici, informazioni, documenti e altri dati digitali68, sia l’utilizzo di sistemi computazionali che, anche senza l’impiego di strumenti di captazione occulta, consentono di estrarre da tutti i supporti digitali dati aventi rilevanza probatoria nel processo penale69. Come altri ha già segnalato, non sembra peregrino ipotizzare, in un futuro meno lontano di quanto si immagini, l’utilizzo anche nel processo civile di tali sistemi computa-

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I sistemi basati su algoritmi machine learning vengono considerati come “black box”, ossia scatole nere, in quanto in essi sono osservabili input e output, ma non il funzionamento interno, che resta oscuro anche per gli stessi programmatori. Il sistema, infatti, partendo dall’analisi ricorsiva dei dati su cui è addestrato, realizza un suo modello di dominio sulla base di un algoritmo di apprendimento automatico; attraverso tale modello, poi, effettua classificazioni, valutazioni e previsioni sui nuovi casi che gli sono sottoposti e definisce progressivamente le regole decisionali per elaborare i nuovi dati: sul punto, v. Pasquale, The Black Box Society. The Secret Algorithms That Control Money and Information, Cambridge-London, 2015, 3; Mazzotti, Per una sociologia degli algoritmi, cit., 465 s.; Carr, La gabbia di vetro. Prigionieri dell’automazione, Milano, 2015, 232; Shah, Algorithmic Accountability, in https:// doi.org/10.1098/rsta.2017.0362; Kroll, The Fallacy of Inscrutability, in https://doi.org/10.1098/rsta.2018.0084; Pedreschi, Giannotti et al., Open the Black Box. Data-driven Explanation of Black Box Decision Systems, in arXiv:1806.09936v1, 1 ss.; Resta, Governare l’innovazione tecnologica: decisioni algoritmiche, diritti digitali e principio di uguaglianza, in Politica del diritto, 2019, 219; LagioiaSartor, L’intelligenza artificiale per i diritti dei cittadini, cit., 98; Italiano, Le sfide interdisciplinari dell’intelligenza artificiale, cit., 13. 65 Su questi aspetti v. Comoglio, Nuove tecnologie e disponibilità della prova, cit., p. 273 ss. 66 In questi termini v. la Carta etica europea per l’uso dell’intelligenza artificiale nei sistemi giudiziari e nei relativi ambienti, cit. 67 Ossia un malware del tipo trojan che, sulla base di precise istruzioni fornite dal programmatore, si attiva e si diffonde occultamente all’interno di un sistema informatico contro la volontà dell’utente. Una volta installato, esso consente a un centro remoto di comando di controllare il sistema informatico target, “sia in termini di download che in termini di upload di dati e informazioni di natura digitale”, nonché di comandare a distanza le periferiche del dispositivo controllato – microfono e videocamera – onde realizzare un vero e proprio monitoraggio audio-video sia della persona che ha la disponibilità del device sia di coloro che si trovano nel suo raggio tecnico d’azione. 68 Si tratta dei c.d. captatori informatici, ossia strumenti che, a distanza e in maniera occulta, consentono di effettuare un monitoraggio audio-video di una persona che utilizzi un dispositivo mobile connesso alla rete Internet, nonché di acquisire dati e informazioni personali, dichiarazioni, documenti informatici dotati di attitudine probatoria anch’essi contenuti in dispositivi mobili e supporti connessi alla rete Internet (in argomento, v. per tutti, senza pretesa di completezza, la recente trattazione monografica di Torre, Il captatore informatico. Nuove tecnologie investigative e rispetto delle regole processuali, Milano, 2017, 12 ss.). Per i problemi applicativi che esso pone v., tra gli altri, Quattrocolo, Equo processo penale e sfide della società algoritmica, in BioLaw, 1/2019, 136 ss.; Torre, Il captatore informatico, tra riforma Orlando e sistema processuale, in Giur. it., 2018, 1774 ss.; Barrocu, Il captatore informatico: un virus per tutte le stagioni, in Dir. pen. e proc., 2017, 379 ss.; Marandola, Sviluppo tecnologico e uso del c.d. captatore informatico, in Studium Iuris, 2017, 1285 ss. 69 Secondo Quattrocolo, Equo processo penale e sfide della società algoritmica, cit., 138, rispetto a tali dati, talvolta “generati automaticamente, senza alcun intervento umano nella loro rilevazione”, si pone il problema di verificarne l’accuratezza.

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zionali che, ad esempio, sulla base dei dati identificativi delle parti e dell’oggetto della controversia, mediante l’utilizzo di uno specifico algoritmo machine learning, ricerchino tutte le informazioni liberamente accessibili online, nonché quelle contenute in banche dati pubbliche, che siano rilevanti ai fini della decisione della controversia (attività di data mining70)71, le selezionino, le valutino e le sottopongano, una volta rielaborate, alle parti e al giudice72. Ove l’ipotesi si realizzasse, ad esempio, attraverso l’espressa previsione legislativa73 dell’integrazione di tali sistemi nel processo telematico(74), il processualista sarebbe innanzitutto chiamato a cimentarsi in un’improba operazione di collocazione sistematica di tali attività nell’ambito delle tradizionali categorie della disponibilità e dell’inquisitorietà: è di tutta evidenza la difficoltà di catalogare secondo la classica bipartizione tra metodo dispositivo e metodo inquisitorio le attività svolte dagli algoritmi di ricerca, in ordine all’acquisizione delle prove, alla loro selezione e alla successiva valutazione ai fini della decisione della controversia. E ancora, dovrebbe interrogarsi in ordine all’affidabilità di tali algoritmi e alla loro incidenza sul contraddittorio nel momento di formazione della prova75 e sul diritto di difesa delle parti76 – essendo queste ultime private del loro ruolo dialettico nel procedimento probatorio – che in nessun caso possono essere sacrificati in nome del conseguimento di una maggiore efficienza77 nell’esercizio della giurisdizione.

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L’espressione di cui al testo indica il processo di scoperta di relazioni, pattern (associazioni o sequenze ripetute) e informazioni precedentemente sconosciute e potenzialmente utili all’interno di grandi basi di dati. L’estrapolazione della conoscenza avviene attraverso specifici software e algoritmi: in argomento, v. Ziccardi, Sorveglianza elettronica, data mining e trattamento indiscriminato delle informazioni dei cittadini tra esigenze di sicurezza e diritti di libertà, in Ragion pratica, 2018, 29 ss.; Fayyad-Piatetsky ShapiroSmyth, From data mining to knoledge discovery: an overview, in Fayyad (a cura di), Advances in Knoledge Discovery and Data Mining, Menlo Park, CA, 1996, 1 ss. 71 Così Comoglio, Nuove tecnologie e disponibilità della prova, cit., 329, secondo cui, con specifico riferimento al processo civile, è un’ipotesi “ancora lontana dal realizzarsi”, cionondimeno è necessario che il giurista giochi d’anticipo per trovare soluzioni a problemi che possono, poi, materializzarsi in modo improvviso. 72 Nieva Fenoll, Intelligenza artificiale e processo, cit., 70 ss. 73 Superando così il problema dell’ammissibilità dell’uso di tali programmi sollevato da Comoglio, Nuove tecnologie e disponibilità della prova, cit., 330. 74 Sulle tematiche connesse alla digitalizzazione quasi integrale del processo civile v. per tutti, senza pretesa di completezza, Bonafine, L’atto processuale telematico: forma, patologie, sanatorie, Napoli, 2017, passim; De Santis, Processo telematico (diritto processuale civile), in Diritto on line, Enc. giur. Treccani, Roma, 2015; Zucconi Galli Fonseca, L’incontro tra informatica e processo, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2015, 1185 ss. 75 In questi termini, Comoglio, Nuove tecnologie e disponibilità della prova, cit., 343 ss., il quale evidenzia, sulla scia della dottrina processualpenalistica, la doppia natura del principio del contraddittorio, inteso sia come diritto alla partecipazione dialettica del processo, sia come strumento epistemico nell’accertamento dei fatti. Tale strumento, secondo l’Autore, trova oggi diritto di cittadinanza anche nel processo civile, come metodo razionale per ricostruire nel modo più giusto e corretto i presupposti della sua decisione, e richiama in proposito i contributi di Picardi, “Audiatur et altera pars”. Le matrici storico-culturali del contraddittorio, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2003, 7 ss., spec. 20, e Gamba, Contraddittorio (principio del) (diritto processuale civile), in Enc. dir. Annali, Milano, 2016, IX, 139 ss., spec. 162 ss. 76 Sul punto v. Luciani, La decisione giudiziaria robotica, cit., 874 s., il quale, al riguardo, segnala che il diritto di difesa è il primo diritto ad essere qualificato come “fondamentale” dalla Corte costituzionale, dopo quello alla salute, che tale qualifica riceve direttamente dall’art. 32 Cost. 77 Cfr. Bichi, Intelligenza Artificiale tra “calcolabilità” del diritto e tutela dei diritti, in Giur. it., 2019, 1173, Vincenti, Il “problema” del giudice-robot, in Carleo, Decisione robotica, cit., 111, e Mattera, Decisione negoziale e giudiziale, cit., 198, per i quali l’utilizzo di sistemi di IA è in grado di smaltire il contenzioso pregresso, di favorire la “prevedibilità” delle decisioni e la loro emanazione in un

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Al riguardo occorre, infatti, considerare che gli algoritmi alla base dei sistemi di IA sono caratterizzati da una certa opacità, nel senso cioè che il loro funzionamento presenta delle criticità sotto il profilo della trasparenza e della intellegibilità. Le informazioni sui dati inseriti così come sui metodi di trattamento non sono di solito a disposizione né delle parti né del giudice, o per difetto in capo ad essi di competenze specifiche che consentano la comprensione del codice sorgente, o addirittura per l’esistenza di diritti di proprietà industriale dell’azienda che lo ha realizzato, che impediscano la divulgazione di detto codice78. A ciò si aggiunga, poi, che trattandosi di algoritmi basati – come si è detto – sull’apprendimento automatico, e dunque basati su regole in continua modificazione secondo criteri ignoti anche agli sviluppatori, è pressoché impossibile ricostruirne il meccanismo di funzionamento interno, che resta imperscrutabile e, dunque, inaccessibile79. Con la conseguenza che il dato (probatorio) raccolto diventa o rischia di diventare apoditticamente attendibile per il solo fatto che la verificazione del processo che lo ha generato è troppo complessa o addirittura sfugge ad un controllo ex post. Il giudice diventerebbe un mero annotatore di un processo di valutazione della prova integralmente assorbito dalla sua natura algoritmica80. E ancora, si consideri l’attitudine discriminatoria degli algoritmi, laddove siano elaborati in maniera poco accurata81 o, ancora peggio, quando i dati immessi dal programmatore siano non neutrali82, come recano traccia le note vicende(83) relative al programma COMPAS (Correctional Offender Management Profiling for Alternative Sanctions), concepito

lasso temporale ragionevolmente contenuto, di ridurre i costi del funzionamento dell’apparato giudiziario, e di svolgere una funzione dissuasiva nei confronti dell’abuso del processo. 78 In termini, v. Contissa-Lasagni-Sartor, Quando a decidere in materia penale sono (anche algoritmi) e IA, cit., 625 s. 79 V. Lagioia-Sartor, L’intelligenza artificiale per i diritti dei cittadini, cit., 98, per i quali tanto più sono efficaci sono gli algoritmi (ad esempio, quelli basati sul deep learning), quanto più il loro comportamento risulta opaco; Italiano, Le sfide interdisciplinari dell’intelligenza artificiale, cit., 14, che considera gli algoritmi machine learning alla stregua di un oracolo o di uno stregone. 80 In termini, v. Quattrocolo, Equo processo penale e sfide della società algoritmica, cit., 141; Pajno-Bassini-De Gregorio-Macchia-PattiPollicino-Quattrocolo-Simeoli-Sirena, Intelligenza Artificiale: criticità emergenti e sfide per il giurista, in BioLaw Journal, 3/2019, 228. 81 Il che accade, ad esempio, quando i dati inseriti per l’addestramento degli algoritmi riguardano un campione parziale; in questi casi, il rischio è che siano sistematicamente svantaggiati coloro che sono sottorappresentati o sovrarappresentati nel dataset: Pellecchia, Profilazione e decisioni automatizzate, cit., 1215. 82 In termini, cfr. Comoglio, Nuove tecnologie e disponibilità della prova, cit., 334; Resta, Governare l’innovazione tecnologica, cit., 214 ss.; Contissa-Lasagni-Sartor, Quando a decidere in materia penale sono (anche algoritmi) e IA, cit., 627. 83 La notorietà si lega alla vicenda giudiziaria di Eric Loomis, un cittadino americano arrestato con l’accusa di non essersi fermato al controllo di polizia, mentre guidava, senza il consenso del proprietario, un’automobile utilizzata durante una sparatoria nel Wisconsin. A seguito della contestazione di diversi capi d’imputazione, tutti in recidiva, Loomis è stato condannato ad una pena rilevante, sei anni di prigione e cinque di libertà vigilata, sulla base dei suoi precedenti penali e del punteggio assegnatogli da Compas, che aveva individuato in lui un individuo socialmente pericoloso e ad alto rischio di reiterazione dei reati. La questione, sottoposta in sede d’impugnazione alla Corte d’Appello, è stata da questa rinviata alla Corte Suprema del Wisconsin, dinanzi alla quale è stata denunciata la violazione della clausola costituzionale del due process, essendo stato violato il diritto dell’imputato di conoscere le ragioni della propria sentenza, giacché la natura proprietaria dell’algoritmo Compas gli aveva impedito di conoscere una parte rilevante della motivazione. La Corte ha tuttavia riconosciuto la legittimità della procedura, rigettando il ricorso, muovendo dall’assunto che la mancata conoscenza del funzionamento dell’algoritmo, per legittime esigenze di protezione della proprietà intellettuale del software, non fosse lesiva del diritto all’equo processo, in quanto l’utilizzo dei punteggi attribuiti da Compas non era stato determinante ai fini della determinazione della sanzione, che, in ultima analisi, è sempre rimessa nelle mani del giudice (State Vs. Loomis, 881 N.W.2d 749, 2016).

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per calcolare il rischio di recidiva e la pericolosità sociale di soggetti sottoposti a procedimento penale. Il programma in questione, utilizzato in molteplici giurisdizioni statunitensi al fine di prevedere la commissione di reati nei due anni successivi alla sentenza e, dunque, per decidere il tipo e la quantificazione della pena da irrogare, nonché le modalità di esecuzione della medesima, è basato su dati statistici, precedenti giudiziari, un questionario somministrato all’imputato medesimo e una serie di altre variabili non conoscibili, a causa dell’impossibilità di accedere al codice sorgente84 dell’algoritmo, protetto da titoli proprietari. Il suo funzionamento è stato sottoposto ad un’attenta analisi, che ha dimostrato la presenza di un pregiudizio sistematico a danno delle persone di colore camuffato con la tecnologia. In particolare, il rischio di recidiva assegnato agli afroamericani era il doppio di quello assegnato ai bianchi, i quali, per contro, venivano ritenuti meno esposti a tale rischio. Nel caso, il bias discriminatorio, secondo quanto emerso nell’ambito di alcune inchieste giornalistiche, derivava, in parte, dalle risposte date dal soggetto detenuto o sottoposto a fermo alle domande del questionario, relative a diversi aspetti della sua personalità e della sua storia (luogo di residenza, livello di istruzione, consumo di stupefacenti e precedenti penali, personali o familiari), che conducevano quasi sempre a risultati confermativi o reiterativi di condizioni di debolezza e di difficoltà85, alimentando così, più o meno inconsciamente, “un ciclo tossico” di pregiudizi e di parzialità in grado di condizionare (negativamente) il giudizio sulla persona86, e, in parte, dai precedenti giudiziari inseriti nel dataset dell’algoritmo, tradizionalmente sfavorevoli agli afroamericani87, con l’effetto di riprodurre o, addirittura, amplificare le discriminazioni(88) già esistenti nel sistema penale89. Che si tratti di discriminazioni intenzionali o inconsapevoli – verificabili, peraltro, solo attraverso complicate e costose verifiche controfattuali90 – in ogni caso, esse sono in grado di determinare effetti distorsivi, ancor più gravi in questo ambito, in cui vengono in rilievo diritti fondamentali dell’individuo. Circostanza, quest’ultima, che induce alla massima cautela nell’utilizzo di sistemi di IA nell’ambito della tutela giurisdizionale dei diritti, anche

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Simoncini, L’algoritmo incostituzionale: intelligenza artificiale e il futuro delle libertà, in BioLaw Journal, 1/2019, 71 s. Secondo O’Neil, Armi di distruzione matematica, Firenze-Milano, 2017, 135 ss., che definisce gli algoritmi predittivi in termini di “armi di distruzione matematica”, le persone povere e di colore “vengono punite principalmente per il fatto di essere quello che sono e vivere dove vivono”. 86 Sul punto v. Pesce, Il giudice amministrativo e la decisione robotizzata. Quando l’algoritmo è opaco, in www.judicium.it, 12. 87 Celotto, Come regolare gli algoritmi, cit., 48. 88 Barbaro, Uso dell’intelligenza artificiale nei sistemi giudiziari: verso la definizione di principi etici condivisi a livello europeo?, in Quest. giust., 2018/4, 194. 89 Sebbene il modello nasca per non tener conto della razza, il risultato è esattamente quello; esso rileva indirettamente poiché spesso vengono presi in esame fattori statisticamente correlati all’appartenenza razziale: Resta, Governare l’innovazione tecnologica, cit., 216. 90 Se, come si è detto, il funzionamento dell’algoritmo resta opaco, vuoi per l’impossibilità di conoscere i dati inseriti e i metodi di trattamento per difetto delle competenze necessarie e per l’inaccessibilità del codice sorgente, poiché protetto da titoli proprietari, vuoi per il fatto che, essendo basato sull’apprendimento automatico, le regole di funzionamento si modificano in continuazione secondo modelli ignoti agli stessi sviluppatori, gli eventuali effetti discriminatori possono essere individuati solo attraverso verifiche controfattuali dei risultati. In altri termini, occorre applicare l’algoritmo a situazioni identiche e controllare gli effetti: se situazioni sostanzialmente identiche sono trattate in modi diversi, si avrà la prova dell’effetto discriminatorio dell’algoritmo: su tale aspetto, v. Comoglio, Nuove tecnologie e disponibilità della prova, cit., 338. 85

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se limitatamente alla fase istruttoria, e a perseguire, sulla scorta di quanto suggerito dalla richiamata Carta Etica europea, trasparenza, imparzialità ed equità dei metodi di trattamento dei dati giudiziari, certificate a priori e periodicamente da autorità o da esperti indipendenti, onde garantire l’accesso al processo creativo, compatibilmente con la tutela della proprietà intellettuale del codice sorgente dell’algoritmo, l’assenza di pregiudizi e la realizzazione degli interessi della giustizia91. In questa direzione, tra l’altro, si è già mosso il Consiglio di Stato nella sentenza dell’8 aprile 2019, n. 227092, laddove, investito della questione della legittimità dell’utilizzo di algoritmi nel procedimento di formazione del provvedimento amministrativo, ne ha ammesso l’uso, a condizione che essi siano conoscibili in tutti gli aspetti, “dai [loro] autori al procedimento usato per la … elaborazione, al meccanismo di decisione, comprensivo delle priorità assegnate nella procedura valutativa e decisionale e dei dati selezionati come rilevanti”, precisando altresì che la loro “caratterizzazione multidisciplinare” non fa venir meno la necessità che la “formula tecnica” che li rappresenta “sia corredata da spiegazioni che la traducano nella ‘regola giuridica’ ad essa sottesa e che la rendano leggibile e comprensibile, sia per i cittadini che per il giudice”.

3.1. Segue: … nella fase decisoria. L’altro ambito di possibile impiego dell’IA nel processo, come si è anticipato, è quello della decisione della causa, in funzione ancillare al giudice, al fine di fornirgli un supporto o, secondo una prospettiva radicale, in sua sostituzione. Quest’ultima opzione, peraltro, rappresenta, allo stato attuale, più un modello paradigmatico che una concreta possibilità, almeno in attesa del riconoscimento, auspicato dalla Risoluzione del Parlamento europeo del 16 febbraio 2017 recante raccomandazioni alla Commissione concernenti norme di diritto civile sulla robotica, di uno specifico status giuridico se non addirittura della personalità elettronica per i “robogiudici”, affinché “possano essere considerati come persone elettroniche responsabili di risarcire qualsiasi danno da loro causato” (punto 59, lett. h)93. In altri termini, la devoluzione dell’esercizio della funzione giurisdizionale ad agenti artificiali presuppone la disciplina dei profili di responsabilità per i danni eventualmente

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In argomento v. D’Aloia, Il diritto verso il “mondo nuovo”, cit., 17, per il quale tuttavia la programmazione e il “design” dei modelli algoritmici non è un contrappeso sufficiente nel mondo dell’apprendimento automatico, caratterizzato da sistemi che prendono autonomamente le informazioni di cui hanno bisogno nello sconfinato repertorio informativo del web. 92 Vedila pubblicata in Foro it., 2019, III, c. 606. 93 La richiamata Risoluzione del Parlamento europeo del 16 febbraio 2017 (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri= CELEX:52017IP0051&from=IT) invita a esplorare, esaminare e valutare “l’istituzione di uno status giuridico specifico per i robot …, di modo che almeno i robot autonomi più sofisticati possano essere considerati come persone elettroniche responsabili di risarcire qualsiasi danno da loro causato, nonché eventualmente il riconoscimento della personalità elettronica dei robot che prendono decisioni autonome o che interagiscono in modo indipendente con terzi”. Nel senso della contrarietà all’assunzione di forme di personalità giuridica per i robot, v. invece il Parere del Comitato economico e sociale europeo su “L’intelligenza artificiale – Le ricadute dell’intelligenza artificiale sul mercato unico (digitale), sulla produzione, sul consumo, sull’occupazione e sulla società”, INT/086 del 31 maggio 2017, in https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52016IE5369&from=IT.

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cagionati e, in via pregiudiziale, il riconoscimento di una loro “soggettività elettronica” per consentire loro di agire come esseri umani. L’obiettivo non è tanto liberare il giudice dal “peso” del suo lavoro94, bensì quello a) di erogare prestazioni di giustizia più efficienti rispetto a quelle fornite dal giudice-persona95 sotto il profilo dei tempi, dei costi e della qualità, e immuni dagli “errori umani, come pregiudizi, stanchezza o carenza di conoscenze aggiornate” o da inclinazioni accidentali96, in ragione della asserita neutralità dei sistemi di IA; b) di recuperare la “calcolabilità” del diritto97 ormai incrinata in ragione delle numerose e stratificate fonti normative98, della presenza del diritto sovranazionale, della ricorrenza del canone giurisprudenziale dell’interpretazione costituzionalmente orientata, dell’accresciuto valore del “precedente”99 fino alla formazione di un diritto giurisprudenziale “vivente” quasi in antitesi al diritto “vigente”, della diffusione del fenomeno del soft law100, dell’incremento di norme intrise di clausole generali e di concetti indeterminati e di norme elastiche, come pure del proliferare di norme contraddittorie, antinomiche e caratterizzate da un drafting non proprio impeccabile101; e, in ultima analisi, c) di soddisfare quell’esigenza, connaturata ad ogni ordinamento

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Sul punto v. le perplessità manifestate da Luciani, La decisione giudiziaria robotica, cit., 874 s. Luciani, La decisione giudiziaria robotica, cit., 872 ss.; Vincenti, Il “problema” del giudice-robot, cit., 111; Irti, Per un dialogo sulla calcolabilità giuridica, in Carleo (a cura di), Calcolabilità giuridica, Bologna, 2017, 22 s.; Battelli, Giustizia predittiva, cit., 282; Bichi, Intelligenza Artificiale, cit., 1776. 96 V. Tegmark, Vita 3.0. Essere umani nell’era dell’intelligenza artificiale, cit., 143; e Bona, Sentenze imperfette, cit., 166 ss., il quale, muovendo dai risultati di una ricerca effettuata sulle sentenze pronunciate nell’ordinamento italiano in tema di separazione personale dei coniugi nella parte relativa alla liquidazione degli assegni di mantenimento a favore del coniuge e dei figli, rileva che, in sede di decisione, i giudici non seguono le regole della “razionalità olimpica”, ma si lasciano condizionare da dati irrilevanti, quali l’entità della domanda, il sesso del richiedente, la misura dell’assegno liquidato al primo coniuge. 97 Concetto che, ad avviso di Irti, Per un dialogo sulla calcolabilità giuridica, cit., 17, è stato trapiantato da Weber nel campo del diritto. La “calcolabilità del diritto” nella prospettiva weberiana (Storia economica. Linee di una storia universale dell’economia e della società, 1919-1922, trad. it. a cura di Barbera, Roma, 1993, 298 ss.) è connaturata al capitalismo e alle esigenze dell’economia di mercato: poiché l’imprenditore è un uomo calcolante, oltre all’andamento dei mercati, al flusso delle materie prime, al costo della manodopera e al corso dei cambi monetari, egli deve poter prevedere le future decisioni giudiziarie e, a tal fine, il diritto deve potersi calcolare in modo simile ad una macchina. Su tali aspetti, v. pure le considerazioni svolte da Picardi. Poteri, doveri e responsabilità del giudice. Introduzione, in Martino (a cura di), La giurisdizione nell’esperienza giurisdizionale contemporanea, Milano, 2008, 231 ss., spec. 234 ss. 98 Con conseguente crisi della gerarchia delle fonti e incertezza dei confini applicativi delle norme, a causa della diffusione del potere di emanare regole di diritto in capo a soggetti diversi: non solo gli Stati nazionali e l’Unione europea, ma anche soggetti pubblici (autorità amministrative indipendenti e organizzazioni internazionali) e privati (Banca Mondiale, associazioni economiche), ai quali viene attribuita una funzione regolatoria a diversi livelli (internazionale, sovranazionale e transnazionale): in argomento v. Bichi, Intelligenza Artificiale, cit., 1775, che definisce il fenomeno in termini di “autorità regolativa a fonte plurima”. 99 Di cui un indice sintomatico sono l’art. 360-bis n. 1, l’art. 374, comma 3, e l’art. 363, comma 3, c.p.c.; sul ruolo attuale del precedente nell’ordinamento italiano, v. in giurisprudenza, tra le tante, Cass. 13 maggio 2003, n. 7355, in Foro it., 2004, 1, c. 1237; Cass. SS.UU. 31 luglio 2012, n. 13620, in Riv. arb., 2012, 847 ss.; Cass. SS.UU. 6 novembre 2014, n. 23675, in Banca dati Pluris; nonché l’ampio e accurato studio di Passanante, Il precedente impossibile. Contributo allo studio del diritto giurisprudenziale nel processo civile, Torino, 2018, passim; Consolo, Dal filtro in Cassazione ad un temperato “stare decisis”: la prima ordinanza sull’art. 360-bis, in Corr. giur., 2010, 1405 ss.; Nuzzo, Il problema della prevedibilità delle decisioni: calcolo giuridico secondo i precedenti, in Carleo (a cura di), Calcolabilità giuridica, cit., 146 s. 100 Con tale espressione, derivata dal diritto internazionale, si individuano le regole dettate da organi privi di potere legislativo ma dotate in concreto di efficacia normativa. Quella del soft law è considerata una categoria residuale, che ricomprende al suo interno atti atipici, tra loro disomogenei, che per ragioni diverse non sono riconducibili agli atti normativi in senso stretto (hard law): v. per tutti, senza pretesa di completezza, Mostacci, La “soft law” nel sistema delle fonti, Padova, 2008, 21; Cafaggi, Regolamentazione transnazionale e trasformazioni dello Stato: un’introduzione, in Id. (a cura di), Regolamentazione transnazionale e trasformazioni dello Stato, Bologna, 2017, 11 ss.; Bichi, Intelligenza Artificiale, cit., 1775. 101 Sulle cause della “incalcolabilità” del diritto, v. le analisi di Bichi, Intelligenza Artificiale, cit., 1775; e Punzi, Judge in the machine. E se fossero le macchine a restituirci l’umanità del giudicare?, in Carleo (a cura di), Decisione robotica, cit., 327. 95

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giuridico, di certezza del diritto, intesa come prevedibilità e uniformità delle decisioni102, di cui recano traccia l’art. 101, comma 2, Cost. e l’art. 65, comma 1, Ord. giud.103. Il tema è evidentemente di forte impatto, giacché non si tratta di uno dei tanti ammodernamenti informatici che negli ultimi anni hanno caratterizzato il servizio giustizia104, ma di un vero e proprio cambio di passo: la tecnologia, infatti, non è più prospettata come uno strumento di gestione degli atti del processo o di ausilio nella ricerca giuridica, un mezzo per realizzare azioni decise da un soggetto agente umano, essa decide o può decidere autonomamente105. Ciò incide in maniera inevitabile sulla funzione del giudice e ha implicazioni sull’assetto e sugli equilibri costituzionali. Basti pensare al principio del “giudice naturale precostituito per legge”106 di cui all’art. 25 Cost. Il giudice, nella prospettiva dei costituenti, era esclusivamente una persona; è possibile ritenere oggi rispettata la garanzia del giudice naturale, allorché la decisione sia in tutto o in parte delegata ad un succedaneo del giudice107, sia esso “un ammasso di metallo e plastica” funzionante sulla base di algoritmi o un agente robotico dotato di sembianze umane? Sul punto la riflessione è già ad uno stadio avanzato, giacché le numerose sperimentazioni di sistemi di IA applicati al momento decisorio che si sono succedute negli ultimi anni108, hanno reso indifferibile una presa di coscienza da parte degli operatori della ormai inarrestabile mutazione in corso. La prospettiva di una spoliazione del giudice, totale o parziale, del potere di decidere la causa ha innescato un acceso dibattito sulla sua compatibilità con i principi che regolano la giurisdizione, sull’impatto sui diritti fondamentali, e, a monte, sul rapporto uomo-macchina. In relazione a quest’ultimo tema, al cospetto di macchine sempre più somiglianti all’uomo, il mondo si divide tra “apocalittici” e “integrati”109.

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Luciani, La decisione giudiziaria robotica, cit., 872 ss.; Vincenti, Il “problema” del giudice-robot, cit., 111; Irti, Per un dialogo sulla calcolabilità giuridica, in Carleo (a cura di), Calcolabilità giuridica, Bologna, 2017, 22 s.; Battelli, Giustizia predittiva, cit., 282; Bichi, Intelligenza Artificiale, cit., 1776; Dalfino, Creatività e creazionismo, prevedibilità e predittività, in Foro it., 2018, V, c. 385 ss., spec. § 3. 103 Le disposizioni richiamate nel testo – “I giudici sono soggetti soltanto alla legge” e “La corte suprema di cassazione … assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale …” – nella parte in cui “esprimono l’impersonale oggettività del diritto e la funzionalità tecnica della sua applicazione, vietando fughe soggettive e particolari nella prospettiva di una uniforme applicazione della legge”, costituiscono l’addentellato normativo su cui si fonda la perseguibilità del bene “certezza del diritto”: in termini, v. Bichi, Intelligenza Artificiale, cit., 1776. 104 Vincenti, Il “problema” del giudice-robot, cit., 112. 105 Simoncini, L’algoritmo incostituzionale, cit., 69. 106 Su tale aspetto, v. per tutti, Picardi, Il giudice naturale. Principio fondamentale a livello europeo, in Diritto e Società, 2008, 513 ss.; nonché in Studi in onore di Pierfrancesco Grossi, Milano, 2010, 669 e s. 107 Luciani, La decisione giudiziaria robotica, cit., 876; Battelli, Giustizia predittiva, cit., 289 s. 108 Su cui, per un’accurata rassegna, v. Gabellini, La “comodità nel giudicare”: la decisione robotica, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2019, 1307 ss.; Rulli, Giustizia predittiva, cit., 536 ss.; De Pasquale, La giustizia predittiva in Francia: il trattamento DataJust, in www. judicium.it, 1 ss. 109 Secondo Carcaterra, Machinae autonome e decisione robotica, in Carleo (a cura di), Decisione robotica, cit., 33, l’idea che le macchine si sostituiscano agli uomini in compiti sempre più delicati, quale, ad esempio, il decidere, crea uno stato di allarme; gli uomini, pur affascinati dalla loro creatura, provano disagio all’idea di vedere replicate funzioni che ritenevano essere una prerogativa esclusiva e si dibattono “tra il mito di Narciso e l’eisoptrofobia, spaventati da uno specchio che … rinvia [loro] l’immagine riflessa”.

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Da un lato, c’è chi, intravedendo all’orizzonte la minaccia di perdere la propria primazia sulla macchina, manifesta un atteggiamento scettico se non addirittura ostile e di chiusura istintiva verso la scienza e le sue applicazioni, resistendo (irrazionalmente) all’innovazione110. Dall’altro, c’è, invece, chi cede entusiasticamente al fascino dell’IA111 o dei “robogiudici”112, considerandoli una via d’uscita dal “labirinto di un’epoca” connotata da un’elevata complessità e una panacea “contro le fallibilità e le incertezze del decisore umano”113, giacché consentono di ridurre al minimo la durata dei processi, di smaltire l’arretrato dei giudici, di rendere le decisioni prevedibili e soprattutto scevre da soggettivismi e persino di svolgere una funzione dissuasiva nei confronti dell’uso strumentale e temerario del processo114. Anticipando sin d’ora quanto si cercherà di dimostrare nelle pagine che seguono, tra le due soluzioni estreme – il rifiuto tecnofobico e l’apologia della decisione robotica – ciascuna delle quali non esente da obiezioni, quella della “terza via”, ispirata all’“interazione feconda” tra uomo e IA115, sembra l’opzione più realistica.

3.2. Segue: gli algoritmi predittivi. L’utilizzo di sistemi di IA in relazione alla fase decisoria evoca il tema non nuovo della “giustizia predittiva”116, che, di recente, proprio in connessione con l’elaborazione di strumenti ad alta intensità tecnologica, è stato oggetto di rinnovata attenzione. Nata negli Stati Uniti negli anni Cinquanta del secolo scorso sotto il nome di giurimetria117, essa si è nuovamente imposta all’attenzione, sempre negli Stati Uniti, in concomitanza con la diffusione dell’uso di algoritmi predittivi nell’ambito della giustizia penale118, nonché, in Francia, a seguito della previsione inserita nella L. n° 2016-1321 du 7 octobre

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V. Punzi, Judge in the machine, cit., 319 ss., che definisce l’atteggiamento in questione pseudoumanistico, ma in realtà “passatista” e “tecnofobico”. 111 In argomento v. Balkin, The Path of Robotics Law, in Calif. L. Rev., 6, 2015, 49 ss., che segnala la difficoltà di distinguere tra IA e robot; Luciani, La decisione giudiziaria robotica, cit., 876, il quale ritiene che sia preferibile immaginare quale giudice robotico una macchina antropomorfa, che interagisce con l’esterno “per mimesi di umani comportamenti”, piuttosto che “un ammasso di metallo e plastica” (un computer) che interagisce sulla base di processi algoritmici; D’Aloia, Il diritto verso il “mondo nuovo”, cit., 8, secondo cui il “contenitore” IA ingloba sia macchine antropomorfe (dotate quindi di un corpo), sia sistemi virtuali. 112 Cfr. Tegmark, Vita 3.0. Essere umani nell’era dell’intelligenza artificiale, cit., 143 ss., secondo cui i “robogiudici” potrebbero essere più efficienti dei giudici umani, grazie alla possibilità di esaminare le controversie in parallelo e non in serie, e più equi, essendo privi di pregiudizi, massimamente competenti – in quanto dotati di memoria e capacità di apprendimento illimitate – e trasparenti. 113 In questi termini, v. Punzi, Judge in the machine, cit., 324 ss. 114 Mattera, Decisione negoziale e giudiziale: quale spazio per la robotica, cit., 198. 115 Punzi, Judge in the machine, cit., 328; Rulli, Giustizia predittiva, cit., 535. 116 Le cui origini si fanno risalire alla Dissertatio de arte combinatoria (1666) di Leibniz, nonché successivamente alla Dissertatio de usu artis conjectandi in jure (1709) di Bernoulli; e agli studi di Condorcet, Essai sur l’application de l’analyse à la probabilité des décisions rendues à la pluralité des voix, Paris, 1785; e Poisson, Recherchessur la probabilité des jugements en matière criminelle et en matière civile, Paris, 1837. 117 Cfr. Loevinger, Jurimetrics: The Next Step Forward, in Minnesota Law Review, 1949, 455 ss.; Kort, Predicting Supreme Court Decisions Mathematically: A Quantitative Analysis of the “Right to Counsel” Cases, in American Political Science Review, 1957, 51, 1 ss., altresì consultabile su https://doi.org/10.2307/1951767; Lawlor, What Computers Can Do: Analysis and Prediction of Judicial Decisions, in American Bar Association Journal, 1963, 49, 337 ss., altresì consultabile in https://www.jstor.org/stable/25722338. 118 Su tale aspetto v. supra, § 3, nonché, per ulteriori riferimenti, Contissa-Lasagni-Sartor, Quando a decidere in materia penale sono (anche algoritmi) e IA, cit., 620 ss.

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2016 pour une République numérique di messa a disposizione gratuita a favore del pubblico di tutte le decisioni rese da organi giurisdizionali, seppur nel rispetto della vita privata delle persone interessate119. In quest’ultimo contesto, la possibilità di sottoporre a trattamento algoritmico la miniera di dati ricavabili dalla “vita giurisdizionale di una nazione”, al fine di conoscere le probabilità di successo di una controversia, ha suscitato un inaspettato interesse non solo tra gli operatori del diritto, ma anche nell’ambito delle imprese che offrono servizi tecnologici di supporto al mercato legale (c.d. legaltech), evidentemente attratte dai risvolti economici di una simile iniziativa. È opinione condivisa che il sintagma definitorio – “giustizia predittiva” – seducente e accattivante, sia tuttavia impreciso e frutto di una confusione semantica120. Infatti, discorrendo di predittività, non si intende far riferimento a una giustizia “che predice” le sentenze future alla guisa di un oracolo, bensì – secondo la definizione comunemente accolta nel lessico giuridico – a una giustizia “predetta attraverso algoritmi”, che attraverso tecniche quantitative effettuano calcoli a partire da grandi volumi di dati aperti per reperire delle ricorrenze, al fine di effettuare previsioni circa l’esito di un giudizio121. In altri termini, sotto le insegne della giustizia predittiva possono ricondursi tutti quegli strumenti informatici che, partendo da una base di dati giurisprudenziali (i precedenti) e individuando, attraverso algoritmi di cernita (basati sull’apprendimento automatico) e reti neurali, le correlazioni o ricorrenze di gruppi lessicali tra i diversi parametri di decisioni rese in passato su un certo argomento, ne deducono uno o più modelli matematici, mediante i quali è possibile effettuare delle previsioni in ordine alle probabilità di successo (o di insuccesso) di una futura controversia dedotta in giudizio. Non si tratta, dunque, di effettuare predizioni di eventi futuri per ispirazione soprannaturale o mediante premonizioni, bensì di osservare dei dati prima del giudizio, al fine di prevedere una situazione futura, ossia l’esito della controversia. Dai rilievi che precedono emerge che l’obiettivo dei sistemi di IA basati su algoritmi predittivi non è quello di riprodurre il ragionamento del giudice, giacché, com’è stato da più

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Il riferimento corre all’art. 21, che ha novellato il Code de l’organisation judiciaire inserendo l’art. L. 111-13 secondo cui “Sans préjudice des dispositions particulières qui régissent l’accès aux décisions de justice et leur publicité, les décisions rendues par les juridictions judiciaires sont mises à la disposition du public à titre gratuit dans le respect de la vie privée des personnes concernées. Cette mise à disposition du public est précédée d’une analyse du risque de ré-identification des personnes. Les articles L. 321-1 à L. 326-1 du code des relations entre le public et l’administration sont également applicables à la réutilisation des informations publiques figurant dans ces décisions. Un décret en Conseil d’Etat fixe, pour les décisions de premier ressort, d’appel ou de cassation, les conditions d’application du présent article”. 120 Dovuta ad una non corretta trasposizione dall’inglese dell’aggettivo “predictive” o, secondo un’altra ricostruzione, ad un tranfert del termine proveniente dalle scienze “dure”, in cui esso evoca “una varietà di tecniche della scienza dei dati … che analizzano i fatti, presenti e passati, per formulare ipotesi sul contenuto di avvenimenti futuri” (Carta etica europea sull’utilizzo dell’IA nei sistemi giudiziari e negli ambiti connessi. Appendice I, cit., § 3); su questi temi, tra i tanti, cfr. Breggia, Prevedibilità, predittività e umanità nella soluzione dei conflitti, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2019, 398 s.; Lebreton-Derrien, La justice prédictive. Introduction à une justice “simplement” virtuelle, in Aa.Vv., La justice prèdictive, Arch. phil. droit, 60, Dalloz, 2018, 3 s.; Dalfino, Creatività e creazionismo, prevedibilità e predittività, cit., § 4. 121 Boucq, La justice prédictive en question, Dalloz Actualité, 14 juin 2017, consultabile su https://www.dalloz-actualite.fr/chronique/ justice-predictive-en-question#.X9M6xNhKiM8; nonché la Carta etica europea sull’utilizzo dell’IA nei sistemi giudiziari e negli ambiti connessi. Appendice I, cit., § 3.

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parti evidenziato, si tratta di un ragionamento complesso, che non può essere formalizzato a priori, poiché è composto da una moltitudine di fattori – alcuni dei quali addirittura istintivi e irrazionali122 – e nel quale non mancano scelte discrezionali. L’attività decisoria non è infatti meccanica applicazione della legge al caso concreto, previa qualificazione e interpretazione dei fatti123, ma è ben di più, essendo, ad esempio, richiesto al giudice di selezionare tra i fatti quelli rilevanti, di stabilire, in assenza di una predeterminazione legale, la natura costitutiva o impeditiva di un fatto ai fini della distribuzione dell’onere probatorio, di verificare se i fatti medesimi sono accertati, e ancora, di individuare, nell’ambito di una pluralità di fonti, quella spazialmente rilevante applicabile, ovvero, nell’ambito di più fonti confliggenti, quella che deve prevalere, per non dire poi delle ipotesi in cui al giudice sia richiesto di decidere secondo “valori”, effettuando un bilanciamento, o addirittura di decidere secondo equità. Stante tale complessità, i sistemi predittivi, basati sull’apprendimento automatico, non tentano di formalizzare o di simulare il ragionamento giuridico124, irriducibile negli schemi del sillogismo giudiziario e della logica formale, non sviluppano un proprio ragionamento ad immagine e somiglianza di quello del giudice, ma si limitano ad effettuare previsioni in ordine alle probabili decisioni, muovendo dal presupposto, di derivazione statistica, che le correlazioni o ricorrenze individuate tra parole e/o parametri definiti – tanto più attendibili quanto più è esteso il campione di riferimento – possano sostituire la comprensione delle ragioni di una decisione.

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Come ritenuto dagli esponenti del realismo giuridico americano: su tale aspetto, senza pretesa di completezza, si rimanda all’analisi di Tarello, Il realismo giuridico americano, Milano, 1962, passim. In generale, sul carattere complesso della decisione giudiziaria, cfr. Taruffo, Senso comune, esperienza e scienza del ragionamento del giudice, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2001, 665 ss.; Id., La decisione giudiziaria e la sua giustificazione: un problema per le neuroscienze, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2016, 1239 ss. 123 La stessa attività interpretativa richiede l’esercizio di un’opzione valutativa, dovendo il giudice “esplicare, adattare, completare”: così Pacchioni, I poteri creativi della giurisprudenza, in Riv. dir. comm., 1912, 41; su tali aspetti, v. pure Gambino, Ruolo della giurisprudenza, potere tecnologico e diritto dell’impresa, in Riv. dir. comm., 1967, 253 ss., spec. 256 s. 124 Ciò è stato dimostrato muovendo dall’esame di uno studio condotto dall’University College di Londra nel 2016, che ha elaborato un algoritmo finalizzato a prevedere il possibile esito di controversie dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo. L’algoritmo, esaminando un campione della giurisprudenza della Corte (584 decisioni), quindi un materiale già trattato giuridicamente, si è rivelato idoneo a valutare la violazione o meno degli articoli 3, 6 e 8 della Convenzione in nuovi casi concreti posti all’attenzione della Corte, con una percentuale di successo fino al 79%. Tale risultato è stato ottenuto sulla base di un trattamento statistico dei dati raccolti (Aletras-Tsarapatsanis-Preoţiuc-Pietro-Lampos, Predicting judicial decisions of the European Court of Human Rights: a Natural Language Processing perspective, in PeerJ Computer Science, 2016, in https://doi.org/10.7717/peerj-cs.93, 1 ss.). L’algoritmo è stato programmato su diversi elementi costitutivi delle sentenze della Corte (i fatti, l’applicazione della convenzione e il dispositivo – (violazione/non violazione); la frequenza di gruppi lessicali ricorrenti è stata poi registrata in una banca dati e confrontata con la violazione o meno della Convenzione. L’algoritmo ha prodotto solo una probabilità grazie a elementi lessicali tratti in gran parte dai ragionamenti e dalle motivazioni espressi dal giudice e non grazie a quelli messi insieme dal ricorrente. In nessun caso è stato in grado di riprodurre il ragionamento dei giudici europei o di predire un esito muovendo dal grezzo resoconto presentato dinanzi alla Corte di Strasburgo da un futuro ricorrente, in quanto il ricorso è soggetto a un esame molto rigoroso della ricevibilità basato in gran parte sull’applicazione di criteri di valutazione che lasciano un considerevole margine di discrezionalità nel processo decisionale: su tali aspetti si rimanda alle osservazioni contenute nella Carta etica europea per l’uso dell’intelligenza artificiale nei sistemi giudiziari e nei relativi ambienti. Appendice I, cit., § 81-83.

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3.3. Segue: … le criticità connesse al loro utilizzo. Una simile prospettiva, seppur attraente, non considera però il rischio delle false correlazioni, ovvero il collegamento tra fattori del tutto privi di nesso causale, tanto più elevato quanto più è ampia la banca dati utilizzata per le correlazioni. Al riguardo, è stato osservato che quella che per un’IA può apparire una connessione o una regolarità, potrebbe in realtà essere frutto di una mera casualità, con ovvie conseguenze sull’affidabilità della previsione della decisione effettuata, alla quale, peraltro, resta estranea qualsiasi valutazione della conformità al diritto di una particolare soluzione, poiché i calcoli di probabilità su cui si basa non sono in grado di discriminare tra ragionamenti giuridicamente validi e non125. Questo peraltro non è l’unico aspetto problematico che l’adozione di algoritmi predittivi solleva. Se, come si è detto, essi formulano previsioni di future decisioni ricercando correlazioni nell’ambito della giurisprudenza pregressa, appare determinante, ai fini delle scelte effettuate e dei risultati proposti, la costruzione del dataset126, l’elaborazione dei criteri per risolvere i contrasti di giurisprudenza, l’individuazione di una gerarchia nella selezione dei precedenti127 e, a monte, la decodificazione del lessico giuridico e la sua trasformazione in linguaggio matematico, l’unico in grado di consentire l’analisi statistica. Ad effettuare queste scelte non è la macchina, ma l’uomo – il programmatore degli algoritmi – che agisce “in base ad opzioni di valore e/o d’interesse”, può compiere errori ed essere influenzato da pregiudizi. Come si è già detto, chi può escludere che gli algoritmi predittivi, in luogo della autorevolezza delle decisioni e della rilevanza giuridica, non interiorizzino i pregiudizi o i preconcetti sociali del programmatore, o non muovano da una base di dati insufficiente e/o parziale? Che un simile rischio sia concreto e significativo lo si ricava dalla già richiamata Carta Etica europea nella parte in cui prevede, tra i principi che devono ispirare lo sviluppo di strumenti di IA che analizzano dati e decisioni giudiziarie, quello di non discriminazione, onde ottenere un output non influenzato da pregiudizi. L’esistenza di bias nella scelta dei dati rilevanti nonché di quelli impliciti legati alla natura intrinseca delle tecniche di apprendimento automatico su cui si basano, oltre a mettere in dubbio la pretesa “neutralità” degli algoritmi predittivi128 e l’oggettività delle decisioni basate su di essi, rappresenta una minaccia per i principi di indipendenza e imparzialità del giudice, non solo nell’ipotesi radicale della decisione completamente automatizzata –

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V. Barbaro, Uso dell’intelligenza artificiale nei sistemi giudiziari, cit., 192; e Meneceur-Barbaro, Intelligenza artificiale e memoria della giustizia: il grande malinteso, in https://www.questionegiustizia.it/articolo/intelligenza-artificiale-e-memoria-della-giustizia-il-grandemalinteso_16-05-2020.php. 126 Che deve comprendere oltre al complesso normativo, anche l’inserimento dei precedenti, ma solo quelli più recenti o anche quelli più datati, che potrebbero essere superati e dar luogo a conflitti di istruzioni: Luciani, La decisione giudiziaria robotica, cit., 886 s.; Dalfino, Creatività e creazionismo, prevedibilità e predittività, cit., § 4.2. 127 Ritenuta opportuna da Cholet, La justice prédictive et les principes fondamentaux du procès civil, in Aa.Vv., La justice prèdictive, cit., 234, per evitare che tutte le decisioni, anche quelle dei giudici di merito, costituiscano precedente; adde Ferrié, Les algorithmes à l’épreuve du droit au procés equitable, in Semaine Juridique, 2018, 498 ss., consultabile su LexisNexis, spec. 4 s. 128 Su cui v. le considerazioni svolte supra al § 3.

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che, come si è detto, allo stato attuale, è solo un’ipotesi paradigmatica – ma anche quando l’utilizzo dell’IA sia strumentale alla decisione umana. Come la dottrina d’oltralpe ha evidenziato, i risultati proposti dall’algoritmo forniscono al giudice l’indicazione di una tendenza o di un’interpretazione di maggioranza, che inevitabilmente influenza il suo processo decisionale: quanto più è alta la probabilità indicata, tanto più il giudice avrà la tendenza a conformarsi a quella previsione “per sicurezza, conformismo e volontà di essere ben giudicato”, o per sottrarsi ad un onere suppletivo di motivazione necessario per discostarsi dall’esito preconizzato, o ancora per timore di conseguenze di varia natura (disciplinare, civile). Questa dipendenza dalle statistiche – nota come effetto “performativo” o di autorealizzazione dell’algoritmo129 – che mina la libertà di decisione del giudice, poiché la “predizione” non ha solo un valore indicativo ma quasi prescrittivo, cela in realtà la sua dipendenza dal potere di fatto della tecnologia e, in particolare, delle imprese che elaborano sistemi di giustizia predittiva, e può tradursi in una minaccia di particolare gravità alla sua indipendenza nell’esercizio del potere decisorio, se si considera che le legaltech agiscono non in funzione dell’interesse generale, ma di interessi privati puramente economici. In tale contesto, peraltro, il principio di indipendenza assume una connotazione nuova, che travalica la sua funzione tradizionale di tutela del giudice rispetto agli altri poteri dello Stato e, in particolare, quello esecutivo130. Del pari potrebbe essere incrinata l’imparzialità del giudice, allorché egli, a fronte delle previsioni generate dall’algoritmo, temendo che la parte che da queste risulta sfavorita lo sospetti di parzialità poiché lo ritiene non incline ad ascoltare i propri argomenti per il fatto di essersi già formato una propria opinione sulla controversia, decida difformemente rispetto alla soluzione prospettata come maggioritaria, al solo fine di ristabilire l’equilibrio numerico delle decisioni a detrimento della giustizia individuale131. E ancora, rischia di essere profondamente modificato “l’ufficio” stesso del giudice. Tradizionalmente, nei sistemi di civil law, il giudice decide la controversia dopo aver esaminato in fatto e in diritto la domanda, considerato gli argomenti addotti dalle parti e individuato la norma applicabile ai fatti allegati. Tale schema rischia invece di essere

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Che rischia di tradursi in una profezia autoavverantesi, come segnala Dalfino, Creatività e creazionismo, prevedibilità e predittività, cit., § 4.2: quando “il giudice, per rendere le decisioni, utilizza la “predizione” dell’algoritmo, … la predizione stessa diventa la decisione”. L’effetto di autorealizzazione fa sì che il sistema produca gli stessi risultati in uscita influenzando i produttori di informazioni in entrata, cioè i magistrati. 130 Cfr. Garapon-Lassègue, Justice digitale, cit., 279 s. V. inoltre Dalfino, Stupidità (non solo) artificiale, predittività e processo, in https:// www.questionegiustizia.it/articolo/stupidita-non-solo-artificiale-predittivita-e-processo_03-07-2019.php, § 6, sui timori che per questa strada si possa favorire una logica “proprietaria” del processo. 131 Su questi temi, v. diffusamente Cholet, La justice prédictive et les principes fondamentaux du procès civil, in Aa.Vv., La justice prèdictive, cit., 231 s., il quale, al fine di evitare attentati ai principi di indipendenza e imparzialità, auspica un inquadramento da parte del legislatore delle funzioni della giustizia predittiva “en la limitant à un rôle d’aide à l’information”; Ferrié, Les algorithmes à l’épreuve du droit au procés equitable, cit., 6 ss., il quale, in relazione all’imparzialità del giudice, ritiene che il semplice fatto che le parti sappiano che il giudice subisca l’influenza delle statistiche, che riflettono l’opinione della maggioranza, possa far nascere in capo ad esse un sospetto parzialità, essendosi egli formato un’opinione sulla controversia prima di deciderla; Sauvé, Introduction, in Aa.Vv., La justice prèdictive. Actes du colloque du 12 février 2018, Dalloz, 2018, 10 s.; Gabellini, La “comodità nel giudicare”, cit., 1312; Dalfino, Creatività e creazionismo, prevedibilità e predittività, cit., § 4.2; Luciani, La decisione giudiziaria robotica, cit., 886 ss.

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completamente alterato allorché egli, ai fini della decisione della causa, si affidi alle statistiche elaborate sulla base di ciò che in passato è stato deciso in casi simili. Se, infatti, si considera che, ai fini della elaborazione degli algoritmi predittivi, i fatti e il diritto, per poter essere sottoposti al trattamento statistico, sono “ridotti” al rango di informazioni e trasformati in dati informatici, e dunque il diritto diventa “un fatto come un altro”132, viene meno la tradizionale distinzione tra quaestio facti e quaestio iuris, l’una di esclusiva spettanza delle parti, l’altra del giudice, proprio perché i fatti e il diritto non esistono più come entità distinte. Da ciò discende, quale corollario, che, se il giudice, avvalendosi di strumenti di giustizia predittiva, non è più indotto a ricercare la regola di diritto applicabile alla fattispecie concreta, ma semplicemente a verificare che la soluzione suggerita come più probabile dall’algoritmo sulla base delle precedenti decisioni sia corrispondente a quella che egli deve giudicare, muta il suo approccio rispetto alla controversia, avvicinandosi a quello del giudice dei sistemi di Common law, fondati sull’autorità del precedente e sulla sua efficacia vincolante133. Se, da un lato, c’è chi valuta positivamente lo scivolamento verso una maggiore centralità e vincolatività del precedente134 e il possibile avvicinamento dei due sistemi non solo per l’uniformità dell’applicazione del diritto e la standardizzazione e la prevedibilità delle decisioni che ne può conseguire, ma in quanto propedeutici alla creazione di un più democratico “diritto isometrico” nel quale “l’intégralité des décisions de justice est mesurée de façon égale per un programme informatique, dont la synthese finit par devenir la norme”, dando luogo ad una fonte alternativa di normatività basata sulla “programmazione”135, dall’altro, c’è invece chi mette in guardia dai non pochi rischi derivanti da un simile approccio. Innanzitutto, (i) quello di subordinare il giudice non più soltanto alla legge ma anche e soprattutto alla giurisprudenza, con inevitabili ricadute di ordine costituzionale; poi, (ii) quello di riconoscere “autorità” di precedente a tutte le decisioni e non solo a quelle rese dai giudici di ultima istanza, laddove il software predittivo non sia programmato per effettuare una gerarchizzazione, e addirittura di invertire il rapporto tra giurisdizioni inferiori e giurisdizioni superiori, qualora il sistema open data non sia adeguatamente

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Su cui v. Cholet, La justice prédictive et les principes fondamentaux du procès civil, in Aa.Vv., La justice prèdictive, cit., 233, che descrive il fenomeno in termini di “factualisation du droit”; Ferrié, Les algorithmes à l’épreuve du droit au procés equitable, cit., 5, il quale, peraltro, rileva che, non distinguendo l’algoritmo il diverso peso degli elementi di fatto e delle regole di diritto nelle decisioni esaminate, il risultato della previsione potrebbe essere fallace, inducendo a individuare profili di somiglianza tra il caso da giudicare e quello precedentemente giudicato inesistenti; Garapon-Lassègue, Justice digitale, cit., 223 s.; Croze, La factualisation du droit, in JCP, 2017, 101. 133 Cholet, La justice prédictive et les principes fondamentaux du procès civil, in Aa.Vv., La justice prèdictive, cit., 234. Per una rassegna degli sviluppi normativi recenti orientati ad incrementare il peso del precedente in generale e dei precedenti delle sezioni unite in particolare, v. Curzio, Il giudice e il precedente, in Carleo (a cura di), Il vincolo giudiziale del passato, Bologna 2018, 239 ss.; nonché in Quest. giust., 2018/4, 37 ss.; sulle stesse tematiche, v. altresì Comoglio, Nuove tecnologie e disponibilità della prova, cit., 359; Taruffo, La riforma delle norme sulla motivazione della sentenza, in Giur. it., 2011, 1 ss. 134 Chiarloni, Ruolo della giurisprudenza e attività creative di nuovo diritto, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2002, 1 ss. 135 Larret-Chahine, Le droit isometrique: un nouveau paradigme juridique né de la justice predictive, Aa.Vv., La justice prèdictive, cit., 290 s.

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calibrato e l’aspetto quantitativo delle decisioni prevalga su quello qualitativo136; e infine, (iii) quello di conservatorismo e di rigidità della giurisprudenza137: la dipendenza del giudice da ciò che in passato è stato giudicato, minando la sua libertà di giudizio, potrebbe impedirgli di rispondere ai “nuovi” bisogni di tutela indotti da una realtà sociale in costante evoluzione, attentando, tra l’altro, alla funzione stessa del diritto di regolare i rapporti umani conformemente alle esigenze sociali del momento138. Il tutto con inevitabili riflessi anche sotto il profilo della motivazione della sentenza dove, da un lato, le spiegazioni causali del ragionamento del giudice sono soppiantate dal richiamo ai precedenti selezionati dall’algoritmo – assecondando peraltro una tendenza standardizzante esistente nel nostro ordinamento volta a “ridurre” la motivazione della sentenza alla “succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi”, che trova legittimazione normativa nell’art. 118, comma 1, disp. att. c.p.c. – e dall’altro, devono trovare collocazione le spiegazioni relative al funzionamento dell’algoritmo, sia per soddisfare l’aspettativa del cittadino di concreta comprensione delle ragioni sottese alla decisione, sia ai fini della sua eventuale controllabilità in sede d’impugnazione, naturalmente a patto di riconoscere, in questo mutato contesto, la perdurante esistenza di uno spazio applicativo per il giudizio d’impugnazione della decisione139. Invero, non solo il ruolo del giudice, ma anche quello degli avvocati corre il rischio di una profonda trasformazione: poiché l’effetto performativo dell’algoritmo predittivo priva di valore le argomentazioni difensive dell’avvocato, la difesa tecnica rischia di divenire superflua se non addirittura inutile ai fini della decisione della causa140. Un recupero del

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Quattrocolo, Intelligenza artificiale e giustizia: nella cornice della Carta etica europea, gli spunti per un’urgente discussione tra scienze penali e informatiche, in http://www.lalegislazionepenale.eu/intelligenza-artificiale-e-giustizia-nella-cornice-della-carta-eticaeuropea-gli-spunti-per-unurgente-discussione-tra-scienze-penali-e-informatiche-serena-quattrocolo/, 5; in senso diverso, v. invece Canzio, Nomofilachia e diritto giurisprudenziale, in Carleo (a cura di), Il vincolo giudiziale del passato, cit., 31 s.; nonché Capasso, Il valore della “giurisprudenza” in Francia, in Riv. dir. proc., 2020, 1261 ss. 137 In una dimensione più generale segnala questo genere di rischi Resta, Governare l’innovazione tecnologica, cit., 214, secondo cui, poiché la ricostruzione delle tendenze predittivamente rilevanti muove dalle occorrenze empiriche esistenti, dalle quali le macchine ricavano poi trends utili ad orientare la valutazione di situazioni future, il sistema “ha la propensione a “codificare” il passato, ingabbiando soluzioni e predizioni all’interno delle griglie fornite dai trascorsi storici e dal set di valori che ha guidato la programmazione del sistema. Ciò significa, in altri termini, che un determinato “stato del mondo” tende a essere cristallizzato nel processo prognostico, influenzandone i risultati e orientando più o meno incisivamente le decisioni prese a valle della valutazione automatizzata”. E ciò, evidentemente, è particolarmente problematico quando le tecniche predittive riguardino i diritti dell’individuo. 138 Un rischio ancor più grave, secondo Ferrié, Les algorithmes à l’épreuve du droit au procés equitable, cit., 6, allorché si consideri che il giudice decide in un certo modo sulla base delle statistiche, conformandosi all’opinione di una maggioranza che da relativa è diventata assoluta, sulla base di un insidioso effetto performativo esponenziale dell’algoritmo, che mette a repentaglio la sua indipendenza; su questi aspetti, cfr. altresì Bichi, Intelligenza Artificiale, cit., 1777; e Luciani, La decisione giudiziaria robotica, cit., 887. 139 Esclude che residui uno spazio applicativo per un giudizio impugnatorio della decisione Bichi, Intelligenza Artificiale, cit., 1778, poiché non potrebbe avere esito diverso, “derivando la sentenza da meccanismi di univoca certezza matematica, che troverebbero applicazione in tutti i gradi di giudizio”; in senso diverso, v. Nieva Fenoll, Intelligenza artificiale e processo, cit., 134 s.; Pajno-BassiniDe Gregorio-Macchia-Patti-Pollicino-Quattrocolo-Simeoli-Sirena, Intelligenza Artificiale, cit., 226; Luciani, La decisione giudiziaria robotica, cit., 889, almeno per quanto riguarda il giudizio d’appello. 140 La CEPEJ ha messo in guardia da un ulteriore rischio incombente sulla difesa tecnica, allorché l’avvocato, utilizzando strumenti di giustizia predittiva per fornire al cliente un consiglio sulle probabilità di successo di una determinata controversia, rifiuti la sua assistenza in ragione di probabilità di successo molto scarse. Ad avviso della Commissione, la pratica professionale dovrebbe minimizzare questo rischio per evitare che chi necessita di assistenza legale possa esserne privato (Carta etica europea sull’utilizzo dell’IA nei sistemi giudiziari e negli ambiti connessi. Appendice I, cit., § 6.3). Peraltro, occorre altresì considerare che, laddove

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suo ruolo potrebbe avvenire in sede d’impugnazione, laddove si riconosca all’avvocato la capacità di rilevare l’eventuale “errore informatico” che inficia la decisione; possibilità, questa, che presuppone, a monte, un ampliamento della sua formazione, non più solo giuridica, ma multidisciplinare.

4. Conclusioni. Nonostante le numerose criticità evidenziate, pensare di resistere all’innovazione tecnologica e non sfruttare le potenzialità dei sistemi di IA nell’ambito dell’amministrazione della giustizia è impossibile oltre che infruttuoso. Se, da un lato, sono evidenti i rischi e i problemi di ordine costituzionale legati ad un loro utilizzo assorbente in sede decisoria141, altrettanto innegabili sono i vantaggi che si possono conseguire sotto il profilo della celerità e dell’efficienza nello svolgimento del processo e, dunque, dell’efficacia della tutela giurisdizionale. In questo contesto, invocare l’avvento dei “robogiudici” o di sistemi di IA basati su algoritmi predittivi che finiscono per privare il giudice della sua fondamentale prerogativa, dispensandolo dallo svolgimento di qualsiasi attività interpretativa e di adattamento della norma al caso concreto, non sembra una prospettiva auspicabile, per le ragioni che si sono evidenziate. L’approccio più fecondo è piuttosto quello di immaginare l’utilizzo dell’IA in funzione ausiliaria rispetto al processo, al fine o di prevenirlo, o di ordinarne e semplificarne lo svolgimento, in vista di una maggiore effettività della tutela giurisdizionale, e rispetto al giudice, onde orientarlo e supportarlo nella decisione di alcune tipologie di cause o per controllare lo svolgimento della sua attività. Muovendosi in questa direzione, gli strumenti sono davvero molteplici e in continua evoluzione, tanto che appare difficile offrirne una possibile enumerazione. A titolo esemplificativo, si può immaginare l’uso di chatbot per indirizzare i litiganti verso strumenti di risoluzione delle controversie alternativi al processo, ivi inclusi quelli che prevedono l’utilizzo di piattaforme completamente automatizzate, allorché sulla base delle previsioni formulate nell’ambito di una valutazione preventiva del rischio di soccombenza ci sia una probabilità di successo molto alta per una parte e molto bassa per l’altra.

l’avvocato rifiuti il patrocinio di posizioni potenzialmente “non vincenti”, potrebbe essere incrinato quell’essenziale valore di evoluzione della giurisprudenza derivante dall’impegno del ceto forense nel promuovere nuove soluzioni interpretative, che finiscono poi per affermarsi gradualmente come giurisprudenza dominante e talvolta addirittura ad esitare in modifiche legislative. Sulla nuova sfida per la professione forense derivante dalla competizione con gli sviluppatori di sistemi di IA che possono offrire, a basso costo, alternative ai servizi legali incentrati sull’uomo, v. Zuckerman, Artificial Intelligence. Implications for the Legal Profession, Adversarial Process and the Rule of Law, in https://ukconstitutionallaw.org/2020/03/10/artificial-intelligence-implications-for-the-legal-professionadversarial-process-and-the-rule-of-law/. 141 Rischi che, secondo taluno, potrebbero essere evitati optando per un uso logico e non statistico degli algoritmi, applicati non alla giurisprudenza ma alla normativa, attraverso l’elaborazione di un modello matematico semplificato sulla falsariga dell’art. 12 delle Preleggi: così Viola, Interpretazione della legge con modelli matematici, Processo, a.d.r., giustizia predittiva, Milano, 2018, passim.

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È evidente che la parte che vanta un’alta probabilità di successo può imporre alla controparte di negoziare su questa base, con possibili effetti benefici sulla deflazione dei carichi giudiziari e, in generale, sull’efficienza della giustizia, allorché sia raggiunta una composizione convenzionale della controversia. La predisposizione di meccanismi del genere deve tuttavia considerare che una previsione eventualmente falsata potrebbe indurre una parte ad una indebita rinuncia alla pretesa, con inevitabili conseguenze pregiudizievoli sul diritto di azione142. Al fine di scongiurare questo tipo di rischi, appare imprescindibile il rispetto dei principi, enunciati nella richiamata Carta etica europea, di qualità e sicurezza nell’analisi dei dati e delle decisioni giudiziarie e di trasparenza, imparzialità ed equità nel loro trattamento, che dispongono rispettivamente l’uso di fonti certificate e dati intangibili nella costruzione degli algoritmi, nonché l’accessibilità, la comprensibilità e la verificabilità esterna dei processi computazionali utilizzati per l’analisi dei dati giudiziari143. Spostandosi, invece, sul versante processuale, il panorama degli strumenti di IA è ancora più ampio e può spaziare da applicazioni per la lettura rapida, la classificazione e l’attribuzione di atti o documenti a specifiche sezioni di un tribunale, a quelle intese ad effettuare una preventiva valutazione di ammissibilità della domanda, o la verifica di sussistenza dei requisiti formali previsti dalle specifiche tecniche nell’ambito del processo civile telematico, l’esame delle eccezioni processuali (litispendenza, giudicato, difetto di capacità di agire o di rappresentanza), nonché il calcolo dei termini di prescrizione ovvero di quelli per l’impugnazione della sentenza144: in tutti i casi, il loro utilizzo consentirebbe di accelerare l’iter processuale e di concentrare l’attività del giudice sulla fase istruttoria, ove necessaria, e su quella decisoria, rispetto alle quali la sua prestazione appare infungibile. Grazie al risparmio di tempo indotto dall’utilizzo di tali strumenti unitamente alla deflazione dei carichi giudiziari di cui si è detto, il giudice potrebbe dedicarsi con maggiore attenzione alle cause che presentano profili di novità o a quelle particolarmente incerte, con conseguenti miglioramenti della qualità della funzione giurisdizionale145.

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Barbaro, Uso dell’intelligenza artificiale nei sistemi giudiziari, cit., 193; Cholet, La justice prédictive et les principes fondamentaux du procès civil, in Aa.Vv., La justice prèdictive, cit., 235; Ferrié, Les algorithmes à l’épreuve du droit au procés equitable, cit., 5. 143 Al riguardo, segnala la Carta etica europea per l’uso dell’intelligenza artificiale nei sistemi giudiziari e nei relativi ambienti. Appendice II: Quali utilizzi dell’intelligenza artificiale nei sistemi giudiziari europei?, cit., 43, che lo stesso vale, a maggior ragione, nel caso di ricorso a Online Dispute Resolution: al fine di evitare indebite violazioni del diritto di azione, dev’essere fornita ai litiganti un’informativa chiara, obiettiva e completa delle modalità di trattamento della controversia, che faccia ben intendere loro la possibilità di dissentire dalla soluzione proposta dallo strumento di IA e di adire eventualmente un “vero” giudice. E ancora, sempre in un’ottica di tutela, devono essere previste forme di controllo, da parte dei tribunali dello Stato, della procedura di risoluzione delle controversie online e del suo esito, specialmente quando il litigante abbia acconsentito alla risoluzione della controversia online in modo interamente automatizzato. Nel senso dell’adozione di meccanismi alternativi di risoluzione delle controversie completamente automatizzati, eventualmente collegati a piattaforme blockchain, v. Ortolani, The impact of blockchain technologies and smart contracts on dispute resolution: arbitration and court litigation at the crossroads, in Uniform Law Review, 2019, 24(2), 430 ss., nonché reperibile in https://doi.org/10.1093/ulr/unz017. 144 Su tali aspetti v. Barbaro, Uso dell’intelligenza artificiale nei sistemi giudiziari, cit., 193; Ferrié, Les algorithmes à l’épreuve du droit au procés equitable, cit., 8 s.; Dalfino, Creatività e creazionismo, prevedibilità e predittività, cit., § 4.3; Nieva Fenoll, Intelligenza artificiale e processo, cit., 13 ss. 145 Cholet, La justice prédictive et les principes fondamentaux du procès civil, in Aa.Vv., La justice prèdictive, cit., 235; Sauvé, Introduction, cit., 8.

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Anche in relazione all’ambito decisorio, senza cadere nelle “trappole” della giustizia predittiva, è possibile auspicare l’utilizzo dell’IA per potenziare le capacità cognitive del giudice, attraverso la predisposizione di banche dati che, attraverso la traduzione del linguaggio naturale in una rappresentazione digitale, siano in grado di elaborare dati normativi e giurisprudenziali; per orientare soluzioni e dare ausilio al giudice nelle cause basate su calcoli e valutazioni probabilistiche anche attraverso la redazione di tabelle per il calcolo dei risarcimenti o delle indennità; nonché – secondo una prospettiva maggiormente di frontiera – per la soluzione di controversie seriali, semplici e di natura bagatellare, fondate su prove esclusivamente documentali e rispetto alle quali è rara l’opposizione dell’intimato, sempre in funzione di una velocizzazione dell’iter processuale146. Al di là di queste applicazioni, alcune delle quali peraltro già realizzate o in fase di sperimentazione, appare altresì suggestiva la proposta di utilizzare l’IA in una dimensione di “assistenza” alla decisione, per monitorare e guidare il percorso decisionale e motivazionale del giudice, segnalandogli lacune, incongruenze o contrasti rispetto a decisioni già rese in casi simili, vincoli logici e/o procedurali, nonché vizi nell’iter motivazionale ovvero suggerendogli bozze di decisione, favorendo cioè un rapporto di determinazione reciproca tra giudice e “macchina”, in funzione di una semplificazione del percorso decisionale e di un miglioramento qualitativo delle decisioni, che in ogni caso restano una prerogativa del giudice che se ne assume la responsabilità147. Tutte le possibili applicazioni dell’IA, volte al miglioramento dell’efficienza e della qualità dei processi, devono essere realizzate nel rispetto dei principi fissati dalla Carta etica europea – alcuni dei quali peraltro già richiamati nelle pagine che precedono –, che, allo stato, rappresentano, almeno nel nostro ordinamento, l’unico tipo di regolamentazione ad hoc dell’ambito considerato148.

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Su tali aspetti v. Barbaro, Uso dell’intelligenza artificiale nei sistemi giudiziari, cit., 193; Dalfino, Stupidità (non solo) artificiale, predittività e processo, in https://www.questionegiustizia.it/articolo/stupidita-non-solo-artificiale-predittivita-e-processo_03-07-2019.php, § 3; Nieva Fenoll, Intelligenza artificiale e processo, cit., 13 e 24. La decisione in maniera completamente automatizzata di alcune controversie di esiguo valore economico (6400,00 euro) è già possibile, ad esempio, in Estonia (https://www.eesti.ee/en/legal-advice/legal-assistance/ settlement-of-legal-disputes/#judicialproceedings6) e si colloca nell’ambito di un più ampio processo di automatizzazione dei servizi offerti al cittadino, tra i quali rientra anche la possibilità di contrarre matrimonio civile in via telematica e di sciogliere il legame sempre in via telematica, attraverso un algoritmo che regola i rapporti patrimoniali tra i coniugi senza l’intervento di un giudice: su tali aspetti si rimanda a Bassoli, L’intelligenza artificiale applicata alla giustizia: i giudici-robot, in https://www.altalex.com/documents/ news/2019/06/07/intelligenza-artificiale-applicata-alla-giustizia-giudici-robot; Rulli, Giustizia predittiva, cit., 536; https://www.eesti.ee/ en/family/marriage/formalizing-a-marriage/; https://www.eesti.ee/en/family/marriage/divorcing-a-marriage/. 147 Si tratta della soluzione esposta da Punzi, Judge in the machine, cit., 329 ss., che utilizza la metafora della “guida assistita” per spiegare il ruolo della macchina rispetto alla decisione del giudice. Secondo l’Autore, a differenza della “guida autonoma”, dove “le decisioni di ultima istanza vengono assunte dalla macchina sulla base di informazioni da essa autonomamente elaborate”, nella guida assistita “la macchina utilizza dispositivi di segnalazione e controllo rispetto alle operazioni compiute dal guidatore”; ugualmente può avvenire rispetto alla decisione giudiziale. 148 Tale natura, infatti, non può essere riconosciuta all’art. 22 del Regolamento 2016/679/UE nella parte in cui stabilisce che “l’interessato ha il diritto di non essere sottoposto a una decisione basata unicamente sul trattamento automatizzato, compresa la profilazione, che produca effetti giuridici che lo riguardano o che incida in modo analogo significativamente sulla sua persona” salvo talune eccezioni testualmente previste, né, a monte, all’art. 15 del medesimo Regolamento, nella parte in cui prevede, a fronte di una decisione completamente automatizzata, il diritto di ottenere informazioni circa “la logica utilizzata, nonché l’importanza e le conseguenze previste di tale trattamento per l’interessato”. Com’è stato osservato, tali norme riflettono lo sforzo di elaborare una disciplina trasversale al settore pubblico e al settore privato, che trova applicazione in entrambi ogniqualvolta ci si confronti con una decisione

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La loro implementazione deve avvenire dunque in maniera responsabile e nel rispetto dei diritti fondamentali della persona enunciati nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e nella Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione dei dati personali e in conformità con i principi ivi enunciati, tra cui, in particolare, quello del rispetto dei diritti fondamentali connessi all’amministrazione della giustizia, quali il diritto di accesso alla giurisdizione, il diritto ad un equo processo, nelle sue articolazioni essenziali del contraddittorio e della parità delle armi, il principio di legalità e l’indipendenza dei giudici nell’esercizio del potere decisorio (I principio). Da un tale approccio derivano quali corollari il già richiamato principio di non discriminazione, volto a prevenire lo sviluppo o l’intensificazione di qualsiasi discriminazione tra individui o gruppi di individui (II principio); il principio di qualità e sicurezza che, in relazione all’analisi dei dati e delle decisioni giudiziarie, richiede l’uso di fonti certificate e dati intangibili, attraverso modelli concepiti in modo multidisciplinare e in un ambiente tecnologico sicuro (III principio); il principio di trasparenza, imparzialità ed equità inteso a rendere i metodi di trattamento dei dati accessibili e comprensibili, autorizzando audit esterni eventualmente anche da parte di istituende autorità indipendenti (IV principio); e il principio del necessario controllo da parte dell’utente finalizzato a garantire che gli utilizzatori agiscano in maniera informata e nel pieno controllo delle loro scelte, in un’ottica di potenziamento della loro autonomia decisionale (V principio). Peraltro, essendo la Carta etica europea uno strumento di soft law, che si indirizza agli stakeholders, pubblici e privati, a vario titolo coinvolti nella realizzazione e nell’utilizzazione di strumenti di IA che analizzano dati e decisioni giudiziarie prima ancora che ai legislatori, chiamati a fissare una cornice normativa nell’ambito della quale tali strumenti devono essere sviluppati, verificati e utilizzati, essa si muove essenzialmente in una logica di autodisciplina, che da sola non è idonea a garantire la tutela delle situazioni incise. Di ciò è consapevole la stessa CEPEJ, che dopo aver abbracciato la prospettiva della self-regulation ha prontamente evocato la creazione di una cornice di hard law da parte dei legislatori, evidentemente in considerazione della rilevanza costituzionale delle situazioni incise. Poiché, dunque, a venire in rilievo è il diritto al giusto processo in tutte le sue declinazioni, che, ai sensi dell’art. 111, comma 1, Cost., è “regolato dalla legge”, i principi dettati nella Carta etica europea dovranno essere tradotti in norme specifiche e puntuali, poiché solo la predisposizione di una adeguata infrastruttura normativa istituzionale sulle modalità di costruzione e di uso dei sistemi di IA applicati nell’amministrazione della giustizia è in grado di garantire il rispetto del dettato costituzionale, la tutela dei diritti fondamentali del giusto processo e delle situazioni giuridiche soggettive che ne costituiscono l’oggetto.

automatizzata presa a partire da dati personali. Tuttavia, l’attitudine onnicomprensiva di queste norme rappresenta un limite, in quanto il ricorso all’algoritmo nell’ambito della giustizia predittiva presenta delle particolarità di ordine funzionale e strutturale, che richiedono una disciplina più specifica e puntuale rispetto a quella del settore privato. In tal senso, in relazione al tema non distante dei provvedimenti amministrativi algoritmici, si è già mosso il legislatore francese che ha dettato, ad esempio, apposite regole con la legge n 2016-1321 del 7 ottobre 2016 pour une République numérique nella parte in cui ha modificato il Code des relations entre le public et l’administration, e successivamente con la legge n. 2018-493 del 20 giugno 2018: su tali aspetti, v. Resta, Governare l’innovazione tecnologica, cit., 228.

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L’annullamento del contratto in via di eccezione Sommario : 1. L’art. 1442, comma 4, c.c. – 2. Eccezione o domanda riconvenzionale? – 3. La sentenza che pronuncia sull’eccezione. – 4. La sentenza che accoglie la domanda di esecuzione del contratto.

Il saggio analizza l’eccezione di annullabilità del contratto prevista dall’art. 1442, comma 4, c.c., qualificandola domanda riconvenzionale di annullamento, eccezionalmente proponibile nonostante la prescrizione dell’azione. The essay analyzes the exception of annulment of the contract provided for by art. 1442, paragraph 4, of the Italian Civil Code, qualifying it as a counterclaim for annulment, exceptionally possible despite the prescription of the action.

1. L’art. 1442, comma 4, c.c. Nel sistema delle impugnative negoziali l’annullabilità è il presupposto dell’annullamento, che può essere pronunciato dal giudice soltanto su domanda della parte legittimata (art. 1441 c.c.), proponibile nel termine quinquennale di prescrizione (rectius, decadenza)1, la cui decorrenza è fissata dall’art. 1442 c.c. Il contratto annullabile può essere convalidato con dichiarazione espressa o mediante l’esecuzione volontaria, nonostante la conoscenza del vizio (art. 1444 c.c.). Invece il decorso del termine non sana il vizio genetico e non ha valore di convalida implicita, atteso che l’annullabilità resta opponibile dal contraente legittimato, se convenuto in giudizio per l’esecuzione del contratto, anche a termine scaduto (art. 1442, comma 4, c.c.)2. Ne segue che, se il contratto non è stato interamente eseguito,

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Santi Romano, Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1953 (rist.), 48, 201; Alberto Romano, Note in tema di decadenza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1964, 219 ss.; R. Caponi, Gli impedimenti all’esercizio dei poteri giuridici nella disciplina della decadenza, in Riv. dir. civ., 1997, 53, 60; C. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile11, I, Torino, 2017, 490; F. Carresi, L’annullabilità del contratto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1969, p. 1437; R. Tommasini, Annullabilità e annullamento (diritto privato), in Enc. giur., II, Roma, 1988, 10.

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la parte che lo concluse in stato d’incapacità o manifestando un consenso viziato può sottrarsi in ogni tempo all’adempimento, sempre che non abbia espressamente o tacitamente convalidato il negozio3. La parte nel cui interesse è prevista la causa di annullabilità è quindi libera di eseguire il contratto (con l’effetto di convalidarlo tacitamente) o di non eseguirlo (agendo in via principale per l’annullamento od attendendo l’avversa domanda di adempimento per opporre l’annullabilità). La domanda di esecuzione lo restituisce nel termine per l’esercizio del potere invalidativo (inteso come potere di provocare l’annullamento ope sententiae, non di produrlo con una dichiarazione di volontà). Il creditore potrebbe infatti attendere il decorso del quinquennio concesso al debitore per chiedere l’annullamento prima di agire per l’adempimento, nel termine decennale di prescrizione, ed il debitore resterebbe in tal caso privo di difesa. Invece l’ultimo comma dell’art. 1442 c.c. lo abilita ad opporre il vizio, in applicazione della massima tant dure l’action tant dure l’exception, che non va intesa nel senso che l’eccezione soggiace al medesimo termine dell’azione (di annullamento) concessa al debitore, ma che, al contrario, è proponibile fintanto che l’azione (di adempimento) del creditore sia esperibile4 e, anzi, pur quando sia ormai prescritta5. Un concetto non dissimile esprime la dottrina civilistica, quando individua “la ragione pratica che giu-

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Secondo F. Carresi, L’annullabilità del contratto, cit., 1438, testo e nt. 6, la convalida tacita è ravvisabile non soltanto nell’adempimento volontario da parte del contraente legittimato all’azione di annullamento, ma anche nell’accettazione – purché sorretta dalla conoscenza della causa di invalidità – della prestazione offerta dall’altra parte e nell’alienazione ad un terzo del bene acquistato, pena la violazione del divieto di venire contra factum proprium. Invece E. Merlin, Compensazione e processo, I, Milano, 1991, 310, nt. 202 ritiene che tanto l’adempimento, quanto la ricezione della prestazione precludano definitivamente l’eccezione di annullabilità, indipendentemente dalla conoscenza del vizio del contratto, mentre il contegno della parte abbia valore di convalida (estintiva, oltre che del potere di eccezione, anche di quello di azione) solo se concorra il requisito soggettivo della conoscenza: “sicché risulta possibile che l’interessato (autore della ricezione o del pagamento) abbia perduto l’eccezione di annullabilità, ma sia ancora nella condizione di poter esperire l’azione di annullamento”. Non sembra, tuttavia, che la legge preveda una sorta di convalida minore, estintiva dell’eccezione ma non dell’azione in ragione del mero fatto dell’adempimento: si dovrebbe altrimenti ritenere l’adempimento eseguito dal contraente ancora incapace idoneo a precludere l’eccezione, ma non l’azione (art. 1444, comma 3, c.c.), laddove il potere di azione comprende quello di eccezione, secondo la massima quem tenet actio, eundem agentem repellit exceptio (E.T. Liebman, L’eccezione revocatoria e il suo significato processuale, in Problemi del processo civile, Napoli, s.d., 78; V. Andrioli, L’azione revocatoria, Roma, 1935, 151). Né dall’art. 1442, comma 4, c.c. si deduce la subordinazione della proponibilità dell’eccezione allo stato di “inesecuzione del contratto ad opera di ambedue le parti” (E. Merlin, ibidem), ove si consideri che il compratore può avere interamente eseguito la prestazione a suo carico (avente ad oggetto il pagamento del prezzo) contestualmente alla conclusione del contratto. Anche la convalida tacita ha natura negoziale e presuppone che il soggetto esegua o riceva la prestazione quando sia in condizione di stipulare validamente il contratto, essendo altrimenti inefficace (C.M. Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1987, 638). A non diversa conclusione si perviene ove si ritenga la convalida tacita un atto non negoziale, per la cui validità è sufficiente la capacità naturale: la convalida produce infatti la perdita dell’azione di annullamento (piuttosto che la sanatoria retroattiva del vizio, il quale, in quanto fatto storico, è ineliminabile) soltanto se consapevole (presupponendo la conoscenza del vizio) e volontaria [G.B. Ferri, Convalida, conferma e sanatoria del negozio giuridico, in Dig. civ., IV, Torino, 1989, 345 ss., spec. 348; per analoghe considerazioni v. G. Piazza, Convalida (convalida del negozio giuridico), in Enc. giur., IX, Roma, 1988, 6]. P. Vitucci, Tant dure l’action tant dure l’exception, in Giur. it., 1986, I, 2, cc. 245 ss. Con questa chiosa G. Gabrielli, Temporalia ad agendum perpetua ad excipiendum, in Riv. dir. civ., 2008, I, 725 s. integra la tesi di Vitucci, che altrimenti condurrebbe a ritenere preclusa l’eccezione di annullabilità quando l’attore proponesse la domanda di adempimento del contratto viziato a prescrizione del credito ormai maturata (nella specie l’eccezione cessa invece “di avere pratico significato” ad avviso di F. Messineo, Il contratto in genere, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. Cicu-F. Messineo, Milano, 1972, II, 399): in tal caso, il convenuto non potrebbe altrimenti ottenere il rigetto della domanda che eccependo la prescrizione del diritto. Ma, oltre all’interesse morale alla decisione sul merito (in luogo della pronuncia dichiarativa della prescrizione, impium praesidium), sussiste quello patrimoniale: l’adempimento del debito prescritto è infatti irripetibile, laddove, se la pretesa venga spontaneamente soddisfatta dal debitore nonostante il pregresso accertamento dell’inesistenza del diritto, la ripetizione è ammessa.

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stifica la perdurante opponibilità del vizio” nella inopportunità di imporre al contraente legittimato l’onere di assumere “ad ogni costo, entro il quinquennio, l’iniziativa dell’annullamento del negozio, quando la controparte non pretenda l’esecuzione di questo: sinché la controparte sta quieta, non v’è ragione che l’interessato all’annullamento si muova”6. Il potere di annullamento del contratto deve essere quindi esercitato in via di azione, mentre quello generalmente (ma impropriamente) definito di annullabilità – secondo la corrente interpretazione dell’art. 1442, comma 4, c.c. – può esercitarsi in via di eccezione, nonostante sia prescritta l’azione. La parte che ha concluso il contratto in stato di incapacità od ha manifestato un consenso viziato (od a mezzo di rappresentante in conflitto d’interessi7 o che abbia agito eccedendo i suoi poteri)8 può, se convenuta per l’esecuzione9, proporre domanda riconvenzionale, chiedendo che sia pronunciato l’annullamento

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Così E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico2, Torino, 1952, 479, il quale deduce dall’imprescrittibilità dell’eccezione che, “anche indipendentemente da una pronuncia di annullamento, il negozio continua ad essere affetto da una carenza virtuale di effetti” e che “l’annullabilità del negozio si può far valere per via di eccezione fino a tanto che dura il rapporto cui l’annullamento del negozio porrebbe fine”. Cfr. Cass., 4 ottobre 2010, n. 20597, in Soc., 2010, 1425, con nota di A. Busani-A. Fusaro: nella specie, una società aveva prestato fideiussione a garanzia dei debiti di una controllata, amministrata dal medesimo soggetto; la S.C. ha ritenuto che l’annullabilità dell’atto, compiuto dall’amministratore in conflitto d’interessi ex art. 1394 c.c., potesse essere eccepita, nonostante la prescrizione dell’azione, dalla società garante in via di opposizione al decreto ingiuntivo emesso su ricorso del creditore garantito. Adde Cass., 24 ottobre 2007, n. 22339, relativa a clausola modificativa della durata di contratto di locazione, sottoscritta dal medesimo amministratore unico delle società locatrice e conduttrice; Cass., 28 luglio 1987, n. 652, in Giust. civ., 1988, I, 454, in tema di mutui concessi dal rappresentante alla rappresentata, ove l’interessante rilievo secondo cui “con la consegna da parte del mutuante al mutuatario di determinate somme di denaro (per un titolo implicante obbligo di restituzione) il contratto di mutuo si perfeziona, non si esaurisce” (in motivazione, § 1), sì da non potersi ritenere eseguito agli effetti dell’art. 1442, comma 4, c.c. Ipotesi che ricorre quando l’organo rappresentativo di ente pubblico sottoscriva un contratto di contenuto totalmente o parzialmente diverso da quello deliberato dall’organo competente; l’eccesso di potere del sottoscrittore si traduce in vizio del consenso, che l’amministrazione è legittimata a far valere in via di azione o di eccezione (Cass., 10 ottobre 2007, n. 21265; Cass., 30 luglio 2002, n. 11247, in Arch. civ., 2003, 570; Cass., 7 aprile 1989, n. 1682). “Parte convenuta per l’esecuzione del contratto” non è soltanto quella destinataria della domanda di adempimento proposta in un processo di cognizione, ma anche quella intimata ad adempiere in virtù di titolo esecutivo di formazione stragiudiziale, del quale può eccepire l’annullabilità con l’opposizione all’esecuzione (Cass., 2 marzo 1971, n. 522, in Foro it., 1971, I, c. 1606). Contra: A. Motto, Poteri sostanziali e tutela giurisdizionale, Torino, 2012, 330 ss., nt. 283, il quale trae dalla qualificazione in termini di azione, anziché di eccezione, dell’opposizione di merito all’esecuzione (premessa che condivido: M. Cirulli, Le opposizioni nel processo esecutivo, Milano, 2018, 273 ss.) la rilevante conseguenza applicativa che, prescritta l’azione di annullamento, il debitore non potrebbe sollevare la questione in via di eccezione (l’A. dissente da S. Satta, Commentario al codice di procedura civile, III, Milano, 1966, 466, secondo il quale, seppur “il debitore assume la posizione formale e sostanziale di attore, tuttavia non bisogna dimenticare che la sostanza dell’opposizione è sempre quella della eccezione, onde si rende applicabile il principio quae temporalia ad agendum perpetua ad excipiendum”; sull’invocabilità dell’art. 1442, ultimo comma, c.c. da parte del debitore opponente e.v. R. Vaccarella, Titolo esecutivo, precetto, opposizioni2, Torino, 1993, 81; sotto il codice abrogato cfr. E.T. Liebman, Le opposizioni di merito nel processo d’esecuzione, Roma, 1931, 177 s.). Ed invero secondo l’A. l’eccezione costitutiva è strumentale al rigetto della domanda di condanna, che il creditore procedente non propone, agendo in forza del titolo esecutivo. Tuttavia, nonostante l’indubbia esattezza di tale rilievo, mi sembra che la dizione dell’ultimo comma dell’art. 1442 c.c. sia suscettibile, per la sua genericità, di comprendere anche l’ipotesi dell’esecuzione forzata in virtù di titolo stragiudiziale. Non si può riservare al debitore esecutato un trattamento processuale deteriore rispetto al debitore convenuto nel processo di condanna, nel quale il contratto sia prodotto dal creditore attore quale prova del diritto vantato: con l’opposizione di merito avverso titoli stragiudiziali l’esecutato può infatti allegare tutti quei fatti impeditivi, modificativi od estintivi del diritto “in base ai quali egli avrebbe potuto resistere alla domanda del creditore, se questi avesse promosso un processo di condanna anziché iniziare direttamente l’esecuzione” (E.T. Liebman, op. cit., cit., 217). È vero che l’adempimento spontaneo (ma non è tale quello conseguente all’intimazione del precetto, inteso a prevenire il pignoramento) importa rinuncia all’eccezione di annullabilità, in quanto il debitore, pur potendo rifiutare la prestazione, la esegue (A. Motto, op. cit., 310 ss.); ma non si può sostenere che “allorché un soggetto si obblighi in base ad un atto avente efficacia di titolo esecutivo, egli con ciò dispone del diritto di rifiutare la prestazione cui si obbliga, in base ad un vizio dell’atto che ne è la fonte” (A. Motto, op. cit., 333, nt. 283), ché allora l’azione di annullamento sarebbe preclusa contro i contratti aventi efficacia di titolo esecutivo. Se poi il contratto viene prodotto quale prova scritta ai fini dell’emissione di decreto

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del negozio e la conseguente inefficacia ex tunc del rapporto che ne deriva, ma soltanto nel quinquennio utile; oppure limitarsi ad eccepire, all’unico fine di conseguire il rigetto della domanda, che il contratto è annullabile10. L’art. 1442, comma 4, c.c., norma di derivazione romanistica11 ed espressione del principio quae temporalia ad agendum perpetua ad excipiendum12, considera questa seconda ipotesi: le parti hanno concluso, ad es., una vendita immobiliare; il venditore incapace (od errante ecc.) ha trasferito la proprietà, contestualmente riscosso in tutto od in parte il prezzo (se lo avesse riscosso, anche parzialmente, successivamente alla conclusione del

ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, nessuno dubita che con l’opposizione il debitore possa chiedere l’annullamento del negozio. Per la proponibilità dell’eccezione da parte del contraente legittimato alla pur prescritta azione di annullamento, quando costretto, per sottrarsi alla pretesa di adempimento, a rendersi attore, come nei casi di opposizione a decreto ingiuntivo od all’esecuzione fondata su titolo esecutivo di formazione stragiudiziale, v. C. Consolo, “Imprescrittibilità” della c.d. eccezione di annullabilità e parte convenuta per l’esecuzione: spunti sistematici, in Corr. giur., 2010, 99; P. Vitucci-F. Roselli, La prescrizione2, Milano, 2012, I, 100 ss. Tuttavia Cass., 29 luglio 2013, n. 18223 ha confermato la decisione di rigetto dell’opposizione all’esecuzione fondata su titolo contrattuale, del quale gli eredi del debitore avevano chiesto l’annullamento per incapacità naturale del loro dante causa: poiché non trattavasi di mera eccezione, imprescrittibile, l’azione era preclusa dal decorso del termine quinquennale. Si tratta di una decisione formalistica, perché nell’azione era implicita l’eccezione (rectius, la domanda di accertamento incidentale: v. infra nel testo) di annullabilità. 10 Per questa ricostruzione v., in dottrina, S. Pugliatti, Eccezione (teoria generale), in Enc. dir., XIV, Milano, 1965, 167; E. Grasso, La pronuncia d’ufficio, I, La pronuncia di merito, Milano, 1967, 303 ss.; C.M. Bianca, Diritto civile, cit., III, 632, nt. 196; G. Massetani, Considerazioni schematiche sulle impugnative contrattuali, in Riv. dir. proc., 1991, 320 ss. (ma salvo che sia dedotto in giudizio uno dei diritti fondamentali del rapporto complesso: v. infra, nt. 24); E. Merlin, Compensazione e processo, cit., I, 232 ss.; I. Pagni, Le azioni di impugnativa negoziale, Milano, 1998, 279 ss.; A. Motto, Poteri sostanziali, cit., 307 ss.; M. Franzoni, Dell’annullabilità del contratto2, Milano, 2005, 18 ss.; R. Tommasini-E. La Rosa, Dell’azione di annullamento, Milano, 2009, 140 ss.; in giurisprudenza v., ex multis, Cass., 10 giugno 2015, n. 12083; Cass., 29 luglio 2013, n. 18223; Cass., 26 giugno 2012, n. 10638, in Giust. civ., 2012, I, 2315; Cass., 29 luglio 2002, n. 11182, ivi, 2003, I, 1045, con nota di P. Albi. 11 Nel processo formulare l’actio de dolo era concessa alla vittima del raggiro, la quale avesse dato esecuzione al contratto viziato, “per ottenere la restituzione di ciò che ha dato o una riparazione del torto” (non già, dunque, l’eliminazione retroattiva degli effetti prodotti dal contratto: a tal fine era apprestata la in integrum restitutio); l’exceptio doli era invece opponibile dalla parte convenuta in giudizio per l’adempimento dall’altro contraente; la prima era sottoposta ad un termine annuale, mentre la seconda era imprescrittibile. Alla vittima della violenza (morale) spettavano gli analoghi rimedi della in integrum restitutio, dell’actio metus e della exceptio metus (V. Arangio-Ruiz, Istituzioni di diritto romano14, Napoli, 1985, 103 ss.). Le due eccezioni rientravano quindi nella categoria delle exceptiones perentoriae, non soggette a prescrizione [G.I. Luzzatto, Eccezione (diritto romano), in Enc. dir., XIV, Milano, 1965, 137]. L’eccezione veniva inserita nella formula fra la intentio e la condemnatio e deduceva un fatto generalmente irrilevante iure civili (come il vizio del consenso), del quale correggeva iure honorario gli effetti; era espressa sotto forma di condizione negativa (si non) della condemnatio, nel senso che se il fatto era provato il convenuto era assolto; differiva dalla denegatio actionis, che non precludeva la riproponibilità della domanda [C.A. Cannata, Eccezione (diritto romano), in Nss. dig. it., VI Torino, 1960, 346 ss.]; concorreva a determinare l’oggetto della litis contestatio, che definiva la fase in iure ed aveva effetto estintivo del rapporto materiale controverso, al quale si sostituiva il dovere di sottostare alla sentenza; il debitore non era più tenuto ad adempiere ex obligatione, bensì ex litis contestatione fino alla sentenza e, successivamente, ex causa iudicati [V. Arangio-Ruiz, op. cit., 135 ss.; A. Burdese, Manuale di diritto privato romano, Torino, 1973, 690 s.; E. Volterra, Istituzioni di diritto privato romano, Roma, 1980, 218 ss.; sul triplice effetto della l.c. – consunzione processuale della res in iudicium deducta e preclusione dell’azione, fissazione del rapporto litigioso e di quello processuale – v. E. Betti, Processo civile (diritto romano), in Nss. dig. it., XIII, Torino, 1966, 1108 ss.]. Accolta l’eccezione di violenza o dolo, il contratto restava astrattamente valido iure civili, benché il convenuto fosse assolto dall’obbligo di eseguirlo [sostanzialmente in questi termini M. Brutti, Invalidità (storia), in Enc. dir., XXII, Milano, 1972, 572]. Questo schema concettuale (e quindi l’apparente possibilità che il contratto, benché giudicato annullabile, non sia annullato) è stato, consapevolmente od inconsapevolmente, recepito dall’art. 1442, comma 4, c.c., nonostante il mutato contesto storico-normativo. 12 Ritenuto di carattere generale da P. Vitucci-F. Roselli, La prescrizione2, cit., 100 ss.; G. Gabrielli, Temporalia ad agendum, cit., 713 ss.; E. Merlin, Compensazione e processo, cit., I, 381 ss.; A. Motto, Poteri sostanziali, cit., 310, nt. 231. Sulla eccezionalità della disposizione v. invece F. Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile9, Napoli, 1986 (rist.), 116; G. Azzariti-G. Scarpello, Della prescrizione e della decadenza2, in Commentario del codice civile, a cura di A. Scialoja-G. Branca, Bologna-Roma, 1977, 214 ss.; F. Messineo, Il contratto, cit., II, 399; C. Consolo, “Imprescrittibilità” della c.d. eccezione di annullabilità, cit., 96 e, sotto il codice abrogato (art. 1302 c.c. 1865), R. Bolaffi, Le eccezioni nel diritto sostanziale, Milano, 1936, 240 ss., spec. 272.

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contratto, nell’accettazione del pagamento potrebbero ravvisarsi gli estremi della convalida tacita)13, ma non ha consegnato il bene; il contratto, quindi, è stato soltanto parzialmente eseguito14 (se avesse avuto piena esecuzione non vi sarebbe luogo per domande di condanna a prestazioni rimaste inadempiute, ma soltanto per azioni di diversa natura, caducatorie o risarcitorie); il compratore chiede allora giudizialmente la condanna del venditore alla consegna. Al convenuto si offrono in tal caso due possibilità: a) chiedere in via riconvenzionale l’annullamento del contratto, con la conseguenza che, accolta la sua domanda, sarà liberato dall’obbligazione di consegna e riacquisterà la proprietà del bene, ma sarà tenuto a restituire il prezzo, riscosso sine causa (e la relativa condanna a suo carico potrà essere emessa in quel processo, a seguito di reconventio reconventionis dell’attore15, od in separato giudizio da costui promuovendo); b) sottrarsi al solo obbligo di consegna, eccependo l’annullabilità del contratto; la sentenza a lui favorevole accerterà, al limitato fine del rigetto della domanda (e quindi incidenter tantum, senza autorità di giudicato), che il contratto è annullabile, ma non lo annullerà e quindi non estinguerà gli effetti già prodottisi. Nel secondo caso il venditore ha trasferito la proprietà del bene e può aver riscosso anche interamente il prezzo contestualmente alla conclusione del contratto; il compratore ha acquistato un bene del quale non può godere, essendogli stato negato il diritto alla consegna, ancorché abbia pagato il prezzo. Il sinallagma ne risulta così alterato e si ottiene con il processo un risultato contrario al diritto sostanziale, perché il compratore ha pagato il prezzo per l’acquisto di una cosa della quale non potrà mai materialmente disporre; e non può neppure ripetere il pagamento, perché a tal fine sarebbe necessario l’accertamento ad ogni effetto che il contratto era viziato: accertamento che soltanto il venditore, unico legittimato all’azione di annullamento, potrebbe domandare. Se il venditore ha trasferito la proprietà senza consegnare il bene, né riscuotere il prezzo, avendo le parti convenuto di differire il contestuale adempimento delle due obbligazioni (come è d’altronde previsto dall’art. 1498, comma 2, c.c. in assenza di diversa pattuizione), la cosa resta del compratore, né può essere retrocessa al venditore, ormai

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A differenza dell’art. 1309, comma 2, c.c. 1865, che ravvisava convalida tacita nell’esecuzione della maggior parte dell’obbligazione, l’art. 1444, comma 2, c.c. vigente “rimette alla discrezione del giudice la valutazione del significato di un’esecuzione parziale, anche di una parte minima, purché, per l’importanza sostanziale che riveste, contenga ed esprima la volontà di convalidare il contratto” (così Cass., 6 novembre 1981, n. 5860, che riafferma il principio enunciato dalla rel. min. c.c., § 655). Se l’esecuzione parziale non può essere intesa come convalida del contratto, rimane l’alternativa della convalida parziale, “che per altro è estranea alla previsione normativa e rileva sotto il profilo generale della buona fede” (C.M. Bianca, Diritto civile, cit., III, 639, nt. 214); per G. Mirabelli, Dei contratti in generale2, in Commentario del codice civile, IV, 2, Torino, 1967, 516, invece, la convalida parziale conserva la parte convalidata “se questa soddisfi da sola alla funzione essenziale e propria del negozio”. 14 In tal senso v. Cass., 3 luglio 1998, n. 6526, in Corr. giur., 2000, 93, con nota di C. Consolo. Ha ritenuto, invece, la vendita eseguita con il trasferimento della proprietà App. Trento, 27 aprile 1985, in Giur. it., 1986, I, 2, c. 244, con nota di P. Vitucci; in Giust. civ., 1986, I, 2252, con nota di M. Costanza, con la conseguenza che l’erede del venditore, richiesto della consegna dell’immobile, non è parte convenuta per l’esecuzione del contratto e non può opporre in via di eccezione l’annullabilità del contratto, ove sia prescritta la relativa azione. Ma così opinando l’eccezione sarebbe preclusa nei contratti ad effetti reali immediati, che producono il trasferimento del diritto per effetto del consenso manifestato dalle parti (lo nota E. Merlin, Compensazione e processo, cit., I, 238, nt. 76). 15 Sull’istituto v. E. Vullo, La domanda riconvenzionale nel processo ordinario di cognizione, Milano, 1995, 312 ss.

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decaduto dall’azione di annullamento per decorso del quinquennio utile. Il venditore, convenuto per l’esecuzione, ha infatti fondatamente eccepito l’annullabilità del contratto, venendo liberato dall’obbligazione di consegna, ma non può pretendere la restitutio in integrum: a tal fine sarebbe stata necessaria la tempestiva azione. La sentenza che accoglie l’eccezione diventa quindi, da strumento di ripristino della legalità violata, fonte di ingiustizia sostanziale (in senso giuridico, non soltanto etico), non potendo disporre l’eliminazione degli effetti del contratto invalido, né potendo costituire l’antecedente logico-giuridico di una successiva condictio indebiti, non pronunciando l’annullamento. Né merita consenso la tesi che equipara la condizione della parte che sia convenuta per l’esecuzione di un contratto annullabile, quando l’azione invalidativa sia ormai prescritta, a quella del debitore di un’obbligazione naturale: “il creditore non può pretendere l’adempimento, poiché si espone all’eccezione di annullamento; ed il debitore non può ripetere ciò che ha pagato, poiché è prescritta l’azione di annullamento”16. L’art. 2034, comma 1, c.c. vieta infatti la ripetizione di “quanto è stato spontaneamente prestato in esecuzione di doveri morali o sociali, salvo che la prestazione sia stata eseguita da un incapace”, mentre il contratto annullabile è stato concluso dalla parte incapace od il cui consenso era viziato, talché la prestazione eseguita non può reputarsi spontanea, risultando inficiato il processo formativo della volontà17; peraltro, l’obbligazione è stata eseguita dal contraente in adempimento di un dovere giuridico, avente titolo nel contratto (invalido, ma efficace), non di un dovere morale o sociale. Aggiungasi che la controparte non è priva di azione (diversamente dal creditore di un’obbligazione naturale), potendo chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto, la cui annullabilità non è rilevabile d’ufficio, tanto che, se il vizio non viene eccepito, né vengono allegati altri fatti impeditivi, modificativi od estintivi del diritto, la domanda va accolta. Per rimediare alla descritta anomalia si potrebbe ammettere il compratore, che avesse pagato il prezzo del bene senza poterne ricevere la consegna, all’esercizio dell’azione di arricchimento senza causa. Ma l’ingiustizia non ne risulterebbe eliminata: il venditore dovrebbe infatti restituire il prezzo, avendo ormai trasferito la proprietà. È vero che il contenuto della sentenza ex art. 2041 c.c. potrebbe estendersi, su domanda riconvenzionale del venditore, alla condanna del compratore al ritrasferimento della proprietà del bene, con accessoria penalità di mora ex art. 614-bis c.p.c. qualora l’obbligo incoercibile di fare restasse inadempiuto. Tuttavia, si tratterebbe di domanda di condanna, per sua natura intrascrivibile, con la conseguenza che il compratore potrebbe disporre efficacemente del bene in favore di un terzo, il cui acquisto (se compiuto in buona fede ed a titolo oneroso e salvo il caso di incapacità legale dell’originario dante causa) sarebbe salvo. Il subacquirente non potrebbe ricevere la consegna della cosa dal suo dante causa (il quale non

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M. Franzoni, Dell’annullabilità del contratto2, cit., 24. L’incapacità di cui discorre l’art. 2034 c.c. si identifica con quella legale di agire, in assenza della quale è applicabile l’art. 1424 c.c., mentre la spontaneità difetta se il consenso è viziato (L. Nivarra, Obbligazione naturale, in Dig. civ., XII, Torino, 1995, 381).

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ne ha la disponibilità), ma potrebbe, ad es., concedere ipoteca a garanzia di un mutuo; e qualora seguisse l’espropriazione forzata l’originario venditore, rimasto in possesso del bene, sarebbe tenuto a rilasciarlo in favore dell’aggiudicatario o dell’assegnatario senza potergli opporre un titolo di godimento, essendo considerato alla stregua di un occupante sine titulo.

2. Eccezione o domanda riconvenzionale? Affinché ciascuna delle parti sia restituita nella condizione patrimoniale anteriore alla conclusione del contratto si rende necessaria l’eliminazione retroattiva di tutti gli effetti del rapporto, talché il venditore riacquisti la proprietà della cosa, anziché essere soltanto liberato dall’obbligo di consegnarla, ed il compratore abbia diritto di ripetere il prezzo eventualmente pagato. Questa considerazione ha indotto parte della dottrina a sostenere che la sentenza di rigetto della domanda di adempimento, in ragione dell’accoglimento dell’eccezione di invalidità opposta dal convenuto, abbia effetto totalmente caducatorio del rapporto negoziale a prestazioni corrispettive e costituisca il presupposto delle future azioni di ripetizione d’indebito esperibili dalle parti18, stante il vincolo al motivo portante della decisione19, in ragionato dissenso dalla diffusa opinione secondo cui la pronuncia si esaurisce, invece, nel negare il solo diritto fatto valere dall’attore20.

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F. Carresi, Il contratto, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. Cicu-F. Messineo-L. Mengoni, Milano, 1987, 656; R. Sacco, Nullità e annullabilità, in Dig. civ., XII, Torino, 1995, 302 ss. 19 C. Consolo, “Imprescrittibilità” della c.d. eccezione di annullabilità, cit., 100 afferma, con specifico riferimento ai contratti a prestazioni corrispettive, che “anche se una azione principale di annullamento non sia stata mai proposta od anche risultasse ormai improponibile” per maturata decadenza, “l’efficace invocazione della mera eccezione di invalidazione finisce con l’incrinare tutti gli effetti del contratto sinallagmatico”; la domanda (proposta anche in separato giudizio) di ripetizione delle prestazioni indebitamente eseguite in esecuzione del contratto “sarà da accogliere in forza del vincolo al motivo portante del giudicato di rigetto della azione di adempimento, ossia del vincolo a ritenere viziato e caducato quel contratto ad ogni effetto giuridico suscettibile di doversi ritenere, sul piano sostanziale, necessariamente coordinato con quello già deciso in base alla eccezione di invalidazione” fondatamente opposta dal contraente (l’A. aderisce alla nota teoria di Zeuner circa il vincolo al motivo portante del precedente giudicato in ogni successivo processo tra le parti, vertente su diritti od effetti connessi all’oggetto del primo processo). Dubitano dell’ammissibile esercizio in via di eccezione di poteri invalidativi, con effetti limitati al processo in corso, V. Andrioli, Diritto processuale civile, I, Napoli, 1979, 369 e R. Oriani, Eccezione, in Dig. civ., VII, Torino, 1991, 290 ss.; mentre E. Redenti, Diritto processuale civile2, I, Milano, 1957, 56 equipara quoad effectum l’eccezione all’azione, sostenendo che con “l’azione-eccezione di annullamento (…) si può ottenere dal giudice in via di eccezione un provvedimento di valore e di effetti analoghi a quello che si sarebbe potuto ottenere in via di azione”, a tal fine richiamando la categoria mortariana delle eccezioni riconvenzionali (sulla quale v. infra, nt. 64). 20 Oltre agli AA. citati nella precedente nt. 10 v. A. Attardi, In tema di limiti oggettivi della cosa giudicata, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1990, 535 s.; Id., Diritto processuale civile, I, Padova, 1994, 111 s., il quale peraltro distingue, quando l’impugnabilità di un atto è opposta dal convenuto in via di eccezione, due ipotesi: a) se l’attore ha chiesto l’accertamento dell’intero rapporto sorto dal contratto, la sentenza che accoglie l’eccezione di annullabilità accerta l’inesistenza del rapporto contrattuale, con effetti non diversi da quelli prodotti dalla decisione che accoglie la domanda di annullamento, essendo in ogni caso incontrovertibile l’estinzione del rapporto contrattuale; b) se l’attore agisce a tutela di un singolo diritto derivante dal contratto (chiedendo, ad es., la condanna del convenuto al pagamento di una rata del prezzo), la sentenza che accoglie l’eccezione accerta con forza di giudicato l’inesistenza di quel diritto, ma non dell’intero rapporto contrattuale, “con la conseguenza che dell’intervenuta estinzione degli altri effetti nati dal contratto di compravendita potrà ridiscutersi in un successivo processo: e, precisamente, quando in un nuovo giudizio sorga controversia sugli altri effetti della compravendita (quale il diritto al pagamento delle altre rate), il giudice potrà riesaminare la questione” concernente

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A sostegno della tesi minoritaria (che condivido) può notarsi come la distinzione chiovendiana tra diritto ed eccezione di impugnazione (il primo generalmente inteso ad infirmare l’intero rapporto giuridico, la seconda “quella sola azione che è proposta e contro cui essa si rivolge, lasciando intatto il rapporto giuridico con tutte le altre azioni che possono derivarne in avvenire”)21, talora addotta a fondamento dell’orientamento prevalente22, se letteralmente applicata nella specie produrrebbe il risultato aberrante di un contratto annullato a certi effetti e non ad altri (con il venditore che trattiene il prezzo, pur non dovendo consegnare la cosa, della quale il compratore resta proprietario, senza tuttavia poterne godere). Il Maestro se ne avvide, distinguendo i rapporti semplici (che si esauriscono in un solo diritto: ad es., mutuo senza interesse) da quelli complessi (dai quali derivano molteplici diritti e doveri): nei primi “oggetto della domanda di restituzione sarà necessariamente anche la dichiarazione di esistenza del rapporto”, mentre nei secondi “bisogna distinguere fra i vari diritti che ne fanno parte quelli che hanno carattere principale o fondamentale o centrale, poiché, quando questi son fatti valere, deve ritenersi che oggetto della domanda e del giudicato sia senz’altro e direttamente, insieme col diritto fatto valere, anche il rapporto giuridico stesso”23. Si è sostenuto che, a tal fine, “diritto fondamentale” sarebbe soltanto quello dal quale dipende la configurabilità del rapporto24: tesi alla quale può accedersi, ma a patto di considerare fondamentali, nei contratti sinallagmatici, tutte le prestazioni corrispettive che integrano lo schema causale tipico e quindi, nella vendita, non soltanto il pagamento del prezzo, ma anche la consegna della cosa25. Né credo possa negarsi il predicato di “fondamentale” all’obbligo di pagare la singola rata del prezzo, con la conseguenza che in tal caso il giudicato di rigetto della domanda di condanna, per incapacità o viziato consenso del convenuto, non si estenderebbe (in difetto di istanza ex art. 34 c.p.c.) all’invalidità del

la validità del contratto. Nel secondo caso, quindi, la differenza tra eccezione di impugnabilità e domanda di impugnazione si rivela “netta anche sul piano delle conseguenze pratiche, dal momento che l’incontrovertibilità si limita all’effetto dedotto in giudizio. Perché gli altri effetti dell’atto impugnato ricadano nell’ambito del giudicato sarà necessario che il convenuto proponga domanda volta alla declaratoria dell’inesistenza dell’intero rapporto che a quell’atto si ricollega” (in termini adesivi v. A. Chizzini, La tutela giurisdizionale dei diritti, Milano, 2018, 180 ss.). Non dissimile l’opinione di L. Montesano, Limiti oggettivi di giudicati su negozi invalidi, in Riv. dir. proc., 1991, 45 ss.: ove l’attore abbia dedotto in giudizio “solo una coppia o singole coppie di diritto-dovere fra quelle inerenti ad un rapporto complesso”, ed in un successivo processo domandi altre prestazioni dovute in forza del medesimo contratto, “il giudicato sul vizio non si estende all’intero contratto”, sia perché la legge tratta diversamente l’azione dall’eccezione, sia perché l’estensione si risolverebbe in un accertamento incidentale ex lege dell’invalidità negoziale. Per la necessità della domanda riconvenzionale di annullamento, non essendo sufficiente la mera eccezione, quando l’attore deduca in contestazione l’intero rapporto contrattuale v. E. Allorio, L’ordinamento giuridico nel prisma dell’accertamento giudiziale, in Problemi di diritto, I, Milano, 1957, 106. 21 G. Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile2, I, Napoli, 1960 (rist.), 293. 22 A. Motto, Poteri sostanziali, cit., 252, 308. 23 G. Chiovenda, Istituzioni2, cit., I, 335 ss. 24 Così, in adesione alla tesi di Chiovenda, G. Massetani, Considerazioni schematiche, cit., 343. 25 Come peraltro sembra ammettere anche G. Massetani, Considerazioni schematiche, 344, quando afferma che “chi abbia con successo domandato o eccepito l’inesistenza del diritto altrui al pagamento del prezzo, in ragione dell’annullabilità della compravendita, sarà poi vincolato dall’effetto di giudicato quando si muova a pretendere la consegna del bene compravenduto, ovvero resista alla pretesa della sua restituzione. Ciò perché il suo diritto, come configurato nell’ordinamento, può esistere solo se esiste (o sia esistito) quello altrui”. Geometrico more, il principio deve valere pur quando il giudicato si sia formato sul rigetto della domanda di consegna, a motivo dell’annullabilità del contratto, e successivamente sia chiesto il pagamento del prezzo.

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contratto26: così opinando il sinallagma resterebbe comunque alterato. Si supponga, infatti, che per il pagamento del prezzo della vendita le parti abbiano convenuto tre rate. La prima viene pagata contestualmente alla conclusione del contratto, mentre la seconda resta insoluta. Se il venditore chiede la condanna del compratore al pagamento della seconda rata (non essendo ancora esigibile la terza), l’eccezione con la quale il convenuto alleghi l’incapacità od il vizio investe, di necessità, il rapporto obbligatorio nella sua interezza, avendo l’obbligazione la sua unica fonte nel contratto. Non convince la tesi secondo la quale il convenuto eccipiente non eserciterebbe il potere di chiedere l’annullamento del contratto, ma un potere diverso, il cui effetto si esaurirebbe nel provocare il rigetto della domanda di adempimento, come si argomenterebbe proprio dall’ultimo comma dell’art. 1442 c.c., che ammette l’eccezione nonostante la prescrizione dell’azione27. Premesso che nel testo normativo non figura il termine “eccezione” (v., invece, l’art. 1449, comma 2, c.c. in tema di rescissione) e che l’annullabilità, ivi richiamata, è il presupposto dell’annullamento, non sembra possibile che un potere formativo a necessario esercizio giudiziale muti natura a seconda che sia esercitato dal contraente legittimato quale attore o quale convenuto: in entrambi i casi la manifestazione di volontà della parte non è sufficiente ad estinguere il rapporto contrattuale (come avviene, invece, secondo il diverso schema del diritto potestativo), occorrendo la sentenza costitutiva. Sotto la forma della c.d. eccezione di annullabilità sembra quindi celarsi la sostanza di una domanda incidentale-riconvenzionale di annullamento28, proponibile pur quando l’azione, se fosse stata esercitata in via principale, sarebbe stata rigettata per decorso del quinquennio utile: “l’accoglimento dell’eccezione (imprescrittibile) di annullamento equivale in tutto e per tutto all’accoglimento della azione di annullamento”29. La domanda di adempimento (ma anche quella di risoluzione: v. infra) restituisce nel termine il convenuto che non abbia interamente eseguito il contratto, né lo abbia convalidato: l’azione di annullamento dura insomma tanto quanto l’azione avversaria. Il fenomeno è analogo a quello dell’impugnazione incidentale tardiva: l’iniziativa della controparte abilita il contraente convenuto, legittimato all’azione di annullamento, ad esperirla nonostante sia scaduto il termine quinquennale. Va tuttavia segnalata una non secondaria differenza tra i due istituti: l’impugnazione incidentale tardiva non è preclusa dall’acquiescenza alla decisione (art. 334, comma 1, c.p.c.), mentre la convalida del contratto annullabile impedisce che ne sia chiesto l’annullamento.

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Così G. Massetani, Considerazioni schematiche, 343 ss. E. Grasso, La pronuncia d’ufficio, cit., I, 308; A. Bonsignori, Della tutela giurisdizionale dei diritti, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, a cura di F. Galgano, Bologna-Roma, 1999, 48. 28 La domanda di accertamento incidentale ex art. 34 c.p.c. è una species del genus domanda riconvenzionale, che può avere ad oggetto il mero accertamento, l’accertamento costitutivo o la condanna (E. Vullo, La domanda riconvenzionale, cit., 202 ss.; R. Tiscini, Delle modificazioni della competenza per ragioni di connessione. Del difetto di giurisdizione, dell’incompetenza e della litispendenza, in Commentario del codice di procedura civile, a cura di S. Chiarloni, Bologna, 2016, 318). La domanda di annullamento (sub specie di eccezione) proposta dalla parte convenuta per l’esecuzione del contratto concerne una questione connessa per pregiudizialitàdipendenza con la domanda dell’attore. 29 A. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile5, Napoli, 2012, 183. 27

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Con la c.d. eccezione di annullabilità il convenuto propone quindi una domanda incidentale di accertamento costitutivo-estintivo, ampliando l’oggetto della decisione fino a comprendervi la questione relativa all’invalidità del contratto. Si è da taluni rilevato come la necessità dell’accertamento con efficacia di giudicato possa derivare, oltre che dall’esplicita domanda di una delle parti, dalla legge (art. 34 c.p.c.): ed a tal fine non sarebbe necessaria un’espressa previsione normativa, potendosi trarre la doverosità dell’accertamento anche da ragioni di carattere sistematico, quando “non risulterebbe assolutamente concepibile una cognizione con effetti limitati al processo in corso”30. Tuttavia, le ipotesi di accertamento senza domanda sono eccezionali, in quanto derogano il principio dispositivo31: né vi è la necessità, nella specie, di evocare tale controversa figura, atteso che il convenuto eccipiente propone una domanda di annullamento. Non si può infatti ammettere che il contratto, pur viziato, possa restare valido per la parte eseguita ed essere, invece, invalido per la parte non eseguita. Se l’accoglimento dell’eccezione impedisce il prodursi del singolo effetto giudizialmente postulato dall’attore (pagamento del prezzo o consegna della cosa), allora il contratto è annullato: altrimenti il negozio sarebbe pienamente efficace e la prestazione sarebbe dovuta32. L’annullamento parziale (per chi l’ammetta)33 può incidere soltanto su clausole accessorie o secondarie dell’atto34, non sulle obbligazioni fondamentali che ne derivano: si dovrebbe altrimenti postulare un potere giudiziale di disapplicazione del contratto invalido che la legge non prevede. Fra contratto valido e contratto annullato non pare ammissibile il tertium genus del contratto che, pur essendo riconosciuto viziato dal giudice (se competente), sopravviva alla sentenza, così da poter costituire causa petendi di una diversa e futura domanda di

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R. Oriani, Eccezione, cit., 285; v. pure E. Merlin, Compensazione e processo, II, Milano, 1994, 217 ss.; A. Motto, Poteri sostanziali, cit., 281, nt. 175; ma già V. Denti, L’eccezione nel processo civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1961, 22 ss., spec. 36 ss. (seguito da C. Ferri, Profili dell’accertamento costitutivo, Padova, 1970, 149 ss.) aveva sostenuto la necessità che la questione pregiudiziale di merito, vertente su situazione incompatibile con quella dedotta a fondamento della domanda, fosse decisa con efficacia di giudicato, purché rientrante nella competenza del giudice adito. All’accertamento incidentale ex systema si richiama anche Cass., 14 ottobre 2010, n. 21232, in motivazione. Critica F. Locatelli, L’accertamento incidentale ex lege: profili, Milano, 2008, 224, la quale tuttavia ravvisa nell’eccezione riconvenzionale (avente ad oggetto la questione pregiudiziale circa l’esistenza, validità ed efficacia del rapporto dal quale deriva il singolo effetto giuridico dedotto in causa) “la sostanza di una domanda riconvenzionale tacitamente formulata”: ma allora tale eccezione amplia l’oggetto del processo e del giudicato, non diversamente dalla domanda di accertamento incidentale ex art. 34 c.p.c. 31 Cfr. C. Consolo, Recensione a F. Locatelli, L’accertamento incidentale ex lege: profili, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 1479, che definisce l’accertamento incidentale ex lege “figura processualistica ingombrante ed isolata nel panorama storico-comparatistico, quindi da interpretare restrittivamente”. 32 M. Fornaciari, Situazioni potestative, tutela costitutiva, giudicato, Torino, 1997, 42 ss. perviene sostanzialmente ad identiche conclusioni, ma seguendo un diverso iter argomentativo. 33 Contrario A. Dalmartello, Questioni in tema di annullabilità del contratto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1963, 22 ss. 34 F. Messineo, Il contratto, cit., II, 395; R. Tommasini, Annullabilità e annullamento, cit., 9; M. Franzoni, Dell’annullabilità del contratto2, cit., 36 ss. Anche F. Carresi, Il contratto, cit., 649, nt. 264 (ove indicazioni bibliografiche) ritiene configurabile un annullamento parziale, purché non risulti che senza la clausola impugnata l’altra parte non avrebbe stipulato il contratto. Viene così esteso al negozio annullabile l’art. 1419 c.c., ritenuto applicabile in via diretta e non analogica (R. Sacco, Nullità e annullabilità, cit., 300). In giurisprudenza v. la conforme Cass., 16 dicembre 1982, n. 6935, in Giust. civ., 1983, I, 1530, secondo cui vi è luogo per l’annullamento parziale soltanto allorché occorre eliminare una parte del contratto senza la quale i contraenti avrebbero egualmente raggiunto l’accordo “e non pure nel caso in cui occorrerebbe procedere, da parte del giudice, ad adeguamento e rettifiche delle complessive prestazioni al fine del loro equilibrio”. Se ne deduce che l’annullamento parziale può affliggere soltanto clausole da ritenersi inessenziali nell’economia complessiva del contratto.

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adempimento, avente ad oggetto una prestazione diversa da quella oggetto del processo (nell’esempio paradigmatico, il pagamento di una successiva rata del prezzo). Se l’annullabilità è il presupposto dell’annullamento, all’accertamento della prima da parte del giudice competente non può che seguire la pronuncia del secondo; viceversa, se il contratto non è annullato continua a produrre tutti i suoi effetti. Intendere l’accoglimento dell’eccezione ex art. 1442, comma 4, c.c. nel limitato senso che il convenuto non è obbligato ad eseguire la sola prestazione domandata dall’attore equivale, invece, ad affermare che il contratto è annullato in parte qua, restando per il resto efficace. Né si può assimilare l’ipotetica disapplicazione del contratto annullabile a quella dell’atto amministrativo, per trarne che, in entrambi i casi, avrebbe luogo un accertamento costitutivo incidentale35 ovvero che i vizi dell’atto o del contratto sarebbero oggetto di mera cognizione36: le fattispecie sono ontologicamente diverse, in quanto il giudice ordinario non può annullare l’atto amministrativo (mentre può annullare il negozio giuridico), che quindi è insuscettibile di diventare oggetto principale del processo, neppure a seguito di domanda di accertamento incidentale ex art. 34 c.p.c. Il problema non sussiste se si considera dichiarativa, anziché costitutiva, l’azione di annullamento: il contratto è inefficace e nell’accogliere l’eccezione il giudice dichiara questa inefficacia37. Ma si deve dimostrare che il contratto annullabile sia ab origine inefficace38: e non sembra che la prevista salvezza dei diritti acquistati dai terzi aventi causa (purché in buona fede ed a titolo oneroso) sia compatibile con tale ipotesi, se non nel caso di annullamento per incapacità legale. Se il contratto affetto da vizio del consenso o da incapacità naturale fosse originariamente inefficace, l’annullamento dovrebbe pregiudicare in ogni caso i diritti dei terzi subacquirenti, come avviene per il contratto nullo (fuori del caso previsto dall’art. 2652, n. 6, c.c.). Soltanto per l’annullamento dipendente da incapacità legale, talora deducibile, come la nullità, da chiunque vi abbia interesse (art. 1441, comma 2, c.c., che però in tal caso non prevede anche la rilevabilità d’ufficio del vizio) e, al pari della nullità, opponibile ai terzi subacquirenti39 (ancorché a titolo oneroso ed in buona fede, salvi gli effetti della c.d. pubblicità sanante ex art. 2652, n. 6, c.c.), si può forse sostenere la dichiaratività della pronuncia. L’accoglimento dell’eccezione produce tra le parti i medesimi effetti dell’accoglimento della domanda riconvenzionale di annullamento (purché il giudice sia competente, per materia o per valore, a conoscere dell’intero rapporto contrattuale: v. infra), della quale tuttavia condivide la sostanza, ma non la forma. Le differenze tra eccezione e riconven-

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C. Ferri, Profili dell’accertamento costitutivo, cit., 143 ss. E.F. Ricci, Accertamento giudiziale, in Dig. civ., I, Torino, 1987, 24. 37 I. Pagni, Le azioni, cit., 197 ss. 38 Il che mi sembra escluso anche da I. Pagni, Le azioni, cit., 249 ss., 268, che considera il contratto annullabile sottoposto alla condizione risolutiva che non venga esercitato il potere invalidativo, del quale l’A. postula la natura sostanziale. Ne segue – a fil di logica – che il contratto è originariamente efficace e che diventa retroattivamente inefficace soltanto se annullato. 39 F. Galgano, Il negozio giuridico, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. Cicu-F. Messineo-L. Mengoni, Milano, 1988, 298. 36

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zione concernono in primo luogo il rapporto con i terzi. Infatti la comparsa di risposta contenente l’eccezione non è trascrivibile, riferendosi l’art. 2652, n. 6, c.c. alla domanda40. La sentenza che rigetta la domanda di esecuzione del contratto, a motivo della ritenutane invalidità, vincola le parti nei futuri giudizi, ma non è opponibile ai terzi aventi causa dall’acquirente: a tal fine è necessaria la proposizione e trascrizione della domanda riconvenzionale, che prenota gli effetti della sentenza di annullamento. Inoltre, la domanda riconvenzionale preclude l’applicazione del criterio della ragione più liquida. Chiesto in via riconvenzionale l’annullamento del contratto ed eccepita, in subordine, la prescrizione del credito vantato dall’attore, il giudice non può accogliere la seconda con assorbimento della prima, ma deve statuire sulla domanda del convenuto. Le eventuali pretese restitutorie consequenziali all’annullamento devono formare oggetto di domanda riconvenzionale, che può accedere sia alla domanda esplicita di caducazione del contratto, sia alla domanda implicitamente proposta con l’eccezione. Se l’eccipiente non esperisce la condicio indebiti potrà proporre la domanda in separato processo, all’esito del giudicato formatosi sulla sentenza che abbia accolto l’eccezione e che vincola le parti, purché resa dal giudice competente in ordine all’intero rapporto contrattuale e non solo alla singola prestazione controversa. Sotto il profilo procedimentale, l’eccezione va sollevata con la comparsa di risposta da depositarsi nel termine previsto dall’art. 167 c.p.c., al pari della domanda di accertamento incidentale41 e di quella riconvenzionale. Nel rito del lavoro, il convenuto che propone domanda riconvenzionale ha inoltre l’onere di chiedere il differimento dell’udienza ex art. 418, comma 1, c.p.c., sotto pena di inammissibilità: in difetto, la riconvenzione si converte in mera eccezione42. Pertanto la sentenza che, dichiarata inammissibile la domanda, accolga l’eccezione, non avrà effetto nei confronti dei terzi, pur vincolando le parti nei futuri giudizi sul contratto. In un caso, tuttavia, l’accoglimento dell’eccezione (riconvenzione implicita) esaurisce i suoi effetti nel processo in corso, rilevando quale fatto estintivo non dell’intero rapporto contrattuale, ma della sola obbligazione dedotta in giudizio (si ricordi che l’art. 1236 c.c. 1865 catalogava l’annullamento tra i modi di estinzione dell’obbligazione): quando, eccedendo la causa pregiudiziale, concernente l’annullabilità del contratto, la competenza per materia o per valore del giudice adito, non sia chiesta, né comunque disposta, la rimes-

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Si interroga sull’ammissibilità della trascrizione della comparsa di risposta, con la quale sia proposta l’eccezione di annullabilità del contratto traslativo di diritti reali immobiliari, E. Merlin, Compensazione e processo, cit., I, 239, nt. 76. Sulla trascrivibilità della domanda proposta “in via di eccezione” v. R. Nicolò, La trascrizione, III, La trascrizione delle domande giudiziali, Milano, 1973, 69, il quale esige a tal fine la previa notificazione alla controparte dell’atto che la contiene e l’esibizione al conservatore di copia autentica, munita della relata di notifica (in senso conforme G. Frezza, Trascrizione delle domande giudiziali, Milano, 2014, 222 ss.). Secondo un diverso orientamento è invece sufficiente che la comparsa di risposta sia depositata, salvo che la controparte sia contumace (A. Proto Pisani, La trascrizione delle domande giudiziali, Napoli, 1968, 396 ss.; G. Gabrielli, La pubblicità immobiliare, Torino, 2012, 35; Cass., 3 febbraio 1993, n. 1296). 41 Cass., 24 febbraio 2015, n. 3725. Sul tema v. amplius P. Nappi, Osservazioni sulla domanda di accertamento incidentale di questioni pregiudiziali, in Giusto proc. civ., 2017, 711 ss., spec. 733 ss. 42 Cass., 7 ottobre 2004, n. 19985.

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sione della causa al giudice superiore43. Il contratto resta allora parzialmente ineseguito per fatto non imputabile al debitore convenuto: la sentenza che rigetta la domanda di adempimento accerta, infatti, che la prestazione non è dovuta (stante il vizio che affligge il contratto) ed è quindi divenuta giuridicamente impossibile. Il contratto si risolve, pertanto, per impossibilità sopravvenuta44, che opera di diritto con effetto ex tunc45 e può essere invocata da ciascuno dei contraenti, non soltanto da quello la cui prestazione sia divenuta impossibile46. Né in contrario varrebbe opporre che la risoluzione presuppone un contratto valido (come talora si ritiene), mentre nella specie il negozio è annullabile: ma, per l’appunto, non annullato e quindi efficace. Peraltro, la pronuncia risolutoria esige la previa verifica dell’efficacia e non della validità del contratto47: un contratto valido, ma inefficace per non essersi avverata la condizione sospensiva alla quale era sottoposto, non può essere risolto per inadempimento delle obbligazioni che ne sarebbero derivate, ma soltanto per violazione del dovere, gravante sulle parti ex art. 1358 c.c., di comportarsi secondo buona fede nello stato di pendenza48; per converso, il negozio invalido, ma interinalmente efficace, può essere risolto, sempre che il convenuto, nel cui interesse è prevista la causa di annullabilità, non l’opponga vittoriosamente in via di eccezione, nonostante la prescrizione dell’azione. Benché, infatti, l’art. 1442, comma 4, c.c. discorra di “parte convenuta per l’esecuzione del contratto”, con espressione solo apparentemente evocativa della domanda di adempimento (ma v. il diverso lessico dell’art. 1453 c.c., che contrappone l’adempimento – e non l’esecuzione – alla risoluzione del contratto), l’eccezione può essere opposta anche dal convenuto con domanda di risoluzione per inadempimento. Diversamente opinando, il compratore che avesse dolosamente indotto il venditore ad alienare il bene a prezzo vile potrebbe attendere la prescrizione dell’azione di annullamento per chiedere, anziché l’adempimento (così esponendosi all’imprescrittibile eccezione di annullamento del contratto per vizio del consenso), la risoluzione (per non avere il convenuto adempiuto l’obbligazione di consegnare la cosa) ed ottenere la condanna del convenuto al risarcimento del danno da lucro cessante, pari alla differenza tra il valore ed il prezzo del bene: e quindi il profitto sarebbe tanto maggiore, quanto più grave era stato l’illecito.

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V. infra, n. 3. Alla domanda riconvenzionale avente ad oggetto l’accertamento con autorità di giudicato di un rapporto pregiudiziale, appartenente alla competenza per materia o per valore di un giudice diverso da quello adito dall’attore, si applica, infatti, l’art. 34 c.p.c. e non l’art. 36 c.p.c., che ammette la separazione della causa principale da quella riconvenzionale (E. Vullo, La domanda riconvenzionale, cit., 209). 44 A. Motto, Poteri sostanziali, cit., 319 ss. 45 R. Sacco, Risoluzione per impossibilità sopravvenuta, in Dig. civ., XVIII, Torino, 2000, 55; Cass., 28 gennaio 1995, n. 1037. 46 Cass., 20 dicembre 2007, n. 26958, in Vita not., 2008, 236. 47 La risoluzione, infatti, produce la “eliminazione radicale di tutti gli effetti caratteristici e qualificanti del contratto” (A. Dalmartello, Risoluzione del contratto, in Nss. dig. it., XVI, Torino, 1969, 127). Se ne deduce che la risoluzione presuppone l’idoneità del contratto a produrre effetti: idoneità della quale è ab origine privo il contratto nullo, non quello annullabile, interinalmente efficace. 48 Cass., 19 giugno 2014, n. 14006; Cass., 18 marzo 2002, n. 3942, in Giust. civ., 2003, I, 2227.

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3. La sentenza che pronuncia sull’eccezione. Questione di notevole interesse, dogmatico ed applicativo, è quella concernente i limiti oggettivi del giudicato sostanziale che si forma sulla sentenza che accoglie l’eccezione di annullamento, qualora sia dedotto in contestazione dall’attore uno solo dei diritti derivanti dal contratto a prestazioni corrispettive. Nell’esempio, precedentemente addotto, in cui le parti abbiano convenuto il pagamento del prezzo della vendita in tre rate, la prima delle quali versata contestualmente alla stipula e le altre differite, se il venditore agisce per il pagamento della seconda rata ed il giudice accoglie l’eccezione del compratore convenuto, l’accertamento del vizio genetico del negozio resta circoscritto al thema decisum o si estende anche al diritto, non ancora azionato in quanto inesigibile, relativo al pagamento della terza rata, dovuta a saldo del prezzo? Chiovenda, commentando l’art. 72, comma 3, c.p.c. 186549 in tema di determinazione del valore della causa, aveva osservato come la contestazione del titolo, in forza del quale fosse stato richiesto il pagamento di una rata che non fosse l’ultima, imponesse l’accertamento con forza di giudicato (e non in via meramente incidentale) dell’intero rapporto obbligatorio, essendo “presumibile che la contestazione sul titolo si rinnovi quando saranno richieste le rate successive, onde la legge vuole, indipendentemente da una domanda di accertamento incidentale delle parti, che per economia di giudizi la questione sia decisa una volta per sempre. Infatti la norma vien meno se la rata chiesta è l’ultima; in questo caso si torna alla regola: cioè, il giudice conoscerà del rapporto incidenter tantum, salvo sempre alle parti di chiedere l’accertamento incidentale, qualora abbiano interesse ad ottenere sul rapporto una decisione che faccia stato per l’avvenire (ad es. per la domanda di ripetizione delle rate pagate)”50. Nella dottrina successiva l’estensione del giudicato alla questione pregiudiziale, concernente l’esistenza, validità ed efficacia del rapporto obbligatorio, se contestate dal convenuto in via di mera eccezione (e quindi in difetto di istanza ex art. 34 c.p.c.), è stata talora dedotta dagli artt. 1251 e 13 c.p.c.52, ma con argomenti dei quali è stata dimostrata la non persuasività53. A mio avviso, si possono in proposito utilmente richiamare le argomentazioni contenute nella motivazione della nota sentenza delle Sezioni unite sulla rilevabilità officiosa della nullità del contratto54. Il giudice adito con domanda di adempimento (ovvero di annulla-

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“Quando si domandi una somma che sia parte e non residuo di una maggiore obbligazione, il valore si desume dalla obbligazione intera, se questa è controversa”. 50 G. Chiovenda, Istituzioni2, cit., I, 349. 51 E. Redenti, Diritto2, cit., II, 117 ss.; S. Satta, Commentario, cit., I, 149. 52 V. Andrioli, Diritto, cit., 186, 1004. 53 S. Menchini, I limiti oggettivi del giudicato civile, Milano, 1987, 97 ss. 54 Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242, in Foro it., 2015, I, 862, con note di A. Palmieri-R. Pardolesi, F. Di Ciommo, S. Pagliantini, S. Menchini, M. Adorno; in Giur. it., 2015, 70, con nota di I. Pagni; ivi, 1386, con nota di M. Bove; in Corr. giur., 2015, 88, con nota di V. Carbone; ivi, 225, con nota di C. Consolo-F. Godio; in Giusto proc. civ., 2015, 137, con nota di S. Pagliantini; in Giur. comm., 2015, II,

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mento, rescissione o risoluzione) deve rilevare d’ufficio la causa invalidante, provocando il contraddittorio sul punto; all’esito, qualora sia proposta domanda di accertamento incidentale della nullità ex art. 34 c.p.c. la sentenza dichiarerà anche nel dispositivo la nullità del contratto con forza di giudicato; se la domanda non sia proposta, il giudice dichiarerà la nullità soltanto nella motivazione (salvo che rigetti la domanda sulla base di una diversa e più liquida ragione, ad es. per prescrizione del diritto azionato); in tal caso, “l’accertamento/dichiarazione della nullità è idoneo alla formazione del giudicato, in sostanziale applicazione (peraltro estensiva) della teoria, di matrice tedesca, del c.d. vincolo al motivo portante”, con effetti non circoscritti al singolo diritto dedotto in giudizio, ma estesi “a tutti i successivi processi in cui si discuta di diritti scaturenti dal contratto dichiarato nullo”55. La differenza tra le due ipotesi (nullità dichiarata anche nel dispositivo, nullità accertata soltanto nella motivazione) consiste nella inopponibilità, nel secondo caso, della sentenza ai terzi aventi causa dall’acquirente, potendo essere trascritta la sola domanda di nullità; l’accertamento contenuto nella parte logica (non anche in quella imperativa) della sentenza non sarà invece opponibile al contraente mediato, il cui subacquisto resterà salvo, dovendo l’interessato promuovere un nuovo giudizio nei confronti del terzo avente causa, all’uopo giovandosi del “giudicato implicito che si è formato nel precedente giudizio in forza del rilievo d’ufficio ed avendo cura di trascrivere tale domanda non oltre cinque anni dalla trascrizione dell’atto nullo (ex art. 2652, n. 6, c.c.)”56. La sentenza sembra manifestare sostanziale adesione alla tesi che estende l’efficacia del giudicato su rapporti complessi (come quello che ha la sua fonte in un contratto a prestazioni corrispettive) all’antecedente logico necessario57. La domanda di accertamento incidentale non è infatti necessaria affinché la nullità sia dichiarata con effetti anche extraprocessuali tra le parti, ma è strumentale all’opponibilità della sentenza ai terzi. La dichiarazione di nullità, contenuta nella motivazione ma non nel dispositivo, non è implicita, ma esplicita, atteso che la questione viene discussa e decisa nel contraddittorio delle parti58; ed il vincolo, che ne deriva a carico delle parti, opera anche in successivi processi, onde “salvaguardare le esigenze del sinallagma funzionale”59.

970, con nota di L. Delli Priscoli, in Riv. dir. proc., 2015, 1560, con nota di A. Giussani. Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242, in motivazione, § 7.3. 56 Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242, in motivazione, § 5.13.3. 57 S. Menchini, Le sezioni unite fanno chiarezza sull’oggetto dei giudizi di impugnativa negoziale: esso è rappresentato dal rapporto giuridico scaturito dal contratto, in Foro it., 2015, I, 940. 58 Ne dovrebbero risultare così prevenute le note critiche all’istituto del giudicato implicito su questione che non ha formato oggetto né di discussione, né di cognizione (M. De Cristofaro, Giudicato e motivazione, in Riv. dir. proc., 2017, 56 ss.; F.P. Luiso, Contro il giudicato implicito, in www.Judicium.it., 2019, 181 ss.; G. Fanelli, Minime note sulle decisioni inespresse a carattere processuale, a margine di un interessante dibattito, ivi, 189 ss.; A. Panzarola, Contro il cosiddetto giudicato implicito, ivi, 307 ss.; R. Tiscini, Delle modificazioni della competenza, cit., 189 ss.). 59 M. Bove, Rilievo d’ufficio della questione di nullità e oggetto del processo nelle impugnative negoziali, in Giur. it., 2015, 1395. L’A. cita, ad illustrazione del suo pensiero, il seguente esempio: il compratore, all’esito del primo processo, ottiene la condanna del venditore alla consegna del bene; nel secondo processo, promosso dal venditore per il pagamento del prezzo, non può negare l’esistenza e validità del contratto; se potesse fondatamente sollevare tale contestazione, si determinerebbe una situazione incompatibile, anche sul piano sostanziale, con la precedente decisione. 55

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La dottrina, nell’annotare la decisione, si è divisa: secondo un’opinione sulla nullità dichiarata in motivazione si forma “giudicato vero e proprio”60, mentre altra tesi ravvisa nella pronuncia “una preclusione extraprocessuale” a carico delle parti e non anche dei terzi: non può esservi giudicato in assenza di domanda incidentale, ma soltanto vincolo al c.d. motivo portante della decisione che risolve la questione di nullità, pur estranea all’oggetto del giudizio61. Resta peraltro fermo, anche ad avviso dei sostenitori di tale alternativa ricostruzione, che, dichiarata la nullità nella motivazione della sentenza, le parti non potranno proporre in separati giudizi domande che postulino la validità del contratto: e che, se proposte, dovranno essere dichiarate inammissibili, con una pronuncia di rito e non di merito, stante che l’impedimento alla decisione non deriva da un precedente giudicato, ma da una preclusione extraprocessuale (mentre sarà proponibile, nei confronti dei terzi, domanda di accertamento della nullità)62. Senza voler prendere partito per l’una o l’altra opzione ermeneutica (pur rilevando come il richiamo da parte delle Sezioni unite alla teoria di Zeuner63 sembri piuttosto dissimulare la rivalutazione di quella di Mortara sull’eccezione riconvenzionale, nella specie rilevata d’ufficio, che amplia l’oggetto della decisione e del giudicato)64, mi limito a constatare come la sentenza di rigetto della domanda di adempimento, per ritenuta nullità del contratto e pur in assenza di domanda del convenuto (riconvenzionale o di accertamento incidentale ex art. 34 c.p.c.), sia di ostacolo alla proponibilità, in futuri giudizi fra le parti, di domande incompatibili: sul punto, le interpretazioni dei commentatori non sembrano divergere. Ed allora non credo che la conclusione possa essere diversa quando il rigetto sia determinato dall’accoglimento dell’eccezione di annullamento del contratto. Risponde ad una necessità di coerenza logica, senza peraltro ledere le insopprimibili garanzie del giusto processo, l’estensione del giudicato (o, se si preferisce, del vincolo extraprocessuale) alla questione pregiudiziale concernente l’invalidità del vincolo negoziale, purché trattata

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I. Pagni, Il “sistema” delle impugnative negoziali dopo le Sezioni Unite, in Giur. it., 2015, 76. C. Consolo-F. Godio, Patologia del contratto e (modi dell’) accertamento processuale, in Corr. giur., 2015, 230 ss. 62 C. Consolo-F. Godio, Patologia del contratto, cit., 233. 63 Sulla quale v. S. Dalla Bontà, Una “benefica inquietudine”: note comparate in tema di oggetto del giudicato nella giurisprudenza alla luce delle tesi zeuneriane, in Giusto proc. civ., 2011, 891 ss. 64 L. Mortara, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile2, II, Milano, s.d., pp. 104 ss.; Id., Manuale della procedura civile9, Torino, 1921, I, 38 ss., 142 ss., II, 82 ss. concepiva l’eccezione riconvenzionale come una domanda di accertamento incidentale, con efficacia di giudicato, di una questione pregiudiziale di merito (anche se l’A. non impiegava questi termini); l’e.r. modificava la competenza per valore ed era proponibile anche in appello. Se fosse stata qualificata secondo il contenuto e gli effetti, l’e.r. sarebbe stata inammissibile in appello, introducendo una domanda nuova, vietata dall’art. 490 c.p.c. 1865: ma, con singolare prevalenza della forma sulla sostanza, l’A. la considerava un’eccezione, che il cessato codice ammetteva in sede di gravame. Il carattere intrinsecamente contraddittorio dell’e.r. fu denunciato da G. Chiovenda, Istituzioni2, cit., I, 277. Nella dottrina successiva v., tra i tanti, V. Colesanti, Eccezione (diritto processuale civile), in Enc. dir., XIV, Milano, 1965, 203 s.; E. Vullo, La domanda riconvenzionale, cit., 214 ss.; F. Russo, Contributo allo studio dell’eccezione nel processo civile2, Roma, 2015, 245 ss.; F. Locatelli, L’accertamento incidentale ex lege, cit., 156 ss., che definisce l’e.r. “una sorta di domanda riconvenzionale formulata per implicito” (così, sostanzialmente, anche E. Redenti, Diritto2, cit., I, 56, che comprende tra i casi di e.r. la fattispecie di cui all’art. 1442, ultimo comma, c.c., potendo il convenuto “ottenere dal giudice in via di eccezione un provvedimento di valore e di effetti analoghi a quello che si sarebbe potuto ottenere in via di azione”). 61

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e decisa dal giudice competente nel contraddittorio delle parti, anche ad effetti diversi rispetto a quello elementare (i.e., la singola prestazione) dedotto in giudizio65; il giudicato si estende all’eccezione, che concorre a determinare l’oggetto del giudizio (il quid legitime disputatum inter partes)66. A tal fine è tuttavia necessario che – analogamente a quanto prevede l’art. 503 del nuovo codice di procedura civile brasiliano67 – la questione pregiudiziale, dalla cui risoluzione sia dipesa la decisione della causa, sia stata oggetto di discussione tra le parti costituite (talché l’estensione del giudicato non è predicabile nei confronti del contumace) e che il giudice fosse competente a conoscerne in via principale. Il profilo della competenza (che sembra essere stato trascurato dalle Sezioni unite, in quanto irrilevante nello specifico caso trattato) implica che, dovendo l’eccezione in discorso essere trattata alla stregua di una domanda di accertamento ex art. 34 c.p.c., potrà rendersi necessaria la rimessione della causa ad un diverso ufficio. Se il giudice, che sia incompetente per materia o per valore, non provveda in tal senso, il rigetto della domanda di esecuzione del contratto, in accoglimento dell’eccezione di annullamento, non implicherà accertamento irretrattabile dell’invalidità, vincolante le parti in futuri giudizi. In questo caso l’accoglimento dell’eccezione avrà effetto estintivo della singola obbligazione controversa, anziché dell’intero rapporto obbligatorio, poiché “ogni decisione avente autorità di giudicato deve procedere dal giudice competente”68, ché altrimenti la potestà decisoria del giudice adito verrebbe estesa oltre i limiti previsti dalla legge69. Esemplificando, venduto un bene al prezzo di 10 mila euro e chiesto il pagamento della prima rata di 3 mila euro davanti al giudice di pace, l’accoglimento dell’eccezione non si estenderà all’intero contratto, il cui valore eccede la competenza dell’ufficio; nel successivo giudizio, promosso davanti al tribunale per il pagamento del saldo di 7 mila euro, la decisione non avrà effetto preclusivo. In tal caso potrà aversi conflitto logico (e non pratico) di giudicati70, qualora il tribunale rigetti l’eccezione che il giudice di pace aveva invece accolto (ma incidenter tantum, essendo incompetente a conoscere dell’intero rapporto) e condanni il compratore al pagamento del saldo: con il risultato che il venditore avrà alienato per 7 mila euro un bene per la cui cessione era stato convenuto il prezzo di

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M. De Cristofaro, Giudicato e motivazione, cit., 82 s.; C. Cavallini, Perpetua ad excipiendum. Variazioni in tema di giudicato e motivazione, in Riv. dir. proc., 2018, 641. Nella dottrina anteriore, la formazione del giudicato su questione pregiudiziale di merito, fuori dei casi previsti dall’art. 34 c.p.c., era stata ammessa alla triplice condizione che il giudice fosse competente a conoscerne in via principale, che le parti fossero legittimate a trattarla e che la questione fosse stata convenientemente trattata [G. Pugliese, Giudicato civile (diritto vigente), in Enc. dir., XVIII, Milano, 1969, 866 ss.; M. Taruffo, «Collateral estoppel» e giudicato sulle questioni, in Riv. dir. proc., 1972, 272 ss., spec. 282 ss.; per l’estensione del giudicato alle questioni pregiudiziali di merito, sollevate in via di eccezione dal convenuto, purché rientranti nella competenza del giudice adito v. già V. Denti, Questioni pregiudiziali (diritto processuale civile), in Nss. dig. it., XIV, Torino, 1967, 678]. 66 E. Redenti, Diritto2, cit., II, 17. 67 A commento della disposizione v. L.G. Marinoni, Giudicato su questioni nel diritto brasiliano, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, 1401 ss. 68 G. Chiovenda, Istituzioni2, cit., I, 340. 69 F. Menestrina, La pregiudiciale nel processo civile, Vienna, 1904, 117. 70 Sulla differenza tra le due figure, che dipende dalla diversità (conflitto logico) od identità (conflitto pratico) dei diritti oggetto delle due decisioni v. C. Consolo, Spiegazioni11, cit., I, 126 ss.; F.P. Luiso, Diritto processuale civile10, I, Milano, 2019, 197 ss.; G. Balena, Istituzioni di diritto processuale civile4, II, Bari, 2018, 319 s.

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10 mila euro. Diventerà allora applicabile l’art. 1464 c.c.: il pagamento della rata di 3 mila euro è infatti divenuto giuridicamente impossibile per causa non imputabile al debitore, in quanto dichiarato non dovuto dal primo giudicato, che integra una singolare ipotesi di factum principis71. Poiché trattasi di impossibilità parziale (essendo dovuto il pagamento del saldo di 7 mila euro), il contratto non si risolverà, ma spetteranno al venditore gli alternativi diritti alla riduzione proporzionale della prestazione a suo carico o del recesso. Qualora l’eccezione di annullamento sia rigettata, l’effetto stabilmente vincolante si estenderà (sempre che il giudice sia competente a conoscere dell’intero rapporto) ai futuri giudizi tra le medesime parti, con la conseguenza che nel nuovo processo, avente ad oggetto il pagamento di una successiva rata del prezzo, il compratore non potrà reiterare la contestazione già disattesa. Sorge però la questione se, dedotta nel primo giudizio l’annullabilità del contratto per incapacità del convenuto, costui possa, nel nuovo processo, eccepire che il prestato consenso era viziato. Si discute se il rigetto della domanda di annullamento per un motivo osti alla deducibilità di una diversa ragione invalidante in un successivo giudizio72. Se si identifica l’oggetto del giudizio di impugnativa negoziale nel rapporto obbligatorio, piuttosto che nel diritto potestativo (rectius, potere formativo) fondato sul singolo motivo73, la preclusione opera: ma si deve allora coerentemente ammettere la deducibilità nel giudizio di primo grado (al più tardi nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c.) di una nuova e diversa ragione di invalidità, trattandosi di mera emendatio libelli, e considerare autodeterminata la domanda di annullamento (al pari di quella di nullità). Anche il convenuto che abbia eccepito il dolo potrà pertanto eccepire un diverso vizio del consenso o l’incapacità, ma entro l’indicato termine.

4. La sentenza che accoglie la domanda di esecuzione del contratto.

L’ultima questione che merita di essere esaminata è quella relativa ai limiti oggettivi del giudicato sulla sentenza che accoglie la domanda di esecuzione del contratto, del quale il

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L’impossibilità della prestazione può avere un fondamento tanto naturale quanto giuridico (C.M. Bianca, Diritto civile, IV, L’obbligazione, Milano, 1990, 531, testo e nt. 9). Il factum principis ha generalmente natura di atto normativo od amministrativo, ma può consistere anche in un provvedimento giurisdizionale, come il sequestro, purché non sia la conseguenza del fatto illecito del debitore (Cass., 25 maggio 2017, n. 13142; Cass., 30 aprile 2012, n. 6594, in Giust. civ., 2013, I, 1873). 72 Ammettono la nuova domanda G. Chiovenda, Istituzioni2, cit., I, 314, il quale avverte che “ai possibili inconvenienti di questa reiterazione indefinita di giudizi può rimediare il convenuto chiedendo in via riconvenzionale una sentenza che dichiari valido l’atto in generale”; E. Allorio, L’ordinamento giuridico, cit., 106; V. Andrioli, Diritto, cit., 962; L. Montesano, Limiti oggettivi di giudicati su negozi invalidi, cit., 22 s.; C. Consolo, Spiegazioni11, cit., I, 142; G. Verde, Diritto processuale civile5, II, Bologna, 2017, 295; la negano, siccome preclusa dal giudicato, S. Satta, Commentario, cit., III, 67 s.; S. Menchini, I limiti oggettivi, cit., 320 ss.; A. Proto Pisani, Lezioni5, cit., 73; B. Sassani, Impugnativa dell’atto e disciplina del rapporto, Padova, 1989, 171. 73 Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242, in motivazione, § 4.9: “Non può pertanto condividersi, oggi, la tesi che individua l’oggetto del processo in una Rechtsfrage, il cui oggetto è rappresentato dal diritto potestativo fondato sul singolo motivo (di annullamento, rescissione, risoluzione, nullità) dedotto in giudizio”.

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convenuto non abbia eccepito l’annullabilità. Sulla validità del negozio si forma il giudicato implicito? Oppure il convenuto può, nel successivo giudizio promosso dall’attore per l’adempimento di una diversa prestazione dovutagli ex contractu (ad es., una successiva rata del prezzo), proporre l’eccezione? Deve in primo luogo escludersi che la preclusione possa conseguire alla definitività del decreto ingiuntivo non opposto, emesso per il pagamento di una rata del prezzo. È infatti oltremodo dubbio che l’accertamento, contenuto nel provvedimento decisorio sommario, possa estendersi all’antecedente logico necessario. Vero è che il debitore può opporsi alla misura monitoria instaurando un processo a cognizione piena, ma l’assenza di contraddittorio nella fase sommaria e, soprattutto, la possibilità che la domanda sia accolta senza alcun esame del contratto dal quale deriva il credito (contratto che potrebbe non essere stato neppure prodotto, quando il credito fosse documentato da fattura) escludono la piena equiparazione dell’ingiunzione non opposta alla sentenza di condanna non impugnata74. Né potranno ravvisarsi nell’esecuzione del decreto ingiuntivo da parte del debitore e quindi nel pagamento della rata del prezzo gli estremi della convalida tacita, preclusiva della successiva eccezione invalidativa del contratto: la volontarietà (nel senso di spontaneità) del pagamento è infatti esclusa dalla minaccia dell’esecuzione forzata in caso di inadempimento75. Se la condanna sia stata pronunciata con sentenza, la proponibilità dell’eccezione nel successivo giudizio dovrebbe restare impedita, secondo una dottrina, dalla preclusione del deducibile, “anche se il tema relativo all’annullabilità del contratto non sia stato né dedotto espressamente né trattato in causa”76. A sorreggere tale conclusione non è tuttavia idonea la discutibile figura del giudicato implicito (che nella specie si formerebbe, parafrasando la nota locuzione elaborata dalle Sezioni unite, sulla “non annullabilità” del contratto), né il principio di autoresponsabilità (il convenuto avrebbe potuto, nel processo svoltosi con pienezza di cognizione e con la garanzia del contraddittorio, eccepire il vizio del contratto; se, cum loqui potuit ac debuit77, ha trascurato di sollevare la questione, imputet sibi).

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E. Redenti, Diritto2, cit., I, 71 s.; F. Carnelutti, Istituzioni del processo civile italiano5, Roma, 1956, III, 135 s.; V. Andrioli, Commento al codice di procedura civile3, IV, Napoli, 1964, 113 ss.; L. Montesano, La tutela giurisdizionale dei diritti2, Torino, 1994, 258 ss.; A. Proto Pisani, Lezioni5, cit., 80 s.; C. Consolo, Spiegazioni11, cit., I, 193; G. Balena, Istituzioni4, cit., III, 231 s.; G. Basilico-M. Cirulli, Le condanne anticipate nel processo civile di cognizione, Milano, 1998, 316 ss.; A. Ronco, Procedimento per decreto ingiuntivo, in AA.VV., I procedimenti sommari e speciali, a cura di S. Chiarloni-C. Consolo, Torino, 2005, 523 ss.; M. De Cristofaro, Giudicato e motivazione, cit., 63 ss.; S. Recchioni, Rapporto giuridico fondamentale, pregiudizialità di merito c.d. logica e giudicato implicito, in Riv. dir. proc., 2018, 1611, testo e nt. 39. La giurisprudenza è tuttavia diversamente orientata, estendendo all’esistenza e validità del contratto di locazione il giudicato formatosi sul decreto ingiuntivo emesso per il pagamento di un rateo di canone (Cass., 18 luglio 2018, n. 15350; Cass., 26 giugno 2015, n. 13207; Cass., 24 maggio 2013, n. 12994; Cass., 6 marzo 2012, n. 3453; Cass., 2 aprile 2009, n. 8013; adde, con riferimento a diversa fattispecie e con espressa affermazione del giudicato implicito sul titolo negoziale, Cass., 28 novembre 2017, n. 28318, in Riv. dir. proc., 2018, 1392, con nota di M. Lolli). 75 L’esecuzione del negozio da parte del contraente legittimato all’azione di annullamento ha effetto convalidante soltanto se spontanea e consapevole: “pertanto, non potrebbe valere come convalida l’eventuale esecuzione del contratto senza la necessaria libertà” (F. Messineo, Il contratto, cit., II, p. 415; conforme F. Santoro-Passarelli, Dottrine9, cit., 258). 76 G. Fabbrini, Eccezione, in Enc. giur., XII, Roma, 1989, 3. 77 Peraltro con questa nota espressione E. Redenti, Diritto2, cit., III, 198 giustifica la stabilità del riparto nell’espropriazione forzata, ma non postula affatto l’intangibilità ad ogni effetto, diverso da quello satisfattivo, del provvedimento che definisce la fase distributiva,

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Così opinando si finisce con l’imporre al convenuto l’onere, non previsto dalla legge, di contestare la validità del contratto, che integra la causa petendi della domanda di adempimento78, e si costruisce un giudicato implicito sulle eccezioni che il convenuto avrebbe potuto proporre, ma non ha proposto: tuttavia, “una simile coartazione ad opponendum non può essere riconosciuta, almeno nel nostro processo dispositivo, in cui spetta alla libera volontà delle parti di determinare la materia del contendere”79. Non è comunque compatibile con gli artt. 24 e 111 Cost. un “giudicato senza motivazione”: ed è tale quello implicito80, “invisibile”81 o per silentium, che la giurisprudenza estende a questioni non esaminate (neppure d’ufficio) e quindi non motivatamente risolte. Secondo una diversa opinione, ferma l’intangibilità del giudicato82 (e quindi del diritto dell’attore vittorioso alla singola prestazione riconosciutagli), nel successivo processo, vertente su un diverso diritto derivante dal contratto, il convenuto può proporre l’eccezione83, con la quale non viene allegato un mero fatto (quale il decorso del tempo, che determina la prescrizione), ma una fattispecie, che potrebbe formare oggetto di un autonomo giudizio84. L’eccezione di annullamento è certamente proponibile se l’incapacità legale o la violenza è cessata, ovvero l’errore od il dolo è stato scoperto successivamente al referente temporale del primo giudicato, talché il termine di proponibilità dell’azione inizi a decorrere soltanto da tali eventi sopravvenuti (art. 1442, comma 2, c.c.)85; ma si deve ritenere ammessa pur quando il potere fosse sorto anteriormente. Ed invero sulla “non annullabilità” del contratto, che non fu oggetto di discussione tra le parti, né di motivata pronuncia, non può essersi formato il giudicato implicito. Qualora nel secondo processo l’eccezione venga accolta, è doveroso interrogarsi circa la sorte del primo giudicato, che ha condannato il convenuto e contrasta con il secondo, che invece lo ha assolto stante il vizio del contratto. Si ha un conflitto logico (e non

assistito da mera preclusione pro iudicato. Per questo rilievo critico v. G. Verde, Diritto5, cit., II, 294 s., che nega l’esistenza di siffatto onere a carico del convenuto, pur ammettendo che, nel successivo processo, non potrà essere ridiscussa l’esistenza (e non la valida esistenza) del rapporto e la nullità del contratto, che il giudice del primo processo avrebbe dovuto rilevare d’ufficio. 79 Così, anche in adesione alla tesi di Zeuner (la cui opera recensisce), A. Bonsignori, I limiti oggettivi del giudicato in un recente libro tedesco, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1961, 246. 80 Per l’equazione giudicato implicito-giudicato senza motivazione v. M. De Cristofaro, Giudicato e motivazione, cit., 47. 81 Od altrimenti definito “improvviso” da A. Panzarola, Contro il cosiddetto giudicato implicito, cit., 308. 82 Nel senso che dopo il giudicato di condanna il convenuto non può esercitare l’azione di ripetizione d’indebito, proponendo eccezioni, anche relative al contratto sul quale l’attore aveva fondato la propria domanda, non opposte nel primo processo v. G. Pugliese, Giudicato, cit., 865. 83 Cfr. S. Satta, Commentario, cit., III, 69: “se si chiede il pagamento di una rata o canone, il rapporto è dedotto nei limiti di quella rata o quel canone. Se il giudice condanna, è sempre possibile in un successivo giudizio contestare il rapporto, senza naturalmente pregiudizio del giudicato già formatosi, e quindi senza possibilità di ripetizione di quanto pagato”. Per l’opponibilità dell’eccezione di annullabilità non proposta nel primo giudizio v. M. De Cristofaro, Giudicato e motivazione, cit., 85. Si dichiarano, invece, favorevoli all’estensione del giudicato di condanna all’esistenza, validità, efficacia e qualificazione giuridica del contratto a prestazioni corrispettive A. Proto Pisani, Lezioni5, cit., 68 ss.; F.P. Luiso, Diritto10, cit., I, 167 ss.; S. Menchini, I limiti oggettivi, cit., 107 ss. 84 G. Verde, Domanda (principio della), in Enc. giur., XII, Roma, 1989, 8. 85 Sulla esperibilità dell’azione costitutiva dopo il giudicato di condanna, quando l’interessato ignorasse, al tempo, l’esistenza del potere invalidativo v. S. Menchini, I limiti oggettivi, cit., 318, 323. 78

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pratico) di giudicati, in quanto la questione relativa all’annullabilità è stata esaminata con pienezza di cognizione soltanto nel secondo processo: tuttavia, il sinallagma risulta oggettivamente alterato. Un primo rimedio – se il potere di annullamento è divenuto esercitabile soltanto dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni del primo processo (che segna il limite cronologico del giudicato) – potrebbe consistere nell’ammettere la revocazione straordinaria del giudicato per dolo dell’attore: conclusione che potrebbe fondarsi sull’art. 395, n. 1, c.p.c., applicabile quando l’attore avesse maliziosamente approfittato della condizione di minorata difesa del convenuto, il quale non avrebbe potuto opporre un vizio del consenso non ancora scoperto od un’incapacità legale non ancora cessata e quindi svolgere una “efficiente attività difensiva”86. È tuttavia noto il disfavore della giurisprudenza verso un’interpretazione estensiva del dolo revocatorio87. Altra soluzione, suscettibile di generale applicazione, sarebbe quella di ritenere l’annullamento del contratto, pronunciato nel secondo giudizio, caducatorio ipso iure del precedente giudicato di condanna all’esecuzione di una delle prestazioni dovute; la sopravvenuta inefficacia ex tunc del rapporto contrattuale potrebbe allora dedursi in via di opposizione all’esecuzione della prima condanna o, se questa fosse stata già eseguita, con azione di ripetizione dell’indebito. A tale esito la S.C. è pervenuta nell’ipotesi di definitività del decreto ingiuntivo di pagamento dei contributi condominiali e di successivo annullamento della deliberazione in esecuzione della quale l’ingiunzione era stata emessa88. Non è invece applicabile l’art. 1464 c.c., poiché la seconda sentenza, accogliendo l’eccezione del convenuto, ha annullato il contratto, che quindi non è risolubile per impossibilità parziale sopravvenuta, in quanto inefficace.

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“Per integrare la fattispecie del dolo processuale revocatorio ex art. 395, n. 1, c.p.c. non basta la semplice violazione del dovere di lealtà e di probità, richiedendosi, invece, un’attività intenzionalmente fraudolenta, concretantesi in artifizi o raggiri tali da pregiudicare o sviare la difesa avversaria, facendo apparire una situazione diversa da quella reale e, quindi, da impedire al giudice la conoscenza della verità; requisiti, questi, ravvisabili anche nel mendacio o nel silenzio su fatti decisivi della causa, specie quando la domanda giudiziale trovi fondamento su tale atteggiamento ed il successivo contegno processuale, attuativo di questo iniziale disegno fraudolento, sia tale da impedire un’efficiente attività difensiva della controparte o, comunque, da pregiudicare l’accertamento della verità” (Cass., 21 gennaio 2020, n. 1207; Cass., 29 gennaio 2002, n. 1155, in Giur. it., 2002, 1582, con nota di S. Caraffa Braga; Cass., 5 giugno 1993, n. 6322; Cass., Sez. un., 6 settembre 1990, n. 9213, in Foro it., 1991, I, 484, con nota di G. Fabbrini Tombari; in Giust. civ., 1990, I, 2809, con nota di R. Murra). 87 Sul tema v., anche per citazioni, M. Russo, Della revocazione, in Commentario del codice di procedura civile, a cura di S. Chiarloni, Bologna, 2018, 29 ss. 88 Cass., Sez. un., 27 febbraio 2007, n. 4421, in motivazione; Cass., 7 ottobre 2005, n. 19519.

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La tutela sommaria quale strumento di semplificazione del sistema giurisdizionale(?) Sommario : 1. Considerazioni introduttive. Perimetrazione dell’indagine ed esposizione di criteri e finalità della ricerca. – 2. La sommarietà come deformalizzazione delle regole processuali ma non del risultato (giudicato): a) il procedimento di repressione delle condotte antisindacali (art. 28 St. lav.). – 3. (segue) b) il procedimento di liquidazione di onorari e spese degli arbitri (art. 814, comma 2 c.p.c.). – 4. (segue) c) il procedimento di opposizione alle sanzioni C onsob e Banca d’Italia (artt. 195 e 187-septies Tuf e 145 Tub). – 5. (segue) d) il procedimento di protezione internazionale (art. 35-bis d.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25). – 6. La sommarietà come deformalizzazione dell’interpretazione delle regole processuali: la problematica interazione tra tutela sommaria e concezione sostanziale degli errores in procedendo. – 7. La sommarietà come deformalizzazione sia delle regole processuali sia del risultato (giudicato). L’esempio del rito societario sommario ex art. 19 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5: damnatio memoriae o esperienza utile? – 8. Conclusioni. – 9. Postilla: la trattazione dei procedimenti sommari analizzati tra il presente dell’emergenza sanitaria da Covid-19 e il futuro di convalescenza della giurisdizione.

Il presente elaborato intende indagare se la tutela sommaria sia idonea a contribuire alla “semplificazione” del sistema giurisdizionale civile. Il punto di partenza è rappresentato dall’analisi di quattro procedimenti: a) di repressione delle condotte antisindacali (art. 28 St. lav.); b) di liquidazione di onorari e spese degli arbitri (art. 814, co. 2 c.p.c.); c) di opposizione alle sanzioni Consob e Banca d’Italia (artt. 195 e 187-septies Tuf e 145 Tub); d) di protezione internazionale (art. 35-bis d.lgs. n. 25/2008).Si verificherà se le scelte fatte, sul piano normativo, dal legislatore e, su quello applicativo, dalla giurisprudenza siano logiche e coerenti alla luce dell’art. 3 Cost. In caso di risposta affermativa, si accerterà se la coerenza sia di per sé sola sufficiente ad assicurare una “semplificazione” del sistema o se, al contrario, si riveli indispensabile la presenza di fattori ulteriori e diversi; e se – ed in che misura – questi possano, ove presenti, compensare le lacune di un sistema in apparenza coerente. In particolare, si prenderà in considerazione l’effettività dei rimedi e delle tutele, la quale, anche in difetto di piena razionalità del sistema, riferendosi intimamente alla gestione del processo, da parte del giudice, nel caso concreto, potrebbe “sanare” un’eventuale carenza di strumenti procedimentali. Chiude l’indagine una panoramica dei procedimenti alla luce della normativa processuale introdotta in via emergenziale per fronteggiare la pandemia da Sars-Cov-II/Covid-19. The paper investigates whether summary procedures can contribute to “simplify” the civil jurisdic-

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tional system. The starting point is represented by the analysis of four procedures: a) repression of anti-union conduct (art. 28 of the so called Workers’ Statute); b) liquidation of the arbitrators’ fees and expenses (art. 814, co. 2 c.p.c.); c) opposition to the sanctions imposed by Consob and Bank of Italy (art. 195 and 187-septies Tuf and 145 Tub); d) international protection (art. 35-bis leg.ve decree n. 25/2008). It will be verified whether the choices made, on a regulatory level, by the legislator and, on an applicative level, by judges are rational and coherent in relation to the art. 3 of the Constitution. In case of positive response, it will be ascertained if sole coherence is adequate to ensure a “simplification” of the system or, conversely, further and different factors are absolutely essential; and whether – and to what extent – these can, where present, compensate for the shortcomings of an apparently coherent system. In particular, effectiveness of the remedies will be taken into consideration, which, even when the system is not fully rational, referring intimately to the management, by the judge, of the procedure in the specific case, could “heal” any lack of procedural tools. The investigation ends with an overview of the proceedings in light of the procedural legislation introduced as an emergency to tackle the pandemic from Sars-Cov-II/Covid-19.

1. Considerazioni introduttive. Perimetrazione dell’indagine ed esposizione di criteri e finalità della ricerca.

Indagare il modo in cui la tutela sommaria interseca il sistema giurisdizionale civile non è compito semplice, stante soprattutto la possibilità di far assumere alla ricerca tagli e prospettive (anche assai) diversi tra loro. Il campo d’analisi va, dunque, inevitabilmente perimetrato. Conviene subito notare che il titolo dell’elaborato, declinato in forma affermativa, potrebbe essere contestualmente flesso anche in forma interrogativa. Ciò, tuttavia, implica che si affrontino, nel tentativo di darvi risposta, almeno due interrogativi: α) quale tipo di sommarietà sia oggetto di analisi; β) cosa si intenda per «semplificazione del sistema giurisdizionale». La sommarietà che si è qui scelto di considerare non è quella cautelare1; e neanche quella che, pur appartenendo alla dimensione dichiarativa, attiene alla sola fase procedimentale/istruttoria, ma non (anche) alla cognizione del giudice2. All’interno dell’area così individuata, sono stati scelti quattro procedimenti, e precisamente quello: a) di repressione delle condotte antisindacali (art. 28 l. 20 maggio 1970, n. 300, d’ora in avanti: St. lav.); b) di liquidazione di onorari e spese degli arbitri (art. 814, comma 2 c.p.c.); c) di opposizione alle sanzioni irrogate dalla Consob e dalla Banca d’Italia (artt. 195 e 187-septies d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 – da qui in poi: Tuf – e 145 d.lgs. 1

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Sulla quale, cfr. G. Arieta, Le cautele. Il processo cautelare, in Id., Trattato di diritto processuale civile, XI, Padova, 2011, 1 e ss. Non si parlerà, quindi, o almeno non direttamente, del procedimento sommario di cognizione di cui agli artt. 702-bis e ss. c.p.c.; sull’istituto, v. A. Tedoldi, Procedimento sommario di cognizione, in S. Chiarloni (a cura di), Commentario del codice di procedura civile, Bologna, 2016, 1 e ss. Vi sono, però, aa. dell’idea che nel procedimento in parola la sommarietà attenga anche alla cognizione del giudice: è il caso, inter alia, di F. P. Luiso, Diritto processuale civile, Milano, 2017, IV, 116.

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settembre 1993, n. 385 – nel prosieguo: Tub) e, in ultimo, d) di c.d. protezione internazionale (art. 35-bis d.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25). La scelta non è casuale. I procedimenti indicati, infatti, per un verso, vedono tutti coinvolte situazioni sostanziali che, pur essendo profondamente diverse tra loro, sono qualificabili come (o afferenti a) diritti della personalità3; per altro verso, conducono al giudicato (formale e sostanziale)4. Tuttavia, alcuni di essi mancano del carattere della “necessarietà”5 e ciò, come si vedrà, non è affatto privo di rilievo. Fatte queste precisazioni, si partirà dal presupposto che, per grandi linee6, la cognizione può definirsi sommaria lì dove difettino – singolarmente o cumulativamente – la previsione legislativa di tempi, forme e poteri/doveri del giudice e delle parti, rispetto alle diverse fasi del processo; l’instaurazione del preventivo contraddittorio e della difesa in condizioni di parità; l’indicazione del catalogo di mezzi di prova che possono essere assunti, su iniziativa di quali soggetti e secondo quale procedimento, nonché del modo in cui si forma il convincimento giudiziale; la predeterminazione della forma del provvedimento conclusivo e del potere delle parti di impugnarlo (quantomeno con ricorso per cassazione ex art. 111, comma 7 Cost.)7. Si verificherà, quindi, quali tra gli elementi elencati siano carenti (tanto in astratto, quanto in concreto) nei quattro procedimenti, ed in quale misura. Tale verifica, però, rappresenterà solo il pretesto per effettuarne una ulteriore, finalizzata all’accertamento della tenuta, in punto di coerenza e razionalità, delle scelte fatte – sul piano positivo – dal legislatore e – su quello interpretativo/applicativo – dalla giurisprudenza: nel senso che, considerate le posizioni soggettive in gioco nei procedimenti analizzati, si tenterà8 di sco-

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Anche se, ad uno sguardo più attento, è dubitabile che possano essere tutte poste proprio sul medesimo livello: basti pensare alla divergenza – da un lato – tra i diritti e le libertà coinvolti nel procedimento di protezione internazionale e di opposizione alle sanzioni Consob e Banca d’Italia; e – dall’altro – quello, pur importante, al compenso di un arbitro per l’opera prestata, di natura strumentale rispetto al diritto (questo sì, effettivamente legato alla persona) ad un’esistenza libera e dignitosa. Sui diritti della personalità v., ex multis, Aa.Vv., in S. Ruscica (a cura di), I diritti della personalità, Milano, 2013, 1 e ss. Almeno secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti. Non mancano, tuttavia, voci fuori dal coro: ad es., riguardo all’art. 28 St. lav., v. i richiami infra nota n. 31. Il quale implica che il soggetto richiedente non ha la possibilità di scegliere (o almeno non immediatamente), in alternativa al procedimento sommario, la strada della cognizione piena, come invece accade, ad es., per i diritti tutelabili in via monitoria: cfr. G. Arieta, Tutele sommarie non cautelari, in Id., Trattato di diritto processuale civile, X, Padova, 2010, 8. La definizione di ciò che è sommario, infatti, è tutt’altro che pacifica in letteratura: lo confessa, tra gli altri, M. Fabiani, Le prove nei processi dichiarativi semplificati, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2010, 801; per R. Tiscini, L’accertamento del fatto nei procedimenti con struttura sommaria, § 1, in www.judicium.it, anche a voler considerare sommario, per difetto, tutto ciò che devia dal procedimento a cognizione piena ordinario, le cose non muterebbero, in quanto i confini tra le due dimensioni sono «del tutto incerti». Secondo A. Proto Pisani, Le tutele giurisdizionali dei diritti, Napoli, 2003, 2, nota n. 2, lo stesso processo ordinario non è altro che «un continuo alternarsi di momenti di cognizione sommaria con momenti di cognizione piena». Cfr. A. Carratta, Struttura e funzione nei procedimenti giurisdizionali sommari, in Id. (a cura di), La tutela sommaria in Europa. Studi, Napoli, 2012, 17. Il tentativo non è privo di rischi: infatti, almeno in apparenza e pur con gli opportuni distinguo, sembrano ricorrere pericoli analoghi a quelli che spingono R. Tiscini, I provvedimenti decisori senza accertamento, Torino, 2009, XV, a non cedere alla tentazione di voler ad ogni costo procedere ad una costruzione sistematica ed unitaria dei procedimenti sommari – in quel caso – non destinati al giudicato. Al modus procedendi che si è scelto qui di adottare si potrebbe, infatti, obiettare che la costruzione di un sistema di analisi incentrato su procedimenti aventi ad oggetto posizioni giuridiche tanto diverse tra loro, quale quella di un migrante a vedersi

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prire se, per situazioni che hanno (o dovrebbero avere) tutte preminente rilievo nella scala valoriale desumibile dall’ossatura costituzionale del nostro ordinamento9, siano previste ed assicurate garanzie procedimentali di identico o, quantomeno, analogo tenore; e ciò anche alla luce del carattere necessario o meno del procedimento sommario, in quanto una cosa è imporre una strada procedurale diversa da quella ordinaria, ben altra è lasciare la libertà di percorrerla o meno. In altre parole, verrà testata la tenuta del “microcosmo”, creato dai quattro procedimenti scelti, dal punto di vista del rispetto non solo (e non tanto) dei precetti costituzionali che sembrano all’apparenza andare maggiormente in sofferenza al cospetto della tutela sommaria, i.e. gli artt. 24 e 111, quanto del canone della ragionevolezza, riconducibile all’art. 3, comma 2; ma – si badi – non per mettere in discussione la necessità di assicurare un rito speciale per ciascuna situazione soggettiva da tutelare, qualora essa meriti un trattamento processuale diverso10, quanto per porre in evidenza che “diverso” non può significare “meno garantista”. Tutto ciò comporta che la «semplificazione del sistema giurisdizionale» non verrà guardata sotto il prisma dell’efficienza (in particolare, sub specie diminuzione della durata dei processi)11; né – come detto – si convoglieranno tutte le energie nel tentativo di comprendere se il grado di semplificazione dato dalla sommarietà nei quattro procedimenti sia, o meno, eccessivo, alla luce del combinato disposto degli artt. 24 e 111 Cost.12. Diversamente, si cercherà di verificare se la semplificazione risponda a criteri di razionalità. In caso di risposta affermativa, peraltro, ci si chiederà se ciò sia di per sé sufficiente a configurare una semplificazione del sistema giurisdizionale o se sia, al contrario, comunque necessaria la presenza di fattori diversi e se, ed in che misura, questi possano compensare, ove presenti, le lacune di un sistema apparentemente coerente. In particolare, si prenderà in considerazione l’effettività dei rimedi e delle tutele, la quale, anche in difetto di piena razio-

riconosciuto lo status di rifugiato e quella di un arbitro al proprio compenso, è destinata già in partenza a fallire. Tuttavia, si cercherà di dimostrare, facendo leva sull’art. 3 Cost., che, laddove non si lasci lo sguardo fisso sulle differenze tipologiche delle situazioni sostanziali dedotte nei procedimenti analizzati, ma si allarghi l’orizzonte, è invece possibile porre a confronto anche procedimenti prima facie tra loro molto distanti. 9 Parla di «ribaltamento dei valori operato dalla Costituzione italiana del 1948» A. Proto Pisani, Tecniche di tutela, Costituzione del 1948 e processo civile (a proposito di una prolusione non tenuta), in Foro it., 2018, V, 322: preminenti non sono più il libero mercato (art. 41) e la proprietà privata (artt. 42 e 43), bensì la persona umana (artt. 2 e 3) ed il lavoro (art. 4). 10 Messa in luce da R. Tiscini, I provvedimenti, cit., 16, proprio nel trattare il rapporto tra gli artt. 24 e 3 Cost. 11 Questo, ovviamente, non toglie che la tutela sommaria, in tutte le sue declinazioni (e in particolare nella sua dimensione camerale), sia di vitale importanza per la tenuta del sistema giurisdizionale nel suo complesso: cfr. Id., L’accertamento del fatto, cit., § 5. Ma si può fortemente dubitare che gli interventi sulle sole forme, laddove non accompagnati da serie iniezioni di risorse (umane ed economiche), abbiano mai sortito un migliore funzionamento del sistema processuale: v., da ultimo, G. Balena, Alla ricerca del processo ideale, tra regole e discrezionalità, in Giusto proc. civ., 2018, 314. 12 Il legislatore ha sempre la possibilità di optare per riti diversi, essendo dotato, in relazione a tali profili di scelta, di una ampia discrezionalità, insindacabile in sede di controllo di legittimità. Tuttavia, le deroghe significative al principio generale della cognizione piena, in particolare allorché si tratti di atti che intervengono nel sistema dei diritti fondamentali, comprimendoli, «dovrebbero essere “ragionevolmente” giustificate e conseguenti ad una stretta valutazione di proporzionalità»: così E. Bindi-A. Pisaneschi, Sanzioni Consob e Banca d’Italia, Torino, 2018, 146 e 152.

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nalità del sistema, riferendosi intimamente alla gestione del processo da parte del giudice nel caso concreto, potrebbe “sanare” un’eventuale carenza di strumenti procedimentali. Prima di compiere tali passi, tuttavia, si dovrà indugiare sui singoli procedimenti, nei quali la sommarietà è intesa quale deformalizzazione delle regole processuali (ma non del risultato: i.e. del giudicato). Dopodiché verranno considerati anche gli altri modi in cui la sommarietà produce semplificazione del sistema, poiché vi si potrebbero scorgere sia dei profili che si intersecano con la struttura propria dei quattro procedimenti prescelti, sia delle caratteristiche che, pur attualmente assenti in essi, potrebbero stimolare delle prospettive di modifica de jure condendo. Solo in ultimo si potranno trarre delle conclusioni.

2. La sommarietà come deformalizzazione delle

regole processuali ma non del risultato (giudicato): a) il procedimento di repressione delle condotte antisindacali (art. 28 St. lav.). Conviene muovere dalla descrizione del procedimento ex art. 28 St. lav., giacché, coniugandovisi con grande equilibrio speditezza e garanzie, costituisce uno degli esperimenti meglio riusciti al legislatore processualcivilistico nel campo della tutela sommaria, tant’è che la sua struttura è stata assunta come modello anche in altri contesti13. La disposizione – dal carattere scarno ma allo stesso tempo aperto14 – al comma 1 stabilisce che, laddove il datore di lavoro ponga in essere comportamenti antisindacali, gli organismi locali della associazioni sindacali a rilievo nazionale interessate possono rivolgersi al giudice15, il quale, nei due giorni successivi, previa convocazione delle parti e assunte sommarie informazioni, se accoglie il ricorso, con decreto immediatamente esecutivo ordina al datore di cessare il comportamento illegittimo e – ove possibile – di rimuoverne gli effetti. Al comma 2, poi, è prevista la possibilità di opporsi al decreto. Il procedimento, che – almeno secondo la giurisprudenza – non ha natura necessaria16 né cautelare17, ha ad oggetto situazioni immediatamente riferibili alla comunità dei lavora-

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Per G. Giugni, Diritto sindacale, Bari, 1994, 116, si tratta di uno strumento destinato a garantire l’effettività del principio di libertà sindacale e dei diritti previsti dallo Statuto dei lavoratori. 14 Lo sottolinea, tra gli altri, L. Lanfranchi, Cognizione sommaria e accertamento, Milano, 1980, 79, per il quale la struttura aperta consente una cognizione equilibratamente sommaria ed inquisitoria. 15 Per gli aspetti procedimentali, prevalentemente “statici”, che non saranno trattati nel testo, come la competenza, la legittimazione attiva, etc., si rimanda a E. Vullo, Le tutele speciali in materia di lavoro, in L. Dittrich (diretto da), Trattato di diritto processuale civile, III, Torino, 2019, 3375 e ss. 16 V. Cass., sez. un., 16 gennaio 1987, n. 309, in Foro it., Rep. 1987, voce Sindacati, n. 71; conf., da ultimo, Trib. Terni, 13 luglio 2017, n. 266, in www.dejure.it; la dottrina, invece, sul punto non è unanime: a favore dell’esclusività, ex multis, G. Arieta, Tutele sommarie non cautelari, cit., 8. 17 Cfr. A. Carratta, I provvedimenti d’urgenza nel prisma dei rimedi giurisdizionali in materia di lavoro, in Lavoro e dir., 2017, 545, che, pertanto, ritiene residui uno spazio per la tutela ex art. 700 c.p.c., quando l’urgenza sia tale e tanta da non permettere la previa instaurazione

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tori dell’impresa (e non ai singoli), che però, per motivi di effettività della tutela, implicano e ricomprendono anche le posizioni soggettive individuali direttamente attinenti a ciascun lavoratore18. La prima fase (astrattamente instaurabile senza limiti temporali rispetto ai fatti denunciati19, ma che non si conclude praticamente mai nelle quarantotto ore auspicate dal legislatore20) ha, nel modo di atteggiarsi del contraddittorio, uno dei suoi profili di maggior interesse ai fini dell’indagine che si sta svolgendo. Infatti, anche se non sono prefissati né modalità di convocazione né un termine a difesa del datore di lavoro21 22, il contraddittorio nella prassi riesce a dispiegarsi appieno, e perciò secondo alcuni in misura addirittura eccessiva rispetto alla struttura del procedimento23 (al punto che si è parlato di “desommarizzazione” della fase, con tendenza a «riprodurre de facto, nell’ambito del rito sommario, le forme e le modalità del rito ordinario»24, essendo per giunta obbligatoria la comparizione personale delle parti, onde consentire al giudice di interrogarle liberamente25). Secondo altri, invece, in maniera appropriata, in quanto di regola le sommarie informazioni assunte dal giudice sono poste a fondamento di un giudizio che raramente è suscettibile di essere travolto da una (più) completa istruttoria svolta, nella successiva fase, secondo le regole ordinarie: risultando, quindi, l’opposizione ridotta all’esame della violazione/falsa applicazione di norme di diritto, ovvero all’esame dell’illogicità della motivazione, l’unico vero giudizio pieno sarebbe per l’appunto quello sommario, unica sede ove, in definitiva, si acquisirebbe il materiale su cui si fonderanno non solo il decreto, ma anche le successive sentenze26.

del contraddittorio ex art. 669-sexies, comma 2 c.p.c.; dissente A. Vallebona, Istituzioni di diritto del lavoro, Milano-Padova, 2017, 336. Così, A. Proto Pisani, Il procedimento di repressione dell’attività antisindacale, in Foro it., 1973, V, 81. Parla, invece, di solo interesse collettivo M. Falsone, Tecnica rimediale e art. 28 dello statuto dei lavoratori, in Lavoro e dir., 2017, 577. 19 V. Proto Pisani, Il procedimento, cit., 71; in senso adesivo R. Vaccarella, Il procedimento di repressione della condotta antisindacale, Milano, 1977, 143, il quale però avverte che il trascorrere di un lungo intervallo di tempo dai fatti potrebbe far venir meno l’attualità dell’interesse ad agire. 20 Difatti, il termine non è perentorio (v. Cass. 29 luglio 1986, n. 4858, in Mass. giur. lav., 1986, 601; circostanza opportuna secondo A. Vallebona, Istituzioni, cit., 334, cosicché il datore ha il tempo materiale per rivolgersi ad un legale e predisporre un’adeguata difesa scritta) e va interpretato nel senso che ciò che deve aver luogo entro i due giorni successivi al deposito del ricorso è la convocazione della controparte: così E. Vullo, Le tutele, cit. 3382. 21 Che, perciò, possono essere le più varie, purché garantiscano una conoscenza effettiva (rectius: legale): così A. Proto Pisani, Il procedimento, cit., 73, che richiama l’art. 156, comma 3 c.p.c., seguito dalla giurisprudenza (Cass. 21 luglio 2008, n. 20078, in Foro it., Rep. 2009, voce cit., n. 65); contra G. Tarzia-L. Dittrich, Manuale del processo del lavoro, Milano, 2015, 408, che invece ammettono la sola notificazione ai sensi dell’art. 415 c.p.c. 22 Che va, però, comunque garantito in misura congrua: E. Vullo, Le tutele, cit., 3382. 23 L’espressione è riferibile a L. Lanfranchi, Cognizione sommaria, cit., 74, nota n. 121, dell’idea che il contraddittorio dovrebbe potersi manifestare pienamente nella fase a cognizione ordinaria. L’a. trova d’accordo A. Proto Pisani, Il procedimento, cit. 73. 24 Così, testualmente, E. Silvestri-M. Taruffo, Antisindacale (condotta) – II) Procedimento di repressione (agg.), voce dell’Enc. giur., VIII, Roma, 1997, 3. Sul punto, v. pure E. Vullo, Le tutele, cit., 3383. 25 Nella letteratura, v. G. Tarzia, Repressione della condotta antisindacale e processo del lavoro, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1978, 656; in giur., v. Trib. Trani 1 ottobre 2004, in Lavoro giur., 2004, 1304. Ciò rileva, per quanto si dirà infra §§ 8 e 9. 26 Cfr. R. Vaccarella, Il procedimento, cit., 166 e 214; conf. anche G. Tarzia-L. Dittrich, Manuale, cit., 407 e 411, argomentando dall’art. 1 l. 8 novembre 1977, n. 847 (a mente del quale, nelle controversie previste dall’art. 28 St. lav., ferme restando tutte le norme del procedimento speciale, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni della l. 11 agosto 1973, n. 533), nonché dalla particolare forza esecutiva del provvedimento di accoglimento, che non può essere revocata fino alla sentenza che definisce il giudizio a 18

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La tutela sommaria quale strumento di semplificazione del sistema giurisdizionale(?)

Altro punto focale è quello dei poteri e delle facoltà di parti e giudice riguardanti l’istruttoria. Le parti non subiscono alcuna preclusione probatoria27, ma i loro poteri a riguardo devono fare i conti con quelli – davvero molto ampi – di cui gode il giudice, il quale, proprio a causa dell’oggetto del processo, non è vincolato alle istanze private nell’acquisizione del materiale probatorio, anche se non può spingersi fino al punto da alterare gli onera allegandi atque probandi incombenti sui litiganti. Il magistrato può, pertanto, assumere le prove che ritiene opportune e necessarie per la formazione del suo convincimento (ad es.: testimonianze, ispezioni, c.t.u.), anche discostandosi dal modello tipologico di riferimento normativo (prove atipiche) e/o in modo atipico: l’importante è che lo faccia nel contraddittorio delle parti interessate28. Quanto al provvedimento finale, che assume la forma del decreto (motivato, a prescindere dall’eventum litis)29, secondo larga parte della dottrina il giudice sarebbe libero di adottare quello che più si attaglia al caso concreto, purché il petitum (immediato) sia condannatorio e non abbia ad oggetto comportamenti futuri30. Lo stesso è inoltre idoneo, laddove non opposto nei quindici giorni successivi alla sua comunicazione, a passare in giudicato31. L’eventuale opposizione32 apre le porte alla fase a cognizione piena del primo grado33, regolata dalle disposizioni degli artt. 413 e ss. c.p.c. (ma in assenza di preclusioni, cosicché sono proponibili anche le eccezioni non avanzate nella fase sommaria34) ed è destinata

cognizione piena. Cfr. P. Sandulli, in P. Sandulli-A. M. Socci, Il processo del lavoro, Milano, 2016, 659; idem per la giurisprudenza: v. Cass. 23 marzo 1994, n. 2808, in Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 133, per la quale è sufficiente che nel ricorso siano narrati e allegati i fatti. Per R. Vaccarella, Il procedimento, cit., 140, neanche l’indicazione dei fatti è vincolante o preclusiva, poiché il giudice deve tenere conto anche di fatti successivi, o emersi successivamente, alla proposizione del ricorso, purché sugli stessi sia rispettata la regola del contraddittorio. 28 Cfr. A. Proto Pisani, Il procedimento, cit., 72, cui aderiscono V. Di Cerbo-D. Simeoli, in G. Amoroso-V. Di Cerbo-A. Maresca, Diritto del lavoro, II, Milano, 2017, sub art. 28 St. lav., 1268. Conf. Cass. 9 febbraio 1991, n. 1364, in Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 119, che ammette anche il ricorso a presunzioni, purché non si basino su mere illazioni o asserzioni. Più restrittivo appare l’approccio di A. Preteroti, I soggetti e i rapporti sindacali, in G. Santoro Passarelli (a cura di), Diritto e processo del lavoro e della previdenza sociale, 2017, 1981. Cfr. anche, R. Tiscini, L’accertamento del fatto, cit., § 4, che, in un discorso più ad ampio raggio, rileva come il margine di iniziative officiose del giudice in materia probatoria sia in rapporto inversamente proporzionale rispetto al principio, comunque operante nel procedimento in parola, di non contestazione. 29 V. Di Cerbo-D. Simeoli, in G. Amoroso-V. Di Cerbo-A. Maresca, Diritto del lavoro, cit., sub art. 28 St. lav., 1269. 30 Così F. Lunardon, in M. Persiani-F. Carinci (diretto da), F. Lunardon (a cura di), Trattato di diritto del lavoro, III, Milano, 2011, 732, la quale non ammette pronunce di mero accertamento. Conf. G. Tarzia-L. Dittrich, Manuale, cit., 406; in giur. Cass. 18 gennaio 1984, n. 441, GC, 1984, I, 2721. Contra A. Proto Pisani, Il procedimento, cit., 73 e ss., il quale, rimarcando l’atipicità dei provvedimenti adottabili dal giudice ex art. 28 St. lav., ritiene che questi possano essere accostati a tutte le inibitorie ed ammette che possano essere adottate condanne anche per comportamenti in futuro, purché questi siano specificati nel dispositivo, avendo altrimenti la pronuncia un’efficacia di mero fatto. Su tale ultimo punto, v. la cauta apertura da parte di Cass. 26 febbraio 2016, n. 3837, in Foro it., Rep. 2016, voce Sindacati, n. 38. 31 V. L. Lanfranchi, Cognizione sommaria, cit., 81; A. Proto Pisani, Il procedimento, cit., 67. In senso diff., ma isolati, I. A. Andolina, Crisi del giudicato e nuovi strumenti alternativi di tutela giurisdizionale. La (nuova) tutela provvisoria di merito e le garanzie costituzionali del «giusto processo», in Giusto proc. civ., 2007, 320 e, in giurisprudenza, App. Venezia 29 aprile 1972, in Foro it., I, 2319. 32 Che deve presiedere un giudice (persona fisica) diverso da quello della fase sommaria: cfr. Corte cost. 15 ottobre 1999, n. 387 in Foro it., 1999, I, 3441 e, in dottrina, A. Vallebona, Istituzioni, cit., 335. 33 E non ad un secondo ulteriore grado: A. Proto Pisani, Il procedimento, cit., 84 34 V. Cass. 12 giugno 1987, n. 5179, in Foro it., Rep. 1987, voce cit., n. 94; contra P. Sandulli, Il processo, cit., 663, che però richiama la stessa pronuncia appena citata. 27

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a sfociare in una sentenza immediatamente esecutiva ed appellabile nel modo previsto dall’art. 434 c.p.c. Contro tale ultimo provvedimento è, infine, ammesso ricorso per cassazione. L’effettività cui mira il procedimento ex art. 28 St. lav. è presidiata, in ultima battuta, dalla previsione di cui al comma 4: il datore di lavoro, se non ottempera al decreto o alla sentenza pronunciata nel giudizio d’opposizione, è perseguibile penalmente ai sensi dell’art. 650 c.p., cui si cumula l’ordine di pubblicazione della sentenza penale di condanna, nei modi stabiliti dall’art. 36 c.p.

3. (segue) b) il procedimento di liquidazione di onorari e spese degli arbitri (art. 814, comma 2 c.p.c.).

Esigenze di snellezza procedurale e tutela dei diritti delle parti sembrano convivere senza particolari problemi anche nel procedimento di liquidazione di spese e compensi in favore degli arbitri, di cui all’art. 814 c.p.c. In assenza di predeterminazione di tali due voci (e di criteri per stabilirle), al termine dell’arbitrato35 gli arbitri provvedono direttamente alla relativa liquidazione, con un atto che ovviamente ha natura di proposta per le parti36: queste ultime, non essendo ad essa vincolate, devono – se vogliono – accettarla. Laddove non lo facciano, agli arbitri è concesso ricorrere al presidente del tribunale, il quale, previa audizione delle parti, determina gli importi con ordinanza, che è titolo esecutivo ma reclamabile (art. 814, comma 3 c.p.c.). Occorre premettere che il procedimento in questione, che si presenta non “necessario”37 e massimamente semplificato nelle forme38, è stato protagonista di un “valzer” interpretativo diretto dalla S.C. di Cassazione39, che solo di recente si è concluso con l’affermazione

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Anche irrituale, per C. Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato, I, Milano, 2012, 621, nota n. 466, cui aderisce, in giurisprudenza, Cass. 3 settembre 2004, n. 17808, in www.dejure.it. Più di recente, però, Cass. 11 giugno 2014, n. 13211, in Guida dir., 2014, 44, 42, ha negato l’estensione analogica della norma. 36 Tali essendo, per M. Zulberti, Tutela giurisdizionale dei diritti degli arbitri al compenso ed al rimborso delle spese, in Riv. arbitrato, 2017, 690, quelle che concludono con gli arbitri il contratto di arbitrato, che non è detto coincidano con tutte quelle che partecipano al procedimento. 37 V. P. Licci, Il ritorno al futuro delle Sezioni Unite sulla natura e sul regime impugnatorio dell’ordinanza di liquidazione del compenso degli arbitri, in Riv. arbitrato, 2017, 379, la quale precisa che l’arbitro ha a disposizione, alternativamente, il rito in esame, quello ordinario (nel quale si potrà far confluire anche le questioni relative all’an del diritto, nonché quelle sull’eventuale responsabilità dell’arbitro che, se accertata ai sensi dell’art. 813-ter c.p.c., comporta la non debenza o la riduzione del compenso), il ricorso per decreto ingiuntivo e quello ex art. 702-bis c.p.c. Conf. Cass., sez. un., 7 dicembre 2016, n. 25045, in Foro it., Rep. 2016, voce Arbitrato, n. 128; contra, ma isolato, Trib. Chieti 18 febbraio 2009, n. 135, in P.Q.M., 2009, fasc. 1, 102, cui aderisce parzialmente M. Zulberti, Tutela giurisdizionale, cit., 715, in quanto ammette il ricorso alla tutela monitoria, escluso invece dal giudice teatino. 38 Così Cass. 29 novembre 1996, n. 10660 in www.dejure.it. 39 Ricostruito da R. Tiscini, È (nuovamente) contenzioso e censurabile in Cassazione il procedimento di liquidazione del compenso degli arbitri, in Giusto proc. civ., 2017, 383, la quale successivamente – p. 393 – precisa che «è l’alternatività tra i riti a giustificarne il carattere contenzioso: se lo è il processo ordinario a cognizione piena, non meno può esserlo quello speciale e sommario»

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della sua natura giurisdizionale-contenziosa40: tale aspetto è importante, giacché l’inquadramento dell’istituto «si riflette sulla disciplina del procedimento implicando, ad esempio, l’obbligo di difesa tecnica41 e la necessità di instaurare il contraddittorio fra parti e arbitri»42, seppur in forma semplificata43. Discussa è anche l’estensione dell’oggetto, poiché se tradizionalmente è stato ricondotto al solo quantum della pretesa44, oggi si tende a considerarvi assorbito anche l’an debeatur45. Quanto alle modalità di svolgimento del procedimento, va detto che, pur celebrandosi esso nelle forme camerali, il diritto di difesa non sembra soffrire particolari limitazioni o compressioni46. Il presidente del tribunale ha, infatti, comunque l’obbligo di stimolare il contraddittorio47: in primis, verificando che la convocazione – nonostante non debba rispondere a particolari formalità – sia stata effettuata con modalità tali da aver assicurato alle parti la conoscenza (legale) del procedimento48; poi, concedendo per la loro audizione49 un termine congruo e tale da permettere alle stesse di predisporre un’adeguata difesa50. Nel suo percorso verso la decisione, idonea secondo la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie a condurre al giudicato51, il presidente del tribunale gode sì di un’ampia di-

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Cfr. Cass., sez. un., n. 25045/2016, cit.; conf. Cass. 24 maggio 2017, n. 13124, in www.dejure.it. In dottrina si esprime nello stesso senso C. Corrado, Sul procedimento ex art. 814 c.p.c. di liquidazione degli onorari degli arbitri, in Riv. dir. proc., 2010, 496, sottolineando l’esistenza di un conflitto di interessi e l’esecutorietà del provvedimento richiesto. M. Bove, Giustizia privata, Milano-Padova, 2015, 98, parla di natura parzialmente contenziosa, perché si incide solo sul quantum, non anche sull’an debeatur. 41 Per tutte le parti, anche per gli arbitri: v. C. Punzi, Disegno sistematico, cit., 623; conf. Cass. 29 marzo 2006, n. 7128, in Foro it., 2006, I, 2776 contra G. Schizzerotto, Dell’arbitrato, Milano, 1988, 407. 42 Così, testualmente, L. Bergamini, Gli arbitri, in L. Dittrich (diretto da), Trattato di diritto processuale civile, IV, Torino, 2019, 5150. Non a caso, in Cass., sez. un., 3 luglio 2009, n. 15586, in Foro it., Rep. 2010, voce cit., n. 108, a favore della natura negoziale dell’istituto, si afferma che il tenore della norma prevede un procedimento distante dalle regole del processo, senza una formale costituzione del contraddittorio. 43 Cass. 9 maggio 2003, n. 7062, in Giur. it., 2004, 509, cui aderisce la dottrina maggioritaria: v., ex multis, M. Zulberti, Tutela giurisdizionale, cit., 701; contra A. Proto Pisani, Usi e abusi della procedura camerale ex art. 737 ss. c.p.c., in Riv. dir. civ., 1990, I, 437, dell’opinione che sia da escludere l’estensione ai provvedimenti presidenziali delle disposizioni comuni ai procedimenti camerali. 44 V. M. Bove, Giustizia privata, cit., 98. Della stessa idea P. Licci, Il ritorno al futuro, cit., 375; L. Bergamini, Gli arbitri, cit., 5149, la quale tuttavia reputa che sia pacifico, in dottrina e giurisprudenza, che l’oggetto è la sola quantificazione del compenso. 45 Cfr. R. Tiscini, È (nuovamente) contenzioso, cit., 399, dell’idea che tale impostazione sia la diretta conseguenza del riconoscimento della natura contenziosa al procedimento, anche perché – prosegue l’a. a p. 397 – in concreto è difficile scindere il profilo dell’an da quello del quantum debeatur; C. Corrado, Il procedimento, cit., 497, parla di nesso di pregiudizialità in senso logico tra i due aspetti; adesiva, nella sostanza, la posizione di M. Zulberti, Tutela giurisdizionale, cit., 709. 46 V. F. Ravidà, in C. Consolo (diretto da), Codice di procedura civile: commentario, IV, Milano, 2018, sub art. 814, 1309; M. Zulberti, Tutela giurisdizionale, cit., 700; in giur., conf. Cass. 25 gennaio 1983, n. 688 in Giur. it. 1983, 1102. 47 Così, ex multis, M. Bove, Giustizia privata, cit., 97. 48 Cfr. Cass. 24 giugno 2003, n. 9991, in Foro it., Rep. 2003, voce Arbitrato, n. 145. 49 Considerata in dottrina necessaria in ogni caso, a pena di nullità, da C. Punzi, Disegno sistematico, cit., 625 e L. Montesano-G. Arieta, L’arbitrato, in L. Montesano-G. Arieta, Trattato di diritto processuale civile, II/2, Padova, 2002, 1664; conf. Cass. 5 agosto 1988, n. 4847, in www.dejure.it. In senso diff., partendo dal presupposto che il procedimento ex art. 814, comma 2 c.p.c. non dia luogo a litisconsorzio necessario, v. Cass. 27 novembre 2007, n. 24627, in ibid. 50 Cfr. F. Ravidà, in Codice di procedura civile, cit., sub art. 814, 1309, per la quale non è comunque possibile pretendere il rispetto dei termini ex art. 163-bis c.p.c. Sulla stessa posizione Cass. 26 agosto 2002, n. 12490, in Riv. arbitrato, 2004, p. 453. 51 V., su tutti, R. Tiscini, È (nuovamente) contenzioso, cit., 391. Contra, ma isolati, S. Menchini, Il procedimento dell’art. 814 c.p.c. di liquidazione del compenso degli arbitri dopo la sentenza n. 15586 delle Sezioni Unite, in Aa.Vv., Sull’arbitrato. Studi offerti a Giovanni Verde, Napoli, 2010, 527 e A. Proto Pisani, Usi e abusi, cit., 437. In giurisprudenza, a favore dell’effetto ex art. 2909 c.c., fra le tante, Cass., sez. un., n. 25045/2016, cit.

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screzionalità52 nel quantificare il compenso, poiché l’art. 814, comma 2 c.p.c. non indica alcun criterio; tuttavia, egli deve tenere in considerazione l’attività effettivamente svolta da ciascun arbitro nell’ambito del collegio (e non soltanto l’attività del collegio arbitrale nel suo complesso)53. L’ordinanza di liquidazione, non revocabile né modificabile54, è poi reclamabile mediante ricorso alla corte d’appello, la quale, sentite a sua volta le parti, decide in camera di consiglio55. Proprio sulla scorta della summenzionata natura contenziosa del procedimento, è stato (nuovamente)56 riconosciuto dal massimo consesso della Corte regolatrice il diritto di impugnare l’ordinanza emessa in fase di reclamo mediante ricorso ai sensi dell’art. 111, comma 7 Cost.57.

4. (segue) c) il procedimento di opposizione alle sanzioni

Consob e Banca d’Italia (artt. 195 e 187-septies Tuf e 145 Tub).

Abbandonando le (tutto sommato) calme e rassicuranti acque appena solcate, nelle quali si incontrano procedimenti – come i due appena descritti – in cui esigenze di celerità del giudizio e tutela delle parti convivono in tendenziale armonia, e proseguendo lungo la rotta tracciata, ci si imbatte nel procedimento di opposizione alle sanzioni Consob e Banca d’Italia. In realtà si tratta, formalmente, di due procedimenti distinti che, tuttavia, al netto di marginali divergenze58, possono tranquillamente essere trattati simultaneamente. Nel redigere gli artt. 195 e 187-septies Tuf e 145 Tub, infatti, il legislatore ha delineato il medesimo iter, che prende in ogni caso avvio con l’opposizione, mediante ricorso59 al giudice, avverso il provvedimento sanzionatorio di una delle due Authorities.

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Cass. 4 giugno 2014, n. 12542, in www.dejure.it. Cfr. L. Bergamini, Gli arbitri, cit., 5152. 54 Così, F. Ravidà, in Codice di procedura civile, cit., sub art. 814, 1315. Conf., in giur., App. Potenza 21 marzo 2016, in Foro it., 2016, I, 2234. 55 Cfr. M. Bove, Giustizia privata, cit., 98. Visto il rinvio all’art. 830, comma 4 c.p.c., la parte interessata può inoltre chiedere l’inibitoria, che può essere accordata per gravi motivi. 56 Si tratta, infatti, di un ritorno al passato, anche se in precedenza, stante l’assenza del rimedio del reclamo, introdotto dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, era ovviamente ritenuta ricorribile per cassazione l’ordinanza presidenziale: v., ex multis, Cass. 26 maggio 2004, n. 10141, in Foro it., 2005, I, 782. 57 V. Cass., sez. un., n. 25045/2016, cit., seguita da Cass. n. 13124/2017, cit. 58 Su tutte, quella del giudice competente: per l’opposizione alle sanzioni Consob, la Corte d’appello di Roma; per quella alle sanzioni della Banca d’Italia, invece, la Corte d’appello nel cui distretto vi è la residenza o la sede (a seconda che si tratti, o meno, di persona fisica) del soggetto destinatario dalla misura. 59 Che però, a dispetto del nome, nella fase introduttiva segue lo schema della citazione ex artt. 163 e ss. c.p.c. 53

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La tutela sommaria quale strumento di semplificazione del sistema giurisdizionale(?)

Fissata l’udienza pubblica per la discussione, nel termine di dieci giorni ad essa precedenti l’Autorità60 è tenuta a depositare documenti e memorie. All’udienza, il giudice dispone, anche d’ufficio, i mezzi di prova che ritiene necessari, nonché l’audizione personale delle parti che ne abbiano fatto richiesta. Successivamente le parti procedono alla discussione orale della causa. Con la sentenza la corte d’appello può rigettare l’opposizione o accoglierla, annullando in tutto o in parte il provvedimento o riducendo ammontare e/o durata della sanzione. Giova premettere che il procedimento di opposizione – che ha natura impugnatoria61 e per oggetto l’intera relazione soggettiva tra l’amministrazione e il destinatario della misura62 – ha risentito (e risente tuttora) fortemente degli effetti prodotti da due fenomeni: da un lato, i mutamenti verificatisi in punto di giurisdizione, a causa degli interventi del legislatore e della Corte costituzionale, due pronunce della quale hanno comportato il ritorno della potestas iudicandi in capo al g.o., dopo la scelta del primo di affidarla al g.a.63; dall’altro, l’adeguamento (coatto) da parte del legislatore alle “direttive” della Corte EDU, che ha creato una sorta di spartiacque tra la versione del procedimento pre- e quella postd.lgs. 12 maggio 2015, n. 72. Sul primo fenomeno64, in dottrina65 si è affermato che lo stesso ha (ri)creato una rilevante disarmonia nel sistema, non solo del tutto ingiustificata (e tale da far vacillare il principio del giudice naturale ex art. 25 Cost.66), ma anche, e soprattutto, foriera di una minore tutela giurisdizionale delle parti, non solo perché affidata ad un procedimento eccessivamente semplificato, ma anche in quanto priva, a differenza della tutela offerta dal g.a., di un secondo grado di merito67. Il secondo, invece, ha, almeno in parte, prodotto una rivisitazione delle forme del procedimento, provocando un aumento del grado di tutela del sanzionato, colpito da misure che nella sostanza hanno carattere penale68.

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In capo alla quale incombe l’onus probandi dei fatti costituitivi della sanzione: lo ricorda C. Cavallini, Il procedimento di opposizione alle sanzioni della Consob e della Banca d’Italia, in Banca, borsa ecc., 2003, I, 275. 61 Id., ibid., 270. 62 R. Bellé, Il processo di opposizione alla sanzione amministrativa, in Riv. dir. proc., 2002, 913. Conf., in dottrina, A. Genovese, Il controllo del giudice sulla regolazione finanziaria, in Banca, borsa ecc., 2017, I, 55; in giurisprudenza, v. Cass., sez. un., 19 aprile 1990 n. 3271, in Foro it., 1990, I, 1510. 63 Della vicenda, che peraltro potrebbe subire ulteriori colpi di scena, si può qui, per esigenze di spazio, solo fare cenno: la ricostruiscono funditus E. Bindi-A. Pisaneschi, Sanzioni, cit., 137 e ss. 64 Spiegato da Ead., ibid., 138, in ragione della posizione di superiorità delle autorità, delle funzioni altamente tecniche da esse svolte e della difficoltà di ricostruire diversamente i fatti, nonché di smentire le valutazioni tecniche fatte dalle autorità: tutti elementi che facevano ritenere sufficiente un giudizio di tipo impugnatorio e fortemente deformalizzato, inadatto ad un percorso di ricostruzione dei fatti e funzionale, invece, ad un sindacato sulle linee esterne della decisione. 65 M. Condemi, in F. Capriglione (diretto da), Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, III, Milano-Padova, 2018, sub art. 145, 2702. 66 Cfr. Id., ibid., 2704. 67 E. Bindi-A. Pisaneschi, Sanzioni, cit., 139, acutamente osservano che se è vero che, in assenza della previsione di un doppio grado di giudizio, non può invocarsi una diretta violazione della Carta fondamentale, poiché il principio non è costituzionalizzato, nondimeno la differenza di trattamento deve essere razionale e ragionevole. 68 Così, Corte eur. diritti dell’uomo 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. Italia, in Foro it., 2015, IV, 129, cui hanno aderito il giudice delle leggi italiano (Corte cost. 21 marzo 2019, n. 63, in Foro it., 2019, I, 2674, ove, parlando della sanzione prevista dall’art. 187-

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Per comprendere come ciò sia accaduto va però riscostruita, seppur sommariamente, l’evoluzione normativa dell’istituto. Deve premettersi che già prima delle modifiche introdotte con il d.lgs. 12 maggio 2015, n. 72 si era soliti parlare di “autonomia” del procedimento, data l’impossibilità di ricondurlo ad uno schema predefinito dal legislatore69. Autonomia a parte, però, se la dottrina continua(va) a chiedersi se le vecchie disposizioni normative garantissero un plus70 o un minus71 in punto di tutela rispetto a quelle degli artt. 737 e ss. c.p.c., la giurisprudenza (non nazionale72, bensì) europea73, ritenendo non praticabile un’interpretazione “convenzionalmente conforme”74, ha fugato ogni dubbio decretando la non conformità della disciplina alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora in avanti: Cedu). La Corte di Strasburgo ha, dopotutto, avuto gioco facile nel condannare l’Italia per mancato rispetto delle garanzie convenzionali, a causa della mancata celebrazione di un’udienza pubblica75.

bis Tuf, si afferma che la stessa ha «natura punitiva» e soggiace, pertanto, alle garanzie presenti in materia penale, ivi compresa la retroattività della lex mitior) e la Corte UE (Corte giust. 20 marzo 2018, cause C-596 e 597/16, Di Puma e altri c. Consob, in Cass. pen., 2018, 2163); di contrario avviso, invece, Cass. 2 marzo 2016, n. 4114, in Foro it., Rep. 2016, voce Intermediazione e consulenza finanziaria, n. 112. In letteratura, propendono per la natura penale del giudizio M. Condemi, in F. Capriglione (diretto da), Commentario, cit., sub art. 145, 2698 ed E. Bindi-A. Pisaneschi, Sanzioni, cit., 150. 69 Cfr. G. Fidone, Il giudizio di opposizione alle sanzioni della Consob e della Banca d’Italia ex art. 195 del d.lgs. 58/1998, in Giur. comm., 2010, II, 1058; C. Cavallini, Il procedimento, cit., 266, parlava di «modello procedimentale autonomo, i cui caratteri di specialità devono essere pertanto ricostruiti dall’interprete»; contra, C. Galantino, in M. Porzio-F. Belli-G. Losappio-M. Rispoli Farina-V. Santoro (a cura di), Testo unico bancario: commentario, Milano, 2010, sub art. 145, 1295, che riteneva vi fosse un’«opzione a favore del rito camerale». Più cauta la giurisprudenza: v. Cass. 25 settembre 2003, n. 14245, in Foro it., Rep. 2003, voce Banca, credito e risparmio, n. 143, per la quale il modello era «non incompatibile con il rito camerale». 70 Per C. Cavallini, Il procedimento, cit., 277, era la legge che, pur inquadrando tale processo nello schema della tutela camerale, si preoccupava di stabilire un’articolazione minima del contraddittorio e pur sempre maggiore del vuoto di disciplina derivante dall’art. 738 c.p.c. 71 E. Bindi-A. Pisaneschi, Sanzioni, cit., 146 ritengono si trattasse di un modello assolutamente deformalizzato, nel quale finanche la presentazione di memorie o documenti era lasciata al potere del giudice, non vi era nessuna previsione di attività istruttoria – neppure come strumento facoltativo da parte del giudice – e la stessa audizione delle parti era giuridicamente costruita come una facoltà del giudice, non come un diritto di difesa: di un modello, quindi, che, pur recuperando le linee base del modello ex art. 737 c.p.c., se ne allontanava, invece, per la mancata previsione di qualunque norma relativa alla prova (mentre l’art. 737 c.p.c. prevede, comunque, il principio della possibile istruzione probatoria, sia pure deformalizzata, attraverso la espressione «assunte informazioni») nonché per la mancata previsione di revocabilità della decisione. 72 V. Cass. 23 marzo 2004, n. 5743, in Foro it., Rep. 2204, voce cit., n. 189, che ha ritenuto manifestamente infondata la q.l.c. sollevata in ordine al procedimento, rispetto all’art. (3 e) 24 Cost., poiché, da un lato, «il rito camerale è idoneo ad assicurare tutela ai diritti soggettivi, specie quando, come nel caso dell’attività bancaria, la controversia sia caratterizzata da contenuti tecnici e da fonti di conoscenza prevalentemente documentali; dall’altro, la scelta del decreto motivato, in deroga alla normativa comune sui procedimenti di applicazione delle sanzioni amministrative, deve ritenersi non irragionevole, in considerazione del carattere di specialità della disciplina bancaria e creditizia e della continuità con la precedente regolamentazione della materia». Sulla stessa scia, in dottrina, F. Di Girolamo, in G.F. Campobasso (diretto da) Commentario al Tuf, Torino, 2002, sub art. 195, 1527, dell’idea che il procedimento in camera di consiglio, oltre alla celerità del giudizio, garantisse appieno, al contempo, il contraddittorio e il diritto di difesa, come in un ordinario giudizio a cognizione piena. 73 Corte eur. diritti dell’uomo 4 marzo 2014, cit. 74 Per C. Cavallini, Il procedimento, cit., 268, la relazione intersoggettiva tra società sanzionata ed autorità sanzionante impone(va) all’interprete di ricostruire il procedimento sui canoni fondamentali del processo civile contenzioso: principio della domanda ed oneri di allegazione fattuale, oneri probatori delle parti e poteri officiosi (non solo probatori) del giudice. Il tutto nell’attuazione piena del contraddittorio tra le parti. 75 Cfr. Corte eur. diritti dell’uomo 4 marzo 2014, cit., in cui si afferma, in sostanza, che se, in certi casi, si può tollerare la non applicazione

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Nonostante questo, si è diffusa tra le Corti d’appello italiane la convinzione che per dribblare il problema sarebbe bastato (letteralmente) aprire le porte della camera di consiglio, da ciò tuttavia evincendosi che non era stata colta appieno la sostanza della vicenda, che risiede non tanto, o non solo, nella questione dell’esistenza di una pubblica udienza (che evidentemente manca nel giudizio camerale), quanto nel complessivo assetto del sistema difensivo che caratterizzava il procedimento in esame, fortemente sbilanciato a favore dell’accusa: pubblica udienza, allora, avrebbe dovuto significare presenza di momenti di oralità, di contraddittorio paritario, di pari conoscenza degli atti processuali76. Il rito post-d.lgs. 12 maggio 2015, n. 72, pur presentando varianti rispetto al precedente, si innesta su di esso e di esso mantiene la natura ibrida, con tanti elementi ancora tipici della giurisdizione sommaria, ma con dei momenti di maggiore formalizzazione processuale. In particolare, sono previsti il diritto della parte ad essere sentita; termini per la realizzazione del contraddittorio scritto; un’udienza, nella quale la Corte d’appello può, nell’ordine, disporre (anche d’ufficio) i mezzi di prova che ritiene necessari, l’audizione personale delle parti che ne abbiano fatto richiesta e, in ultimo, la discussione orale della causa. Proprio quest’ultima scansione dell’udienza tende, però, a far pensare che la stessa non sia dedicata alla sola ammissione dei mezzi di prova, poiché in essa vengono anche sentite le parti che ne abbiano fatto richiesta, e teoricamente può anche discutersi del merito della causa. Non vi è, dunque, il tradizionale sviluppo del processo in fase introduttiva, di trattazione-istruttoria e decisoria, poiché queste ultime due sono sostanzialmente riunite, e, in ogni caso, la scelta di separarle spetta alla (insindacabile) valutazione del giudice77: tale “iperconcentrazione”78 del procedimento crea inevitabilmente un eccessivo livello di sommarietà e, quindi, criticità in punto di tutela delle parti; tant’è che finisce per suonare beffarda l’assenza di preclusioni in punto di prova79. Non è un caso, allora, che l’istruttoria abbia sempre mostrato di essere una delle note maggiormente dolenti del procedimento80; ancora oggi vi è chi reputa che l’istruzione probatoria sia regolata come un pieno potere del giudice, e non come un diritto delle parti:

dell’art. 6 Cedu nel procedimento amministrativo, ancorché finalizzato all’irrogazione di sanzioni, questo è possibile purché nella fase giurisdizionale di opposizione siano invece rispettate tutte le garanzie dell’equo processo, tra le quali vi è sicuramente l’udienza in forma pubblica. 76 E. Bindi-A. Pisaneschi, Sanzioni, cit., 142 e ss. 77 Id., ibid., 145. E v. anche E. Padovano, La rimessione in termini e la tutela del giusto processo, in Giur. it., 2019, 336, che ritiene l’udienza pubblica «tendenzialmente unica». 78 Il principio di concentrazione (tradizionalmente menzionato a braccetto con quelli di oralità e immediatezza) richiede che sia il più breve possibile l’arco temporale entro cui svolgere le diverse attività idonee a rendere la causa matura per la decisione: cfr. G. Chiovenda, Saggi di diritto processuale civile, II, Roma, 1930, 2 e ss. 79 Sostenuta da C. Cavallini, Il procedimento, cit., 280. 80 Già Id., ibid., 279, riguardo al vecchio rito, riteneva che l’interprete dovesse integrare la disciplina dell’istruttoria, in modo tale che ne venisse garantita una piena.

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dato il tenore delle disposizioni normative è il giudice che stabilisce, discrezionalmente, la necessità o meno della stessa81. Anzi, la caratteristica principale del procedimento è proprio quella di essere stato pensato per non dare ingresso allo svolgimento di alcuna attività istruttoria. L’idea di fondo, infatti, sarebbe di lasciare affidato l’accertamento dei fatti esclusivamente alla valutazione di prove precostituite prima del processo e formate unilateralmente dall’Authority82. Tant’è che si assiste impotenti ad una prassi in cui i giudici, nonostante siano forniti – come imposto dalla stessa giurisprudenza di Strasburgo83 – dei più ampi poteri cognitivi84, spesso si appiattiscono sulle decisioni amministrative85: la casistica dimostra che sono molto rari i giudizi che si concludono con un accoglimento in cui la valutazione giudiziale si sostituisce a quella dell’autorità; e gli stessi casi nei quali viene disposta una c.t.u. sono sporadici86. Ciò, ovviamente, fa sì che il ricorso per cassazione, comunque garantito ai sensi dell’art. 111, comma 7 Cost. (poiché la sentenza della Corte d’appello è idonea al giudicato87), in quanto innescante un controllo di pura legittimità, non risulti un mezzo idoneo a tutelare adeguatamente la posizione del sanzionato88.

5. (segue) d) il procedimento di protezione internazionale (art. 35-bis d.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25).

Tra quelli finora analizzati, il procedimento c.d. di protezione internazionale è quello che certamente presenta maggiori criticità. L’art. 35-bis d.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, per quanto qui di interesse, dispone che, ove non diversamente previsto dalla medesima norma, le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei provvedimenti amministrativi di mancato riconoscimento al cittadino extra UE, che ne faccia richiesta, dello status internazionale di rifugiato o, in subordine, di

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E. Bindi-A. Pisaneschi, Sanzioni, cit., 145. Ead., ibid., 145. 83 V. Corte eur. diritti dell’uomo 4 marzo 2014, cit. 84 Così, tra i tanti, A. Genovese, Il controllo, cit., 57, per la quale il sindacato del giudice (destinato ad estendersi all’intero rapporto sanzionatorio) abbraccia la stessa validità sostanziale del provvedimento impugnato, attraverso un autonomo esame dei presupposti di fatto e di diritto dell’illecito contestato. Con l’ovvia limitazione, tuttavia, data dal dovuto rispetto della causa petendi del ricorso, coincidente con il/i motivo/i d’impugnazione: v. C. Cavallini, Il procedimento, cit., 274. 85 Cfr. M. Condemi, in F. Capriglione (diretto da), Commentario, cit., 2702, che giudica l’atteggiamento inammissibile, quanto incomprensibile. 86 V. E. Bindi-A. Pisaneschi, Sanzioni, cit., 139, i quali provano a spiegare il fenomeno muovendo dall’assunto che nell’analisi della sanzione sia molto difficile separare la situazione giuridica soggettiva di diritto rispetto al sindacato sulla discrezionalità. In molti casi il fatto presupposto (cioè la violazione di una norma speciale o di un parametro generale come la “sana e prudente gestione”) richiede valutazioni tecniche complesse, rispetto alle quali anche il g.o. «mantiene generalmente un atteggiamento di “deferenza”». E ciò è particolarmente vero per le sanzioni irrogate dalla Consob e dalla Banca d’Italia, autorità di elevata competenza e professionalità. 87 Cass. n. 14245/2003, cit. 88 Cfr. M. Condemi, in F. Capriglione (diretto da), Commentario, cit., 2702. 82

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La tutela sommaria quale strumento di semplificazione del sistema giurisdizionale(?)

protezione sussidiaria o dello status interno di «protezione speciale»89, sono regolate dalle disposizioni di cui agli articoli 737 e ss. c.p.c. Il ricorso è notificato, a cura della cancelleria, al Ministero dell’interno e trasmesso al p.m., chiamato a rilevare l’eventuale sussistenza di cause ostative al riconoscimento di uno degli status. La Commissione che ha adottato l’atto impugnato deve rendere disponibili la copia della domanda di protezione presentata, della videoregistrazione del colloquio e del relativo verbale di trascrizione nonché dell’intera documentazione comunque acquisita, mentre il ricorrente e il Ministero possono depositare una nota difensiva. Il giudice, che si avvale anche delle informazioni sulla situazione socio-politico-economica del Paese di provenienza (cc.dd. c.o.i), fissa un’udienza per la comparizione delle parti solo in una serie limitata di casi90 e decide, infine, con decreto, non reclamabile né appellabile, ma ricorribile per cassazione. Sul procedimento in questione, ritoccato recentemente prima dal d.l. 17 febbraio 2017, n. 13 (c.d. “Decreto Minniti-Orlando”)91, conv. con mod. in l. 13 aprile 2017, n. 46 e poi tramite d.l. 4 ottobre 2018, n. 113 (c.d. “Decreto sicurezza”), conv. con mod. in l. 1 dicembre 2018, n. 132, si è in questi ultimi tempi scritto molto, e quasi sempre in senso fortemente critico, poiché, pur avendo ad oggetto situazioni riconducibili alla categoria dei diritti umani fondamentali e rispetto alle quali la p.a. non gode di alcun potere discrezionale92, esso non garantisce appieno lo straniero richiedente tutela, per il quale – giova ricordarlo – quello ad un ricorso effettivo è di fatto l’unico diritto esercitabile, all’esito del quale, forse, si apre la possibilità di esercitare gli altri diritti connessi al suo status93.

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Figura che ha, sostituito, abrogandolo, l’istituto della protezione umanitaria: v. A. C. Forte, Il diritto dell’immigrazione, Molfetta, 2018, 89 e ss., dell’opinione che ciò abbia determinato una frammentazione della materia che incide tanto sul diritto di asilo ex art. 10, comma 3 Cost., quanto sull’attuazione degli obblighi internazionali assunti dall’Italia, poiché scardina un sistema considerato (anche dalla giurisprudenza – cfr. Cass. 26 giugno 2012, n. 10686, in Foro it., Rep. 2012, voce Straniero, n. 126) completo sia a livello sostanziale, che processuale. In realtà, dopo il d.l. 4 ottobre 2018, n. 113, conv. con mod. in l. 1 dicembre 2018, n. 132, convivono, insieme alla «protezione speciale», altre (poche) ipotesi in cui il permesso di soggiorno viene comunque garantito; tuttavia il legislatore ha scelto di assoggettare queste ultime, come ad es. quella per «cure mediche» di particolare gravità ex art. 19, comma 2, lett. d-bis d.lgs 25 luglio 1998, n. 286, al procedimento sommario di cognizione ed ha appositamente introdotto un nuovo art. 19-ter nel d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150, con ricadute pratiche ed applicative tutt’altro che prevedibili: cfr. F. G. del Rosso-L. Pisoni, Garanzie e principio di effettività del processo nella tutela del richiedente asilo, in www.questionegiustizia.it, 6 marzo 2019, § 2.2 e C. Giammarco-A. Natalini, in M. Acierno (diretta da), Rassegna delle recenti pronunce della Corte di Cassazione in materia di diritto di asilo e protezione internazionale dello straniero: questioni sostanziali e processuali – Rel. 20 novembre 2018, n. 108, in www.cortedicassazione.it, 12. Ad ogni modo, nel prosieguo si terrà conto solamente del rito camerale che regola i casi di mancato riconoscimento della «protezione speciale» di cui all’art. 32, comma 3 d.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25. 90 Elencati ai commi 10 e 11 dell’art. 35-bis d.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25. 91 Che ha, tra le altre cose, istituito le Sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e di libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea. Sul punto, v. F. G. del Rosso, L’istituzione delle sezioni specializzate in materia di immigrazione e il nuovo rito per il riconoscimento della protezione internazionale, in Giusto processo civ., 2017, 939 e ss., il quale – v. p. 946 – ritiene che il legislatore abbia optato per la collegialità del giudice di primo grado, in luogo di un’impugnazione di merito. 92 Cfr. Cass., ss.uu., 9 settembre 2009, n. 19393, in Foro it., Rep. 2009, voce Straniero, n. 159; conf., in dottrina, A. Proto Pisani, In tema di protezione internazionale dello straniero, in Foro it., 2010, I, 3043. 93 Così C. Favilli, L’Unione che protegge e l’Unione che respinge. Progressi, contraddizioni e paradossi del sistema europeo di asilo, in Aa.Vv., L’ospite straniero. La protezione internazionale nel sistema multilivello di tutela dei diritti fondamentali, in Questione giustizia, 2018, fasc. 2, 33.

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Per essere conforme alla Costituzione, il sistema bifasico dovrebbe sempre svilupparsi in modo tale che la fase giurisdizionale, non avente natura impugnatoria del provvedimento amministrativo94, veda il giudice dotato, in concreto, di una devoluzione piena ed incondizionata del diritto alla protezione95: ciò, invece, per una serie di ragioni non accade. Il problema non sta tanto nella scelta del rito camerale in sé (che, peraltro, non è una novità), quanto nel fatto che, mentre nei moduli adottati96 precedentemente era sempre prevista un’udienza di discussione e la possibilità di interporre appello, ora il rito è a contraddittorio tendenzialmente scritto (giacché l’udienza è solo eventuale) e privo di un secondo grado di merito97. Nello svolgimento del procedimento, le maggiori criticità si coagulano attorno alla prova dei presupposti per il riconoscimento delle forme di protezione, perché sono del tutto eccezionali i casi in cui lo straniero, nonostante sia libero da preclusioni processuali98, è effettivamente nella possibilità di fornire, tramite documenti e/o testimoni, la prova dei fatti costitutivi del suo status99. Vero è che tale difficoltà, la quale contribuisce a provocare una condizione di squilibrio tra le parti processuali100, è – almeno parzialmente – compensata dal dovere, posto in capo al giudice, di cooperare con il migrante nell’acquisizione e nella valutazione della prova (art. 3, comma 1 d.lgs. 19 novembre 2007, n. 251)101; tuttavia, tale dovere, che va in ogni caso esercitato iuxta alligata migrantis102, dovrebbe essere adempiuto mediante la fissazione di un’udienza dedicata all’ascolto diretto del ricorrente. Ma è la stessa celebrazione dell’udienza ad essere divenuta, da regola, eccezione. La dottrina ha da tempo evidenziato i pericoli che l’introduzione di un simile meccanismo avrebbe creato103, sottolineando come l’art. 35-bis d.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25 si sarebbe posto in contrasto con l’art. 6 Cedu.

94

V., si vis, G. Carmellino, La protezione internazionale tra princìpi di diritto processuale civile e applicazione pratica, in G. Carmellino-F. De Ritis-F. Barbieri, Criticità di alcune regole processuali nei procedimenti di protezione internazionale, su www.judicium.it, 2019, fasc. 1, 58. In giur., v. Cass. 3 settembre 2014, n. 18632, in Foro it., Rep. 2014, voce Straniero, n. 85. Per C. Favilli, L’Unione, cit., 36, è ontologicamente errato qualificare un procedimento giurisdizionale come secondo grado di una procedura amministrativa. 95 In questo senso, A. Proto Pisani, In tema di protezione, cit., 3044. 96 Sia in quello effettivamente camerale di cui all’art. 1-ter d.l. 30 dicembre 1989, n. 416, conv. con mod. in l. 2 febbraio 1990, n. 39, sia in quello, ad esso subentrato, regolato dall’art. 19, d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150 nelle forme del procedimento sommario di cognizione. 97 Così, F. G. del Rosso, L’istituzione, cit., 949. 98 Opportunamente, secondo F. G. del Rosso, L’istituzione, cit., 956, in quanto così è valorizzata la natura solitamente “fluttuante” delle situazioni geo-politiche degli Stati di provenienza. 99 V. A. Proto Pisani, In tema di protezione, cit., 3044; conf. A. D. De Santis, Le novità in tema di tutela giurisdizionale dei diritti dei migranti. Un’analisi critica, in Riv. dir. proc., 2017, 1228. 100 Indubitabile, secondo M. Flamini, Il ruolo del giudice di fronte alle peculiarità del giudizio di protezione internazionale, in Aa.Vv., L’ospite straniero, cit., 176. 101 Cooperazione che, se ha ad oggetto principalmente il reperimento di (più attendibili e aggiornate) informazioni sul Paese di origine (o transito), si fa apprezzare anche relativamente alle prove precostituite: così, Cass. 19 aprile 2019, n. 11097, in Foro it., Rep. 2019, voce Straniero, n. 58. Sulle informazioni in parola, v., si vis, F. De Ritis, Brevi considerazioni sul difficile rapporto tra il giudice e le c.o.i. (country of origin information), in G. Carmellino-F. De Ritis-F. Barbieri, Criticità, cit., 61 e ss. 102 Ex multis, v. A. D. De Santis, Le novità, cit., 1230; in giur., da ultimo, Cass. 15 maggio 2019, n. 13088, in www.dejure.it. 103 Ben riassunti da N. Zorzella, Il ruolo dell’avvocato nel processo di protezione internazionale, in Aa.Vv., L’ospite straniero, cit., passim, la quale ritiene che solo l’audizione diretta può far emergere pienamente tutte le individualità e specialità del caso, come dimostrato

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La tutela sommaria quale strumento di semplificazione del sistema giurisdizionale(?)

La S.C. di Cassazione, dal canto suo, dichiarando inammissibile e manifestamente infondata la q.l.c. dell’art. 35-bis, cit., ha sancito la piena conformità del rito alla Carta fondamentale, precisando unicamente che, ex comma 11 della norma, il giudice è tenuto a fissare l’udienza soltanto laddove non sia effettuata e/o messa a disposizione la videoregistrazione del colloquio da parte della C.t.; anche se questo non significa che in essa si procederà anche all’ascolto del richiedente104, sacrificabile laddove il ricorso sia manifestamente infondato105. Altro punto dolente del procedimento, che si chiude con una decisione che il giudice assume senza sottostare al principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c.106, è costituto dall’eliminazione del grado di appello. Tale scelta è stata aspramente criticata, a motivo del fatto che se è vero che il doppio grado non è costituzionalizzato, ciò non esime il legislatore dal compiere scelte ragionevoli ai sensi dell’art. 3, comma 2 Cost.; ed è fortemente dubbio che la scelta fatta possa dirsi razionale, se solo si pensa che nella stessa materia dell’immigrazione continuano ad esistere casi107 in cui l’appello è previsto108; né sembra persuasivo l’argomento comparatistico portato dalla Relazione d’accompagnamento al d.l. 17 febbraio 2017, n. 13, giacché la razionalità di cui all’art. 3, comma 2 Cost. va misurata solo sull’ordinamento interno. L’eliminazione dell’appello ha inoltre – ma era inevitabile – provocato un incremento esponenziale dei ricorsi per cassazione in materia, aumentati del 512,4%109; ciononostante, la stessa S.C. ha dato il proprio benestare alla modifica, affermando che non solo il legislatore è libero di sopprimere l’impugnazione al fine di soddisfare specifiche esigenze, e in particolare quella della celerità, decisiva ai fini del riconoscimento della protezione internazionale, ma va anche considerato che il ricorso in esame è preceduto da una fase amministrativa, nel cui ambito l’istante può illustrare pienamente le proprie ragioni attraverso il colloquio, talché la soppressione dell’appello si giustifica anche perché il giudice

dai non infrequenti casi in cui, davanti al giudice, sono venute alla luce situazioni gravissime (ad es., stato di schiavitù) che non erano state evidenziate né nella fase amministrativa, né nel ricorso del difensore. Idem per F. Barbieri, Le proposte degli Osservatori sulla giustizia civile in materia di protezione internazionale: le linee guida per il ricorso ex art. 35 d.lgs. 25/2008, in G. Carmellino-F. De Ritis-F. Barbieri, Criticità, cit., 77. 104 L’indirizzo è stato inaugurato da Cass. 5 luglio 2018, n. 17717, in Foro it., 2019, I, 201; conf., da ultimo, Cass 26 giugno 2019, n. 17076, in id., Rep. 2019, voce Straniero, n. 120. 105 Le pronunce menzionate alla nota precedente, infatti, fanno salvo quanto stabilito da Corte giust. 26 luglio 2017, causa C-348/16, Moussa Sacko c. Commiss. territ. riconoscimento protez. internaz. Milano, in Foro it., Rep. 2017, voce Unione europea e Consiglio d’Europa, n. 1094. 106 Nel senso che il giudice, anche quando sia avanzata domanda per una protezione di grado inferiore, è comunque tenuto a valutare la sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della protezione partendo dalla misura che integra la condizione di maggior protezione: così, M. Flamini, Il ruolo del giudice, cit., 179, 107 V. gli artt. 16-19-bis d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150. 108 Cfr. A. Carratta, Le più recenti riforme del processo civile, Torino, 2017, 118. 109 Cfr. G. Mammone, Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2018, in www.cortedicassazione.it, 16. Tale circostanza ha impattato enormemente sul funzionamento della prima sezione civile, competente per materia: sia concesso il rinvio a F. De Ritis, Riflessioni sparse su jus litigatoris e jus constitutionis, in Giusto processo civ., 2019, 285, nota n. 87.

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è chiamato ad intervenire in un contesto in cui è stato già acquisito l’elemento istruttorio centrale, i.e. l’audizione110. Ulteriore critica mossa all’impianto procedimentale risiede nel fatto che un’impugnazione di sola legittimità è destinata a limitare fortemente le difese del richiedente, vertendo il giudizio sul suo status principalmente (se non esclusivamente) su elementi di fatto, e non di diritto. A ciò vanno aggiunti i problemi legati alla possibile revoca del patrocinio a spese dello Stato, laddove il ricorso sia inammissibile o manifestamente infondato111, e quelli connessi all’inidoneità del ricorso a sospendere di per sé l’efficacia esecutiva della decisione amministrativa in una ricca serie di casi, peraltro ampliati dal d.l. n. 113/2018, cit.: scelta, quest’ultima, particolarmente infelice e di dubbia costituzionalità, data la natura para-penale del provvedimento di rifiuto della protezione, che incide profondamente sulla libertà personale112. Di qui i fortissimi dubbi che ad una netta diminuzione delle garanzie per il migrante corrisponderà l’auspicata accelerazione dei relativi procedimenti.

6. La sommarietà come deformalizzazione

dell’interpretazione delle regole processuali: la problematica interazione tra tutela sommaria e concezione sostanziale degli errores in procedendo. Giunti a questo punto, si sarebbe tentati dal porre immediatamente a confronto i quattro procedimenti descritti, per verificare la ragionevolezza delle soluzioni adottate dal legislatore e dalla giurisprudenza. Tuttavia, conviene lasciar decantare gli elementi fin qui raccolti ed introdurre nel discorso le variabili legate alle altre due strade attraverso le quali può prodursi sommarietà, vale a dire la deformalizzazione dell’interpretazione delle regole processuali, dovuta alla concezione degli errores in procedendo in senso sostanziale, e la deformalizzazione tanto delle regole processuali, quanto del risultato (giudicato): ciò consentirà, passando da un “primo piano” ad un “grandangolo” sul fenomeno-tutela sommaria, di tirare delle conclusioni meno incomplete. Da qualche tempo a questa parte è in forte crescita un atteggiamento favorevole ad un’interpretazione antiformalistica delle regole processuali, volta a valorizzare il carattere strumentale delle stesse (e, perciò, anche al principio di conservazione degli effetti giu-

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Così Cass. 5 novembre 2018, n. 28119, in www.dejure.it. Sul punto, v. A. D. De Santis, Le novità, cit., 1234, fortemente critico sulla scelta. 112 In tal senso, cfr. A. Proto Pisani, In tema di protezione, cit., 3044 e F. G. del Rosso, L’istituzione, cit., 958. 111

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La tutela sommaria quale strumento di semplificazione del sistema giurisdizionale(?)

ridici degli atti), ed alimentata dai canoni di effettività, funzionalità e celerità dei modelli processuali, oltre che dai princìpi europeistici di proporzionalità e ragionevolezza113. Oltre alla giurisprudenza, anche la letteratura sembra aver assunto la tendenza a porsi in questo solco114, rinvenendo un fondamento positivo della tesi in esame nell’ipotesi di inammissibilità del ricorso per cassazione, prevista dall’art. 360-bis, n. 2 c.p.c., per manifesta infondatezza delle censure relative alla violazione dei princìpi regolatori del giusto processo: corollario di tale impostazione diventa la censurabilità (almeno tendenzialmente) soltanto dei vizi del procedimento idonei a provocare una lesione delle regole cardine del giusto processo (in particolare, del contraddittorio in senso forte e del diritto di difesa), in assenza della quale la decisione avrebbe assunto una diversa piega. In definitiva, in forza dell’art. 360-bis, n. 2 c.p.c., mediante il ricorso per cassazione non sarebbe più possibile denunciare qualsivoglia nullità, ma – in linea di massima – soltanto la violazione del c.d. ordine pubblico processuale, che farebbe sorgere un concreto interesse ad impugnare115. La giurisprudenza maggioritaria mostra di condividere una simile lettura delle forme processuali, avendo statuito che, affinché un error in procedendo rilevi, c’è bisogno che esso abbia carattere decisivo e tale, quindi, da incidere sulla direzione del provvedimento116. Ai fini dell’indagine che qui si sta svolgendo, tale atteggiamento non può essere trascurato, poiché i magistrati, in particolar modo quelli della S.C., hanno applicato il suesposto principio anche nell’ambito dei procedimenti sommari. Ma, a questo punto, viene spontaneo chiedersi se ciò sia ammissibile: si potrebbe, infatti, legittimamente nutrire il dubbio che il legislatore, quel poco che ha regolamentato nei procedimenti sommari, lo abbia delineato considerandolo, di fatto, il minimum di garanzie procedimentali da assicurare sempre e comunque, quindi sicuramente riconducibili al c.d. ordine pubblico processuale o – il che è lo stesso – al «giusto processo» di cui all’art. 360-bis, n. 2 c.p.c., così che ogni violazione delle relative regole provocherebbe, al soggetto che la subisca, un danno in re ipsa. In dottrina, i pochi autori che hanno espressamente riscontrato un legame tra la svalutazione delle forme – “in sé” della tutela sommaria – e quanto desumibile dagli artt. 360, n.

113

Cfr. L. Mancini, Le nullità degli atti processuali, in C. Di Iasi-M. Acierno (diretta da), P. D’Ovidio-R. Giordano (coordinata da), Rassegna della giurisprudenza di legittimità. Gli orientamenti delle Sezioni Civili, III, Roma, 2018, 735 e ss., dell’opinione che i giudici sarebbero sempre più consapevoli del fatto che il combinato disposto degli artt. 6, Cedu e 47, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea impone di valutare le norme processuali quali strumenti per garantire la giustizia della decisione e, quindi, una statuizione sul merito piuttosto che esiti abortivi del processo. In giur., v. Cass. 27 aprile 2018, n. 10266, in www.dejure.it. 114 Pare collocarsi in tale solco, tra le altre, la posizione di N. Picardi, Manuale del processo civile, Milano, 2013, 457. 115 Seppur con sfumature diverse, cfr. G. Costantino, Il nuovo processo di cassazione, in Foro it., 2009, V, 310 e ss.; C. Consolo, Una buona «novella» al c.p.c.: la riforma del 2009 (con i suoi artt. 360-bis e 614-bis) va ben al di là della sola dimensione processuale, in Corr. giur., 2009, 740. 116 Cass. 26 settembre 2017, n. 22341, in Foro it., 2018, I, 2483; tra le pronunce di merito conf., v. la recente App. Firenze 9 ottobre 2018, n. 2329, in www.dejure.it; non mancano, tuttavia, pronunce di segno opposto che, a fronte della violazione di norme procedimentali, ritengono integrata ex se la violazione del contraddittorio e del diritto di difesa: così Cass. 19 luglio 2017, n. 17847, in Foro it., Rep. 2017, voce Procedimento civile, n. 208; Cass. 2 dicembre 2016, n. 24636, id., 2017, I, 592; Cass. 8 ottobre 2015, n. 20180, id., 2016, I, 2208.

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4 e 360-bis, n. 2 c.p.c., hanno sì ritenuto accettabile che un qualche sacrificio sia imposto ai privati sul modo del procedere, ma non che un diritto venga modificato (soprattutto se in modo definitivo) all’esito di una cognizione inficiata da errori procedimentali particolarmente gravi, come quelli che provocano limitazioni al contraddittorio e/o ai poteri probatori delle parti117. La giurisprudenza, dal canto suo, non ha invece mostrato un atteggiamento univoco. E ciò è particolarmente rilevante, poiché se anche al dubbio poc’anzi sollevato si volesse dare risposta negativa (il che non è affatto scontato), bisognerebbe comunque pretendere che, almeno, i giudici applichino il principio della necessità della prova del danno in modo coerente e ragionevole. Invece, proprio da un’analisi della giurisprudenza formatasi recentemente sul procedimento di protezione internazionale, si evince che ciò non sempre accade. Giova ricordare118, da un lato, che la Commissione territoriale che ha adottato il provvedimento impugnato ha sempre l’obbligo di rendere disponibile tutto il materiale e i documenti inerenti al procedimento svoltosi dinanzi alla stessa119; dall’altro, che il giudice deve fissare udienza laddove non sia stata effettuata o non sia disponibile la videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla C.t. medesima: tali prescrizioni appaiono ictu oculi entrambe finalizzate a garantire il diritto al contraddittorio processuale, nonché il diritto alla prova in favore del migrante. Eppure, la Corte di legittimità120 ha sancito l’inammissibilità di ricorsi in cui è stata dedotta l’omessa trasmissione degli atti da parte della C.t. e la conseguente assunzione della decisione da parte del giudice senza il loro previo esame, poiché in essi non erano state specificamente indicate le conseguenze che tale omissione avrebbe provocato in termini di deficit probatorio. Al contrario, in alcuni casi121 in cui la doglianza si appuntava sul fatto che, a fronte dell’indisponibilità della videoregistrazione del colloquio, il giudice non avesse fissato udienza, la S.C. ha stabilito che sul ricorrente non incombe un tale onere, in quanto la mancata videoregistrazione dell’audizione, incidendo su un elemento centrale del procedimento, ha palesi ricadute sul suo diritto di difesa. Si ritiene qui di non poter aderire alla prima delle due soluzioni. Infatti, se è condivisibile la pretesa pretoria del superamento della prova di resistenza sugli errores in proceden-

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Così, in sostanza, M. Fabiani, Le prove, cit., 805; e v. anche R. Tiscini, L’accertamento, cit., § 10, la quale, pur affermando che non ci si debba scandalizzare di fronte al diffondersi di modelli processuali deformalizzati, nei quali recede la griglia dei vincoli imposti al giudice e si diffonde la sua discrezionalità, precisa che la tendenza a svalutare la norma processuale vale non solo nella prospettiva costruttiva di evitare il c.d. “formalismo delle garanzie”, ma anche in quella distruttiva di snaturare il valore delle nullità. 118 V. supra § 4. 119 A. D. De Santis, Le novità, cit., 1229, avverte che non sono previste conseguenze in caso di mancato rispetto di tale obbligo, anche se il giudice potrà esercitare la prerogativa di cui all’art. 213 c.p.c. Ovviamente, l’omissione non deve riguardare la videoregistrazione del colloquio, ricadendosi altrimenti nell’altra fattispecie. 120 Cass. 28 febbraio 2019, n. 6061, in Foro it., Rep. 2019, voce Straniero, n. 37, confermata anche da 10 dicembre 2019, n. 32250, ibid., n. 297. 121 Cfr. Cass. 17 aprile 2019, n. 10786, seguita da 23 maggio 2019, n. 14148 e 26 giugno 2019, n. 17076, tutte ibid., nn. 55, 90 e 120.

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do nell’ambito della tutela ordinaria122, è ragionevole ritenere che nell’ambito della tutela sommaria quanto espressamente previsto dal legislatore a garanzia del contraddittorio e del diritto di difesa (e di quello alla prova, in particolare), goda di una carica valoriale talmente elevata che, laddove disatteso, la parte subisce ex se un danno che deve essere eliminato.

7. La sommarietà come deformalizzazione sia delle regole

processuali sia del risultato (giudicato). L’esempio del rito societario sommario ex art. 19 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5: damnatio memoriae o esperienza utile? Ultima tappa del percorso è rappresentata dal procedimento sommario c.d. societario, introdotto dall’art. 19 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5123 e di estremo interesse in questa sede poiché, nonostante sia allo stato inoperante (in quanto abrogato), ha di fatto rappresentato l’unico modello di procedimento in cui, da un lato, pur essendo calata nella dimensione dichiarativa124 – e pertanto slegata da qualsivoglia esigenza di periculum125 – la cognizione del giudice era sommaria e, dall’altro, il provvedimento conclusivo, (almeno della prima fase) era inidoneo a passare in giudicato (sostanziale)126. Espressamente ispirato al référé provision di origine franco-belga127, l’istituto era deputato ad ospitare le sole liti societarie indicate all’art. 1, comma 1 d.lgs. cit. (escluse quelle in cui fossero fatte valere «azioni di responsabilità»128) ed aventi «ad oggetto il pagamento di una somma di denaro, anche se non liquida129, ovvero la consegna di cosa mobile determinata»130.

122

Anche se, come accennato (v. nota n. 116), non mancano pronunce di segno contrario. Poi ritoccato dal d.lgs. 6 febbraio 2004, n. 37. 124 Così, R. Tiscini, I provvedimenti, cit., 76; contra, F. P. Luiso, Diritto processuale civile, Milano, 2007, IV, 180 e ss. 125 Lo si evince da Trib. Bari 29 giugno 2006, in Giur. merito, 2006, 2449, che ha negato un provvedimento cautelare in corso di causa solo perché ha ritenuto la relativa domanda infondata nel merito. 126 C. L. Perago, Commento all’art. 19, in G. Costantino (a cura di), I procedimenti in materia commerciale. Commento sistematico al D.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 e successive modificazioni e integrazioni, Padova, 2005, 373, al netto della sommarietà della cognizione e della tipicità, caratteri propri anche di altri riti speciali presenti nel nostro ordinamento processuale, lo ha considerato, quindi, uno «strumento nuovo». Per una severa critica sulla sua utilità, v., però, tra gli altri, C. Consolo, Esercizi imminenti sul c.p.c.: metodi asistematici e penombre, in Corr. giur., 2002, 1543. Per R. Tiscini, I provvedimenti, cit., 74, nota n. 14, le voci dissenzienti erano accomunate «da una certa ritrosia ad abbandonare l’idea che la funzione giurisdizionale decisoria possa scindersi dal giudicato». 127 E tuttavia, sotto alcuni aspetti, non poco divergente da esso, come per l’assenza dei caratteri dell’atipicità e dell’urgenza: così, S. Menchini, Il giudizio sommario societario per le controversie societarie, finanziarie e bancarie, in Corr. giur., 2004, 1101; a ciò E. Picaroni, Commento all’art. 19, in Aa. Vv., I procedimenti (D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5), in G. Lo Cascio (a cura di), La riforma del diritto societario, Milano, 2006, 300, ha aggiunto la separatezza tra tutela sommaria e tutela ordinaria, assoluta nel sistema dei référé. 128 Per R. Tiscini, I provvedimenti, cit., 81, ciò significava che il rito in parola era escluso per tutte le azioni di cui agli artt. 2393-2396 c.c. 129 Purché agevolmente liquidabile, essendo altrimenti inevitabile il passaggio alla cognizione piena: cfr. C. L. Perago, Commento, cit., 376. 130 Tale formula normativa ha spinto la letteratura prevalente a ritenere che il petitum (immediato) potesse essere solo condannatorio: v., su tutti, R. Tiscini, I provvedimenti, cit., 84; contra, ma isolato, C. Cecchella, Il référé italiano nella riforma delle società, in Riv. dir. 123

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Le tappe del procedimento, avente natura non necessaria131, erano scandite da una disciplina che, alquanto laconicamente, prevedeva l’introduzione dello stesso mediante ricorso, da depositarsi presso la cancelleria del tribunale competente, in composizione monocratica132. Il giudice designato doveva fissare a non oltre sessanta giorni l’udienza di comparizione con decreto (che, in uno al ricorso, andava notificato al convenuto almeno trenta giorni prima della stessa) ed assegnare il termine per la costituzione del convenuto, da effettuarsi non oltre dieci giorni prima dell’udienza. Tale ultimo termine – considerato non perentorio133 – risultava posto a presidio del contraddittorio, giacché tornava utile tanto al convenuto, potendo egli costituirsi in prossimità dell’udienza e così godere del maggior tempo possibile per organizzare le proprie difese; quanto al ricorrente, in condizione di conoscere le difese avversarie prima dell’udienza e così predisporre in tale sede eventuali repliche, ferma la sua facoltà di chiedere un termine per articolare repliche fuori (e prima) dell’udienza, provocandone lo slittamento134. Quanto a quest’ultima, mentre la tendenza giurisprudenziale era quella di pretendere che il giudizio sommario si esaurisse in un solo appuntamento135, la dottrina si mostrava tollerante verso eventuali rinvii, almeno lì dove, costituitosi il convenuto in udienza, dei differimenti fossero necessari per assicurare il contraddittorio ovvero per soddisfare esigenze istruttorie136; esigenze che erano percepite diversamente: la posizione della letteratura, sostanzialmente convinta che nel procedimento fosse possibile assumere anche prove costituende137, non era, infatti, condivisa dalla giurisprudenza prevalente138.

proc., 2003, 1145. Le posizioni erano, invece, molto più equilibrate in giurisprudenza: per quella restrittiva, v. Trib. Torino 16 gennaio 2006; per quella permissiva, invece, cfr. Trib. Milano 25 marzo 2006, entrambe in www.ilcaso.it. 131 Lo prevedeva testualmente il comma 1 dell’art. 19 d.lgs. cit. 132 Scelta obbligata per E. Picaroni, Commento, cit., 304, nota n. 14, «essendo collegialità e rapidità difficilmente conciliabili». 133 Con la conseguenza che il suo mancato rispetto non avrebbe comunque esposto la parte – relativamente alla fase sommaria – a decadenze o contumacia. Così la dottrina quasi unanime: v., su tutti, Id. ibid., 383 (cui si rimanda anche per l’analisi del complesso scenario schiuso da una eventuale conversione del rito nelle forme ordinarie); contra, ma isolato, G. Della Pietra, Il procedimento sommario societario: molti dubbi e qualche certezza, in G. Palmieri (a cura di), Temi del nuovo diritto societario. Quaderni degli Annali dell’Università degli Studi del Molise, Napoli, 2005, secondo cui la perentorietà del termine era ricavabile da un’interpretazione sistematica, con la conseguenza che al convenuto erano precluse non solo le domande riconvenzionali, le eccezioni in senso stretto e i mezzi di prova articolati in comparsa, ma anche la mera contestazione dei fatti costitutivi della domanda. Più incerte erano, invece, le conseguenze da riconnettere alla contumacia, giacché, nel silenzio della norma, era dubbio se tale comportamento del convenuto dovesse valere (ex artt. 290 e ss. c.p.c.) quale ficta litis contestatio ovvero quale ficta confessio (argomentando ex art. 13, comma 2 d.lgs. cit., che, in ordine al procedimento a cognizione piena, prevedeva che in caso di contumacia i fatti costitutivi si intendevano «non contestati»). Per la prima posizione, v. E. Picaroni, Commento, cit., 306 e ss.; per quella opposta, cfr. A. Briguglio, Il rito sommario di cognizione nel nuovo processo societario, in Scritti in onore di Giuseppe Tarzia, Milano, 2005, II, 1581. A fugare ogni dubbio, seppur indirettamente, è giunta Corte cost. 12 ottobre 2007, n. 340, in Foro it., 2008, I, 721, dichiarando incostituzionale la norma appena richiamata per eccesso di delega. 134 Cfr. C. L. Perago, Commento, cit., 382. 135 Icasticamente, Trib. Verona 23 gennaio 2005, in www.ilcaso.it, ha parlato di udienza «one shot». 136 V. R. Tiscini, Il procedimento, cit., 88 e C. L. Perago, Commento, cit., 382, che ha fatto rilevare come «del resto, il tipo di cognizione sommaria svolta dal giudice non si caratterizza per l’urgenza». 137 Così, Id., ibid., 88, ritenendo al riguardo pregnante non la distinzione tra prova precostituita e costituenda, ma quella tra istruttoria formale e deformalizzata; adesivo S. Menchini, Il giudizio, cit., 1107, secondo cui, in caso contrario, il modello si sarebbe mostrato contrario a Costituzione; contra A. Didone, Le ordinanze anticipatorie di condanna e il nuovo procedimento sommario, Milano, 2010, II, 295, del parere che nel procedimento sommario fosse inammissibile qualsiasi attività istruttoria. 138 Non si rinvengono distinzioni di sorta in Trib. Verona 25 ottobre 2004, in Giur. merito, 2005, 1134, sempre a patto che l’istruttoria

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Ex art. 19, comma 2-bis d.lgs. cit., al termine dell’udienza il giudice, ove ritenesse sussistenti i fatti costitutivi e manifestamente infondate le contestazioni del convenuto, era chiamato a pronunciare ordinanza immediatamente esecutiva di condanna139 e a regolare anche le spese; mentre, ai sensi del successivo comma 3, lì dove reputasse l’oggetto della causa o le difese del convenuto bisognosi di una cognizione non sommaria140, ovvero in qualsiasi ipotesi di mancata adozione della citata ordinanza, doveva assegnare all’attore i termini di cui all’art. 6 d.lgs. cit.141. In relazione all’ipotesi di accoglimento della domanda, è stato detto che, stante la formula del comma 2-bis cit., la sommarietà era da ricondurre alla sola infondatezza delle difese del convenuto, mentre sui fatti costitutivi, essendone richiesta la sussistenza, era imposto al giudice un controllo pieno142. Per il caso di mancato accoglimento integrale della domanda, invece, si discuteva se, in alternativa al mutamento del rito – unico scenario espressamente previsto –, potesse percorrersi la strada di un rigetto, tanto in rito quanto nel merito (per carenza di un fatto costitutivo o palese fondatezza di un’eccezione), così come di un accoglimento parziale. A tal proposito, la modifica normativa introdotta con il d.lgs. 6 febbraio 2004, n. 37 ha condotto gli sbocchi dell’udienza all’alternativa secca accoglimento-mutamento del rito143, ma non è mancato chi ha continuato a reputare tale soluzione insoddisfacente144. Il quarto comma dell’art. 19 cit. prevedeva, poi, che avverso l’ordinanza di condanna potesse essere proposta esclusivamente impugnazione davanti alla Corte d’appello ai sensi del successivo art. 20, a sua volta rimandante alle forme dell’appello codicistico. Dalla lettera della disposizione era desumibile l’impugnabilità del solo provvedimento di accoglimento. Tuttavia, si sono levate voci favorevoli all’appellabilità anche di decisioni di rigetto o di accoglimento solo parziale145. Questioni molto dibattute si sono, infine, rivelate quelle della gradazione, da un lato, del divieto dei nova ex art. 345 c.p.c. e, dall’altro, della stabilità del provvedimento di accoglimento.

non portasse via troppo tempo; in via “gradata”, Id. 23 gennaio 2005, cit., non ha ammesso prove costituende, mentre Trib. Salerno 26 ottobre 2004, ibid., 1133 ha chiuso a qualsiasi attività istruttoria. 139 Nonché titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. 140 Il giudice godeva, a riguardo, della più totale discrezionalità: v. E. Picaroni, Commento, cit., 310. 141 Concessi per il deposito della memoria di replica attorea nel modulo ordinario, con la conseguenza che il ricorso e la comparsa di risposta del resistente si tramutavano negli atti introduttivi del giudizio a cognizione piena. 142 V. R. Tiscini, Il procedimento, cit., 90; conf. E. Picaroni, Commento, cit., 309, per la quale, conseguentemente, la raccolta di prove costituende poteva ammettersi solo in ordine ai fatti costitutivi; contra, A. Briguglio, Il rito, cit., 1581, il quale considerava sommario anche l’accertamento su tali fatti. 143 Come affermato anche dalla giurisprudenza assolutamente prevalente: v., su tutte, Cass. 11 luglio 2008, n. 19238, in Foro it., Rep. 2008, voce Società (procedimenti), n. 108. 144 In dottrina, cfr. R. Tiscini, I procedimenti, cit., 91 e ss., che ha sottolineato come il passaggio automatico alla cognizione ordinaria nei casi esposti fosse antieconomico e non in linea con le esigenze di semplificazione; in giurisprudenza constano solamente Trib. Brindisi 21 febbraio 2005, in www.ilcaso.it, che ha chiuso il processo in rito senza mutamento dello stesso, Trib. Milano 13 maggio 2004, in Giur. merito, 2005, 600, che ha pronunciato un rigetto (integrale) nel merito e Id. 7 ottobre 2004, in www.ilcaso.it, che ha deciso per un accoglimento parziale (anche se, a ben vedere, in un’ipotesi di cumulo oggettivo). 145 V., su tutti, R. Tiscini, I procedimenti, cit., 101; in senso opposto G. Della Pietra, Il procedimento, cit., 448.

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La prima questione, vista l’incertezza derivante dal non puntualissimo rimando alle norme sull’appello ordinario, ha visto contrapposti i fautori di un’applicazione estesa del divieto (in relazione, cioè, oltre che alle domande e alle eccezioni, anche alle prove)146 e quelli, al contrario, propensi allo sdoganamento di qualsiasi potere probatorio nel secondo grado147. La seconda, dal canto suo, sembrava meno giustificabile, stante il chiaro tenore del comma 5 dell’art. 19 d.lgs cit., secondo cui all’ordinanza non impugnata non conseguivano gli effetti previsti dall’art. 2909 c.c. Invero, se la dottrina dominante si è espressa a favore della possibilità di ridiscutere l’accertamento sommario in qualsiasi sede148, sono state manifestate anche posizioni favorevoli a riconoscere al provvedimento in parola una qualche stabilità, in uno scenario a tinte variegate e graduate dalla c.d. preclusione pro iudicato149 fino alla piena refrattarietà (al netto di sopravvenienze) nei confronti dell’opposizione all’esecuzione150. Ciononostante, si ritiene di condividere l’opinione prevalente151, l’unica conforme non solo al tenore letterale della disposizione qui analizzata, ma anche alla ratio dell’istituto. Rimangono più incerte, invece, le motivazioni per le quali il legislatore ha inteso costruire lo strumento rimediale in termini ordinari (appello), in luogo di uno a cognizione comunque sommaria (lèggi: reclamo). Una dottrina ha condivisibilmente affermato che, poiché ragioni di coerenza sistematica imporrebbero di considerare che all’appellabilità di un provvedimento dovrebbe sempre seguire, laddove non impugnato, il suo passaggio in giudicato (pieno: i. e. formale e sostanziale), allo scopo di assicurare un rimedio contro di esso sarebbe stata sufficiente la previsione della sua reclamabilità, «al solo fine di ottenerne la revoca, ferma la non idoneità al giudicato»152. Così descritto, seppur non esaustivamente, il procedimento sommario societario, di esso si ritiene opportuno qui sottolineare, oltre al modo in cui è stato concretamente impiegato, la carica simbolica di cui si rivelava pregno. Invero, al netto delle storture applicative dovute soprattutto alla sua “giovane età” – perciò fisiologiche e comunque emendabili153 – la novità dallo stesso introdotta risiedeva nella

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Ad es., S. Menchini, Il giudizio, cit., 1112. G. Della Pietra, Il procedimento, cit., 447 e R. Tiscini, I procedimenti, cit., 105, muovendo dalla intollerabilità di divieti probatori laddove la cognizione nei due gradi sia diversa. Tale posizione ha ricevuto l’avallo di Cass. n. 19238/2008, cit. 148 Come in un’autonoma azione di accertamento negativo, di ripetizione dell’indebito, restitutoria ovvero ancora di opposizione all’esecuzione (R. Tiscini, I procedimenti, cit., 113), ferme restando l’irrevocabilità e l’immodificabilità del provvedimento (C. L. Perago, Commento, cit., 397). 149 Così, Id. ibid., 394; conf. A. Didone, Le ordinanze, cit., 293. 150 Cfr. A. Briguglio, Il rito, cit., 210 e ss. 151 Come lucidamente messo in evidenza da R. Tiscini, I procedimenti, cit., 118, se la particolarità dei provvedimenti meramente decisori, qual è indubbiamente quello in questione, risiede nel fine di ottenere immediatamente un risultato spendibile in via esecutiva, «non si può forzare la mano imponendo all’ordinanza sommaria una stabilità che non sono le parti a domandare nel proporre l’azione». 152 Così, testualmente, A. Didone, Le ordinanze, cit., 294. 153 Conviene non dimenticare che sul procedimento in questione la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di pronunciarsi in una sola occasione: Cass. n. 19238/2008, cit. 147

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netta recisione della necessaria consequenzialità dello schema tutela dichiarativaàgiudicato: novità che avrebbe sicuramente potuto spingere i privati (tutti, non solo gli operatori economici) a mutare approccio nei confronti della giurisdizione, incentivandoli a prediligere forme più snelle, ma non per questo meno convenienti, di lite. Non è un caso, infatti, che, una volta introdotto nel sistema processuale, sùbito ne sia stato proposto un ampliamento generalizzato a tutto il settore contenzioso154. E, tuttavia, invece di intraprendere tale ultima strada, così consentendo che l’istituto potesse finalmente trovare una propria identità e distinguersi rispetto al(l’ancora troppo simile, ma dotato di maggiore appeal) decreto ingiuntivo, un legislatore frettoloso non ha esitato a cancellare con un colpo di spugna un prodotto che avrebbe forse meritato miglior sorte155, preferendo allo stesso un rito, quale quello ex artt. 702-bis e ss. c.p.c., col quale è stata sì recuperata la dimensione del giudicato ma che, ciononostante (ed, anzi, forse anche per questo), solo ora, a dieci anni dalla sua introduzione, comincia a dare dei risultati degni di nota156.

8. Conclusioni. Corre l’obbligo, giunti a questo punto, di tirare delle somme. Innanzitutto, va detto che rebus sic stantibus l’analisi dell’interprete può correre lungo due direttrici differenti, seppur accomunate dalla necessità di considerare preliminarmente natura e peso delle posizioni sostanziali oggetto di tutela. Seguendo la prima, si rimane su un piano “orizzontale”, di logica formale; ciò vuol dire che, valutata l’importanza della situazione soggettiva, si esprime – a monte – un giudizio sul procedimento predisposto dal legislatore in base al bagaglio e alla qualità di strumenti che l’ordinamento mette a disposizione dell’istante, in sé ed in relazione alle altre situazioni soggettive considerate. In tal modo viene assurta a requisito imprescindibile del sistema-tutela sommaria la totale coerenza, sotto gli aspetti indicati, tra i vari procedimenti considerati.

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Lo ricorda R. Tiscini, I procedimenti, cit., 74, nota n. 13. Il rito non ha incontrato il favore dei pratici: per un accenno sulle ragione di ciò non si può qui che rimandare a M. A. Lupoi, Processo sommario di cognizione: tra “rito” e “modello”, Torino, 2019, 11, e, per approfondimenti, alla dottrina ivi richiamata, in part. alle note 39-41. 156 Cfr. le statistiche relative al quadriennio 2015-2018, riportate nella scheda allegata al d.d.l. As-1662, Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie, in www.senato.it/ service/PDF/PDFServer/BGT/01141527.pdf, 3. Si tenga conto che l’introduzione del procedimento sommario di cognizione avrebbe potuto anche non comportare l’abrogazione di quello ex art. 19 d.lgs. cit.: anzi, a sommesso avviso di chi scrive, sarebbe stata una buona occasione per ritoccare meccanismi del secondo, soprattutto quanto alla natura dell’impugnazione del provvedimento di primo grado, traghettandola verso le forme della sommarietà (reclamo) ed assicurando, così, un’area di tutela giurisdizionale che fosse effettivamente (e totalmente) elargita in conformità alle richieste dei privati. 155

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Adottato questo criterio, non si può fare a meno di notare le contraddizioni che interessano i quattro procedimenti analizzati, in cui alla semplificazione delle forme non segue quella del risultato. Invero, il procedimento di cui all’art. 28 St. lav. e quello ex art. 814, comma 2 c.p.c., pur avendo ad oggetto diritti della personalità, sono posti a presidio – in via diretta – di situazioni economiche; diversamente, nell’ambito degli altri due procedimenti (sanzioni Consob/Banca d’Italia e protezione internazionale), è suscettibile di essere incisa, seppur in termini formalmente diversi da quelli penalistici, direttamente la libertà dell’istante157. Ciononostante – come ampiamente dimostrato – già a livello normativo i primi prevedono ed impongono garanzie più ampie rispetto ai secondi, in relazione al contraddittorio, in generale, ed ai poteri probatori, in particolare158. Tra i quattro, poi, sono gli unici in cui è ammesso l’appello, che andrebbe (re-)introdotto per una serie di ragioni, tutte assorbenti, anche in relazione agli altri due procedimenti. In primis, in ragione del fatto che il ricorso per cassazione – al netto del motivo di cui all’art. 360, n. 5 c.p.c.159 – è un’impugnazione di sola legittimità, perciò inadeguata a consentire la rivalutazione di un giudizio su situazioni che si mostrano ontologicamente dense di fattualità; poi, per ragioni di opportunità: invero, l’appello – ovviamente scevro dalle preclusioni ex art. 345 c.p.c.160 – è l’unico strumento adatto ad emendare eventuali errori commessi nell’istruttoria celebrata in primo grado, in particolare in quei casi in cui il giudice ceda alla tentazione di appiattirsi e recepire le evidenze(?) raccolte in sede amministrativa; infine, per motivi “numerici”, giacché solo con la reintroduzione del gravame di merito sarà possibile alleggerire il carico di lavoro gravante sulla Corte regolatrice. Se si pensa che i due procedimenti maggiormente garantisti hanno, per di più, carattere non necessario, allora il bisogno di rimodulare i procedimenti (almeno) nel senso sopra indicato si avverte in modo ancora più impellente. In realtà, nell’idealtipo di sistema processuale, per situazioni soggettive di carattere prettamente patrimoniale dovrebbe essere previsto, in via alternativa al processo ordinario, un primo grado a cognizione sommaria ed un’impugnazione dello stesso tipo, nelle forme del reclamo; diversamente, per posizioni di carattere eminentemente (e direttamente) personale dovrebbe sempre essere celebrato un processo a cognizione piena, destinato alla cosa giudicata (anche sostanziale)161, ricercandone la celerità su un piano organizzativo.

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I provvedimenti di rigetto hanno, perciò, natura para-penale. Emblematica, in tal senso, è la previsione di una “graduazione rovesciata” dell’oralità nei tre procedimenti ex art. 28 St. lav., in quello di opposizione alle sanzioni Consob e Banca d’Italia ed in quello di protezione internazionale: nel primo è obbligatoria la comparizione della parte personalmente per essere ascoltata; nel secondo, invece, la parte può essere ascoltata (di persona) se lo richiede; nel terzo, l’ascolto è limitato solo a particolari situazioni e comunque può non avvenire personalmente. 159 È ovvio, peraltro, che essendo unico il grado del giudizio di merito, non può scattare il divieto di far valere tale motivo di doglianza per l’operare della c.d. doppia conforme, come previsto dall’art. 348-ter, comma 5 c.p.c.: ma ciò rappresenta una magra consolazione che non toglie pregio alla considerazione svolta. 160 Per gli stessi motivi esposti supra alla nota n. 147. 161 Stranamente, invece, ed in maniera difficilmente comprensibile, oggi il legislatore impone la cognizione sommaria per trattare cause che, se fossero sottoposte al rito ordinario, è molto probabile che cadrebbero nel divieto di trattazione mediante rito sommario di 158

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Ma, se proprio si volesse concepire anche per tali ss.gg.ss. attive una tutela sommaria – e, per giunta, necessaria – in essa dovrebbero come minimo essere stabilite garanzie per le parti maggiori di quelle previste per la protezione di posizioni secondarie; inoltre, imponendo tali situazioni che su di esse si formi il giudicato sostanziale, l’impugnazione dovrebbe introdurre un giudizio a cognizione piena (lèggi: appello). Il discorso, invece, non dovrebbe mutare in ordine alla rilevanza delle forme, nel senso che, se durante il processo si verificasse la violazione di (quelle poche) norme previste dal legislatore, allora il danno dovrebbe essere considerato in re ipsa, sia che la situazione sostanziale sia “economica”, sia che sia di tipo personale162. Questa è una possibilità. Al contrario, percorrendo la seconda direttrice, ad assumere rilievo è la concreta qualità della cognizione esercitata, a valle, dal giudice nel singolo procedimento. Ciò costringe l’interprete a guardare sia, in un’ottica “orizzontale”, all’importanza di diritti e status dedotti in giudizio163, ma anche, lungo una direttrice “verticale”, alla qualità della cognizione assicurata da parte del giudice nel processo; in senso però concreto, a prescindere quindi che, formalmente, in esso sia adottata una cognizione sommaria e finanche che, posti a confronto diversi procedimenti sommari, siano riscontrabili delle divergenze nell’armamentario delle tutele garantite alle parti. Se, ad esempio, al pari di ciò che accade nell’opposizione agli atti esecutivi ex art. 618 c.p.c., in un procedimento l’appello manca, mentre è presente in un altro avente ad oggetto una situazione analoga, è possibile fare in modo che il privato non sia danneggiato dalla carenza di un mezzo importante qual è un’impugnazione di merito e che quindi gli sia comunque assicurata una tutela effettiva? Così ragionando, l’accento si sposta, inevitabilmente, sulla robustezza e sulla qualità effettiva della cognizione del giudice: se questa c’è, l’appello può mancare164. Perché vi sia, però, è necessario che il giudice sia seriamente disposto ad assumere – ovviamente nel rispetto del ruolo di arbitro terzo ed imparziale che gli è imposto – le redini del processo, in particolare cessando di mostrare atteggiamenti di appiattimento nei confronti degli “accertamenti” effettuati in sede amministrativa e procedendo egli stesso a verificare, pur compatibilmente con le esigenze sottese al carattere sommario del procedi-

cognizione, stante il divieto di cui al combinato disposto degli artt. 702-bis e 50-bis c.p.c.: ma se una posizione sostanziale è già difficilmente conciliabile con la semplificazione della sola istruzione, a fortiori dovrebbe essere considerata incompatibile con la cognizione sommaria. 162 Il discorso è stato affrontato supra al § 6. 163 Sottolinea l’importanza di disegnare le coordinate dei procedimenti sommari seguendo le esigenze scaturenti dalle caratteristiche proprie delle situazioni soggettive in essi coinvolte, da ultimo, R. Tiscini, I provvedimenti de potestate e la giurisprudenza della corte di cassazione. Dalla protezione di interessi alla tutela di diritti, in www.judicium.it, passim e spec. 475 e ss. 164 È interessante quanto sostenuto da G. Alpa, Il diritto fondamentale ad un rimedio effettivo e il ruolo costituzionale dell’avvocato, in Contratto e impr., 2018, 615, secondo il quale «accanto al rimedio si deve considerare la sua qualificazione, in quanto il rimedio deve essere effettivo», con ciò dovendosi intendere che esso «deve raggiungere l’effetto sperato, cioè la rimessione in pristino della situazione alterata, o un risarcimento pecuniario se la situazione è ormai irrimediabilmente modificata».

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mento, la situazione sostanziale per come effettivamente si presenta (soprattutto se, come per le sanzioni Consob e Banca d’Italia, il procedimento è “necessario”). Se il giudice adotta tale atteggiamento, la tutela dallo stesso elargita, seppur sommaria, può considerarsi a pieno titolo idonea a contribuire ad una vera e propria semplificazione – e non già ad una mera semplicizzazione – del sistema giurisdizionale. Se ciò non accade, è inevitabile che l’appello e gli altri poteri processuali garantiti alle parti finiscano per rappresentare l’unica strada per recuperare (o dare, quantomeno, la parvenza di aver recuperato) una certa logica e coerenza processuale e sistematica.

9. Postilla: la trattazione dei procedimenti sommari

analizzati tra il presente dell’emergenza sanitaria da Covid-19 e il futuro di convalescenza della giurisdizione165. Come noto, da poco meno di cento giorni anche nel nostro Paese è scoppiata la pandemia causata dal diffondersi del virus Sars-Cov-II. La giustizia civile e con essa, quindi, anche il processo, è stata travolta dal fenomeno, al pari di ogni aspetto della vita di relazione. Il legislatore, tuttavia, non è rimasto inerte e per fronteggiare l’emergenza ha emanato una serie di atti che in breve tempo – al netto di progressive abrogazioni, alle quali verosimilmente si continuerà ad assistere – hanno già dato vita ad una vera e propria “normativa Covid-19”. Anche la dottrina, dal canto suo, si è immediatamente approcciata alle nuove disposizioni di legge e sono stati subito pubblicati (in rete) numerosi contributi in cui si analizzano le diverse questioni derivanti dall’entrata in vigore delle norme dedicate alla giustizia166.

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Al momento di licenziare il presente elaborato, la situazione riguardante la pandemia si è evoluta: è oramai quasi un anno che il nostro Paese è costretto a convivere con l’emergenza da Coronavirus. Ai fini dell’indagine svolta in questa sede, va precisato che le disposizioni di cui alle lett. f) ed h) dell’art. 83 d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. con mod. in l. 24 aprile 2020, n. 27 (intaccato dal d.l. 30 aprile 2020, n. 28, conv. a sua volta con mod. in l. 25 giugno 2020, n. 70), cui sono da ricondurre in origine la previsione della trattazione scritta e da remoto dell’udienza civile, sono state integrate dall’art. 221 d.l. 19 maggio 2020, n. 34, conv. con mod. in l. 17 luglio 2020, n. 77 (cui è seguito, senza modifiche sostanziali per quanto qui d’interesse, dal d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. con mod. in l. 18 dicembre 2020, n. 176). Ciononostante, si ritiene che le considerazioni svolte nella vigenza solamente del primo dei dd.ll. (con relativa l. di conversione) appena citati siano tuttora valide, soprattutto ove si consideri che, a fronte della facoltà che l’art. 221, cit. riconosce a ciascuna delle parti di presentare istanza di trattazione orale nonostante il giudice abbia disposto che l’udienza sia sostituita dal deposito telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, la giurisprudenza tende a non riconoscere, alla parte che abbia avanzato richiesta in tal senso, un vero e proprio diritto alla trattazione orale, potendo il giudice imporre la trattazione cartolare in ragione, in particolare, dell’attuale difficoltà nell’organizzare e gestire udienze in presenza o della debolezza (o assenza) di motivazione a corredo dell’istanza parte. In ogni caso, è doveroso il rimando, quantomeno, ad I. Pagni, Le misure urgenti in materia di giustizia per contrastare l’emergenza epidemiologica: un dibattito mai sopito su oralità e pubblicità dell’udienza, su www.judicium.it, 1 e ss. e, in part., nota n. 8, ove è richiamata giurisprudenza inedita sulla specifica questione; e v. pure F. Caroleo-R. Ionta, La trattazione scritta. Un arabesco (Art. 221, comma 4, l. n. 77/2020 di conversione al d.l. “Rilancio”), in www.giustiziainsieme.it. 166 Per un primo approccio sistematico e multidisciplinare al tema, si v. Aa.Vv., Emergenza Covid-19. Speciale, I, in www.giustiziacivile. com.

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È opportuno premettere che solleva problemi di costituzionalità già l’utilizzo di un meccanismo con cui è stata demandata ai capi degli uffici giudiziari – in forza del combinato disposto dei commi 6 e 7, lett. d), art. 83 d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. con mod. in l. 24 aprile 2020, n. 27 – la disciplina delle udienze tramite linee guida e protocolli167; ma ciò su cui in questa postilla si intende porre l’attenzione è, in particolare, l’incidenza che le disposizioni in materia di svolgimento delle udienze da remoto e la trattazione cartolare – lett. f) ed h) del comma 7, art. 83 cit. –, hanno avuto e continueranno ad avere sui quattro procedimenti descritti supra ai §§ 2-5, lì dove le relative udienze siano state celebrate nel periodo (c.d. fase 1) di sospensione dei termini dal 9 marzo all’11 maggio168, ovvero debbano esserlo nella c.d. fase 2, ricompresa (per ora169) tra il 12 maggio ed il 31 luglio 2020. Ciò al fine non solo di verificare se le misure in esse delineate siano o meno (e in che misura) adatte a soddisfare le esigenze del contraddittorio fin qui descritte; ma anche per tentare di fugare il dubbio – sorto spontaneamente in più di qualche autore – circa l’opportunità del loro eventuale utilizzo una volta superata l’emergenza170. Come accennato, il comma 7, cit. stabilisce che, per contrastare la pandemia e contenerne gli effetti negativi sulla giurisdizione (comma 6), i capi degli uffici giudiziari sono chiamati ad adottare una o più misure fra le quali, per l’appunto, rientrano quelle di cui alle lett. f) ed h) cit.171. La prima consente lo svolgimento delle udienze che non richiedono la presenza di soggetti diversi da difensori, parti e ausiliari del giudice mediante collegamento da remoto, sottolineandosi che ciò deve, in ogni caso, avvenire con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti.

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Così L. Viola, Fase 2 del processo civile ex l. 27/2020: nuove udienze ai tempi della delegificazione, in www.lanuovaproceduracivile. com, 3, nota n. 6, per il quale i vulnera alla Carta fondamentale rischiano di essere almeno tre: alla riserva di legge di cui all’art. 111, comma 1; alla soggezione del giudice soltanto alla legge ex art. 101, comma 2 e al bilanciamento dei poteri, desumibile dall’intera struttura costituzionale; esprime preoccupazioni anche G. Costantino, in F. De Stefano, La Giustizia da remoto: adelante…con juicio – pt. 2. Intervista ad Aa.Vv., in www.giustiziainsieme.it, 3; A. Panzarola-M. Farina, L’emergenza coronavirus ed il processo civile. Osservazioni a prima lettura, in Emergenza Covid-19. Speciale, cit., 7, dal canto loro, ritengono che «se nel conferimento di questo «eccezionale» potere si indovina un riflesso della straordinarietà del momento che viviamo, è altrettanto sicuro che, nel disimpegnarlo, il capo dell’ufficio sarà chiamato ad usare ponderatezza e senso della misura»; P. Del Giudice, in R. Ionta, La giustizia civile di fronte all’emergenza epidemiologica. Parte I. Intervista ad Aa.Vv., ibid., 9, invece, ritiene che la scelta obbedisca alla – secondo l’a. condivisibile – scelta di ancorare le modalità della ripresa dell’attività giurisdizionale alle peculiarità del singolo ufficio giudiziario. 168 Per effetto del combinato disposto dei commi 1 e 2, art. 83 d.l. 17 marzo 2020, n. 18, modificati dalle lett. b) ed i), art. 3 d.l. 8 aprile 2020, n. 23. La condizione per la celebrazione delle udienze risiede(va) nel soddisfacimento dei requisiti di cui al comma 3, ciò che rende(va) operativa la norma del successivo comma 5, art. 83 cit. Tale aspetto, però, non può essere qui approfondito: si tenga conto solo che, fra i quattro modelli, è ex lege testualmente prevista la trattazione in via d’urgenza del solo procedimento di protezione internazionale (comma 15, art. 35-bis d.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25); anche se questo non sembra(va) di per sé solo sufficiente ad evitare il rinvio dell’udienza e la sospensione dei termini di cui al combinato disposto dei commi 1 e 2, art. 83 d.l. 17 marzo 2020, n. 18, cfr., seppur implicitamente, F. Doro, I procedimenti in materia di immigrazione e protezione internazionale ai tempi del coronavirus, in www.unicost.eu, § 5. 169 Stante il combinato disposto degli artt. 83, comma 6 d.l. 17 marzo 2020, n. 18 e 3, comma 1, lett. b) ed i) d.l. 30 aprile 2020, n. 28. 170 Per G. Scarselli, Contro le udienze a remoto e la smaterializzazione della giustizia, in www.judicium.it, § 1, anzi, è proprio il secondo dubbio a conferire dignità al primo, essendo per l’a. ovvio che «se l’idea di queste nuove udienze fosse riferita solo all’emergenza sanitaria, con la sicurezza che da luglio, o massimo da settembre, tutto torna normale, l’argomento non meriterebbe di essere trattato». 171 Naturalmente, non ha senso qui soffermarsi sulla lett. e) del comma 7 cit., in quanto ciò che introduce, ossia la celebrazione delle udienze pubbliche a porte chiuse, ai sensi dell’art. 128 c.p.c., costituisce la regola nei quattro procedimenti.

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Francesco De Ritis

Prima dell’udienza, il giudice fa comunicare ai procuratori e, ove partecipi, al p.m. modi e tempi del collegamento e all’udienza fa verbalizzare le operazioni effettuate e le dichiarazioni rese. La seconda, invece, ammette lo svolgimento delle udienze che possono celebrarsi con la presenza dei soli difensori172 mediante lo scambio e il deposito telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, cui segue l’adozione fuori udienza del provvedimento del giudice. Inutile dire che le due misure appena descritte hanno suscitato reazioni divergenti, anche se, tra l’entusiasmo di chi si è dichiarato alle stesse apertamente favorevole e l’orticaria di quanti, al contrario, si sono mostrati ad esse ostinatamente contrari, ha finito per prevalere una sensazione a metà strada tra scetticismo e curiosità, avvertita da chi si è professato cautamente permissivo. Ciò premesso, partendo da un piano astratto (e a prescindere, quindi, dal tipo di procedimento in cui si inserisce), conviene in prima battuta verificare173 quale atto/attività processuale ciascuno174 dei due strumenti sia più idoneo contenere175, per poi calare entrambi nella concretezza dei singoli procedimenti considerati, rievocando i tratti salienti di ognuno di essi; solo alla fine, tornando su un piano generale, sarà possibile elaborare un giudizio sulla legittimità e l’opportunità delle due novità. Ebbene, pur nella consapevolezza che vi è il rischio di incappare in qualche generalizzazione, sembra che le note scritte siano adatte a contenere, senza troppe difficoltà, attività quali la trattazione da svolgere in prima udienza nel processo ordinario di cognizione, l’ammissione delle prove, il conferimento dell’incarico al C.t.u., la precisazione delle conclusioni, così come i processi di appello e di legittimità176. Di contro, il collegamento da remoto si mostra idoneo alle udienze di discussione177.

172

Condivisibilmente, F. Caroleo-R. Ionta, L’udienza civile ai tempi del coronavirus. Comparizione figurata e trattazione scritta (art. 2, comma 2, lettera h, decreto legge 8 marzo 2020, n. 11), in www.giustiziainsieme.it, 6, sottolineano che con la formula testuale utilizzata il legislatore ha voluto riferirsi a quelle udienze per il cui svolgimento è sufficiente la presenza dei difensori; ciò poiché, se si volesse (oltranzisticamente) invocare l’art. 84 disp. att. c.p.c., che garantisce alle parti il diritto a partecipare (in silenzio) a qualsiasi udienza inerente alla loro causa, la norma risulterebbe inutiliter data. 173 E tenendo fin d’ora a mente che nulla esclude che, ricorrendone le condizioni, gli stessi siano entrambi utilizzati all’interno del medesimo processo: così F. Valerini, In difesa dell’udienza da remoto, in www.judicium.it, 2. 174 Infatti, il pericolo di manipolazione delle singole attività potrebbe manifestarsi in relazione all’uno e non anche all’altro strumento: così, G. Costantino, in F. De Stefano, La Giustizia, cit., 4. 175 Sottolinea A. Magaraggia, in R. Ionta, La giustizia civile, cit., 9 che si tratta pur sempre «di mezzi e non di contenuti». 176 Cfr., seppur con qualche diversa (ma leggera) sfumatura, Id., ibid., 9; P. Del Giudice, ibid, 13 e G. Costantino, in F. De Stefano, La Giustizia, cit., 4. 177 Id., in F. De Stefano, La Giustizia, cit., 4.

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La tutela sommaria quale strumento di semplificazione del sistema giurisdizionale(?)

Nessuno dei due strumenti, invece, sembra attagliarsi, salvo rare eccezioni178, alle udienze istruttorie179; anche se ciò, secondo parte della dottrina180, parrebbe non escludere che, tenuto conto della natura della controversia e della qualità delle parti, le stesse possano chiedere e il giudice accordare la trattazione da remoto. Questa, per sommi capi, la situazione su un piano astratto. Calando, invece, le misure nel concreto e ripercorrendo l’ordine adottato nel contributo, sembra inevitabile affermare che nel procedimento ex art. 28 St. lav. non vi sia spazio per le note scritte, poiché dinanzi al giudice dovranno necessariamente comparire anche le parti, che devono (poter181) essere interrogate liberamente. Al contrario, la trattazione da remoto sembra utilizzabile. Entrambe le misure – sempre sulla carta – paiono, inoltre, compatibili col procedimento di liquidazione di compenso e spese arbitrali, soprattutto tenuto conto del fatto che nella maggior parte dei casi la causa è prettamente documentale. A diverse conclusioni, invece, dovrebbe giungersi quanto ai procedimenti di opposizione a sanzioni Consob e Banca d’Italia e di protezione internazionale. Va ricordato, infatti, che qui si è condivisa l’impostazione che considera di natura parapenale le conseguenze negative cui il soggetto corre il rischio di andare incontro all’esito dei relativi giudizi182. A voler essere coerenti, quindi, ogni valutazione circa possibilità e modalità di impiego delle note scritte e/o del collegamento da remoto in questi modelli procedimentali andrebbe svolta mutuando condizioni e requisiti dettati in via emergenziale per la celebrazione del processo penale. Si dovrebbero, perciò, scartare a priori le prime, delle quali non vi è traccia alcuna nel comma 12-bis dell’art. 83, d.l. 17 marzo 2020, n. 18.

178

Non sembra sollevare particolari problematiche l’assunzione di informazioni presso la p.a., introdotta dalla l. di conversione 24 aprile 2020, n. 27, alla lett. f) del comma 7, art. 83 d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (conf. P. Del Giudice, in R. Ionta, La giustizia civile, cit., 13, in riferimento alle informazioni da raccogliersi presso i Servizi sociali nei procedimenti camerali relativi ai minori). Lo stesso non può dirsi per lo svolgimento dell’attività degli ausiliari del giudice, ora consentita in remoto dalla lett. h-bis), aggiunta al comma 7, cit.: si v., in proposito, le osservazioni di F. De Stefano, Il processo civile tra la legge di conversione n. 27/2020 del d.l. 18 del 2020 ed il d.l. n. 28 del 30 aprile 2020. (Aggiornamento), in www.giustiziainsieme.it, 10, secondo cui, dovendo comunque essere fatti salvi il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti, «nulla che presupponga l’esame fisico od obiettivo di cose o persone dovrebbe potersi ricondurre a tale facoltà: non certamente una visita medica sulla persona, ad esempio, o [..] un’ispezione di luoghi». 179 Cfr. G. Costantino, in F. De Stefano, La Giustizia, cit., 4, che affianca a queste anche quelle cautelari e quelle presidenziali nei procedimenti di separazione e divorzio, poiché soprattutto l’interrogatorio del testimone o della parte rende imprescindibile un confronto diretto, «anche al fine di evitare che l’interrogato usufruisca di un gobbo, come un presentatore televisivo». In senso adesivo, v. A. Cosentino, in R. Ionta, La giustizia civile di fronte all’emergenza epidemiologica. Parte II. Intervista ad Aa. Vv., in www.giustiziainsieme.it, 12. 180 Così, ancora, G. Costantino, in F. De Stefano, La Giustizia, cit., 4. A parere di chi scrive, peraltro, pur a fronte di una richiesta congiunta delle parti in tal senso, il giudice dovrebbe comunque ponderare attentamente la situazione: si pensi – solo per fare un es. – a quanto sarebbe agevole per le parti, di comune accordo, manipolare l’acquisizione della prova; e a quanto, a cascata, sarebbe complicato (se non praticamente impossibile) per i legittimati a promuovere l’opposizione di terzo revocatoria dimostrare il dolo o la collusione perpetrati con l’aiuto del mezzo telematico. 181 Trattando del procedimento di repressione della condotta antisindacale si è affermato che il giudice ha il potere-dovere di procedere all’interrogatorio libero delle parti: v. supra § 2 e nota n. 25. Ma, a ben vedere, anche a voler propendere per la semplice facoltà, le cose non cambierebbero; le parti, infatti, dovrebbe comunque essere presenti, al fine di consentire lo svolgimento dell’atto, seppur solo eventuale. In senso analogo, cfr. F. Caroleo-R. Ionta, L’udienza civile, cit., 12. 182 V. supra nota n. 68.

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Francesco De Ritis

Il secondo, invece, seppur astrattamente utilizzabile, incontrerebbe tutte le limitazioni previste dal combinato disposto della norma appena indicata con l’art. 3, comma 1, lett. d) d.l. 17 marzo 2020, n. 18; conseguentemente – salvo che il ricorrente presti il proprio consenso – non dovrebbe essere di fatto possibile effettuare attività istruttoria né dar corso alla discussione della causa mediante videochiamata. Tuttavia, tale impostazione, oltre a contrastare con l’art. 83, comma 7, lett. f) d.l. 17 marzo 2020, n. 18, (il quale, contrariamente a quanto appena visto per il processo penale, non riconosce alcun potere di veto alla parte che intenda opporsi all’utilizzo dello strumento telematico), rischia di rivelarsi – anche in ordine all’impiego della trattazione scritta – eccessivamente rigida183. Conviene, dunque, adottare un approccio maggiormente duttile ma, non per questo, meno garantista. Tuttavia, il problema è: come fare? Perché anche a voler considerare sovrastimato il rischio di una “smaterializzazione” del processo184, è indubitabile che i nuovi strumenti abbiano entrambi la capacità di ridisegnare profondamente il volto del processo. E così, se da una parte è giusto chiedersi se il carattere personale delle attività richieste nella giustizia ai suoi protagonisti debba necessariamente e sempre identificarsi soltanto con la loro estrinsecazione in presenza e se personalità debba sempre e comunque equivalere, nel processo, a fisicità185, dall’altra sembrano pienamente legittime le perplessità di chi invita ad essere molto cauti. Ancora una volta186, si ritiene che siano il rispetto del contraddittorio e l’effettività della tutela a rappresentare le uniche coordinate idonee a consentire all’interprete di tracciare una rotta procedimentale sicura187, capace di condurlo fuori dall’impasse. Non è un caso, allora, che l’art. 83, comma 7 d.l. 17 marzo 2020, n. 18 citi espressamente entrambi tali profili quali condizioni affinché – come anticipato – un’udienza celebrata da remoto188 possa ritenersi valida; ma lo stesso, mutatis mutandis, è a dirsi, ancorché non siano lì richiamati esplicitamente, per la modalità scritta di cui alla lett. f).

183

Proprio in riferimento al procedimento ex art. 35-bis d.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, F. Doro, I procedimenti in materia di immigrazione, cit., § 5 ritiene che l’udienza da remoto si attagli all’udienza di audizione del ricorrente, «anche se occorrerà prestare particolare attenzione all’identificazione dell’interessato e dell’interprete» e che l’udienza con trattazione scritta, invece, si possa impiegare per l’udienza di discussione, «alla quale molto spesso il procuratore del ricorrente si limita a produrre ulteriore documentazione e a riportarsi agli atti del procedimento». 184 Le maggiori preoccupazioni rispetto alla “smaterializzazione” del processo si leggono in G. Scarselli, Contro le udienze a remoto, cit., §1, secondo cui, peraltro, tale effetto sarebbe prodotto tanto dal collegamento da remoto quanto dalla trattazione scritta, per l’a. (cfr. §§ 3 e 4) entrambi incostituzionali poiché in contrasto con il principio della pubblica udienza di cui all’art. 101, comma 1 della Carta. I più, invece, riconnettono il rischio citato solo all’udienza da remoto: v., su tutti, F. De Stefano, La Giustizia da remoto, cit., 17. 185 Sono le domande che (si) pone Id., ibid., 17. 186 La stessa linea, infatti, è stata adottata nelle conclusioni rassegnate al § 8. 187 Il che non significa che siano totalmente assenti problematiche collaterali: su tutte, quella della riservatezza dei dati nell’impiego delle piattaforme per la gestione delle videoconferenze (cfr. le preoccupazioni espresse nella Lettera del Presidente del Garante della privacy al Ministro della Giustizia, in www.garanteprivacy.it, che, pur appuntandosi su criticità proprie del processo penale, solleva questioni almeno in parte comuni al processo civile) e quella del potenziamento della rete internet di giustizia, che purtroppo, soprattutto nel Sud del Paese, lascia molto a desiderare (così, P. Del Giudice, in R. Ionta, La giustizia civile, Pt. I, cit., 13). 188 La quale, a rigore, non costituisce una novità assoluta nel processo civile: cfr. le considerazioni di G. Costantino, in F. De Stefano, La Giustizia, cit., 4 e di F. Valerini, In difesa, cit., 3, nota n. 8, i quali richiamano – rispettivamente – la gestione telematica delle udienze nel procedimento fallimentare (artt. 95, comma 3; 163, comma 2-bis e 175, comma 2 r.d. 16 marzo 1942, n. 267) e dell’assunzione

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Conseguentemente, al netto delle ipotesi già individuate in cui un loro impiego sarebbe contrario allo stesso dettato normativo (ad es., per le note scritte, i casi in cui va svolto l’interrogatorio libero personale della parte189), per decidere se utilizzare i nuovi strumenti (e quale di essi) dovrà necessariamente essere valutata la portata degli specifici atti e attività da compiere in una determinata udienza, cercando di non lasciarsi condizionare da giudizi aprioristici sulle misure190, ma, semmai, mostrandosi disponibili, da un lato, ad ammettere interventi che vadano in itinere a correggere e colmare le falle eventualmente create dall’impiego dei nuovi strumenti191 e, dall’altro, a favorire l’implementazione di prassi e linee guida192. Così, ad es., la trattazione scritta potrà sostituire le udienze nelle quali gli avvocati si limitano a comparire solo per “riportarsi” od “insistere”193, mentre il collegamento da remoto e, quindi, l’oralità, andrà riservata soltanto a quei momenti processuali in cui essa rappresenti effettivamente un valore aggiunto194. In conclusione, per il presente può condividersi la piena legittimità e opportunità delle misure, purché – come detto – siano in concreto rispettati il contraddittorio e l’effettiva partecipazione al processo195. Riguardo al futuro (post-pandemia), invece, conviene mantenere un atteggiamento possibilista, senza precludersi alcuna strada in ordine all’introduzione delle due nuove misure nel bagaglio ordinario del processualcivilista. L’approccio, tuttavia, dev’essere improntato

transfrontaliera delle prove in materia civile e commerciale nell’ambito della cooperazione fra le aa. gg. degli Stati membri dell’UE, ex artt. 10, 12 e 17 Reg. (CE) 28 maggio 2001, n. 1206. 189 Circostanza che – come anticipato – rende sicuramente incompatibile la trattazione scritta col procedimento ex art. 28 St. lav.; potrebbe rendere incompatibile lo stesso strumento col procedimento di opposizione a sanzioni Consob e Banca d’Italia, essendo un diritto della parte quello di essere ascoltata personalmente e tendendo l’attività di trattazione-istruzione, come detto (cfr. § 4) ad essere “iperconcentrata”; dovrebbe rendere inutilizzabile la medesima misura con il procedimento di protezione internazionale, nel quale – per quanto si è sostenuto (v. supra alla nota n. 103) – l’ascolto personale del migrante dovrebbe rappresentare una piena facoltà processuale del ricorrente. 190 Per F. Petrolati, in R. Ionta, La giustizia civile, Pt. II, cit., 12, l’udienza da remoto «talvolta affascina solo perché sembra più simile alla “vecchia” udienza piuttosto che per la sua effettiva utilità»; specularmente, F. Valerini, In difesa, cit., 2 e ss., fa notare che la preferenza della trattazione scritta all’udienza da remoto si traduce nella rinuncia a priori a sfruttare le potenzialità dello strumento telematico che, in alcune ipotesi, è essenziale e non efficacemente surrogabile dalle note scritte. Secondo l’a., peraltro, se sfruttata appieno, la connessione da remoto garantirebbe maggiori possibilità della stessa udienza fisica. 191 Cfr. F. Cossignani, Il processo civile ai tempi del coronavirus, in www.treccani.it, § 8, secondo cui nella disciplina della trattazione scritta, poiché manca del tutto la direzione del giudice idonea a dare ordine e proficuità alla discussione in contraddittorio occorre fare affidamento sulla lealtà delle parti e sull’essere il giudice disponibile a concedere «un supplemento di contraddittorio, anche per iscritto, ogni volta che ciò risulti necessario per garantire il pieno dispiegamento del diritto di difesa». 192 V. quelle elaborate dal C.S.M. in data 26 marzo 2020, su www.csm.it. 193 V. F. Petrolati, in R. Ionta, La giustizia civile, Pt. II, cit., 12. 194 Così, P. Del Giudice, in R. Ionta, La giustizia civile, Pt. I, cit., 14. 195 È questa, inoltre, la condizione imprescindibile affinché possa giustificarsi l’applicazione del principio c.d. della considerazione sostanziale degli errores in procedendo anche nei processi celebrati mediante l’impiego delle due nuove misure (v. supra § 6): sul punto, F. De Stefano, Il processo civile, cit., 5, afferma che «l’ampiezza della lettera della legge dovrebbe consentire una auspicabile corrispondente ampiezza del ricorso a tali modalità, nel rispetto del principio di libertà delle forme e dei soli due obiettivi appena visti come riconosciuti meritevoli di garanzia [rispetto del contraddittorio ed effettiva partecipazione delle parti: n.d.r.]. Pertanto, in applicazione di principi generali del processo civile, nessuna eventuale nullità derivante dalla violazione delle relative norme, primarie, secondarie o subsecondarie, potrà essere dichiarata ove l’atto abbia comunque raggiunto il suo scopo ed il diritto di difesa della parte non sia stato in concreto pregiudicato».

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Francesco De Ritis

ad una cautela – per così dire – “rafforzata”, giacché nella tutela sommaria i poteri processuali e probatori delle parti sono comunque declinati diversamente rispetto ai loro omonimi presenti nella cognizione ordinaria196. Corre, poi, l’obbligo di effettuare un’ulteriore precisazione: la decisione sul mantenimento delle due misure anche per la fase post-emergenziale non dovrebbe essere presa non appena sarà cessata – si spera il prima possibile – la pandemia. In caso contrario, si commetterebbe un errore: infatti, non solo rischia di rimanere basso – per quanti processi si riusciranno a celebrare fino al termine della pandemia – il campione di test che saranno stati effettuati197; ma si sarebbe presa una decisione sulla scorta delle sole sensazioni registrate nel periodo emergenziale e che risultano inevitabilmente alterate proprio dall’aver fatto uso dei nuovi strumenti durante la pandemia. Anche se questo non significa che dell’esperienza che sarà stata acquisita non dovrà farsi tesoro – anzi –, pretendere di fare affidamento su siffatti risultati creerebbe una situazione non troppo diversa da quella in cui, ad es., un ingegnere civile sia convinto di poter esprimere un giudizio serio sulla adeguatezza di strumenti antisismici basandosi non sulle calme e serene riflessioni partorite dopo aver ricreato e simulato un sisma in laboratorio, bensì sulla scorta di sensazioni ed emozioni vissute quando si sia sentito mancare la terra sotto i piedi, per essersi ritrovato nel bel mezzo di un vero e proprio terremoto.

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Al riguardo, per G. Costantino, in F. De Stefano, La Giustizia, cit., 13, sembra ragionevole dubitare che l’emergenza sanitaria in atto sia l’occasione «per disegnare un ordinario nuovo regime anche del processo». Per una voce fermamente contraria alla conservazione delle misure, invece, oltre a G. Scarselli, Contro le udienze a remoto, cit., passim, v. A. Simonetti, Il giudice civile, l’emergenza Covid-19 e le prospettive future, in www.questionegiustizia.it, dell’idea che «[...] se da un lato, l’informatizzazione per la formazione e la comunicazione di atti è un dato imprescindibile, dall’altro, la trattazione effettiva del processo deve avvenire in udienza, nelle aule che fisicamente stanno in tribunale, in spazi dedicati, dove la cognizione del giudice prende forma nelle relazioni interpersonali. Il processo dell’emergenza con udienze celebrate nella stanza virtuale o attraverso la trattazione scritta è un processo civile che personalmente non vorrei condurre in un futuro di normalità. Questa mia posizione non è conservatrice. Sono fermamente convinta del valore del principio dell’oralità del processo civile declinato nella immediatezza della acquisizione degli elementi di convincimento da parte del giudice che dirige il processo in udienza attraverso il confronto con gli avvocati non equiparabile con quello svolto attraverso Teams; in presenza, infatti, si colgono gli elementi di comunicazione paralinguistica che favoriscono la comprensione e l’avvicinamento reciproco tra i soggetti; sono fermamente convinta della nozione di udienza come luogo di circolazione delle informazioni e di ascolto necessario per giungere, partendo dallo studio degli atti, alla conoscenza degli effettivi interessi in gioco; sono fermamente convinta dell’importanza della natura pubblica delle udienze collegiali, manifesto irrinunciabile del controllo esterno della giurisdizione da parte del popolo nel cui nome pronunciamo le nostre sentenze». 197 Cfr. M. Orlando, in F. De Stefano, La Giustizia, cit., 13: «tranne sporadici casi, non mi sembra che ci siano state numerose occasioni per “sperimentare” l’udienza a distanza così come delineata dal DL 18/2020».

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Piero Sandulli

La natura giuridica delle federazioni sportive ed il loro ruolo nell’elenco ISTAT Sommario: 1. Posizione del tema. – 2. La fattispecie. – 3. Le ordinanze della Corte dei Conti. – 4. La decisione della Corte di Giustizia (profili generali). – 5. I quesiti pregiudiziali posti alla Corte di Giustizia. – 6. Il primo quesito: la natura generale del controllo. – 7. Il secondo quesito: la capacità di determinare la gestione operativa delle federazioni sportive. – 8. Il terzo quesito: il contributo pubblico e la sua incidenza sull’autonomia delle federazioni sportive. – 9. Analisi delle indicazioni della Corte di Giustizia. – 10. Analisi della sentenza n. 10 del 30 aprile 2020. – 11. Considerazioni relative alla decisione della Corte dei Conti. – 12. Conclusioni.

L’Autore analizza, nel presente articolo, il decisum della Corte dei Conti, contenuto nella sentenza n. 10/2020, resa in applicazione dei parametri segnalati dalla Corte di giustizia europea, con la pronuncia del 11.9.2019. Prendendo le mosse da tali provvedimenti, viene fatta chiarezza sulla natura delle federazioni sportive e sul loro grado di autonomia rispetto al controllo pubblico . In particolare, l’attenzione viene soffermata sul potere di vigilanza che esercita il CONI e sull’incidenza dei contributi pubblici che vengono erogati alle federazioni sportive nazionali. In this article, the Author analyzes the decisum of the Court of Auditors, contained in sentence n. 10/2020, adopted in accordance with the parameters identified by the Court of Justice of the European Communities, with the judgment of 11 September 2019. Taking the cue from these decisions, clarity is made on the nature of sports federations and on their autonomy from public control. In particular, the focus is on the power of supervision exercised by the Italian National Olympic Committee (CONI) and on the incidence of public contributions granted to national sports federations.

1. Posizione del tema. La decisione delle sezioni riunite della Corte dei Conti, numero 10, pubblicata il 30 aprile 2020, se non risolve completamente il tema della natura delle federazioni sportive contribuisce, quanto meno, a fare chiarezza sull’argomento definendo i limiti di incidenza del controllo del Comitato Olimpico sulle Federazioni sportive e sulle altre discipline associate.

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Piero Sandulli

La sentenza della Corte contabile costituisce la prima risposta integrante la misurazione dei parametri segnalati dalla Corte di Giustizia Europea, con la decisione dell’undici settembre 20191, al fine di verificare, in concreto, la sussistenza di un controllo del CONI di misura tale da limitare, se non impedire totalmente, l’autonomia gestionale delle Federazioni sportive e delle discipline associate.

2. La fattispecie. La vicenda processuale viene originata dall’inserimento nell’elenco dell’Istat relativo alle pubbliche amministrazioni, per il 2016, delle Federazioni sportive in quanto soggette al controllo pubblico e, pertanto, produttrici di reddito pubblico tanto da dover essere censite tra le amministrazioni pubbliche. Per meglio comprendere quanto statuito dalle Sezioni riunite della Corte dei Conti, con la decisione numero 10 del 30 aprile 2020, occorre ricordare, in breve, le origini del tema sul quale i giudici contabili hanno deciso. La Corte dei Conti con due ordinanze, datate 13 settembre 2017, relative a due diversi giudizi promossi dalla Federazione Italiana Golf (F.I.G.) e dalla Federazione Italiana Sport Equestri (F.I.S.E.), nei confronti dell’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), poneva all’attenzione della Corte di Giustizia Europea, sedente a Lussemburgo, tre questioni, integranti la pregiudiziale comunitaria, relativa alla natura delle Federazioni Sportive. Le questioni poste all’attenzione del giudice comunitario avevano ad oggetto l’interpretazione del regolamento dell’Unione Europea n. 549/2013, relativo al sistema europeo dei conti nazionali e regionali dell’Unione Europea. Il contenzioso sollevato, innanzi alla Corte dei Conti2, era stato promosso dalle due federazioni sportive al fine di ottenere l’annullamento della determinazione dell’ISTAT di inserirle nell’“elenco Istat per il 2016”3, sul presupposto – contestato dalle ricorrenti – che esse erano soggette al controllo pubblico esercitato dal C.O.N.I. e, pertanto, in base al sistema contabile, denominato “SEL 2010”, da ricomprendersi tra le amministrazioni pubbliche, come previsto dalla tabella allegata al citato sistema.

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La decisione della Corte di Giustizia UE dell’11 settembre 2019, nelle cause riunite con i numeri di ruolo C-612/17 e C-613/17 nei confronti della Federazione Italiana Golf e della Federazione Sport Equestri, relative al contenzioso istaurato con l’ISTAT e con il Ministero dell’Economia e delle Finanze è pubblicata sulla Rivista dell’Economia dello Sport 2019, f. 3, 169. Inoltre, a pag. 131 del medesimo fascicolo della stessa Rivista è pubblicata la nota di P. Sandulli dal titolo La natura giuridica delle federazioni sportive italiane e il rapporto con il CONI alla luce della sentenza della Corte di Giustizia UE dell’11 settembre 2019. La competenza giurisdizionale in materia è passata alla Corte dei Conti in base al dettato del comma 169 dell’articolo 1 della legge del 24 dicembre 2012, n. 228, in precedenza competenti a decidere erano i giudici amministrativi. Tale determinazione è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 30 settembre 2016.

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Al riguardo, l’Istituto di statistica riteneva che le federazioni, benché dotate di una certa autonomia decisionale, avevano capacità di autodeterminazione a causa del controllo, a carattere sostanziale, esercitato dal C.O.N.I. sulla loro gestione4. Le federazioni ritengono erronea l’analisi dell’allegato A, punto 20.15 del regolamento comunitario n. 549 del 2013 affermando che non possa loro applicarsi la nozione di “controllo pubblico” basata su tre criteri elencati dalla normativa comunitaria e non presenti nella fattispecie in esame. Per prima cosa, affermano le due federazioni ricorrenti, non è sufficiente a ritenere la sussistenza del controllo pubblico la semplice esistenza di una regolamentazione generale di settore, quale quella operata dal C.O.N.I. sulle federazioni sportive. La seconda doglianza avanzata dalle ricorrenti è relativa ad una sostanziale mancanza, da parte della amministrazione (costituita dal C.O.N.I.), di determinare la politica e/o il programma delle federazioni affiliate. Infine, non è presente nella fattispecie il criterio relativo al grado di finanziamento, previsto dall’allegato A al punto 20.15, lettera D) del Regolamento comunitario n. 549, del 2013, poiché il finanziamento ricevuto dal C.O.N.I. è minoritario (pari al 30%) rispetto ai fondi propri, derivanti dalle quote associative delle federazioni.

3. Le ordinanze della Corte dei Conti. Le due decisioni del 2017 dei giudici contabili si sono trovate nella necessità di dare interpretazione ad una normativa comunitaria non linearissima, ritenendo opportuno sospendere il procedimento per poter portare all’analisi ed alla interpretazione della Corte di Giustizia, le questioni pregiudiziali di seguito riportate. Il primo quesito sollevato è relativo al concetto di intervento pubblico in forma di regolamentazione generale, cioè se esso debba intendersi in senso ampio e pertanto “comprensivo anche dei poteri di indirizzo di natura sportiva e dei poteri di riconoscimento, previsti dalla legge, ai fini dell’acquisto della personalità giuridica e della operatività nel settore dello sport”, riferibili a tutte le federazioni sportive italiane. Il secondo quesito, portato all’attenzione dei giudici sedenti in Lussemburgo, è relativo all’indicatore del controllo esercitato, vale a dire “la capacità di determinare la politica generale o il programma di una unità istituzionale”. Viene, pertanto, richiesto alla Corte di Giustizia se siano sufficienti i riferimenti ad un controllo in senso atecnico, esercitato attraverso i poteri di vigilanza esterna attributi al C.O.N.I. dal decreto legislativo n. 242

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La questione era già stata affrontata in precedenza dal Tribunale Amministrativo Regionale (giurisdizionalmente competente fino al 2012) che con due decisioni n. 6195 del 12 luglio 2011 e n. 6213, emessa nella stessa data, avevano annullato l’inserimento nell’elenco ISTAT, sul presupposto dell’insussistenza dei requisiti necessari per detta inclusione.

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del 1999 (e successive modificazioni), ovvero se tale indicatore debba derivare da una più pregnante incidenza del controllo sulle decisioni delle federazioni sportive5. L’ultimo quesito, formulato dalle due ordinanze rimettenti della Corte dei Conti, è relativo all’indicatore del finanziamento per poter definire la “dipendenza” delle singole federazioni. In particolare, i giudici contabili chiedono alla Corte comunitaria come debbano essere considerati i finanziamenti che derivano alle federazioni dalle quote associative degli aderenti. Il tema viene così puntualizzato dalla Corte rimettente: “se, in base al combinato disposto delle norme contenute nel regolamento n. 549/2013 (in particolare quelle previste dai punti 20.15; 4.125; 4.126, dell’allegato a) possa tenersi conto delle quote associative ai fini del giudizio sull’esistenza, o no, del controllo pubblico, specificando se un elevato importo delle predette quote, unitamente ad altre entrate proprie, possa attestare, alla luce delle specificità della fattispecie concreta, la presenza di una significativa capacità di autodeterminazione dell’ente non lucrativo”.

4. La decisione della Corte di Giustizia (profili generali). Al fine di dare risposta ai quesiti formulati dai giudici contabili italiani, la Corte di Giustizia ha preso le mosse dalla analisi della normativa italiana esaminando, in rapida successione, le regole derivanti dalla legge n. 280 del 2003 (in particolare l’articolo 1, che sancisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo) e dal decreto legislativo n. 242 del 1999, ulteriormente integrato in tema di giusto processo sportivo, dal successivo decreto legislativo n. 15 del 2004, soffermandosi sugli articoli 15 e 16 che definiscono la natura ed il ruolo delle federazioni sportive, nonché il grado di “controllo” esercitato dal C.O.N.I. Per dare maggior corpo a questo inquadramento la Corte lussemburghese ha esaminato anche lo Statuto del C.O.N.I.; dalla normativa esaminata emerge, in modo chiaro ed inequivocabile, la diversa natura giuridica del C.O.N.I. (ente pubblico) e quella delle federazioni sportive (soggetti di diritto privato). È altrettanto evidente il controllo esercitato dal C.O.N.I. atto a garantire la rispondenza ai criteri generali per l’inserimento di ogni singola federazione nella filiera dello sport (CIO/ CONI/Federazione), controllo limitato, come ricorda l’articolo 7 dello Statuto dell’ente, agli “aspetti di rilevanza pubblicistica”, fino a giungere all’eventuale commissariamento, nelle ipotesi di “accertate gravi irregolarità nella gestione o di gravi violazioni dell’ordinamento sportivo” oppure in considerazione della impossibilità del loro funzionamento. Ricorda, lo

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In precedenza le Sezioni riunite della Corte dei Conti, con la decisione n. 20 del 2015 (in corteconti.it.) avevano ritenuto che “non necessariamente ed automaticamente le federazioni sportive affiliate al C.O.N.I. debbano essere considerate quali componenti dell’area della pubblica amministrazione” dovendosi accertare caso per caso la sussistenza, o no, del controllo da parte del Comitato Olimpico, ente pubblico.

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stesso articolo 7 dello Statuto, che il C.O.N.I. può anche intervenire attraverso la nomina di un commissario ad acta per il compimento di specifici adempimenti regolamentari. Dunque, ai fini di verificare la sussistenza di un eventuale controllo la Corte, sedente in Lussemburgo, ha fermato l’attenzione sul dettato dell’articolo 20 dello Statuto del C.O.N.I. rilevando che se da una parte le federazioni sportive nazionali “svolgono l’attività sportiva e le relative attività di promozione, in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del C.I.O. e del C.O.N.I., anche in considerazione della rilevanza pubblica di specifici aspetti di tale attività”, in altra parte (del medesimo articolo) si afferma che: “nell’ambito dell’ordinamento sportivo alle federazioni sportive nazionali è riconosciuta l’autonomia tecnica, organizzativa e di gestione, sotto la vigilanza del C.O.N.I.”. Delimitato in tal modo il tema formulato dall’interrogativo proposto dai giudici contabili italiani, il giudice comunitario passa all’esame dei singoli quesiti puntualizzati nella propria decisione.

5. I quesiti pregiudiziali posti alla Corte di Giustizia. Prendendo le mosse dai tre criteri, che occorre valutare per determinare se una federazione sportiva debba essere considerata soggetta al controllo pubblico e quindi rientrante nel settore delle amministrazioni pubbliche, censito dall’ISTAT, la Corte di Giustizia chiarisce che essi sono relativi: 1) alla natura (generale o peculiare) del controllo pubblico; 2) all’autonomia o dipendenza nella individuazione delle politiche da seguire nel contesto sportivo; 3) al grado ed all’entità del finanziamento pubblico, dal quale far discendere l’eventuale limitazione dell’autonomia di gestione, delle federazioni in quanto enti senza scopo di lucro. Al riguardo, rileva la Corte europea che, dal regolamento comunitario n. 549 del 2013, non sono desumibili indicazioni univoche e chiare prestandosi, le norme contenute in esso, a chiavi di lettura discordanti e contrapposte. In particolare, in merito al primo criterio non è sufficiente un intervento del C.O.N.I., di natura generale, per sancire la sussistenza di un controllo pubblico ma è necessario, invece, misurare la effettiva incidenza del “controllo” attuato dall’Ente pubblico sportivo. In merito al secondo requisito, quello dell’autonomia, pur nel rispetto delle linee guida dettate dalla filiera sportiva, nell’ambito dell’organizzazione dell’attività sportiva e gestionale delle singole federazioni, se sia limitato solo in modo formale dalla vigilanza del C.O.N.I., oppure, se il controllo esercitato sia tale da determinare la politica generale delle federazioni dirigendone e condizionandone la gestione. Quanto al terzo requisito da misurare, quello relativo al grado di finanziamento, è necessario verificare, alla luce del regolamento europeo n. 349/2013, se una limitata incidenza pubblica del finanziamento possa determinare un reale condizionamento delle federazioni sportive, che ne limiti, in modo rilevante, l’autonomia.

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6. Il primo quesito: la natura generale del controllo. Preso atto delle perplessità sollevate, dal giudice rimettente, circa l’inquadramento da dare all’incontestato controllo generale che il C.O.N.I. esercita sulle federazioni sportive, la Corte di Giustizia dell’Unione, con la sentenza EU: C 2019-705 dell’undici settembre 2019, ha fornito la seguente indicazione: “occorre rispondere alla prima questione dichiarando che la nozione di intervento pubblico in forma di regolamentazione generale applicabile a tutte le unità che svolgono la stessa attività, di cui all’allegato A, punto 20.15, seconda frase, al regolamento n. 549/2013, deve essere interpretata nel senso che essa comprende qualsiasi intervento di un’unità del settore pubblico, che stabilisce o applica una regolamentazione volta ad assoggettare indistintamente e uniformemente il complesso delle unità del settore di attività interessato a norme globali, ampie e astratte o ad orientamenti generali, senza che una siffatta regolamentazione possa, per la sua natura o per il suo carattere segnatamente “eccessivo”, ai sensi dell’allegato A, punto 20.39, lettera h), al regolamento n. 549/2013, dettare, di fatto, la politica generale o il programma delle unità del settore di attività interessato”.

7. Il secondo quesito: la capacità di determinare la gestione operativa delle federazioni sportive.

In merito al secondo tema pregiudiziale, proposto dai giudici contabili italiani, la Corte di Giustizia ha fornito le seguenti indicazioni: “la nozione di capacità di determinare la politica generale o il programma di un’istituzione senza scopo di lucro, ai sensi dell’allegato A, punto 10.15, prima frase, al regolamento n. 549/2013, deve essere interpretata come la capacità di un’amministrazione pubblica di esercitare stabilmente e permanentemente un’influenza reale e sostanziale sulla definizione e sulla realizzazione stessa degli obiettivi dell’istituzione senza scopo di lucro, delle sue attività e dei loro aspetti operativi, nonché degli indirizzi strategici e degli orientamenti che l’istituzione, senza scopo di lucro, intende perseguire nell’esercizio di tali attività. In controversie come quelle di cui ai procedimenti principali, spetta al giudice nazionale verificare, alla luce degli indicatori di controllo di cui all’allegato A, punto 2.39, lettera da a) ad e), e punto 20.15, lettere da a) ad e), del regolamento n. 549/2013, nonché alla luce degli indicatori di controllo applicabili alle istituzioni senza scopo di lucro, previsti all’allegato A, punto 2.39, del medesimo regolamento, se un’amministrazione pubblica, come il Comitato olimpico nazionale, eserciti un controllo pubblico su federazioni sportive nazionali, costituite sotto forma di istituzioni senza scopo di lucro, come quelle di cui trattasi nei procedimenti principali, effettuando, a tal fine, una valutazione complessiva che implica, per sua natura, un giudizio soggettivo, conformemente all’allegato A, punto 2.39 ultima frase, punto 20.15, frasi dalla quinta all’ottava, e punto 20.31, di detto regolamento”.

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8. Il terzo quesito: il contributo pubblico e la sua incidenza

sull’autonomia delle federazioni sportive.

Per fornire risposta al terzo quesito, sollevato dalla Corte dei Conti, i Giudici di Lussemburgo offrono i seguenti parametri: l’allegato A deve essere interpretato “nel senso che le quote associative versate dagli aderenti ad un’istituzione senza scopo di lucro di diritto privato, come le federazioni sportive nazionali di cui trattasi, devono essere prese in considerazione al fine di verificare la sussistenza di un controllo pubblico. Dette quote associative, nonostante la qualità privatistica dei loro debitori e la loro qualificazione giuridica nel diritto nazionale, possono presentare, nell’ambito dell’indicatore di controllo relativo al grado di finanziamento, di cui all’allegato A, punto 2.39, lettera d), e punto 20.15, lettera d), del menzionato regolamento, carattere pubblico quando si tratta di contributi obbligatori i quali, senza necessariamente costituire il corrispettivo del godimento effettivo dei servizi forniti, sono percepiti in relazione ad un interesse pubblico a favore delle federazioni sportive nazionali esercenti un monopolio nella disciplina sportiva di cui si occupano. Nel senso che la pratica dello sport nella sua rilevanza pubblicistica è soggetta alla loro autorità esclusiva, a meno che tali federazioni non conservino l’autonomia organizzativa e di bilancio riguardo alle suddette quote associative, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare. Nel caso in cui detto giudice giungesse alla conclusione che le quote in parola devono essere considerate contributi pubblici, esso dovrà ancora verificare se, nonostante il finanziamento quasi completo delle federazioni sportive nazionali interessate da parte del settore pubblico, i controlli esercitati su tali flussi di finanziamento siano sufficientemente restrittivi per influenzare, in modo reale e sostanziale, la politica generale o il programma delle summenzionate federazioni, o se queste ultime rimangano in grado di determinare, in via autonoma, la suddetta politica o il programma.”

9. Analisi delle indicazioni della Corte di Giustizia. In sostanza, la Corte europea, dopo aver offerto alcune chiavi di lettura del Regolamento comunitario numero 349, del 21 maggio 2013, rimanda, per le valutazioni del caso, alla Corte dei Conti rimettente, la concreta individuazione dei criteri richiesti (dal regolamento e dai suoi allegati) per inserire, o no, le federazioni sportive nell’elenco delle amministrazioni pubbliche, incluse nel conto economico consolidato delle pubbliche amministrazioni. Al riguardo va, altresì, considerato che il quadro normativo nazionale, a seguito dell’approvazione della legge di bilancio per l’anno 20196, è mutato in quanto attualmente i fi-

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La legge n. 145 del 31 dicembre 2018, nella quale l’articolo 1, al comma 633, ha dettato le nuove competenze previste per la società “Sport e Salute”, che è subentrata alla società C.O.N.I. Servizi prevista dalla legge n. 178 del 2002, più specificamente dall’articolo 8.

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nanziamenti alle federazioni sono operati, attraverso la società “Sport e salute” p.a., che è succeduta (con competenze diverse) alla “C.O.N.I. Servizi” Spa7. Pertanto, ai fini della valutazione del controllo delle federazioni sportive, ad opera dell’ente pubblico C.O.N.I., è venuto meno uno degli elementi portanti, quello del finanziamento pubblico ad opera del C.O.N.I., asseritamente condizionante, l’attività delle federazioni sportive.

10. Analisi della sentenza n. 10 del 30 aprile 2020. Con la decisione annotata le sezioni riunite della Corte dei Conti, dopo la pronuncia della Corte di Giustizia, hanno dato risposta ai quesiti formulati dai giudici di Lussemburgo prendendo le mosse da un giudizio proposto dalla Federnuoto e rimasto sospeso in attesa della decisione della Corte di Giustizia. a) In merito al primo quesito, puntualizzato nel paragrafo sei, relativo alla natura generale del controllo, i giudici contabili hanno affermato che non incide sull’autonomia decisionale delle Federazioni sportive il potere del C.O.N.I. di riconoscimento, ai fini sportivi, delle stesse. Invero, “nella competenza ad applicare la disciplina del riconoscimento il C.O.N.I. non attua un intervento, né eccessivo, né idoneo a determinare la politica generale o il programma delle Federazioni riconosciute in quanto il provvedimento di riconoscimento, come di revoca del medesimo, è emesso a mero riscontro del possesso dei requisiti stabiliti dalla normativa generale senza che il Comitato olimpico possa esercitare in questa sede alcuna discrezionalità”. Circoscritto l’intervento del C.O.N.I. ai principi fondamentali8, dunque, il potere del comitato ha una “finalità regolatoria, volta ad uniformare le caratteristiche degli statuti delle Federazioni a tutela dell’interesse pubblico generale al possesso di caratteristiche operative uniformi da parte delle federazioni partecipanti al sistema sportivo”.

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Con la nuova normativa, in base alla quale la trasmissione dei finanziamenti avviene ad opera della società pubblica, interamente posseduta dallo Stato, il parametro deve essere riconsiderato. Invero, i finanziamenti non passano attraverso il C.O.N.I., che non ha nessun ruolo né nella quantificazione, né nella distribuzione degli stessi, essi, dunque, non sono in grado di determinare alcun condizionamento. Il deliberato del C.O.N.I.in materia (“Principi fondamentali degli statuti delle Federazioni Sportive Nazionali, delle discipline sportive associate”, da ultimo approvati con deliberazione del consiglio Nazionale n. 1613 del 4 settembre 2018 e d.P.C.M. UPS del 14 settembre 2018, reperibile sul sito istituzionale del C.O.N.I.) è infatti limitato alla enunciazione e precisazione di principi generalissimi (principio comunitario, principio di legalità, principio di separazione dei poteri, principio di democrazia interna a base collettiva, principio di democrazia interna a base personale, principio assembleare, principio dell’eleggibilità alle cariche federali, principio di decadenza degli organi federali, principio di territorialità, principio di tutela degli interessi collettivi delle società e delle associazioni sportive, principio di trasparenza, principio di libera prestazione delle attività sportive, principio di distinzione tra attività professionistiche e attività non professionistiche, principio di tutela sportiva delle atlete in maternità, principio di giustizia sportiva, principio di etica sportiva, procedura di tesseramento, affiliazione e riaffiliazione.

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Tale potere, integrandosi nella normativa di carattere generale, non implica alcun controllo o limitazione sulla “sfera decisionale dei programmi o attività delle federazioni” essendo complementare ai compiti di indirizzo in materia sportiva. Pertanto, in merito al primo quesito formulato dalla Corte di Giustizia può escludersi la sussistenza del requisito di un controllo limitante l’autonomia delle federazioni sportive. b) In relazione al secondo quesito, elaborato dai giudici sedenti in Lussemburgo, la Corte dei Conti, nella sua composizione a sezioni riunite, ha rilevato che “per effetto delle modifiche normative introdotte dalla legge n. 145/2018 l’assegnazione dei contributi pubblici alle federazioni è oggi affidata alle determinazioni di Sport e Salute s.p.a. quale “soggetto incaricato di attuare le scelte di politica pubblica sportiva con particolare riferimento all’erogazione dei contributi per l’attività sportiva da destinare alle federazioni sportive nazionali”; tale società “provvede al riparto delle risorse, da quantificare quali contributi pubblici, anche sulla base degli indirizzi generali in materia sportiva adottati dal C.O.N.I. in armonia con i principi dell’ordinamento sportivo internazionale”. Operata questa premessa, dalla quale scaturisce la considerazione, in precedenza da me riscontrata9, che, essendo maturato il soggetto erogatore, il “controllo” del C.O.N.I. si è, di fatto, ridotto, la decisione in esame ha rilevato che “risulta che l’intervento pubblico in materia di bilancio e gestione dei contributi pubblici è in grado di condizionare le decisioni delle Federazioni attraverso il sistema di assegnazione e controllo sull’utilizzo dei contributi pubblici. Detto sistema incide infatti fortemente sugli obiettivi strategici (direttamente attuativi della politica dello sport), i quali sono individuati dall’Autorità di Governo, tradotti in concreta contribuzione da Sport e Salute con standard vincolanti di utilizzo, e verificati, quanto all’utilizzo dei contributi conformemente a tali obiettivi strategici, dal C.O.N.I. nell’esercizio dei suoi compiti di controllo e vigilanza, sia in sede di approvazione del bilancio che di controllo, tanto che i contributi pubblici possono essere revocati dall’Autorità di Governo in caso di “scorretto utilizzo”. Chiarisce, però, la Corte che le Federazioni, pur inserite nel sistema sportivo, rimangono soggetti di diritto privato “la cui autonomia le mette in grado di espletare attività coerenti con i loro fini istituzionali (nei limiti dei rispettivi statuti) in materie non soggette ad alcun intervento pubblico, né quanto all’individuazione degli obiettivi (neanche strategici), né quanto all’utilizzo delle risorse. L’utilizzo delle risorse diverse dai contributi pubblici non è soggetto ad alcun intervento pubblico (l’effetto “autorizzatorio” all’utilizzo delle relative entrate, conseguente all’approvazione del bilancio, non costituisce un intervento pubblico sufficiente ad integrare “controllo” ex se, a fronte del fatto che i poteri pubblici di indirizzo

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Annotando la decisione della Corte di Giustizia UE, sulla Rivista di diritto ed economia dello sport, 2019, f. 3, p. 138, ho avuto modo di considerare che il sistema di finanziamento delle federazioni sportive e delle associazioni di promozione sportiva ad esse equiparate è profondamente mutato a seguito delle recenti modifiche normative. Invero, mentre fino al 2018 le federazioni sportive e le associazioni ricevevano dal C.O.N.I.erogazioni di denaro, più o meno rilevanti rispetto al loro bilancio federale e/o associativo, a far data dalla legge di bilancio per il 2019, dette erogazioni sono operate non dal C.O.N.I., bensì, dalla società per azioni, interamente pubblica, “Sport e Salute”. Detta rilevante modifica normativa ha fatto venir meno il sistema di erogazione precedente che aveva dato motivo per la formulazione della questione pregiudiziale comunitaria”.

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e controllo alle attività delle FSN sono circoscritti alle materie di rilevanza pubblicistica e, tra queste, all’utilizzo delle sole entrate costituenti “contributi pubblici”), se non nelle ipotesi di gravi irregolarità di gestione”. Pertanto, il requisito del “controllo” nel caso in esame, secondo il quesito commissionato dalla Corte di Giustizia, non è tale da determinare l’indirizzo gestionale delle Federazioni. In particolare, di quelle portatrici di ricorse proprie. c) Venendo ad indagare intorno al terzo profilo, sollevato dai giudici comunitari, quello relativo alla misura ed all’incidenza del contributo pubblico sulle scelte delle federazioni, le sezioni riunite dalla Corte dei Conti hanno rilevato che: il grado di finanziamento sarà determinato dal rapporto tra i contributi pubblici e le altre entrate, diverse dalla contribuzione, ivi comprese le quote versate alla federazione dagli associati, e rimane irrilevante la soluzione della questione sulla natura pubblica o privata delle quote associative. Difatti anche affermare la natura pubblica delle quote associative non consentirebbe di attestare l’esistenza di un “controllo” pubblico poiché non è configurabile alcun intervento pubblico sul flusso delle quote associative, né quanto alla determinazione della sua entità, né quanto a suo utilizzo; per conseguenza l’amministrazione non ha alcuna facoltà “di controllare completamente l’uso che le federazioni fanno delle quote”10. Anche dalla analisi degli ulteriori indicatori esaminati dalla sentenza delle sezioni riunite, al punto 9 di detta decisione (nomina dei funzionari; esposizione al rischio; messa a disposizione di strumenti che consentono l’operatività; contratto di servizio) non emergono elementi tali da far ritenere la sussistenza di un controllo pubblico sulle federazioni. Pertanto, non riscontrando l’esistenza di alcuno dei parametri le sezioni riunite della Corte dei Conti hanno concluso che “deve ritenersi non sussistente nei confronti della F.I.N. la situazione di “controllo” rilevante per l’inserimento nell’impugnato elenco delle pubbliche amministrazioni.

11. Considerazioni relative alla decisione della Corte dei

Conti.

La sentenza dei giudici contabili espressa, al massimo livello, dalle sezioni riunite nel recepire le indicazioni della Corte di giustizia europea ha applicato i misuratori, da essa identificati, giungendo alla conclusione che non sussiste un controllo sostanziale ed eco-

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Nel caso esaminato dalla Corte dei Conti, relativo alla Federazioni Italiana Nuoto, è stato riscontrato che “il valore della produzione della F.I.N., è costituito per il 47,8% (euro 19.081.980) da quote associative versate dagli aderenti all’istituzione senza scopo di lucro, per il 18,9% (euro 7.536.846) da ricavi per manifestazioni, pubblicità e sponsorizzazioni e ricavi della gestione ordinaria, e solo per il 33,1% (euro 13.220.895) da contributi pubblici. Se ne deve concludere che, nella fattispecie, i contributi pubblici non costituiscono il motore economico determinante né prevalente della Federazione ricorrente, la quale gode di una alta autonomia finanziaria nel complesso, basata su risorse diverse e derivanti per la gran parte da quote associative”.

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nomico del Comitato olimpico, tale da condizionare in maniera sostanziale l’operato delle federazioni sportive che restano libere nel loro agire e nella scelta delle strategie da seguire. È, tuttavia, evidente dalla decisione annotata che tale libero operato deve, in ogni caso, inserirsi nella filiera del sistema sportivo, che nasce dal C.I.O. per terminare, attraverso il vincolo derivante dal tesseramento, nel regolare il comportamento di tutti gli aderenti all’ordinamento sportivo, del quale la legge n. 280 del 2003 garantisce l’autonomia con il solo limite della rilevanza per lo Stato (art. 1). Tuttavia, la sentenza della Corte dei Conti, soffermandosi sulla misurazione della quantità di risorse proprie utilizzate da ogni singola Federazione, in concorrenza con quelle ad essa pervenute dallo Stato, attraverso la società di capitali “Sport e salute”, potrebbe far adombrare una distinzione tra Federazioni ricche di risorse proprie e quelle che, invece, hanno una percentuale di risorse da esse stesse prodotte, inferiori al cinquanta per cento del totale. A ben vedere, però, tale valutazione, integrando uno solo dei tre parametri, indicati dalla Corte di Giustizia UE, non può determinare tale diverso inquadramento delle varie Federazioni. Va, in ogni caso, valutato positivamente il corretto inquadramento del “controllo formale” esercitato dal C.O.N.I. sulle Federazioni. Tale sforzo sistematico, nascente dal coordinato disposto delle due decisioni (della Corte di Giustizia e della Corte dei Conti) contribuisce a disegnare correttamente il rapporto tra il Comitato olimpico e le Federazioni. Del resto una corretta chiave di lettura di questo tema ci deriva anche dal primo comma dell’articolo 23 dello Statuto del C.O.N.I.11, nel quale sono previste in modo chiaro, senza alcuna possibilità di interpretazione estensiva12, le funzioni pubblicistiche, delegate dal C.O.N.I. alle Federazioni sportive, vale a dire quelle: “relative all’ammissione e all’affiliazione di società di associazioni sportive e di singoli tesserati; alla revoca qualsiasi titolo e alla modificazione dei provvedimenti di ammissione o di affiliazione; al controllo in ordine al regolare svolgimento delle competizioni e dei campionati sportivi professionistici; alla utilizzazione dei contributi pubblici; alla prevenzione e repressione del doping, nonché le attività revocative alla preparazione olimpica”.

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L’art. 23, nella vigente stesura dello Statuto varata dal Consiglio Nazionale del Comitato il 4 maggio 2016, con la deliberazione n. 1549, così recita: “1) Ai sensi del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, e successive modificazioni e integrazioni, oltre quelle il cui carattere pubblico è espressamente previsto dalla legge, hanno valenza pubblicistica esclusivamente le attività delle Federazioni sportive nazionali relative all’ammissione e all’affiliazione di società, di associazioni sportive e di singoli tesserati; alla revoca a qualsiasi titolo e alla modificazione dei provvedimenti di ammissione o di affiliazione; al controllo in ordine al regolare svolgimento delle competizioni e dei campionati sportivi professionistici; all’utilizzazione dei contributi pubblici; alla prevenzione e repressione del doping, nonché le attività relative alla preparazione olimpica e all’alto livello, alla formazione dei tecnici, all’utilizzazione e alla gestione degli impianti sportivi pubblici. 1-bis) Nell’esercizio delle attività a valenza pubblicistica, di cui al comma 1, le Federazioni sportive nazionali si conformano agli indirizzi e ai controlli del C.O.N.I. ed operano secondo principi di imparzialità e trasparenza. La valenza pubblicistica dell’attività non modifica l’ordinario regime di diritto privato dei singoli atti e delle situazioni giuridiche soggettive connesse. 1-ter) La Giunta Nazionale stabilisce i criteri e le procedure attraverso cui garantire la rispondenza delle determinazioni federali ai programmi del C.O.N.I. relativamente alla competitività delle squadre nazionali, alla salvaguardia del patrimonio sportivo nazionale e della sua specifica identità, e all’esigenza di assicurare l’efficiente gestione interna”. 12 In questo articolo è utilizzato il termine: “esclusivamente”.

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Pertanto, solo circa dette attività e nei limiti formali di indirizzo previsti può aversi una delega, ad opera del Comitato olimpico, alle Federazioni sportive, ma nel caso in esame, si tratta di funzioni pubbliche delegate dal C.O.N.I. e non di attività sulle quali si esercita un controllo vincolante del Comitato olimpico. Del resto questa chiave di lettura è in grado di giustificare i procedimenti eccezionali, in deroga alle regole del giusto processo sportivo, adottati dall’articolo 1, della legge n. 145 del 2018, con i commi 647, 648, 649 e 650 e relative alle doglianze in merito alle iscrizioni ai campionati professionistici (solo a quelli professionisti nel rispetto dell’art. 23 dello Statuto del C.O.N.I.) e la recentissima procedura, dettata dalla pandemia, dovuta all’emergenza Covid-19, contenuta nell’articolo 218 del decreto legge n. 34 del 19 maggio 202013, con la quale si dettano le regole relative alle doglianze da far valere direttamente innanzi ai giudici sedenti presso il C.O.N.I. (il Collegio di garanzia dello sport), saltando la filiera dei giudici endofederali14. Anche dal primo comma bis, dell’articolo 23 dello Statuto del C.O.N.I., possono trarsi indicazioni utili, al riguardo; in particolare la parte finale del comma 1-bis) chiarisce: “La valenza pubblicistica dell’attività non modifica l’ordinario regime di diritto privato dei singoli atti15”.

12. Conclusioni. Alla luce di queste considerazioni emerge, dalla lettura della decisione della Corte dei Conti, un quadro organico dei rapporti tra il Comitato olimpico e le Federazioni sportive che consente di affermare la autonomia decisionale delle seconde, anche in merito alle scelte organizzative che sono chiamate a compiere. Ciò porta necessariamente, ad escludere le Federazioni sportive dall’inserimento nell’elenco dell’ISTAT delle amministrazioni pubbliche previste dalla legge n. 196 del 2009. Dall’analisi della decisione delle Sezioni riunite della Corte dei Conti n. 10, del 30 aprile 2020, sono desumibili elementi tali da offrire chiarimenti, in merito alla natura delle Federazioni sportive, e tacitare anche le non poche “fibrillazioni” dei giudici amministrativi sul punto16.

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In Gazzetta Ufficiale n. 21L del 19 maggio 2020. Vedi, sul punto, A. Gambino-P. Sandulli-M. Morgese, La giustizia sportiva ed il Covid-19 prima lettura sui provvedimenti relativi ai campionati, in Riv. Dir. Sportivo, 2020, Modalità telematica. 15 Il comma primo ter è ora, implicitamente, abrogato dalla legge n. 145 del 2018, art. 1, comma 633. 16 Il Consiglio di Stato, con l’ordinanza numero 1007, del 12 febbraio 2019, ha inviato alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea i seguenti quesiti pregiudiziali “– se sulla base delle caratteristiche della normativa interna relativa all’ordinamento sportivo la Federazione calcistica italiana sia qualificabile come organismo di diritto pubblico, in quanto istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; – se in particolare ricorra il requisito teleologico dell’organismo nei confronti della Federazione pur in assenza di un formale atto costitutivo di una pubblica amministrazione e malgrado la sua base associativa, in ragione del suo inserimento in un ordinamento di settore (sportivo) organizzato dal Comitato olimpico nazionale italiano e dagli organismi sportivi internazionali, attraverso il riconoscimento ai fini sportivi dell’ente pubblico 14

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nazionale; – se inoltre tale requisito possa configurarsi nei confronti di una Federazione sportiva quale la Federazione italiana giuoco calcio, dotata di capacità di autofinanziamento, rispetto ad un’attività non a valenza pubblicistica quale quella oggetto di causa, o se invece debba considerarsi prevalente l’esigenza di assicurare in ogni caso l’applicazione delle norme di evidenza pubblica nell’affidamento a terzi di qualsiasi tipologia di contratto di tale ente; – se, sulla base dei rapporti giuridici tra il C.O.N.I. e la F.I.G.C. – Federazione Italiana Giuoco Calcio, il primo disponga nei confronti della seconda di un’influenza dominante alla luce dei poteri legali di riconoscimento ai fini sportivi della società, di approvazione dei bilanci annuali e di vigilanza sulla gestione e il corretto funzionamento degli organi e di commissariamento dell’ente; – se per contro tali poteri non siano sufficienti a configurare il requisito dell’influenza pubblica dominante propria dell’organismo di diritto pubblico, in ragione della qualificata partecipazione dei presidenti e dei rappresentanti delle Federazioni sportive negli organi fondamentali del Comitato olimpico”. Le questioni proposte, ai giudici sedenti a Lussemburgo, erano state originate da due sentenze opposte emesse dal TAR del Lazio (funzionalmente competente in materia di sport) la prima avente n. 3372 del 10 marzo 2017, in www.giustiziaamministrativa.it e la seconda avente n. 4101 del 13 aprile 2018, in www.avvocaturastato.it. Inoltre, la ordinanza della quinta sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato, n. 1007 è stata annotata da P. Sandulli, Discutendo intorno ala natura giuridica delle federazioni sportive, in www.avvocatisport.it.

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Giurisprudenza commentata

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Giurisprudenza Corte di Cassazione, sez. VI civ. – sottosez. III, ordinanza 12 marzo 2020, n. 7055 – Pres. Frasca – Rel. Graziosi, E.R., Ma.Ma., A.C., D.L.M., Ma.Al., Ma.Lu., Ma.Mi. c. (Omissis) Llc, (Omissis) Srl Esame della questione di competenza – Integrità del contraddittorio – Preliminarietà rispetto a ogni altra questione di rito La questione di competenza può essere validamente esaminata solo una volta che nel giudizio di merito sia stata ricostituita l’integrità del contraddittorio, che ha carattere preliminare rispetto ad ogni altra questione di rito, compresa quella di giurisdizione (massima non ufficiale). Questione di integrità del contraddittorio – Deducibilità nel regolamento di competenza necessario – Ammissibilità È ammissibile il regolamento di competenza necessario, contenente una censura relativa alla violazione delle norme poste a presidio della corretta instaurazione del contraddittorio, avverso l’ordinanza declinatoria della competenza, che sia stata pronunciata in difetto di verifica da parte del giudice di prime cure della ritualità della notifica dell’atto introduttivo nei confronti di una parte non comparsa (massima non ufficiale).

(Omissis) 1. E.R., D.L.M., Ma.Al., Ma.Lu., A.C., Ma.Ma. e Ma.Mi., con atto di citazione del 4 settembre 2017, convenivano davanti al Tribunale di Napoli Nord in composizione monocratica le società (Omissis) Irpt., (Omissis) LLC. Irpt. e (Omissis) S.r.l. – le prime due con sede negli Stati Uniti d’America e la terza con sede in Milano –, adducendo di essere titolari di determinati canali sul sito Internet (Omissis), sospesi senza motivo e senza preavviso, e altresì senza comunicare la durata delle sospensioni; pertanto chiedevano che le due società statunitensi fossero dichiarate esclusive responsabili dell’illegittima sospensione dei canali e dei conseguenti danni, che ne fosse ordinata immediata e piena riattivazione, prevedendo una penale per l’ipotesi di ritardo, che (Omissis) Irpt. fosse condannata al pagamento di quanto maturato nella frazione di mese anteriore alla sospensione da ciascuno degli attori, e che (Omissis) LLC. Irpt. fosse condannata al risarcimento degli ulteriori danni.

Si costituivano (Omissis) LLC. Irpt. e (Omissis) S.r.l. eccependo la competenza del Tribunale di Napoli, Sezione Specializzata in materia di Impresa e per il resto comunque resistendo. Alla prima udienza, celebrata il 18 giugno 2018, gli attori chiedevano l’autorizzazione a chiamare in causa (Omissis) Ltd. o, in subordine, l’autorizzazione al rinnovo della notifica dell’atto di citazione nei confronti della (Omissis) statunitense, e i convenuti insistevano per l’accoglimento dell’eccezione di incompetenza del giudice adito, il quale si riservava. 2. Con ordinanza del 26 giugno 2018 il Tribunale ordinario di Napoli Nord dichiarava la propria incompetenza per materia e per territorio a favore della Sezione Specializzata in materia di Impresa del Tribunale di Napoli, assegnando alle parti termine perentorio di tre mesi dalla comunicazione dell’ordinanza per riassumere dinanzi ad esso la causa. L’ordinanza è stata motivata nel senso che l’eccezione di incompetenza doveva ritenersi “assolutamente preliminare rispetto a tutte le altre pur sollevate dalle... parti convenute,

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Giurisprudenza

nonché alle ulteriori istanze avanzate dalla stessa parte attrice” all’udienza del 18 giugno 2018. Qualificata poi tale eccezione come una vera e propria eccezione di competenza, l’adito Tribunale l’ha accolta. 3. E.R., D.L.M., Ma.Al., Ma.Lu., A.C., Ma.Ma. e Ma.Mi. hanno presentato ricorso per regolamento necessario di competenza sulla base di due motivi. 3.1. Il primo motivo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 103 c.p.c., art. 183 c.p.c., commi 1 e 2, art. 382 c.p.c., commi 1 e 2, art. 276 c.p.c., comma 2, nonché dell’art. 111 Cost., comma 1, “giusto processo” –, del principio del contraddittorio e del principio di difesa in relazione all’art. 24 Cost., e violazione degli artt. 101 e 164 c.p.c. e dell’art. 6, paragrafo 1, CEDU; denuncia altresì, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, nullità dell’ordinanza e del procedimento. Si adduce che la verifica della regolarità del contraddittorio avrebbe comportato, una volta constatata la mancata notificazione dell’atto di citazione alla convenuta (Omissis) Irpt. non essendo ritornato il relativo avviso di ricevimento ed essendosi perdute all’esito di ricerche in posta le tracce della notificazione stessa, la disposizione della rinnovazione della notifica dell’atto introduttivo per integrare correttamente il contraddittorio, “laddove il Tribunale non avesse ritenuto di accogliere la richiesta di chiamata in causa della (Omissis) Ireland Ltd.” – che gli attori avevano avanzato nella prima udienza – in sostituzione della società statunitense rispetto alla quale la notifica non si era perfezionata. Il Tribunale ha invece ritenuto “assolutamente preliminare rispetto a tutte le altre” la decisione sull’eccezione di incompetenza, mentre anzitutto occorreva integrarsi il contraddittorio, anche per consentire alla società statunitense di contraddire sull’eccezione di competenza ed eventualmente

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di sollevarne pure ulteriori profili con una propria eccezione. E la giurisprudenza di questa Suprema Corte, “seppur non abbondante”, è orientata in tal senso – anche alla luce dell’art. 382 c.p.c. per cui non più controvertibile è la pronuncia regolativa della competenza (o giurisdizione) del giudice di legittimità –, ritenendo appunto che si debba, “preliminarmente ed imprescindibilmente, regolarizzare correttamente il contraddittorio” (vengono citate S.U. 28 aprile 1976 n. 1492 e S.U. 14 febbraio 1980 n. 1056). Sostengono i ricorrenti che, “non avendosi altre alternative esperibili di impugnazione dell’ordinanza”, il motivo in esame deve essere inevitabilmente sollevato con il regolamento di competenza: “tra l’altro, tale primo motivo è teso a contestare una parte integrante e determinante –ancorché trascurata ed ignorata in quanto non ritenuta preliminare – della pronuncia sulla competenza emessa dal Tribunale”. D’altronde, in difetto di un mezzo di impugnazione, tenuto in conto l’interesse degli attuali istanti ad una ragionevole durata del processo che sarebbe “precluso” se dovessero poi risultare nulli “uno o anche più gradi” del giudizio –, si verificherebbe “una evidente e non più sanabile nullità processuale totale di tutta l’attività istruttoria... svoltasi prima della regolare evocazione”, in alternativa, o della (Omissis) statunitense o della (Omissis) irlandese. 3.2 Il secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 5 c.p.c., nonché falsa applicazione del D.Lgs. n. 168 del 2003, art. 3, comma 3, come novellato dalla L. n. 27 del 2012. Questo motivo contesta, con vari argomenti, la ricorrenza della competenza in capo al Tribunale delle Imprese di Napoli. 4. Hanno depositato memoria difensiva (Omissis) LLC. e (Omissis) S.r.l., chiedendo che il ricorso sia rigettato “in quanto inammissibile e infondato” e venga pertanto confermata la com-


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petenza della Sezione Specializzata in materia di Impresa del Tribunale di Napoli. 5. Il procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso per regolamento e per la dichiarazione della competenza del Tribunale di Napoli, Sezione Specializzata in materia di Impresa. (Omissis) 6.1. Il primo motivo, come si è visto, non tratta – quantomeno direttamente – la questione della competenza bensì denuncia, in sostanza, la violazione del principio di contraddittorio e, conseguentemente, pure del diritto dei ricorrenti alla ragionevole durata del processo e del diritto di difesa della parte che non sarebbe stata ritualmente convenuta in giudizio. La natura del contenuto del motivo porta a dirimere un quesito fondamentale, ovvero se nel regolamento necessario di competenza l’istante possa denunciare o meno vizi rituali differenti, in quanto pregiudiziali al vaglio della competenza stessa nella concreta conformazione assunta dal processo. Come si è visto, questa criticità viene affrontata nel motivo, richiamando due pronunce delle Sezioni Unite, in effetti ormai risalenti, che hanno riconosciuto la pregiudizialità della corretta strutturazione del contraddittorio rispetto all’accertamento – non della competenza, bensì della giurisdizione. 6.2. Si tratta di S.U. 28 aprile 1976 n. 1492 – così massimata: “La questione relativa alla nullità della notificazione della citazione introduttiva del giudizio, attenendo alla regolare costituzione del rapporto processuale, deve essere esaminata prima della stessa questione di giurisdizione, poiché anche tale questione, che ha carattere preliminare rispetto ad ogni altra di rito o di merito, presuppone pur sempre l’instaurazione di un valido contraddittorio tra le parti” – e di S.U. 14 febbraio 1980 n. 1056 – a sua volta massimata nel senso che “l’esame della questione di giurisdizione, an-

corché pregiudiziale ad ogni altra questione di rito o di merito, presuppone pur sempre l’instaurazione di un contraddittorio effettivo, e non meramente apparente, per essere stato il rapporto processuale costituito fra soggetti investiti della qualità di parte, in relazione alla natura del rapporto sostanziale...” –. Coerenti a questa impostazione si rinvengono, quantomeno tra le pronunce massimate, alcuni altri arresti. 6.3. Anzitutto, l’ancor più risalente Cass. sez. 1, 11 maggio 1968 n. 1446, per cui “la questione di giurisdizione ha sempre e necessariamente carattere preliminare rispetto ad ogni altra questione di rito e di merito ad eccezione di quelle relative alla regolarità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio ed alla dedotta sanatoria delle eccepite nullità relative alla notificazione medesima” (è evidente la conformità a questo precedente assunta da S.U. 28 aprile 1976 n. 1492). Più prossimi, si riscontrano poi due ulteriori interventi del giudice nomofilattico – S.U. 12 dicembre 2012 n. 22776 e S.U. 4 febbraio 2016 n. 2201 – e, infine, una recentissima sentenza di sezione semplice, Cass. sez. L, 16 agosto 2019 n. 21443. S.U. 12 dicembre 2012 n. 22776 insegna che “l’esame della questione di giurisdizione, ancorché pregiudiziale a quello di ogni altra questione, di rito o di merito, presuppone pur sempre l’instaurazione di un contraddittorio effettivo, e non meramente apparente, per essere stato il rapporto processuale costituito fra i soggetti investiti della qualità di parte in relazione alla natura del rapporto sostanziale. Ne consegue che, ove in appello sia riscontrato un litisconsorzio necessario pretermesso, la questione di giurisdizione deve essere esaminata nel giudizio di primo grado, una volta ivi ricostituita l’integrità del contraddittorio, ai sensi dell’art. 354 c.p.c.”. È evidente che questa pronuncia prosegue il percorso di S.U. 14 febbraio 1980 n. 1056.

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Nella motivazione, l’intervento nomofilattico del 2012 rammenta, tra l’altro – a ben guardare facendo così intendere che la formazione del processo come dinamico strumento accertativo coincide con quella del contraddittorio, che tutto presuppone – che “si è avuto modo di affermare che “la questione dell’integrazione del contraddittorio non costituisce, per sé stessa, questione preliminare di merito ai sensi dell’art. 279 c.p.c., comma 2, nn. 2 e 4, ma, piuttosto, questione processuale; ne, inoltre, costituisce, comunque, questione pregiudiziale attinente al processo ai sensi della stessa norma, dato che le questioni pregiudiziali prese in considerazione dall’art. 279 c.p.c., sono esclusivamente quelle idonee – ove decise in un certo senso – a definire il giudizio, mentre la decisione sulla integrazione del contraddittorio, sia essa positiva o negativa, non può mai porre fine al processo, che invece prosegue in ogni caso...” (il riferimento è a Cass. sez. 1, 15 luglio 2004 n. 13104; conforme è pure Cass. sez. 3, ord. 12 gennaio 2007 n. 449). E in seguito, risolve la causa che aveva in esame ribadendo l’insegnamento formulato dai precedenti arresti delle Sezioni Unite di questa Suprema Corte: “Correttamente la Corte d’appello ha ritenuto che la questione della integrità del contraddittorio avesse carattere pregiudiziale anche rispetto all’esame della questione di giurisdizione introdotta dalla appellante e riproposta...”. La statuizione sul punto della Corte d’appello è conforme all’indirizzo di questa Corte, la quale ha avuto modo di affermare che “l’esame della questione di giurisdizione, ancorché pregiudiziale ad ogni altra questione di rito o di merito, presuppone pur sempre l’instaurazione di un contraddittorio effettivo, e non meramente apparente, per essere stato il rapporto processuale costituito fra soggetti investiti della qualità di parte, in relazione alla natura del rapporto sostanziale” (Cass., S. U., n. 1056 del 1980); analogamente, si è affermato

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che “la questione relativa alla nullità della notificazione della citazione introduttiva del giudizio, attenendo alla regolare costituzione del rapporto processuale, deve essere esaminata prima della stessa questione di giurisdizione, poiché anche tale questione, che ha carattere preliminare rispetto ad ogni altra di rito o di merito, presuppone pur sempre l’instaurazione di un valido contraddittorio tra le parti” (Cass. n. 1492 del 1976). La sentenza impugnata si sottrae quindi alla proposta censura, dovendo la questione di giurisdizione essere esaminata nel giudizio di merito una volta in esso ricostituita la integrità del contraddittorio nel giudizio di primo grado. S.U. 4 dicembre 2016 n. 2201, poi, prosegue nello stesso senso, ancora in relazione ad una questione di giurisdizione: “La questione relativa alla nullità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio riguarda la valida costituzione del rapporto processuale, sicché deve essere esaminata prima della questione di giurisdizione, la quale presuppone pur sempre l’instaurazione di un valido contraddittorio tra le parti”; e richiama espressamente tutta la linea giurisprudenziale sin qui ricostruita (Cass. 1446/1968, S.U. 1492/1976, S.U. 1056/1980, S.U. 22776/2012). 6.4. In riferimento, allora, all’identificazione del giudice dotato di giurisdizione può ben dirsi che la giurisprudenza di questa Suprema Corte si è consolidata nel senso che, rispetto ad essa, è necessariamente antecedente – ovvero, la presuppone – strutturare il contraddittorio in modo compiuto. Peraltro, gli arresti maggiormente significativi presenti in questo orientamento hanno enunciato, per così dire, un principio di generalità superiore, laddove hanno definito la questione di giurisdizione “questione, che ha carattere preliminare rispetto ad ogni altra di rito o di merito” per affermare che, ciò nonostante, rispetto ad essa la costituzione del contraddittorio costituisce un presupposto ineludibile. Il che, in effetti, già


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inibisce reputare che la corretta strutturazione del contraddittorio non valga come presupposto anche per una questione gradualmente successiva rispetto a quella di giurisdizione, come appunto la questione di competenza. Si realizzerebbe altrimenti una contraddittorietà sistemica del tutto evidente, invertendo, in sostanza, il ruolo dei due parametri identificativi del giudice – giurisdizione e competenza –: correttamente il primo – la giurisdizione – conduce a discernere in ordine al secondo – la competenza –, mentre tramite l’inversione appena evidenziata il secondo diventerebbe prescindente da ciò da cui il primo non può prescindere.

Il più contiene il meno, secondo la linea logica di qualunque ragionamento, per cui quanto si è appena rilevato per la giurisdizione è un insegnamento che non può non essere esteso alla competenza. 7. La questione, a questo punto, si sposta – apparentemente, come si verrà ad accertare – su un altro piano: l’utilizzabilità del regolamento di competenza per far valere la mancata integrazione del contraddittorio. Invero, qui parrebbe d’ostacolo un ulteriore orientamento di questa Suprema Corte per cui nel regolamento di competenza possono essere sollevate solo questioni ad essa relative, e non dunque la violazione di norme – non solo sostanziali, bensì anche regolanti il procedimento che non siano direttamente e necessariamente pertinenti alla competenza stessa (Cass. sez. 6-3, ord. 21 luglio 2011 n. 15996 è un esempio chiaro: “In sede di regolamento di competenza possono essere sollevate soltanto questioni relative alla competenza, con esclusione di quelle che, riguardando la decisione della controversia, non attengono in modo diretto e neces-

sario alla competenza, sia che si tratti di questioni processuali, sia che riflettano il rapporto sostanziale dedotto in giudizio”; si tratta di un orientamento con radici lontane sviluppatosi tralatiziamente, per cui v. pure, tra i massimati arresti, Cass. sez. 1, 11 luglio 1974, Cass. sez.3, 11 dicembre 1974 n. 4201, Cass. sez. 3, 4 febbraio 1976 n. 379, Cass. sez. L, 25 settembre 1978 n. 4311, Cass. sez. 3, 5 marzo 1980 n. 1754, Cass. sez. 2, 6 luglio 1984 n. 3964, Cass. Sez. 1, 11 febbraio 2000 n. 1510, Cass. sez. 1, 27 febbraio 2001 n. 2825, Cass. sez. 3, ord. 12983 e, da ultimo, Cass. sez. 6-3, ord. 13 giugno 2016 n. 12126). 7.1. Peraltro, tale pertinenza “diretta e necessaria” viene intesa (già lo manifesta il secondo aggettivo) come pertinenza teleologica: le norme non di competenza che possono essere “ospitate” nel regolamento ad essa relativo devono servire al giudicante mediante l’apporto di “elementi utili al fine di statuire sulla propria competenza” (così, p.es., Cass. sez. 3, ord. 6 giugno 2008 n. 15019, per cui, appunto, “col regolamento necessario di competenza può essere fatta valere la violazione delle sole norme sulla competenza, e non quella di norme sul procedimento, a meno che quest’ultima violazione non abbia avuto per effetto di impedire alla parte di apportare al giudice elementi utili al fine di statuire sulla propria competenza”). In tal senso, dunque, le questioni processuali estranee a siffatta specifica pertinenza vengono assimilate nella categoria del merito (Cass. sez. 2, 23 aprile 2010 n. 9754, prendendo le mosse dal fatto che il regolamento di competenza riguarda esclusivamente la violazione di norme di competenza, 573


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afferma che per decisione di “merito” si intende non solo “una pronuncia sul rapporto sostanziale... ma anche la risoluzione di questioni – di carattere sostanziale o processuale, pregiudiziali diritto o preliminari di merito – diverse da quelle sulla competenza”, la cui risoluzione, dovendo essere censurata con ricorso ordinario, “preclude la necessità e, ove la censura venga proposta, anche la facoltatività dello stesso regolamento di competenza”; sulla peculiarità della questione di strutturazione del contraddittorio rispetto alle questioni pregiudiziali “canoniche” di cui all’art. 279 c.p.c. si rammenti comunque quanto ribadito in motivazione da S.U. 12 dicembre 2012 n. 22776 e sopra riportato). 7.2. E in questa linea, infine, si rinviene pure un recente arresto che svincola, da tale pertinenza qualificata – ovvero necessaria per l’introduzione nel regolamento di competenza –, anche la questione del contraddittorio: Cass. sez. 6-1, ord. 12 luglio 2016 n. 14245, per cui, appunto, nel regolamento di competenza “la emissione della decisione senza previa instaurazione del contraddittorio può assumere rilevanza non quale violazione in sé considerata, ma solo ove la parte ricorrente evidenzi e dimostri che detta violazione abbia avuto effetto di impedirle di apportare al giudice elementi utili al fine di statuire sulla propria competenza, tali da condurre a diversa decisione”. Principio, questo, che appare rapportarsi ad un difetto di instaurazione del contraddittorio nei confronti della stessa parte ricorrente, e che comunque è motivato nel seguente modo: “ritenuto che la emissione della decisione sulla competenza senza previa instaurazione del 574

contraddittorio può assumere rilevanza in sede di regolamento di competenza (escluso nella specie ogni profilo di inammissibilità del regolamento...) non quale violazione in sé considerata bensì solo ove la parte ricorrente evidenzi e dimostri che tale violazione abbia avuto per effetto di impedirle di apportare al giudice elementi utili al fine di statuire sulla propria competenza, tali da condurre a diversa decisione (Cass. Sez.3 n. 15019/08); che tale condizione non ricorre nella specie...”. Non è stata, quindi, vagliata la peculiare natura e il peculiare calibro nella dinamica processuale del principio di contraddittorio. 7.3. Questa linea interpretativa risente, a ben guardare, l’epoca della sua origine, allorquando il concetto di ragionevole durata del processo era “rattrappito” in quello di economia processuale, non avente valenza né costituzionale né sovranazionale, non essendo la ragionevole durata del processo collocata in inscindibile endiadi assieme al principio del giusto processo, così come attualmente si trova. E dunque, quando si è trattato di incastonare nel paradigma del regolamento necessario la questione del contraddittorio (come nella ordinanza, pur del 2016, appena richiamata), la soluzione è stata mantenuta nell’ottica che la pertinenza debba essere, appunto, teleologica rispetto alla decisione della competenza – quest’ultima intesa come elemento asetticamente dominante –, e non debba costituire, invece, un presupposto necessario per passare al vaglio della decisione della competenza. Il che confligge, per quanto si è già sopra osservato, con quel che è stato riconosciuto per la giurisdi-


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zione; ma deriva altresì da una lettura eccessivamente semplificatoria del regolamento di competenza, delineato come una monade e non come un mezzo d’impugnazione che partecipa a un sistema. 7.4. Che nel regolamento di competenza possano essere veicolati anche vizi processuali (è indubbio che il merito, in senso stretto, non potrà che essere conosciuto dal giudice competente) è stato, comunque e nei limiti sopra descritti, riconosciuto: e l’evoluzione sistemica che si è raggiunta grazie alla novellazione dell’art. 111 Cost. non può non incidere pure sul concetto di pertinenza “diretta e necessaria”. Nell’ottica odierna, il processo non è un fenomeno giuridico configurato di per sé, e anzi composto di una serie di compartimenti stagni la cui corretta strutturazione vale, appunto, di per sé, senza incidenza alcuna sullo scopo sostanziale garantito a chi si avvale della giurisdizione. Il processo, invece, non deve essere un’entità astrattamente rispettosa delle regole che la strutturano, bensì deve essere uno strumento che lo Stato garantisce a chi è titolare di diritti sostanziali per fruire di questi con la migliore agevolezza, e dunque senza dover fronteggiare orpelli astratti per giungere al risultato, ma al contrario relativizzandosi per concretizzare la sua assoluta funzionalità: lo strumento processuale è, per così dire, proteso all’urgenza sostanziale (uno specimen esemplare, di recente, si riscontra in S.U. 15 giugno 2015 n. 12310). E il presidio di questa impostazione, che altro non è che quella dell’endiadi giusto processo/ragionevole durata, si ravvisa nell’interesse processuale del litigante, che deve essere comunque com-

patibile con quello degli altri soggetti che si avvalgono (id est: devono avvalersi) della giurisdizione, così da equilibrare ontologicamente il parametro individuale (ovvero privato) e quello collettivo (ovvero pubblico). 7.5. Ciò è stato riconosciuto, per esempio, proprio a proposito dell’integrazione del contraddittorio, escludendone la necessità nei gradi successivi al primo qualora il soggetto non evocato nuovamente in tale prosecuzione del giudizio non abbia concreto interesse a parteciparvi, già emergendo un esito a suo favore (sul contraddittorio che si converte in diseconomia processuale, contrastante con il valore costituzionale della ragionevole durata del processo, e sulla derivante necessità di relativizzarsi al contenuto del ricorso per cassazione e al conseguente esito v. già S.U. 3 novembre 2008 n. 26373 – così massimata: “Il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo (derivante dall’art. 111 Cost., comma 2 e dagli artt. 6 e 13 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali) impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, espresso dall’art. 101 c.p.c., da effettive garanzie di difesa (art. 24 Cost.) e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità (art. 111 Cost., comma 2), dei soggetti nella 575


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cui sfera giuridica l’atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti. (In applicazione del suddetto principio, la S.C. – avendo valutato inammissibile il ricorso in mancanza dell’esposizione sommaria dei fatti, della specificità dei motivi e del rispetto del principio dell’autosufficienza – ha ritenuto superflua la concessione di un termine per la notifica, omessa, del ricorso per cassazione alla parte totalmente vittoriosa in appelli, aggiungendo che la concessione del termine richiesto avrebbe significato avallare un comportamento contrario al principio di lealtà e probità processuale (art. 88 c.p.c.), atteso che gli istanti erano già in precedenza consapevoli della necessità della stessa)” – e le successive conformi S.U. ord. 22 marzo 2010 n. 6826, Cass. sez. 2, 8 febbraio 2010 n. 2723, Cass. sez. 3, 6 agosto 2010 n. 18375, Cass. sez. 3, 18 gennaio 2012 n. 690, Cass. sez. 3, 17 giugno 2013 n. 15106, Cass. sez. 2, 10 maggio 2018 n. 11287 e Cass. sez. 2, ord. 21 maggio 2018 n. 12515; e sull’analoga impostazione per l’ipotesi dell’appello v. Cass. sez. 3, 20 gennaio 2016 n. 895 – per cui “il creditore vittorioso in primo grado nel giudizio per revocatoria ordinaria di una compravendita immobiliare non ha un interesse concreto ed attuale a dolersi del vizio di integrità del contraddittorio per la pretermissione del solo debitore-alienante in sede di appello, in quanto l’immediata utilità dell’azione ex art. 2901 c.c. è comunque assicurata dalla presenza del terzo acquirente, nei cui confronti, in caso di conferma della sentenza favorevole, resterebbe intatta la statuizione di inefficacia dell’acquisto immobiliare, sicché, non ricorrendo un effettivo ‘vulnus’ al diritto di difesa, risulta solo astratta la do576

glianza sì da rappresentare l’integrazione del contraddittorio una diseconomia processuale, in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo”; cfr. pure S.U. 14 maggio 2013 n. 11523). E anche qualora permanga un interesse concreto in capo al soggetto nei cui confronti deve essere esteso il contraddittorio, il canone del contraddittorio non è formale, bensì elastico perché plasmato sulla vicenda processuale concreta mediante un implicito atto dispositivo di rinuncia al pieno esercizio del diritto, riconosciuto invece nella misura valutata sufficiente dalla parte interessata; così, da ultimo, si è ribadito che “nell’ipotesi in cui il litisconsorte necessario pretermesso intervenga volontariamente in appello, accettando la causa nello stato in cui si trova, e nessuna delle altre parti resti privata di facoltà processuali non già altrimenti pregiudicate, il giudice di appello non può rilevare d’ufficio il difetto di contraddittorio, né è tenuto a rimettere la causa al giudice di primo grado, ai sensi dell’art. 354 c.p.c., ma deve trattenerla e decidere sul gravame, risultando altrimenti violato il principio fondamentale della ragionevole durata del processo, il quale impone al giudice di impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione della controversia” (Cass. sez. 2, ord. 22 ottobre 2018 n. 26631, che si innesta in un consolidato orientamento, insorto già prima della novellazione dell’art. 111 Cost. grazie alla valorizzazione del potere dispositivo: cfr. Cass. sez. 2, 6 novembre 2014 n. 23701, Cass. sez. 1, 4 maggio 2011 n. 9752, Cass. sez. 2, 5 agosto 2005 n. 16504, Cass. sez. 1, 16 settembre 1995 n. 9781, Cass. sez. 2, 26 aprile 1993 n. 4883, Cass. sez. 2, 29 gennaio 1980 n. 697, Cass. sez. 3, 28 aprile


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1975 n. 1652, Cass. sez. 2, 24 luglio 1968 n. 2689, Cass. sez. 2, 22 gennaio 1968 n. 160 e Cass. sez. 2, 8 luglio 1964 n. 1803). 7.6. L’elasticità del contraddittorio risiede, comunque, in una fase della vicenda processuale successiva ad una originaria integrità del contraddittorio stesso. Esso, infatti, costituisce il pilastro del processo, dato che gli conferisce le parti: e il fenomeno giuridico del processo si verifica se giuridicamente lo compongono – in modalità effettiva o in modalità potenziale – le parti. Invero, il potere del giudice, in un processo a piena cognizione, insorge legittimamente soltanto quando nel processo si siano “incastonati” i litigatores. Il giudice è chiamato infatti a dirimere una lite; la sua potestà giurisdizionale contenziosa scatta quando la lite concretamente sussiste, ovvero quando sussistono parti che si contrappongono, pur nei limiti di potenzialità propri della contumacia. È solo allora, quindi, che il giudice è abilitato a prender cognizione di tale sua potestà, accertando la sussistenza della giurisdizione e della competenza. Il che discende dal fatto che l’oggetto del processo, che su ciò incide, deve essere “fabbricato” dai litigatores, mediante il loro duplice strumento difensivo/dispositivo. La parte che promuove il giudizio non può, pertanto, mettere immediatamente il giudice nelle condizioni di “funzionare”; occorre che sia stata data alla controparte la possibilità di apportare il suo. E questo, quanto alla competenza, essendo essa in buona parte oggetto di eccezione in senso stretto, incide davvero ictu oculi. 7.7. Ma se così è, la questione della completa costituzione del contraddittorio, id est della completa strutturazione

della funzionalità del processo entro cui il giudice deve esercitare la sua potestas judicandi, non può qualificarsi come astratta, estranea e scindibile rispetto al vaglio della competenza da parte del giudice - esattamente come la giurisprudenza di questa Suprema Corte ha escluso per il parametro legittimante la potestas judicandi ancor più a monte che è rappresentato dalla giurisdizione (sulla pregiudizialità della questione della giurisdizione rispetto a quella della competenza nonché sui rigorosi limiti imposti alla pregiudizialità stessa cfr. S.U. 5 gennaio 2016 n. 29). Non è dunque sostenibile che la questione del contraddittorio integro non rientri in quel che attiene “in modo diretto e necessario alla competenza”, ovvero che non debba ritenersi essere oggetto di censura veicolabile con il regolamento necessario di competenza. E d’altronde, “mettere da parte” il contraddittorio per occuparsene dopo che la competenza è stata regolata significherebbe proprio deprivare del suo diritto di difesa la parte che non ha tempestivamente potuto entrare nel contraddittorio (cfr. art. 382 c.p.c., comma 2) Ciò che, dunque, è da ritenere e si ritiene in questa sede censurabile con il mezzo del regolamento di competenza è che il giudice di merito abbia declinato la competenza senza che, riguardo ad una delle parti convenute, risultasse assicurato il contraddittorio previo ordine di rinnovo della notificazione dell’atto introduttivo. Rinnovazione alla quale, fra l’altro, la parte attrice si era detta disponibile e per cui aveva anzi fatto istanza. È appena il caso di rilevare che il nesso di subordinazione di tale istanza rispetto a quella di autorizzazione a chiamare in 577


Giurisprudenza

causa in soggetto riguardo al quale la notifica non si era perfezionata, non vincolava affatto il giudice di merito, dato che prioritaria era l’esigenza di assicurare il contraddittorio della parte siccome evocata con l’atto introduttivo del giudizio. 8. Da quanto rilevato, emergono dunque la proponibilità mediante l’istanza di regolamento necessario del vizio relativo al contraddittorio e, conseguentemente, altresì la fondatezza del motivo in esame, in quanto ha errato il giudice nel ritenere che l’eccezione di incompetenza fosse “assolutamente preliminare rispetto a tutte le altre” e nel non avere pertanto pregiudizialmente esaminato e risolto le questioni di integrazione/modificazione del contraddittorio suscitate dalle parti attrici.

Da ciò deriva che non può essere vagliato, poiché assorbito, il secondo motivo, attinente alla determinazione del giudice competente: la questione relativa alla competenza, giusta le svolte considerazioni, potrà, infatti, essere valutata dal giudice di merito, una volta riassunto il processo, soltanto dopo che avrà trovato soluzione la questione relativa all’instaurazione del contraddittorio. In accoglimento del primo motivo, si dispone la caducazione dell’ordinanza in questa sede impugnata e, ai sensi dell’art. 49 c.p.c., si rimettono le parti davanti al giudice a quo e si dispone che si proceda, appunto, ad esaminare la questione relativa alla corretta costituzione del contraddittorio e a provvedere in conseguenza. (Omissis)

La questione di integrità del contraddittorio nel regolamento di competenza necessario L’autore dà conto di un arresto della Corte di cassazione che, adita ai sensi dell’art. 42 c.p.c., si è invece risolta nel senso di un non liquet sulla questione di competenza, limitandosi ad affermare la deducibilità, anche con il regolamento di competenza necessario, della lesione dell’integrità del contraddittorio – per non essere stata regolarmente evocata in giudizio una delle parti convenute –, in quanto questione logicamente e giuridicamente preliminare a ogni altra nel processo civile: ciò che ha determinato la pronuncia di un’ordinanza esclusivamente caducatoria della statuizione del giudice territoriale sulla propria (in)competenza dagli esiti altamente disfunzionali e, forse, nemmeno processualmente necessitata. The author reports a pronunciation by the Court of Cassation that, despite the appeal being filed pursuant to art. 42 of the civil procedural code, did not stated on the question of competence, by only declaring the challengeability, even within the special procedure for contesting competence (regolamento di competenza necessario), of the breach of the adversial principle – for not having been duly summoned before the court one of the defendants –, as it is logically and legally preliminary to any other question in the civil proceeding: therefore the Court overruled only the territorial judge’s statement on the competence by pronouncing an highly dysfunctional order, maybe, not even required by procedural law.

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1. L’ordinanza, qui esaminata, è stata resa in esito a un regolamento di competenza c.d. necessario ma, contrariamente a quanto sarebbe, di regola, lecito aspettarsi, non «[ha] statui[to] sulla competenza», essendosi la Corte, dopo aver caducato l’ordinanza declinatoria della competenza, limitata a «dà[re] i provvedimenti necessari per la prosecuzione del processo davanti al giudice che [non ha] dichiara[to] competente» e, invero, neppure incompetente. Questa, in breve, la vicenda processuale. Gli attori convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Napoli Nord tre società, di cui due aventi sede negli Stati Uniti, allo scopo di ottenere la riattivazione dei canali video, di cui erano rispettivamente titolari sulla piattaforma internet di proprietà delle convenute, nonché sentirle condannare al risarcimento del danno derivante dalla illegittima sospensione dei relativi account. Si costituivano in giudizio solamente la società italiana e una delle americane, eccependo l’incompetenza del tribunale adito in favore della sezione specializzata in materia di imprese presso il Tribunale di Napoli. In sede di prima udienza, gli attori chiedevano di essere autorizzati a chiamare in causa la sussidiaria irlandese in luogo della società americana non comparsa ovvero, in via subordinata, di essere autorizzati a rinnovare la citazione nei confronti di quest’ultima, attesa l’impossibilità di produrre l’avviso di ricevimento dell’atto notificato e avendone, inoltre, smarrito ogni altra prova della notifica. Tuttavia, il Tribunale di Napoli Nord, ritenendo l’eccezione di competenza preliminare rispetto a tutte le altre formulate, declinava con ordinanza la propria competenza in favore della sezione specializzata in materia di imprese presso il Tribunale di Napoli. Gli attori, allora, impugnavano, ex art. 42 c.p.c., l’ordinanza lamentando, con il primo motivo di ricorso, la invalida instaurazione del contraddittorio nei confronti di tutte le parti citate in giudizio e la violazione delle norme poste a presidio di esso, anche con riferimento ai principii del giusto processo e della sua ragionevole durata, nonché affermando, nel secondo motivo di ricorso, la sussistenza della competenza in capo al giudice originariamente adito. La Cassazione, pur adita col regolamento di competenza necessario, rilevando come non fosse stata regolarmente esaminata la questione relativa al contraddittorio e constatando come esso abbia carattere pregiudiziale rispetto a quella di competenza, ha affermato la possibilità di dedurre validamente, in quella sede, la doglianza relativa alla non corretta instaurazione del contraddittorio e, per l’effetto, ha caducato l’ordinanza impugnata, con la quale il giudice a quo si era dichiarato incompetente a conoscere la lite, disponendo, ai sensi del secondo periodo dell’art. 49, co. 2, c.p.c., affinché quest’ultimo esaminasse la questione del contraddittorio e provvedesse di conseguenza. 2. Sono due le coordinate ermeneutiche che derivano da questa pronuncia. La prima afferisce all’ordine di esame delle questioni pregiudiziali nel processo civile. Anche se, invero, il provvedimento in esame non apporta alcun elemento di novità al dibattito sul tema, sempre molto vivace sia in dottrina che in giurisprudenza.

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Difatti, l’unico elemento finora emerso in maniera sufficientemente chiara è che, nel nostro ordinamento, non esiste un ordine di esame delle questioni pregiudiziali di rito che sia lecito inferire in maniera esplicita e inequivoca dal dato positivo1, fatte salve le minime indicazioni di cui all’art. 276, co. 2, c.p.c., a mente del quale queste devono essere decise gradatamente, da leggersi eventualmente in combinato disposto col successivo art. 279, co. 1, nn. 1 e 2, c.p.c.2. Senza alcuna pretesa di esaustività, mette conto rilevare come le soluzioni variamente prospettate dalla dottrina non abbiano attitudine ad essere ricondotte ad unità, stante la sussistenza di multiformi orientamenti tra di loro difficilmente conciliabili. Vi è, infatti, chi, attenendosi alla lettera del disposto dell’art. 279 c.p.c., riconosce come prioritaria la risoluzione della questione di giurisdizione, alla quale fa seguito l’esame di quella di competenza e, infine, di tutte le altre3. V’è, poi, chi ravvisa, al contrario, nella competenza, priorità di risoluzione su tutte le altre questioni processuali4 ovvero chi afferma la primazia della regolarità del contraddittorio, rispetto ai presupposti processuali e alle condizioni dell’azione5. Altri, invece, perseguono un disegno a geometria variabile, che riconosce priorità di esame, ove la pronuncia sia favorevole al convenuto, alle questioni originate dalla carenza di un requisito insanabile, rispetto a quelle relative ad uno sanabile6 ovvero ancora vi è chi ritiene che non sussista un ordine di esame delle questioni pregiudiziali7, essendo il giudice libero di decidere quella che ritiene fondata e dichiarare assorbite le altre8.

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Bassano, Esame preliminare della giurisdizione o della competenza?, in Riv. dir. proc. civ., 1938, 191; Montesano-Arieta, Trattato di diritto processuale civile, Padova, 2001, I, 2, 1370; Picardi, Manuale del processo civile, III ed., Milano, 2013, 45; Motto, Appunti in tema di ordine di decisione delle questioni pregiudiziali di rito, in Bove (a cura di), Scritti offerti dagli allievi a Francesco Paolo Luiso per il suo settantesimo compleanno, 2017, 301. Per una siffatta lettura v. Vaccarella, Economia di giudizio e ordine delle questioni, in Giusto processo civile, 2009, 649. In giurisprudenza v. Cass., 23.1.2009. Vaccarella, op. cit., 643 ss., 649; in giurisprudenza, v. Cass. sez. un. 23 aprile 1999, n. 248. Satta, Commentario al codice di procedura civile, II, Milano, 1959, 317. Tarzia-Danovi, Lineamenti del processo civile di cognizione, Milano, 2014, 288; Verde, Diritto processuale civile, II, 2017, 140-141 Fornaciari, Presupposti processuali e giudizio di merito. L’ordine di esame delle questioni nel processo, Torino, 1996, 78 ss. Consolo, Il cumulo condizionale di domande, I, Padova, 1985, 455 ss.; Id., Travagli “costituzionalmente orientati” delle Sezioni Unite sull’art. 37 c.p.c., ordine delle questioni, giudicato di rito implicito o, diversamente operante su questioni di merito, in Riv. dir. proc., 2009, 1153; Biavati, Appunti sulla struttura della decisione e l’ordine delle questioni, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2009, 1308; Turroni, La sentenza civile sul processo, Torino, 2006, 250; Fanelli, Sull’ordine d’esame delle questioni nel processo, in Giusto proc. civ., 2010, 889 ss.; in particolare, Motto, L’ordine di decisione delle questioni pregiudiziali di rito nel processo civile di primo grado, in Riv. dir. proc., 2017, 617 ss., ritiene che non vi sia un ordine vincolante di decisione delle questioni pregiudiziali di rito; la priorità logica di taluni presupposti processuali rispetto ad altri non implica un ordine di decisione delle questioni che li concernono. A tal proposito, pur non condividendo tale assunto, Verde, op. cit., 141, osserva come il giudice si lasci, oggi, nell’esame delle questioni pregiudiziali, sempre più spesso guidare da ragioni di convenienza o economia processuale. Addirittura, in alcune pronunce, «la Cassazione non [ha] seg[uito] l’ordine delle questioni imposto dalla pregiudizialità logico-giuridica», sul punto v. amplius Cass. sez. un. 8 maggio 2014, n. 9936 e Cass. 28 maggio 2014, n. 12002, con nota di Fanelli, Sull’ordine di esame delle questioni nel processo di cognizione, in Giustizia civile.com, 2014, 5.

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A tal riferimento, l’ordinanza in epigrafe riafferma, al pari di alcuna dottrina9 e nel solco di una giurisprudenza sufficientemente orientata in tal senso10, la anteriorità (crono) logica della effettiva instaurazione del contraddittorio – sulla questione di giurisdizione e, a fortiori – su quella di competenza (che è a questa subordinata). E ciò in quanto, nella gradazione dell’ordine di esame delle questioni, quella relativa al contraddittorio viene in rilievo non già quale questione preliminare di merito o pregiudiziale di rito, ma come «questione processuale» e, come tale, necessariamente anteposta a tutte le altre. Di tale interpretazione, per vero, potrebbe anche rinvenirsi conferma nel dato letterale dell’art. 101 del codice rito, che inibisce al giudice, a fronte di una non corretta citazione a comparire in giudizio della (contro)parte, di «statui[re] sopra alcuna domanda», sicché, tale questione dovrebbe essere oggetto di esame in via prioritaria, rispetto alle altre questioni pregiudiziali di rito attinenti alla domanda proposta11; parimenti, una simile lettura potrebbe radicarsi nel disposto dall’art. 183, co. 1, c.p.c., a mente del quale deve essere verificata preliminarmente, in sede di prima udienza, la regolarità del contraddittorio12. Alla luce di tutto quanto sopra, appare, oggi, difficile non concordare con la Corte sull’erroneità della statuizione del giudice di prime cure, nella parte in cui ha ritenuto la questione di competenza «assolutamente preliminare rispetto a tutte le altre pur sollevate dalle […] parti convenute, nonché alle ulteriori istanze avanzate dalla parte attrice». Tale misjudgement sull’ordine di esame delle questioni pregiudiziali, si è, così, riverberato nell’ordinanza declinatoria della competenza, che è stata, dunque, resa esplicitamente in assenza di una concreta verifica intorno alla corretta instaurazione del contraddittorio. 3. E da tale circostanza prende le mosse la seconda coordinata ermeneutica del provvedimento, che è, senz’altro, quella latrice di maggiori novità nel magmatico disegno sistematico del processo civile, continuamente rimaneggiato dall’attivismo interpretativo della giurisprudenza.

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Verde, op. cit., 140-141, secondo il quale «prima ancora, è da ritenere che il giudice possa interrogarsi sul suo potere decisorio soltanto se il contraddittorio è stato correttamente instaurato e, quindi, che il primo luogo debbano essere esaminate le questioni sulla nullità dell’atto introduttivo e della sua notificazione». 10 In favore della precedenza dell’esame della questione del contraddittorio su quella di giurisdizione (e, a fortiori, di competenza) Cass. sez. un. 12 dicembre 2012, n. 22776, in Riv. dir. proc., 2013, 4-5, 1157 ss., con nota critica di Panzarola, Le Sezioni Unite, l’ordine delle questioni di rito e la domanda “automatica, il quale rileva come vi siano delle eccezioni alla previa necessità di instaurazione del contraddittorio proprio con riferimento alla corretta regolazione del rapporto processuale; Cass. sez. un. 13 aprile 2012, n. 5873, in Riv. dir. proc., 2013, 3, 724, con nota di Sandulli, La translatio secondo la l. n. 69/2009 ed il codice del processo amministrativo; Trib. Firenze, 5 dicembre 1988, in Giust. civ., 1989, I, 1919 ss. con nota di Luiso, Questione di giurisdizione e questione di integrità del contraddittorio. In particolare, è stato esplicitamente affermato che la questione della nullità della notificazione dell’atto di citazione debba essere esaminata con priorità sulla questione di giurisdizione, in tema v. Cass. sez. un. 4 febbraio 2016, n. 2201; Cass. sez. un. 28 aprile 1976 n. 1492 e Cass. sez. un. 14 febbraio 1980 n. 1056. Contra v. Cass. sez. un. 32 aprile 2008, n. 10462; Cass. sez. un. 8 luglio 2004, n. 12607. 11 Cfr. Andrioli, Commento al codice di procedura civile, I, Napoli, 1959, 283. 12 Cfr. Motto, op. cit., 305, il quale, pur opinando nel senso dell’assenza di un ordine di esame delle questioni pregiudiziali, ritiene che «la regolarità del contraddittorio è requisito essenziale per risolvere anche le questioni di rito, e non le sole questioni di merito».

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Segnatamente, ci si riferisce all’affermazione relativa la deducibilità in via diretta, in seno al regolamento ex art. 42 c.p.c., della questione relativa alla non corretta strutturazione del contraddittorio e alla conseguente riscrittura operata dell’art. 49, co. 2, c.p.c. Difatti, come noto, il regolamento di competenza necessario è un mezzo di impugnazione13, con il quale la parte soccombente sulla questione chiede la riforma dell’ordinanza14 declinatoria della competenza. Più nello specifico, l’oggetto del procedimento è circoscritto alla celere15 definizione della questione di competenza nella sua totalità16 e, cioè, comprensiva di tutti i profili astrattamente ipotizzabili17 – inclusi quelli non esaminati nel provvedimento impugnato18 e anche laddove le parti abbiano ristretto l’impugnazione ad alcuni profili della questione19 –, attesa l’efficacia c.d. pan-processuale della pronuncia resa dalla Cassazione20, nell’esercizio delle sue funzioni di giudice dei conflitti, ai sensi dell’art. 65 ord. giud. In ragione della specificità del rimedio, tutte le questioni di rito e di merito, diverse dalla competenza, sono escluse dall’ambito della cognizione della Corte – essendo, in seno

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Sulla qualificazione di tale rimedio come mezzo di impugnazione cfr. Acone, Regolamento di competenza, in Enc. giur., XXVI, Roma, 1995, 3; Attardi, Diritto processuale civile, I, Padova, 1999, 290; 142; Levoni, Regolamento di competenza, in Dig. civ., XVI, Torino, 1997, 484, il quale fa leva anche sull’espressa qualificazione nella Relazione del Ministro al Re, n. 26; Montesano-Arieta, op. cit., 242; Tavormina, Contributo alla teoria dei mezzi di impugnazione della sentenza, Milano, 1990, 106, e, parimenti, affermata anche in giurisprudenza, v. tra le tante Cass. 21 luglio 2006, n. 16752; Cass. 13 ottobre 2005, n. 19867. Contra, Satta, Commentario al codice di procedura civile, I, Milano, 1966, 181. Ancora diversa la posizione di Bongiorno, Il regolamento di competenza, Milano, 1971, 144, che lo ritiene «un procedimento incidentale di natura complessa». 14 Dopo la novella del 2009, la pronuncia declinatoria della competenza ha assunto forma di ordinanza, mentre in precedenza era dichiarata con sentenza. Per una lucida disamina sulla questione v. Briguglio, L’ordinanza “decisoria” sulla competenza ed il modo per giungervi: un compromesso con le Sezioni Unite affinché l’economia processuale giovi a tutti, in Giust. civ., 1, 2015, 89 ss. Il mutamento di forma, secondo alcuni, non determinerebbe alcun cambiamento nell’iter decisorio del giudice. In tema v. Bove, Giurisdizione e competenza nella recente riforma del processo civile, in Riv. dir. proc., 2009, 1310. In giurisprudenza cfr. Cass. civ. sez. un., 29 settembre 2014, n. 20449, in Riv. dir. proc., 2015, 536 ss., con nota Tiscini, Sull’impugnazione dell’ordinanza in tema di competenza. Mentre vi è chi ritiene che tale forma importi una decisione più celere sulla questione e, cioè, senza la necessità di seguire il percorso logico-giuridico tipico delle sentenze, cfr. Boccagna, Le modifiche al primo libro del c.p.c. in Auletta -Boccagna-Califano-della PietraOlivieri-Rascio, Le norme sul processo civile nella legge per lo sviluppo economico la semplificazione e la competitività. Legge 18 giugno 2009, n. 69, Napoli, 2009, 22; Ronco, I mutamenti nel sistema della competenza, in Giur. it., 2009, 1572; Salvaneschi, La riduzione del tempo del processo nella nuova riforma dei primi due libri del codice di rito, in Riv. dir. proc., 2009, 1567 ss. Ipotesi, quest’ultima, che potrebbe fornire un abbrivio, nel caso in esame, alla decisione del giudice a quo di risolvere preliminarmente la questione di competenza, finanche prima dell’esame della regolare costituzione del contraddittorio. 15 Il tema della celerità nella definizione della questione di competenza da parte della Corte, adita in sede di regolamento, è molto caro ad Acone, La “ragionevole durata” del regolamento di competenza, in Corr. giur., 11/2005, 1593 ss.; Id., Il regolamento di competenza e le responsabilità degli interpreti (A proposito della decorrenza per il termine dell’istanza), in Riv. dir. proc., 1995, 101 ss.; Id. Regolamento di competenza, cit., 1. In giurisprudenza, v. Cass. 28 marzo 2006, n. 7075. 16 Tavormina, Impugnazioni sostitutive e impugnazioni rescindenti, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1977, 685, secondo il quale «la rimessione automatica davanti alla Corte dell’intera questione di competenza». In giurisprudenza, v. per tutte Cass. 29 settembre 2004, n. 19591; Cass. sez. un. 11 ottobre 2002, n. 14569. 17 In tema v. Arieta, La sentenza sulla competenza, Padova, 1990, 204 ss.; Bongiorno, op. cit., 294 ss.; Cass 26 giugno 1999, n. 6657; Cass 8 luglio 1995, n. 7528; Cass. 10 agosto 1995, n. 8809 18 Cass. 7 febbraio 2006, n. 2591; Cass. 24 agosto 2007, 18040. 19 Cass. 12 gennaio 1991, n. 265. Mass. Giur. It., 1991. 20 Arieta, op. cit., 313 ss.; Menchini, Il giudicato civile, Torino 1988, 265 ss.; più di recente Frasca, Il regolamento di competenza, Torino, 2012, 498, il quale assimila l’efficacia dell’ordinanza sul regolamento a quella della sentenza pronunciata in esito a un ricorso ex art. 360, n. 2, c.p.c..

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al regolamento, assimilate alle decisioni sul “merito”21 – e pertanto, rimangono demandate alla cognizione esclusiva del giudice di merito22. Ai nostri fini, mette conto evidenziare come, fra dette questioni, sia stata, a più riprese, annoverata la corretta instaurazione del contraddittorio23. Al contrario, sembra esservi stato definitivamente incluso – dopo un travagliato percorso di elaborazione del concetto di giudicato implicito24 – l’esame della questione di giurisdizione, ove non espressamente decisa dal giudice di prime cure25, in quanto elemento logicamente antecedente alla competenza26. A tale impostazione fa, oggi, da complemento

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Secondo Cass. 23 aprile 2010, n. 9754: «ai fini dell’esperibilità del regolamento di competenza, potendo l’impugnazione riguardare unicamente la questione relativa alla violazione delle norme sulla competenza in cui sia incorso il giudice del merito, per decisione di “merito” deve intendersi non soltanto una pronuncia sul rapporto sostanziale dedotto in giudizio, ma anche la risoluzione di questioni – di carattere sostanziale o processuale, pregiudiziali di rito o preliminari di merito – diverse da quella sulla competenza, la quale risoluzione, dovendo essere censurata con il ricorso ordinario, preclude la necessità e, ove la censura venga proposta, anche la facoltatività dello stesso regolamento di competenza». 22 Cfr. Massari, Del regolamento di giurisdizione e di competenza, in Allorio (a cura di), Commentario del codice di procedura civile, I, Torino, 1973, 590. 23 Così Cass., 14 giugno 1983, n. 4074: «in sede di regolamento di competenza, essendo il compito della Corte di Cassazione limitato all’indicazione del giudice competente, possono essere proposte ed esaminate solo le questioni concernenti la competenza, mentre ogni altro problema di natura processuale o sostanziale (come, in particolare, quelli concernenti il contraddittorio e la legittimazione di una delle parti) dovrà essere risolto dal giudice cui spetta la cognizione della controversia»; Cass., 26 gennaio 1982, n. 51, in Foro it., 1982, I, 1043, con osservazioni di Proto Pisani; Cass. 7 febbraio 1981, n. 773; Cass. 21 novembre 1980, n. 6201. 24 A tal proposito, non possono non essere richiamate alla memoria le osservazioni di Allorio, Critica alla teoria del giudicato implicita, in Riv. dir. proc., 1936, 245 ss., il quale escludeva finanche la stessa configurabilità del giudicato implicito; in tema v. anche Luiso, Contro il giudicato implicito, in Judicium, 2/2019, 181 ss. specie 183-184. 25 In tema v. Panzarola, Sul condizionamento de jure del ricorso incidentale per cassazione del vincitore nel merito, in Riv. dir. proc., 2010, 189 ss. 26 La dottrina, infatti, aveva fermamente levato gli scudi avverso la sistematica derivante dalla pronuncia di Cass. sez. un., 9 ottobre 2008, n. 24883, in Foro it., 2009, I, 806, con nota di Poli, Le Sezioni Unite e l’art. 37 c.p.c.; in Riv. dir. proc., 2009, con nota di Ricci, Le Sezioni Unite cancellano l’art. 37 c.p.c. nelle fasi di gravame, 1071 e Colesanti, Giurisprudenza “creativa” in tema di difetto di giurisdizione, 1125; in Corr. mer., 2009, 107, con nota di Maddalena, La questione di giurisdizione tra rilevabilità d’ufficio e formazione del giudicato implicito; in Giust. civ., 2009, I, 47, con nota di Nappi, Effetto devolutivo delle impugnazioni e giudicato interno sugli errores in procedendo; in Corr. giur., 2009, con nota di Caponi, Quando un principio limita una regola (ragionevole durata del processo e rilevabilità del difetto di giurisdizione), 372 e Cuomo Ulloa, Il principio di ragionevole durata e l’art. 37: rilettura costituzionalmente orientata o riscrittura della norma (e della teoria del giudicato implicito)?, 386 ss.; in Giur. it., con note di Vaccarella, Rilevabilità del difetto di giurisdizione e translatio iudicii, e Socci, Il difetto o conflitto di attribuzione (o di giurisdizione), del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione o dei giudici speciali, non può essere eccepito o rilevato in cassazione per la prima volta, 2 ss.; con nota di Carratta, Rilevabilità d’ufficio del difetto di giurisdizione e uso improprio del «giudicato implicito», 6 ss.; in Giusto proc. civ., 2009, 263, con nota di Basilico, Il giudicato interno e la nuova lettura dell’art. 37 c.p.c. e in Riv. giur. trib., 2009, 5, con nota di Glendi, Tramonta la rilevabilità “in qualunque stato e grado” del difetto di giurisdizione. In ragione della citata sentenza pareva non essere (più) ravvisabile, nel caso di ordinanza declinatoria della competenza, una pronuncia esclusivamente su tale questione, attesa la formazione di un giudicato implicito anche su quella di giurisdizione. Di conseguenza, era stato fatto notare, in maniera fortemente critica, come in seguito a tale corso interpretativo, per un verso, non fosse più predicabile il regolamento necessario di competenza così come disciplinato dall’art. 42 c.p.c., e dall’altro, che, in seno ad un’impugnazione veicolata per il tramite di un regolamento di competenza, dovesse escludersi il potere per la Suprema Corte di rilevare il difetto di giurisdizione d’ufficio. La (ri)parametrazione della portata del giudicato implicito è arrivata successivamente con la sentenza Cass., sez. un., 30 ottobre 2008, n. 26019, in Foro it., 2009, I, 806, con nota di Poli, Le Sezioni Unite, cit. Con detta pronuncia, tale “modello” di giudicato è stato, infine, riferito alle sole questioni pregiudiziali di rito di minor rilievo e non già a quelle c.d. “vitali” e “fondanti”, per le quali occorre una pronuncia esplicita (sul tema, con riferimento alla rilevabilità ex officio del difetto di rappresentanza in sede di legittimità, cfr. anche Cass., sez. un., 4 marzo 2016, n. 4248, in Corr. giur., 2016, 685, con nota di Negri, Rilevabilità e sanatoria retroattiva del difetto di rappresentanza anche in sede di legittimità (ma la concessione del termine non è sempre doverosa), e in Giur. it., 2017, 361, con nota di Caporusso, Sul difetto di rappresentanza processuale, tra poteri del giudice e giusto processo; conf. Id., I vizi di capacità e di rappresentanza. Nel regime delle sanatorie processuali, Napoli, 2019, 227 ss.). Dunque, tali questioni, tra cui è annoverata anche quella relativa alla

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la possibilità per la Cassazione, adita in sede di regolamento di competenza facoltativo, a (ri)decidere d’ufficio sulla giurisdizione, finanche a fronte di una espressa pronuncia del giudice di prima istanza sulla questione27. Il sistema, tuttavia, non va inteso come a “tenuta stagna” rispetto a tutte le questioni diverse da quella di competenza, in quanto resta salva la possibilità di esaminarle laddove insista, tra queste, un legame diretto e necessario28. A fronte di un tale quadro, la Corte ha deciso e accolto la doglianza relativa alla non corretta instaurazione del contraddittorio, ritenendo sussistente, alla luce del principio del giusto processo, un legame essenziale fra la questione del contraddittorio e quella di competenza, con un sostanziale non liquet sulla questione di competenza (recte, il relativo motivo di ricorso è stato dichiarato assorbito). 4. Ad un esame più approfondito, il provvedimento potrebbe prestare il fianco ad alcune critiche sia con riferimento al contenuto della decisione adottata, sia relativamente al concreto svolgimento del procedimento dinanzi alla Corte. In prima istanza, va rilevato come l’ordinanza appaia contrastare con il tenore letterale dell’art. 49, co. 2, c.p.c., laddove è espressamente individuato, quale contenuto necessario del provvedimento che decide il regolamento, la «statui[zione] sulla competenza»29. Come si è avuto modo di anticipare sopra, tale enunciazione soffre di alcune vistose deviazioni, che, tuttavia, ad un esame più approfondito, possono essere ricondotte essenzialmente ad unità. Infatti, difficilmente può opinarsi in senso contrario alla sussistenza di un legame – fra la questione di competenza e quella di giurisdizione – che vada ben oltre quello della mera anteriorità logica, poiché la relazione tra tali questioni si pone necessariamente su un piano diverso rispetto a quella intercorrente con le altre che, nel confronto con quella di competenza, risultano “meramente” pregiudiziali in senso (crono)logico. E ciò in quanto la competenza, nella sistematica della distribuzione degli affari contenziosi, è un attributo concentrico alla giurisdizione30, giacché l’individuazione del giudice competente a deci-

corretta instaurazione del contraddittorio, ove non espressamente risolte, sono sempre rilevabili d’ufficio per la prima volta anche dalla Cassazione (per una trattazione di ampio respiro sulla questione v. Consolo, Travagli costituzionalmente orientati, cit., 1151 ss.). 27 Cfr. Cass. sez. un. 5 gennaio 2016, n. 29, in Corr. giur., 1/2016, 852 ss., con nota di Glendi, Viene prima la competenza o la giurisdizione? Ovumne prius exiterit an gallina?; in Giusto proc. civ., 2016, 769 ss., con nota di Poli, Il resistibile primato della giurisdizione sulla competenza al vaglio delle Sezioni unite: ordine delle questioni, giudicato sulla giurisdizione e rilievo d’ufficio) 28 Sul tema, senza pretesa di esaustività, v. Cass. 11 dicembre 1974 n. 4201, Cass. 4 febbraio 1976 n. 379; Cass. 25 settembre 1978 n. 4311; Cass. 5 marzo 1980 n. 1754; Cass. 6 luglio 1984 n. 3964; Cass. 11 febbraio 2000 n. 1510; Cass. 27 febbraio 2001 n. 2825; Cass. 13 luglio 2004, n. 12983 e, da ultimo, Cass. 13 giugno 2016 n. 12126. 29 Vi è tale statuizione, come correttamente evidenziato da Acone-Lombardi, sub art. 49, in Comoglio-Consolo-Sassani-Vaccarella (a cura di), Commentario del codice di procedura civile, Milano, 2012, 788, anche laddove la Corte, rigettando le censure avanzate, confermi il provvedimento impugnato, a differenza di quanto avviene col ricorso ordinario. Tuttavia, osserva Frasca, op. cit., 498, nel caso di inammissibilità o improcedibilità del ricorso introduttivo del regolamento, non vi è alcuna statuizione sulla competenza ma si consolida la decisione del giudice di merito. 30 L’idea che la competenza sia una “frazione o misura della giurisdizione” è ben salda nella giurisprudenza, ex plurimis le già citate Cass. sez. un. 5 gennaio 2016, n. 29; Cass. 12 dicembre 2012, n. 22776, nonché Cass. sez. un. 9 aprile 1994, n. 3328; Cass. sez. un. 23

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dere la lite deve necessariamente avvenire “all’interno” dell’ordine giudiziario munito di giurisdizione relativamente alla vicenda dedotta in giudizio31. Appare, pertanto, chiara la logica sottesa alla possibilità di vagliare d’ufficio, anche in sede di regolamento necessario di competenza la questione di giurisdizione: non è, infatti, realmente dubitabile l’esistenza di un nesso pertinenziale fra dette questioni, atteso che entrambe costituiscono elementi complementari della medesima logica di radicamento dello ius iudicandi, legata alla distribuzione degli affari contenziosi. E, dunque, in tal senso non può ritenersi “incrinata” la finalità esclusiva del regolamento necessario di competenza, che rimane quella di determinare – once for all – la competenza, poiché tale regolazione non avrebbe ragion d’essere dinanzi alla carenza di un attributo logicamente (anteriore, ma soprattutto) complementare ad essa, qual è quello della giurisdizione32. Allo stesso modo, mutatis mutandis, trova cittadinanza nel regolamento di competenza l’esame delle questioni a quest’ultima (tendenzialmente) equiparate, quali la litispendenza33, la continenza34 e la connessione35. Diversamente, obbedisce a una diversa logica, nell’evidente ottica del perseguimento di ragioni legate all’economia del processo, la rilevabilità della cessazione della materia del contendere, che la giurisprudenza36, seppure con qualche tentennamento in tempi meno recenti37, e la dottrina hanno incluso tra le questioni di rito38 – e, oggi, anche di merito39 – suscettibili di esame e di decisione in seno al regolamento di competenza. Le ragioni di una simile impostazione interpretativa riposano, infatti, nella palese inutilità, in tale ipotesi, di una pronuncia che regolasse la competenza, attesa l’intervenuta mors litis; né, del pari, avrebbe senso un accertamento della questione pro futuro, in quanto la medesima lite non potrebbe più essere (re)introdotta40.

aprile 1999, n. 248; Cass. 10 gennaio 2003, n. 261. Tale legame qualificato sembrerebbe essere, poi, confermato dal primo comma dell’articolo 382 del codice di rito, che impone alla Corte, adita a norma dell’art, 360, n. 1, c.p.c., di individuare il giudice che ne è munito e, quindi, occorrendo anche quello competente. 32 E, infatti, l’esame della questione di competenza può anche arrestarsi di fronte al riscontrato difetto di giurisdizione, cfr. Cass., 7 marzo 2014, n. 5434, in Giusto proc. civ., 2014, 771, con nota di Fornaciari, L’ordine di esame tra giurisdizione e competenza. 33 Cass. 12 settembre 1984, n. 4792; Cass. 10 novembre 1980, n. 6032. 34 Cass. 28 novembre 1998, n. 12132. 35 Cass. 8 giugno 1979, n. 3246. 36 Per tutte v. Cass. civ. 23 novembre 2011, n. 24743. 37 Cass. 15 settembre 1979, n. 4784. 38 Acone, Regolamento di competenza, cit. 1995, 17. 39 Alla pronuncia di cessazione della materia del contendere è da sempre stata riconosciuta esclusivamente natura processuale (v. per tutte Cass. sez. un. 28 settembre 2000, n. 1048, in Foro it., 2001, I, 1954 ss., con nota di Scala, Sulla dichiarazione di cessazione della materia del contendere nel processo civile). E così è, tendenzialmente, stato fino al revirement di Cass. sez. un. 11 aprile 2018, n. 8980, in Foro it., 2908 ss., con nota di Id., «Eppur si muove ...»: le sezioni unite riconoscono la natura di merito della sentenza dichiarativa della cessazione della materia del contendere per intervenuta transazione, che ha attribuito alla pronuncia di cessazione della materia del contendere il crisma di merito, laddove la fattispecie, che l’ha determinata, attenga a una vicenda di natura sostanziale. 40 Acone-Lombardi, op. cit., 788. 31

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Infine, sebbene appaia una giustapposizione asistematica rispetto a quanto sinora osservato, in forza della riforma del 1990, è soggetta ad impugnazione con il regolamento di competenza l’ordinanza di sospensione del processo41. Così, fatte salve talune eccezionali ipotesi, la statuizione sulla competenza (seppure globalmente considerata, nei termini di cui sopra), cui si riferisce il dato letterale dell’art. 49, co. 2, c.p.c., rimarrebbe, nelle intenzioni del legislatore codicistico, il contenuto necessario del provvedimento emesso in esito al regolamento, ai sensi degli artt. 42 (e 43, co. 1, primo periodo) c.p.c. 5. Venendo, invece, al quomodo del provvedimento in esame, va debitamente evidenziato come sia stata ritenuta esaminabile – e decisa – la sola questione relativa alla violazione del contraddittorio, sulla base di una lettura, coordinata con l’art. 111 Cost., dell’art. 49 c.p.c., che consentirebbe di opinare in senso favorevole alla sussistenza di un legame diretto e necessario tra la previa, corretta instaurazione del contraddittorio e l’esame della questione di competenza e, per esso, della deducibilità dell’eventuale vizio nella sua costituzione in sede di regolamento necessario di competenza. Una siffatta pronuncia va a inserirsi nel solco di quel filone giurisprudenziale che, come è stato osservato da alcuna dottrina, ha fatto del principio del giusto processo – e della sua ragionevole durata – il grimaldello che consente alla Cassazione di (ri)leggere, in senso costituzionalmente orientato, la legge processuale42. E in tal senso, si dirige evidentemente l’affermazione, contenuta nel provvedimento, secondo cui il processo civile – e, così, l’intera sistematica del diritto processuale – debba intendersi uno «strumento proteso all’urgenza sostanziale» delle parti. È stato correttamente osservato, tuttavia, che i giudici non possono mai interpretare, in funzione del principio generale del giusto processo, il precetto di una norma in senso contrario al suo tenore letterale (nel caso di specie l’art. 49, co. 2, c.p.c.), dovendo, invece, nel caso di dubbi di legittimità della disposizione, limitarsi a rimettere la questione alla Consulta43. Per altro verso, non può non rilevarsi come tale pronuncia si ponga, a dispetto di quanto affermato nel provvedimento, in contrasto con il pregresso formante giurisprudenziale, che si era sufficientemente consolidato nel senso di escludere l’esame della questione del contraddittorio in sede di regolamento di competenza44. Forse, una decisione così impegnativa non avrebbe meritato l’understatement proprio della Sezione filtro.

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In tema v. Acone, Novità in tema di giurisdizione, di competenza e di sospensione del processo, in Documenti giustizia, 1993, 753 ss.; Giussani, Le novità in materia di scelta del giudice, in Taruffo (a cura di), Le riforme della giustizia civile, Torino, 1993, 161 ss. 42 Capponi, La Corte di cassazione e la «nomofilachia» (a proposito dell’art. 363 c.p.c.), in www.judicium.it. In tema v. anche Verde, Il processo sotto l’incubo della ragionevole durata, in Riv. dir. proc., 2011, 505 ss. 43 Cfr. amplius Caponi-Dalfino-Proto Pisani-Scarselli, In difesa delle norme processuali, in Foro it., 2010, I, 1794 ss. 44 Vedi retro nota 23.

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6. A ben vedere, poi, proprio la struttura del regolamento avrebbe (forse) consentito di pervenire, senza particolari patemi sulla non corretta costituzione del contraddittorio in primo grado, ad una pronuncia nel “merito” della questione di competenza, lasciando impregiudicata, in relazione a tale profilo, la posizione della parte invalidamente evocata in giudizio. In tale direzione sembra(va), infatti, puntare la pregressa giurisprudenza di legittimità, laddove, nell’esame della questione del contraddittorio, individuava, quale momento di (esclusiva) rilevanza di tale presupposto, unicamente quello relativo al giudizio dinanzi alla Cassazione, mentre rimaneva, invece, indifferente, ai fini della decisione del regolamento, l’integrità del contraddittorio dinanzi al giudice a quo45. Per altro verso, non può, infatti, realmente dubitarsi che la parte non correttamente citata a comparire fosse, a tutti gli effetti, parte del giudizio a quo e che, come tale, avrebbe dovuto essere destinataria, a norma dell’art. 47, co. 2, c.p.c., della notificazione del ricorso per regolamento di competenza, nella sua qualità di soggetto evidentemente non aderente all’istanza. Tuttavia, nell’epigrafe dell’ordinanza, sono individuate, quali parti del giudizio di regolamento di competenza, solo quelle regolarmente costituite nel giudizio a quo e, nel corpo del provvedimento, non è dato atto di alcuna vicenda relativa alla notificazione del ricorso alla parte citata irregolarmente in giudizio dinanzi al giudice di prime cure. La correttezza dell’operato della Corte, sul punto, va vagliata alla luce della disciplina del procedimento di regolamento di competenza con pluralità di parti, in relazione al quale si è dibattuto sull’applicabilità degli artt. 331 e 332 c.p.c., rispettivamente recanti la disciplina del litisconsorzio in fase di impugnazione in relazione a causa inscindibili e scindibili. Parte della dottrina ritiene, infatti, che l’art. 47 c.p.c. imponga la partecipazione di tutte le parti del giudizio di merito, assimilando la fattispecie a quella prevista dall’art. 331 c.p.c. E ciò in quanto l’art. 332 c.p.c. sarebbe incompatibile con la struttura del regolamento, attesa l’esigenza di salvaguardare l’unicità del giudizio relativo alla competenza anche con riferimento alle cause scindibili46. Di conseguenza, in caso omessa notifica del ricorso ad alcuna delle parti non aderenti, si renderebbe necessario ordinare l’integrazione del contradditorio nei loro confronti. Alcuni hanno portato la sanzione dell’inosservanza di tale norma alle estreme conseguenze, opinando nel senso di ritenere inammissibile il ricorso

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La pronuncia riguarda il regolamento di giurisdizione, ma, attesa l’anteriorità di tale questione su quella di competenza, le medesime osservazioni sono valide a fortiori anche con riferimento al regolamento di competenza necessario. Così, infatti, la già citata Cass. sez. un., 8 luglio 2004, n. 12607: «la pronuncia sulla giurisdizione esige il preventivo controllo della costituzione del rapporto processuale dinanzi alla Corte di cassazione, con la notificazione del ricorso alle parti del giudizio a quo, trattandosi di requisito dell’ammissibilità del ricorso stesso, non anche il controllo dell’integrità del contraddittorio nelle precorse fasi del processo»; conf. Cass. sez. un. 8 novembre 2005, n. 21592. 46 Andrioli, op. cit., 172; Massari, op. cit., 554; Garbagnati, Sul ricorso per regolamento di competenza in un processo con pluralità di parti, in Foro pad., 1951, I, 15; Menchini, Il processo litisconsortile. Struttura, e poteri delle parti, I, Milano, 1993 363 ss., 740 e 788-789; Ricci, Il litisconsorzio nelle fasi di impugnazione, Milano, 2005, 275 ss.

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in caso di mancata notificazione a tutte le parti non aderenti47; altri, invece, hanno limitato tale sanzione alle sole fattispecie di litisconsorzio necessario, ritenendo possibile, nelle ipotesi di quello facoltativo, che il provvedimento spieghi efficacia in relazione alle sole parti cui il ricorso è stato notificato o che vi abbiano aderito48. Alla medesima soluzione, relativamente alla necessaria unitarietà del giudizio per regolamento di competenza anche nelle cause scindibili, era pervenuta, in tempi più risalenti, la giurisprudenza49. Tale impostazione, tuttavia, è stata in progresso di tempo abbandonata in favore dell’apertura all’applicabilità dell’art. 332 c.p.c., che impone al giudice di ordinare la notifica del ricorso, nel caso in cui questa sia stata omessa nei confronti di alcuna delle parti non aderenti, limitatamente a quei soggetti nei cui confronti l’impugnazione non sia preclusa, con la conseguenza che, in difetto di notifica, la decisione della Cassazione sulla competenza non esplica alcuna efficacia in relazione alle parti non notificate50. Tutto ciò sulla scorta del fatto che, nell’ottica di contemperamento delle contrapposte istanze, prevale sulla – pur dannosa per l’economia processuale nel suo complesso – circostanza della separazione dei processi, la necessità di assicurare il rispetto del principio della ragionevole durata del processo. Va, tuttavia, rilevato come anche l’attuale giurisprudenza non abbia ancora dissolto definitivamente i dubbi circa la non applicabilità al regolamento di competenza dell’art. 331 c.p.c. nell’ipotesi di cause scindibili51. Tutto ciò posto, allora, necessariamente delle due, l’una. Se ritenessimo applicabile de plano, al caso in esame, l’art. 332 c.p.c., attesa la natura scindibile delle cause, non potrebbe non rilevarsi come la Corte abbia omesso di disporre la separazione dei giudizi e che, ove avesse proceduto in tal senso, non vi sarebbe stata alcuna necessità di caducare l’ordinanza sulla competenza, dal momento che la statuizione definitiva sulla competenza avrebbe riguardato unicamente le parti regolarmente costituite, che avevano, dunque, partecipato al giudizio di impugnazione. Per converso, opinando nel senso di ritenere necessaria la partecipazione al procedimento innanzi la Cassazione di tutte le parti del giudizio a quo, a norma dell’art. 331 c.p.c., attesa l’omessa notifica nei confronti della parte, già originariamente non evocata in giudizio in maniera regolare, si dovrebbe ritenere che l’eventuale pronuncia, che avesse deciso sulla competenza, non avrebbe potuto spiegare, in relazione a quest’ultima, alcuna efficacia52.

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Cfr. Pocherra, Regolamento di competenza e procedimento in camera di consiglio, in Riv. dir. proc., 1958, 1038, che mutua tale impostazione dal fatto che gli effetti del provvedimento regolante la competenza non si produrrebbero nei confronti delle parti cui non è stato notificato il ricorso o non che non vi hanno aderito. 48 Bongiorno, op. cit., 244-245. 49 Tra le tante, sulla necessaria applicazione dell’art. 331 c.p.c. al regolamento di competenza, v. Cass., 15 novembre 1973, n. 3036, in Foro it., 1975, 976, con osservazioni di Florino. 50 Cass., 20 marzo 2010, n. 6824; Cass. 10 agosto 2004, n. 15477; Cass. 10 gennaio 2005, 898; Cass. 20 marzo 2010, n. 6824. 51 De Santis, sub art. 49 c.p.c., in Auletta (a cura di), Il regolamento di competenza e di giurisdizione, Bologna, 2019, 205. 52 Frasca, op. cit., 518-519, ritiene tale interpretazione l’unica possibile per ammettere la non decidibilità della questione relativa alla non

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Pertanto, ove si accedesse all’una o all’altra soluzione, gli esiti di entrambe le fattispecie si risolverebbero, con identità di effetti, nell’assenza – per la sola parte non correttamente citata in giudizio – di preclusioni alla contestabilità della questione di competenza, pur a fronte di una pronuncia espressa sul punto a norma dell’art. 49, co. 2, c.p.c. Di conseguenza, sarebbero infondate le perplessità espresse circa la «depriva[zione] del […] diritto di difesa [del]la parte che non ha tempestivamente potuto entrare nel contraddittorio», nel caso in cui avesse provveduto a regolare la competenza e, quindi, solo successivamente il giudice di merito, riconosciuto competente, avesse esaminato la questione del contradditorio. Invero, rimane il dubbio circa le modalità con cui la parte non attinta validamente dal contraddittorio – e successivamente evocata nel processo nel giudizio di merito – potrebbe elevare contestazioni avverso la competenza. Pare ragionevole ritenere che, innanzi al giudice indicato come competente, detto soggetto, all’atto della propria costituzione in giudizio, ove ritenesse quest’ultimo incompetente, potrebbe avanzare la relativa eccezione – non preclusa nei suoi confronti – e, dunque, impugnare, se del caso, la pronuncia sulla competenza nei modi stabiliti dalla legge. Mette, tuttavia, conto rilevare che la parte, una volta ristabilito correttamente il contraddittorio nei suoi confronti, avrebbe anche potuto rimanere contumace ovvero omettere di contestare la competenza, così come regolata in sua “assenza”, con il risultato di radicarla definitivamente e senza possibilità di obiezione ulteriore in capo al giudice già indicato dalla Cassazione. Ed è proprio in riferimento a tale ipotesi che si ravvisa la contraddittorietà della pronuncia in esame, che, rinunciando a pronunciare nel “merito” della competenza, ha precluso di fatto la possibilità che una siffatta vicenda di “acquiescenza” potesse realizzarsi, eliminando in nuce un fattore – sebbene eventuale – di economia processuale. Difatti, avendo la Corte semplicemente caducato la pronuncia sulla competenza del giudice a quo, quest’ultimo potrà (recte, dovrà), una volta esaminata e risolta la questione relativa all’integrazione del contraddittorio, pronunciare di nuovo sulla propria competenza. E, così, dinanzi a un provvedimento con il quale questi – verosimilmente – affermasse, per la seconda volta, la propria incompetenza, la medesima istanza di regolamento della competenza potrebbe, di nuovo, essere sollevata – dalla medesima parte ricorrente nel primo ricorso per regolamento di competenza – dinanzi alla Cassazione. Questa volta per l’ineludibile esame della questione, giacché non vi è stata alcuna statuizione sul punto, a norma dell’art. 49, co. 2, c.p.c., idonea a spiegare efficacia vincolante sul tema53.

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corretta instaurazione del contraddittorio in sede di regolamento di competenza. La pronuncia della Cassazione, infatti, determina la «consumazione di ogni possibilità di ridiscutere della competenza, sia pure sotto altri profili, quand’anche non esaminati nella decisione della Corte», così Frasca, op. cit., 535. In giurisprudenza, per tutte, v. Cass. 9 novembre 1977, n. 4795.

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Il tutto con buona pace dell’economia processuale e della ragionevole durata del processo ovverosia di quei principii che erano stati posti a base dell’impugnazione dai ricorrenti. Infatti, proprio il legame fra la diseconomia processuale e la piena attuazione del contraddittorio ha spinto, talvolta, la giurisprudenza a ritenere quest’ultimo recessivo rispetto all’esigenza di garantire il sollecito svolgimento del processo. È stata, ad esempio, ritenuta superflua e, anzi, persino foriera di inutile dispendio di attività processuale, l’integrazione del contraddittorio nei confronti delle controparti (ovvero alcune di quelle) nell’ipotesi di inammissibilità dell’impugnazione proposta54, con espressa dispensa dall’applicabilità dell’art. 331 c.p.c.55. Analogamente, si è assistito, in sede cautelare, a una lettura più lata della disciplina del decreto reso inaudita altera parte, che, in progresso di tempo, è stato ricostruito dalla prassi, sebbene non univocamente, come contenitore idoneo a veicolare anche provvedimenti negativi sulle istanze avanzate ex art. 669-sexies, co. 2, c.p.c.. E ciò pur in aperta contraddizione col disposto del successivo art. 669-septies c.p.c., che pare incastonare naturaliter il provvedimento di rigetto della domanda cautelare esclusivamente nella “forma” dell’ordinanza56. È evidente come, in tali ipotesi, la soluzione “di merito”, pur a fronte di un contraddittorio monco, sia stata pronunciata al fine di evitare una dilatazione dei tempi del processo, legata essenzialmente alla necessità di (ri)stabilire anzitutto la parità delle armi tra le parti, attesa l’assenza di alcuna apprezzabile utilità, per il soggetto pretermesso, a partecipare a tali procedimenti57. Ciò che, in effetti, avrebbe potuto esser considerato anche nel caso di cui tratta, laddove la Corte avesse regolato la competenza con un provvedimento esplicito, che, sebbene precario (nella misura in cui è stato sopra osservato), avrebbe certamente potuto determinare degli effetti meno disfunzionali. 7. Per altro verso ancora, il contenuto del provvedimento va valutato alla luce dell’applicabilità della disciplina sulle impugnazioni e, per essa, di quella sul giudizio di cassazione58, al regolamento di competenza. Vi è, infatti, chi ne deduce l’applicabilità de plano, in quanto rimedio annoverato tra i mezzi di impugnazione59. Secondo alcuni, invece, non

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Per tutte, v. Cass. sez. un. 22 marzo 2010, n. 6826; più di recente Cass. 16 gennaio 2020, n. 800, con osservazioni di Fanelli, Il giudice “può ordinare” l’integrazione del contraddittorio, in www.judicium.it. 55 () Cass. 24 giugno 2019, n. 16858. 56 Sulla questione, anche per i riferimenti giurisprudenziali e dottrinali ivi citati, v. Califano, Sul ricorso cautelare rigettato con decreto inaudita altera parte, in Giusto proc. civ., 2019, 843 ss. 57 Cfr. Fanelli, Note sulla «sollecita» e «sostanziale» definizione del giudizio alla luce del principio di ragionevole durata del processo e del nuovo art. 360-bis, comma 2º, c.p.c., in Riv. dir. proc., 2011, 224 ss. 58 Secondo Acone, La “ragionevole durata”, cit., 1598 «[la] natura di mezzo di impugnazione non autorizza, in presenza degli artt. 47 e ss. c.p.c., la meccanica trasposizione di regole proprie del procedimento ordinario di cassazione che ha tempi e forme del tutto differenti». 59 Cerino Canova, Le impugnazioni civili. Struttura e funzione, Padova, 1973, 601, privilegia «la struttura e la funzione del mezzo, che lo assimilano profondamente ai gravami» e «il richiamo espresso contenuto negli artt. 323 e 324 c.p.c.». E, dunque, le norme sulle impugnazioni sono ritenute «le più idonee per integrare l’incompletezza del regime specifico del regolamento di competenza

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vi sarebbe un’automatica estensione delle regole proprie di altri procedimenti a carattere impugnatorio, in ragione del fatto che «il Legislatore ha dettato per il regolamento di competenza una compiuta disciplina fortemente differenziata ed ha marcato tale scelta coll’evitare accuratamente di menzionarlo in tutte le disposizioni sulle impugnazioni successive agli artt. 323 e 324 c.p.c.60». Altri ancora, pur riconoscendo in esso un rimedio speciale – e non soggiacente, tout court, alla disciplina delle impugnazioni –, hanno pur sempre finito per integrarne la disciplina proprio con tali norme61. Nel dirimere la questione, appare più convincente, invero, l’impostazione interpretativa mediana, che individua il discrimen, tra l’applicabilità o meno al regolamento di competenza delle norme sulle impugnazioni, nella valutazione concreta dell’alterazione che dall’estensione di tali disposizioni derivasse allo schema procedimentale degli artt. 47 e ss. c.p.c., con l’esclusione, in tale operazione ermeneutica, delle soluzioni interpretative foriere di adulterazione del modello codicistico, nonché di quelle confliggenti col principio del giusto processo62. E, così, proprio nell’ottica di rimanere il più possibili fedeli allo specimen (per mutuare l’espressione della Corte), non già del processo di impugnazione in generale, quanto invece del rimedio particolare del regolamento di competenza, che è caratterizzato da peculiari elementi di specialità e di semplificazione, andrebbe «allontana[ta] qualsiasi tentazione di privilegiare interpretazioni più garantiste che snaturano però la funzione del mezzo63». In tal senso, potrebbe, allora, ipotizzarsi la (non) applicabilità, al procedimento di cui all’art. 47 c.p.c., dell’art. 383, co. 3, c.p.c., che – in lettura combinata con l’art. 354, co. 1, c.p.c. – impone la cassazione (recte, nel caso di specie, caducazione) con rinvio al giudice di primo grado nell’ipotesi della non corretta instaurazione del contraddittorio, atteso che «la necessità del litisconsorzio non si riferi[rebbe] all’atto introduttivo del giudizio ma solo alla trattazione del merito»64. Tuttavia, opinando come sopra, nella ricerca delle norme compatibili con il regolamento di competenza, non potrebbe non esserne considerata, oltre alla già chiarita natura di mezzo di impugnazione anche quella di incidente del processo di merito65; circostanza confermata dal fatto che, a differenza di quanto stabilito per il ricorso ordinario ex art. 365 c.p.c., non è necessaria una procura speciale e che il difensore, pur non munito dello ius

contenuto negli artt. 42-50». Contra Acone, op. cit., 1598, nt. 24, secondo il quale «vengono in tal modo messe insieme ragioni diverse senza una chiara consapevolezza che il procedimento per regolamento di competenza ha una sua differenziazione ed una sua compiutezza che segnano il limite di applicabilità di qualsivoglia disciplina viciniore»; Id., Il regolamento di competenza, cit., 115. 60 Acone, La “ragionevole durata”, cit., 1598-1599. 61 Anche Bongiorno, Il regolamento cit. 232 ss., che era giunto a escluderne la natura di mezzo di impugnazione ha, comunque, fatto ricorso alle norme sulle impugnazioni per integrare la disciplina degli artt. 47 ss. c.p.c. 62 Acone, op. cit., 1599; Id., Il regolamento di competenza, cit., 114. 63 Acone, La ragionevole durata, cit., 1595. 64 Costantino, Contributo allo studio del litisconsorzio necessario, Napoli, 1979, 160 ss. 65 Per tutte, v. Cass. 23 febbraio 1984, n. 1929, secondo cui: «il regolamento di competenza, pur avendo natura di mezzo di impugnazione, opera come un semplice incidente del processo di merito»; conf. Cass. 5 febbraio 1988, n. 1268; Cass. 20 maggio 1998, n. 5026.

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postulandi dinanzi le magistrature superiori, può validamente stare in giudizio innanzi alla Cassazione66. Sicché, potrebbe finanche obbiettarsi tout court dell’applicabilità al regolamento di competenza necessario degli artt. 331 e 332 c.p.c., atteso che la disciplina dettata per il litisconsorzio in sede di impugnazione, quale grado distinto e successivo, potrebbe non trovare applicazione in una fase “meramente” incidentale, qual è questa. In tal senso, non avrebbe (forse) nemmeno senso discorrere della realizzazione del contraddittorio in forme diverse da quella che avrebbe necessariamente dovuto assumere nel giudizio a quo. In altri termini, la “traslazione” d(i una fase d)el processo di primo grado, che rimane tendenzialmente unitario, dinanzi al giudice dei conflitti, implicherebbe la necessaria partecipazione di tutte le parti di quello originario. E ciò pur in presenza, come nel caso che ci occupa, di cause scindibili: si realizzerebbe, così, una fattispecie non dissimile dal «litisconsorzio necessario processuale», figura che la giurisprudenza ha individuato in via pretoria nell’ipotesi del regolamento preventivo di giurisdizione67. Così opinando, l’art. 102 c.p.c. diverrebbe, allora, la norma cui conformare lo svolgimento del processo. Sicché, assumendo come imprescindibile la partecipazione (anche) della parte – non evocata correttamente in primo grado – al giudizio di regolamento di competenza, la Corte avrebbe dovuto necessariamente ordinare l’integrazione del contraddittorio nei confronti quest’ultima; ciò che le avrebbe consentito, in ultimo, di esaminare, senza particolari patemi, il “merito” della questione di competenza. Dopodiché, riassunto il processo dinanzi al giudice del merito competente e, a seguito di rinnovazione dell’atto introduttivo nei confronti del soggetto originariamente pretermesso (per consentire, da un lato, agli attori di spiegare correttamente la domanda originaria nei confronti della neoentrata in giudizio e, dall’altro, a quest’ultima di potervi contraddire con pienezza di forme e di contenuti), la causa avrebbe potuto, dunque, procedere verso la decisione nel merito. 8. Ma, a fronte di tali perplessità, che farebbero dubitare della soluzione espressa, rimane ineludibile sullo sfondo la questione relativa al rimedio per contestare una pronuncia

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Si tratta di un orientamento granitico in giurisprudenza, secondo la quale la procura alle liti si intende conferita anche per il regolamento di competenza, salvo sia stata espressamente confinata alla sola fase di giudizio di merito, (cfr. Cass. 9 settembre 2004 n. 18199; conf. Cass. 3 marzo 1998, n. 2333, in Foro it., I, 1998, 1044-1048, con nota critica di Cipriani, Regolamento di competenza e procura alle liti, il quale ravvisa, in relazione a tale profilo, una profonda incoerenza nella disciplina della procura alle liti nel giudizio di cassazione). Al contrario, se viene conferito mandato per il giudizio di regolamento ad altro difensore, questo deve essere munito di procura speciale e deve essere iscritto all’albo dei patrocinanti dinanzi alle magistrature superiori, con l’effetto di riallineare, così, la disciplina del ricorso ordinario e quella del regolamento di competenza. In tal senso, in giurisprudenza v. Cass. 26 febbraio 1980, n. 1334; Cass. 27 aprile 1984, n. 2637; in dottrina, in senso conforme, v. Andrioli, op. cit., 170; Massari, op. cit., 552; Bongiorno, op. cit., 234-235. 67 Cfr. Cass. sez. un. 1° dicembre 2004, n. 22496, per la quale: «in sede di regolamento preventivo di giurisdizione si configura il litisconsorzio necessario cosiddetto processuale relativamente a tutte le parti del processo civile o amministrativo a cui si riferisce la richiesta di regolamento: tale giudizio, pertanto, deve svolgersi nel contraddittorio di tutte le parti del giudizio di merito, comprese quelle che non vi siano costituite, ma, ove il ricorso per regolamento preventivo non le contempli tutte e non a tutte sia stato notificato, non si verifica l’inammissibilità del ricorso, ma deve ordinarsi l’integrazione del contraddittorio, sempreché tale provvedimento non sia prevenuto da una rinnovazione dell’atto con la sua notificazione a tutte le parti».; conf. Cass. sez. un. 10 marzo 1999, n. 113.

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sulla sola competenza, che sia viziata da un error in procedendo, qual è la mancata corretta instaurazione del contraddittorio. Sul punto, non può non rilevarsi che l’unico strumento, previsto dal codice di rito, per impugnare l’ordinanza declinatoria della competenza sia proprio il regolamento necessario di competenza. Difatti, quantunque il vizio lamentato si riferisca a una questione non direttamente e necessariamente legata alla risoluzione della competenza, è indubbio che una pronuncia sulla (sola) competenza vi sia stata e che questa sia viziata68 in quanto intervenuta in assenza di «un segmento indefettibile anteriore alla sequenza» procedurale69, non potendosi scorgere in essa alcuna pronuncia implicita sulla questione del contraddittorio70. E ciò è tanto più vero nel caso in esame, laddove il giudice di merito, accantonate tutte le altre questioni, ha (espressamente ed) esclusivamente deciso la questione di competenza. Sicché, per affermare la non deducibilità in via autonoma in questa sede della censura sul contraddittorio, si dovrebbe ritenere processualmente necessitata la posposizione e, per essa, l’esame congiunto di tale questione, unitamente a quella di competenza, nella sola sede dell’impugnazione dinanzi al giudice del grado di appello, come ravvisato da taluna, non più recentissima, giurisprudenza71. Inoltre, pur alla stregua di quanto osservato poc’anzi e in assenza di norme esplicite in tal senso, rimane, in ogni caso, difficile opinare in senso contrario a una lettura complessiva della disciplina del procedimento di regolamento di competenza, che abiliti la Corte, anche in tale sede, ad esercitare poteri non dissimili da quelli può – al pari degli altri giudici dei gradi inferiori – esercitare in sede di ricorso “ordinario”. E, così, ove anche si ammettesse una interpretazione restrittiva delle norme disciplinanti il procedimento per regolamento di competenza, il regime di eccezione rilevabile d’ufficio di tale vizio – come osservato da taluna dottrina72 – consentirebbe, comunque, alla Cassazione di rilevarlo

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Frasca, op. cit., 94-95 ritiene una siffatta ordinanza impugnabile esclusivamente col regolamento necessario di competenza, in quanto la decisione è soltanto sulla competenza e il vizio del procedimento è relativo a una pronuncia resa su tale, sola questione. 69 Cit. Auletta, Nullità e «inesistenza» degli atti processuali civili, Padova, 1999, 146-147, che ritiene la non corretta instaurazione del contraddittorio una nullità formale, in quanto da essa deriverebbe la nullità degli atti del processo. Contra, nel senso di ritenerla una nullità extraformale, sebbene scaturente da un vizio del procedimento, Ricci, La sentenza “della terza via” e il contraddittorio, in Riv. dir. proc., 2006, 750-751; Consolo, Le Sezioni Unite sulla causalità del vizio delle sentenze della terza via: a proposito della nullità, indubbia ma peculiare poiché sanabile allorché emerge l’assenza in concreto di scopo del contraddittorio eliso, in Corr. giur., 2010, 355 ss. 70 Vedi retro nota 26. 71 In tal senso v. Cass. 28 marzo 2006, n. 7075; Cass. 6 maggio 1975, n. 1920, in Giur. it., 1976, I, 1, 256, con nota di Cerino Canova, Deviazioni giurisprudenziali al regolamento “necessario” di competenza. 72 Si esprime in tal senso, con riferimento alle ipotesi di litisconsorzio necessario, ma le medesime osservazioni possono validamente essere estese all’omessa citazione della parte a norma dell’art. 101, co. 1, c.p.c., Frasca, op. cit., 519-520, secondo il quale «posto che l’art. 102 c.p.c. è norma contenuta nel Libro I del codice di procedura civile e la sua inosservanza determina una nullità rilevabile d’ufficio, si potrebbe pensare, anche per evitare un inutile dispendio di attività processuale, che la Corte di cassazione, adita con il regolamento di competenza, rilevi che la decisione impugnata è nulla, perché pronunciata in difetto di integrità del contraddittorio e, quindi, che la debba cassare rinviando al giudice che l’ha pronunciata, con disposizione ai sensi del 2º comma dell’art. 49 nel senso che la prosecuzione possa avvenire solo previo ordine di integrazione del contraddittorio e, quindi, con reviviscenza della questione di competenza all’esito. In definitiva, quando l’art. 102 c.p.c. dice che debbono stare nel giudizio tutte le parti nei confronti delle quali la sentenza dev’essere pronunciata, si riferisce anche alla sentenza da pronunciarsi per ragioni di mero rito».

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officiosamente e di cassare (recte, caducare) l’ordinanza, emessa in violazione delle norme disciplinanti la regolare costituzione del contraddittorio, conservando, così, intatta la facoltà del giudice a quo di esaminare, previa ricostituzione dello stesso, la questione di competenza, che potrebbe essere nuovamente decisa (e, dunque, sarebbe nuovamente impugnabile con una nuova istanza di regolamento). Si tratta, in buona sostanza, di una soluzione pressoché collimante con quella accolta nell’ordinanza qui annotata, nel cui anticipato commento73 sembrerebbe (quasi) di essersi imbattuti. Alessandro d’Angelis

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Come Calamandrei scrisse degli studi del Chiovenda, riferendosi al codice di procedura civile appena approvato, nella prolusione alle sue Istituzioni di diritto processuale civile e, prima ancora, nella stessa Relazione al Re (Cfr. Cipriani, Sulla paternità del codice di procedura civile, in Foro it., V, 2007, 136 ss.).

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Giurisprudenza Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, sent. 18 settembre 2020, n. 19596 – Pres. Mammone – Rel. Cirillo – P.M. Sgroi – D.D. e A.A. c. Unione Banche Italiane S.p.a. (già Banco di Brescia San Paolo Cab S.p.a.). Ingiunzione in materia civile (procedimento per) – Opposizione – Opposizione a decreto ingiuntivo – Onere di esperire il procedimento di mediazione ex art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010 in capo alla parte opposta – Conseguenze. Nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi dell’art. 5, comma 1-bis, del d. lgs. n. 28 del 2010, i cui giudizi vengano introdotti con richiesta di decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, l’onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta; ne consegue che, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità di cui al citato comma 1-bis conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo.

(omissis) Fatti di causa. 1. D.D. e A.A. proposero opposizione, davanti al Tribunale di Treviso, avverso il decreto ingiuntivo col quale era stato ingiunto il pagamento, in favore del Banco di Brescia San Paolo Cab s.p.a., poi divenuto UBI Banca s.p.a., della somma di euro 52.500 a carico di entrambi e della somma di euro 36.251,46 a carico del solo D. Contestualmente, sul presupposto che la Banca avesse applicato interessi usurari, gli opponenti proposero anche domanda riconvenzionale per il risarcimento dei danni. Nel giudizio si costituì la Banca creditrice, chiedendo il rigetto dell’opposizione. Concessa la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo limitatamente ad una parte dell’importo ed assegnato il termine per la presentazione della domanda di mediazione, questa non fu presentata; per cui il Tribunale dichiarò l’improcedibilità sia dell’opposizione che delle domande riconvenzionali, affermando che a seguito di tale pronuncia si erano prodotti gli effetti di cui all’art. 647 c.p.c. e cioè il passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo. A tale conclusione il Tribunale pervenne richiamando la sentenza del 3 dicembre 2015, n. 24629, di questa Corte, secondo cui nel giudizio di opposizione al decreto

ingiuntivo l’onere di esperire il tentativo obbligatorio di mediazione verte sulla parte opponente. 2. La sentenza del Tribunale è stata impugnata dalle parti opponenti e la Corte d’appello di Venezia, con ordinanza del 20 luglio 2017 pronunciata ai sensi degli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c. ha dichiarato l’appello inammissibile in quanto privo di ragionevoli probabilità di essere accolto, mostrando di condividere il richiamo alla sentenza n. 24629 del 2015 già richiamata dal Tribunale. 3. Contro la sentenza del Tribunale di Treviso hanno proposto ricorso D.D. e A.A. con un unico atto affidato ad un solo complesso motivo. Resiste la UBI Banca s.p.a. con controricorso. A seguito della discussione del ricorso, avvenuta all’udienza pubblica del 27 marzo 2019, la Terza Sezione Civile di questa Corte, con ordinanza interlocutoria del 12 luglio 2019, n. 18741, ha rimesso gli atti al Primo Presidente ai fini dell’eventuale trattazione del ricorso da parte delle Sezioni Unite, ravvisando una questione di massima di particolare importanza in ordine all’individuazione della parte – opponente o opposto – che è tenuta a promuovere la procedura di mediazione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. Il Primo Presidente ha disposto in conformità, fissando per la discussione l’udienza del 10 marzo

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2020, poi rinviata al 7 luglio 2020 a causa dell’emergenza costituita dalla pandemia di Covid-19. Il Procuratore generale ha depositato le conclusioni per iscritto. Ragioni della decisione. 1. Con l’unico motivo di ricorso gli opponenti lamentano, in riferimento all’art. 360 c.p.c. comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, art. 5, per avere identificato nell’opponente la parte tenuta ad introdurre il procedimento di mediazione obbligatoria. Dopo aver ricordato i passaggi fondamentali della sentenza n. 24629 del 2015 di questa Corte, i ricorrenti pongono in luce che le argomentazioni ivi contenute non sono state ritenute soddisfacenti da una parte cospicua della giurisprudenza di merito e della dottrina. Vengono quindi riportati stralci di motivazione di numerosi provvedimenti con i quali alcuni Tribunali italiani, dissentendo dalla suindicata decisione di legittimità, hanno affermato che l’onere di proporre la mediazione è da ritenere a carico dell’opposto e non dell’opponente. È l’opposto, infatti, il creditore in senso sostanziale; e la disposizione dell’art. 5, comma 4, cit. espressamente prevede che la mediazione obbligatoria non deve essere promossa “nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione”. Per cui i ricorrenti chiedono un mutamento di giurisprudenza che stabilisca che la conseguenza della improcedibilità per mancata proposizione della mediazione non sia la irrevocabilità del decreto ingiuntivo, quanto piuttosto la revoca dello stesso. La Banca controricorrente sostiene, viceversa, la tesi contraria, richiamando provvedimenti di altri tribunali i quali si sono conformati alla citata decisione di questa Corte. L’ordinanza interlocutoria. 2. La Terza Sezione Civile, dopo aver ripercorso i passaggi essenziali della vicenda processuale in corso, ricorda che nei procedimenti per ingiun-

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zione, inclusa la fase di opposizione, la disciplina della mediazione obbligatoria non si applica fino alla pronuncia sulle istanze di concessione o di sospensione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo; il che significa – dato il carattere non necessario della pronuncia delle ordinanze di cui agli artt. 648 e 649 c.p.c. – che il procedimento di mediazione potrebbe anche “non trovare per nulla applicazione nell’opposizione a decreto ingiuntivo”. Ciò premesso, l’ordinanza osserva che, nel silenzio della legge circa l’individuazione del soggetto onerato della proposizione dell’istanza di mediazione, entrambe le opzioni sono possibili e sostenibili con valide argomentazioni. La tesi seguita dalla sentenza n. 24629 del 2015 trova il proprio fondamento nell’affermazione secondo cui, poiché è l’opponente il soggetto interessato alla proposizione del giudizio di cognizione, è su di lui che deve gravare l’onere di avviare la procedura di mediazione. D’altro canto, però, è sostenibile anche l’altra tesi, che ha dalla sua il fatto che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è il convenuto opposto ad essere l’attore in senso sostanziale; e con la proposizione dell’opposizione il giudizio torna ad essere un normale giudizio di cognizione. Il Collegio rimettente dichiara di non condividere la tesi che vorrebbe scindere l’onere di proposizione della mediazione a carico dell’opponente se sia stata concessa la provvisoria esecuzione e a carico, invece, dell’opposto se l’esecuzione provvisoria sia stata sospesa; ciò in quanto simile impostazione “disarticola l’onere processuale dalla domanda, ovvero dall’atto di opposizione, laddove invece l’esperimento della mediazione resta condizione di procedibilità della domanda”. Entrambe le tesi, secondo la Terza Sezione, costituiscono la “proiezione di principi costituzionali”. Quella di cui alla sentenza n. 24629 del


Margherita Pagnotta

2015 si fonda sulla convinzione per cui, essendo l’opponente la parte che intende percorrere la c.d. via lunga in luogo di quella breve, è su di lui che deve gravare l’onere suddetto. L’altra tesi, invece, si fonda sull’affermazione, più volte compiuta dalla giurisprudenza costituzionale, per cui “l’accesso alla giurisdizione condizionata al previo adempimento di oneri non può tradursi nella perdita del diritto di agire in giudizio tutelato dall’art. 24 Cost.”. La rimessione alle Sezioni Unite viene ritenuta dall’ordinanza interlocutoria come necessaria in ragione dell’amplissima parte del contenzioso civile interessato dalla mediazione e del perdurante dissenso, sia giurisprudenziale che dottrinale, sul problema in questione. Il quadro normativo. 3. Ai fini di un corretto inquadramento normativo della questione in esame, è opportuno ricordare che il D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1-bis, dispone che chi “intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia” nelle materie ivi indicate “è tenuto, assistito dall’avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto”, ovvero uno degli altri sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie previsti da specifiche normative di settore. L’esperimento di tale procedimento, che la legge chiarisce essere una “condizione di procedibilità della domanda giudiziale”, ha una durata “non superiore a tre mesi” (art. 6, comma 1 D.Lgs. cit.); il giudice, se la mediazione non è stata esperita, assegna un termine di quindici giorni alle parti per la presentazione della relativa domanda; mentre, qualora la causa sia cominciata ma non ancora conclusa, “fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’art. 6” sopra indicato. Il citato art. 5, comma 2 prevede poi la possibilità che il giudice disponga anche in grado di appello l’esperimento del procedimento di mediazione, “valutata

la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti”; e in tal caso l’esperimento del procedimento “è condizione di procedibilità della domanda anche in sede di appello”. Come l’ordinanza interlocutoria ricorda, il legislatore ha stabilito che il procedimento di mediazione segua una particolare cadenza processuale ove si vada ad inserire nel contesto di una procedura per ingiunzione. Il D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 4, lett. a), dispone, infatti, che i commi 1-bis e 2 cit. articolo non si applichino “nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione”; il che significa che il legislatore ha tenuto presente la peculiarità del procedimento monitorio ed ha ritenuto di collocare la mediazione solo nel momento successivo a quello in cui è stata decisa, in un senso o nell’altro, la questione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo. Ed è appena il caso di ricordare che, mentre l’art. 649 c.p.c. è rimasto inalterato rispetto alla sua versione originaria redatta nel 1942, l’art. 648 c.p.c. è stato rimaneggiato in modo significativo da recenti interventi legislativi: la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo, infatti, può attualmente essere concessa “in prima udienza” e “deve” essere concessa “limitatamente alle somme non contestate”; disposizioni, queste, che dimostrano entrambe un evidente intento acceleratorio che le riforme del 2013 e del 2016 hanno dettato in materia di concessione della provvisoria esecuzione. Dalla lettura della relazione illustrativa che figura tra i lavori preparatori del D.Lgs. n. 28 del 2010 risulta evidente come il legislatore fosse ben consapevole della difficoltà di andare ad inserire un istituto con finalità tipicamente deflattive, come la mediazione, nel contesto di un procedimento, quello monitorio, caratterizzato dal contraddittorio differito. Si legge in quel documento, infatti, che l’art. 5, comma 4 del decreto in esame elenca una serie di procedimenti “posti a presidio

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di interessi per i quali un preventivo tentativo obbligatorio di mediazione appare inutile o controproducente, a fronte di una tutela giurisdizionale che è invece in grado, talvolta in forme sommarie e che non richiedono un preventivo contraddittorio, di assicurare una celere soddisfazione degli interessi”. L’esclusione del procedimento per ingiunzione e di quello per convalida di licenza o di sfratto dall’obbligo di preventivo esperimento della mediazione “si giustifica per il fatto che in essi ci troviamo di fronte a forme di accertamento sommario con prevalente funzione esecutiva. Il procedimento è caratterizzato da un contraddittorio differito o rudimentale e mira a consentire al creditore di conseguire rapidamente un titolo esecutivo. Appare pertanto illogico frustrare tale esigenza imponendo la mediazione o comunque il differimento del processo”. Occorre poi rilevare, seguendo il dipanarsi non sempre lineare della legislazione degli ultimi anni, come il legislatore, regolando la procedura di negoziazione assistita, istituto per certi versi assimilabile a quello della mediazione, sia giunto ad escludere affatto il relativo obbligo in relazione al procedimento di ingiunzione. Il D.L. 12 settembre 2014, n. 132, art. 3 convertito, con modificazioni, nella L. 10 novembre 2014, n. 162, prevede (al comma 1), sulla falsariga del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5 che “chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia” nei casi ivi indicati “deve, tramite il suo avvocato, invitare l’altra parte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita”. La disposizione del comma 1, però, non si applica nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione (D.L. n. 132 del 2014, art. 3, comma 3). Nonostante tale chiara opzione, avvenuta a distanza di soli quattro anni, il legislatore del 2014 non ha ritenuto di dover coerentemente intervenire per escludere anche l’obbligo di mediazione nelle cause di opposizione a decreto ingiuntivo, così come ha fatto per la negoziazione assistita (la Corte costi-

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tuzionale, peraltro, ha scrutinato la diversità tra le due situazioni ed ha escluso la violazione del principio di uguaglianza, v. sul punto la sentenza n. 97 del 2019). La sentenza di questa Corte n. 24629 del 2015 e la divisione della giurisprudenza di merito. 4. Com’è noto, il problema posto oggi all’esame delle Sezioni Unite è stato oggetto di una specifica pronuncia, cioè la citata sentenza n. 24629 del 2015 della Terza Sezione Civile, la quale ha affermato che nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo l’onere di esperire il tentativo obbligatorio di mediazione è da porre a carico della parte opponente. A tale conclusione la citata sentenza è giunta attraverso una serie di considerazioni – che qui non occorre analiticamente richiamare – incentrate sulla natura deflattiva del procedimento di mediazione, sulla particolare struttura del procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, che può consentire di pervenire anche in tempi brevi ad un accertamento definitivo, e sulla ravvisata opportunità di porre l’onere di instaurare il procedimento di mediazione a carico della parte che ha l’effettivo interesse ad introdurre il giudizio di merito a cognizione piena, attraverso lo strumento dell’opposizione al decreto; giudizio che il creditore opposto avrebbe viceversa inteso evitare attraverso l’utilizzo del più agile strumento del decreto ingiuntivo. Questa sentenza, a quanto risulta, non è l’unica che ha affrontato il problema in esame. Sono da aggiungere, infatti, due ordinanze della Sesta Sezione Civile di questa Corte: l’ordinanza 21 settembre 2017, n. 22017, la quale però si è arrestata al preliminare rilievo di inammissibilità del ricorso proprio perché la parte ricorrente non aveva affrontato la questione oggi in esame, decisa dalla Corte di merito, in quel caso, in senso conforme alla sentenza n. 24629 del 2015; nonché l’ordinanza 16 settembre 2019, n. 22003, la


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quale ha seguito l’impostazione del precedente del 2015 senza aggiungere ulteriori sostanziali argomentazioni di supporto. 4.1. È certo, però, che l’impostazione data dalla sentenza n. 24629 del 2015 non ha raccolto l’unanime consenso degli uffici giudiziari di merito i quali si sono divisi su posizione tra loro inconciliabili. E così, mentre una parte di essi si è allineata alle indicazioni provenienti dalla sentenza suindicata, un’altra parte ha dichiarato di non condividere tale impostazione, adottando perciò la soluzione contraria e ponendo l’onere di promuovere il procedimento di mediazione a carico del creditore opposto. Non sono mancate, poi, soluzioni intermedie, come quella di chi ha proposto che l’onere di instaurazione del procedimento di mediazione debba gravare sulla parte opponente o su quella opposta a seconda che il decreto ingiuntivo abbia ottenuto, o meno, la provvisoria esecutività; oppure quella di altri uffici che hanno ritenuto che l’onere possa essere posto a carico dell’opponente solo se questi abbia proposto domanda riconvenzionale. Non è il caso di elencare i singoli provvedimenti che si sono schierati per l’una o per l’altra soluzione, né di indicare percentuali maggiori o minori di adesione all’indirizzo inaugurato dalla sentenza n. 24629 del 2015. È invece opportuno richiamare, in breve, le principali argomentazioni a sostegno dell’una e dell’altra tesi. Gli uffici di merito che hanno dato seguito al precedente di questa Corte hanno messo in risalto, soprattutto, due considerazioni: 1) il fatto che è l’opponente che ha la veste processuale di attore perché grava su di lui la scelta se provvedere o meno all’instaurazione di un giudizio che sottoponga al giudice il vaglio sulla fondatezza della domanda; 2) la circostanza che il decreto ingiuntivo è un provvedimento di per sé suscettibile di passare in giudicato in caso di mancata opposizione, per cui la parte che ha interesse ad

impedire che ciò avvenga è tenuta ad attivarsi, anche promuovendo la mediazione. Gli uffici di merito che, al contrario, non hanno seguito il citato indirizzo hanno richiamato soprattutto due argomenti: 1) nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo le parti riprendono ciascuna il proprio ruolo ed è il creditore opposto a doversi attivare per la procedura di mediazione, come normalmente avverrebbe se si trattasse di una causa ordinaria; 2) l’improcedibilità del giudizio di opposizione per mancato avvio della procedura di mediazione determinerebbe la caducazione del decreto ingiuntivo, cioè la sua revoca, senza pregiudizio della possibilità di ottenere un altro decreto ingiuntivo identico al precedente, mentre l’orientamento della sentenza n. 24629 del 2015 conduce al risultato per cui all’improcedibilità dell’opposizione deve fare seguito l’irrevocabilità del decreto ingiuntivo. Il Collegio tornerà a richiamare le ragioni dell’una e dell’altra tesi nel prosieguo della presente motivazione. Ciò che occorre ulteriormente aggiungere è che il problema in esame ha visto anche un significativo contrasto nell’ambito della dottrina; molti Autori, infatti, si sono pronunciati sulla questione e, con dovizia di contrapposte argomentazioni, hanno sostenuto ora l’una ora l’altra tesi, a conferma di quello che osserva l’ordinanza interlocutoria, e cioè che esistono ragioni sostenibili a supporto di entrambe le contrapposte posizioni. 4.2. Rilevano le Sezioni Unite che una simile frontale contrapposizione non giova al sistema; le regole processuali, infatti, costituiscono uno strumento finalizzato a permettere alle parti il corretto esercizio del diritto di difesa attraverso la proposizione delle rispettive posizioni. Il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e la mediazione obbligatoria trovano amplissima applicazione davanti ai giudici di pace, come pure davanti ai tribunali ed alle corti d’appello, nelle materie più diverse. L’adesione all’una o all’altra tesi comporta soluzioni concrete radical-

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mente contrarie: l’effetto di improcedibilità della domanda che consegue al mancato esperimento del procedimento di mediazione implica che, se l’onere è posto a carico dell’opponente, ciò determinerà l’irrevocabilità del decreto ingiuntivo (così com’è stato deciso dal Tribunale di Treviso nel caso odierno); mentre in caso contrario, l’effetto sarà quello della revoca del decreto medesimo. L’intervento delle Sezioni Unite è, quindi, quanto mai opportuno; la Corte Suprema, infatti, non può ignorare che la sentenza del 2015 ha determinato una spaccatura dei giudici di merito, tanto più da evitare in quanto l’effetto di prevedibilità delle decisioni giudiziarie si va affermando come un valore prezioso da preservare, anche in termini di analisi economica del diritto. La soluzione del quesito. 5. Ritengono queste Sezioni Unite che l’orientamento inaugurato dalla più volte citata sentenza n. 24629 del 2015 non possa essere confermato e che il contrasto esistente nella giurisprudenza vada composto stabilendo che l’onere di attivare il procedimento di mediazione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è a carico del creditore opposto. Militano in questo senso argomenti di carattere testuale, logico e sistematico e tale interpretazione deve ritenersi l’unica costituzionalmente orientata. 5.1. Il punto di partenza non può che essere il dato normativo. A questo proposito, il Collegio rileva innanzitutto come le disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 28 del 2010 non siano neutre ai fini che qui interessano. Vi sono, infatti, alcuni articoli che, pur non affrontando direttamente il problema in esame, non potrebbero armonizzarsi con la tesi che pone l’onere di promuovere la procedura di mediazione a carico della parte opponente. La prima norma è quella dell’art. 4, comma 2 D.Lgs. cit. il quale, nel regolare l’accesso alla

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mediazione, stabilisce come debba essere proposta la relativa domanda e specificamente dispone, al comma 2, che “l’istanza deve indicare l’organismo, le parti, l’oggetto e le ragioni della pretesa”. È una caratteristica tipica del nostro sistema processuale il fatto che sia l’attore, cioè colui il quale assume l’iniziativa processuale, a dover chiarire, tra le altre cose, l’oggetto e le ragioni della pretesa. Appare almeno curioso, quindi, ipotizzare che l’opponente, cioè il debitore – ossia chi si è limitato a reagire all’iniziativa del creditore – sia costretto ad indicare l’oggetto e le ragioni di una pretesa che non è la sua. La seconda disposizione è contenuta nel D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1-bis, il quale dispone, tra l’altro, che chi “intende esercitare in giudizio un’azione” relativa a una controversia nelle materie ivi indicate “è tenuto, assistito dall’avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto”. Anche qui si deve confermare quanto si è detto a proposito dell’art. 4, comma 2; l’obbligo di esperire il procedimento di mediazione è posto dalla legge a carico di chi intende esercitare in giudizio un’azione, e non c’è alcun dubbio che tale posizione sia quella dell’attore, che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è il creditore opposto (c.d. attore in senso sostanziale). Non a caso, infatti, l’art. 643 c.p.c. comma 3, stabilisce che la notificazione del decreto ingiuntivo determina la pendenza della lite. Sul punto non è il caso di dilungarsi, perché la giurisprudenza di questa Corte, con l’avallo dell’unanime dottrina, è pacifica in questo senso. La terza disposizione significativa è quella del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 6, il quale dispone che “dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale”. È agevole collegare questa previsione con gli artt. 2943 e 2945 c.c., i quali regolano gli effetti della domanda giudiziale sull’interruzione


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della prescrizione e l’ultrattività dell’effetto interruttivo in caso di estinzione del processo (art. 2945, comma 3, cit.). L’art. 5, comma 6, anzi, prevede pure un effetto impeditivo della decadenza “per una sola volta”. Va da sé che non appare logico che un effetto favorevole all’attore come l’interruzione della prescrizione si determini grazie ad un’iniziativa assunta dal debitore, posto che l’opponente nella fase di opposizione al monitorio è, appunto, il debitore (convenuto in senso sostanziale). È possibile, dunque, trarre una prima conclusione di carattere testuale e cioè che le tre norme ora richiamate sono univoche nel senso che l’onere di attivarsi per promuovere la mediazione debba essere posto a carico del creditore, che è appunto l’opposto. 5.2. A questi argomenti letterali si affiancano ragioni di ordine logico e sistematico. Un primo argomento è stato già anticipato nelle precedenti riflessioni. Come si è detto, infatti, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è l’opposto ad avere la qualità di creditore in senso sostanziale. La legge ha voluto che nel giudizio monitorio l’onere di attivazione della procedura di mediazione obbligatoria fosse collocato in un momento successivo alla decisione delle istanze sulla provvisoria esecuzione; a quel punto, non solo è certa la pendenza del giudizio di opposizione, ma può anche dirsi che la causa si è incanalata lungo un percorso ordinario. Instaurata l’opposizione e sciolto il nodo della provvisoria esecuzione, non ha più rilievo che il contraddittorio sia differito; e dunque appare più conforme al sistema, letto nella sua globalità, che le parti riprendano ciascuna la propria posizione, per cui sarà il creditore a dover assumere l’iniziativa di promuovere la mediazione. La contraria soluzione è dissonante rispetto alla ricostruzione sistematica del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo; giudizio che sia detto per inciso – è stato ormai da tempo definito da questa Corte,

con l’avallo di autorevole dottrina, come suddiviso in due fasi, la prima a cognizione sommaria e la seconda a cognizione piena. L’opposizione a decreto ingiuntivo non è l’impugnazione del decreto, ma “ha natura di giudizio di cognizione piena che devolve al giudice dell’opposizione il completo esame del rapporto giuridico controverso, e non il semplice controllo della legittimità della pronuncia del decreto d’ingiunzione” (così la sentenza 9 settembre 2010, n. 19246, di queste Sezioni Unite). Tanto che il giudice può anche revocare il decreto e condannare l’opponente al pagamento di una somma minore. Un secondo argomento sistematico si deduce confrontando le diverse conseguenze derivanti dall’inerzia delle parti a seconda che si propenda per l’una o per l’altra soluzione. Se, infatti, si pone l’onere in questione a carico dell’opponente e questi rimane inerte, la conseguenza è che alla pronuncia di improcedibilità farà seguito l’irrevocabilità del decreto ingiuntivo; se l’onere, invece, è a carico dell’opposto, la sua inerzia comporterà l’improcedibilità e la conseguente revoca del decreto ingiuntivo; il quale ben potrà essere riproposto, senza quell’effetto preclusivo che consegue alla irrevocabilità del decreto. Nella prima ipotesi, quindi, definitività del risultato; nella seconda, mero onere di riproposizione per il creditore, il quale non perde nulla. I Tribunali italiani hanno discusso ampiamente su questo punto, che ha diviso anche la dottrina. Uno degli argomenti che sono stati portati in adesione alla sentenza n. 24629 del 2015, infatti, è che il decreto ingiuntivo, per sua stessa attitudine, è un provvedimento idoneo a passare in giudicato; ciò risulta sia dall’art. 647 c.p.c. – in base al quale il decreto diventa esecutivo in caso di mancata opposizione – sia dall’ art. 653 c.p.c. il quale ricollega un identico effetto all’estinzione del processo di opposizione al decreto stesso.

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Tale argomento, indubbiamente suggestivo, risulta però recessivo in considerazione della diversità delle situazioni. Come correttamente ha rilevato il Procuratore generale nella requisitoria scritta, “non vi è possibilità di assimilazione tra l’inerzia “sanzionata” con l’esecutività del decreto a norma dell’art. 647 cit., perché un processo non è stato neppure instaurato o, se lo è stato, si è estinto de iure per mancata costituzione, e la attivazione del giudizio seguita da tempestiva costituzione, espressione, all’opposto, della volontà di difendersi”. In altri termini, poiché l’opponente si è attivato promuovendo il giudizio di opposizione – che è, in concreto, l’unico rimedio processuale che la legge gli riconosce in presenza di un provvedimento monitorio – ricollegare alla sua inerzia nel promuovere il procedimento di mediazione un effetto identico appare un’evidente forzatura, stante la non confrontabilità delle due situazioni. 5.3. Si giunge, così, ai rilievi di natura costituzionale. Com’è noto, la Corte costituzionale è stata chiamata più volte a pronunciarsi sulla legittimità della c.d. giurisdizione condizionata ed ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di numerose disposizioni che prevedevano, appunto, simili forme di giurisdizione. Tra le numerose pronunce deve essere ricordata la sentenza n. 98 del 2014 nella quale il Giudice delle leggi, occupandosi di una norma del processo tributario (il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 17-bis, comma 2), ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale nella parte in cui prevedeva l’obbligo di presentazione di un reclamo agli uffici tributari come condizione di proponibilità della domanda, con la conseguenza che la mancata presentazione di quel reclamo determinava l’inammissibilità del ricorso. La Corte ha ricordato che le forme di accesso alla giurisdizione condizionate al previo adempimento di oneri sono legittime purché ricorrano certi limiti; e che

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comunque sono illegittime le norme che collegano al mancato previo esperimento di rimedi amministrativi la conseguenza della decadenza dall’azione giudiziaria. La giurisprudenza costituzionale, quindi, fornisce un ulteriore e decisivo argomento nel senso che si è delineato. Dovendo scegliere tra due contrapposte interpretazioni, le Sezioni Unite non possono che preferire quella che appare in maggiore armonia con il dettato costituzionale; porre l’onere di promuovere il procedimento di mediazione a carico dell’opponente si traduce, in caso di sua inerzia, nella irrevocabilità del decreto ingiuntivo come conseguenza del mancato esperimento di un procedimento che non è giurisdizionale. È indubbio, come la sentenza n. 24629 del 2015 ha ricordato, che la procedura di mediazione ha una finalità deflattiva, in armonia col principio costituzionale della ragionevole durata del processo; ma è altrettanto evidente che – come ha ancora rilevato il Procuratore generale – nel conflitto tra il principio di efficienza (e ragionevole durata) e la garanzia del diritto di difesa, quest’ultimo deve necessariamente prevalere. Le ragioni poste a sostegno della tesi qui recepita dimostrano come sia priva di fondamento la costruzione, in precedenza ricordata, che vorrebbe porre l’onere della procedura di mediazione a carico ora dell’opponente ora dell’opposto, a seconda che sia stata o meno concessa la provvisoria esecuzione. Simile interpretazione, oltre a prestare il fianco ad evidenti ambiguità, è in contrasto con l’esigenza di dare al sistema una lettura il più possibile chiara ed univoca, che sia in grado di dissipare i dubbi degli interpreti e degli operatori del diritto. Rilevano le Sezioni Unite, infine, che l’approdo ermeneutico odierno è pienamente in armonia con le conclusioni raggiunte dal medesimo Collegio nelle recenti sentenze 28 aprile 2020, n. 8240 e n. 8241, le quali hanno esaminato pro-


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blemi diversi, ma tuttavia relativi a questioni lato sensu assimilabili a quella odierna, relative al tentativo obbligatorio di conciliazione nell’ambito dei servizi di telefonia nel contesto del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. 5.4. Deve essere enunciato, pertanto, il seguente principio di diritto: “Nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1-bis, i cui giudizi vengano introdotti con un decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, l’onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta; ne consegue che, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità di cui al citato comma 1-bis conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo”. La decisione del caso concreto. 6. Una volta chiariti i termini del problema, consegue facilmente la decisione del caso concreto. Il Tribunale di Treviso, recependo l’orientamento giurisprudenziale che queste Sezioni Unite non hanno ritenuto di confermare, ha fatto

conseguire alla declaratoria di improcedibilità l’effetto del passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo. La Corte d’appello di Venezia, pronunciando l’ordinanza di inammissibilità ai sensi degli artt. 348-bis e 348-ter c.p.c. ha in sostanza ribadito tale orientamento. Il ricorso, pertanto, è fondato; la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, dichiarando l’improcedibilità della domanda principale e di quella riconvenzionale, nonché la revoca del decreto ingiuntivo opposto. In considerazione della novità e complessità delle questioni trattate, nonché dei dubbi interpretativi esistenti in materia, il Collegio ritiene equo compensare integralmente tra le parti le spese dei tre gradi di giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara improcedibile la domanda principale e quella riconvenzionale, revoca il decreto ingiuntivo opposto e compensa integralmente le spese dei tre gradi di giudizio. (Omissis)

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Le Sezioni Unite (finalmente) fanno il punto sull’onere della mediazione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo Sommario : 1. Lo svolgimento del processo. – 2. Il dibattito nel panorama dottrinale e giurisprudenziale. – 3. La parola delle Sezioni Unite. – 4. Note di riflessione e ricadute di ordine pratico.

Le Sezioni Unite sono state chiamate a risolvere il contrasto interpretativo circa l’individuazione della parte onerata all’instaurazione del procedimento di mediazione obbligatoria a norma dell’art. 5, comma 4, lett. a) del d.lgs. 28/2010, nel testo modificato dal d.l. n. 69/2013 e convertito dalla legge n. 98/2013, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, stante la mancanza, nel testo normativo, di una precisa indicazione. Il Supremo Consesso, discostandosi dall’orientamento consolidato nella giurisprudenza della Corte, ha ritenuto che tale onere debba gravare non sul debitore opponente ma bensì sul creditore opposto, con la conseguenza che, in caso di mancata instaurazione, ne deriva l’improcedibilità dell’opposizione e la revoca del decreto ingiuntivo. The Grand Chamber of the Supreme Court has been demanded to resolve the conflict of interpretation regarding the identification of the party burdened of filing the mandatory mediation procedure under Article 5, paragraph 4, letter a) of Legislative Decree No. 28/2010, as amended by Legislative Decree No. 69/2013, converted by Law No. 98/2013, in the case of opposition to the order of injunction, given the lack of legislative rules clarifying the issue. The Supreme Council, overturning the consolidated orientation in the jurisprudence of the Court, stated that this burden should not be borne by the plaintiff (i.e. the opposing debtor) but by the defendant (i.e. opposed creditor): therefore, should the latter fail said mandatory procedure, the order of injunction will be revoked.

1. Lo svolgimento del processo. La vicenda trae origine da un’opposizione che alcuni correntisti svolgevano contro un decreto ingiuntivo, con il quale erano stati ingiunti ad un pagamento in favore di un istituto di credito. Il tribunale competente, dopo essersi pronunciato sulla provvisoria esecuzione, concedeva alle parti il termine per instaurare il procedimento di mediazione obbligatoria, ma nessuna vi provvedeva. Di conseguenza il giudice, stante il mancato esperimento del tentativo di mediazione, del quale riteneva onerata la parte opponente sulla base di quanto stabilito dalla Cassa-

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zione con la sentenza n. 24629/2015, dichiarava l’improcedibilità dell’opposizione con il conseguente passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo. Successivamente, in sede di gravame proposto dai correntisti avverso la suddetta pronuncia, la Corte territoriale dichiarava l’appello inammissibile con un’ordinanza pronunciata a norma degli artt. 348-bis e 348-ter c.p.c., in quanto considerato privo di ragionevoli probabilità di essere accolto, facendo anch’essa proprio l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 24629/2015. Contro la pronuncia della Corte d’Appello, i correntisti proponevano, quindi, ricorso per cassazione fondato su di un solo motivo, mediante il quale denunciavano la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010 ed affermavano, in particolare, che l’onere di presentare la domanda di mediazione doveva ritenersi a carico del creditore opposto che ha presentato la domanda di ingiunzione, in quanto attore in senso sostanziale, e non del debitore opponente. Con ordinanza interlocutoria n. 18741/2019, la terza sezione della Corte di Cassazione ha rimesso gli atti al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, sulla questione sollevata nel ricorso, relativa all’individuazione della parte – opponente o opposta – onerata di instaurare il tentativo di mediazione obbligatoria nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. Le Sezioni Unite hanno risolto il contrasto interpretativo ribaltando quanto stabilito nel precedente orientamento e condividendo, invece, l’interpretazione secondo cui nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo è la parte opposta quella ad essere onerata all’introduzione del tentativo di mediazione obbligatoria, con la conseguenza che, laddove questa non vi assolva, si avrà l’improcedibilità dell’opposizione e la revoca del decreto ingiuntivo opposto.

2. Il dibattito nel panorama dottrinale e giurisprudenziale. La pronuncia che qui si commenta è intervenuta a risolvere un importante dibattito che, fin dall’introduzione della disciplina della mediazione obbligatoria con il comma 1-bis dell’art. 5 del d.lgs. n. 28/2010, ha diviso gran parte della dottrina e della giurisprudenza. Mentre, infatti, il comma 1-bis ed il comma 2 dell’art. 5 del suddetto decreto, prescrivono nelle materie elencate (condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari), sia in primo grado sia in appello, l’esperimento del procedimento di mediazione a carico di “chi intende esercitare in giudizio un’azione”, configurandolo espressamente quale “condizione di procedibilità della domanda giudiziale”, il comma 4, a specificazione delle suddette regole generali, dispone, per ciò che qui rileva, che “i commi 1-bis e 2 non si applicano: a) nei procedimenti per ingiunzione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione”.

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La ragione di tale esclusione deve essere individuata, come suggerito dalla relazione illustrativa1, nelle esigenze di celerità, nel carattere differito del contraddittorio nonché nella prevalente funzione esecutiva dell’accertamento sommario di cui al procedimento monitorio. Sarebbe, infatti, illogico frustrare le peculiarità proprie dello strumento processuale in discorso imponendo di esperire il tentativo di mediazione già dalla fase sommaria, tentativo che, invece, potrà essere utilmente esperito una volta che le esigenze di celerità siano cessate. Il testo normativo, tuttavia, non specifica quale fra le parti debba considerarsi onerata dell’introduzione del tentativo di mediazione, né quali siano le conseguenze a fronte dell’eventuale mancato esperimento della stessa. Occorre, dunque, esaminare le differenti posizioni che la dottrina e la giurisprudenza hanno assunto sul punto sforzandosi di colmare il vuoto normativo. La Cassazione, con la sentenza n. 24629/2015, aveva optato per la soluzione che vede onerato della proposizione del tentativo di mediazione il debitore-opponente2. In particolare, tale pronuncia risulta imperniata sulla ratio deflattiva dello strumento della mediazione e nella conseguente necessità che essa venga esperita da chi ha interesse all’instaurazione del giudizio di opposizione. Secondo la Corte, infatti, principi quali la ragionevole durata del processo ed efficienza processuale trovano svolgimento concreto nella riduzione del contatto con la giurisdizione, che deve essere vista come extrema ratio, alla quale sarà concesso di accedere solamente quando ogni altra strada risulti ormai preclusa. Questa soluzione colloca logicamente l’onere dell’instaurazione del procedimento di mediazione sul soggetto che ha interesse al processo e che ha, quindi, il potere di avviarlo. E poiché nel procedimento per ingiunzione è l’opponente-debitore che introduce il giudizio a cognizione piena, è su questi che deve ricadere l’onere, in quanto soggetto che ha scelto “la soluzione più dispendiosa, osteggiata dal legislatore”, e che in questo modo “intende precludere la via breve per percorrere la via lunga”3. Oltre a questa prima motivazione che la Corte elabora in chiave, si potrebbe dire, quasi sanzionatoria, a sostegno di questa ricostruzione vi è anche la qualificazione del mancato

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Cfr. Relazione illustrativa - schema di decreto legislativo recante: “Attuazione dell’art. 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali”. In questo senso per la giurisprudenza di merito che ha seguito questo orientamento si veda Trib. Firenze 30 ottobre 2014, Foro it., Le banche dati, archivio Merito ed extra, 2014,556; Trib. Chieti 8 settembre 2015 in DeJure; Trib. Nola, 24 febbraio 2015, in Dejure; Trib. Bologna, 20 gennaio 2015, n. 20059 in Pluris; Trib. Prato, 18 luglio 2011, in Dejure; Trib. Rimini, 05 agosto 2014, in Pluris; Trib. Siena, 25 giugno 2010, in Dejure; Trib. Genova, Sez. III, 15 giugno 2015, in Pluris; Trib. Monza, Sez. I, 31.03.2015, in Pluris; Trib. Nola, 24 febbraio 2015, in Dejure; Trib. Busto Arsizio, 15 giugno 2012, in Dejure. Distingue il Trib. Pavia, 12 ottobre 2015, in Foro it., in Merito ed extra, voce 2015.801.1, secondo cui il giudice potrebbe onerare tanto l’opponente quanto l’opposto e quindi, in caso di mancata proposizione della mediazione, rispettivamente verrebbe dichiarata improcedibile l’opposizione, ovvero verrebbe revocato il decreto. La sentenza da ultimo citata afferma che, in mancanza di ulteriore indicazione da parte del Giudice, sarebbe preferibile la tesi della improcedibilità dell’opposizione con conseguente definitività del decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 653 c.p.c. Per la dottrina E. Benigni, Mediazione – incombe sull’opponente ex art 645 c.p.c. l’onere di proporre l’istanza di mediazione, in Giur. It., 2015, fasc. 5, 1123 e ss.; M. De Cristoforo, F. Murino, sub art. 5 d.lgs. n. 28/2010, in Codice di procedura civile commentato, a cura di C. Consolo, Milano, 2013, p. 2355; F. De Stefano, A. Valitutti, Il decreto ingiuntivo e l’opposizione, Padova, 2013, 442; F.P. Luiso, Diritto processuale civile, Vol. V, 2015, Milano, 76; F. Santagada, La mediazione, Torino, 2012, 73. Cass. civ., III sez., 3 dicembre 2015, n. 24629.

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esperimento della mediazione come ipotesi di inattività delle parti, che di norma conduce all’improcedibilità dell’opposizione e, posta l’analogia tra l’opposizione stessa e l’appello, alla conseguente definitività del decreto ingiuntivo, sicché sarebbe nell’interesse del debitore esperire tale tentativo di mediazione nei termini di legge. Parte della giurisprudenza di merito, inoltre, ha ritenuto di porre a fondamento delle proprie argomentazioni a favore della suddetta ricostruzione, la tesi per cui l’orientamento che, invece, pone l’onere dell’introduzione della mediazione in capo al creditore opposto – attore sostanziale – con conseguente improcedibilità dell’opposizione e revoca del decreto ingiuntivo per mancato esperimento del tentativo nei termini, configurerebbe una singolare ipotesi di “improcedibilità postuma che dovrebbe colpire un provvedimento giudiziario condannatorio idoneo al giudicato sostanziale4, già definitivamente emesso, ancorché sub judice”5. Secondo tale impostazione, infatti, l’ordinamento consentirebbe l’introduzione di una domanda con dispensa dall’avveramento di una condizione di procedibilità salvo poi richiedere, in un dato momento futuro, la realizzazione della stessa6. Dunque, per i sostenitori della tesi che vede quale parte onerata il debitore opponente, ammettere tale improcedibilità postuma si porrebbe in contrasto con la ratio sottesa alla introduzione della mediazione stessa da parte del legislatore, poiché determinerebbe il venire meno della funzione deflattiva di quest’ultima. Ritenere, infatti, che alla mancata proposizione della mediazione consegua la revoca del decreto ingiuntivo, tutto perseguirebbe tranne che una funzione deflattiva del contenzioso poiché, venuta meno l’ingiunzione, il creditore ben potrebbe rivolgersi nuovamente all’autorità giudiziaria, con evidente duplicazione delle attività e spreco di risorse. Come anticipato, grande parte della dottrina e della giurisprudenza di merito, però, nel tempo si sono discostate da quanto sostenuto dalla Suprema Corte nella sentenza n. 24629/2015 (e poi ribadito nella più recente pronuncia n. 22003/2019), individuando la parte onerata alla proposizione del procedimento di mediazione nel creditore opposto7.

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Sulla idoneità del decreto ingiuntivo alla produzione degli effetti della cosa giudicata e le posizioni che invece negano tale portata, ovvero affermano un’efficacia limitata alla preclusione pro iudicato, cfr. ex multis E. Garbagnati, Il procedimento di ingiunzione, a cura di A.A. Romano, Milano, 2012, 6 e ss.; F. De Stefano, A. Valitutti, Il decreto ingiuntivo e l’opposizione, Padova, 2013, 12 e ss.; a favore della tesi per cui al decreto ingiuntivo definitivo conseguono effetti preclusivi pro iudicato v. B. Sassani, Lineamenti del processo civile italiano, Milano, 2015, 723; C. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, Torino, Vol. II, 2015, 180; v. anche Cass., 28 maggio 2015, n. 11040, in Pluris. Trib. Firenze 30 ottobre 2014, Foro it., Le banche dati, archivio Merito ed extra, cit. Cfr. R. Tiscini, La mediazione civile e commerciale, Torino, 2011, 132 ss.; così anche E. Benigni, Mediazione – incombe sull’opponente ex art 645 c.p.c. l’onere di proporre l’istanza di mediazione, cit., 1123; F.p. Luiso, Diritto processuale civile, Vol. V, op. cit., 65, 66, i quali sottolineano la necessità costituzionale di simile configurazione della mediazione. Sul punto v. anche R. Conte, Del procedimento d’ingiunzione, in Commentario del codice di procedura civile a cura di S. Chiarloni, Bologna, 2012, 29 e ss. In dottrina si veda G. Balena, Opposizione a decreto ingiuntivo e mediazione obbligatoria, in Riv. dir. proc., 2016, 1284 ss.; B. Sassani, Lineamenti del processo civile italiano. Tutela giurisdizionale, procedimenti di cognizione, cautele, esecuzione, VII edizione, Milano, 2019, 770; C. Consolo, Mediazione nelle cause di opposizione a decreto ingiuntivo (equo processo, garanzia di difesa versus ovvia breve durata del processo negato), in Corriere giur., 2019, 1279 ss.; D. Dalfino, Mediazione e opposizione a decreto ingiuntivo: quando la Cassazione non è persuasiva, in Foro it., 2016, I, c. 1325 ss.; M. Brunialti, Opposizione a decreto ingiuntivo e mancato esperimento della mediazione obbligatoria, ibidem, c. 132. In giurisprudenza si veda App. Bologna 1° ottobre 2019, in Foro it., Rep. 2020, voce Circolazione stradale, n. 29; Trib. Milano 6 dicembre 2016, ivi, Rep. 2017, voce Conciliazione in genere, n. 54; Trib. Firenze

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Questa impostazione, che vede quale conseguenza della dichiarata improcedibilità per la mancata instaurazione del procedimento di mediazione la revoca del decreto ingiuntivo, trova il suo fondamento in una duplice ragione da rinvenirsi, da un lato, nella considerazione per cui nel giudizio di opposizione la parte convenuta-opposta dovrebbe, in realtà, considerarsi quale attore in senso sostanziale, dall’altro lato, nell’argomentazione di rilievo costituzionale secondo cui, quando l’accesso alla tutela giurisdizionale è condizionata al previo esperimento di oneri quali condizioni di procedibilità, negoziazione assistita e, appunto, la mediazione, tale condizionamento non può mai tradursi nella perdita del diritto di agire in giudizio di cui all’ art. 24 della Cost., come conseguirebbe dall’accoglimento della precedente impostazione che alla improcedibilità dell’opposizione fa conseguire la irrevocabilità ed immodificabilità del decreto ingiuntivo a norma dell’art. 647 c.p.c. A queste due differenti ricostruzioni alcuni interpreti ne hanno affiancata una terza, per così dire mediana, secondo cui detto incombente di esperimento della mediazione dovrebbe ragionevolmente allocarsi in capo al creditore opposto, qualora in sede di prima udienza venga disposta la sospensione della provvisoria esecutorietà, ovvero sopra il debitore opponente, nel caso in cui il decreto venga dichiarato provvisoriamente esecutivo8. Occorre, a questo punto, indagare più approfonditamente la premessa principale dalla quale muovono le differenti tesi e a tal fine giova passare brevemente in rassegna, senza alcuna pretesa di completezza, i principali orientamenti riguardo la natura speciale ovvero ordinaria del procedimento di ingiunzione, nonché i rapporti tra la fase monitoria e l’opposizione e la relativa problematica circa la figura di convenuto formale ma attore in senso sostanziale del creditore. Per quanto concerne la natura del procedimento monitorio, particolarmente rilevante è l’opinione di chi sostiene che il decreto d’ingiunzione rientri nella categoria dei cosiddetti “accertamenti con prevalente funzione esecutiva”9 poiché finalizzati ad ottenere rapidamente un titolo esecutivo giudiziale a favore di chi a prima facie appare il titolare del diritto vantato. L’accertamento svolto per emettere il decreto ingiuntivo sarebbe, quindi, un accertamento di tipo sommario con una cognizione non piena e distesa come quella che caratterizza il giudizio ordinario, ma parziale10.

15 febbraio 2016, in Società, 2016, 1146, con nota di G. Minelli; e Trib. Busto Arsizio 3 febbraio 2016, in Foro it., Rep. 2016, voce Conciliazione in genere, n. 85. Cfr. altresì, in relazione al procedimento per convalida di sfratto, Trib. Busto Arsizio 20 marzo 2018, ivi, Rep. 2018, voce Sfratto, n. 4. 8 Così M. Bove, La mediazione per la composizione delle controversie civili e commerciali, Padova, 2010, 191. 9 G. Chiovenda, Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1928, p. 128 e ss.; Id., Istituzioni di diritto processuale civile, Napoli, 1935, 215 e ss.; S. Satta, Commentario al codice di procedura civile, Vol. IV, Milano, 1968, p. 6 e ss. muove dalla stessa prospettiva quando parla di “normativa senza giudizio”; L. Montesano, G. Arieta, Trattato di diritto processuale civile, Padova, 2005, Vol. I, 48; M. Cataldi, La natura del rito monitorio, in Il procedimento di opposizione, a cura di B. Capponi, op. cit., 78.; E. Garbagnati, Il procedimento d’ingiunzione, a cura di A.A. Roano, Milano, 2012, p. 24 sub nota 18. Cfr. F. De Stefano, A. Valitutti, Il decreto ingiuntivo e l’opposizione, Padova, 2013 p. 24. In giurisprudenza si veda Cass., sez. I, 18 dicembre 1998, n. 12668 in Foro it., voce Ingiunzione (procedimento); Cass., 30 marzo 1998, n. 3316, in Foro it., 1998, I, 2161. 10 Così C. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile. Le tutele (di merito, sommarie ed esecutive) e il rapporto giuridico processuale. Vol. I, Torino, 2019, 177.

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Diversamente, altri ritengono che la specialità del procedimento d’ingiunzione sia da rinvenirsi nelle forme previste per l’introduzione del giudizio, il quale tuttavia non si distinguerebbe per la sua natura da un’ordinaria azione di condanna11. Altri ancora, infine, ipotizzano l’esercizio congiunto per mezzo del ricorso alla tutela ingiuntiva di entrambe le azioni speciale e ordinaria, condizionatamente alla proposizione dell’opposizione12. Alle suddette differenti opinioni concernenti la natura del procedimento monitorio, conseguono differenti ricostruzioni circa il rapporto tra il procedimento monitorio stesso e l’eventuale e successivo giudizio di opposizione. A fronte, infatti, della tendenziale unanimità nel riconoscere che la fase di opposizione introduce un giudizio a cognizione piena13, il rapporto di questa con l’azione esperita in sede monitoria viene configurato in vario modo. In particolare, una parte della dottrina, ritiene che il procedimento monitorio e il giudizio di opposizione si collochino in una posizione di autonomia. Secondo tale ricostruzione, la fase monitoria senza contraddittorio dovrebbe essere intesa come “normativa senza giudizio”, mentre quella successiva, caratterizzata dalla presenza del contraddittorio, sarebbe la fase del vero “giudizio”. Tale qualificazione indurrebbe a ritenere, quindi, che, con la proposizione dell’opposizione, il debitore assuma la veste di attore non solo in senso formale, bensì anche in senso sostanziale14. Un’altra parte della dottrina qualifica, invece, l’opposizione come un atto di impugnazione, il quale introduce, seppur nel quadro di un unico processo di cognizione, un nuovo procedimento di primo grado, escludendo così che la citazione ai sensi dell’art. 645 c.p.c. possa equivalere ad una comparsa di costituzione e risposta, essendo il primo un atto tipicamente introduttivo, né potendo la mancata costituzione produrre gli effetti della mancata opposizione. Secondo tale prospettazione, quindi, l’opposizione varrebbe quale provocatio ad probandum, dovendo il creditore provare l’esistenza del credito affermato a seguito della contestazione effettuata dal debitore15. Ancora, un’altra impostazione ritiene che tra la fase monitoria e la successiva eventuale opposizione non vi sia soluzione di continuità e attribuisce all’opponente la qualifica di attore solo in senso formale, considerandolo convenuto in senso sostanziale. Secondo tale

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E. Garbagnati, Il procedimento d’ingiunzione, cit., 42 e ss.; F. De Stefano, A. Valitutti, Il decreto ingiuntivo e l’opposizione, cit., 24, 25; A. Carratta, Profili sistematici della tutela anticipatoria, Torino, 1997, 194 e ss. specialmente 197 e nota n. 107; C. Mandrioli, Diritto processuale civile, cit., Vol. III, 48 e ss. 12 Si veda per tutti V. Andrioli, Commento al codice di procedure civile, Vol. IV, Napoli, 1967, 67 e ss.; v. anche A. Segni, Giudizio di verificazione di credito ed estensione del giudicato, in Riv. dir. comm., 1941, 98. 13 Cass., Sezioni Unite, 10 luglio 2015, n. 14475, in Foro It., 2015, 11, 1, 3520, “[…] fase di opposizione, che completa il giudizio di primo grado (le due fasi fanno parte di un medesimo giudizio che si svolge nel medesimo ufficio […] in caso di opposizione il procedimento monitorio si trasforma in giudizio a cognizione piena, che prosegue dinanzi allo stesso ufficio giudiziario”. 14 Cit. S. Satta, Commentario al codice di procedura civile, Vol. IV, op. cit., 13: “alla base dell’azione sta un’azione che si è esaurita con il decreto quando ha costituito il credito, ed è solo con un giudizio di esistenza o inesistenza del debito che il decreto può essere rimosso (...)”, v. ibidem 75 e ss. Contra v. ex multis E. Garbagnati, Il procedimento di ingiunzione, cit., 166 e 167; di recente v. G. Ruffini, Sulla c.d. reversibilità dell’acquisizione probatoria documentale, in Riv. dir. proc., 2015, fasc. 4, 1097. 15 C. Merlo, A. Tedoldi, L’opposizione a decreto ingiuntivo, in Il procedimento di ingiunzione, a cura di B. Capponi, Bologna, 2009, 467. In senso opposto E. Zucconi Galli Fonseca, Profili attuali del procedimento per ingiunzione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2013, fasc. 1, 113, la quale qualifica il creditore come attore “finanche in senso processuale”.

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interpretazione, infatti, il processo di opposizione mette capo ad un giudizio sul rapporto azionato dal creditore intimante, gravato dagli oneri probatori dei fatti costituivi e destinato a terminare con una pronuncia sull’esistenza o meno della pretesa creditoria16. Ciò posto, risulta evidente come l’opzione per l’una o per l’altra posizione influisca sul punto dell’allocazione dell’onere dell’introduzione della mediazione, nonché sugli effetti conseguenti alla mancata proposizione di essa. Si può ritenere, infatti, che adottando la tesi per cui l’opposizione costituisce un giudizio autonomo rispetto all’azione introdotta in sede monitoria o che vede l’opposizione come un giudizio di impugnazione, non vi possa essere alcun dubbio su chi debba esperire la mediazione in quanto, se si afferma che l’opponente è attore, non solo in senso formale ma anche sostanziale, è certo che la mediazione debba essere introdotta, per l’appunto, dal debitore. All’opposto, se si predilige la tesi secondo cui non vi è soluzione di continuità tra la fase monitoria e quella dell’opposizione, risulta chiaro come l’onere di instaurazione del procedimento di mediazione dovrà ricadere su colui che “intende esercitare in giudizio una azione”17 e, quindi, sul creditore-attore che ha agito per ottenere il decreto ingiuntivo.

3. La parola delle Sezioni Unite. A fronte del quadro giurisprudenziale e dottrinale così delineato, le Sezioni Unite sono intervenute a risolvere il dibattito, sottolineando la necessità di individuare una soluzione che assicuri la prevedibilità delle decisioni giudiziarie “anche in termini di analisi economica del diritto”. Con la sentenza in commento, il Supremo Consesso, disattendendo la soluzione recepita con la pronuncia del 2015, ha enunciato il principio di diritto per cui “Nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi dell’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, i cui giudizi vengano introdotti con un decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, l’onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta; ne consegue che, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità di cui al citato comma 1-bis conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo”18. Il percorso argomentativo che ha condotto la Corte a questa soluzione si snoda attraverso un’analisi del dato testuale-normativo contenuto nel d.lgs. n. 28 del 2010, ad una valorizzazione di argomenti di ordine logico-sistematico ed alla scelta della soluzione il più possibile in armonia con il dettato costituzionale.

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Così C. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile. Le tutele (di merito, sommarie ed esecutive) e il rapporto giuridico processuale. Vol. I, Torino, 2019, 188. 17 Cfr. art. 5, comma 1-bis, del d. lgs. 28/2010. 18 Così Cass., Sezioni Unite, sent. 18/09/2020, n. 19596.

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Svolgendo l’analisi del dato testuale, la Suprema Corte ha avuto modo di evidenziare come le disposizioni contenute nel d.lgs. n. 28 del 2010 non possano considerarsi neutrali ai fini della decisione della quaestio iuris sottoposta al loro scrutinio, essendovi alcuni articoli che, pur non affrontando direttamente il problema in esame, non potrebbero armonizzarsi con la tesi che pone l’onere di promuovere la procedura di mediazione a carico della parte opponente. In particolare, il Supremo Consesso sottolinea come l’art. 4 comma 2 del suddetto decreto, nel regolare l’accesso alla mediazione, individui le modalità di proposizione della relativa domanda, disponendo che “l’istanza deve indicare l’organismo, le parti, l’oggetto e le ragioni della pretesa”. L’indicazione di tali elementi, precisano le Sezioni Unite, del nostro sistema processuale spetta tipicamente all’attore, cioè a colui il quale assume l’iniziativa processuale. In questa prospettiva, prosegue la Corte di Cassazione, appare quanto meno controverso, quindi, ipotizzare che sia l’opponente, cioè il debitore, a trovarsi costretto ad indicare l’oggetto e le ragioni di una pretesa che non è la sua, in quanto, opponendosi al decreto ingiuntivo, si è solo limitato a reagire alle pretese creditorie. In secondo luogo, le Sezioni Unite, valorizzano il disposto dell’art. 5 comma 1-bis del decreto in esame, secondo cui chi “intende esercitare in giudizio un’azione” relativa ad una controversia nelle materie ivi indicate “è tenuto, assistito dall’avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto”. Dunque, la norma sembrerebbe porre l’obbligo di esperire il procedimento di mediazione a carico di chi intende esercitare in giudizio un’azione e, tale posizione, non potrebbe che individuarsi in quella dell’attore che ha agito per primo al fine di ottenere il decreto ingiuntivo e che, nel giudizio di opposizione, è il creditore opposto (da intendersi, quindi quale attore in senso sostanziale). Non a caso, evidenziano le Sezioni Unite, l’art. 643 comma 3 c.p.c. stabilisce che la notificazione del decreto ingiuntivo determina la pendenza della lite. Ancora, con riferimento al dato normativo, i giudici di legittimità richiamano l’art. 5 comma 6 del decreto, secondo cui “dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale”. Tale norma, ritiene la Corte, deve essere letta insieme con le norme di cui agli artt. 2943 e 2945 c.c., i quali regolano gli effetti della domanda giudiziale sull’interruzione della prescrizione e l’ultrattività dell’effetto interruttivo in caso di estinzione del processo, nonché con la disposizione individuata sempre dall’art. 5, comma 6, che prevede anch’essa un effetto impeditivo della decadenza “per una sola volta”. Guardando a queste norme, le Sezioni Unite ritengono che sarebbe illogico far dipendere un effetto favorevole all’attore, quale è l’interruzione della prescrizione o l’impedimento della decadenza, da un’iniziativa assunta dal debitore. Successivamente, la Corte passa ad esaminare argomenti di ordine logico-sistematico, ribadendo come nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è la parte opposta a rivestire il ruolo di cd. attore in senso sostanziale, che fa cioè valere la propria pretesa, originariamente cristallizzata nella domanda monitoria. Tenuto conto della natura del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, dunque, secondo i giudici di legittimità appare più conforme al sistema, che una volta “instaurata l’opposizione e sciolto il nodo della provvi-

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soria esecuzione”, “le parti riprendano ciascuna la propria posizione”, e che sia il creditore opposto, quindi, in quanto attore in senso sostanziale, a dover promuovere la mediazione. Sempre sul piano sistematico, infatti, quando il debitore si sia tempestivamente attivato promuovendo il giudizio di opposizione, “che è, in concreto, l’unico rimedio processuale che la legge gli riconosce in presenza di un provvedimento monitorio” apparirebbe “un’evidente forzatura” (ove si aderisse all’opposta soluzione, adottata dalla pronuncia del 2015) ricollegare all’eventuale sua inerzia nel promuovere la mediazione la medesima conseguenza – ossia l’esecutività del decreto ingiuntivo, derivante dall’improcedibilità del giudizio di opposizione – che l’art. 647 c.p.c. prevede per l’ipotesi di mancata proposizione dell’opposizione o di omessa o tardiva costituzione dell’opponente. Tale argomentazione si pone, dunque, in aperto contrasto con quanto addotto dalla Cassazione con la pronuncia del 2015, secondo cui, una volta che il creditore, attraverso il procedimento monitorio “abbia scelto la linea deflattiva coerente con la logica dell’efficienza processuale e della ragionevole durata del processo”19, è logico che l’onere della mediazione gravi sul debitore opponente, poiché è lui “che intende precludere la via breve per percorrere la via lunga” (ossia il giudizio a cognizione piena). È chiaro, infatti, che mentre il creditore può liberamente optare tra il rito ordinario e quello monitorio, il debitore, ove intenda contestare il decreto ingiuntivo, non può che avvalersi dell’opposizione20. Valorizzando un’interpretazione costituzionalmente orientata, infine, la Suprema Corte ha ritenuto che far discendere dalla mancata instaurazione del procedimento di mediazione l’irrevocabilità del decreto ingiuntivo contrasterebbe con i principi espressi in tema di giurisdizione c.d. condizionata dalla Consulta, la quale in più occasioni ha ritenuto illegittime, in quanto lesive del diritto di azione, le disposizioni che ricollegavano al mancato previo esperimento di un rimedio amministrativo la definitiva preclusione dell’azione o comunque l’inammissibilità della domanda21. Pertanto le Sezioni Unite hanno ritenuto di dover superare l’orientamento finora espresso dalla Suprema Corte che considerava la parte opponente onerata di introdurre il tentativo di mediazione, in quanto se è vero che tale ricostruzione aveva valorizzato la funzione deflattiva della mediazione in armonia con il principio della ragionevole durata del processo, è altrettanto vero che nel conflitto tra i principi di efficienza e ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.) da una parte e la garanzia del diritto di difesa (art. 24 Cost.) dall’altra, dev’essere sempre quest’ultima a prevalere.

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Così Cass., III sez., sent. 3 dicembre 2015, n. 24629. Così C. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile. Il processo di primo grado e le impugnazioni delle sentenze, Vol. II, Torino, 2019, 212. 21 Si veda in questo senso le sentenze della Corte Costituzionale del 16 aprile 2014, n. 98, in Riv. dir. proc., 2015, 813, con nota di P. Sandulli e del 25 luglio 2008, n. 296, e 18 gennaio 1991, n. 15. A questo orientamento sono ispirate anche le recenti sentenze delle Sezioni Unite nn. 8240 e 8241, richiamate nella motivazione della decisione qui commentata, concernenti le conseguenze del mancato preventivo esperimento del tentativo di conciliazione nelle controversie tra gli organismi di telecomunicazione e gli utenti, che hanno per l’appunto preferito la soluzione dell’improcedibilità della domanda a quella dell’improponibilità. 20

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4. Note di riflessione e ricadute di ordine pratico. Le conclusioni alle quali sono giunte le Sezioni Unite paiono del tutto condivisibili. L’accoglimento della tesi sostanzialistica circa la posizione processuale delle parti e la riconosciuta prevalenza del diritto di difesa rispetto alle esigenze deflattive del contezioso e di celerità processuale si sposano perfettamente con un’interpretazione costituzionalmente orientata del dettato normativo. Rimangono però aperte alcune questioni di ordine pratico. In primo luogo, con riferimento a quanto previsto dall’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28/2010, occorre considerare che questo, oltre a stabilire che “chi intende esercitare in giudizio un’azione” in una delle materie ivi indicate “è tenuto, assistito dall’avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione (...)”, chiarisce anche che in questi casi “l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale”. Conseguentemente, stando a quanto sostenuto dalle Sezioni Unite ed in assenza di una diversa disposizione relativa al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e tenuto conto che quest’ultimo è retto dalla medesima domanda formulata dal creditore in via monitoria, sembrerebbe inevitabile dedurne che oggetto della sanzione di improcedibilità dovrebbe essere, per l’appunto, solo tale domanda e non anche l’opposizione del debitore. Potrebbe accadere, infatti, che nel giudizio di opposizione siano state formulate, dal debitore opponente o dallo stesso creditore opposto, altre domande, riconvenzionali o comunque nuove, per le quali l’obbligo della mediazione non sussista o sia stato già precedentemente assolto. In questo caso, ferma restando l’improcedibilità della domanda avanzata in via monitoria e la necessaria revoca del decreto ingiuntivo, potrebbe, però, ammettersi la prosecuzione del giudizio di opposizione per la decisione di queste altre domande22. Ancora, si potrebbe ipotizzare di estendere la soluzione individuata dalle Sezioni Unite, nonostante queste nella pronuncia non ne abbiamo fatto menzione, anche all’ipotesi dei procedimenti possessori, per i quali l’obbligo della mediazione opera dopo conclusione della cosiddetta fase interdittale e, cioè, dopo la “pronuncia dei provvedimenti di cui all’art. 703, terzo comma, del codice di procedura civile”23, sul presupposto che taluna delle parti abbia tempestivamente chiesto la fissazione dell’udienza per la prosecuzione del giudizio di merito, a norma del 4 comma dello stesso art. 703 c.p.c. Anche in questa circostanza, infatti, si dovrebbe ritenere che l’onere di instaurare il procedimento di mediazione spetti alla parte che abbia instaurato il procedimento possessorio, con la conseguenza che, in caso di inadempimento, la relativa domanda dovrebbe essere dichiarata improcedibile.

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Così G. Balena, I poteri delle parti nel giusto processo di opposizione a decreto ingiuntivo, in Giusto proc. civ., 2020, 331 ss., nonché in Tutela giurisdizionale e giusto processo. Scritti in memoria di Franco Cipriani, Napoli, 2020, II, 1089 ss. 23 Art. 5, comma 4, lett. d), del d..lgs. 28/2010.

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Giova, inoltre, tentare una lettura della pronuncia in commento anche alla luce dell’ipotesi in cui la mediazione non sia prescritta come obbligatoria dalla legge ma venga ordinata dal giudice in sede di gravame (la cosiddetta mediazione delegata) a norma dell’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 28/2010. Conciliare quanto affermato dalle Sezioni Unite circa l’onere di proposizione della mediazione da parte del creditore opposto con la cosiddetta mediazione delegata in sede di appello risulta di non semplicissima soluzione. Basandosi su quanto precedentemente affermato dalla Suprema Corte con la sentenza del 2015, infatti, sembrava logico ritenere che l’onere di esperire la mediazione dovesse gravare in tal caso sull’appellante e che la sanzione del suo inadempimento fosse rappresentata dall’improcedibilità dell’appello e dal conseguente passaggio in giudicato della sentenza impugnata24. Prestando, però, attenzione al dato normativo-testuale, come il Supremo Consesso ha ritenuto di fare per risolvere la questio iuris, è agevole constatare che il citato comma 2 dell’art. 5 utilizza una formula identica a quella del comma 1-bis, precisando che in tale ipotesi “l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello”. Da ciò si potrebbe desumere che la soluzione adottata per il giudizio di opposizione debba valere anche per la mediazione delegata, sia che ci si trovi in primo o in secondo grado. In quest’ultimo caso, dunque, il giudice d’appello dovrebbe definire il giudizio in rito, con una declaratoria di improcedibilità della domanda destinata comunque a sostituire la decisione impugnata25. All’opposto, parte della dottrina ha ritento che in tali ipotesi, trattandosi di obbligo non derivante dalla legge ma bensì da un ordine del giudice, la mancata attivazione della mediazione costituisca una fattispecie di inattività della parte e pertanto conduca, anche in appello, all’estinzione del giudizio, determinando di conseguenza il passaggio in giudicato della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 338 c.p.c.26. Un ulteriore problema di grande impatto pratico, che allo stato risulta ancora aperto, potrebbe riguardare i giudizi ancora in corso dove il giudice, avendo espressamente onerato o ritenendo onerato l’opponente all’esperimento del tentativo di mediazione e rilevando che questo non vi ha provveduto nel termine assegnato di 15 giorni, abbia fissato l’udienza per la precisazione delle conclusioni, senza neppure concedere i termini ex 183, comma 6, c.p.c., considerando la questione pregiudiziale di rito della improcedibilità dell’opposizione idonea a definire il giudizio. Come dovrà comportarsi, allora, il creditore opposto che, confidando nella precedente interpretazione della Suprema Corte, non si è attivato per instaurare il tentativo di mediazione nel termine di legge e poi, con l’intervenuta pronuncia delle Sezioni Unite, si ritrova

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In questo senso si veda Trib. Firenze 13 ottobre 2016, in Società, 2017, p. 345, con nota adesiva di M. Bove Mediazione disposta dal giudice di secondo grado e improcedibilità dell’appello. 25 G. Reali, La mediazione come condizione di procedibilità della domanda tra dubbi interpretativi e incertezze applicative, in Giusto proc. civ., 2015, 979 ss.; G. Balena, I poteri delle parti nel giusto processo di opposizione a decreto ingiuntivo, in Giusto proc. civ., cit., nonché in Tutela giurisdizionale e giusto processo. Scritti in memoria di Franco Cipriani, cit. 26 Così in particolare M. Bove, Mediazione disposta dal giudice di secondo grado e improcedibilità dell’appello, cit.

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ad essere egli stesso la parte a questo onerata e, quindi, di conseguenza soccombente? Inoltre, se si pensa a tutti quei casi in cui in primo grado sia stata dichiarata l’improcedibilità dell’opposizione per mancato esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria da parte dell’opponente, con la sentenza che è ancora suscettibile di essere impugnata, si potrebbe avere un esplosione del contenzioso con conseguenti effetti pregiudizievoli per le parti opposte, che, per l’appunto, non avevano provveduto ad instaurare il tentativo di mediazione confidando nel fatto che il giudice avesse a ciò onerato l’opponente oppure che l’organo giudicante aderisse all’orientamento secondo cui onerata di introdurre il tentativo di mediazione obbligatoria fosse l’opponente; affidamento, questo, da ritenere quanto mai legittimo, considerando che di questo avviso era sia una buona parte della giurisprudenza di merito, sia, soprattutto, la Corte di Cassazione con le uniche pronunce intervenute sul punto (la più volte ricordata sentenza n. 25629/2015 e l’ordinanza n. 22003/2019). Si potrebbe, allora, ipotizzare che il giudice investito del giudizio di opposizione nell’ambito della materia soggetta alla condizione di procedibilità della mediazione, possa, su richiesta, disporre la rimessione in termini ai sensi dell’art. 153 c.p.c. della parte opposta che non abbia instaurato il tentativo di mediazione obbligatoria così come previsto dalle Sezioni Unite. Tale norma dovrebbe, infatti, ritenersi applicabile anche al caso di specie dal momento che, dopo la riforma operata dalla legge 69/2009, tale istituto ha acquisito, come noto, carattere generale, considerata la sua collocazione nel Capo II, Titolo VI del Libro I c.p.c., rubricato, per l’appunto, “Disposizioni Generali”. La rimessione in termini rappresenta, infatti, ancora oggi l’unico strumento idoneo a superare l’ostacolo del decorso di un termine perentorio e con esso si mira essenzialmente ad evitare che le intervenute decadenze possano danneggiare chi vi sia incorso senza colpa. In base al disposto del secondo comma dell’art. 153 c.p.c., affinché possa operare la rimessione in termini occorre che sussistano tre requisiti tra loro cumulativi: il primo è che via sia la domanda di parte, non potendo mai il giudice provvedervi d’ufficio; il secondo è che la parte sia incorsa in decadenze ed in questo senso non paiono esservi ragioni ostative perché il termine, di cui all’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs n. 28/2010, di 15 giorni concesso dal giudice a seguito del rilievo d’ufficio o su eccezione di parte della mancata instaurazione del tentativo di mediazione obbligatoria, possa essere considerato “perentorio”; il terzo è che la parte fornisca la prova di essere incorsa in tali decadenze per causa ad essa non imputabile, cioè per “caso fortuito” o “forza maggiore”. Tale ultimo requisito, ha chiarito la Cassazione, può essere individuato anche nel cosiddetto caso di “overruling”, in altri termini nel mutamento di giurisprudenza. In particolare, si potrà richiedere la rimessione in termini per mutamento di giurisprudenza quando il mutamento giurisprudenziale riguardi la corretta applicazione di una norma processuale ed abbia carattere “imprevedibile”, in ragione della natura consolidata e non controversa della precedente interpretazione giurisprudenziale da un lato e, dall’altro, del repentino ed improvviso mutamento della giurisprudenza successiva o, quanto meno, privo di preventivi segnali anticipatori del suo manifestarsi. Una condizione siffatta non è, quindi,

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ravvisabile in presenza di preesistenti contrasti interpretativi27o di incertezza interpretativa delle norme processuali ad opera della Corte di Cassazione o nel caso in cui la parte abbia confidato nell’orientamento che non è prevalso. Infine, occorre poi che l’“overruling” determini una preclusione o decadenza che incida sul diritto di azione o di difesa della parte che abbia confidato incolpevolmente nell’interpretazione precedente. Qualora ricorrano questi tre presupposti, quindi, la Suprema Corte ha chiarito che il rimedio della rimessione in termini può essere invocato, alla luce dei principi costituzionali del giusto processo, in caso di errore oggettivamente scusabile per l’affidamento riposto su una consolidata giurisprudenza di legittimità, poi travolta da un imprevedibile mutamento interpretativo. Ciò posto, parrebbe potersi ammettere che la parte opposta che non abbia instaurato il tentativo di mediazione obbligatoria entro il termine assegnato dal giudice all’opponente o alle parti (ma in un contesto giudiziario in cui si aderisce all’orientamento per cui è a ciò onerata la parte opponente) potrebbe essere rimessa in termini, con concessione di un nuovo termine di 15 giorni ex art. 5, comma 1-bis, d.lgs n. 28/2010 in virtù dell’“overruling” giurisprudenziale operato dalle Sezioni Unite. Permangono però sul punto alcuni dubbi, in quanto non può ignorarsi che l’orientamento per cui onerato ad esperire il tentativo di mediazione obbligatoria fosse l’opposto era molto diffuso nelle aule di giustizia della giurisprudenza di merito e non può, quindi ritenersi in termini assoluti che l’orientamento per cui onerato fosse l’opponente avesse “carattere consolidato e non controverso”. Deve, inoltre, tenersi presente che la Suprema Corte di recente ha ribadito che l’affidamento che la parte fa sull’orientamento consolidato “deve essere, altresì, valutato tenendo conto del ‘dovere di precauzione’ necessaria in presenza di divergenti interpretazioni giurisprudenziali e/o norme oggettivamente poco chiare. Infatti, la natura scusabile dell’errore deve essere accertata tenendo conto della massima diligenza a cui la parte è tenuta nelle situazioni dubbie”28. Sulla base di ciò, si potrebbe allora forse ipotizzare che il creditore opposto, proprio nel rispetto del principio di precauzione, avrebbe dovuto comunque, in via cautelativa, proporre egli stesso il tentativo di mediazione, immaginando che la giurisprudenza sul punto avrebbe ben potuto consolidarsi in senso contrario. Margherita Pagnotta

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Si vedano in questo senso Cass., n. 15811/2010; Cass., n. 27086/2011; Cass. n. 23836/2012 e Cass. n. 3782/2018. Così da ultimo Cass., Sezioni Unite, n. 4135/2019.

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